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di Tiziana Mascia

Le conoscenze alternative e l’influenza dei Social

L’informazione nell’era degli algoritmi

di Tiziana Mascia

Le competenze informative tradizionali non sono sufficienti per vincere la battaglia contro i teorici della cospirazione.

In che misura i giovani – cresciuti con i giganti di Internet come Google, YouTube, Instagram o Facebook –sono consapevoli del funzionamento degli “algoritmi” che tentano di prevedere e influenzare il loro comportamento? Quale ruolo giocano le piattaforme social nel loro apprendimento? Decenni di tentativi e grande impegno per trasformare l’Information Literacy in uno strumento educativo universale non ha impedito, a una porzione significativa della popolazione, di accogliere la disinformazione e, parallelamente, rifiutare le fonti di informazione più affidabili. La ragione di questa débâcle può essere attribuita a vari fattori, fra questi, il fatto che l’Information Literacy non trovi una collocazione specifica all’interno del curriculum scolastico, la mancanza di istruzioni coerenti sulle competenze informative e mediatiche nell’esperienza educativa degli studenti e la difficoltà, da parte degli educatori, di “stare al passo” con l’evoluzione tecnologica e la cultura digitale. Quando bibliotecari e insegnanti hanno adottato per la prima volta l’Information literacy Education e lo sviluppo del pensiero critico come attività educative essenziali per favorire i processi di localizzazione, valutazione e utilizzo delle informazioni, le piattaforme guidate dagli algoritmi – Google, YouTube, Facebook, Instagram e Amazon –non esistevano ancora. Information Literacy e pensiero critico sono competenze cruciali per affrontare le questioni che riguardano la conoscenza e l’apprendimento. Tuttavia, il modo in cui tali competenze vengono promosse tende a concentrarsi soprattutto sui bisogni scolastici immediati: ricercare, leggere e valutare i testi e utilizzare il web per la ricerca delle informazioni utili per svolgere le attività assegnate, con situazioni di simulazione in classe non sempre efficacemente applicabili alla complessità del mondo reale. Oggi i giovani studenti hanno la necessità di conoscere il processo di creazione e diffusione dell’informazione da parte dei media e delle piattaforme digitali (inclusi radio, giornalismo, televisione, YouTube, Facebook, Instagram…) per comprendere come possano influenzare l’opinione politica o di altri gruppi di interesse. Già agli inizi del 2000 Christine Pawley pubblicava Information Literacy: a contradictory coupling, una critica incisiva sulla teoria e sulla pratica dell’Information Literacy. Nel suo contributo, la studiosa sosteneva l’esigenza di insegnare agli studenti non solo le pratiche su come ricercare e valutare l’informazione, ma anche la necessità di spiegare “come funziona l’informazione” e di come i contesti sociali ed economici possano influenzare il modo in cui l’informazione viene creata e diffusa. Pawley ha scritto questa critica all’alba del ventunesimo secolo, prima che il Web 2.0 consentisse di sperimentare esperienze sociali e partecipative e prima ancora che i social acquisissero un ruolo così incisivo sulla nostra cultura. Molto è cambiato da allora nel contesto delle nuove tecnologie, ma l’Information Literacy continua ad essere intesa principalmente come l’istruzione su come localizzare, accedere, recuperare, valutare, organizzare ed utilizzare l’informazione. Wikipedia, la piattaforma sociale un tempo considerata dagli educatori come inaffidabile, è diventata oggi un esempio di adesione a una serie di principi su come documentare correttamente l’informazione attraverso obiettività e riferimenti a fonti autorevoli.

Come possono tante persone e così tanti giovani credere a notizie evidentemente false?

Ora che le teorie della cospirazione sono seguite dal grande pubblico e si contendono l’attenzione con le informazioni basate su fonti reali, i sostenitori dell’Information Literacy hanno compreso che concentrarsi esclusivamente sul processo di «ricerca e valutazione dell’informazione» non è sufficiente nell’era degli algoritmi e potrebbe avere degli effetti controversi. Profondamente scettici, molti studenti tendono a credere al frutto delle loro ricerche autonome, che possono essere guidate dalle esperienze e credenze personali, piuttosto che affidarsi alle fonti provenienti da testate autorevoli o dai principali organi di informazione. Nello stesso modo in cui la frase Fake news è stata utilizzata per indicare le notizie fasulle dell’informazione tradizionale, ora lo slogan Do the research è onnipresente negli angoli più nascosti del web favorevoli all’informazione alternativa proveniente dalle fonti non istituzionali. Ma quanto sono consapevoli i giovani su come funzionano i giganti di Internet, su come Google, YouTube, Instagram e Facebook possono influenzare le scelte e la diffusione dell’informazione? Nel diluvio quotidiano di notizie digitali, opinioni e pubblicità, c’è una crescente preoccupazione su come gli algoritmi utilizzati dalle principali piattaforme possano influenzare le nostre vite, alimentare le divisioni all’interno della nostra società, fomentare la radicalizzazione, l’estremismo e la sfiducia nell’informazione. Se crediamo che l’Information Literacy possa avere un impatto sulle scelte che si aprono e si offrono ai giovani nel contesto personale, familiare e sociale, allora l’Information Literacy deve includere anche l’istruzione

sui modi in cui le notizie e i flussi di informazione sono modellati e influenzati dagli algoritmi.

Cosa sono gli algoritmi?

Gli algoritmi sono delle procedure basate su regole utili a risolvere determinati problemi; da quando la parola Google è diventata sinonimo di “cercare online” l’idea degli algoritmi si è diffusa fra il grande pubblico. È stato allora che siamo diventati più consapevoli di come il codice intelligente del computer possa influenzare le nostre scelte quotidiane, consigliandoci i film da guardare su Netflix, ricordando le nostre preferenze di acquisto su Amazon e identificando i

nostri amici tra i follower di Facebook. Google ha iniziato a utilizzare le “tracce digitali”, che tutti noi lasciamo quando navighiamo su Internet, per trarre profitto dalla pubblicità personalizzata e profilata. Facebook ha costruito la sua reputazione sulla sua “piattaforma social” e sulla sua capacità di creare interconnessioni tra le persone online attraverso collegamenti guidati da vari indici e metriche che analizzano i nostri “amici” e le nostre preferenze ogni volta che clicchiamo su “mi piace” a qualche articolo che leggiamo. L’ascesa di quella che è ampiamente conosciuta come “l’era degli algoritmi” ha sicuramente avuto un profondo impatto sulla società, sulla politica, sulle notizie e sull’epistemologia. Eppure, la maggior parte degli algoritmi non sono semplici da rilevare perché non si possono vedere, sentire o toccare. Una sequenza di righe di codice, complesse e poco trasparenti per un utente medio, stabiliscono così delle decisioni fulminee sui nostri percorsi di navigazione e sulle nostre scelte. Gli algoritmi non sono intrinsecamente buoni o cattivi, i loro effetti dipendono da chi e per quali obiettivi sono stati programmati, così come e quanto gli utenti del web interagiscono con questi algoritmi, e da come verrà utilizzata l’enorme quantità di dati personali che possono raccogliere e conservare. Gli algoritmi hanno anche un’influenza che non è sempre possibile

prevedere poiché il loro uso ha sempre maggiori effetti sociali e politici. Piattaforme social come Facebook, Twitter e Instagram ci permettono di condividere foto, notizie personali e link con dei perfetti sconosciuti che si trovano dall’altra parte del mondo, ma che forse hanno interessi simili ai nostri. Ma non solo, gli algoritmi sono spesso usati per filtrare le notizie sul mondo, influenzando potenzialmente le decisioni su cosa compriamo e chi votiamo, così le conseguenze di quei sistemi progettati per condividere le informazioni in modo virale possono diventare una seria minaccia alla diffusione e alla corretta comprensione dell’informazione e quindi alla democrazia.

Internet modella i nostri comportamenti

L’infrastruttura tecnica che influenza il modo in cui acquisiamo informazioni e modella la nostra conoscenza e le nostre convinzioni è cambiata in modi che sono in gran parte invisibili al pubblico. l’Information Literacy deve obbligatoriamente includere anche la comprensione di quegli algoritmi che modellano il nostro ambiente informativo e non c’è dubbio che sarà difficile spostare la narrazione da un’enfasi del ricercare, valutare e utilizzare le informazioni in un ambiente scolastico a un’istruzione che promuove una più ampia comprensione degli algoritmi e di come le informazioni fluiscono e si diffondono attraverso i sistemi e le architetture web. Ma è tempo di rivedere completamente gli obiettivi e invitare insegnanti, educatori e bibliotecari a raccogliere la considerevole sfida di comprendere quelle forze tecnologiche e sociali che modellano la circolazione di notizie e delle informazioni nella nostra società contemporanea.

Fonti consultate per scrivere questo articolo

– Christine Pawley. (2003). Information Literacy: A Contradictory Coupling. The Library Quarterly: Information, Community, Policy, 73(4), 422–452. hiip://www.jstor.org/stable/4309685 – EAVI. (2021, June 17). Infographic: Beyond Fake News – 10 Types of Misleading News – Seventeen Languages. EAVI Media Literacy for Citizenship. hiips://eavi.eu/ beyond-fake-news-10-types-misleadinginfo/ – Fister, B. (2021, February 18). How Librarians Can Fight QAnon. The Atlantic. hiips://www.theatlantic.com/education/ar chive/2021/02/how-librarians-can-fightqanon/618047/ – Hobbs, R. (2020). Propaganda in an Age of Algorithmic Personalization: Expanding Literacy Research and Practice. Reading Research Quarterly. https://doi.org/10.1002/ rrq.301 – IFLA. (2022). International Federation of Library Associations and Institutions. Www.Ifla.Org. hiips://www.ifla.org – Project Information Literacy. (2020). Algorithm Study (January 15, 2020) – Project Information Literacy. hiips://projectinfolit.org/publications/algorithm-study/

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