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Avrà mangiato troppo Ovviamente collezionammo anche una serie di consigli: Dalle più pappa di sera, così si sazierà... Falla stancare, così poi dormirà... Prova con la camomilla... e così via, fino al Consiglio dei Consigli: “Lasciatela piangere, poi si abituerà, ormai il latte è solo un vizio!”. Confrontandomi con altre mamme, conosciute per la maggior parte in forum presenti su internet e dedicati all’allattamento, scoprii che quello che pensavo essere un “nostro” problema era in realtà comune a molte famiglie. I bambini che dormivano tutta la notte, senza interruzione, sembravano essere davvero pochi e molti si risvegliavano ben più di una volta per notte. Cominciai a informarmi e capii che i risvegli notturni facevano parte del normale sviluppo fisiologico del bambino e che non erano assolutamente un segnale di “patologia”. Il mio latte le bastava, non la stavo affamando (tra l’altro mia figlia cresceva bene). Così smisi di considerare il risveglio notturno di Chiara come un problema e mi rasserenai. Quando nacque anche il nostro secondo figlio, Jacopo, forti dell’esperienza precedente, non ci ponemmo minimamente il “problema” di “farlo dormire”, pensando che il bambino avrebbe dormito spontaneamente quando e quanto avesse voluto. Già, ma... quando e quanto? Jacopo era quello che in qualche libro viene definito un bambino ad “alta richiesta”. Sempre in braccio, sempre a poppare e sempre sveglio. A undici mesi di vita il bimbo, di notte, si risvegliava ogni ora, circa otto, nove volte in una nottata. La mia mancanza di sonno diventò insostenibile. La carenza cronica di sonno ci rende nervose, intrattabili, mette a dura prova il nostro istinto di “mamma”. Si diventa come ossessionate dal sonno. Ci si sveglia la mattina con l’idea fissa di riaddormentarsi anche solo cinque minuti nel corso della giornata. Non si programmano più gite o uscite con gli amici per timore di perdere anche quei pochi minuti di sonno che potremmo assicurarci standocene a casa. Ci si addormenta chiedendosi quando si risveglierà il bambino, quanto ci vorrà per rimetterlo a dormire e, mano
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mano che si avvicina l’ora della “nostra” sveglia, si diventa sempre più tese. Ci si alza dal letto sempre più stanchi e sfiduciati nelle nostre competenze di genitori. Così cercai una soluzione. Ne avevo assolutamente bisogno. Cominciai a leggere tutti i libri in circolazione sul sonno e, nello stesso tempo, a cercare articoli pubblicati su riviste scientifiche che parlassero di “come”, “quanto” e “dove” dormissero i bambini. Mi resi subito conto che i libri sul sonno dei bambini attualmente in commercio hanno fondamentalmente un unico tipo di approccio: lasciar piangere il bambino finché non si addormenta1. Questo metodo non faceva per me; io volevo che mio figlio dormisse, non che piangesse. E poi non lo trovavo in linea con le nostre scelte di genitori: allattamento a richiesta, sonno condiviso, risposta ai bisogni dei bambini. In sostanza, il metodo di FerberEstivill affronta essenzialmente il problema della capacità da parte del bambino di addormentarsi da solo senza aiuti esterni, proponendo una soluzione unica per tutti e per di più, così mi sembrava, imposta a “forza bruta”. Ma il mio bambino si svegliava solo perché abituato ad addormentarsi al seno? Era davvero questo il suo problema? A molte mamme, distrutte dal sonno, viene suggerito di interrompere l’allattamento per passare al latte artificiale, facendo loro intendere che, con la pancia piena, il bambino dormirà di più (e quindi sottintendendo che il loro latte è insufficiente) e che, disabituando il bambino a cercare il seno, saranno eliminati una volta per tutte questi famigerati risvegli notturni. Ma questo non sempre capita, in quanto un bambino può risvegliarsi per motivi diversissimi tra loro e questi non sempre sono un segnale di patologia. Quindi capii che, nell’affrontare un problema di sonno, una volta appurato che tale problema esista, bisogna adottare un approccio “globale e integrato”. Ovvero non ci si può focalizzare solo su un aspetto della questione senza prendere in considerazione tutti i vari fattori che concorrono a favorire o a ostacolare il sonno dei nostri bimbi. A un certo punto, quindi, mi resi conto che non esisteva una ricetta unica per tutti ma era possibile elaborare una strategia che,
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tenendo conto di alcuni aspetti fondamentali, fosse ritagliata sulle esigenze dal bambino e della famiglia. Ma soprattutto mi resi conto che mio figlio era disperato quanto me per la mancanza di sonno, solo che il suo modo di comunicarcelo era fuorviante. Quando iniziò a dormire meglio, diventò subito più sereno. Vivacissimo, come vuole la sua indole, ma allegro e giocoso, diverso dal bambino irrequieto che eravamo abituati ad avere in famiglia. Prestando attenzione alla vita dei bambini nella sua interezza, osservando come si addormentano e perché si risvegliano, è possibile non solo migliorarne il sonno, ma anche acquisire delle abitudini che li aiuteranno, anche più tardi, ad avere delle nottate tranquille. Quando dormiranno tutta la notte? Forse non subito, questo dipende dal loro sviluppo, ma sicuramente avranno dei notevoli miglioramenti che potranno garantire a tutta la famiglia un riposo sereno. E’ importante capire che il sonno dei bambini ha delle caratteristiche fisiologiche diverse da quelle di un adulto; vedremo, in seguito, che i bambini hanno un sonno più leggero e tendono a svegliarsi più spesso. D’altra parte, esistono dei fattori che possono realmente disturbare il sonno dei nostri figli. Un sonno disturbato rende un bambino facilmente irritabile e intrattabile aumentando, di conseguenza, il livello di disagio percepito da tutta la famiglia (alcuni bambini, definiti come capricciosi o irrequieti, potrebbero essere semplicemente dei bambini molto affaticati). In questo libro, leggendo testi di autori che si avvicinassero alla nostra sensibilità2, attingendo alle esperienze che altri genitori hanno voluto condividere con me, integrando il tutto con quanto mi è stato possibile trovare in letteratura, ho cercato dunque di raccogliere e rielaborare suggerimenti e proposte che permettessero anche ad altri di elaborare una propria “via” al sonno dei bambini. Non esiste infatti una strada unica per tutti, piuttosto, pensando alla via di Jacopo, a quella di Chiara, alla via di Lorenzo, di Davide e a quella di tanti altri bambini, mi sono resa conto che
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tenendo conto di alcuni aspetti fondamentali, fosse ritagliata sulle esigenze dal bambino e della famiglia. Ma soprattutto mi resi conto che mio figlio era disperato quanto me per la mancanza di sonno, solo che il suo modo di comunicarcelo era fuorviante. Quando iniziò a dormire meglio, diventò subito più sereno. Vivacissimo, come vuole la sua indole, ma allegro e giocoso, diverso dal bambino irrequieto che eravamo abituati ad avere in famiglia. Prestando attenzione alla vita dei bambini nella sua interezza, osservando come si addormentano e perché si risvegliano, è possibile non solo migliorarne il sonno, ma anche acquisire delle abitudini che li aiuteranno, anche più tardi, ad avere delle nottate tranquille. Quando dormiranno tutta la notte? Forse non subito, questo dipende dal loro sviluppo, ma sicuramente avranno dei notevoli miglioramenti che potranno garantire a tutta la famiglia un riposo sereno. E’ importante capire che il sonno dei bambini ha delle caratteristiche fisiologiche diverse da quelle di un adulto; vedremo, in seguito, che i bambini hanno un sonno più leggero e tendono a svegliarsi più spesso. D’altra parte, esistono dei fattori che possono realmente disturbare il sonno dei nostri figli. Un sonno disturbato rende un bambino facilmente irritabile e intrattabile aumentando, di conseguenza, il livello di disagio percepito da tutta la famiglia (alcuni bambini, definiti come capricciosi o irrequieti, potrebbero essere semplicemente dei bambini molto affaticati). In questo libro, leggendo testi di autori che si avvicinassero alla nostra sensibilità2, attingendo alle esperienze che altri genitori hanno voluto condividere con me, integrando il tutto con quanto mi è stato possibile trovare in letteratura, ho cercato dunque di raccogliere e rielaborare suggerimenti e proposte che permettessero anche ad altri di elaborare una propria “via” al sonno dei bambini. Non esiste infatti una strada unica per tutti, piuttosto, pensando alla via di Jacopo, a quella di Chiara, alla via di Lorenzo, di Davide e a quella di tanti altri bambini, mi sono resa conto che
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esiste una via per ognuno di loro, in linea con il progetto educativo dei propri genitori, con i loro sentimenti e le loro esigenze. Devo proprio dire che va bene, come previsto magari qualche piccola difficoltà, ma mi sembra, la dico grossa, di avere un altro bambino, intendo più sereno durante il giorno (spesso anche la notte). Soprattutto mi hai aiutato a rientrare in sintonia con lui, sento che sto facendo qualcosa che fa stare bene lui e ovviamente noi. Il tuo “metodo” non mi sembra affatto complicato né tanto meno assurdo: certo, l’idea che forse un giorno Lorenzo si addormenterà da solo nel lettino oggi ancora mi sembra lontana, ma so che piano piano ci arriveremo ;-). Sarà che ognuno/a deve trovare la propria chiave di lettura, intendo dire farsi un proprio programma, in linea con i bimbi, se stessi, le giornate (lavoro o no, nonni/baby sitter/nido). Ma tutto questo mi sembra un vantaggio, non ho assunto dogmi, sto provando e mi sono data un tempo di un paio di settimane per capire se il “nostro programma” va bene e se no, il diario mi aiuterà riflettere di nuovo (Giorgia, mamma di Lorenzo, 11 mesi) Ho iniziato ad ascoltare meglio il mio bimbo e quando vedo che ha sonno cerco di creare le condizioni perché abbia un riposo sereno, sì, insomma, sembra che a lui serva buio e soprattutto silenzio, niente radio né tv. Dopo la prima mezz’ora immancabilmente si sveglia ma basta non mollare e tra coccole e tetta si riaddormenta e tira anche due ore, grazie a questi riposini la sera nessun pianto da coliche o nervosismo, è un bambino sereno e sorridente sempre e comunque ma fare la nanna lo rende ancora più un amore! (Paola, mamma di Davide, 3 mesi)
AVVERTENZE Questo libro è stato scritto da una mamma che ha allattato i propri figli oltre l’anno di età e con il contributo di altre mamme che condividono questa scelta. Per questo gli esempi riportati fanno per lo più riferimento a bambini allattati al seno, piuttosto che a bambini che prendono il biberon. Questo non vuol dire che i con-
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sigli che troverete nel libro non abbiano validità generale. Ogni genitore sarà tranquillamente in grado di riferire quanto riportato alla propria situazione personale; non vengono infatti proposte “ricette” ma viene mostrato come elaborare la propria personale soluzione. Ho cercato di essere il più precisa possibile nella citazione delle fonti. Può d’altra parte essere capitato che qualche riferimento mi sia sfuggito, in questo caso me ne scuso con gli autori. Il libro è suddiviso in due parti: nella prima si espone in maniera più teorica il “perché” e il “come” si dorme, facendo riferimento anche ad aspetti antropologici, biologici e culturali; nella seconda parte si danno dei suggerimenti pratici per gestire il “problema” sonno. I genitori che avessero fretta di risolvere il proprio problema possono leggere della prima parte solo i capitoli II, III, VI e VII. La seconda parte invece è caldamente consigliata ma, essendo suddivisa per età del bambino, può essere consultata facilmente “a salti”. Poiché questo libro è frutto di un’esperienza personale, mi è venuto spontaneo, nel corso della stesura, passare dalla prima alla seconda persona plurale e viceversa, come se parlassi con voi genitori, alternando i miei ricordi ai consigli raccolti. Note 1. Questo metodo detto dell’Estinzione graduale è stato proposto da Ferber e ripreso in Italia da E. Estivill nel suo libro “Fate la nanna” (in seguito ci riferiremo soprattutto a Estivill, più noto in Italia). 2. Primo fra tutti il pediatra californiano W. Sears, che in Italia è principalmente conosciuto per il suo “Genitori di giorno e di notte” edito da La Leche Legue (in seguito indicata anche con LLL) ma anche E. Pantley, con il suo “The no cry sleep solution” edito da McGrawHill.
Capitolo VIII Quando i bambini non dormono Le persone che dicono di dormire come un bambino, di solito non ne hanno uno. Leo J. Burke
Un bambino non nasce solo con un determinato colore degli occhi o dei capelli, nasce anche con una personalità che, seppure in maniera non sempre evidente, manifesta da subito i suoi tratti. Spesso le mamme dichiarano che il carattere del proprio figlio si era già manifestato durante la gravidanza e a volte commentano: “Era così irrequieto anche nella pancia, non mi faceva dormire!”. Soprattutto quegli aspetti del carattere che entrano in conflitto con i nostri desideri spesso ci lasciano disorientati, da un lato vorremmo amare sempre e in maniera incondizionata i nostri figli, dall’altro viviamo delle situazioni che inevitabilmente ci affaticano e lasciano ben poco spazio alla poesia dell’essere genitori. Specialmente nella sfera del sonno una incompatibilità tra i ritmi del sonno del bambino e le speranze dei genitori può tramutarsi in un senso di frustrazione e incompetenza. Si sente dire: “Non riesco a farlo dormire”, ma anche: “Non ci fa dormire!”. Il sonno del bambino, che magari di per sé sta semplicemente seguendo il suo normale processo di sviluppo, entra in conflitto con le aspettative dei genitori, con la pressione della cerchia di amici e parenti, con modelli proposti o imposti dal
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contesto sociale. Esistono due aspetti da tenere presenti e distinti: da un lato errate abitudini che si instaurano e che possono, oltre che interferire con il normale corso fisiologico, causare un notevole disagio al bambino e alla sua famiglia, dall’altro un normale processo di sviluppo che, pur non corrispondendo alle aspettative dei genitori, fa semplicemente il suo corso.
Il bisogno di sonno dei bambini Nel bambino, la carenza di sonno non sempre viene manifestata con una sonnolenza diurna. A volte i sintomi sono esattamente l’opposto: il bambino diventa estremamente irrequieto e potrebbe persino manifestare sintomi tali da indurre il sospetto di un disturbo legato all’iperattività. Più tardi, nell’età scolare e oltre, i disturbi legati al sonno possono compromettere la sua capacità di attenzione e il rendimento scolastico. Capire cosa voglia dire “dormire bene” è analogo a capire cosa voglia dire “mangiare bene”. Infatti, al di là dei gusti personali, esistono delle indicazioni di massima che delimitano i contorni di una buona e sana alimentazione (pochi grassi, molte verdure, cibi non raffinati) e analogamente esistono delle indicazioni di massima che delineano i contorni del “dormire bene” (ritmi regolari, un numero adeguato di ore di sonno, un ambiente confortevole). Quindi, così come è importante apprendere queste nozioni in età infantile per limitare i rischi legati a un’alimentazione scorretta in età adulta, è altrettanto importante capire cosa voglia dire “dormire bene” per evitare il disagio che un sonno insufficiente o di cattiva qualità porta con sé (carenza di attenzione, nervosismo, ma anche obesità e abbassamento delle difese immunitarie). D’altra parte, un’errata comprensione dei ritmi sonno-veglia del bambino e aspettative irrealistiche possono esacerbare una situazione di per sé fisiologica e renderla problematica.
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Il bisogno di sonno delle mamme e dei papà Quando un bambino non gode di un buon sonno, o semplicemente il suo sonno non combacia con le esigenze dei genitori, gli effetti della carenza di riposo si ripercuotono su tutta la famiglia. Si creano delle tensioni a causa del mancato riposo della famiglia e si perde la serenità. Alcuni studi hanno mostrato come i genitori consapevoli dello sviluppo fisiologico del proprio figlio percepissero in maniera più serena le difficoltà legate alla gestione delle notti. In definitiva questo si rifletteva in un clima familiare più disteso. Spesso però, quando la mamma torna al lavoro o quando semplicemente è affaticata dalle incombenze di casa, la gestione delle nottate può divenire molto problematica. Poiché i bisogni espressi vengono facilmente confusi con l’egoismo, si arriva anche a sentirsi in colpa per il normale desiderio di sognare almeno una notte di sonno ininterrotta... Si ha quello che si può chiamare “conflitto di bisogni”, un conflitto cioè tra la necessità dei genitori di riposarsi bene per poter affrontare la giornata e la necessità del bambino di essere accudito anche di notte, non solo di giorno, oltre che di riposare lui stesso. Ma... riflettiamoci, è un conflitto di bisogni o un conflitto di strategie? In molto casi, si rischia di confondere il bisogno (riposare) con la strategia (dormire solo di notte, tutta la notte, distanziarsi dal bambino). Continuare a pensare in termini di conflitto di bisogni può ulteriormente appesantire la situazione, gravandola di sensi di colpa. Proviamo invece a concentraci sui bisogni effettivi (il riposo, la necessità di essere accudito e confortato) e a elaborare una strategia che riesca a soddisfare i bisogni di tutti. Non è semplice indicare una soluzione, in definitiva si tratta di trovare un equilibrio bilanciando le diverse esigenze senza lasciarsi travolgere né dai sensi di colpa, né da aspettative irrealistiche. Dove porre l’ago della bilancia va lasciato alla libertà dei genitori e alle loro scelte educative; in ogni caso l’ago, che alla nascita pendeva inevitabilmente e giustamente a favore del bambino, con il pas-
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sare del tempo si sposterà verso quei bisogni dei genitori che inizialmente non erano del tutto soddisfatti. E’ importante riconoscere la presenza di un bisogno; prima di essere genitori, siamo persone con limiti, difetti e sentimenti. Un’esigenza può essere ignorata a patto di mascherare contemporaneamente anche i sentimenti che inevitabilmente nasceranno. Ma in una relazione di lungo termine, come sarà quella con i nostri figli, questa finzione non potrà essere protratta a lungo senza conseguenze e spesso si invieranno dei messaggi non verbali di genere completamente diverso da quelli che avremmo voluto manifestare. I bambini sono particolarmente sensibili ai messaggi non verbali e potrebbero essere fortemente disorientati dal nostro comportamento.
Trovare un equilibrio E’ meglio ammettere apertamente con se stesse che si sta raggiungendo o superando il limite piuttosto che sforzarsi di sorridere quando dentro sentiamo accumularsi il risentimento e la fatica. Quando un bambino è ancora piccolo, cercare un aiuto che possa permetterci di riposare è la prima e cosa da fare, senza sentirsi in colpa se la casa non è in ordine e i panni aspettano sullo stendino. In questo modo, ad esempio, il bisogno della mamma di riposare potrebbe essere soddisfatto contemporaneamente al bisogno del figlio di essere accudito. Più tardi, quando un bambino sarà in grado di cogliere i messaggi verbali, manifestargli le nostre esigenze, rispettando le sue necessità, lo potrà aiutare a rendersi conto di come anche i suoi comportamenti abbiano un effetto sui genitori e di cosa lui stesso possa fare per “aiutarli”. Il modo in cui cercheremo di soddisfare anche il nostro bisogno di riposo sarà semplicemente quello di chiederlo al bambino facendo attenzione a due espressioni: “per favore” e “grazie”1. Il “per favore” infatti distingue la nostra richiesta da una pretesa.
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Non possiamo pretendere che il bambino soddisfi le nostre esigenze ma possiamo chiederlo “per favore” lasciando a lui la libertà di scegliere se accoglierle o meno, nella sicurezza che il nostro amore per lui sarà in ogni caso immutato. Per questo più avanti ripeteremo spesso di “provare e riprovare”. Il bambino deve avere tempo per sperimentare delle situazioni nuove, per trovare la sicurezza che il suo bisogno di contatto e vicinanza sarà comunque soddisfatto. Ma una richiesta non potrà essere soddisfatta se noi non avremo chiarezza di cosa chiedere e per questo l’invito ancora una volta è quello di concentraci sui bisogni effettivi, non sulle strategie per soddisfarli. Ricordiamoci che mentre una strategia può essere modificata senza problemi, un bisogno non soddisfatto a lungo andare si tramuterà in emozioni negative che non gioveranno alla relazione. Il “grazie” non dovrebbe mai mancare sulle nostre labbra quando un nostro bisogno è stato soddisfatto, anche se la persona a cui è diretto ancora non può capirci (ma siamo sicure, poi, che non capisca?). Quello che segue è un esempio di come una mamma abbia applicato un metodo di comunicazione efficace2 per risolvere il proprio “conflitto di strategie”. Samuele (2 anni) da po’ di tempo aveva preso un’abitudine pre-nanna che oltre a non agevolarlo affatto nel rilassamento infastidiva tremendamente me: aveva scoperto il piacere di torturare i “nei sporgenti” miei e di chiunque prima di dormire. Infilava la manina di qua e di là e appena raggiungeva una sporgenza come un neo o un brufolino vero e proprio iniziava a toccare, strisciare, ma soprattutto graffiare spasmodicamente, così succedeva che io (dopo anche un’ora!) mi innervosivo perché iniziavo a sentire proprio male da irritazione, e lui si agitava tantissimo per la frenesia di staccare questi “brufolini”... la cosa stava diventando assurda: lui non riusciva più ad addormentarsi senza grattare. Oramai era ossessionato e ossessionante... parlava di questi “brufolini” come se fossero oggetti fatti apposta per le coccole prenanna, li nominava
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anche da sveglio con tono adorante mentre io ero sempre più stanca e frustrata per la rabbia che non riuscivo più a trattenere dall’esasperazione; in più temevo che lui vedesse nei miei gesti di allontanargli la “mano grattosa” un rifiuto di contatto... Ho provato a usare un abbigliamento stretto per impedirgli di arrivare al suo “brufolino” preferito sulla mia spalla, ho provato i cerotti, i peluches ripieni di cuciture da grattare al posto dei nei di mamma (i cosiddetti brufolini posticci). Gli ho spiegato a mio modo che mi faceva male centomila volte, ma niente... L’ultimo tentativo, (che per ora sta portando buoni frutti anche in altre occasioni) l’ho fatto con il metodo della “comunicazione attiva” cioè dell’uso di un linguaggio onesto e diretto ai nostri figli. L’ho trovato in un libro che parla di “come farci ascoltare dai nostri figli” (Thomas Gordon “Genitori Efficaci”) e spiega un metodo più efficace di comunicare... Così ho spiegato di nuovo a Samuele che mi faceva male ma anziché dirgli cosa fare: “Non grattare! Mi fai male”, dicendogli: “Sono tanto stanca e vorrei dormire ma non ci riesco se sento male al brufolino” ... e miracolo! E’ successo che ha tolto da solo la manina dalla mia spalla! Un po’ come renderlo partecipe del mio problema (perché il problema era mio non suo!!!) e lasciarlo libero di scegliere: non gli ho detto cosa fare ma solo cosa succedeva a me in seguito a una sua azione, e lui ha fatto la cosa giusta... (Arianna, mamma di Samuele 25 mesi) Note 1. “Per favore” e “grazie” sono i due pilastri della comunicazione non violenta, per approfondire: Rosenberg M., Le parole sono finestre, Esserci. 2. Gordon T., Genitori efficaci, La Meridiana.