Rivista cartacea e digitale della Scuola di Psicologia - UniFi
Brainst rming A cura del Collettivo Laboratorio 15
aprile 2015
Brainstorming
aprile 2015 a cura del Collettivo Laboratorio 15 brainstormingmagazine.wordpress.com
indice hey breistorma pagina 4 holmes pagina 5 chi ha detto che qualcuno pagina 7 non può fare teatro garissa, 2 aprile pagina 10 sogno n.13 pagina 12 qualunquemente pagina 14 lasciatevi affogare pagina 17 pesceconchiglia pagina 20 buonanotte soldato pagina 21 cronache della paroxetina pagina 25
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toc toc
apri alla tempesta
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Holmes Filippo
Holmes fece appena in tempo ad avvertire la gelida sensazione della canna della pistola contro la nuca, prima che il sordo suono di un proiettile segnasse la fine della sua carriera di investigatore. Nemmeno una parola a sancire quel suo triste finale. Cadde semplicemente a terra, esanime, dipingendo di rosso il molo della baia londinese. Niente di drammatico. La luce della luna si rifletteva argentea sulla pozza di sangue venutasi a formare, spezzando l'oscurità della scena con macabro splendore. Solo il rumore dei passi sul vecchio legno del molo rompeva il silenzio di quella notte, si aggiunse poi il suono del silenziatore che veniva svitato e gettato in mare. L'assassino, infine, si liberò dei guanti come fossero scomodi testimoni. “Mr Holmes, le scrivo poiché ho urgente bisogno del suo aiuto. Il mio nome è Rachel Salandon e da settimane oramai ho il presentimento di essere pedinata. L'altra sera, nel mentre mi trovavo a teatro, sono entrati in casa mia attraverso una finestra. Non mi è stata rubata nemmeno una sterlina, ciò avvalora la mia teoria che qualcuno mi stia pedinando e che probabilmente mi voglia morta. Ho 24 anni e vivo da sola, ho paura che se tornassero non sarei in grado di difendermi. Ho bisogno di incontrarla. La prego di farsi trovare questo Venerdì alle ore 21:00, in data 16 settembre, al porto di Bronson, molo numero 17. Temo seriamente per la mia incolumità, la prego di non ignorare questa lettera. Rachel Salandon". "Watson, Cosa ne pensa?" "Penso che si tratti di una trappola. Non credo che una donna con la paura di esser pedinata sia tanto sprovveduta da chiederle un incontro in un luogo così isolato, per di più di notte.
6 Credo che, purtroppo per la signorina Salandon, dovrebbe declinare l'invito". Holmes prese una grande boccata di fumo dalla sua pipa, poi esordì: <<In realtà le dico che mi presenterò. Ho avuto il forte presentimento leggendo la lettera della Signorina Salandon che chiunque abbia scritto queste righe mi conosca bene... Se davvero è così non credo ci sia poi molto da temere! Probabilmente “Rachel Salandon” non è altro che uno pseudonimo che il mittente utilizza per ragioni di sicurezza, magari temeva che questa lettera potesse essere intercettata. La chiami pure intuizione investigativa". "Da quando basa le sue teorie sui presentimenti piuttosto che sui fatti?" "Beh mio caro Watson, da quando l'anagramma di Rachel Saldano è Delores Chalan, che guarda caso è il nome dell'ex moglie di mio fratello Arthur. Davvero bizzarro non trova? Quella donna mi detesta. . Immagino fosse abbastanza certa che ci sarei arrivato, la storia della povera donzella in pericolo non è altro che una copertura...per non dire un'ingegnoso modo di ottenere la mia attenzione!" Watson sospirò. "Immagino che ogni abiezione sia superflua a questo punto". "Elementare Watson! Prenda la giacca, lei viene con me". "Ero certo che l'anagramma non ti sarebbe sfuggito, tipico da parte tua cogliere questo genere di cose. Questa volta però ti sarebbe convenuto essere un poco più ottuso". Soffermandosi ad osservare quello che per lungo tempo fu suo amico, Watson aveva un ghigno di soddisfazione dipinto sulle labbra. Per troppo tempo aveva vissuto all'ombra di quell'uomo, l'idea di continuare ad essere un semplice gregario lo disgustava: basta essere sottovalutati, basta sottostare a quella sua insolente arroganza. Con quel gesto si riappropriava della sua identità e del suo orgoglio di investigatore, nessuno più guardandolo avrebbe pensato ad Holmes, se non per un eventuale, labile momento. Allontanandosi dal molo Watson ripetè mentalmente i passi che ricostruivano il suo delitto in cerca di possibili errori. Non ne trovò. Il suo ghigno aprendosi si trasmormo in una risata e voltandosi indietro le parole uscirono dalla sua bocca quasi naturali: "Elementare, Holmes".
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chi ha detto che qualcuno non puo fare teatro? Francesca Boddi
“L'esperienza teatrale della compagnia Mayor Von Frinzius dell'associazione A.N.F.F.A.S. si basa su alcuni fondamenti teorici: il primo da considerare è lo Spazio Transizionale di cui parla Winnicott, fondamentale per la comunicazione. Per comunicare, infatti, serve un presupposto che è il crearsi di una relazione significativa tra chi comunica, una relazione dove non si rinuncia alla propria essenza e si accoglie l'altro senza pretendere alcuno sforzo di adattamento, questa relazione ha appunto luogo nello Spazio transizionale.” (dal sito www.mayorvonfrinzius.it/#!lacompagnia). Chi è Mayor Von Frinzius? È una compagnia teatrale livornese, nata nel 1997 dall'idea dello psicoterapeuta Piergiorgio Curti che diede vita ad un progetto teatrale esclusivamente dedicato a ragazzi e ragazze con disabilità fisiche e intellettive. Nel 2005, grazie anche alla grande intuizione del regista Lamberto Giannini, docente di filosofia e Storia al liceo Enriques di Livorno, la compagnia venne ampliata: il gruppo venne aperto anche a ragazzi e ragazze senza disabilità chiamati scherzosamente “normaloidi”. Proprio per dare un suono extraterrestre a chi, in un contesto del genere potrebbe presuntuosamente ritenersi “normale” (che poi.. il dilemma è sempre aperto: chi è 'normale'?). La prima volta che sono entrata nella
8 stanza delle prove, il corso era già avviato da un pò di mesi. Entrando mi si avvicina Luca, autistico, con un cesto infinito di ricci neri, e mi dice: ”Guarda che qui siamo tutti un po matti!”. Il tempo di accennargli un sorriso e iniziano subito le prove: Lamberto mette una musica energica e ci invita a correre veloci per la stanza urlando tutte le parole che ci vengono in mente. Questo ed altri esercizi, tutti caratterizzati da una fortissima carica emotiva, crearono nella stanza un'energia potentissima: il down, l'autistico e il normaloide, tutti insieme con la stessa voglia di urlare e di mettersi in gioco senza distinzioni di abilità, crearono una bellissima alchimia di gruppo che ho rivissuto indistintamente ogni volta. Il lavoro della compagnia inizia ad ottobre, in questo mese si rincontrano i 'vecchi' si conoscono i nuovi. Le attività principali consistono nell'eseguire tutti insieme esercizi finalizzati a far emergere l'emotività individuale e la coesione del gruppo, oltre alle potenzialità individuali dei singoli attori. Poi verso novembredicembre la compagnia inizia a mettere su lo spettacolo vero e proprio: il registra, con i suoi aiutanti, crea il copione e la base per l'esibizione. Questa traccia non è intesa come qualcosa di predefinito e immodificabile, ma come una generica indicazione del percorso da seguire, che verrà poi a concretizzarsi in corso d'opera. Infatti durante i lunghi mesi di prove, emergono spesso sketch divertenti nati dalle proposte volontarie e involontarie del gruppo. Perciò nei mesi successivi il lavoro prosegue strutturandosi, e talvolta destrutturandosi, fino a prendere una forma stabile e definita che verrà poi rappresentata al Teatro Goldoni di Livorno, verso la fine del mese di maggio, con una serie di repliche che tiene spesso la compagnia impegnata fino ad agosto inoltrato. Ciò che mi preme sottolineare è che in questo ambiente si fa teatro con l'unico intento, non di
9 creare uno spettacolo prevedibile di parole ed avvenimenti, bensì uno spettacolo asimmetrico: fatto da un intreccio di sensazioni, musiche ed emozioni unite a intensi momenti di catarsi collettiva, che lo rendono vivo ed elettrizzante, imprevedibile nelle sue repliche ed assolutamente unico nel suo genere. A mio parere, la filosofia di fondo della compagnia Mayor Von Frinzius, che è anche la sua più grande forza, è quella di creare un ambiente di parità, dove non sono presenti categorie di volontari e assistiti, ma dove tutti sono allo stesso modo semplicemente attori.
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Garissa, 2 aprile 2015 morire all'universita' Arturo Mugnai È l'alba del 2 aprile a Garissa, città nordorientale del Kenya. Cinque uomini armati attendono la distrazione delle due guardie che controllano l'ingresso dell'università della provincia. Nel torpore mattutino africano inizia un massacro di quindici ore. I cinque, forse sette, guerriglieri si impadroniscono dell'ateneo kenyano, tengono in ostaggio più di centocinquanta studenti di cui fanno un'attenta selezione: il musulmano si salva, il cristiano muore. La polizia locale non riesce ad intervenire e mentre dall'interno dell'istituto si sentono sparatorie ed urla, le forze dell'ordine devono aspettare l'arrivo di un commando speciale proveniente dalla capitale Nairobi. Quando i due arei che trasportano i soldati specializzati atterrano è troppo tardi: 148 morti, ammassati nel cortile dell'università. Alcuni sono stati decapitati secondo alcune fonti. Il commando entra all'interno dell'edificio e in una sola mezz'ora mettono fine alla tragedia, a modo loro, uccidendo quattro dei guerriglieri.
Garissa
È l'attentato terroristico più sanguinoso dal 1998, quando a Nairobi gli uomini di Al Qaeda fecero 213 morti. Christophe Chatelot del quotidiano Le Monde era lì e ci racconta come Garissa ha reagito all'attacco di Al Shabaab. La folla si accalca intorno al pick up che trasporta i quattro corpi dei terroristi: il popolo chiede al governo di esibirli, così che tutti si tranquillizzino del fatto che sono morti. Al Shabaab però, l'organizzazione terroristica che ora si sta facendo bella agli occhi dello Stato Islamico secondo Bronwyn Bruton di Foreign Policy, potrebbe non
fermarsi qui. Il gruppo jidhaista è nato nel 2006 in Somalia, lo stato confinante con il Kenya, prima come catalizzatore del volere popolare di fronte ai crimini e alla corruzione del governo somalo, poi, una volta persa ogni credibilità politica, ha cominciato ad arruolare giovani africani provenienti non solo dalla Somalia, ma anche e soprattutto dallo stesso Kenya. Ma come riescono quelli di Al Shabaab a fare presa sui giovani kenyani? Le responsabilità vanno cercate nel governo kenyano, anch'esso colpevole di un tasso di corruzione enorme e di aver abbandonato le regioni a maggioranza musulmana alla totale povertà, alla disoccupazione giovanile cronica e chissà cos'altro. Ecco perché Al Shabaab costituisce un'alternativa, perché proprio come nel nostro meridione rappresenta un'alternativa all'istituzione ufficiale, quella che troppo spesso abbandona i propri cittadini a situazioni di disagio non solo economico. Centoquarantotto studenti, prima ancora che cristiani, morti. L'attacco alle scuole, alle università, ai centri del sapere da parte dei gruppi jidhaisti si stanno intensificando, come scrive il giornalista del The Indipendent James Ferguson. Nel dicembre del 2014 i taliban pachistani hanno fatto irruzione nella scuola frequentata dai figli degli ufficiali dell'esercito uccidendo 132 bambini e adolescenti tra gli 8 e i 18 anni.
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' Dal 2003 gli attacchi terroristici a istituti scolastici o università sono aumentati del 400% (fonte The Atlantic). A cosa è dovuto questo incremento spaventoso? Secondo Ferguson i motivi potrebbero essere due: il primo si riferisce all'abbassamento dell'età media delle popolazioni che vivono nei paesi in cui operano i gruppi terroristici integralisti; ciò ha fatto sì che cambiassero gli obiettivi da colpire ed ecco la nuova frontiera dell'attacco alle scuole. Il secondo invece è quello che anche noi studenti italiani dovremmo sempre tenere a mente: l'istruzione ostacola la diffusione dell'integralismo e dunque le sue conseguenze peggiori. L'attentato a Garissa del 2 aprile si porterà dietro rappresaglie e caos in tutto il Kenya, il cui governo adesso è chiamato a ripensare totalmente le sue strategie di sicurezza, ma anche a migliorare i rapporti con le comunità somala e musulmana, come scrive Mohammed Adow di Al Jazeera; solo facendole sentire parte della nazione riuscirà a ottenere dei risultati.
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sogno n.13 '
Yasaman Samari
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Qualunquemente Recensione di Marco Cacciante
Ebbene sì, questa volta dedico questo spazio ad un film comico e che può sembrare stupido: proprio per questo sarei più che felice se questo piccolo “articolo” capitasse nelle mani di coloro che lo giudicano tale, e, se ipoteticamente succedesse davvero, inviterei dunque ad una breve lettura, con la speranza di far loro cambiare idea. E' un film comico, è italiano, ha avuto molto successo, ma una cosa lasciate che ve la dica: NON E' LA SOLITA COMMEDIA “ALL'ITALIANA”! Non si tratta di un film che può viaggiare parallelamente e sulla stesa onda dei “cinepanetoni”, qua c'è di più. Il film narra di un imprenditore, Cetto La Qualunque (Antonio Albanese), che dopo anni di latitanza torna nel suo vecchio paese in compagnia della sua nuova famiglia; ritrovata la moglie Carmen e il figlio Melo e aggiornato dagli amici della situazione del paese, che rischia, contro gli interessi del protagonista, di finire in un mare di legalità a causa della candidatura a sindaco dell'onesto Giovanni de Santis, deciderà di candidarsi anche lui per il medesimo posto, al fine di difendere le sue proprietà fatte di abusi, illegalità e soprusi. Inizia così una campagna elettorale ai limiti della normalità, ma non molto distante dalla realtà attuale. È un film che eticamente e moralmente è creato al contrario, ed è per questo che nemmeno il termine con cui finora l'ho descritto, comico, risulta appropriato. Lo definirei più oscillante fra l'umoristico e il drammatico, che fondamentalmente sono due facce della stessa medaglia: ogni battuta è
15 collegata ad un particolare movimento del personaggio, come del resto specifici suoni, sfondi e oggetti. Tuttavia è importante dare anche un certo rilievo alle parole. Guardandolo non possiamo far altro che ridere: fondamentalmente esistono due tipi di risata: 1) la risata bassa: si tratta della risata dei bambini, causata dal semplice e puro divertimento, chiamata anche “risata a crepapelle”. In genere tale risata è oggetto di un pubblico non particolarmente erudito; la riflessione non è alla base di questo tipo di riso. Rimanendo sempre in ambito televisivo, è immediato collegare questo tipo di ilarità superficiale ai (purtroppo celebri) film di natale, i cosiddetti “cinepanettone”; 2) la risata alta: generalmente rappresentata dal sorriso, non è una risata fragorosa perché nasce dalle riflessione indotta da un'immagine comica. È un riso amaro, che percepisce una stortura o un'anomalia nel contenuto comico che non va. Si pone certamente ad un piano superiore della risata bassa, poiché indaga e riflette sulle cause che generano l'ilarità e ne coglie anche il risvolto tragico. Quest'ultima è la risata che si produce guardando questo film, poiché realmente non c'è alcuna battuta che non abbia una proiezione su qualcosa di reale, e implica di riflettere. È la risata che Pirandello descrive nell'Umorismo parlando del “sentimento del contrario”. Inoltre la cosa che personalmente mi affascina del film è che tratta di un argomento fra i più seri al momento (la descrizione del classico uomo politico italiano) in assenza di qualsiasi frase seria! Inutile elencare personaggi politici, onorevoli e chi altro che potrebbero aver dato spunto, grazie ai loro eventi personali, alla creazione del film: non voglio fare politica, perciò eviterò. CURIOSITA':Il film è stato preceduto da una campagna di marketing virale. Tre mesi prima dell'uscita sono stati affissi manifesti a Roma con alcuni slogan elettorali del candidato e senza alcun riferimento al film suscitando l'attenzione dei media.
16 Dopo è stato anche realizzato un sito dell'immaginario ”Partito du Pilu”improntato alla comicità: con il suo simbolo, il regolamento, lo statuto e vari contributi video, sulla falsariga di quelli di un vero partito politico corredato da battute e contenuti in linea con il personaggio e con il film. La campagna quindi si è impostata in aderenza alla storia stessa del film, ed è stato prodotto il video musicale:Qualunquemente (Onda Calabra). Infine, in varie città italiane sono stati allestiti gazebo per la raccolta di firme a sostegno del partito. Il risultato? Il film nei primi tre giorni di programmazione incassa 5.395.840,16 euro Le tre settimane successive il film riscuote sempre ottimi incassi, pur perdendo il primato in classifica. In un mese di programmazione nelle sale cinematografiche la pellicola supera i 15 milioni di euro, diventando uno dei maggiori successi italiani della stagione.
Il Verde della Torretta
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lasciatevi affogare
Che questa immagine ci torni in mente per tutte le volte che abbiamo detto lasciateli affogare. Che ci torni in mente anche se abbiamo solamente sentito o letto questa frase e siamo rimasti in silenzio, magari scuotendo la testa e limitandoci a pensare quanto questa affermazione sia indelicata, inumana, ma non bestiale, perché almeno le bestie hanno rispetto della morte dei propri simili. Lasciateli affogare detto di bambini, ragazzi, adulti e anziani che fuggono da (non) sappiamo cosa equivale a un lasciateli suicidare riferito a tutti i precari, disoccupati e disperati che quotidianamente si ammazzano
Alessandra Masi
poiché viviamo in un Paese che si dimentica di tutto e di tutti, tranne che degli interessi di chi lo governa. Lasciateli affogare, ma perché, di preciso? Perché ci rubano il lavoro? È lo stesso lavoro che manca da ben prima che iniziasse questo flusso migratorio che sta trasformando il Mediterraneo in un cimitero acquoso. Lo stesso lavoro inesistente che da anni spinge noi italiani a fare le valigie e cambiare regione o addirittura migrare noi stessi all'estero. Ma il lavoro in Italia non manca per colpa dei migranti. Manca per colpa dei decisori che, nell'ottica di arricchirsi sempre più, investono i propri guadagni per le proprie buste
18 paga piuttosto che per i propri impiegati o per nuove assunzioni. Che gli stranieri lavorino sempre, poi, è un'illusione: molte volte lavorano a nero, senza nessuna assicurazione contro i rischi che i loro mestieri comportano, senza forme di tutela per i propri diritti. Non hanno documenti, non hanno una casa, ma una famiglia da mantenere a centinaia di chilometri di distanza. In questo caso non lavorano, sono schiavi, e probabilmente è meglio essere disoccupati piuttosto che dipendere nella propria sussistenza da un datore di lavoro che in ogni momento può decidere di gettarti viacome delle scarpe logore sulla scorta di come gli auguri il buongiorno al mattino o perché avanzi troppe pretese, o molto più semplicemente perché dietro l'angolo ha trovato qualcuno più disperato di te disposto a svendere la propria fatica per qualche spicciolo in meno. Perché gli paghiamo tutto noi con le nostre tasse, tasse che loro non pagano? Sono le stesse tasse che la Chiesa, molti politici, personaggi “famosi” dei quali
magari abbiamo i poster in camera, ma anche qualcuno di noi NON pagano, ma che se venissero pagate aiuterebbero la popolazione onesta a essere meno gravata da questa a quanto pare insostenibile spesa che deriva dall'aiutare il prossimo bisognoso. Solo che essendo troppo faticoso andare a prendere i suddetti elementi uno a uno costringendoli a mettere mano al portafoglio si preferisce sfogarsi su questi disgraziati che hanno un campo limitato di opzioni: o morire sotto le bombe, o morire in mare aperto senza un nome e senza un luogo dove essere pianti dai propri affetti, o riuscire a sbarcare su una costa dove vengono accolti e aiutati da una parte, e detestati e demonizzati dall'altra, come se il pane dalla bocca ce lo togliessero loro. Ma questo non cambia il fatto che le tasse non le pagano, dite? Probabilmente se avessero soldi non solo per pagare le tasse, ma in generale, non arriverebbero in Italia ammassati sui barconi, sfiniti, senza neppure una
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una maglietta in una busta. Non fuggirebbero dal loro Paese natale alla chetichella, a notte fonda. Senza un tozzo di pane per non morire di fame durante la traversata. Lasciateli affogare e io vi chiedo: sapete cosa avete festeggiato il 25 aprile? La liberazione dal Fascismo, bravi. Ebbene, in tempo di guerra quando le città venivano rase al suolo e rimanevano solo macerie, la gente caricava quello che riusciva a recuperare su un carretto e se ne andava a cercare un posto in cui sopravvivere: era il fenomeno degli sfollati. Sui libri di storia ci facevano pena a vederli coi loro vestiti dimessi a piangere sul poco che era loro rimasto. Ma per loro, comunque, c'era sempre una porta aperta. E nessuno chiedeva che pagassero le tasse. Perché loro erano sfollati, quelli odierni invece sono degli sporchi parassiti clandestini. E quindi lasciateli affogare. Ma non festeggiate il 25 Aprile, se ciò che volete è tornare a uno Stato la cui politica è quella di prendere a calci nei denti chi ha bisogno, poiché non utile al progresso. Uno Stato che manca di solidarietà verso il prossimo è uno Stato che dopo aver lasciato affogare i migranti lascerà affogare anche voi. E con questo odio, questo nazionalismo da bar, questo illusorio senso di appartenenza a una bandiera gli state solo facilitando il lavoro. Perché state già affogando.
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Ilpesceconchiglia Leonardo Nencioli
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Buonanotte soldato Garry Owen - Dystophobia
Un sospiro prima di suonare il campanello poi dentro, nel vortice dei saluti e dei sorrisi di cortesia. È arrivato in città solamente da due giorni, ma ha già voglia di tornare “a casa”. – No– si ripete come un mantraquesta sera non ci pensiamo, sarà una bella occasione per un po’ di vita sociale.-
l’avrebbe fatta! Io? Sì, sono davvero riuscito ad essere assegnato a Creech, nel Nevada. Un bel colpo, vista la distanza non eccessiva e il prestigio della base. Si si, va tutto bene grazie. No, particolari storie non ne ho, soprattutto così su due piedi…La guerra? No, non parto per il deserto, non a breve.
Matt è arrivato da poco dai suoi a Fresno, in California, per godersi due settimane di “vacanza” che gli sono state concesse dal suo superiore. Questa sera è andato a far visita ai suoi compagni di college che non vede da un po': una festa che si sarebbe volentieri risparmiato scambiandola con una birra tra pochi intimi, ma forse un po’ di interazione in abiti civili può fargli davvero bene.
Non di persona, almeno… respinge quel pensiero ricorrente e fastidioso.
Una volta distribuito un sufficiente numero di baci e pacche sulla spalla Matt è libero di agguantare una lattina e cominciare a chiaccherare con i compagni di un tempo.
-I ragazzi devono aver avvertito il tuo disagio e hanno velocemente cambiato discorso. La curiosità resterà insoddisfatta. Ringrazia il senso di timore proveniente dalla tua posizione che spesso ti evita spiacevoli discussioni, lo sai benissimo che il tuo lavoro è oggetto di critiche nell’opinione pubblica, ma questa volta il
-No, Claire non la vedo più da un po’, alla fine per come ci siamo lasciati è pure comprensibile.Ma dai: Kit? Lo sapevo che ce
– E comunque tranquilli: sto facendo anche io la mia parte.I ragazzi sembrano un po’ delusi per le risposte, forse si aspettavano un entusiasmo che non c’è, vogliono una storia avvincente…comprensibile da parte loro che ora fanno il commercialista o l’avvocato.
21 il quieto vivere in amicizia ha avuto la meglio. Da nove anni Matt è nell’aviazione degli Stati Uniti, ma da qualche mese pilota droni Predator un po’ in tutto il mondo. Delle operazioni svolte non può chiaramente dire nulla ai suoi compagni, “ e in generale su quello che facciamo qui, figliolo, sarebbe meglio che parlassi il meno possibile!” gli è stato detto al suo primo giorno. Ma non è solo per questo che Matt è poco loquace. La sua quotidianità è effettivamente monotona: settimane di noiosa routine intervallate da un pugno di minuti di eccitazione pura sono troppo poco perché il giudizio complessivo possa essere esaltante… Eppure avrebbe dovuto essere fiero come lo sono i suoi colleghi, quel genere di orgoglio che è tipico di chi fa da apripista sulla via del progresso. Come aveva sottolineato il suo superiore presentandogli il programma UAV – Unmanned Air Vehicles: là si realizzava il sogno di ogni guerriero, di ogni combattente di tutte le civiltà, cioè la possibilità di scendere in battaglia senza essere feriti. I droni armati potevano seriamente significare la fine del concetto di “caduti in battaglia”, determinando una svolta epocale nel concetto di
combattimento. Sarà, ma intanto è la monotonia il tuo pane quotidiano. -Click- Distrattamente apre la seconda lattina e prova a concentrarsi sui suoi amici e sui loro racconti, ricercando nella memoria volti per nomi che ha messo in un cassetto. Non è mai stato troppo interessato dal gossip sui suoi compagni di università. Cercando di non attirare troppa attenzione si sposta in salotto, seguendo le voci divertite che da là arrivano. La stanza dei giochi, dove fino a qualche anno fa passavano i pomeriggi a fare i cazzoni nei periodi di tranquillità, adesso è il teatro di un indiavolato torneo di poker. Un mezzo sorriso compare sulla sua faccia, ripensando a quante volte negli anni hanno buttato i pomeriggi in quella stanza, studiando per gli esami e giocando. Sulla libreria ci sono ancora le custodie dei vecchi giochi…tanti ricordi…e ancora una volta una sensazione amara. Hai smesso di giocare, e non ti manca, vero? Troppe volte a lavoro hai la sensazione di essere davanti ad uno dei tanti giochi di guerra, molto realistico e molto meno avvincente, sicuramente più complicato, ma sempre comunque troppo simile. Certo, il tuo “gioco” lo fai tramite
23 apparecchi da milioni di dollari, ma ti accorgi della leggerezza con la quale vengono prese le decisioni in quella stanza, con il coordinatore della missione e tutti gli operatori. Tante frasi di un cinismo mai sentito, e così ogni volta devi ripeterti che l’atteggiamento non cambia il dato di fatto: che un terrorista sia ucciso è cosa giusta, indipendentemente dal comportamento dei suoi giustizieri… -E dai, Matt, piazza 10 dollari e unisciti a noi!- Non è mai stato troppo bravo con le carte, ma ogni tanto 10 dollari sono un prezzo onesto da buttare per un po’ di distrazione. -La serata in fin dei conti è andata bene– pensa Matt mentre guida tornando a casa, un po’ alticcio ma comunque abbastanza lucido da non dare nell’occhio. Anche se è passato tanto tempo, la strada la ricorda ancora bene. Le luci blu e rosse in fondo al rettilineo lo distraggono dai suoi pensieri. Rallenta, guarda, accosta e scende dalla macchina. Probabilmente si tratta di un incidente, però non si sa mai e in fin dei conti è anche lui al servizio della comunità, metti che serve aiuto? -Buonasera, agente. Serve una mano? Sono un militare, se c’è
-‘Sera! No, ormai tranquillo, figliolo-Posso chiedere successo?-
cos’
tutto
è
-Mah, il solito sbronzo al volante. Ha preso stretta la curva, (che poi dove pensava di essere: Indianapolis?) e ha preso in pieno la macchina rossa che veniva nel senso opposto. L’altro si è salvato, ma sua moglie non ce l’ha fatta. E il bastardo dopo quello che ha combinato non ha neanche avuto la decenza di sopravvivere… ha fatto bene, altrimenti gliela facevamo pagare noi…E il bastardo dopo quello che ha combinato non ha neanche avuto la decenza di sopravvivere… ha fatto bene, altrimenti gliela facevamo pagare noi… -Cinico anche lui, però che bastardo davvero: una serata di eccessi, qualche secondo di agonia e poi bam! Magari non ha neanche sofferto un gran che…e il poveraccio che ha perso la moglie? Vittima dell’ennesimo pirata della strada…che poi ‘pirata': kamikaze piuttosto! Il pirata almeno ci mette la faccia, non sfugge al macello che provoca. Il kamikaze invece passa tranquillo a miglior vita, perché comunque vada lui non ci sarà, e ti saluto!.
24 Se ci penso è questo che più di tutto mi fa impazzire del nemico che combatto ogni giorno: l’evanescenza di chi è innocente fino a un attimo prima, mentre un attimo dopo è intangibile. Non riesco a sopportare l’assenza di uno scontro leale: un colpo a testa e vinca il più forte. Me l’avevano detto che questa è la loro forza: tutti sono potenziali nemici, ma chiunque lo diventi non può essere punito. Si sottrae allo scontro nel modo più estremo. Non sono soldati, sono vigliacchi!. -Sì vabbè, che poi vigliacchi fino ad un certo punto: tu credi di essere molto diverso? Te ne stai qui a miglia e milgia di distanza a pilotare un giocattolino, decidendo con i tuoi colleghi chi deve morire e chi no in base ad un semplice comportamento sospetto, in più lo fai senza scendere sul campo. Ti sembra di essere un soldato? Ti alzi, fai il tuo turno di 8 ore e stacchi, come un impiegato qualsiasi, e nel mentre ammazzi gente per il mondo. Il figlio del tuo target probabilmente ti sta dando del vigliacco, che te ne stai qui intoccabile e agiato a fare la guerra a distanza. -Beh, intanto loro se lo meritano, …. -Non stiamo parlando del fatto che se lo meritano, non sta a noi
decidere, stiamo parlando del fatto che non sei molto diverso da quel kamikaze della strada, nè da quelli che vedi nei tuoi schermi. O meglio: diverso lo sei, visto che tu non puoi morire facendo quello che fai… -Basta, non esageriamo: io non sono come i terroristi!-Tutto bene, ragazzo? Hai una faccia strana.Alza lo sguardo. -Pensieri, agente, i soliti pensieri. Buon lavoro!-Buonanotte, soldato!-
25 …Passai la lingua sopra i molari; incerto sulla sua consistenza, la sentivo scivolare come una serpe nella steppa, intravista, o forse no, ma in grado di attaccare senza rivelare la vera sua identità, in grado di uccidere con il nome di Nessuno. Odiavo il lavoro di rifinitura, il lavoro sporco, quello di togliere i granuli rimanenti della medicina; questi mi ferivano le gengive senza prendersi la responsabilità per gli effetti collaterali, di cui erano colpevoli. Il tempo cui quella sostanza rimaneva a contatto con la bocca era direttamente proporzionale alla forza e alla velocità con cui avrebbe fatto effetto, e controeffetto dopo, anestetizzando il gusto prima, e poi gli altri sensi. Per questo, nel mio organismo, si stabilirono collaborazioni ben precise. Furono messe a punto per diminuire la percezione iridescente del sapore della Paroxetina e del suo principio attivo. In realtà il gusto era anonimo. Non saprei descriverlo, ma mi divertivo a dipingerlo con l’identità del killer che stermina la famiglia, e alle testimonianze del vicino risulta nei canoni della normalità: “Non me lo sarei mai aspettato, era uno tranquillo, uno qualunque”. Naturalmente, si assume la normalità come intellegibile,
Daniele Lari
cronache della
paroxetina
parte 3
risultato di una media che tende a classificare tutte le eccezioni come deviazioni standard dalla media stessa, e non come altre forme multidimensionali della normalità. La seconda ondata gustativa arrivò, forte. No! Più forte. No! Ancora più forte. Non avrei resistito se non fossi stato già, anche per poco, abituato. La schiena si incrinò, i capelli si contrassero, sparando doppie punte. Il corpo provò a reagire, ma fu come provare a fotografare l’eclissi con l’autovelox. L’impatto della seconda ventata di percezione gustativa aveva il retrogusto dell’inganno; retrogusto arcaico, opulento, concupiscente di desideri deplorevoli riposti nel suo contenuto. Il contenuto della pasticca agiva
26 allo stesso modo di un attentatore, finanziato dallo stesso paese per cui si faceva saltare in aria allo scopo di aizzare o dissipare l’orda. L’orda, la folla che poi avrebbe reagito sulle direttive mediatiche. La pasticca era il burattino di Mangiafuoco e la bestia del Circo con personalità diverse (sul palco e fuori), la pasticca era la Mela dell’Eden, era un simbolo indistruttibile protratto nel tempo come punto di fine, ma anche d’inizio. La pasticca era un’Idra nel corpo di sirena, dipinta con “…virgineo volto di essere alato, schifosissimo flusso dal ventre, artigli adunchi e sempre emaciata la faccia per la fame”. La pasticca era una chimera. Come un veleno, trasmetteva ai sensi, ciechi, solo la parvenza di granulosa paccottiglia chimica, ma, attimo dopo attimo, sublimava il corpo e lo imprigionava in un’altra realtà. La stessa realtà, ma sofferta dalle esperienze di coloro che ci avevano vissuto e si erano infranti sulla stessa (realtà) come la fioca luce delle stelle lontanissime si fracassa sulle sponde della vita in flutti di dolore. La mandibola “si mise in proprio”, e, poco a poco, la persi dal mio controllo. La sentivo fomentare la reazione della sua controparte superiore, invitandola a una cooperazione che, quando andava a buon fine, produceva un suono secco nel tentativo di polverizzare
quella dannata pasticca. I tonfi simmetrici dei denti rimbombavano nel palato, teatro di suoni forastici e inusitati: mi richiamavano le battaglie dei Titani. L’aria, impaurita, non si faceva respirare. Giocava a sbirciare nella bocca, senza trattenersi. Non il tempo di setacciare tutte le cavità dove avrebbero potuto nascondersi i residui (della putrida medicina) che i miei occhi seppellirono l’espressione del bambino, impaurito dalla novità, e resuscitarono una vecchia sensazione di curiosità. State a sentire…ora devo usare bene le parole. Sebbene fossi concentrato su me stesso e sui miei affari, di punto in bianco fui attratto dall’immagine di due giovani. I due si baciavano (odio banalizzarlo così, ma non ho molto tempo ancora). Scommisi con me stesso se fosse tutto vero. Sembrava un sogno. Ero stranito. I due vennero fuori di punto in bianco, ma il fatto che fossero così dettagliati e concreti mi spolverava l’idea che fosse tutto vero. Potevo avvicinarmi, e questo definiva l’immagine, ma accresceva la paura che, forse, una prospettiva diversa avrebbe potuto rovinare l’istantanea. Esitai, solo per poco. Però feci in tempo a sbilanciare di nuovo le mie certezze: nemmeno io mi ricordavo com’ero finito lì, come se fossi giunto a
27 destinazione senza ricordare il percorso. La testa vuota, la nebbia sottile, il crepuscolo, aveva tutta l’aria di essere una stramberia bislacca, come quelle che hanno i sogni. Appesantito da queste ambiguità, cercai di liberarmene, ma non senza difficoltà, la stessa difficoltà, fisica e mentale, provata da un soldato quando, dopo la battaglia, si spoglia della sua pesante armatura insanguinata. Sentii i muscoli facciali contrarre in smorfie i dissapori interni della medicina. Iniziava a fare effetto. Spogliato della solida armatura di domande, necessarie a capire se fossi davvero lì oppure no, indossai i panni di un fantasma, che si avvicinava alla scena del bacio, arrancando, piano piano, portato a spasso da un corpo che, ormai, non mi sembrava più mio. Ogni passo era un sacrificio coronato dalla soddisfazione di essere sempre più vicino…E percepivo il mio corpo trasudare le stesse fatiche dell’Orlando, che eroe Furioso, rivelò la sua umanità, impazzendo per il dolore. E mi sentivo perdere. Mi trasformavo in morte, abbracciando la falce, non per uccidere, ma per sorreggermi, e avvicinarmi. Seppur fossi bravo a mascherare l’agonizzante trasformazione, era chiaro il mio bisogno di aiuto. Ma i giovani non cedettero alle loro effusioni. Non si degnarono! Non mi avevano visto? Com’era
possibile? Agitai gli occhi. Spesso lo facevo al posto di darmi un pizzico, uno schiaffo, per simulare una specie di scossa, nel tentativo di rivitalizzarmi. Ma fu peggio. Persi il controllo. Un’ondata di svarioni infranse il mio equilibrio, e la strada di fronte, che prima era vivida, la persi di vista. Spesi gli ultimi attimi di lucidità a soffocare le paure più oscure. Ero imballato. Non riuscivo più a muovermi e nel tentativo di gridarlo, con lo strenuo dei movimenti scattosi, sputai un urlo di frattura esistenziale. Ma nulla. I due stavano fermi, in una posizione che mi ricordava Amore e Psiche, immobili, ignari della mia Metamorfosi. Si stringevano, come se volessero fermare il vento, senza muoversi, come in posa per una fotografia scattata più volte nel tempo, come due opere incomplete lasciate lì, a metà tra il nulla e il tutto. Così cercai di brancolare un appiglio, anche se l’unica cosa che scorgevo erano gli occhi di lei, come se fossi lui, e tutt’intorno luccichii sfaccettati, come quando il sole si infrange nell’acqua. Esanime, come l’Orlando accasciato vicino a Caronte, suonai il Corno, e morii dentro il ragazzo. Assurdo. Flebile, mi sentii venire meno, e poi eruttare un vulcano dentro. L’esplosione defibrillò la pancia,
28 poi lo stomaco, allora si soffermò al petto e rivitalizzò il cuore, poi riprese fino al cervello, infuocandomi gli occhi. Adesso ero lui, il giovane. Potevo sentire i suoi occhi lavici esplodere di ardore e mi venne spontaneo: pensai di sfruttare la sua forza per riprendermi… ma nel momento in cui tentai di aggrapparmi a una qualunque decisione per scappare via, lontano, da quell’incubo, smisi di respirare. L’energia, che avevo sentito come un cazzotto nel ventre, si canalizzò verso lo spazio, ai limiti dell’indefinito, e lì, sparò le mie paure. L’apnea lapidò i miei sensi, tutti, tranne la vista. Vidi gli occhi di lei. E me riflesso, dentro. Non avevano un colore preciso, c’erano gli ingredienti per la cromoterapia, l’effluvio dei colori più vividi e la cura per l’appassimento dell’abitudine, c’era oro, argento, minerali, metalli, c’era il passato, il presente e il futuro. C’erano le orbite dei pianeti e le reti stellari. C’era tutto, tranne un’uscita di sicurezza. Distogliere lo sguardo era impossibile, un incantesimo….C’erano dentro la bellezza e la perfezione della natura: dalle galassie alle conchiglie, dalle costellazioni alle cellule, c’erano dentro l’armonia, la complessità e le domande sul caso. Avevano effetto di anestetici per il
il panico. Erano freddi, come catene d’acciaio intorno al cuore. Le mie funzioni vitali si ridussero al minimo e provai a usare la memoria per uscire da quell’amabile prigionia… Cercai di concentrarmi sulle fasi che mi avevano trascinato dentro il ragazzo. Ricordai che c’era stata la pasticca e poi, subito dopo, l’immagine dei due giovani, smaccata, come il disegno di un bambino che colora, lasciando gli spazi, e va fuori dai contorni. Ricordai le loro posizioni, innocenti, degne di un’opera fatta per piacere, non per valere. Si baciavano, si abbracciavano, mescolavano e bevevano quel momento come fosse una soluzione per scampare alla morte. Nei loro gesti c’era la generazione di un tempo a se’ stante, percepito indistintamente dalle leggi del moto, della luce e dell’inerzia. Erano un dono sospeso, come il servizio di Federer, che non appartiene né a chi batte né a chi riceve. Non ci sono parole per descriverlo, le uniche di cui disposi sono state deturpate dall’uso improprio che ne ho appena fatto…. E piano piano anche la memoria si spense; mi dette l’impressione delle vecchie TV a tubo catodico, quelle che quando si spengono scoppiettano, rilasciano i residui del meccanismo di proiezione ed elettrizzano lo schermo, imprimendo l’ultima scena come una statua in basso rilievo.
29 Finché non tornai a essere lui, negli occhi di lei. Persi l’identità di quello che ero prima, mi sembrò di aver visitato una galleria dove erano custodite opere d’arte pregevoli e rimanere stordito dalla sindrome di Stendhal. Che cosa avevo capito? Era come se il cosmo, da una perfezione primordiale, fosse sdrucciolato su un ripido pendio: ecco allora Lei, la mia entropia, la corsa folle nelle gelide, buie immensità? Ecco l’ergere della coscienza come freccia che trafigge se stessa. Ecco che dalla natura delle sue forme affiorava la storia con le sue lunghissime scie di sangue. Nei suoi occhi i segreti di Vermeer. Lei, qualcosa che non dovremmo vedere, qualcosa di privato che incanta di un affetto filiale, ma che cede all’incesto amoroso. “Perché non mi ero fermato lì? Dove credevo di andare? Alla saggezza terrena? Al bieco calcolo, all’infelicità, alla piccineria?” “Come un gesto vissuto in virtù dell’assurdo”, mi misi una mano in tasca. C’era qualcosa… la estrassi e con apatia vidi la carta stagnola piegata. C’era scritto sopra Paroxetina. Ero sempre stato io, il guardone, la morte, il giovane, anche l’innamorato. Tutto un effetto collaterale? Forse la mia ansia? Non aveva importanza, ormai era in circolo, ormai ero prigioniero…
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Brainstorming - Aprile 2015 a cura del Collettivo Laboratorio 15