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brainstormingmagazione.wordpress.com Impaginazione di Giulia Morigoni Servizio stampa The Gap Factory Idea del Collettivo Laboratorio Quindici Brainstorming #10 Marzo 2015 Autori: chi piĂš ne ha piĂš ne metta
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Brainstorming - Marzo 2015 - indice
4 Bastardi senza gloria Marco Cacciante
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Hey Breistorma!
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Still Alice
Lara Pedonese
Cronache della Paroxetina
Poesie
Daniele Lari
Francesca Boddi
Irene Lenzi
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Dynamo Camp
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Yasahra
Ale AttanĂ
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#iononriparo e chiamo nonna
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Arturo Mugnai
Brothers?
Leonardo Nencioli
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Questa settimana in Torretta trovate il programma elettorale del Collettivo Laboratorio 15
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S���� di�Lara�Pedonese A�i�� Quest'anno alla cerimonia degli Oscar è stata premiata l'interpretazione di Julianne Moore nel film “Still Alice”. Il film è tratto dal romanzo “Perdersi” di Lisa Genova, scrittrice e neuroscienziata laureata ad Harvard. Mi ero persa il romanzo, ma se anche avessi incontrato per sbaglio la copertina del libro in una qualche libreria probabilmente non lo avrei nemmeno preso in mano: per quanto sia sbagliato il titolo ha la sua importanza e i verbi all'infinito mi sono sempre andati giù male. Il film invece l'ho visto perchè sono un'accanita cinefila. Alice Howland è una madre, una moglie e una professoressa di linguistica brillante che ha sempre contato sulla propria intelligenza e sulle proprie capacità; tutto ha inizio con un vuoto durante un discorso tenuto in pubblico, uno di quei momenti in cui il vocabolo giusto da pronunciare non viene proprio in mente. A seguito di un altro episodio in cui durante una corsa la donna si sente per un attimo persa nella città in cui abita da una vita, si reca da un medico che le diagnostica un Alzheimer precoce (Alice ha infatti 50 anni) di tipo genetico. Inizia in progressivo cammino verso la totale assenza di ricordi e di capacità. Il dramma di una donna intelligente che da un momento all'altro si trova non solo a perdere la memoria delle cose normali, ma ad affrontare il fatto che perderà tutte le conoscenze acquisite in anni di studio, con la fatica necessaria per formare un impianto cerebrale forte.
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Il tema del film si presterebbe bene a scene melodrammatiche e invece il decorso della malattia viene descritto in modo essenziale, con scene brevi, attraverso la lucidità che la protagonista cerca di mantenere fino a quando è possibile (Julienne Moore emoziona senza strafare e l'Oscar se l'è meritato tutto).
Alcune frasi del film riescono a descrivere quanto questa patologia non lasci scampo: “Posso vedere le parole che galleggiano davanti a me ma non riesco a raggiungerle, e non so più chi sono e cosa perderò ancora” “Perdo l'orientamento, perdo gli oggetti, perdo il sonno, ma soprattutto perdo i ricordi. In tutta la mia vita ho accumulato una massa di ricordi che sono diventati in un certo senso i più preziosi di tutti i miei averi” “Tutto quello che ho accumulato nella vita, tutto quello per cui ho lavorato con tanto impegno, ora inesorabilmente mi viene strappato via” Il personaggio interpretato dalla Moore affronta in modo coraggioso e con grande dignità la malattia; perchè “non non siamo la nostra malattia”, concetto espresso anche nel titolo del film: “Still Alice”, letteralmente “ancora Alice”. Molte recensioni sottolineano il fatto che il film si sofferma non tanto su quello che l'Alzheimer porta via, quanto su quello che lascia. Non è facile vederla in questo modo: il presente si modifica continuamente, dura un attimo, il futuro è incerto, l'unica cosa che abbiamo, che è certa è il nostro passato. Fa di noi quello che siamo, se sparisce cosa resta quindi? Tuttora non riesco a trovare risposta a questa domanda.
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Bastardi senza gloria di�Marco�Cacciante
Ad oggi risulta il penultimo film di Tarantino; ad oggi, è considerato un capolavoro al pari dei precedenti! Ogni singola scena, ogni singola ripresa, combacia perfettamente alla creazione di una storia meravigliosa ed intrigante. Si potrebbe obbiettare che non si tratta di una storia veritiera (e, non volendo fare anticipazioni per coloro che non hanno ancora avuto il piacere di vederlo, non dirò il perchè) ma ciò che si va a formare è un film dove il risentimento di vendetta, tipico dei film di Tarantino, raggiunge il suo apice. E' una storia meschina, rozza e cruda, ma sullo sfondo tratta proprio di come si va a formare la Storia che si studia tutti i giorni: è riduttivo e semplicistico affermare che la Storia la scrivono i vincitori, e il film fa capire il perchè. E sebbene il periodo a cui fa riferimento e alcune tematiche affrontate sono numerosamente narrate in altri film, il registra in questo non si dimostra assolutamente banale, anzi, capace di stupire come sempre (e forse di più...).
Altra nota di cui si deve premiare il registra, è la grande cultura delle favole e la sua capacità di riuscire ad inferirle sulla propria pellicola; a coloro che trovano strana questa affermazione, invito a concentrarsi su una scena in particolare: tutti ricordano la classica scarpetta di Cenerentola giusto, la scarpetta che farà avverare tutti i suoi sogni. Tarantino riprende tale episodio trasfigurandolo e rendendo la scarpetta lo strumento che condurrà alla morte la bella attrice/spia Bridget Von Hammersmark e quasi il mezzo per la quale gli Alleati potrebbero addirittura perdere la guerra. Curiosità invece riguardo alla scelta degli attori: inizialmente il ruolo del colonnello nazista Hans Landa fu offerto a Leonardo Di Caprio che rifiutò. Tarantino scelse quindi l'attore austriaco Christoph Waltz. Quest'ultimo senza ombra di dubbio interpreta la sua parte nella miglior maniera possibile. Peccato per Di Caprio, magari avrebbe potuto prendere un Oscar... Per non parlare di come invece il regista rend grottesche e rozze figure come Hitler e Goebbels. Sembra quasi che voglia prendere in giro soprattutto quest'ultimo, essendo lui una figura di spicco e all'avnguardia per la propaganda e contemporaneamente per la sua concezione di cinema! Tarantino ci fa capire che l'unico modo con cui avrebbe potuto battere tali personalità è con questo film. E' chissà se la frase con cui si chiude il film è il pensiero che l'artista ha sul proprio film. "Sai che ti dico Utivich? Questo potrebbe essere il mio capolavoro..."
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La paroxetina cloridrato è un farmaco antidepressivo appartenente alla categoria degli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della SEROTONINA). Come gli altri SSRI, la sua assunzione genera un aumento della disponibilità sinaptica di tale neurotrasmettitore, che è carente nei soggetti affetti da depressione. Rispetto ad altre molecole della stessa classe terapeutica a parità di dosaggio ha un effetto più potente. Viene comunemente impiegato nel trattamento della depressione, negli attacchi di panico associati o meno ad agorafobia, nel disturbo ossessivo‐compulsivo, in casi fobia sociale e nei disturbi d’ansia. Come gli altri farmaci della sua classe la paroxetina è generalmente preferita agli antidepressivi triciclici per la sua maggiore tollerabilità e la minor presenza di effetti collaterali. (Wikipedia)
La presenza del dottore sulla soglia della porta ricordava molto la sagoma di un Alieno venuto dallo spazio per un dottorando in ricerca sperimentale, mentre all’interno dello studio la luce delineava un forte bagliore intorno ai bordi dei suoi vestiti, rendendolo più grosso. Malgrado i miei occhi fossero attratti come cimici sui panni tesi, entrai con la stessa tenacia con cui i Mccallister si ricordarono del figlio prima di partire. Deglutii e affrontai la luce. Gli occhi non si abituarono velocemente, tanto che cercai di sedermi arrancando e tastando le poltrone che il medico aveva risistemato frettolosamente prima dell’uscita del Paziente.
Aveva lasciato la finestra aperta, socchiusa. Potevo sentire i suoni claudicanti degli uccelli rumoreggiare sulle grondaie. Lo spiffero faceva muovere la paccottiglia di fogli lasciati sul davanzale e ogni tanto una massa di ossigeno al sapore di carta mi investiva. Eravamo alti, guardai fuori e intravidi, in fondo, la città eclissare le luci del tramonto. Queste ultime sagomavano i palazzi come la luce dello studio aveva disegnato i profili del dottore, creando un effetto matriosca. Stavo meglio. Smisi di tremare e iniziai ad abituarmi alla luce. Quello che successe dopo fu alquanto particolare.
Cronacheparte della2Paroxetina di Daniele Lari 8
Mentre il dottore chiudeva la porta e con eccessiva filautia si accertava della sua compostezza, ebbi, come non si suol dire, una ‘botta di vista’, data probabilmente dall’improvviso riacutizzarsi della vista stessa… e la mia attenzione fu pugnalata da qualcosa. Un quadro. Questo investì completamente il mio campo visivo e lo conquistò con la forza, saccheggiandolo di ogni ragione e ricchezza logica. Il quadro si trovava proprio dietro la scrivania del medico e non so se fosse stato appeso lì volontariamente oppure casualmente, fatto sta che aveva su di me un effetto devastante. La sua posizione era centrale sul muro e, seppur di limitata grandezza, sorbiva su tutti gli oggetti lo stesso effetto che La Gioconda esercita su Le nozze di Cana. Non c’era cornice e non coglievo l’ombra come se in realtà il quadro fosse il riflesso della parete opposta. Non ebbi né il coraggio né la forza di voltarmi, ma non mi sbagliavo. Ne ero sicuro. Di fronte a quello zibaldone artistico le mie memorie sull’arte si erano inginocchiate in un nugolo inconsistente, un purè senza sostanza, un agglomerato anonimo. Cercai di riavermi setacciando la stanza in cerca di una distorsione fuorviante. Incrociai lo sguardo intimidatorio del professore; si era seduto di fronte, e adesso articolava i suoi strumenti per certificare la mia presenza nella sua agenda. Fu peggio. Mi sentii divampare e bramai di tagliargli la testa per mantenere un contatto con gli occhi del quadro. Non è facile descrivere cosa rappresentava: il soggetto era una Donna. L’età era convenzionale; poteva avere 50 anni, ma il trucco la ringiovaniva di almeno 25 anni e l’artista, un maniaco, era riuscito a marcare la chiara volontà della donna di celebrare la sua vittoria contro il tempo. L’aveva distesa e aveva ritratto solo la faccia fino a poco più delle spalle. L’ espressione era attonita, assorta, forse cosciente della sua bellezza, forse impaurita di esser derubata della sua ritrovata giovinezza. Gli occhi, semichiusi, riflettevano un’espressione a metà tra una fotografia scattata nel momento sbagliato e il prodotto di un orgasmo sincero. Il colore intorno alle pupille era incerto e fuorviato. .
da una massiccia dose di matita nera che esaltava il contrasto con il rossetto rosso fuoco sulla bocca. La testa sprofondava in un cuscino, attutita da capelli color grano su cui passava e poggiava una mano, dolcemente, come fosse sabbia. La luce la baciava sulla fronte, seppellendo le ombre fuori dal quadro. Si intravedeva uno spallino. Apparteneva al reggiseno e scivolava fuori dal quadro, tuffandosi, in prospettiva, sulla spalla del dottore, di fronte. Trasalii, completamente avvolto nel mistero della bellezza. “Non so dire se la potenza del bene passasse nella natura del bello, ma attraverso gli occhi l’effluvio del bello rimaneva infiammato e di esso la natura dell’ala si abbeverava. E la bellezza, dunque, rendeva alata l’anima e le faceva conoscere il tormento dell’amore”. Mi sentii marionettare prima dai sensi, poi dalla mente e vidi, chiaramente, negli schizzi della tela un significato esplicito e uno nascosto. Il quadro trasudava la storia di un amore non corrisposto: infatti le linee femminili brillavano di una vivacità che non era propria del vero corpo della donna: insito era il ritocco affettuoso di un uomo, perso nella voglia di attenzioni specifiche, quelle di lei. Non so distinguere se occorresse intuire o discernere la bellezza, tuttavia non c’era logica. Quest’ultima si suicidava nel riflesso che quella figura suscitava nei miei pensieri. Mi avevano sempre spiegato che l’artista si distingue dal falso come promotore di un’idea che si distacca da tutto quello che c’è stato prima e aprirà uno squarcio progressista nel contenimento dell’equilibrio. Lo si riconosce in quanto lavora alla luce del sole per creare opere d’arte fini a sé stesse, ma di opulente valore per l’umanità. Il falsario sottrae l’unicità dell’idea e la duplica, ma non resiste nel lasciare una firma nell’imitazione. Così introduce una sbaffatura, una distorsione, congruente alla maniacalità dell’omicida nel lasciare una traccia per vantarsi del misfatto. Quello del quadro non era il prodotto di un artista, impossibile. Ma non era nemmeno il lavoro di un falsario. Quello era un maniaco. Un malato..
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- …Patroclo giusto?- come un tonfo nell’acqua, la voce del dottore rianimò i miei sensi. Riuscì incredibilmente a farmi riavere. Mi sentivo intorpidito, come se avessi passato gli ultimi mesi a piangere per una donna. Quella Donna. Mi toccai i capelli nell’intento di disfarmi di quella sensazione spiacevole. Con la mano passai sotto la nuca e mi asciugai il sudore che si era addentrato, giù, lungo la schiena come un serpente che striscia nell’ombra, per fuggire via. – Sì!- risposi senza aggiungere altro. – Non ho molto tempo – mi ferì – Ma ti ascolto. Dimmi pure, cosa ti succede?Cominciavo a odiare i suoi imperativi. Iniziai la mia storia… e anche se credevo che sarebbe dovuta essere una collaborazione di domande e risposte, in realtà fu un monologo. Ogni tanto riguardavo il quadro e le mie parole si tingevano di amaro, come il sapore di una sigaretta spenta e poi riaccesa; sembrava che la donna mi chiedesse di entrare nelle mie storie, nella mia Malattia. Mi sentivo Jodie Foster in Sotto Accusa, ma nella versione comica di Vincent Vaughn di Due single a nozze. Mi fermavo, a tratti, fingendo di pensare, ma in realtà riprendevo fiato. La mia foga vulcanica di parlare eruttava aria, senza però inglobarne abbastanza e spesso avevo vertigini che mi costringevano a sudare e fermarmi. Il dottore non se ne accorgeva. Scriveva. Non so cosa, non l’ho mai scoperto. Alternava sguardi di desiderabilità a momenti di intenso interesse nelle mie parole. Mentre raccontavo i miei trascorsi incubi, guardavo intorno. Sbirciai frettolosamente la parete alla mia destra. Gli attestati di lode e le partecipazioni a vari aggiornamenti santificavano il muro adornato con la carta da parati motivo fiorentino. In cima alla stanza il condizionatore vibrava, voglioso di ghiacciare l’aria.
Il dottore doveva essere fissato con la temperatura ottimale perché puntualmente guardava la spia dell’accensione per accertarsi della sua azione congelante. Io invece amavo il caldo perché il freddo mi dava brutti pensieri. Il mio racconto finì e canalizzai tutte le speranze nelle sue parole. Non ci furono parole. Più veloce della luce stampò un foglio, scritto al computer durante la recitazione della mia parte. Mi spiegò due o tre punti burocratici sulla fattura e poi… mi mostrò il foglio: Paroxetina. – Da lì iniziarono i miei incubi. Fu tutto buio. La voce cantava: “Everything is gonna be alright”. Funzionò senza masticarla…
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POESIE di Francesca Boddi Ossa danzanti
Feste di piazza
Scruto tra opachi vetri Posi soddisfatta bicchieri mezzi pieni di festa fissando il riflesso d'ossa danzanti alzàti da fredde mani sorridi, senza speranza. cercando di mangiarti Sorda del mio rumore Ottavo padiglione ancora da sola, è la piazza. solo così arriverai Ciondola la notte all'animo tuo percorsa da intermittenti grida, ferito luce grasso scaldaci d'amor corporeo. solo per questo mattino, così che il brusio cessi di infettare le nostre menti ostruite da passati spettrali.
Tu, sola
Fragile
Si piega sontuosamente il tuo leggero stelo, e rimane un solo petalo a coprirti da questo eterno inverno; è così che ti inchini stupita davanti all'eterna solitudine.
Ti ciondoli su te stessa girandola monocolore di un autunno senza foglie cadute.
Rileggendo queste poesie, scritte qualche anno fa, ho iniziato a riflettere... Dove ero quando le ho scritte? Le ho scritte tutte lo stesso giorno? Non ricordo con precisione. Ma oggi, leggendole ad alta voce, vedo come in una fotografia San Salvi. Là dove le foglie cadute ricordano la fragilità di chi ha vissuto in manicomio.
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Dynamo Camp
Dove la cura è ridere e la medicina è l'allegria Ci sono mai stati momenti in cui, da bambini, avete sognato di fuggire lontano, in un luogo simile all' "Isola che non c'è"? Avete mai desiderato di risvegliarvi in un posto dove non contassero l'apparenza, i gusti differenti e le difficoltà di ognuno? Quasi a tutti è successo, ma non per questo tutti hanno potuto trovare un rifugio simile a quello immaginato. Per alcuni bambini, bambini molto speciali, tutto ciò è divenuto realizzabile grazie a Dynamo Camp. Dynamo Camp è un Camp di terapia ricreativa, primo in Italia, strutturato per ospitare gratuitamente bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni affetti da patologie gravi o croniche, sia in terapia che in fase di post ospedalizzazione. Esso fa parte di "SeriousFun Children’s Network", un’associazione non-profit, nata dal sogno dell'attore Paul Newman, che in tutto il mondo promuove e gestisce camp di vacanza appositamente strutturati per ospitare bambini affetti da patologie gravi e croniche.
Il Camp, attivo dal 2007, ha come obiettivo principale quello di offrire l'opportunità ai piccoli campers di tornare ad essere "semplicemente bambini" , per lasciarsi alle spalle, almeno per pochi giorni, le realtà ospedaliera, metacognitiva e spesso familiare, che mette loro di fronte ad un bisogno di razionalizzazione, quindi un cambiamento nel modo di vivere le emozioni e nella percezione del dovere, piuttosto precoce. Proprio per questo, all'interno di una struttura completamente e rigorosamente sicura, immersa nella meravigliosa natura dell'Oasi affiliata WWF nei pressi di Limestre (Pt), i bambini possono sviluppare le loro capacità e possono provare la soddisfazione di mettersi in gioco in prima persona attraverso numerose attività, sia creative che sportive. Le varie tipologie di intrattenimento, sia che svuluppino capacità sportive, sia che sviluppino l'immaginazione, sia che richiedano
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di irene lenzi collaborazione e lavoro di gruppo, sia che prediligano quello del singolo, possono essere interpretate come sfide personali, costruttive e completamente libere dalla competizione. I piccoli campers, durante le attività, possono decidere, in modo del tutto indipendente, il proprio ritmo e stabilire il limite fino al quale spingersi. In questo modo, grazie anche al sostegno di tutte le persone con cui si trova a convivere e al confronto costruttivo con gli altri ragazzi con le medesime difficoltà, i bambini possono sperimentare il successo, la voglia di fare e il divertimento, nonchè riflettere su ciò che sono riusciti a fare e su ciò in cui ancora possono riuscire e sperare. Tutto ciò è reso possibile dal fantastico e sempre attivo staff fisso, nonchè dai volontari che, sempre più numerosi, richiedono di partecipare alle varie sessioni distribuite durante l'anno. All’interno del Camp è presente un’infermeria completamente attrezzata in cui medici ed infermieri professionisti gestiscono direttamente le procedure di routine in modo discreto: a questo scopo anche l’infermeria è un ambiente allegro e colorato. Tutto questo permette ai partecipanti di vivere un’indimenticabile esperienza di svago in totale serenità e sicurezza. A Dynamo Camp, ad oggi, nell’ambito dei diversi programmi per bambini soli non accompagnati e per famiglie, sono ammesse patologie oncoematologiche, patologie neurologiche, sindromi rare, spina bifida, diabete e patologie metaboliche. I bambini e ragazzi ospitati al Camp sono italiani e stranieri curati in Italia, provenienti da tutto il territorio nazionale, ma esistono anche programmi internazionali. Oltre a questi, i programmi proposti da Dynmo Camp sono quelli per bambini non accompagnati, per famiglie, per fratelli e sorelle e per ex campers.
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Yasahara parte 2,5 di 3.
Concludendo così una descrizione informativa e maggiormente formale relativa al Camp, assolutamente necessaria, vorrei provare a raccontarlo dal mio punto di vista di volontaria. La realtà di Dynamo Camp è qualcosa di assolutamente inaspettato e quando ti trovi al suo interno, risulta difficile non rimanerne fortemente abbagliati e affascinati. Il luogo in cui sorge appare inizialmente isolato, nascosto e austero, ma quando ne esci riesci solo a vederne la lunminosità e a percepire il segno che ha lasciato dentro di te. L'aspetto più sorprendente è sicuramente il modo in cui quei ragazzini, che dovrebbero essere meno vitali, più scontrosi e impauriti di te per le difficoltà che hanno e affrontano giornalmete, riescono a travolgerti, dimostrando di possedere un coraggio ed una forza impensabili. La loro voglia di mettersi in gioco, di dimostrare cosa possono fare e di accogliere gli altri, ti fa sentire piccolo e ti spinge ad abbattere ogni muro costruito, ogni paura e ogni genere di autocompatimento. Allo stesso tempo pero' puoi sentirti grande, appagato e colmo di emozioni differenti per aver preso parte a qualcosa di così importante, che riesce a mettere in secondo piano ogni sconfitta, momento di sconforto e paura provati da questi bambini, per far emergere invece le loro anche più piccole conquiste, le loro gioie e la loro voglia di essere semplicemente sè stessi .,
di Alessandro Attanà Di colpo il frastuono, chiudo gli occhi e in un attimo è già silenzio. Li riapro, ma anche fuori é tutto buio. Anche? Come se il buio fosse silenzio. Forse in esso ci trovo la tranquillità: la tranquillità del silenzio. Come se il silenzio fosse tranquillo, a volte talmente tranquillo da spaventarti, altre volte talmente spaventoso da farti rifuggire in parole a caso, con qualche autocelebrazione futile che funga da stampella, che ti dia la sicurezza che ti mancava. Mentre i pensieri si rincorrono in circoli a mille uscite, una voce narrante, così mi sembra, sta leggendo qualcosa che conosco. Forse un libro. Forse una poesia. Non riesco neanche a capire cosa stia dicendo che nuovamente una luce fortissima mi acceca e quasi mi porta a chiudere gli occhi. Nel chiuderli mi sembra di vedere, nel bianco bagliore, un volto, un volto maschile. Sembra Mike. Non può essere lui. Non faccio in tempo a capire che un grosso frastuono, quasi un’esplosione, mi spaventa; di colpo chiudo gli occhi, ma quando li riapro, nuovamente il buio mi accoglie nel suo silenzio tenebroso. In quel silenzio mi sento chiamare da una voce maschile. Sono bloccato, come paralizzato, posso muovere solo gli occhi, mi guardo in giro, ma non vedo nulla: è tutto buio. La voce smette di chiamarmi, e di nuovo mi trovo a chiacchiera col mio silenzio, io e lui, lui e io; poi lei, una lontana ed echeggiante voce femminile, mi attira.
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E' Yasa. Mi chiama. Il buio si sta illuminando, piano, lentamente, un po’ come quando cominci ad aumentare, al tuo cellulare, la sua luminosità, piano. Qualcosa stava aumentando la luminosità del contesto. <J.!>, <J.!>, <J ci sei? Sei tornato?> Comincio a distinguere le forme. E’ tutto sfocato, ma intuibile. Quello che vedo è il pub. Non mi sono mosso. Sono ancora seduto sulla sedia, ancora con la birra nella mano destra. Ho ancora Yasa accanto a me. <Cos’è successo?>
#iononriparo e chiamo nonna di Arturo Mugnai Sono 40 anni che gli psicologi hanno smesso di considerare l’omosessualità una malattia. Eppure l’inizio del 2015 si è contraddistinto per alcune questioni legate al mondo dell’omofobia e della professione dello psicologo. Durante i primi giorni di gennaio andò in scena la querelle sul convegno organizzato dalla Regione Lombardia sull’importanza della famiglia tradizionale ed altri concetti che venivano trattati con l’assenza di un contraddittorio (un contraddittorio contraddicente provò ad intervenire, ma fu distrattamene scaraventato giù dal palco). In quel frangente un gruppo di psicologi chiese al Presidente dell’Ordine della regione in questione di intervenire vista la presenza tra i relatori del convegno di uno psicologo-psicoterapeuta. In maniera molto elegante il presidente in questione chiamato ad intervenire rispose citando l’art.4 del Codice Deontologico della professione. Una mossa perfetta sotto il profilo istituzionale. Remissiva, a giudizio di chi scrive, sotto il profilo politico. Meno remissiva in questo senso è la “mobilitazione” nata sui social network contraddistinta dall’hashtag #iononriparo e (si capisce) orientata a resistere contro certe convinzioni basate sulla possibilità di riparare l’orientamento sessuale di un individuo tramite strumenti e tecniche psicologiche. La piattaforma principale di questa mobilitazione digitale è una pagina Facebook chiamata appunto Io Non Riparo. Ad oggi conta 1410 like.
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Dopo immagine del profilo e di copertina la cosa che balza agli occhi maggiormente è il post messo in evidenza che dice IL NOSTRO MANIFESTO: "Io non riparo" vuole essere un progetto giovane e costruttivo per affermare un forte NO alle cosiddette "teorie riparative", ovvero quelle teorie che considerano l' # omosessualità come qualcosa di patologico e quindi da curare. Semplice, chiaro, condivisibile. Vi sono poi degli articoli che indicano il funzionamento della pagina che viene chiamata gruppo ed infine la mission: Vuoi farne parte anche tu? Per il momento vogliamo raccogliere quante più immagini possibili divertenti, creative, simpatiche in cui emerge la scritta IO NON RIPARO, e ricordati di inserire nel post (non nei commenti) l'hashtag # iononriparo . Per tutte le informazioni potete scrivere tramite messaggio privato sulla pagina o tramite mail: iononriparo@gmail.com. Un’iniziativa simpatica e incisiva per il mondo dei media sociali. Sono elementi un po’ sguaiati, poco strutturati e non si capisce se chi ci sta dietro ha capito come funzionano le pagine, i gruppi e le petizioni su Facebook, ma poco male. Un passo ancor meno remissivo lo hanno fatto sempre nel mese di gennaio alcuni psicologi membri di una celebre associazione di categoria scegliendo di scendere in piazza per tutelare una corretta informazione sull’orientamento sessuale, chiamando a raccolta e alla partecipazione anche cittadini e cittadine.
Ogni volta che andiamo a letto dovremmo chiederci ma se chiedessi a mia nonna di dirmi cosa pensa degli omosessuali, cosa mi risponderebbe? E’ una domanda che dobbiamo porci sì noi come professionisti in divenire, sì noi come cittadine e cittadini, ma soprattutto se la deve porre chi ha il mandato sociale di sviluppare consapevolezza tra gli utenti (che significa tutelarli) e chi ha dunque il dovere di far sì che le nonne e i nonni di tutti rispondano sull’omosessualità adducendo ciò che uomini di scienza hanno scoperto. Sì, il fatto che non sia una malattia è una magnifica scoperta. Io domani mattina una telefonata alla nonna la faccio. Presidente, la faccia anche lei.
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Your asked Frequently question Da Marzo su Brainstorming ci sarà una nuova rubrica: " PsicoF.A.Q. - Il collettivo risponde". Il Collettivo Laboratorio 15 cercherà di rispondere alle domande che ognuno di voi si è fatto almeno una volta (facciamo anche due o tre) dopo qualche mese passato nel folle mondo della Torretta: ma le cose che sto studiando mi serviranno veramente? Cosa diventerò una volta uscito/a dalle mura torrettiane? Come lo diventerò? Cosa farò? Ma soprattutto, cosa non potrò fare una volta che sarò riuscito/a a ad essere uno psicologo/a? Chi sta scrivendo, queste domande se le è fatte più volte e in parte continua a porsele. Questa volta però abbiamo deciso di darci delle risposte, o quantomeno provarci. Ecco perchè questa rubrica, dove speriamo di poter rispondere alle vostre domande, che sono state (o lo sono ancora) anche le nostre. Ci informeremo costantemente sui vari dubbi proposti e ne discuteremo fino ad arrivare a rispondervi nel migliore dei modi. Se così non sarà ci auguriamo che possiate perdonarci, visto che nessuno prima di noi ha provato a dare soluzione a questi interrogativi.
Inviateci le vostre domande alla mail brainstorming.torretta@gmail.com 19
LaBiblio
Spazio e testi per il diritto allo studio CheL laL TorrettaL siaL carenteL perL numeroL diL postiLstudioLèLormaiLunLdatoLdiLfattoR QuandoL poiL iL pochiL postiL disponibiliL hannoL arrediL scomodiL eL traballanti-L laL situazioneL cominciaL aL farsiL critica…L eL siL sa-L inL TorrettaL leL criticitàL sonoL diL casaRL ComeL seL nonL bastasse-LoltreLallaLmancanzaLdiLluoghiLinLcuiL poterLstudiare-LgliLstudentiLdevonoLfarLfronteL adLunaLulterioreLdifficoltà:LreperireLlaLmateriaL primaL perL utilizzareL questiL spazi-L ovveroL iL libriLdiLtestoLuniversitariR ComeL CollettivoL LaboratorioSEL abbiamoL datoL vitaL alL progettoL “LaBiblio”L adibendoL laL stanza-L cheL siL trovaL accantoL allaL zonaL “macchinette”-L aL piccolaL aulaL studioL usufruibileL daL tuttiRL AbbiamoL attivatoL ancheL unL servizioL diL consultazione(prestitoL libriL donatiL daL studentiL cheL hannoL giàL preparatoL alcuniL esamiL eL cheL nonL intendonoL piùL riutilizzarliR NonLèLgrandissima-LmaLèLunLprimoLpassoLperL contribuireL allaL vivibilitàL delL luogoL cheL abitiamoL ogniL giornoRL PerL costruireL un’universitàL cheL garantiscaL aL tuttiL unoL spazio?studioL bisognaL partireL dalleL piccoleL cose-Lno?
RiteniamoL cheL l’attualeL situazioneL relativaL alleLmodalitàLdiLassegnazioneLeLdistribuzioneL deiL testiL didatticiL graviL fortementeL sullaL popolazioneLstudentesca-LdatoLilLforteLdisagioL economicoL cheL gliL studentiL esperisconoL nelL doverL reperireL edL acquistareL iL suddettiL volumiRL AL questaL situazioneL siL aggiungeL ancheL unaL limitataL possibilitàL diL rintracciareL ilL materialeL didatticoL necessarioL tramiteL ilL servizioL bibliotecario-L vistaL siaL laL scarsaL disponibilitàL deiL testiL ùmoltoL spessoL disponibiliL soloL perL consultazioneN-L siaL laL configurazioneL part?timeL degliL orariL diL aperturaLdellaLbibliotecaLdiLpsicologiaLdiLSanL SalviR Perciò-L perL mantenereL inL vitaL ilL progetto-L chiediamoLagliLstudentiLdiLcontinuareLaLvivereL quelL luogoL eL invitiamoL aL mettereL aL disposizioneLiLtestiLcheLnonLusanoLpiùRL VIVALELVIVILLABIBLIO1
Collettivo Laboratorio 15