STORIE DI QUOTIDIANA URBANITA’ perché non esistono più Agorà
marzo 2011 tesi di laurea in architettura per il paesaggio
Brando Posocco
alla mia famiglia
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Il perché Motivazioni di una ricerca
Il dibattito sul tema del paesaggio stà acquistando sempre più importanza, e di pari passo aumentano le definizioni, classificazioni, aggettivi e motivi di confronto su di esso. Con la convenzione europea del paesaggio si stabilisce che “il paesaggio è in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana.” Ho ascoltato tanti racconti, letto mappe e studiato scritti sul territorio Veneto, un territorio “bellissimo” prima che la macchina economica lo fagocitasse. “Purtroppo” il paesaggio di cui io faccio parte è quello della storia recente, delle aree industriali, dei capannoni e dei tir, delle rotonde, dei centri commerciali e delle casette sparpagliate sul territorio come semi di grano. Sono nato in quello che Paolini definisce secondo veneto, quello della grande crescita economica, quello che ha cementificato il primo, di Veneto, uniformandolo e seppellendolo sotto un’unica colata. Ora che anche il secondo è finito, ciò che rimane sono i materiali su cui cerco di concentrare i miei sforzi e con cui lavorare, in questo paesaggio in in via di trasloco.
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IL SOGGETTO un’ indagine di urbanità
Lo scopo che la presente ricerca si prefigge, è quello di compiere un esplorazione del territorio Veneto evidenziandone i processi di sviluppo e modifica che si stanno attuando. Come già ben chiaro a tutti, e sottolineato da una moltitudine di studi a riguardo, la dispersione insediativa ha consolidato nuovi modi di abitare, produrre e consumare, una nuova idea di città si è concretizzata, quella che oggi viene chiamata Veneto city. Sicuramente nell’atto di insediarsi sul territorio, fortissima influenza l’anno avuta le azioni individuali che per “piccole mosse” hanno contribuito ad arrivare alla morfologia del costruito attuale, ma già negli anni ‘90, nella zona centro orientale della regione era possibile cominciare ad individuare degli elementi “polarizzanti”, delle concentrazioni di insediamenti che invece nella parte influenzata dalla centuriazione romana non sono riscontrabili probabilmente a causa della alta porosità del territorio che ha favorito uno sviluppo unitariamente diffuso. Tale tendenza ho subito un processo evolutivo che ha portato dalle iniziali addizioni di porzioni di edificio funzionali alla singola abitazione al sistema insediativo a griglia, entro il quale fu possibile inserirvi abitazioni in tempi e con caratteristiche differenti. Questo genere di intervento portò a percepire la lottizzazione come un sistema aperto, predisposto a futuri ampliamenti e modifiche. Più di recente però, i fenomeni di polarizzazione hanno assunto caratteristiche differenti, non soltanto riguardanti l’accostamento più prossimo degli edifici,
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ma anche sul raggruppamento dell’edificato, divenendo così progetti unitari e conclusi al loro interno, porzioni di territorio introverse, addizioni già sature che non permettono modifiche future, e spesso percepite come veri e propri punti di rottura con il contesto. Questo tipo di edificazione è riscontrabile non solamente per quanto concerne l’edilizia residenziale, ma anche per quanto riguarda i parchi commerciali e le aree produttive. In un contesto di modificazione del territorio, risulta evidente che prima del cambiamento fisico degli insediamenti, avvengono sostanziali cambiamenti sociali, economici, e procedurali nella formazione degli insediamenti stessi. Lo spazio cambia infatti più lentamente dei comportamenti abitativi. Risulta dunque importante sondare oltre agli elementi urbani realmente prodotti, soprattutto l’ambito delle relazioni socio economiche che portano alla modifica del territorio, capendo il ruolo di coloro che agiscono in questo contesto e che si rendono protagonisti delle variazioni osservabili.
IL METODO “Il paesaggio può essere inteso come interfaccia fra il fare e il vedere quello che si fa, tra il guardare-rappresentare e l’agire, tra l’agire e il riguardare(...) Soltanto in quanto spettatore l’essere umano può trovare la misura del suo operare, del suo recitare, del suo essere attore che trasforma e attiva nuovi scenari, cioè il rispecchiamento di sè, la coscienza del proprio agire”. Eugenio Turri “Il paesaggio come teatro”
R. Magritte “La condition humaine”
Se partiamo dal presupposto che lo spazio urbano è oggi una vera e propria metafora della società, che guardando il paesaggio si capisce molto dell’uomo che lo vive, e guardando l’uomo si capisce molto del paesaggio in cui esso vive, allora non c’è ombra di dubbio che la qualità del paesaggio è fondamento dell’identità delle popolazioni e viceversa. L’analisi di una situazione socio-territoriale, non può quindi basarsi solamente sull’elaborazione di dati statistici o di elementi fisici che costituiscono il territorio, ma necessita di un modo di porsi differente, indagando i soggetti che agiscono all’interno di ciascun caso, osservando ed ascoltando loro e lo spazio in cui vivono, spazio che è come uno scrigno ricchissimo di indizi sulla vita contemporanea, e che richiede di essere osservato con cura. “Vedere è un atto fondativo del nostro rapporto individuale con il mondo, una presa di distanza dalle cose e assieme un atto di possesso delle cose, che stabilizza la posizione del soggetto e decide l’angolatura da cui si può prendere parola” (Stefano Boeri) Per quanto riguarda la mia tesi l’osservare è stato strumento indispensabile di indagine, e di conseguenza il percorrere il territorio corrispondente all’area di studio,è stato fondamentale per avere una conoscenza del fenomeno molto più approfondita rispetto a quella che avrei ottenuto affidandomi solamente ai dati e alle letterature di settore. “...per sguardo si deve qui intendere meno la facoltà di raccogliere delle immagini che di stabilire una relazione” (Starobinski) Lo sguardo è una relazione intenzionale con l’orizzonte vis-
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suto, e la fotografia dunque, non registra la realtà fisica oltre la lente, ma solo il suo aspetto visibile: determinato da uno specifico punto di vista, in un momento particolare, in una luce particolare. Non utilizzo quindi la fotografia per esaltare una “presunta” verità dell’immagine, intendendola perfetta rappresentazione del reale, perchè tra sguardo umano e sguardo fotografico esiste una fessura aperta destinata a dilatarsi sempre di più. In questo specifico lavoro, il compito non è stato dei più semplici, perchè lo sguardo fotografico veniva comunque influenzato da resilienze di tipo progettuale, che portavano l’attenzione del mio occhio su punti determinanti più per il progetto che per la ricerca fotografica. Osservare i luoghi, è un’attività che rende colui che la compie duttile e flessibile per riuscire ad adattarsi ai contesti dentro i quali la pratica viene svolta, cercando così di comprendere in maniera più delicata e approfondita l’oggetto di studio. L’ambito di ricerca della mia tesi, mi ha portato infatti a relazionarmi con persone molto differenti tra loro, caratterialmente, culturalmente e socialmente, ad espori nei loro confronti, mettermi in gioco per scoprire elementi significativi della loro percezione del luogo. Ogni situazione specifica ha richiesto quindi un diverso atteggiamento da parte mia. L’osservazione dell’area di progetto, è significato percorrere il territorio numerose volte per indagare il fenomeno, tante volte queste esplorazioni sono andate
alla “deriva”, portandomi al di fuori della mia area di progetto vera e propria, ma divenendo così elementi fondamentali per la comprensione piu profonda del ragionamento, aumentandone la complessità ed espandendosi rispetto all’area iniziale presa in considerazione. A volte l’osservazione è stata condotta quasi in segreto, o meglio senza epormi in prima persona, altre volte è stato necessario mettermi in gioco per interloquire con persone che mi hanno permesso di raggiongere posti e pensieri che altrimenti sarebbero stati inaccessibili. La fotografia mi è stata d’aiuto per percepire il luogo in primis, e non per descriverlo o catalogarlo.
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DIMENTICANDO L’ AGORA’
A dicembre 2010 ho avuto la fortuna di prendere parte ad un seminario di dottorato al Politecnico di Milano tenuto dal professor Arturo Lanzani sulle trasformazioni del territorio italiano. E’ qui che ho cominciato a regionare sulla definizione del termine Urbanità, del suo significato e sulle sue declinazioni. Precedentemente la mia ricerca si era sviluppata in tre ambiti, tre tipologie di insediamento simili dal punto di vista di occupazione dello spazio, molto diverse per quanto riguarda funzioni e servizi offerti. Questi tre casi, come accenato nel capitolo precedente, sono gli insediamenti abitativi ad “isola”, una sorta di rivisitazione veneta delle gated comunity americane, i nuovi outlet commerciali, e le aree produttive. Ciò che mi interessava di questi tre casi studio, tutti volutamente introversi in loro stessi, era capire quale di loro potesse in realtà offrire nuove soluzioni, nuove dinamiche dell’abitare, nuove possibilità di vivere il contesto Veneto in cui si insediano. Capire quale di questi casi, contenesse dell’urbanità nonostante non fosse una porzione di territorio urbano, quale di queste contenesse al suo interno caratteri di Città capaci di dare nuovi imput e nuove soluzioni ad un territorio fragile, in un momento di crisi. Se si prende in analisi l’aspetto sociale di questi tre casi, ed in particolar modo i gruppi di appartenenza che questi territori generano, si nota come quella che a primo impatto sembra la più estranea all’urbanità, ovvero la zona produttiva, in realtà risulta essere l’area piu promiscua, dove al suo interno si trovano a contatto differenti culture, status sociali, etnie. Se partiamo dal concetto espresso da Alain Reynaud nel suo
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libro “Disuguaglianze regionali e giustizia sociospaziale”, ovvero che la classe siociospaziale è un gruppo sociale definito da un’appartenenza spaziale, capiamo che non stiamo parlando di classi sociali, o socio economiche, ma di un concetto di appartenenza che diventa inscindbile dal luogo. Se ci si immagina il paesaggio come una serie di tasselli sociospaziali giustapposti, allora si capirà che le relazioni tra esse risultano fondamentali per raggiungere una complessità del territorio necessaria. E se la disuguaglianza tra le classi socio-spaziali è la loigica conseguenza della dissimmetria delle relazioni tra esse, si capisce come le lottizzazioni a fini abitativi risultano essere isolati, privi di flussi di relazioni, così come gli outlet che puntano dichiaratamente ad una fascia economico-sociale alta, escludendo cosi le altre. La zona industriale diviene invece un luogo ri relazioni stabili, acquisendo così una connotazione inclusiva a differenza degli altri due casi presi in esame.
Luigi Ghirri “Altante”
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VENETI ARCIPELAGHI “L’uomo abita veramente il territorio soltanto se ha prodotto una rappresentazione paesaggistica del suo territorio. La relazione dell’uomo con il territorio trova la sua finalità non solo nella produzione materiale dell’insediamento ma anche nella rappresentazione di questo insediamento(...) “ C. Raffestin “Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio”
LE ISOLE ABITATIVE
La casa in Veneto, molto più che in Italia, è divenuta negli ultimi anni un bene-rifugio, non per quanto riguarda l’aspetto di investimento economico, o profitto finanziario, piuttosto per quanto riguarda il profilo sociale, per cui tutto ruota attorno al microcosmo domestico. I confini prevalgono sul centro, le separazioni sulle vie di comunicazione, sviluppando una sindrome da insicurezza che genera altra insicurezza. Ciò che ne deriva, è una interpretazione individualistica dell’abitare che esalta la libertà del singolo e lo fa sentire protetto, circondato da persone “fidate”(leggi di una stessa classe sociale), ma che produce territori chiusi, protetti, esclusivi. Il risultato di questa tipologia di insediamenti, è che il paesaggio ne esce mutilato,“dominato da una nevrastenia di ordine superiore, costretto sulla difensiva latente, sotto un costante stato di assedio”, denuncia Vitaliano Trevisan. Impermeabilizzazione e privatizzazione degli spazio domestici realizzati in nome della sua difendibilità, contribuendo alla spoliticizzazione dei cittadini terrorizzati dalle strade divenute insicure. Proprio su questi punti vertono le strategie di comunicazione delle agenzie immobiliari che nobilitano l’atto denominativo facendolo elevare al pari dell’atto costruttivo, rimanendo nel campo della retorica finalizzata all’esaltazione della sicurezza, al comfort, al benessere privato. Una profusione di maiuscole sottolineano la nobiltà della scelta residenziale, proponendo in maniera totalmente decon-
testualizzata il pezzetto di edificio messo in vendita o il francobollo di giardino frutto della speculazione attuata da chi costruisce e non abita. Cartelloni con edifici illuminati da un sole radioso, rigogliose alberature, orizzonte infinito e cielo terso, solo abitazioni “prestigiose e signorili, eleganti, esclusive” per chi ama la “tranquillità, il verde, la campagna”, ma cerca allo stesso tempo la “comodità dei servizi, a due passi dalla città”, chiaramente l’ingresso sarà “completamente indipendente”, con impianto di “riscaldamento autonomo”, ascensore privato, e il giardino definito “esclusivo”. “L’abitare segregato si traduce in termini sociali nell’atrofizzazione e incuria per gli spazi pubblici, per tutto ciò che è interstiziale rispetto ai paradisi prvati. Non vi è pianificazione di servizi comuni, tutela del bene pubblico, progettazione adeguata di infrastrutture. Ovunque l’espansione privata mette fine agli scenari condivisi, agli spazi promiscui, contestuali, in una parola al paesaggio inteso come tessuto connettivo, come opera narrativa in cui trovare il proprio contesto identitario.” Mauro Varotto “Abitare tra le isole del Veneto centrale”
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LE ISOLE COMMERCIALI
Gli outlet oramai costituiscono una solida realtà in tutto il territorio nazionale, se non europeo, ed in particolar modo mi riferisco agli outlet village, alle città outlet che riproducono una struttura con piazze, strade, portici, lampioni ed arredo urbano, bugnato sui muri esterni, tegole e aperture che riprendono, secondo le dichiarazioni dell’azienda , i caratteri architettonici e le tecniche costruttive del luogo, ma che appaiono poi, come nel caso dell’outlet preso in esame, come una cittadina rinascimentale toscana catapultata nel bel mezzo della campagna veneta. Tutto questo ha un legame con la politica che da almeno trent’anni viene seguita nelle città italiane, anche le più piccole, a tutela dei centri storici. Se è vero che sono un patrimonio incredibile della nostra cultura, è altrettanto vero che spesso sono stati congelati in una dimensione atemporale. Sono stati fissati in un tempo rigido che non tiene conto delle stratificazioni successive, e le funzioni che nel tempo si sono evolute sono state stravolte. Ed è proprio qui che comincia l’attività di questo genere di outlet, che lavorano su questa linea di demarcazione divenuta inesistente tra centro storico e finzione. Vi è stato un tempo in cui i grandi outlet village volevano assomigliare ai centri storici , oggi siamo giunti al paradosso che i centri storici vedono gli outlet village come un modello da imitare, ma comunque con caratteristiche che un centro storico non potrà mai avere, comodo parcheggio gratuito, selezione della gente che lo frequenta non dichiarata ma inevitabilmente attuata dalla tipologia di merci offerte, e un posizionamento
nel territorio studiato ad hoc per poter accogliere un bacino d’utenza di scala interregionale, come è possibile leggere nell’intervista al direttore che segue nelle pagine successive. Per complicare la già difficile situazione delle persone, una linea di autobus pubblica, ferma all’interno del parcheggio prvato dell’outlet, andando definitivamente a oltrepassare la linea di demarcazione tra centro commerciale camuffato da centro storico, disorientando ancor di più i cittadini già in stato confusionale. Anche questa tipologia quindi non contribuisce alla costituzione di un nuovo modo di abitare, o meglio, lo propone per una porzione ben definita di collettività, non ponendo rimedi o alternative valide alla risoluzione della fragile situazione nel contesto in cui si trova. Non c’è piu confine tra il vero e il falso centro storico, così che il vero si trova ad inseguire cercando di emulare il finto, perdendo quelle che sono le sue peculiarità di luogo fatto per la vita, profondamente alternativo dai non luoghi.
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Cartella stampa esplicativa del prigetto architettonico dell’outlet
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Intervista al direttore del Veneto Designer Outlet Com’è stata individuata la collocazione dell’outlet? Vengono fatti degli studi sulle aree disponibili in base alla collocazione delle licenze, nel senso che a prescindere dal fatto che si siano collegamenti, autostrada, strada a scorrimento veloce, mcarthur glen sceglie sempre un autostrada,o uno sbocco vicino l’autostrada, o il piu possibile vicino. Dev’essere anche una zona dove il piano regolatore consente un certo numero di metri quadri, un bel pò, di licenze commerciali, quindi è la somma di questi due o tre parametri, ma il parametro piu grande è che ci sia da prg la possibilità di avere le licenze per i metri cubi o quadri che servono, e una viabilità il più possibile frequentata. Sulle caratteristiche costruttive, sono state date direttive specifiche dall’ head quarter? E’ direttamente lo studio d’architettura che si occupa delle ricerche stilistiche? Si, vengono date delle indicazioni di massima, loro fanno una serie di sviluppi di stili stilistici, la presentano al board, e il board poi decide, in realtà poi anche durante, tra la fase uno , che è quella che stiamo vivedendo e quella che stiamo costruendo ci sono altre modifiche che il presidente, il board fanno in corso d’opera, però diciamo che è lo studio che presenta una serie di proposte in base agli stili locali del posto dove nasce. Crede che ci sarebbe stata una diversa risposta da parte del pubblico se l’outlet fosse stato costruito senza richiamare l’architettura tradizionale veneta? Non abbiamo la possibilità di smentita su questo, ci sono degli outlet che nascono... Ce ne è uno che sembra un’astronave che sta mi pare a Colungo e funziona bene lo stesso, molto dipende dai contenuti. Questi ,dice mostrandomi delle fotografie, sono alcuni esempi, questo in Olanda, richiama non tanto Amsterdam perchè è abbastanza lontano, ma i paesi o comunque le cittadelle che stanno vicino, lo stesso questo dell’ Austria. Poi ce ne sono alcuni su cui non è stato possibile giocare piu di tanto, perche per esempio soprattutto i primi, nel nord dell’ Inghilterra sono chiusi, sono piu simili ai centri commerciali, perche li piove 10 mesi l’anno, fa freddo quindi non sarebbe cosi divertente. E quindi quelli nella maggior parte dei casi sono sempre chiusi, però magari sono fatti nei posti strani, ce ne è uno che è fatto dentro una ex stazione dei treni, un’altro in un ex fabbrica quindi si cercano non dei centri commerciali veri e propri ma dei luoghi anche un po più simpatici.
Questo luogo viene utilizzato anche per lo svago? si si, c’è il parcheggio gratuito, comodo, qui il posto piu vicino per trovare dei bar con dei tavolini è San Dona di Piave quindi puo essere anche una proposta per fare una passeggita in un posto diverso, i bambini possono stare tranquilli, senza il problema delle macchine, quindi... Come ha reagito la municipalità all’apertura dell’outlet? Beh bene, perche se la municipalità non avesse concesso i metri quadrati non avremmo aperto. E i commercianti? Non , non... Mai bene, i commercianti extra, quelli che stanno al di fuori dell’outlet mai bene, perchè se la torta è di una certa dimensione, è evidente che... Allora quello che fa mcarthur glen è di spiegare che noi non apriamo queste strutture per i clienti di Noventa, i clienti di Fossalta,i clienti di San Dona di Piave, non avrebbe un senso in termini economici, noi richiamiamo gente da trento, da verona, da belluno, che mai verrebbero a San Donà di Piave. Bacino d’utenza? Noi lo misuriamo ad isòcrone, o isocròne, e arriviamo a quasi sei milioni di potenziali clienti a 90 minuti di auto da qui. poi bisogna togliere bambini, i pensionati, carcerati, le suore. C’è anche chi ci mette due ore a venire, ma poi non è piu considerato nell’area gravitazionale dell’outlet. L’ outlet attrae anche molti turisti giusto? Certo, perche situato in prossibità dell’autostrada che la gente del nord, tedeschi, austriaci fanno per andare al mare, a Jesolo. Tenga presente che ora, la settimana prossima, c’è una festività in germania che può essere paragonata al nostro ferr’agosto, e per due settimane nessuno lavora e jesolo verrà presa d’assalto, di conseguenza anche qui avremo molti turisti provenienti dalla Germania.
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frame dal video dell’intervista
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LE ZONE INDUSTRIALI
Le zone industriali, come precedentemente accennato, sono quelle che nella mia ricerca hanno dimostrato di poter avere un ruolo importante nella costituzione del nuovo Veneto, in parte anche perchè il loro numero e la loro connotazione negativa diffusa, ci obbliga a porci delle domande su cosa accadrà. Allo stesso tempo, queste aree dalla bassa qualità architettonica intrinsecamente possiedono delle vie di fuga che possono risultare fondamentali in questo delicato momento. Non dimentichiamo poi che oltre lo sviluppo economico, anche quello sociale si è fatto nei capannoni, che questi spazi che hanno osteggiato il territorio, modificandone definitivamente l’aspetto, devono acquisire ora nuovo senso, moderando il difficile convivere della produzione con nuove funzioni a servizio della collettività, dei bisogni delle genti di questo territorio, e delle città che queste abitano. Genti, che come il paesaggio in questione hanno cambiato fisionomia negli ultimi anni, che all’interno delle aree di cui sto parlando vanno a comporre una classe sociospaziale ampia e variegata, composta da differenti classi socio-economico-culturali. Le municipalità sono sensibili a questi cambiamenti, i piani di assetto territoriale cominciano
ad intendere le aree produttive come possibili nuovi scenari di vita urbana, così come la provincia di Treviso dichiara con il nuovo piano territoriale di coordinamento provinciale. Le zone industriali, sono aree in cui sono stati concentrati importanti sforzi pubblici, e in cui grandi capitali ancora risiedono, e devono essere messi in stretta relazione con il sistema ambiente, inteso come umano, naturale, spaziale ed economico, cercando così di far cambiare l’idea negativa che persiste su queste aree, e farle diventare parte integrante e propositiva del paesaggio Veneto contemporaneo.
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Estratti di documenti comunali e provinciali riguardanti il futuro delle aree industriali in veneto:
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Estratto dall’allegato del piano territoriale di coordinamento provinciale: Progetto n.30 – Studio per la verifica di fattibilità dell’inserimento all’interno delle aree industriali dismesse, non utilizzabili per altri scopi, di allevamenti zootecnici e serre. Attualmente nel territorio agricolo della Provincia stanno sorgendo numerose serre per coltivazioni selezionate. Queste determinano, particolarmente quelle fisse, problemi di carattere ambientale, in particolare per gli aspetti paesaggistici e per possibili inquinamenti. Le attività in serra, così come gli allevamenti agricoli, sono attività che possono essere considerate intensive e come tali associabili ad attività produttive; ne consegue che esse, se realizzate e concentrate in aree idonee, limiterebbero l’impatto nei confronti dell’ambiente. Allo scopo potrebbero essere utilizzate le aree industriali, di piccole dimensioni, identificate dal PTCP come non ampliabili, che sono ubicate lontano dalla residenza e presentano una viabilità di accesso carente. Localizzando nelle stesse aree serre ed allevamenti si verrebbe ad avere: •per le serre una sorgente di riscaldamento comune, magari realizzata con una centrale utilizzante biomassa prodotta dagli allevamenti; •per gli allevamenti un impianto di depurazione centralizzato con digestore anaerobico; •impianti di irrigazione utilizzante acqua piovana trattenuta in vasche centralizzate; •smaltimento dei residui secchi in loco (eventuale impianto di compostaggio); •sistemi centralizzati di produzione di energia elettrica etc.. All’interno dell’area potrebbe essere realizzato un presidio sanitario per il controllo della salute animale etc…Una operazione di questo tipo presenta una serie di problemi, quali i costi dei terreni, la definizione della compatibilità delle dimensioni delle strutture degli allevamenti, la compatibilità delle specie che possono essere associate.
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La ricollocazione di capannoni edificati in tempi recenti su aree non predisposte o non adeguate in aree industriali su cui c’è pressione di mercato, andrà ad attuare una rigerarchizzazione insediativa ed una riqualificazione ambientale, e questo può valere ad una scala sia micro che macro. Le attività che si andranno a ricollocare potranno occupare anche porzioni di capannoni, sfruttando una nuova accessibilità offerta dal progetto che rende più permeabile il tessuto della zona industriale.
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Intervista al proprietario di una media impresa presente nell’area industriale di Vittorio Veneto Quando nasce la zona industriale di Vittorio Veneto? I primi insediamnti risalgono al 1975 , i Bellotto, di fronte al campo di aviazione, e l’altro Camerin, un falegname venuto dal canada, mi ricordo che il prete diceva che un nostro paesano era andato in canada a far fortuna, tornato qua e aveva messo in piedi un attività ed era considerato un pioniere. L’industria in cui ci troviamo è una delle più recenti giusto? Si questa è del 98, trasferiti nel 98, preso l’area dal comune e fatta su nuova, fatta in due tempi, questo è il primo, e nel 2006 l’altro,e la cosa bella è che dal punto architettonico è simile, materiali buoni, latterizio tradizionale, di qualità per cui sembrano fatti nello stesso periodo nonostante siano costruiti con 8 anni di differenza. Come si presenta la situazione ora? Di capannoni c’è un surpuls di capannoni, l’era di costruire capannoni è finita, grosse produzioni non ne faremo più qui, ne abbiamo in eccesso. Bisonga capire in futuro come riciclarli. Basta guardarsi in giro e siamo circondati da cartelli affittasi, tutti in cassa integrazione. Il problema è che è successo un cambio epocale nel giro di tre anni, ti spiego un altro dettaglio, noi avevamo preso a fine 2006/7, le aree erano introvabili, costvano tantissimo, adesso siamo qui, dice disegnando, con 20000 mq di terreno, affianco c’era quest’area che era a destinazione impianti sportivi, un po rischiando , un po parlando con il comune l’abbiamo presa,33000mq, e abbiamo fatto di metà capannone la zona carico, logisticamente perfetta per l’ingresso dei camion e per connettere i due capannoni con un nastro trasportatore che connette la produzione allo stoccaggio. L’area rimasta che era preziosissima, di cui abbiamo ottenuto il cambio di destinaizione, sarebbe per ipotetici sviluppi futuri, ma in italia non ne faremo piu, se avremo fortuna di crescere, dovremo far le fabbriche fuori dall’italia per svariati motivi, fra quello e in piu che il mecato chiede quello che chiede , secondo il mio punto di vista le zone industriali sono destinate a ridimensionarsi. Anche se ho visto che nella parte posteriore alla permasteelisa ci sono nuovi capannoni. Quelli sono li da anni, e sono fermi, anche una volta facevi
capannoni a scopo speculativo, ma uno fa su capannone, faceva un leasing, lo dava in affitto, con quello che prendeva in affitto prendeva il 70/80 percento del leasing, si capitalizzava, con lo sgravio fiscale sul leasing e alla fine la sitauzione era vantaggiosa, ora che il fenomeno si è bloccato se lo fai rimane li fermo. So che avete costruito un asilo tra industriali dell’area. si, anche li, un cambio epocale, l’abbiamo fatto sei sette aziende, ci siamo autofinanziati per dare un servizio ai dipendenti, dando anche vantaggi sull’orario, risultato che quando siamo partiti c’era necessità, poi con la burocrazia, le cose sono andate per le lunghe, e quando l’asilo è stato pronto non c’erano piu figli da metterci dentro, tanti extracomunitari sono andati via, la crisi e la gente cerca di risparmiare, fatto stà che adesso l’asilo è vuoto, ci siamo visti costretti a riciclarlo, e darlo all’ente asili, aprendolo a tutti. Prima era destinato solamente ai dipendenti di chi lo ha finanziato, ed ora aperto a tutti perchè i costi fissi ci sono comunque, e se non ci sono bambini, non c’è gente che paga la retta e chiudi in rosso e per cui bisogna sanare i debiti e quindi lo abbiamo aperto a tutti.Viene patrocinato da unindustria che fa da rganizzatore, ha trovato sette aziende disponibili a finanziarlo e... vedi come cambia il mondo, tre quatto anni fa, il rapporto richiesta manodopera e disponibilità, pendeva da una parte, si trovava solo manodopera di bassissima qualità, extracomunitari che non sapevano fare nulla e dovevamo metterli in fabbrica e immagina con che risultati, in tre anni non solo non abbiamo piu bisogno di extracomunitari, ma le aziende non hanno piu bisongo di persone, c’è un surplus di gente anche del luogo. Carniel, Irinox, non parliamo della Sipa 600 persone in cassa integrazione, l’azienda dovrà ridimenzsionarsi del 20 30 %, il rapporto domanda oferta personale si è capovolta, poi c’è tanta genta che delocalizza .Chi deve essere veramente competitivo, la competizione la trova fuori dall’ Italia, un nostro amico che fa cablaggi per elettrodomestici ha dovuto aprire un aziendina in tunisia, e lui i prezzi non fa più quelli italiani con lavoro in Tunisia incremento così i margini, assolutamente no, fa i prezzi della Tunisia per portarsi a casa il lavoro. E una altro problema è che la flessibilità non c’e, il sindacato non ti da un minimo di flessibilità e questo è un limite, le aziende hanno delle stagionalità, ma le aziende sono costretta a tenere fisse le ore di lavoro e questa è un ingessatura che sta stretta. Anche con la vostra impresa sentite di questo problema? no, noi abbiamo una fortuna che innanzitutto la nostra stagionalità è non eccessiva, inoltre abbiamo un capannone di 15000 mq, 7500 su due piani, dove stocchiamo il materiale finito e compensiamo alti e bassi, ma per far questo ci vuole spazio, capacità finanziaria, per comprare lo spazio, fare il capannone e parcheggiare il meteriale. Ora le modalità che vanno di piu sono quelle just in time, per cui, produzione snella, come arriva l’ ordine lo metti in produzione e il prima possibilie lo carichi sul camion, ma se arriva da fare il doppio lavoro della capacità produttiva come fai a farlo senza straordinari, e nel momento di minor richiesta, cosa fai a fare ai dipendenti. Questo è un limite se non c’è lavoro.
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Secondo la ricerca svolta dalla provincia di Treviso “QUAP” svolta nel 2006 , si riscontra una necessità di residenze temporanee per lavoratori, e centro ricerche. E’ vero ,c’era una società, che aveva in progetto di fare una foresteria, per alloggiare soprattutto extracomunitari, ma non è piu stata fatta non perche abbiamo cambiato idea, ma perche non c’è piu necessità, chi si è integrato ha portato la sua famiglia, ha trovato appartamento, e gli altri sono tornati a casa. Che altri servizi serivrebbero Una banca sarebbe utile, per non andare sempre in giro, anche se ora con l’home banking si è risolto anche questo problema, Aldo, il barbiere, mi diceva che aveva intenzione di metter su un negozio per lavorare nelle pause, perche la gente ha pausa dalle 12 alle 2, e lo sfrutta per far qualcosa di utile. Poi un altra cosa che sarebbe utlie, anche in visione di quello detto dal pat, dei collegamenti di trasporto pubblico, dei tram, c’è un ragazzino disabile che non puo avere la macchina ed è un disagio per lui, anche in ottica del risparmio energetico, di inquinare meno, di intasare meno le strade, qui non c’è tram, solo un pulman di linea vittorio treviso e si ferma sul menarè. Leggevo che c’è in programma di aprire un nuovo parcheggio in zona... Non sappiamo dove, probabimente è un problema della Permasteelisa , perche quando fai un capannone è norma fare un tot di parcheggi privati e pubblici, in base ai meti quadri del capannone, poi li è successo tutto un casino, perchè quella era
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area destinata agli artigiani, ed improvvisamente è stato dato all’industria, che non è neanche di Vittorio tra l’altro, è di Conegliano, ed ha costruito con un coefficiente elevatissimo senza parcheggi, infatti mettono le macchine dentro i vigneti... Vi state interessando alla sostenibilità dell’azienda? certo, è vantaggioso, perche tu fai un finanziamento e devi avere un rientro economico, tutto si basa su quello. Fino a due anni fà, tre, c’erano due aspetti negativi che facevano in maniera che la cosa non fosse favorevole, i pannelli erano costosi, ora i costi sono crollati, e quello del denaro è bassissimo, per cui prima il tempo di ammortamento dello stesso pannello era di 10 11 anni, ed ora si aggira sui 6 / 7 anni. Qui abbiamo fotovoltaico su uno dei due capannoni ed ora lo faremo anche sull’altro, abbiamo fatto un finanziamento bilanciato, vale a dire quello che rende pari pari paghiamo il finanziamento, per cui è un finanziamento in equilibrio, poi quando ho estito il costo ho tutto guadagno. Con il nuovo impianto che faremo arriveremo al 50 % del fabbisogno. Il probelma dell energia dipende poi da azienda ad azienda, per noi non è determinante.
IN cosa succede all’interno
E’ un immagine quella delle pagine precedenti, a cui purtroppo ci siamo già abituati: capannoni nuovi di zecca con cartelli che recano la scritta “Vendesi”o “Affittasi”. Le fabbriche chiudono e le zone industriali si riempiono in maniera crescente di fantasmi. Nel 2001 viene approvata una legge, Legge 383 del 18.10.2001 (gazzetta ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001), concosiuta anche come Tremonti bis, che di fatto assegnava incentivi fiscali alle aziende che investivano in “beni strumentali”, detassandoli per importi superiori a quelli degli anni precedenti. Di qui una convenienza da parte dei proprietari di azinede a costruire anche senza la vera necessità. Questo trend non si è poi bloccato con l’avvento della crisi economica, molti capanoni, come questo in foto, non sono mai stati conclusie e probabilmente mai verranno ultimati, visto che si è continuato a costruire anche per tutto il 2009 per la semplice ragione che le licenze ottenute stavano per scadere e per non perdere l’occasione sono stati comunque aperti i cantieri. Ora, partendo da questo presupposto, e ben conscio che questa è ormai è la realtà del territorio Veneto, non ci resta che cercare di “Far passare elementi giudicati molto negativi in molto positivi, sia attraverso il loro rovesciamento sia attraverso la loro esagerazione, significa provocare un’evoluzione inversa a quella del disincanto che ha conosciuto un luogo” (Jean Nouvel). La bassa definizione di queste architetture, può giocare in questa fase un ruolo decisivo, quello che Koolhaas in Delirious New York definisce “Il bene della non qualità”, che lascia cosi ampi margini di modifica e interazione con il maufatto.
I capannoni si possono definire massimamente e minimamente architettonici allo stesso tempo, sempre continuando a citare Koolhaas: massimamente per quanto rigaurda la dimensione, completamente differente da qualunque altro edificio esistente in zona, e minimamente per la facilità con cui può esso perdere la sua autonomia, la sua funzione, caratteristica data appunto dalla “bassa definizione” dell’edificio, e potendo sfruttare cosi la sua bassa qualità per adattarlo a nuovi utilizzi, nuove funzioni, rigerarchizzazioni e eventualmente un relativemente rapido smantellamento.
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italia italia m
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x 1000 m
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veneto
x 1000 m
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provincia di treviso
x 1000
= = =
17,6
= = =
24,6
= = =
28,8
Estratto dalla Legge 383 del 18/10/2001:
3. L’incentivo fiscale di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle imprese e ai lavoratori autonomi in attività alla data di entrata in vigore della presente legge, anche se con un’attività d’impresa o di lavoro autonomo inferiore ai cinque anni. Per tali soggetti la media degli investimenti da considerare è quella risultante dagli investimenti effettuati nei periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge o a quello successivo, con facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore. 4. Per investimento si intende la realizzazione nel territorio dello Stato di nuovi impianti, il completamento di opere sospese, l’ampliamento, la riattivazione, l’ammodernamento di impianti esistenti e l’acquisto di beni strumentali nuovi anche mediante contratti di locazione finanziaria. L’investimento immobiliare è limitato ai beni strumentali per natura.
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Questo questionario è stato distribuito in diverse aziende inserite nella zona indstriale di Vittorio Veneto. Agli ingressi e nelle aree caffè ma purtroppo non ha avuto buon esito inquanto nemmeno uno è stato compilato.
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Come si può notare dalle immagini precedenti, il riutilizzo dei capannoni dismessi è gia cominciato su iniziative private che con piccoli accorgimenti sono stati in grado di fornire una nuova funzione a strutture precedentemente rimaste inutilizzate. Qui di fianco propongo differenti ipotesi di riutilizzo di queste strutture, in base alla loro collocazione nel territorio si potrà procedere con diverse strategie, smantellazione sommaria o totale nel caso di aree industriali inserite in contesti non urbani, o rifunzionalizzazione, rigerarchizzazione interna o ampliamenti esterni nel caso di aree industriali individuate dai piani di coordinamento territoriali, e predisposte per ipotetiche espansioni. Mediante l’inserimento di nuovi percorsi collocati tra le fabbriche, si permetterà l’inserimento all’interno di esse magari con una parziale occupazione dello stabile, di attività minori, ma fondamentali alla collettività come pittori, autocarrozzerie, impiantisti o piccole imprese edili. Saranno aperti cosi nuovi fronti e una nuova struttura distributiva all’interno dell’area industriale.
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OUT cosa succede all’esterno
Le zone industriali offrono una dimensione spaziale altra, non consona alla vita di città. Spazi di dimensioni molto maggiori alla piazza del paese, ampie superfici impermeabili, spazi “tra”, incompresi, vaghi. Sta proprio nella loro vaghezza la loro peculiarità e qualità. In superfici dove sembrerebbe che l’unica parte presa in considerazione siano gli interni dei capannoni, spazi destinati alla produzione, e l’esterno sia solo di collegamento verso una prossima destinazione, si scopre che invece le cose stanno cambiando. La gente sta attuando una lenta appropriazione dal basso di questi spazi. I finesettimana offrono superfici deserte, dove giocare con le macchinine telecomandate, correre con le minimoto, ma anche fare jogging, passeggiare con il proprio cane, o andare a giocare a tennis o calcetto nel centro sportivo che si trova al suo interno oppure in piscina durante il periodo estivo, ad ascoltare musica dal vivo fino a tardi, o guardare gli eventi sportivi di maggior interesse pubblico come i mondiali di calcio. Un’area in evoluzione quindi, che nonostante la collocazione decentrata rispetto alla città, nonostante i collegamenti pubblici imperfetti se non assenti, è viva, e comincia a contenere attività che si differenziano da quella che è la mera produzione. Si stà definendo quindi una porzione di territorio che potremmo definite non urbano, ma certamente urbanizzato. E stà proprio qui probabilmente l’aspetto piu positivo ed innovativo nel modo di vivere il paesaggio. Queste persone che stanno utilizzando quest’area come un luogo di servizio, utile al fine della collettività, stanno compiendo quei primi gesti, primi segni, indizi che precedono il cambio
anche fisico spaziale dell’esistente. Come architetti, urbanisti o paesaggisti dobbiamo essere estremamente attenti a questi segnali di cambiamento, ed essere in grado di non forzarli o indirizzarli troppo verso una direzione voluta, o sperata, ma essere in grado di realizzare un progetto che possa entro certi limiti adattarsi e modificarsi ad esigenze della collettività, dando però dei punti fissi ed inalterabili,consentendo una crescita non completamente programmata, ma con margini di adattabilità.
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Dopo i primi tentativi di comunicazione con i camionisti purtroppo falliti, con l’aiuto di amici che conoscono la lingua Serba,Ceca, e Rumena ho stilato questo piccolo testo, spiegando la mia ricerca ed i miei intenti, ottenendo così da loro una maggior apertura e disponibilità al dialogo sugli spazi della loro quotidianità.
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URBANITA’ RURALITA’ NATURALITA’ tre parole per un nuovo paesaggio
Sono le tre parole su cui ho ragionato durante lo svolgimento di questo progetto, sono tre parole, tre scale di lavoro, tre diversi materiali su cui confrontarsi. La fertilità dei continui passaggi di scala, l’associare queste tre parole ad altre come pubblico, inteso come territorio, la popolazione, il collettivo, la macroscala, e il singolo, la micro scala, mi hanno portato a pensare al progetto come ad un impasto, un insieme di elementi che messi insieme si amalgamano tra loro, facendo si che “un elemento si estenda sui successivi, in modo che esso diventi un tutt’uno, e i successivi le sue parti” direbbe Deleuze. Un progetto che dunque non ragioni su processi conclusi, ma “accettando di attivare l’azione di amalgama dei diversi materialiterritoriali, sfruttandone il potenziale trasformativo, per essere parte del processo di trasformazione senza per questo volerne controllare gli sviluppi, accettando cioè che sia il paesaggio ad estendersi su ciò che viene introdotto.” Paolo Ceccon. Dell’urbanità ne è gia stato discusso in maniera esaustiva nei capitoli precedenti, nella pagine seguenti verranno esplicati metodi di intervendo rigaurdanti le due connotazioni restanti.
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La ruralità è da me intesa come la cura della terra. Le aree produttive sono grandi superfici per la maggior parte della propria estensione impermeabili, quindi con un adeguato sistema di raccolta delle acque, e soprattutto con dei bacini di stoccaggio adeguati, le zone industriali possono acquisire connotazione positiva, come grandi imbuti di raccolta delle acque meteoriche che potranno poi venire riutilizzate nei momenti di bisogno per le coltivazioni ancora presenti negli immediati dintorni dell’area. Nel mio specifico caso è stata individuata una cava dismessa, attualmente in stato di abbandono che potrà essere utilizzata come dispositivo di raccolta ed accumulo dell’acqua precedendemente caduta sulla superficie impermeabile della zona industriale e adeguatamente condotta fino a questo punto di raccolta.
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piovosità normale
piovosità eccezionale
gli spazi dell’acqua
l progetto si propone tre obbiettivi importanti, una riqualificazione ambientale che fa parte di u ragionamento su scala territoriale, sfruttare la superficie impermeabile della zona industriale assicurando acqua all’agricoltura nei periodi estivi e di siccità, e rendere la zona industriale una sorta di spugna, aumentando la ritenzione indrica temporanea attraverso una serie di interventi puntuali, per rallentare l’afflusso di acqua piovana alla rete di scarico in momenti di elevata piovosità.
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La naturalità, ovvero un processo appartenente ad una temporalità altra, può sfruttare degli elementi esistenti come in questo caso un canale di proprietà dell’enel, quindi regimentato e limitato da aree inaccessibili, per riattivare collegamenti e corridoi ecologici altrimenti inesistenti. Accostando a questo asse principale delle aree adeguate, il corridoio ecologico puo espandere i propri confini, penetrando all’interno dell’area ed acquistando sempre piu spazio ed importanza.
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La piccola stazione sulla linea ferroviaria diretta a Conegliano vuole sottolineare il dialogo tra persone ed acqua, tra paesaggio e società. Funge infatti essa stessa da raccoglitore d’acqua piovana, convogliandola in una zona umida appositamente progettata come spazio vivibile. La stazione permette inoltre una visione delle campagne che esistono oltre il limite fisico costituito dalla ferrovia, campagne che nel periodo estivo sfrutteranno l’acqua immagazzinata grazie alle superfici impermeabili della zona industriale per l’irrigazione. Si è cercato così di riassumere con un gesto architettonico tutti i ragionmenti effettuati a scala più vasta, cercando di raggiungere quindi quella condizione sopracitata in cui un elemento si estende sui successivi, in modo che esso diventi un tutt’uno, e i successivi le sue parti.
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Il ruolo del paesaggio nella gestione del territorio è sempre piu una necessità. Il territorio veneto negli ultimi 30 anni si è trasformato molto piu profondamente di quanto non abbia fatto nel corso di tutti i periodi storici precedenti, ed è quindi con piena legittimità che rivendico il ruolo sociale del paesaggio. Di certo non mi prefiggo di salvare il Veneto con questo mio esercizio, ma come ben descriveva Michel Desvigne, “Si potrebbe dire che ci troviamo nel ruolo di un imbianchino costretto a dipingere una casa di dieci piani con un solo barattolo di vernice. In una situazione del genere, sarebbe disperante e ridicolo porre mano ad un lavoro globale: conviene utilizzare il barattolo di pittura in altro modo.” Bisonga quindi prendere coscenza che non saremo noi a salvare il paesaggio veneto, ma cercare di essere in grado di fare dei progetti che fungano da catalizzatori, da rilevatori, da fermenti per un futuro sviluppo, perchè qualsiasi tentativo di restaurare, conservare le strutture desuete di un paesaggio le cui pratiche sono mutate, serve soltatno ad accentuare i sensi di colpa e l’inevitabile divario fra necessità e giudizio estetico.
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