DIORAMI - Impronte d’argento e di vita, teatro ed arte - Tania Palazzi

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DIORAMI Tania Palazzi

9 aprile - 8 maggio 2022 Museo Nazionale della Fotografia di Brescia A cura di Gabriele Chiesa


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Catalogo delle opere Diorami - Tania Palazzi A cura di Gabriele Chiesa 9 aprile - 8 maggio 2022 Museo Nazionale della Fotografia Cinefotoclub Brescia Orari di apertura: martedi, mercoledi, giovedi dalle 9 alle 12 sabato e domenica e festivi dalle 16 alle 19 Ingresso visitatori: da Contrada del Carmine 2F, accanto alla Chiesa del Carmine Segreteria: Via San Faustino 11/d - 25122 Brescia (Italia) Tel: 03049137 E-mail: museobrescia@museobrescia.net website: https://www.museobrescia.net/it/ Testo ed immagini © 2022 by Tania Palazzi


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PRESENTAZIONE Il Museo Nazionale della Fotografia – Brescia è espressione del Cinefotoclub di Brescia, nato nel 1953. I materiali raccolti nelle sale espositive raccontano la storia della fotografia e del cinema, dagli albori dell’invenzione ad oggi, attraverso apparecchiature fotografiche e cinematografiche, materiali storici, originali fotografici ed accessori, iniziando dai primi esperimenti fino ai giorni nostri. Nelle due sale mostre del Museo si susseguono ogni mese esposizioni dedicate alla produzione di autori nazionali e internazionali. Dal 2013 inoltre è stata creata la sezione espositiva “La mostra nel cassetto”, uno spazio espositivo che accoglie e rende fruibili al pubblico alcune fotografie conservate nell’immenso archivio del Museo. Nel corso degli anni si è aggiunta la sezione “Spazio Soci”, dedicata a piccole mostre personali. Dal 2020 una sezione espositiva è dedicata alla storia dei processi fotografici ed agli artisti visuali che si esprimono attraverso la reintepretazione dei processi analogioci storici. La Biblioteca foto-cinematografica permette la consultazione di circa 8.000 volumi di argomento fotografico e cinematografico. Il Museo custodisce importanti fondi fotografici storici che si arricchiscono progressivamente di stampe, lastre e pellicole, grazie ad acquisizioni e donazioni di archivi privati e di prestigiosi studi fotografici. L’ingresso al Museo è libero e gratuito. Sito web del museo, con tutte le informazioni, contatto, n. di telefono e gli orari di apertura: https://www.museobrescia.net/it/ facebook: https://www.facebook.com/MuseoFotografiaBrescia youtube: https://www.youtube.com/c/MuseobresciaNet

LA MOSTRA Tania Palazzi presenta in mostra il progetto fotografico “Diorami”. Visioni di mondi ideali racchiusi in piccoli teatrini di cartone autocostruiti, abitati da personaggi senza volto interpretati di volta in volta dalla stessa autrice che attraverso autoritratti e stampe ritagliate degli stessi, mette in scena sogni, paure, stati d’animo sempre diversi.


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L’ ARTISTA VISUALE TANIA PALAZZI Nel mondo della fotografia una domanda ricorre spesso nella mente di chi si approccia a conoscere questa meravigliosa ed infinita arte, e la domanda è: perché? Perché uso del tempo della mia vita per documentare qualcosa? Perché certe immagini non mi soddisfano? Perché non cambio e mi dedico ad altro? Sono domande lecite, solo chi crede fermamente nella fotografia riesce piano piano a trovare delle risposte, a risolvere gli enigmi che si celano dentro a questi quesiti. Per Tania è successa la stessa cosa. Tania, come tante altre persone che non più giovanissime si avvicinano alla fotografia, è tormentata da queste domande, dall’insicurezza di non riuscire e dalla consapevolezza del non conoscere, ma ha un enorme vantaggio sugli altri: ha scolpito dentro di sé l’umiltà e l’immensa voglia di imparare. È così che incontro Tania ad un mio corso di fotografia; piano piano si capisce che per lei la fotografia non è solo imparare ad utilizzare uno strumento, non è solo capire i rudimenti dell’arte, ma cercare il mezzo per esprimersi, per “guardare dentro un mirino e raccontare il proprio modo di vedere il mondo”. L’inizio è molto difficile, comprende che lo scatto in digitale non riesce a darle le soddisfazioni che cerca; su mio consiglio inizia a conoscere i Grandi Maestri della Fotografia, perché attraverso loro possa trovare la chiave giusta per la “sua fotografia”. Parliamo assieme, tra i tanti, di Alfred Stieglitz, di Edward Steichen, Mario Giacomelli e Francesca Woodman ed in lei qualcosa si accende. È come una vocazione che arriva all’improvviso, parte da dentro e piano piano fa sì che le cose si vedano in una maniera diversa, interpretando la luce, le ombre e il vissuto quotidiano e trasportando il tutto all’interno di un immaginario fotogramma, dove tutto ciò che non si inquadra non esiste, non è mai esistito. Tania capisce che forse è quello ciò che cercava, che forse ciò che non riusciva ad ottenere nell’immediatezza dello scatto digitale lo può trovare con l’alchimia della fotografia in camera oscura, con il giusto tempo da prendersi per “scattare consapevole” e per vederne i risultati, in quell’immenso meraviglioso tempo di attesa e di paura per l’esito finale.


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Comincia a fare domande, cosciente che sarà una strada ancora più difficile di quello che immaginava; inizia, sotto un’attenta guida, a sviluppare i suoi primi rulli, commettendo errori ma prendendo piano piano dimestichezza con la chimica, le carte, i filtri di contrasto. Scopre la magia della camera oscura, fatta di luce rossa, di mani che cercano di domare la luce per aumentarne o diminuirne l’esposizione, e diventa consapevole che in quella stanza il mondo è tutta un’altra cosa, che non si entra solo per sviluppare o stampare, ma si entra in una dimensione nuova, “personale”, dove si cerca, forse, quello che fuori non c’è, o che fai fatica a trovare. Iniziano così i suoi primi progetti importanti, mentre aumenta sempre più la conoscenza non solo del mezzo ma anche della stampa fotografica. Con gli anni abbandona progressivamente il digitale per immergersi solo ed esclusivamente nella fotografia analogica. Comincia a ricevere le prime soddisfazioni ed i primi riconoscimenti. Ancora oggi, a volte, Tania si chiede se ciò che sta facendo sia corretto e non mancano momenti di confronto nei quali cerco di rassicurarla, mostrandole il percorso da lei fatto finora e spiegandole che deve continuare ad avere quell’umiltà di partenza, perché sia nello scatto che in camera oscura ogni giorno si impara qualcosa, ogni giorno qualcosa inizia a prendere la forma che fino a prima non si immaginava. I suoi lavori oggi raccontano “la vera Tania”, ci permettono di capire la sua grande passione per la fotografia, un amore che spero possa un giorno trasmettere ad altri sia nella conoscenza tecnica, sia nel racconto, facendo innamorare qualche altra persona della magia di una stanza illuminata solo da una luce rossa e di tanto “alchemico incantesimo”. Quando Tania mi ha chiesto, con mio immenso piacere, di scrivere una presentazione per questo suo catalogo, le ho subito eccepito che non mi sarei concentrato sull’aspetto tecnico, ma volevo scrivere qualcosa con il cuore; forse è proprio questo che Tania ricercava nelle mie parole, qualcosa di emozionale di fronte ad un progetto che riesce a far vibrare le corde più profonde. Michele Gregolin


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PROSCENIO La fotografia, nata per descrivere e testimoniare la realtà, spesso nemmeno riesce a raccontarla. Ciò, lontano dal costituire un limite, apre invece l’accesso a nuove realtà creative. Chi fotografa non è un passivo strumento di registrazione obiettiva, ma attore di scelte che offrono visioni. Si fa fotografia solo con ciò che concretamente sussiste davanti alla matrice fotografica che ne rileva l’impronta di presenza. Ci sono però fotografi che registrano, talvolta interpretano, quello che c’è. Ma ci sono anche fotografi che riprendono ciò che creano, che non è mai esistito e che mai potrà prender vita senon attraverso la visione che essi stessi ne hanno offerto. C’è una fotografia che prende, ma ci può essere una fotografia che dà, in quanto nata da una progettualità totale che include la natura del soggetto e dell’ambiente fotografico. La struttura del racconto fotografico comporta di regola l’entrata in scena di uno o più attori che sviluppano la loro perfomance, statica o dinamica che sia, individuale o corale, su un palcoscenico che ne accoglie, inquadra e valorizza l’azione. Talvolta rimaniamo sedotti da palcoscenici incantevoli che ci stregano al punto da spingerci all’irresistibile desiderio di catturarli con uno scatto, anche solo rubato sfiorando lo schermo del cellulare. Ma spesso è vuota, talvolta sublime, bellezza sprecata Splendenti albe, avvolgenti giornate bagnate di luce, acqua o vento, tramonti infuocati o cupi, notti sfavillanti di stelle… si succedono irrevocabilmente, dipingendo d’oro o d’argento mura, piazze, boschi e montagne. Ma quale è la storia? Dove stanno i suoi interpreti? Ciò che conta e dà senso ad ogni cosa è la vita, le persone, le vicende. La fotografia creativa e concettuale spesso mostra ciò che l’artista visuale sceglie di farci osservare, al di là della realtà oggettiva che ci immaginiamo come fenomeno incorruttibilmente autentico, rigorosamente fedele alla propria sostanza. Fotografare sogni o anime significa infrangere le consuete regole della percezione, della relazione tra proporzioni, di tempi, distanze e presenze. Dare forma e corpo ad un’atmosfera significa manipolare profondamente e liberamente la realtà sensoriale, plasmare visioni e generare illusioni, creando pure sensazioni che non sono chiamate a rispondere a nessuna concreta certezza. In questa prospettiva l’artista visuale, la fotografa Tania Palazzi, prende il totale controllo di palcoscenico ed attori, assumendo la regia dei protagonisti e dell’intero ambiente nel quale operano.


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Gli allestimenti in diorama trovano origine storica e culturale nelle macchine prefotografiche e nei teatrini ottici del Mondo Niovo, Poliorama Panottico, Fantascopio, Pantoscopio… fino a giungere al Megaletoscopio di Carlo Ponti, con le sue splendide vedute fotografiche animate dal trascolorare luminoso tra giorno e notte. Alle origini della fotografia sta proprio un Diorama: quello di Louis-Jacques-Mandé Daguerre. Non fu una banale coincidenza. L’invenzione della fotografia nacque anche dall’inevitabile vocazione teatrale, drammatica e talvolta insieme farsesca, della vita stessa; dal desiderio di catturare impronte di luce in una scatola buia; dall’ambizione di poter chiudere e controllare tutto ciò che esiste, persino anche ciò che può essere solo immaginato, in un piccolo contenitore magico dal quale poter poi magicamente trarre figure ed evocare presenze ed atmosfere. I cultori della fotografia stereoscopica conoscono bene gli splendidi lavori in albumina che assumono la forma di raffinate stereo-card tissue francesi, finemente dipinte a mano per la fruizione individuale attraverso i visori stereoscopici. Di sconvolgente bellezza sono le sequenze dedicate a temi religiosi, come la Passione della Settimana Santa, oppure le serie di argomento satirico e fantastico, come Les Diableries, che raffigurano l’Inferno in un teatrino popolato da scheletri ed animato da vivaci danze macabre. I meno giovani ricorderanno i visori stereoscopici View-Master che regalavano la meraviglia della visione tridimensionale a colori di favole, racconti magici, novelle e scene bibliche attraverso artistiche rappresentazioni miniaturizzate. Dai dischetti stereo intercambiabili prendono vita ed azione le figure lillipuziane dei protagonisti che agiscono nel ristretto spazio di un minuscolo teatrino. Forme, colori, luci e sapiente successione di piani riescono a dilatare lo spazio nell’immensità della fantasia degli occhi dei bambini, ma anche dei grandi che sanno vedere. Le maggiori e più famose creatrici artistiche di questi micro-mondi fiabeschi portano nomi femminili e sono le americane Florence Thomas e Mary Lewis. Questa antica tradizione iconografica sta forse alla radice dell’ispirazione artistica di alcune grandi artiste visuali contemporanee. Tra le fotografe più note, le cui opere sono oggi contese da musei d’arte e collezionisti, vanno annoverate almeno due americane, geniali fuoriclasse della creatività. Lori Nix è un’artista che si esprime attraverso la realizzazione di minuscoli diorami che appaiono però come ambienti grandiosi in fotografia. Sandy Skoglund invece, plasma l’incredibile, anche lei sempre interamente con le proprie mani, in ambienti teatrali a dimensione reale.


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Tania Palazzi resta saldamente nella scia storica, culturale ed artistica di questa tradizione che fonde arti plastiche, grafica, teatro, costume, poesia e fotografia. Il suo controllo sull’intera sequenza delle fasi di progettazione e realizzazione artistica è assoluto. Ogni anello della catena, dall’idea iniziale, alla concreta produzione e finitura dell’oggetto fotografico, persino alla sua documentazione e confezione, è curato in modo meticoloso e perfettamente funzionale al valore espressivo ed artistico che l’opera deve assumere. Fotografa, costumista, truccatrice, scenografa, tecnico luci, stampatrice, artigiana poliedrica, disegnatrice, pittrice, coreografa, scrittrice, regista, attrice protagonista essa stessa… in lei si fondono tutti i ruoli di un’arte totalizzante e multiforme, così come venne praticata nelle più prestigiose botteghe dei Maestri rinascimentali. Dal punto di vista fotografico Tania Palazzi effettua le riprese in pellicola medio formato. È sempre lei che cura ogni fase di trattamento dei materiali fotosensibili, fino alla stampa delle figure che dovranno essere ritagliate, composte ed assemblate nell’allestimento del diorama. A questo punto torna ancora in azione la ripresa fotografica che ridefinisce, reinterpreta e ricompone tutti gli elementi scenici che si fondono in una nuova realtà narrativa. Questa forma espressiva è destinata a ripercorrere nuovamente le fasi del processo fotografico argentico tradizionale, dallo sviluppo, alla stampa, fino alla più accurata confezione finale dell’opera. Gli scatti che hanno segnato la storia della fotografia sono praticamente nati tutti da un progetto. Cercati, voluti, costruiti con tenacia. Tania Palazzi non prende quello che trova: sceglie palcoscenico, attori ed azione. La sua narrazione è integrale. Ogni sua storia nasce da un complesso percorso creativo di raffinata artigianalità operativa. I suoi racconti escono letteralmente dalle sue mani. Occhio e fotocamera sono strumento e fase di un processo che unisce cuore ed opera. Si apra il sipario: si va in scena. Gabriele Chiesa


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L’ ARMADIO MAGICO Da bambina, nella mia cameretta, avevo un armadio con grandi specchi all’interno, su entrambe le ante. Ci passavo ore, senza rendermi conto del trascorrere del tempo. Intrappolata tra le due superfici luminose, rimanevo incantata ad osservarmi nel gioco della ripetizione infinita dei riflessi. Restavo affascinata dalla serie infinita di me, che si ripetevano una dietro l’altra, moltiplicandosi nella sequenza interminabile dei piani. Gli specchi rimandavano l’un sull’altro la medesima Tania che affondava perdendosi lontana. Fantasticavo e sognavo, trovando l’effetto ottico davvero magico. Mi studiavo per ore perchè mi sembrava di osservarmi da fuori, di guardare tante diverse versioni di me. Immaginavo che ciascuna di loro vivesse in una dimensione particolare, in differenti epoche, mondi ideali nei quali, se volevo, potevo entrare. Erano tutti diversi e tutti perfetti, tutti adatti a me. Oppure, forse, erano le tante me ad essere adatte a loro. Quando ho scoperto la fotografia ho provato la medesima sensazione: quella di poter entrare in altre dimensioni, di osservare il mondo da altre angolazioni e vederci dentro cose nuove, sempre diverse. Nel progetto che ho intitolato “Diorami” ci sono sogni, ricordi, paure, fantasie e desideri, che in qualche modo ho voluto rappresentare di volta in volta inserendo me stessa in piccoli scenari autocostruiti. È un pò come vedermi di nuovo in quegli specchi. Questa volta però con la possibilità di poter fare un passo ed entrarci veramente. Non sono specchi, non sono scatole, ma un minuscolo oceano spazio-temporale nel quale immergermi e perdermi. Forse dentro ciascuno di noi certe suggestioni ci sono da sempre. Aspettano solo il momento opportuno e la giusta forma di espressione per essere liberate. La fotografia è per me il modo che aspettavano per uscire da quegli specchi. Quello che faccio prima di tutto è scrivere: descrivere a parole quello che vedo nella mente, nella fantasia. Annoto accuratamente tutto su un quaderno o su foglietti volanti che poi custodisco gelosamente: ritagli di frasi, immagini, oggetti, pose fotografiche che suscitano in me interesse oppure emozioni particolari.


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Quando mi sono formata un’idea abbastanza chiara, definisco a grandi linee la scena o la serie che voglio rappresentare. Lo faccio disegnando come mi riesce, cioè spesso non come vorrei saper fare. La base di tutta la progettazione resta una dettagliata descrizione scritta. Decido come vestirmi, quali pose assumere e faccio delle prove in digitale per le pose, perchè facendo tutto da sola non è facile capire se le pose le inquadrature e la luce sono corrette. Quando è tutto pronto uso il cavo per l’autoscatto e la macchina analogica per scattare gli autoritratti necessari, su un fondo neutro. Una volta stampati gli autoritratti in camera oscura, ritaglio le sagome e inizio ad allestire i diorami, a volte costruisco degli oggetti in cartone oppure uso piante secche, tessuti, qualsiasi cosa mi possa aiutare a rendere la scena più interessante, anche piccoli abbellimenti sulle sagome in certi casi, per dare tridimensionalità.


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Qui sotto, alcuni elementi della composizione di un diorama. Per ottererli impiego vari materiali, tra i quali, applicazioni di carta, filo o tessuto sulle varie sagome stampate in camera oscura. Piccoli oggetti sono creati utilizzando cartone, bastoncini di legno e colori acrilici. L’obiettivo non è realizzare scenografie ingannevoli al punto di apparire come autenticamente vere. La fotografia, per sua natura, non è mai sincera. Amo restare sul filo del rasoio, al confine tra illusione e fantastico realismo. In fondo racconto sogni.


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Alcuni elementi di composizione inseriti nel diorama in fase di allestimento. Quando la scena è pronta, mi dedico all’illuminazione che spesso è l’aspetto più difficile da affrontare.


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È per me fondamentale avere chiara l’idea di come funzioneranno le luci nella la scena finale. Le sagome fotografiche devono infatti risultare illuminate in modo perfettamente coerente con l’ambiente nel quale andranno inserite per lo scatto finale. Le sagome fotografiche sono necessariamente bidimensionali, mentre il diorama è tridimensionale, pertanto la luce agisce in modo differente sui vari elementi in scena. Per ottenere un risultato realistico è necessaria la massima cura fino dalla fase della progettazione. Infine eseguo la ripresa finale in pellicola medio formato 6x6.


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Sirena desiderare un cambiamento e immaginarsi libera


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Vorrei permettermi di desiderare un mondo fatto di leggerezza, movimenti lenti e silenzio. Accogliere un cambiamento privandolo della fatica che implica e delle critiche che solitamente provoca. Scivolare su pensieri trasparenti senza ferirsi e immaginarsi libera... finalmente.


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Memorie di una geisha nell’okiya le danze di primavera la fabbrica di kimono nel giardino


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Questa serie è dedicata ad uno dei miei film preferiti, “Memorie di una geisha” di Rob Marshall del 2005. Lascio scritta qui la frase del film che mi ha guidata nella scelta delle immagini, in questa mia visione. “Una storia come la mia non andrebbe mai raccontata, perchè il mio mondo è tanto proibito quanto fragile, senza i suoi misteri non può sopravvivere”.


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Angelo feriscimi perdono resiliente rinascita


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Feriscimi vita, perchè sbaglio, perchè resisto, io mi perdono per questo dolore, ti accolgo e acconsento, anche quando non mi offri leggera gioia, perchè non credo all’esistenza dell’una senza l’altro.


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Cara me ricordati di giocare di sognare di volare


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Parlo con me, per ricordarmi chi sono, per ricordarmi di essere viva, leggera, aperta. Parlo con me, per ricordarmi di giocare e di sognare, per non obbligarmi a crescere solo perchè il mondo mi chiede di farlo. Parlo con me perchè... Te lo ricordi? Da bambina volavi sulle ali del vento...


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Esci a giocare? a mosca cieca con l’hula hoop al tiro alla fune a ruba bandiera


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I pensieri a volte corrono a quel cortile con il cancello sempre aperto, a quelle estati calde, in un quartiere senza alberi. Vedo questi giochi nella mia mente come metafore della mia vita, espressioni di momenti vissuti, quando mi sono buttata ad occhi chiusi nelle esperienze, quando ho gioito in modo così meravigliosamente scomposto che il mondo sembrava girare come una giostra, quando i miei conflitti interiori e le mie incoerenze mi hanno sbilanciata a volte verso il sole, altre volte no, quando entro in competizione con me stessa... chissà poi perchè...


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Inseparabile perdita consapevolezza cura conforto


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Ho creduto di averti perso, poi ho ritrovato nel mio specchio i tuoi occhi e nel mio cuore i tuoi battiti. L’ho capito solo adesso, che la vicinanza e la protezione non sono manifestazioni fisiche che si interrompono alla fine di un percorso, ma sono quella quercia coltivata con amorevole costanza, sotto la quale ci incontriamo per trovare reciproco conforto.


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CENNI BIOGRAFICI Il mio percorso fotografico è iniziato prima da autodidatta. Ho sempre utilizzato la fotografia per catturare idee, intuizioni, particolari che mi colpivano, sempre attratta da oggetti molto piccoli o dettagli apparentemente trascurabili. Poi i primi corsi presso l’Università del Nordest di Camponogara in provincia di Venezia, sotto la guida di Michele Gregolin che ancora mi accompagna nello studio e nella sperimentazione. La scoperta che più di tutte mi ha portata a scegliere di approfondire questo mondo, soprattutto quello analogico, è stato lo studio dei grandi maestri del ‘900. Il passo successivo è stato infatti lo studio della fotografia analogica in camera oscura. L’interruzione dovuta alla pandemia e il primo conseguente periodo di isolamento mi ha dimostrato quanto la fotografia fosse importante per me, tanto che, proprio in quel periodo, ho elaborato il mio primo progetto fotografico intitolato “...9 marzo 2020”. Un “diario collettivo” perché raccoglie i pensieri delle amiche e degli amici che hanno collaborato con un loro contributo. A ciascuno di loro ho risposto con una mia fotografia. Un altro momento importante è stata la partecipazione al concorso internazionale “Contemporary Carte de Visite” perché mi ha fatto scoprire il mondo della piccola dimensione. È stato lo stimolo partendo dal quale ho iniziato ad immaginare i mondi in miniatura con i quali mi confronto ogni giorno. Esposizioni Collettive Carte de visite 2019 Carte de visite 2020 Carte de visite 2021 Soundistortion 2020 - Mira, Palazzo Trecchi - Venezia Positivo/Negativo 2021 - Mira , Palazzo Trecchi - Venezia Esposizioni personali: Diorami 2022 - Villa Loredan , Stra - Venezia www.taniapalazzi.it taniapalazzi.info@gmail.com 3805886532


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INDICE 3

Presentazione, La mostra

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L’artista visuale, Michele Gregolin

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Proscenio, Gabriele Chiesa

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L’armadio magico

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Sirena

22

Memorie di una geisha

28

Angelo

34

Cara me

40

Esci a giocare?

46

Inseparabile

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Cenni biografici

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Indici

N.B. Sotto al titolo di ogni sezione del progetto DIORAMI compaiono i titoli delle quattro opere che lo compongono



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