MEIXIS. DINAMICHE DI STRATIFICAZIONE CULTURALE NELLA PERIFERIA GRECA E ROMANA

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ArchAeologia perusina Collana diretta da Mario Torelli Università degli Studi di Perugia - Dipartimento Uomo & Territorio Sezione di studi comparati sulle societò antiche

1.  Walter Pagnotta, L’Antiquarium di Castiglione del Lago e l’Ager Clusinus orientale. 1984   2.  Enzo Lippolis, La necropoli del Palazzone di Perugia. Ceramiche comuni e verniciate. 1984   3.  Studi della Ceramica Laconica. Atti del seminario (Perugia 23-24.11.1981). (Archeolo­ gica, 66), 1986   4.  Sylvia Diebner, Reperti funerari in Umbria a sinistra del Tevere (I sec. a.C. - I sec. d.C.). (Archeologica, 67), 1986   5.  Aa.Vv., Pompei, Regio VI, Insulae 3-4. Un’analisi storico-urbanistica. (Archeologica, 89), 1990   6.  Aa.Vv., Miscellanea protostorica. A cura di G. Carancini. (Archeologica, 85), 1990   7.  Marco Fabbri, Angelo Trotta, Una scuola-collegio di età augustea. L’Insula II di Velia. (Archeologica, 90), 1989   8.  Aa.Vv., Studi su Siris-Eraclea. (Archeologica, 91), 1989   9.  Studia Tarquiniensia. A cura di M. Torelli e F.-H. Massa-Pairault. (Archeologica, 83), 1988 10.  Claude Vatin, Monuments votifs de Delphes. (Archeologica, 100), 1991 11.  J. G. Pedley - M. Torelli, The Sanctuary of S. Venera at Paestum vol. I. (Archeologica, 104), 1993 12.  Mauro Menichetti, … Quoius forma virtutei parisuma fuit … Ciste prenestine e cultura di Roma medio-repubblicana. (Archeologica, 116), 1996 13.  Luigi Todisco, La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego. (Archeologica, 121), 1997 14.  Raffaella Bonifacio, Ritratti romani da Pompei. (Archeologica, 123), 1997 15.  Dieci anni di Archeologia a Cortona. A cura di C. Masseria. (Archeologica, 129), 2001 16.  Elisa Pellegrini, Eros nella Grecia arcaica e classica. Iconografia e iconologia. (Ar­ cheologica, 149), 2009 17.  Elisa Marroni, I culti dell’Esquilino. (Archeologica, 153), 2009 18.  Françoise-Hélèe Massa-Pairault, Pergamo e la filosofia. (Archeologica, 000), 2010


UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI DIPARTIMENTO DI STORIA, BENI CULTURALI E TERRITORIO

MEIXIS DINAMICHE DI STRATIFICAZIONE CULTURALE NELLA PERIFERIA GRECA E ROMANA Atti del Convegno Internazionale di Studi “Il sacro e il profano” Cagliari, Cittadella dei Musei 5-7 maggio 2011

a cura di

Simonetta Angiolillo - Marco Giuman Chiara Pilo

giorgio bretschneider editore roma  •    2 0 1 2


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CON VIII-256 PAGINE DI TESTO, 24 FIGURE E LXIII TAVOLE FUORI TESTO

Comitato redazionale Simonetta Angiolillo, Marco Giuman, Chiara Pilo

Volume pubblicato con il contributo finanziario di Università degli Studi di Cagliari Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio

ISSN 0391-9293 ISBN 978-88-7689-270-7

Tutti i diritti riservati printed in italy

COPYRIGHT © 2012 by GIORGIO BRETSCHNEIDER EDITORE - ROMA

Via Crescenzio, 43 - 00193 Roma - www.bretschneider.it


INDICE Paolo Xella, Il tophet. Un’interpretazione generale .  .  .  .  .  .  .

p.

1

Marco Giuman, Chiara Pilo, Il kyathos attico. Un vaso etrusco nel Ceramico di Atene .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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19

Marco Minoja, Intorno all’altare. Motivi iconografici sulla ceramica campana a figure nere .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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37

Françoise-Hélène Massa-Pairault, La tomba dei Pigmei a Tarquinia. L’espressione del sacro: una esplorazione preliminare .  .  .  .  .  .  .

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49

Enzo Lippolis, Lo scavo dei santuari di Saturo (Taranto) .  .  .  .  .  .

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65

Ricardo Olmos, Carmen Rueda, Arturo Ruíz, Manuel Molinos, Francisco Gómez y Carmen Rísquez, Imágenes para un linaje: vida, muerte y memoria ritual en la Cámara principesca de Piquía (Arjona, Jaén) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

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89

Paolo Bernardini, Un’epica senza Omero: stratificazioni, interferenze e collisioni culturali nella Sardegna dell’età del Ferro .  .  .  .  .  .  .

» 105

Maria Rosaria Manunza, Danila Artizzu, Processi di stratificazioni culturali nell’alto luogo di Bruncu Mogumu - Sinnai (Cagliari) .  .  .

» 123

Alfonso Stiglitz, Bes in Sardegna. Nuove attestazioni da San Vero Milis (Sardegna centro-occidentale) .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

» 133

Simonetta Angiolillo, Asselina, Foronto, Tertius: sardi, punici o romani?

» 153

Rubens D’Oriano, Giovanna Pietra, Stratificazione dei culti urbani di Olbia fenicia, greca, punica e romana .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

» 173

Giuseppina Manca di Mores, Il Sardus Pater e la decorazione architettonica fittile del tempio di Antas .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

» 189

Maria Adele Ibba, Il santuario di Via Malta a Cagliari: alcune riflessioni

» 205

Enrico Trudu, Sacrum Barbariae: attestazioni cultuali nelle aree interne della Sardegna in epoca romana .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

» 217

Mario Torelli, Riflessioni senza pretese di voler concludere .  .  .  .  .

» 237

Tavole



Marco Giuman, Chiara Pilo Il kyathos attico. Un vaso etrusco nel Ceramico di Atene

Queste pagine vogliono costituire un contributo preliminare nell’ambito di un lavoro di più ampia portata, attualmente in corso di completamento da parte di coloro che scrivono, che si propone di riesaminare in maniera sistematica una forma vascolare attica, il kyathos, che, a dispetto di un range cronologico piuttosto ristretto e una produzione numericamente limitata, rappresenta un esempio particolarmente significativo per l’analisi delle dinamiche produttive e commerciali che contraddistinguono il Ceramico di Atene tra il VI e il V secolo a.C. In questa sede in particolare si intende proporre una prima riflessione sui dati che è possibile evincere dal database in cui sono stati raccolti e catalogati gli esemplari figurati 1, allo scopo di focalizzare preliminarmente l’attenzione sulle dinamiche di selezione delle immagini in un prodotto destinato in maniera prioritaria, se non in modo esclusivo, a un mercato allogeno. Questa particolare forma vascolare 2, contraddistinta da piccola e profonda vasca troncoconica, campaniforme o a profilo convesso, basso piede ad anello variamente conformato e ansa a nastro fortemente sormontante, inizia a essere prodotta nelle officine ateniesi attorno al 540 a.C. e viene unanimemente ricondotta a prototipi di matrice etrusco-italica in impasto e bucchero 3. Sono proprio queste peculiarità – ovvero una sostanziale estraneità al repertorio formale attico tradizionale a cui corrisponde di contro un’evidente imitazione di prototipi centro-italici – ad 1)  Il campione in esame consta al momento di 538 esemplari, considerando anche quelli frammentari e quelli – 7 in tutto – per cui è probabile, ma non certa, la pertinenza a kyathoi. Il numero totale è sostanzialmente il risultato dell’incrocio dei dati desumibili dal catalogo redatto da M. M. Eisman (Eisman 1980), che contempla 414 kyathoi attici, e quelli schedati nel Beazley Archive, in tutto 315. 2)  Oltre al già citato lavoro di Eisman (supra nota 1) si veda Eisman 1975; Tosto 1999, pp. 95-102; Schreiber 1999, pp. 145-147. 3)  Cfr. Fairbanks 1928, p. 208, n. 593, tav. LXXVIII; p. 210, nn. 608-609, tav. LXXIX; p. 216, n. 637, tav. LXXXIV; p. 219, nn. 655-656, tav. LXXXVIII; Rasmussen 1979, pp. 110116; Bietti Sestieri 1992, pp. 276-296, forme nn. 19-22.


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aver indotto gli studiosi a riconoscere nel kyathos attico un prodotto destinato specificatamente al mercato etrusco 4, un elemento che trova ulteriori conferme sia nell’effimera durata della sua produzione, che appare esaurirsi già intorno al 480 a.C. 5, sia soprattutto nel dato statistico relativo ai pezzi dei quali conosciamo la provenienza 6 (Fig. 1, a). La quasi totalità di questi ultimi, 175 esemplari, provengono dall’Etruria con una concentrazione rilevante soprattutto in area vulcente e orvietana, contro i 6 di provenienza greca 7 e un unico esemplare rinvenuto a Olbia Pontica 8, peraltro facente parte di un corredo funerario che comprendeva un peso da telaio in piombo recante l’iscrizione italikon. Proprio questo particolare, interpretato da Michael M. Eisman nell’ottica di un possibile shipping error 9, potrebbe invece suggerire con buona verosimiglianza l’esistenza di un qualche rapporto intercorrente tra il defunto e il mondo italico. In questo quadro complessivo non stupisce che i più antichi esemplari di kyathoi attici siano ascrivibili a officine del Ceramico notoriamente proiet­tate verso il mercato tirrenico e nelle cui produzioni ritroviamo forme vascolari manifestamente adattate a modelli etruschi. È il caso della bottega del vasaio Theozotos, a cui è possibile attribuire due kyathoi 10, o quella ben più celebre del ceramista Nikosthenes, ovvero il creatore di quell’anfora con anse a nastro e profilo angoloso, nota appunto come ‘Nicostenica’, la cui genesi trova la propria ragion d’essere nell’imitazione dell’anforetta a spirali di area etrusco-laziale 11. Prima di proseguire oltre appare necessario premettere un dato: non abbiamo certezza circa il termine con il quale in antico si soleva indicare la 4)  Eisman 1975, p. 77; — 1980, pp. 11 sgg.; Rasmussen 1985, pp. 35-36; Spivey 1991, p. 140; Reusser 2002, pp. 124 sgg. 5)  Unica eccezione sembra essere un kyathos a figure rosse con giudizio di Paride datato al 410 a.C. (Berlino, Antikensammlung F2610. CVA, Berlin, Antikensammlung-Pergamonmuseum 1, pp. 63-64, Beilage 6.5, tav. 40, nn. 1-3). 6)  Eisman 1980, pp. 8-18; Torelli 2006, p. 37. Per i contesti di rinvenimento della ceramica attica in Etruria vedi Reusser 2002. 7)  Ai due vasi indicati da Eisman come di probabile provenienza greca (Eisman 1980, p. 11; pp. 436-439, n. 127; p. 791, n. 409) si devono aggiungere due frammenti dall’Acropoli di Atene (Atene, Museo Nazionale, Acr. 2.546: Graef, Langlotz 1933, tav. 41; ARV, p. 383, n. 197. Atene, National Museum, Acr.: ARV, p. 383, n. 196) ed un kyathos genericamente dalla Grecia (Dresda, Staatl. Kunstsammlungen, Albertinum ZV2953: AA 1925, p. 107, fig. 8); un quarto esemplare è dato nel Beazley Archive (vase number 4064) come proveniente da Patrasso, ma dalle notizie bibliografiche si evince solo che è pertinente ad una collezione di Patrasso (Patrasso, coll. M. Th. Sarmas 39: Michaud 1972, p. 673, fig. 222). 8)  San Pietroburgo, Hermitage 3209. ABV, p. 611, n. 7; Addenda, p. 143; Eisman 1980, pp. 315-318, n. 75. 9)  Eisman 1975, p. 77; — 1980, pp. 317-318. 10)  Parigi, Louvre F69 e Basel, Antikenmuseum und Sammlung Ludwig BS1402. Tosto 1999, pp. 98-100. 11)  Sull’officina Nicostenica: Tosto 1999.


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a)

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Fig. 1. a) Grafico della distribuzione dei rinvenimenti di kyathoi attici; b) Grafico dei temi iconografici


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nostra forma vascolare 12. Etimologicamente ricondotto da Pierre Chantraine al termine kyar 13, parola che può indicare la cruna dell’ago ma anche l’orifizio del padiglione auricolare, kyathos trova rare attestazioni tra la metà del VI secolo a.C., dove compare in due passi di Anacreonte 14, e i decenni conclusivi del V, quando trova impiego sia in Euripide 15 che in Aristofane 16. È a partire dal IV secolo che l’uso del termine diviene più frequente, giungendo infine ad una definitiva specializzazione in ambito medico 17 – significato peraltro già parzialmente sotteso in Aristofane 18 – dove viene impiegato nell’accezione di misura farmacologica, come peraltro ci conferma l’analisi comparata degli Etymologica 19: un kyathos corrisponderebbe a 1/6 di kotyle 20. Ma cosa si intendeva allora con la parola kyathos? E soprattutto cosa si intendeva tra la metà del VI e la metà del V secolo, ovvero nell’arco temporale che costituisce l’oggetto della nostra indagine? Appare certo che con questo termine si dovesse indicare il mestolo, l’attingitoio a vasca piccola e lungo manico in bronzo, più di rado in argento 21, che tante volte troviamo rappresentato nei repertori ceramografici attici in associazione a coppe, a crateri o a stamnoi (Tav. I, a), ovvero a recipienti manifestamente destinati al consumo conviviale e/o rituale del vino. Prova dirimente in tal senso è data dalla presenza delle iscrizioni kuvaèoò Diovò e Arcifavw kuvaèoò rispettivamente sul dorso desinente a protome di cigno di un attingitoio di V secolo a.C. conservato a Könisberg e sul manico di un esemplare analogo, ma di circa un secolo posteriore, un tempo sul mercato antiquario ateniese 22. D’altra parte l’associazione tra il kyathos-mestolo e la manipolazione del vino, oltre a trovare una nitidissima traduzione sul piano delle immagini ceramografiche, traspare con chiarezza già nelle fonti letterarie più anti-

12)  Richter, Milne 1935, pp. 30-31; Eisman 1980, pp. 5-8. 13)  Chantraine 1999, p. 593. 14)  Anacr. fr. 33 Gentili; fr. 110 Gentili. 15)  E. fr 376 Nauck. 16)  Ar. Pax, v. 542; Lys., v. 444; Ach., v. 1053; Arist. 890b, 20-24 Hett. Sulla consuetu­ dine di applicare kyathoi in bronzo riscaldati sulla parte tumefatta per evitare gonfiori si veda anche: Bliquez, Rodgers 1998, p. 237. 17)  Il termine ricorre più volte nel Corpus Hippocraticum o in Galeno. 18)  Schol. Ar. Lys, v. 444: kuvaèon aijthvseiò∙ i{na prosèh=/ò tai=ò gnavèoiò ou{twò uJpwpiasèhvsh/ uJf* hJmw= n. gemivzousi gaVr kuvaèon èermou=, kaiV proskollw= si toi=ò oijdhvmasi kaiV èerapeuvetai. 19)  Così, ad es., in Suid., s.v. kuvaèon: ajntlhthvrion, mevtron uJgrou= oujggiw=n b. h] kocliavrion. *Aristofavnhò∙ kuvaèon aijthvseiò tavca. i{na prosèh=~ò tai=ò gnavèoiò∙ ou{twò uJpwpiesèhvsh~ kaiV tufèhvsh~ uJf* hJmw= n. gemivzousi gaVr kuvaèon èermou` kaiV proskollw= si toi=ò oijdhvmasi kaiV èerapeuvousi. Kuvaèoò ou^n paraV toV cuvw, cuvaèoò, kaiV kuvaèoò. Cfr. EM, s.v. kuvaèon; Et. Gud., s.v. kuvaèon.

20)  Per il kyathos come unità di misura con particolari specificità di carattere farmacologico si veda: Richardson 1992, pp. 41 sgg. 21)  Kent Hill 1942, p. 53. 22)  Lazzarini 1973-1974, p. 373. Per l’esemplare di Könisberg si veda anche: Lullies 1935, n. 192, tav. 31.


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che. È il caso di un frammento lirico di Anacreonte che rimarca con chiarezza un impiego dell’oggetto riconducibile alla corretta miscelazione della bevanda con parti di acqua 23: a[ge dhV fevr* hJmiVn ¯ pai= kelevbhn, o{kwò a[mustin propivw, taV meVn devk* ejgcevaò u{datoò, taV pevnte d* oi[nou kuavèouò wJò a]n † uJbristiw' ò† ajnaV dhu^te bassarhvsw.

Portami un orcio, ragazzo, ch’io traccanni di un fiato, mescimi dieci misure d’acqua e cinque kyathoi di vino perché di nuovo celebri senza violenza Dioniso.

Questo dato trova la propria conferma in un salace passo degli Acarnesi di Aristofane 24: DI. PA. DI. PA.

Tivò ouJtosiv; !Epemøev tivò soi numfivoò tautiV kreva ejk tw' n gavmwn. Kalw' ò ge poiw' n o{stiò h^n. *Ekevleue d* ejgcevai se tw' n krew' n xavrin, i{na mhV strateuvoit* ajllaV kinoivh mevnwn, eijò toVn ajlavbaston kuvaèon eijrhvnhò e{na.

Diceopoli: chi è costui? Paraninfo: uno sposo ti manda questa carne, dal banchetto nuziale. Diceopoli: È gentile, chiunque egli sia. Paraninfo: In cambio della carne, ti prega di versargli in questo kyathos di alabastro un solo bicchiere di pace; così non andrà in guerra, ma potrà starsene a casa a fottere.

Ciò premesso, appare ora necessario tentare di delineare quale possa essere l’uso specifico della forma vascolare che definiamo kyathos. E a questo riguardo, proprio per i motivi che abbiamo testé avuto modo di rimarcare, il contesto ateniese sembra ben poco significativo. Nel repertorio iconografico attico, infatti, che pure riserva un ampio spazio alla raffigurazione di recipienti e contenitori di varia natura, la presenza del kyathos non è di norma contemplata 25; un dato, questo, che non può che rimarcare ulteriormente la sostanziale estraneità di questa forma dal contesto socio-culturale del mondo greco. Unica eccezione, perlomeno a conoscenza di chi scrive, sembra essere un kantharos monoansato a figure nere – di nuovo una 23)  Anacr. fr. 33 Gentili, ll. 1-6. 24)  E. Ach., vv. 1047-1053. Cfr. Bliquez, Rodgers 1998, p. 237, nota 3. 25)  Per un’analisi comparata dell’uso del vino nel mondo antico si veda: Murray,Tecus¸ an 1995. Sulle dinamiche funzionali più proprie del simposio greco si veda: Murray 1990. Per un’analisi puntuale delle sue chiavi iconografiche cfr. Lissarrague 1989; Catoni 2010.


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forma segnatamente cara alla tradizione etrusca – conservato nelle collezioni del Metropolitan Museum di New York e che propone una scena di simposio 26: un gruppo di personaggi maschili reclinati, alcuni dei quali impegnati ad accompagnarsi con strumenti musicali, è intento a celebrare un convivio. Tutti i protagonisti sono caratterizzati da barbe e da lunghe chiome, mentre appare singolare l’età avanzata di alcuni dei partecipanti, sottolineata con chiarezza dalle loro canizie, e la presenza di poteria tra i quali ritroviamo un rhyton e un vaso dalla vasca profonda e dall’ansa fortemente sormontante, nel quale non facciamo fatica a riconoscere un kyathos. Proprio la presenza del corno potorio di origine orientale 27, associato di sovente a personaggi quali satiri e sciti, ovvero a figure destinate a tradurre sul piano dell’immagine una diversità di matrice primariamente culturale, illumina la scena di una luce particolare, essendo il rhyton il vaso destinato alla consumazione del vino akratos 28, ovvero di quel vino puro il cui consumo 29, come ben dimostra un celebre passo del Ciclope di Euripide, si contrappone pericolosamente al bere saggio e moderato proprio del simposio greco: Od. o{d* aJskoVò o}ò keuvèei nin, wJò oJra=iò, gevron. Si. ou|toò meVn oujd* a]n thVn gnavèon plhvseiev mou. Od. naiv: diVò tovson pw' m* o{son a]n ejî ajskou= ruh=i. Si. kalhvn ge krhvnhn ei^paò hJdei=avn t* ejmoiv. Od. bouvlhi se geuvsw prw' ton a[kraton mevèu; Si. divkaion: h^ gaVr geu=ma thVn wjnhVn kalei=.

Odisseo: È questo, vecchio, l’otre che contiene vino. Sileno: Con questo non mi bagno nemmeno la gola. Odisseo: Ma ce n’è il doppio di quello che sgorga fuori. Sileno: Quella di cui parli è una bella e dolce fonte. Odisseo: Vuoi che te lo faccia assaggiare puro? Sileno: Giusto: l’assaggio chiama l’acquisto 30.

Se dunque nel kantharos di New York tutto pare confermare un legame puntuale tra il nostro vaso e l’ambito simposiale, proprio l’evidenziarsi di alcuni elementi anomali – la particolarità dei poteria impiegati, i personaggi anziani – sembra suggerire la volontà di connotare la rappresenta26)  New York, Metropolitan Museum 63.11.4. Para, p. 158.13; Addenda, p. 94; V   isconti 2010, p. 10, fig. 8. Alcune immagini del vaso sono disponibili sul Beazley Archive (vase number 351179). 27) Tuchelt 1962; Hoffmann 1997, pp. 8 sgg. 28)  Lissarrague 1989, pp. 106 sgg. 29)  Cfr. Anacr. fr. 11, v. 356 Page. Appare significativo che Dioniso possa essere contestualmente associato a rhyton e kantharos, un dato che «explicitly marks the tension between nature and culture which characterizes this god» (Lissarrague 1990, p. 202). 30)  E. Cyc., vv. 145-153.


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zione secondo modelli culturali ‘altri’ rispetto ai canoni più specifici della ritualità ellenica. Non è secondario rimarcare con Girolamo Visconti che nei repertori ceramografici attici la presenza di vecchi comasti è spesso utilizzata per sottolineare situazioni che contrastano con le regole del giusto bere 31. Se l’ambito greco non ci è di grande sostegno nella definizione puntuale della funzione e della valenza simbolica del kyathos, dobbiamo di necessità risalire all’altro capo del filo. Occorre cioè attraversare il mare e rivolgerci al mondo etrusco-italico. Abbiamo già sottolineato come non possano sussistere dubbi di sorta circa la possibilità che i modelli archetipici del kyathos attico debbano essere ricercati nelle produzioni in bucchero, in particolare di area ceretana e vulcente 32. D’altra parte il legame del nostro vaso con questi due centri – ma più in generale con l’Etruria meridionale – appare chiaramente comprovata dalla distribuzione dei rinvenimenti (Fig. 1, a): Vulci e Orvieto 33 sono di gran lunga i siti che restituiscono il numero maggiore di kyathoi attici, seguiti, se pur a una certa distanza, da Cerveteri 34. E in tale prospettiva non è secondario rimarcare come proprio in quest’area la tazza con ansa sormontante abbia una ben più lunga tradizione che è possibile far risalire alla piena età del Bronzo, con esemplari sia in impasto che in metallo. Un esempio per tutti le celebri coppe in lamina bronzea con ansa configurata in forma taurina provenienti dal ripostiglio di Coste del Marano presso Allumiere 35. Proprio la costante associazione nei corredi etruschi e laziali di età orientalizzante della capeduncola/attingitoio ad ansa sopraelevata e dell’anforetta a corpo globulare e decorazione a doppia spirale 36, modello quest’ultimo nel quale, come è stato già accennato, troverà ispirazione l’anfora attica nicostenica, è stata convincentemente interpretata da Mario Torelli come il relitto di antiche forme cerimoniali di consumazione del vino locale che avrebbero preceduto – e per un certo periodo di tempo verosimilmente affian31)  Cfr. Visconti 2010. Anche le fonti sembrano confermare questo dato. Si veda ad es. Ar. V., vv. 1299 sgg. 32) Vedi supra nota 3. 33)  Occorre considerare che i materiali provenienti da Orvieto, al contrario invece di quelli da Cerveteri, sono molto frammentari; non è per tanto da escludere che talvolta possano essere stati pertinenti a uno stesso esemplare e che quindi il conteggio numerico dei kyathoi risulti falsato in eccesso. Per i rapporti che intercorrono tra le due città etrusche: Della Fina 2003. 34) Vedi supra, in particolare nota 5. 35)  Peroni 1961, scheda I.1.11 (2), nn. 3-4; Pellegrini 1998, p. 25. Vedi anche Toti et al. 1987, fig. 10. 36)  Per i materiali provenienti dalla tomba Maroi di Cerveteri si veda tra gli altri Helbig 1969, pp. 512-513. Per altri contesti funerari in cui ritorna questa associazione vedi anche Tomei 2006, p. 217, nn. II.219-224; pp. 467-479, nn. II.892-993.


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cato 37 – il sopraggiungere in area tirrenica dell’oinos greco (il latino vinum, l’etrusco vinum-vinun) e delle pratiche elleniche del simposio 38. Si tratta del temetum 39 (da *temum, da cui anche temulentus, ovvero ubriaco, avvinazzato 40), il ‘vino puro’ attestato da una glossa di Festo 41, ricordato anche da Livio 42 e Plinio 43 e a proposito del quale così scrive Aulo Gellio 44: Qui de uictu atque cultu populi Romani scripserunt, mulieres Romae atque in Latio aetatem abstemias egisse, hoc est uino semper, quod ‘temetum’ prisca lingua appellabatur, abstinuisse dicunt, institutumque ut cognatis osculum ferrent deprehendendi causa, ut odor indicium faceret, si bibissent. Bibere autem solitas ferunt loream, passum, murrinam et quae id genus sapiant potu dulcia. Atque haec quidem in his, quibus dixi, libris peruulgata sunt. Gli autori di opere sulla vita e la civiltà del popolo romano dicono che a Roma e nel Lazio le donne vivevano astemie (sempre cioè si astenevano dal vino, che nella lingua antica si chiamava temetum); e che per una precisa disposizione di carattere poliziesco, dovevano porgere il bacio ai familiari: l’odore dell’alito avrebbe rivelato se avevano bevuto; che esse usavano bere vinello, vino passito, vino alla mirra e altre simili bevande di gusto dolce. Questo è quanto si trova divulgato nelle suddette opere.

Un vino, dunque, che ‘nella lingua antica’ si chiama temetum e la cui caratteristica principale, come si evince con chiarezza nella sua contrapposizione a forme diluite e/o speziate, sarebbe quella di essere sorbito puro; come puro, ovvero akratos, è il vino che abbiamo associato al corno potorio presente sul kantharos monoansato di New York. Proviamo ora a fare un passo ulteriore. M. G.

Quanto fin qui detto concorre a denotare il kyathos come un vaso prettamente etrusco, destinato a fruitori etruschi anche quando prodotto dalle officine del Ceramico di Atene. I modelli a cui si ispira, l’uso cerimoniale 37)  Rimarca con l’acume che gli è proprio Mario Torelli che «… si può sottolineare che l’area di diffusione e la cronologia dell’anforetta a spirale rinviano senza dubbio alla formazione della leggenda del dominio del cerite Mezenzio sul vino dei Latini e della ‘liberazione’ di tale vino operata da Enea, con la libagione del primo vino latino ‘liberato’ nel santuario laviniate per mano di quest’ultimo» (Torelli 2006, p. 37). 38) Torelli 2000a, pp. 93 sg. (= Torelli 2011, p. 115 sgg.); — 2000b, pp. 147 sg.; — 2006, pp. 35 sgg. Sulla funzione ideologica del vino nella Roma di età arcaica cfr. Coarelli 1995. Sulle influenze del banchetto greco in ambito italico cfr. Rathje 1994; — 1995. 39)  Cfr. Torelli 2000a. 40)  Cfr. Agostiniani 2000. 41)  Fest., p. 500 Lindsay (traduzione a cura Giorgio Bernardi-Perini). 42)  Liv. X, 42, 7. 43)  Plin. H.N., 19, 89-91. 44)  Gell. X, 23, 1-2.


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e rituale originario, le botteghe attiche che lo producono – particolarmente attente a soddisfare i gusti di una clientela d’oltremare – e ancora la distribuzione dei rinvenimenti, la sostanziale assenza del vaso dall’imagerie greca, sono tutti elementi che, come abbiamo visto, esplicitano l’estraneità del kyathos rispetto ai repertori attici di forme vascolari. Di gusto prettamente italico sono anche le apicature e le costolature sull’ansa (Tav. III, a-b), così come le protomi umane e ferine rese plasticamente in corrispondenza degli attacchi di questa sulla vasca (Tav. I, b), dettagli che rimandano ancora una volta a prototipi centro-italici in impasto e in bucchero 45. Almeno altri due aspetti devono essere considerati a conferma del carattere particolare del kyathos nel quadro complessivo delle produzioni vascolari attiche di età tardo arcaica e severa. In primo luogo il considerevole numero di varianti individuabili principalmente sulla base della morfologia della vasca, soprattutto se valutato in relazione al ristretto arco cronologico in cui il vaso viene prodotto ad Atene – tra il 540/30 e il 480 a.C. –, pare indiziare una repentina acquisizione della forma da parte di botteghe che attingono a modelli allogeni differenti e già canonizzati, piuttosto che essere frutto di un’improbabile troppo rapida evoluzione morfologica 46. A ciò si deve aggiungere un livello qualitativo della decorazione pittorica tendenzialmente medio-alto che, senza toccare punte di eccellenza e se pur proponendo una certa ripetitività di soggetti, si caratterizza in genere per una discreta accuratezza di esecuzione e difficilmente scade nella resa corsiva che contraddistingue invece alcune delle coeve produzioni di recipienti morfologicamente affini, come skyphoi e cup-skyphoi 47. Il successo che il kyathos attico figurato riscuote in Etruria è d’altro canto tale da innescare un processo di ‘imitazione dell’imitazione’. Dalle officine che operano in area tirrenica escono infatti alcuni esemplari a figure nere che copiano palesemente il sistema decorativo dei prodotti attici 48, spesso con esiti piuttosto maldestri come appare evidente dal­ l’improbabile resa dell’occhione di tradizione attica su un kyathos conserva-

45)  Ad es. Toledo (OH), MA 66.110 (CVA, Toledo Museum of Art 1, pp. 21-22, tav. 30.13); Praga, NM 18.52.3 (CVA Prague, Musée National 1, pp. 58-59, tav. 34.1-3); Villa Giulia 84466 (Malagardis 2007, pp. 31 sgg., fig. 1a-c); Würzburg, M. von Wagner Mus. L436 (Malagardis 2007, fig. 2b); Compiègne, Musée Vivenel 1074 (CVA Musée de Compiègne, Musée Vivenel, tav. 2.4.9). Per i prototipi cfr. La raccolta Guglielmi 1997, pp. 256-261, nn. 144-148; Berkin 2003, figg. 14-17, tavv. 8-11. 46)  Di questo parere Tosto (Tosto 1999, pp. 100 sgg.) che mette giustamente in discussione l’evoluzione formale proposta a suo tempo da Eisman (Eisman 1975, pp. 78-81; — 1980, pp. 18-31). 47)  Si pensi ad es. agli skyphoi del Gruppo di Haimon o del Gruppo CHC. Cfr. Batino 2002, pp. 36 sgg. 48)  Eisman 1980, pp. 423-436, nn. 423-436. Per lo stesso fenomeno sui kyathoi ad alto piede o one-handled kantharoi vedi ad es. Fairbanks 1928, p. 201, n. 576, tav. LXXVII; Spivey 1987, p. 28, n. 185, tav. 30 b-c.


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to a Copenhagen e riconducibile alla bottega del Pittore di Micali 49 (Tav. I, c). Se il vaso è destinato al mercato etrusco, e di questo le officine attiche, lo abbiamo visto, sono ben consapevoli, quali sono i processi di selezione delle immagini messi in atto dai ceramografi per un pubblico anellenico, per quanto fortemente ellenizzato come quello etrusco 50? Non resta che addentrarci nel cuore della problematica, portando la nostra attenzione sull’apparato iconografico della forma vascolare in questione. La decorazione figurata si sviluppa sulle pareti esterne della vasca. La sintassi decorativa prevede in genere una figura o una scena centrale, collocate sul lato opposto rispetto all’ansa, e una serie di figure laterali organizzate in maniera speculare. Solo raramente sulle pareti del vaso si dispongono scene continue o gruppi di figure. Il punto focale della composizione è pertanto chiaramente individuabile nella parte anteriore del vaso, come del resto spesso sottolineano gli occhioni che inquadrano il soggetto centrale (Tavv. II, a; III, b; IV, a). L’enfasi che lo schema iconografico pone sulla frontalità del recipiente, seppure condizionato in parte dalla presenza di una sola ansa, pare indicare che il fruitore privilegiato dell’immagine fosse pensato di fronte a chi impugna il kyathos e che l’atto di attingere e di mescere fosse privilegiato rispetto ad un eventuale uso per bere, che riserverebbe sia al consumatore che ai suoi convitati una prospettiva laterale e secondaria delle immagini. Le scelte iconografiche dei pittori del Ceramico (Fig. 1, b) sembrano confermare che in Etruria il kyathos attico fosse destinato in maniera preferenziale alla manipolazione di vino. Già il ricorrere degli occhioni 51, a cui si è fatto brevemente cenno, avvicina il vaso al novero dei recipienti attinenti alla sfera simposiaca, quali coppe e anfore, ma ad avvalorare questa ipotesi è soprattutto l’ampio spazio riservato ai soggetti dionisiaci, che predominano in maniera incontrastata su tutti gli altri temi iconografici attestati. Dioniso stante, seduto, reclinato o a cavallo di un mulo occupa spesso il centro della scena (Tav. II, a), non di rado attorniato dai personaggi 49)  Copenhagen, National Museum 7289. Spivey 1987, p. 34, tav. 33 b. 50)  Il dibattito sulla migrazione delle immagini e sui processi di ricezione del messaggio visuale in differenti contesti di fruizione è particolarmente prolifico, soprattutto per quanto concerne la ceramica attica esportata in Etruria. A riguardo vedi Spivey 1991, pp. 142-150; Lissarrague 1987; de la Genière 1999; Isler-Kerényi 1999; Hastrup Blinkenberg 1999; Malagardis 2007; Massa Pairault 2007. 51)  Sulla valenza degli occhioni: Ferrari 1986; Lissarrague 1989, pp. 167-170; FrontisiDucroux 1989, pp. 138-141, 148-149; Kunish 1990; Kunst der Schale 1990, pp. 417-421. Da notare il carattere conservativo che questo elemento iconografico assume sul kyathos. Le coppe ad occhioni compaiono attorno al 540-530 a.C. e sono attestate fino al 510-500 a.C., mentre sul kyathos non è infrequente trovare il soggetto ancora nel primo venticinquennio del V sec. a.C. Vedi ad es. Roma, Villa Giulia 59790 (Falcone Amorelli 1967, p. 306, tav. XCVIII); Northampton, Caste Ashby 37 (CVA Northampton, Castle Ashby, p. 16, tav. 24, nn. 10-12).


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che compongono il suo festoso corteggio e contornato da rigogliosi tralci di vite da cui pendono grossi grappoli d’uva. Il legame tra il kyathos e il dio del vino è così stretto che Dioniso ritorna anche nella decorazione secondaria del vaso, addirittura duplicato ai lati dell’ansa 52 (Tav. II, b), dove la consueta tassonomia pone di norma due figure in schema araldico. Satiri e menadi sono frequentemente raffigurati nella piena ebrezza dionisiaca, mentre eseguono i concitati passi della síkinnis 53. Non mancano allusioni, nemmeno troppo velate, alla prorompente sessualità dei seguaci del dio, come mostra in modo palese un kyathos dell’Antikensammlung di Berlino con menade a cavallo di un phallos-bird 54 (Tav. IV, a). Al vino si allude quindi evocando il mondo ambiguo e liminare su cui regna Dioniso 55, dove la bevanda che viene consumata è di norma quella pura del rhyton e del kantharos 56. I personaggi reclinati – siano essi Dioniso, Eracle, un giovane o un satiro – sono il più delle volte isolati, quindi non partecipi del contesto simposiale 57, e non a caso i poteria che utilizzano (rhyton, kantharos) sono ancora una volta vasi per il vino akratos. Le scene canoniche di simposio non sono invece contemplate, a conferma della consapevolezza che il kyathos afferisce a un uso del vino che è ‘altro’ rispetto al cerimoniale greco che regola il bere in comune. A questa alterità del bere sono in parte riconducibili anche altre figure proposte dal repertorio di immagini del kyathos. Ci riferiamo in particolare ai personaggi in abbigliamento scita 58 (Tav. IV, b) che si fanno semanticamente vettori di un consumo del vino fuori controllo, ‘barbaro’, come ben rimarca il passo di Erodoto in cui il detto popolare episkýthison, ‘bere alla scita’, stigmatizza il pericolo derivante da un uso incontrollato, non codificato, della bevanda inebriante di Dioniso 59.

52)  Roma, Villa Giulia 59790 (Falcone Amorelli 1967, p. 306, tav. XCVIII); Seattle, Art Museum s.n. (Eisman 1980, pp. 568-570, n. 161); Roma, Villa Giulia s.n. (ABV, p. 716); Würzburg, Martin von Wagner Museum 435 (ABV, p. 648, n. 234; Eisman 1980, pp. 534-537, n. 167); Roma, Villa Giulia s.n. (Para, p. 314; Eisman 1980, pp. 537-538, n. 147). 53)  Catoni 1998, pp. 79-83. 54)  Berlino, Antikensammlung F2095. ABV, p. 610, n. 1; Para, p. 304; Eisman 1980, pp. 178-181, n. 34; Addenda, p. 142; Boardman 2004, fig. 266. Sul phallos-bird: Keuls 1988, pp. 86-88; Boardman 1992. 55)  Sulla natura ibrida e selvaggia e sul carattere di ‘alterità’ dei seguaci di Dioniso in particolare Lissarrague 1993. Vedi anche Carpenter 1986, pp. 76-97; Hedreen 1992; IslerKerenyi 2001. 56)  Per il rhyton e il kantharos come vasi di Dioniso: Carpenter 1986, pp. 117-123; IslerKerényi 2001, pp. 49, 96, 133, 143. 57)  Ad es. Copenhagen, National Museum 7288 (CVA Copenhagen, National Museum 3, p. 97, tav. 119, n. 10a-b). 58)  Ad es. Northampton, Castle Ashby 37 (CVA Northampton, Castle Ashby, p. 16, tav. 24, nn. 10-12); New York, mercato (NFA Classical Auctions, Inc. 11.12.1991, n. 68). 59)  Hdt. VI, 84. Cfr. Lissarrague 1989, pp. 106 sgg. Vedi anche Radici Colace, Falcone 2007, pp. 143-151.


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Ma sciti e peltasti non possono che fare riferimento anche a un mondo marginale, geograficamente contiguo al mondo greco, ma profondamente distante in una prospettiva culturale. Non è casuale che i personaggi anomici (amazzoni, centauri e giganti) siano numericamente ben rappresentati sulla forma vascolare in esame, a simboleggiare in una prospettiva ellenocentrica e paratattica il ‘diverso’, il ‘barbaro’ rispetto al quale si definisce e struttura l’identità greca 60. Questo immaginario liminare si popola di creature fantastiche e immaginifiche – ippogalli, cavalli e delfini alati (Tav. III, a), sirene – che pur non rientrando propriamente nelle dinamiche funzionali del mito, si caricano di valori esotici e misteriosi che evocano un mondo al di là dei confini conosciuti, un mondo che non può che essere all’un tempo affascinante e pieno di insidie 61. Anche i soggetti mitologici sono riprodotti sul kyathos in numero rilevante. È interessante notare come la scelta ricada prevalentemente su episodi dalla connotazione spiccatamente iniziatica – le imprese di Eracle contro il leone nemeo e contro il toro di Maratona, la lotta di Peleo e Teti, Teseo e il Minotauro, Perseo e la Gorgone –, vicende che rispetto al mondo della polis si collocano in uno spazio esterno, in senso tanto fisico (l’eschatia dove avviene l’iniziazione) quanto socio-culturale (condizione di momentanea eslusione dalla comunità dei cittadini). Ai pericoli e alle insidie che si celano dietro al vino puro allude invece il kyathos conservato al British Museum di Londra con Eracle presso Pholos intento ad aprire il pithos da cui si diffonderà l’aroma inebriante che attirerà i selvaggi centauri 62. Non sembra quindi essere casuale che anche i temi che più propriamente incarnano i valori profondi della città, come la guerra e la caccia, presentino non di rado sul kyathos tratti di forte anomalia, che proiettano lo spettatore ancora una volta verso un orizzonte ‘altro’. L’attività cinegetica che viene rappresentata non è quella collettiva della caccia al cervo o al cinghiale, centrale nell’educazione e nell’iniziazione del futuro cittadino greco 63, ma è la caccia alla lepre, di cui è ben nota la valenza erotica 64, oppure la caccia al leone di ascendenza orientale 65. Anche nelle scene di combattimento, accanto ai più consueti opliti, fanno la loro comparsa sciti, peltasti e 60) Vedi Giuman 2005a. 61)  Cfr. Giuman 2005b. 62)  Londra, British Museum 464. Eisman 1980, pp. 756-757, n. 343. Sull’episodio vedi Schefold 1992, pp. 134-138. 63)  Schnapp 1997, pp. 123-171; Barringer 2001, pp. 10 sgg. Unica eccezione è costituita da un kyathos di Monaco di Baviera con una raffinata rappresentazione dell’episodio mitologico della caccia al cinghiale calidonio (Eisman 1980, pp. 741-743, n. 372). 64)  Brussels, Musées Royaux A2323: ARV, p. 333, n. 2; Addenda, p. 217; CVA Brussels, Musées Royaux d’Art et Histoire (cinquantenaire) 2, III.I.C.11, tav. 20, n. 1 a-c; Eisman 1980, pp. 791-792, n. 410; Schnapp 1989, p. 77, fig. 120. Per la caccia alla lepre e la lepre come dono d’amore: Schnapp 1997, pp. 318-354; Barringer 2001, pp. 70-124. 65)  Napoli, Museo Archeologico Nazionale Stg. 130: CVA Napoli, Museo Nazionale 1,


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guerrieri accovacciati in agguato (Tav. III, b), esemplificazione di un modo di combattere estraneo alla tattica oplitica della polis, sulle cui connotazioni iniziatiche e marginali non è necessario soffermarsi oltre 66. Una buona esemplificazione di queste dinamiche è offerta dalla decorazione figurata del kyathos eponimo del Pittore di Philon, proveniente da Vulci e datato al 500 a.C. circa 67 (Tav. IV, b), la cui esegesi è tutt’altro che univoca. Sulla vasca si dispongono tre gruppi di personaggi in armi. Il gruppo di sinistra e quello centrale sono composti rispettivamente da una figura che incede verso destra e da un’altra che la precede, con la testa girata indietro. Lo schema si avvicina a quello ben noto del combattimento con uno dei due guerrieri che soccombe mentre tenta la fuga, per quanto la postura dei nostri personaggi non sembri quella più canonica della corsa in ginocchio. Decisamente singolare è il gruppo di sinistra, con i due uomini posti di spalle con la testa rivolta indietro a guardarsi reciprocamente. La torsione del capo, uno dei piedi poggiato solo sulla punta e, almeno in parte, le braccia sollevate con le armi, potrebbero suggerire un accostamento dell’immagine alle scene di danza armata 68, sebbene, anche in questo caso, le convenzioni pittoriche che consentirebbero di identificare in maniera incontrovertibile gli schemi orchestici – almeno un piede sollevato da terra, salto con entrambe le gambe, movimenti concitati delle braccia – non sembrano essere propriamente rispettate 69. Che si tratti di un combattimento o più verosimilmente della sua trasposizione mimetica come danza marziale, non muta il quadro di fondo: i personaggi si propongono in tutto il loro carattere anomalo combinando elmi, petasi – i copricapi a falda larga propri di cacciatori e viandanti – e berretti di foggia scita all’oplon e allo scudo beotico. I tre nomi riportati a legenda dell’immagine – Philon, Skythes, Smikythos 70 – rafforzano questo immaginario esotico. Skythes richiama in tutta evidenza l’etnico ‘scita’, mentre il nome proprio Smikythos sembra giocare in assonanza con questo. Nel decorare il kyathos i pittori del Ceramico di Atene attingono quindi al repertorio figurativo tradizionale, ma selezionano quei temi che sembrano essere più confacenti alle esigenze del mercato a cui il vaso è destinato III.H.E.20, tav. 41, nn. 1-5. Sulla caccia al leone: Schauenburg 1969, pp. 9 sgg.; Schnapp 1997, pp. 202-203. 66)  Lissarrague 1990. Vedi anche Vidal-Naquet 1988, pp. 90-114. 67)  Cambridge, Fitzwilliam Museum GR22.1904 (04.22): ABV, p. 516, n. 1; Para, p. 254; Eisman 1980, pp. 510-519, n. 141; CVA Cambridge, Fitzwilliam Museum 1, III.H.25-26, tav. XXI,1a-c. 68)  Si ringraziano la prof.ssa F.-H. Massa Pairault e il prof. E. Lippolis per i preziosi suggerimenti emersi a riguardo in sede di discussione. 69)  Naerebout 1997, pp. 213 sgg.; per le differenti danze in armi pp. 285 sgg. Vedi anche Ceccarelli 1998. 70)  Per l’attestazione di tali nomi ad Atene: Traill 2006, pp. 302-302 (Skythes); pp. 316321 (Smikythos); Traill 2009, pp. 28-60 (Philon).


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e che meglio sembrano incarnare l’immaginario evocato da quel mondo straniero 71. In particolare il vino acquisisce un ruolo significativo e centrale, ma come esperienza di alterità, piuttosto che come occasione conviviale. Rimane un’ultima questione da affrontare. Perché improvvisamente attorno al 480 a.C. questa forma vascolare cessa di essere prodotta dalle officine ateniesi. La risposta è con tutta verosimiglianza da ricercare ancora una volta nella recente intuizione di Torelli, secondo il quale la scomparsa del kyathos dal repertorio vascolare attico non può che essere ricondotta all’analogo fenomeno nelle produzioni etrusche in bucchero e a figure nere – tra l’altro contestualmente alla scomparsa del suo pendant funzionale, l’anforetta a spirali/anfora nicostenica – fenomeno da ascrivere ai profondi sconvolgimenti politici e sociali che caratterizzano le città dell’Etruria meridionale a partire dai primi decenni del V sec. a.C. 72. L’affermarsi di regimi repubblicani oligarchici sancisce infatti la fine di quelle forme cerimoniali e rituali che connotavano le ricche aristocrazie tirreniche di VIIVI sec. a.C., con il conseguente abbandono dei recipienti a queste destinati e che simbolicamente a queste alludevano. Un relitto della funzione rituale del vaso permarrà tuttavia fino all’età repubblicana nella pratica di deporre il kyathos-attingitoio miniaturistico in contesti sacri 73. C. P.

Abbreviazioni

bibliografiche

ABV = J. D. Beazley, Attic Black-figured Vase-painters, Oxford, 1956. Addenda = T. H. Carpenter, Beazley Addenda. Additional references to ABV, ARV 3 and Paralipomena, Oxford, 19892. Agostiniani 2000 = L. Agostiniani, Il vino degli Etruschi: La lingua, in L’avventura del vino nel bacino del Mediterraneo. Itinerari storici ed archeologici prima e dopo Roma, Atti del Simposio Internazionale (Conegliano, 30 settembre-2 ottobre 1998), a cura di D.  Tommaso, C. Cremonesi, Treviso, 2000, pp. 103-108. ARV = J. D. Beazley, Attic Red-figure Vase-painters, Oxford, 19632. Atti Catania = Il greco, il barbaro e la ceramica attica. Immaginario del diverso, processi di scambio e autorappresentazione degli indigeni, IV , Atti del Convegno Internazionale di Studi (Catania, Caltanisetta, Gela, Camarina, Vittoria, Siracusa 14-19 maggio 2001), a cura di F. Giudice, R. Panvini, Roma, 2007. 71)  Significativo in questo senso è il confronto con quei poteria che sembrano presentare analogie strutturali e funzionali più stringenti con il kyathos, e cioè skyphoi e cup-skyphoi, dove tra i temi iconografici più ricorrenti troviamo il banchetto e il komos. Vedi Batino 2002. 72) Torelli 2000, p. 100 (= Torelli 2011, p. 125). 73) Vedi ad es. Bernardini 1986, pp. 123-124, nn. 409-410 (prima metà del III sec. a.C.); Mancini, Pilo 2006, p. 101, fig. 9 (III sec. a.C.).



T A V O L E


GIUMAN, PILO

TAV. I

- IL KYATHOS ATTICO

a)

b)

c)

a) Stamnos del Pittore di Villa Giulia. Oxford, Ashmolean Museum V523, G289.7 (da CVA Oxford, Ashmolean Museum 1, tav. XXVIII, n. 1); b) Kyathos del Gruppo del Vaticano G57. Brussels, Musée Royaux R267 (da CVA Brussels, Musées Royaux d’Art et d’Histoire, cinquantenaire 3, tav. IV, n. 3b); c) Kyathos etrusco del Pittore di Micali. Copenhagen, National Museum 7269 (da SPIVEY 1987, fig. 33b)


TAV. II

GIUMAN, PILO

- IL KYATHOS ATTICO

a)

b) a) Kyathos del Gruppo del Vaticano G57, Monaco, Antikensammlungen 1990 (da Kunst der Schale 1990, fig. 75.6); b) Kyathos del Pittore di Caylus, Roma, Villa Giulia 59790 (da FALCONE AMORELLI 1967, tav. XCVIII)


GIUMAN, PILO

TAV. III

- IL KYATHOS ATTICO

a)

b) a) Kyathos non attr. Roma, Museo Gregoriano Etrusco Vaticano 39544 (La raccolta Guglielmi 1997, n. 57); b) Kyathos del Gruppo di Berlino 2092. Londra, British Museum (da EISMAN 1975, fig. a p. 81)


CONTINUA...


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