Rivista arti marziali cintura nera budo international gennaio 2014

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KIUSHO JUTSU- TAEKWONDO

JEAN CLAUDE VAN DAMME

Una delle scoperte più memorabili nello studio del Kyusho è la certezza che esiste un linguaggio interno nelle forme e negli insegnamenti delle Arti Marziali, che fa riferimento a movimenti che agiscono sui punti vitali. In questo articolo, scritto dal famoso esperto in materia, Evan Pantazi e con il quale presentiamo un nuovo video di questo autore, egli ci svela tutto un Universo di studi riferiti a questi punti nel Taekwondo.

APACHE KNIFE

Van Damme è esempio di perseveranza e successo aldilà degli alti e bassi; varie decadi di Cinema marziale lo dimostrano e oggi in questo stupendo e completissimo articolo, il nostro esperto in materia D.Pedro Conde, che tante volte lo ha intervistato, va a fondo nei recessi di una carriera e di una vita eccezionali.

JKD

CHOI LI FUT Coltello Apache: uno stile di vita. “Alcune tribù indiane utilizzano un palo da guerra come faccio io, ciò aiuta gli allievi a comprendere l'importanza di usare il coltello con una presa a martello che conferisce tensione alla mano, attaccando in modo da rendersi conto delle sensazioni che si provano nel colpire un corpo o un osso”.

Il Choy Lee Fut è un sistema m a r z i a l e tradizionale cinese molto dinamico e distintivo, caratterizzato dalla grande quantità di t e c n i c h e combinate di braccia e gambe, da spostamenti agili uniti a movimenti circolari delle anche, che permettono di generare colpi molto potenti e veloci. In questo articolo, passeremo in rassegna gli aspetti più importanti di questo patrimonio marziale per tutti i nostri lettori.

COMBAT HAPKIDO Come molti altri artisti marziali, David Ribas si interessò alla lotta a terra dopo aver visto il primo Ultimate Fight Championship e vedendo come Royce Gracie sconfisse il suo avversario senza grande sforzo immobilizzandolo velocemente e impedendogli di continuare a combattere. Allora decise di migliorare le sue abilità difensive e cominciò a ricercare tutte le informazioni che poteva reperire sulla lotta a terra.

VIII CAMPIONATO DEL MONDO DI KARATE WKF

L'origine della “JKD Old School” si basa sull'utilizzo dei principi stabiliti da Bruce Lee, insieme ad una comprensione dei fondamentali e del funzionamento del Jeet Kune Do, indagando sulle altre Arti Marziali e estraendo la loro essenza. Tutto ciò viene definito il “Filtro del JKD”.

COME SI INDOSSA L'ARMATURA GIAPPONESE

La città spagnola di Guadalajara ha accolto il VIII Campionato del Mondo di Karate WKF per le categorie cadetti e junior. Un grande avvenimento sportivo al quale sono accorsi 100 paesi dei cinque continenti, per un totale di 1400 partecipanti, oltre ad arbitri, tecnici, dirigenti e il folto pubblico che ha riempito quotidianamente l'eccellente struttura del Padiglione Polifunzionale di Aguas Vivas.

Shidoshi Juliana ha vestito il nostro direttore Alfredo Tucci con u n ' a r m a t u r a giapponese, per istruirvi sui suoi componenti e sulla corretta procedura della vestizione. Un articolo che inoltre ci spiega la storia e l'antropologia dell'armatura, uno dei principali attributi del Samurai.

UN GIORNALE SENZA FRONTIERE

BUDO INTERNATIONAL NEL MONDO

Budo International è senza alcun dubbio la rivista di Arti Marziali più internazionale del mondo. Siamo convinti di vivere in un mondo aperto. Gli unici confini sono quelli che la nostra mente vuole accettare. Così costruiamo, mese dopo mese, una rivista senza frontiere, dove ci sia spazio per tutte le informazioni che interessano ai praticanti, qualunque sia il loro stile.

Budo International è un gruppo editoriale internazionale che lavora nell’ambito delle Arti Marziali. Raggruppa le migliori aziende che lavorano nel settore ed è l’unica rivista al mondo pubblicata in sette lingue diverse e che viene diffusa in oltre 55 Paesi di tre continenti tra cui: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Australia, Svizzera, Olanda, Belgio, Croazia, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Messico, Perù, Bolivia, Marocco, Venezuela, Canada, Senegal, Costa d’Avorio…


CINEMA MARZIALE

ESKRIMA

Oggi intervistiamo Igor Maltagliati, sceneggiatore e regista di numerose opere sia teatrali che cinematografiche, molto attivo anche nel mercato americano. Essendo una persona appassionata e molto sensibile riguardo le arti marziali vorremmo chiedergli alcune riflessioni riguardo il cinema marziale italiano…

SDS-CONCEPT S.D.S. - Concept addestramento di sicurezza è un sistema per allenare e insegnare sicurezza operativa e pratica. Alcune categorie di professionisti corrono più rischi di altre, essendo attaccate da clienti aggressivi. Può darsi che questo non accada tutti i giorni, ma non si deve prendere alla leggera. Il nostro programma didattico è stato chiaramente concepito per questi professionisti.

WINGTSUN Pare logico intuire che un praticante “normale”, di quelli che si allenano due o tre ore alla settimana nelle molte scuole di WingTsun di tutto il mondo, non diventerà mai la reincarnazione del Dr.Leung Jan, ma noi, come insegnanti siamo obbligati a tirare fuori il massimo da ciascuno di loro. Dobbiamo cercare di fare in modo che il loro potenziale arrivi al massimo, investendo nel tempo che ognuno di questi praticanti dedica nelle nostre scuole e nel miglioramento della pratica dell'arte che insegniamo.

Come si arriva ad essere un buon Eskrimador. Oggi, l'Eskrima è un mix di differenti stili. Sembra che molti praticanti mescolino stili diversi per poi chiamare il tutto Eskrima, ma aggiungendo delle cose che non hanno niente a che vedere con l'Eskrima. Queste persone si autoproclamano maestri e dimenticano che i principi più importanti dell'Eskrima risiedono nelle sue origini.

SYSTEMA MORABITO

HUNG GAR KUNG FU Il Gran Maestro Martin Sewer ha ricevuto il 9° Grado di Maestro dal World Martial Arts Institute, atto sottolineato dalle parole del responsabile dell'organizzazione, Dr.Song: “Questo è il minimo che le possiamo riconoscere”. Quindi il Gran Maestro Martin Sewer ha lasciato l'evento portandosi a casa tutti i premi che poteva e dimostrando che il duro e corretto lavoro, a lungo andare, vale la pena e viene ricompensato.

Sistema militare di origine militare, contiene tecniche adeguate per ciascun individuo, che sia civile, militare o professionista in ambito operativo. Il Sistema Morabito offre uno studio profondo del corpo umano, dal punto di vista della biomeccanica applicata al corpo, combinato alla conoscenza delle leggi meccaniche e fisiche, per eludere qualsiasi tipo di attacco proveniente da più punti e più avversari.

Direttore editoriale: Alfredo Tucci, e-mail: budo@budointernational.com. Facebook: http://www.facebook.com/BudoInternationalItalia. Traduttore: Leandro Bocchicchio. Pubblicità e Redazione: Nicola Pastorino, e-mail: budoitalia@gmail.com Hanno collaborato: Don Wilson, Yoshimitsu Yamada, Cass Magda, Antonio Espinós, Jim Wagner, Coronel Sanchís, Marco de Cesaris, Lilla Distéfano, Maurizio Maltese, Bob Dubljanin, Marc Denny, Salvador Herraiz, Shi de Yang, Sri Dinesh, Carlos Zerpa, Omar Martínez, Manu, Patrick Levet, Mike Anderson, Boulahfa Mimoum, Víctor Gutiérrez, Franco Vacirca, Bill Newman, José Mª Pujadas, Paolo Cangelosi, Emilio Alpanseque, Huang Aguilar, Sueyoshi Akeshi, Marcelo Pires, Angel García, Juan Díaz. Fotografi: Carlos Contreras, Alfredo Tucci.


“Man mano che acquistiamo conoscenza, le cose non diventano più comprensibili, bensì più misteriose” Albert Schweitzer

utti siamo strumenti di forze che ci trascendono. In parte scelto, in parte imposto dal corso stesso risultante dalla nostra evoluzione individuale e collettiva, il processo di risveglio della coscienza, non si ferma a dettagli, ideologie, opinioni o gusti. Le grandi forze incoraggiano, sostengono e soggiaciono dietro ogni piccola cosa, perché siamo parte di tutto ciò che le crea. Da quando l'uomo è uomo e in qualche modo anche prima, egli ha cercato di capire come questo amalgama di forze energetiche e tensioni agiscono su di noi. Con diversi successi, ha esplorato innumerevoli formule, strade e spiegazioni, e continuerà a lungo. L'impulso di comprendere il mistero dell'esistenza e le sue conseguenze, è inscritto nel nostro DNA e si attivò significativamente dal momento stesso in cui la luce della consapevolezza e dell'intendimento si accese nella nostra specie. Niente può sostituire quel desiderio inconscio di occhi inquisitori che guardano il cielo di notte chiedendosi cosa c'è lassù, agli occhi pieni lacrimosi di una madre che si chiede perché suo figlio ha dovuto morire, dell'uomo di fronte alla tempesta che ha rovinato i raccolti e condannano i suoi alla morte. Comprendere, vedere più in là dell'ovvio, scoprire ciò che agisce l'invisibile, le sue strade e i suoi sensi, le sue leggi e i suoi segreti, è il sogno di ogni uomo desideroso di trascendere il discorso della realtà, intesa questa come un accordo di gruppo. Coloro che furono capaci di mettere in discussione le convinzioni dell'unione dei suoi contemporanei, questi ribelli, furono i trasgressori che trasformarono la coscienza di gruppo. Tacciati come pazzi a volte, apostati o eretici altre, aprirono porte che erano chiuse e sigillate dalla stoltezza di una realtà ammessa come tale, generalmente per la paura e l'ignoranza di molti. Oggi, imbevuti dell'arroganza di quel pensiero unico che promuove il materialismo dei nostri giorni, non siamo così diversi dai contemporanei di Galileo. La scienza stessa agisce come un meccanismo di demonizzazione di qualsiasi altra forma di analisi della realtà che non sia concorde con le sue sentenze ufficiali, per eventualmente, questo sì, fatto il danno, riconoscere ai suoi eretici, il merito di un approccio differenziato dei suoi postulati che molto a malincuore, era andato a trasformare un paradigma. Le cose, perso il loro impeto iniziale, si raffreddano e si arroccanno nella loro tendenza, mettendo in luce il meglio e il peggio di sé stesse. Nulla sostituisce l'umiltà del non credo, del non sapere, del "la mia verità è la mia, ma non necessariamente la tua". Il rispetto è il grande antidoto davanti ai fanatismi e le stupidità che sono frutto del consenso di ogni epoca. Per questo, il saggio ascolta sempre con la mente aperta, senza giudicare. Non ci sono urgenza né demerito in questo, al contrario, uno può agire e deve farlo secondo la sua verità, perché le conseguenze saranno per lui, nel bene e nel male, e perchè fanno parte della sua propria storia, e del suo proprio cammino. E' l'incertezza stessa,

T

“Conosci te stesso prima di iniziare a decidere sulla natura di Dio e del mondo” Ramana Maharshi

questa forma di paura che deriva dall'insicurezza, che spinge la gente a intervenire e cercare di convincere gli altri della sua verità. Ogni proselitismo proviene da questo male; indica inequivocabilmente tale debolezza; e sottolinea la perversione delle nostre certezze. Respira due volte prima di consigliare senza che ti sia richiesto, respira tre volte prima di criticare le idee degli altri, respirare cento volte prima di negare la verità dell'altro. Sì, la paura, sempre la paura, quella che spinge a prendere posizioni contro gli altri, a negar loro il pane e il criterio, a combatterli senza quartiere, e alla fine distruggerli. Ogni fanatismo è di conseguennza una forma di crudeltà, ogni intransigenza un passo verso il disastro. Svegliare questi punti è il risultato di molte questioni ed anche necessariamente dell'esperienza. Poichè ogni colpo al bersaglio, porta in ogni freccia il potenziale e lo spiraglio di intenzioni dell'arciere. Molte volte nella vita, quella che vi colpisce è una freccia che tiraste ieri; in un Universo curvo, tutto torna, tutto ritorna. Quando la vita ti insegna questa lezione, per meglio dire, quando riusciamo a comprenderla, molti portano il culo pieno di saette. Non possiamo fare niente rispetto a queste frecce già lanciate, però sì con quelle che lanciamo a partire da ora. Anche il fanatico è necessario in un Universo completo, il saggio deve, tuttavia, proteggersi dalle conseguenze di una tale follia, come un ricercatore che indossa il suo camice protettivo quando entra nel laboratorio pieno di microbi o parassiti. Che la merda debba esistere, non significa che uno deve mangiarla. Le grandi forze dell'universo sono largamente diffuse ovunque. Solo gli idioti o gli arroganti possono concepire la propria libertà come qualcosa d'indifferenziato e agire sopra tali forze. Si può cavalcare un'onda, ma non si potrà mai essere più grande o più forte di lei. I saggi imparano a usare le forze, a rimanere un passo davanti a loro, ad anticiparle, anche a indirizzarle, ma mai per sentirsi più grandi di loro. Il potere del mago arriva da tutto questo, deriva dalla sua conoscenza ed empatia con tali forze, dal giocare con il "Magnus", il grande che sottende a ogni cosa. In tale processo si fa piccolo, flessibile e imprevedibile come ciò che frequenta, sfuggevole e insormontabile, per non essere toccato da esse, estremamente robusto nella sua semplicità, perché solo il vuoto può essere paragonato al più grande di tutti i poteri, il nulla. Le monumentali forze che fannno girare il cosmo non si basano su una intenzione, ma sulla natura stessa delle cose. Gli umani al contrario, noi ci muoviamo spinti da intenzioni, visibili o nascoste, a noi stessi o agli altri, non importa qual'è il tipo di cecità che ci spinge, che ci rende generalmente prevedibili e meschini, tanto quanto può farci giganti e generosi. Questa seconda opzione dipende dal nostro livello di coscienza, ma anche dalla nostra grandezza interiore. La vita sempre tira fuori ciò che abbiamo dentro, ma è nelle grande crisi, in situazioni estreme, dove inevitabilmente l'uno o l'altro affioreranno. Traduzione: Chiara Bertelli


https://www.facebook.com/alfredo.tucci.5

Tutti serviamo qualcosa più grande di noi, consciamente o inconsciamente, siamo parte di qualcosa di più grande che si alimenta di noi, come noi ci alimentiamo di altre cose. L'Universo esiste nel continuo dare e ricevere di forze inimmaginabili, la maggioranza invisibili agli occhi degli uomini. Svegliarsi a queste realtà è un passo da gigante al quale pochi sono preparati, ma chiunque è invitato, perché la natura dell'occulto non è diversa da quella del visibile. Tutto ciò che esiste si alimenta di qualcosa, tutto ciò che si alimenta di qualcosa esercita una funzione e genera delle conseguenze e un residuo. La natura di tutte le forze risponde a leggi superiori, e svolge il suo compito al di là di ogni considerazione di bene o di male. Ciò che è buono per alcuni sarà un male per gli altri e viceversa. Nell'eterno divenire, gli uomini trascorrono l'esistenza generalmente addormentati e incapaci di vedere niente più di là dell'immediato. Posizionati sempre davanti ad uno specchio, un giorno decidiamo di guardarci e di chiederci chi è che appare lì riflesso. Solo dopo l'averci interrogati le risposte arriveranno ... è sempre stato così. Povero chi non si è mai messo in discussione e vive alimentandosi al presepe della normalità, perché lì non c'è niente, se non inganno e decadenza. L'invisibile agisce dietro ogni respiro, esiste nascosto, facendo senza fare. Il saggio, prima o dopo è destinato a questo incontro con il mistero; gli antichi Shizen chiamarono questo incontro fuemaru, l'"aprire gli occhi". Tutto il visibile proviene dall'invisibile. Se siamo strumenti di forze superiori, ogni possibile spiraglio di libertà, per quanto piccolo o grande che sia, dipenderà dalla nostra conoscenza e il nostro livello di consapevolezza. Non si può cavalcare un'onda che non ammettiamo che esista e non studiamo come si comporta.

Alfredo Tucci es Director Gerente de BUDO INTERNATIONAL PUBLISHING CO. e-mail: budo@budointernational.com



Una delle scoperte piÚ memorabili nello studio del Kyusho è la certezza che esiste un linguaggio interno nelle forme e negli insegnamenti delle Arti Marziali, che fa riferimento a movimenti che agiscono sui punti vitali. In questo articolo, scritto dal famoso esperto in materia, Evan Pantazi e con il quale presentiamo un nuovo video di questo autore, egli ci svela tutto un Universo di studi riferiti a questi punti nel Taekwondo. Un DVD inestimabile per coloro che praticano il Taekwondo.

Foto: Brian Hall http://brianhallphotos.com/


“Queste forme ci accompagnano passo dopo passo nell'apprendimento dandoci infinite possibilitĂ , specialmente se gli si affianca il Kyushoâ€?


Kyusho, Le Serie del Dojo Taekwon-Do “Nel Taekwon-Do si definisce punto vitale una qualsiasi zona vulnerabile, sensibile o rompibile in un attacco al corpo. E' essenziale che il praticante di Taekwon-Do conosca i punti per avere uno strumento appropriato sia per attaccare che per parare. Un attacco indiscriminato non è conveniente poiché è inefficace e uno spreco di energia” - Generale Choi Hong Hi ( ), ENCICLOPEDIA DEL TAEKWON-DO, Volume II, pagina 88. Il Taekwon-Do oggi è una delle più importanti e professionali Arti Marziali al mondo. Ci sono molte scuole, molte competizioni e seminari ogni anno. Centinaia di persone accorrono a questi eventi sposando l'aspetto sportivo dello stile. Tuttavia, l'organizzazione si è divisa in tante altre dopo la morte del suo fondatore, il Generale Choi Hong Hi, e continua a crescere. Col tempo gl i asp etti sp o r ti vi h an n o p re s o i l sopravvento, venendo ignorati o rifiutati nel contesto dei metodi originali di difesa personale. Negli scritti originali del Generale Choi, gran parte dell'attenzione, della o struttura e anche dell'uso dei punti vitali “Kupso” ( Kyusho), così come dello sviluppo degli strumenti per accedervi, venne descritto ma non fu mai del tutto tramandato. La Kyusho International ha realizzato un programma per chiarire, educare, integrare ed evolvere nuovamente questa incredibile arte marziale, secondo i concetti del suo fondatore. Questo nuovo programma è sostenuto pienamente dai fondatori ancora in vita, specialmente dal figlio Choi Jung Hwa. Il Taekwon-Do classico possiede la base del corso e del combattimento così come delle forme (conosciute come Kata nel Karate). Queste forme ci accompagnano passo dopo passo nell'apprendimento dandoci infinite possibilità, specialmente se gli si affianca il Kyusho. Quando il Kyusho si integra con queste forme, il praticante scopre un nuovo mondo di metodi nascosti, di armi, di sistemi di difesa personale che sono il nucleo dell'arte.

Queste forme trasformano gli esercizi di condizionamento in una gamma completa di moduli per il combattimento e la difesa personale con il Kyusho. Una volta introdotto il Kyusho, questo aumenta in maniera esponenziale


l'attenzione del praticante aldilà della mera imitazione, verso una nuova libertà, mantenendo allo stesso tempo l'integrità e la struttura dello stile. In queste serie del Dojo offriamo un'ampia documentazione dell'Arte, in modo che ciascun praticante possa imparare e comprendere una componente che venne descritta e redatta dal suo fondatore.

sono inclusi calci, ma la sua semplicità nasconde infinite possibilità quando viene combinata con i punti vitali. Dall'integrazione degli attacchi del braccio si prosegue il programma di studi basilare di Kyusho per poi lavorare alla testa, al corpo, alle gambe, obbiettivi seguiti dall'applicazione delle situazioni di questi punti conosciuti. Queste

una giusta abilità, che una comprensione più solida del Kyusho). Le spiegazioni dettagliate, continuano a mostrare delle manipolazioni nascoste delle articolazioni e anche quelle possibili con il coltello attraverso le azioni esatte della forma. Si possono fare altre scoperte dalle forme base circa le armi occultate che il fondatore incluse nella sua

La prima di queste forme si chiama Chong Ji (tradotta come Il Cielo e la terra) ed è la piattaforma basilare di questo moderno progetto architettonico. Contiene solo schemi fondamentali di movimento delle mani poiché non vi

applicazioni aggiuntive implicano la disattivazione di punti di pressione o di controlli e del grappling dei piedi (la lotta a terra si introduce più tardi negli schemi, visto che risulta più sofisticata e il professionista avrà sviluppato sia

enciclopedia, ma queste non risaltano nello stile a causa di una mancanza di conoscenza o di abilità nella relativa applicazione. Così come le 6 mani del Ji del Bubishi, queste armi specifiche e apparentemente insolite del Taekwon-


Do hanno enormi potenzialità e sono vitali per l'accesso al Kyusho contenuto nello stile. Come esempio prendiamo il pugno che è predominante in tutta la forma, non abbiamo solo questo pugno, ma anche altre armi documentate nell'enciclopedia del fondatore come il Mit Joomuk (pugno basso), concepite per attaccare strutture anatomiche specifiche che a loro volta hanno degli obbiettivi Kyusho (non descritti). Ciò che si contempla anche nell'esecuzione del pugno, è la posizione della mano che afferra, che conosciamo come JIAP che “si utilizza per applicare una pressione nelle arterie e nei punti vitali” (Kyusho). Soltanto con queste due armi non solo possiamo realizzare leve delle braccia, ma anche dei colpi in sequenza mentre afferriamo e che saranno la base per accedere ad altri obbiettivi più facili, il tutto verso le strutture anatomiche più deboli. Tuttavia queste non sono le uniche armi che il Kyusho rivela, l'uso dei movimenti esatti della forma comincia a sviluppare altre armi nascoste. Queste, naturalmente, danno maggiore enfasi alle strutture anatomiche più fragili, in proporzione all'aumento delle conoscenze del praticante di Kyusho.

Una volta che l'uso di tali armi inizia ad essere naturale come quello degli obbiettivi del Kyusho, riusciremo a indebolire istantaneamente l'avversario già dal primo contatto. Questa è una chiave importante, perché il dolore Kyusho è assai diverso da un semplice dolore. Noi non attacchiamo semplicemente il corpo dall'esterno per avere accesso alla struttura profonda del nervo, i nervi sensoriali superficiali non sono gli unici recettori di un attacco Kyusho, ma attacchiamo anche altri nervi che non sono facilmente accessibili con i metodi convenzionali. Tutto ciò provoca un dolore interno differente poiché stimoliamo i messaggi neurologici nell'avversario. Questo confonde il recettore perché il cervello lotta per rispondere a questi nuovi scompensi neurologici. Dal momento che si produce un'ulteriore disfunzione, si causano molti altri problemi psicologici, dalla paura alla confusione, fino alla perdita del pensiero cognitivo. Pertanto non solo riusciamo a indebolire il corpo, ma anche la mente del contendente per arrivare a controllare la situazione.



Ora, posto che uno dei desideri dei fondatori, così come indicato nei loro scritti, era il propiziare una buona salute e condizione fisica, ci troviamo di fronte a molte cose della nostra anatomia che possono essere apprese e assimilate grazie al nostro studio del Kyusho. Ottenendo una più elevata comprensione di come funziona l'anatomia e la fisiologia, possiamo arrivare ad una maggior comprensione e a un potenziale di vita più vibrante, o addirittura a curare molti problemi fisiologici di altre persone. Ciò avviene grazie al fatto che il praticante di Kyusho prima impara a causare molti problemi, poi a risolverli o ad annullarli utilizzando le stesse funzioni fisiologiche in un'altra maniera. Per esempio, possiamo usare un punto Kyusho situato nella zona del gomito che in agopuntura si chiama TW-11. Quello non è realmente un nervo, ma più un elemento neurologico integrativo di tutti i tendini. Quando si stira un tendine, come potete vedere nell'interpretazione Kyusho di questo schema, si produce un'azione riflessa che parte dall'organo tendineo del Golgi. Questo è un componente del corpo che vigila sui tendini quando si stirano in eccesso, che comanda un'azione riflessa al cervello perché rilassi i muscoli e non metta in tensione i tendini stessi. In una posizione marziale ciò provoca che tutta la muscolatura si rilassi, causando debolezza e perdita di forza. Invece, se guardiamo tutto questo dal punto di vista della salute, possiamo osservare che se una persona è stressata e tiene i muscoli in tensione, possiamo agevolare lo scioglimento della tensione usando lo stesso punto. Per favore, cercate di capire che questa è una descrizione molto basilare solo perché il lettore o il medico vengano a conoscenza di come il dualismo tra danno e guarigione si scopre con l'uso del Kyusho che questo schema ha codificato. Con questa conoscenza, possiamo vedere come il vecchio proverbio “quando un colpo non è più un colpo”, e molti altri detti, si sia evoluto e anche rivelato.



Punti Vitali Infatti, mentre la maggior parte della gente vede i movimenti della forma con un solo proposito o principio, questi si ampliano esponenzialmente quando si applica il Kyusho. Questo grazie al fatto che il Kyusho non è tecnica applicata, ma il semplice obbiettivo delle aree più deboli che si scoprono nelle situazioni del combattimento. Se uno impara una

tecnica di una sequenza contro un attacco di un'altra e l'attacco varia rispetto alla forma in cui originariamente è stato insegnato, appreso e applicato, non funzionerà come lo ha fatto nella pratica…quando si viene attaccati non è il momento giusto per scoprire questo difetto. Imparare o conservare una tecnica per ogni attacco possibile

che l'avversario può portare è assai improbabile. Tuttavia se prendiamo le nostre azioni delle forme e impariamo a guidarle in molti aspetti verso gli obbiettivi esposti di seguito, c'è una maggiore probabilità di successo e impareremo a riconoscere le debolezze durante il movimento invece di tentare di reagire davanti alle azioni sconosciute del contendente.



Oltre al metodo per riconoscere gli obbiettivi che abbiamo descritto, abbiamo la possibilità di accedere a molti punti nella stessa zona generale e con i medesimi movimenti. Questo è importantissimo poiché la stazza dell'avversario è variabile e la ricerca dei target può diventare più difficoltosa per il praticante. Ma eseguendo le stesse azioni della forma possiamo raggiungere più punti che nella semplice ricerca. Molti non praticano questo livello di Kyusho per essere in grado di trovare un piccolo punto in un bersaglio in movimento…ed è proprio li il problema. Ma quello di cui non si rendono conto non studiando realmente il Kyusho è che in primo luogo un punto non è veramente un punto, è una sezione del nervo o del muscolo, o un intero tendine. Unitelo ad un gruppo di obbiettivi in ciascuna zona e ci sarà sempre un bersaglio raggiungibile a prescindere dalla stazza o dalla posizione in cui si muove l'opponente. Ciò naturalmente non vuol dire che l'allenamento sia meno necessario, continua ad esserlo, ma la persona che pratica con il Kyusho consegue un grande potenziale, abilità e destrezza nel suo proprio stile o Arte. E visto che ogni individuo è unico per capacità atletiche, età, stazza, sesso, forza e tutte la altre variabili, il Kyusho permette di lavorare in maniera naturale con ciò che è più spontaneo per ciascuno nella propria vita, mentre si utilizzano le azioni esatte della forma che lo stile richiede. La stessa arte si trasforma per ogni soggetto più in un viaggio personale che in una imitazione di altri. La forma Chong Ji è l'inizio del viaggio nei segreti nascosti del Taekwon-Do.




“Alcune tribù indiane utilizzano un palo da guerra come faccio io, ciò aiuta gli allievi a comprendere l'importanza di usare il coltello con una presa a martello che conferisce tensione alla mano, attaccando in modo da rendersi conto delle sensazioni che si provano nel colpire un corpo o un osso”.

Coltello Apache: uno stile di vita

Testo e foto: R. Redfeather: redfeather88@aol.com


Tradizione Coltello Apache: uno stile di vita Istruttore capo fondatore Robert Redfeather Io non insegno attraverso la teoria, bensì secondo le mie esperienze di vita. Una cosa che ho imparato è che uno non deve combattere tutte le battaglie, ma deve essere preparato e con i piedi per terra. La lotta con il coltello Apache è antica come la Madre Terra. E' diretta e va a braccetto con la natura, è il sentiero Indiano Apache. Nel 2005 mi hanno chiesto di rappresentare gli Stati Uniti all'ottavo Festival Mondiale di Arti Marziali a Chungju, in Corea del Sud, in qualità della più antica arte da combattimento nativa americana. Ho avuto l'onore di portare la bandiera degli Stati Uniti di America e sfilare nella parata per rappresentare la tribù Apache. Ho parlato nelle università della cultura indigena e ho fatto dimostrazioni di combattimento con coltello per l'Esercito della Corea. Tutto questo è documentato nel loro Museo delle Arti Marziali. Nel 2013 ho avuto l'onore di essere insignito del Premio D'Onore Museo di Michael Matsuda a Burbank, California, grazie al mio maneggio del coltello Apache, l'arte nativa americana più antica e tradizionale. Insegno la lotta del coltello Apache e le sue applicazioni nel combattimento. Sono anche produttore, consulente tecnico, e realizzo coreografie di scontri con coltello e scene acrobatiche per film. Sto lavorando in un film intitolato Red Cloud Deliverance diretto da Alex Kruz.


Tradizione Mio fratello Ralph ed io parliamo molto della lotta con il coltello e del modo incredibile in cui molte persone fantasticano su di essa, senza in realtà avere idea di cosa si tratti. Quando vengono a un mio seminario, gli dico che non sono qui per insegnare loro come combattere con il coltello, sono qui per insegnargli a salvare la propria vita e quella dei loro cari. Non sono qui per essere loro amico, non mi importa se non piaccio; sono qui per insegnare a sopravvivere! Mio fratello sorride di nuovo perché sa che subirà colpi e contusioni e che sarà molto doloroso e stancante. Grazie a Dio non usiamo coltelli reali, altrimenti qualcuno morirebbe. Ma soprattutto, lui sa che nessuno dimenticherà quell'esperienza e ciò che hanno appreso da Robert Redfeather. C'è sempre qualcuno che mi domanda, “Cosa farebbe in una situazione di minaccia con coltello?” Io gli rispondo che scapperei. Di solito mi dicono:” No, sul serio! Che cosa farebbe?” Io ripeto che scapperei, perché so quello che succede in uno scontro con coltello e non voglio trovarmi in quella situazione. Allora faccio una pausa e gli parlo un po' della storia degli Apache e le cose che ho imparato da mio nonno e mia nonna. Mio nonno ha avuto una grande influenza sulla mia vita e mi ha insegnato sulla base delle sue esperienze di vita. Era nell'Esercito USA nella Seconda Guerra Mondiale e le storie che mi raccontava erano agghiaccianti. Sono sempre stato affascinato dalla sua collezione di coltelli che recuperava dalle mani dei suoi nemici. Una cosa molto importante che mi ha insegnato mio nonno è sbarazzarsi della minaccia, che è il lato esterno della mano o della mano armata. Così abbiamo imparato a attaccare la mano del coltello, tagliare, spostarsi e infilzare, per tormentare il nemico perché sappiamo che, a quei tempi, non esistevano ospedali in cui andare. I coltelli erano infettati con muffa, batteri e malattie delle quali si poteva morire in seguito o perdere un arto a causa di un semplice taglio. Quindi per frenare il nemico, si poteva ferire la mano e fuggire semplicemente, poi tornare e rifare la stessa cosa una volta ancora e poi di nuovo, perché avrebbero dovuto fermarsi

per potersi prendere cura dei soldati. E' come una partita a scacchi, come muoversi e manipolare il nemico a piacimento per poi circondarlo. Abbiamo imparato tutto questo, un'arte da combattimento che si chiama Nagondzoog. E' un antico termine per definire la guerriglia, ma se lo scomponiamo in più parti può significare guerra, lotta o combattimento. Nagondzoog è uno stile che non è soltanto una parola, ma se lo si pronuncia nella forma corretta (Nagondzoog Nyol), che vuol dire “lotta come il vento” ed è anche il sistema di combattimento della mia famiglia. Io insegno una tecnica di base chiamata vento discendente, che è un movimento di attacco verso il basso per tagliare le dita del coltello del nemico, la mano, il polso e l'avambraccio. Il vento verso l'alto è la stessa cosa ma con un movimento ascendente e quindi insegno a impugnare correttamente il coltello, a rimanere in sicurezza dietro la lama e in posizione di guardia con una gamba avanzata e una arretrata. I praticanti di arti marziali hanno sempre problemi con questa cosa perché vogliono combattere in posizione laterale, ma io gli dico che non ho mai visto un cervo che cerca di correre con le zampe incrociate. E' molto difficile combattere in una posizione laterale, bisogna sapersi muovere, camminare e correre. Tutti hanno problemi a camminare. Essi si sorprendono quando gli dico di camminare, allora si rendono conto di quanto naturale sia camminare e muoversi semplicemente. Durante il programma hanno dei problemi a camminare con il loro coltello, poiché stanno combattendo come se dovessero restare attaccati al suolo e lottare. Ci stiamo muovendo costantemente e camminando intorno all'avversario. Che sia un altro artista marziale o uno schermitore che vuole combattere, quando attaccati sono piantati come un albero che non riesce a spostarsi, allora ci muoviamo attorno a lui come il vento per cercare di ucciderlo. Permettetemi di spiegarvi perché è difficile combattere in posizione laterale in uno scontro con coltello. Quando siete in questa posizione Marziale, esponete il rene, i polmoni, i glutei. E' facile per chiunque manovrare intorno a voi e

passarvi alle spalle. Non è un errore combattere in questa posizione, bisogna semplicemente sapere quando e come farlo, non puoi rimanere fermo perché ciò può costarti la vita. Alcune tribù indiane utilizzano un palo da guerra come faccio io, ciò aiuta gli allievi a comprendere l'importanza di usare il coltello con una presa a martello che conferisce tensione alla mano, attaccando in modo da rendersi conto delle sensazioni che si provano nel penetrare un corpo o un osso, e più importante per imparare a colpire, camminare e muoversi intorno al palo come lo si farebbe in uno scontro con coltello. Ho anche degli studenti che realizzano il palo da guerra nel proprio cortile perché si rendono conto di quanto importante sia allenarsi con uno di questi. Un altro tipo di allenamento che insegno ai miei allievi è quello di affondare la lama nella terra in modo che possano sperimentare l'effetto che si sente trafiggendo un corpo, esercitando una pressione sul polso e il pollice che aiuta a capire come posizionarsi con il coltello. E' molto importante mettersi in guardia con un coltello come con il K-bar (coltello da combattimento usato dai Marines USA, ndt) in maniera che quando lo affondiamo in un corpo non scorra verso il basso, verso la lama. Estraendo il coltello da terra o da un corpo l'impugnatura del manico deve fare una leggera curva per poterlo tirar fuori agevolmente, perché se rimane dritta potrebbe sfuggire dalla mano specialmente se è coperta di sangue. Come diceva mio nonno, la prima cosa che tocca il corpo è la lama del coltello




non le mani come in molti dei film che vediamo. Nei film si vede qualcuno che scivola alle spalle di un altro riuscendo a tappargli la bocca con le sue mani e poi tagliargli la gola (assolutamente sbagliato). Ci viene insegnato a usare la lama per colpire prima al corpo e poi al collo. Per esempio, in alcuni film di Indiani e Cowboys potrete vedere un indiano saltare da cavallo ed afferrare il nemico, ma questo accade solo a Hollywood, nella realtà il guerriero non potrebbe mai farlo poiché il suo coltello sarebbe la prima cosa che colpirebbe il nemico. Quando insegno ai militari e alle forze speciali degli USA, lo faccio in maniera diversa che con i civili. Nelle lezioni con la popolazione civile, insisto molto di più sull'autodifesa e sull'aspetto legale. Ai militari insegno a combattere per svolgere il loro lavoro e credo che si capisca perché non mi piace usare la parola “K”. Faccio lezioni in tutto il mondo, a gente che partecipa ai miei seminari e anche in casa mia. Se desiderate sapere di più su Robert Redfeather, visitate la pagina web www.apacheknife.com

Mi piacerebbe congedarmi parlando del modo pensare degli indios. Avete notato che tutto ciò che fa un indio sta in un cerchio, e questo è dovuto al fatto che il potere del mondo è sempre nei cerchi e tutto tende ad essere rotondo. Il cielo è rotondo e la terra è rotonda, come una palla, e lo sono anche tutte le stelle, lo è il vento, nei suoi più imponenti vortici di energia. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, la loro religione è la stessa della nostra. Anche le stagioni formano un grande circolo nei loro cambiamenti; tornano sempre dov'erano. La vita di un uomo è un cerchio, dall'infanzia all'età adulta, pertanto è in tutto ciò in cui il potere si muove. “Tutte le cose nel mondo sono due (Naki-dos). Nella nostra mente ne abbiamo due, il bene e il male. Con i nostri occhi vediamo due cose, cose che sono giuste e cose che sono spiacevoli. Abbiamo la mano destra che colpisce e fa del male e la sinistra piena di bontà, vicina al cuore. Un piede che può portarci su una cattiva strada e un altro che ci può condurre a una buona. Perciò tutte le cose sono due, tutto è Naki” R. Redfeather: redfeather88@aol.com


Il Maggiore Avi Nardia, uno dei principali istruttori ufficiali per l'esercito israeliano e la polizia israeliana nel campo della lotta al terrorismo e CQB, e Ben Krajmalnik, hanno fatto un nuovo DVD elementare sulle armi da fuoco e sicurezza, e tecniche di allenamento derivate dall'IPSC. Il Tiro Istintivo in Combattimento (Instinctive Point Shooting Combat IPSC) è un metodo di tiro basato nelle reazioni istintive e cinematiche di sparare a brevi distanze in situazioni veloci e dinamici. Una disciplina di autodifesa per sopravvivere in una situazione di minaccia per la vita, in cui è necessario avere una grande rapidità e precisione; si deve tirar fuori immediatamente la pistola e sparare a breve distanza, senza usare lo spioncino. In questo primo volume studieremo: il maneggio dell'arma (rivoltella e semiautomatica); la pratica di tiro secco e sicurezza; "Point Shooting" o tiro istintivo, a breve distanza e movimento; esercizi di ritenzione dell'arma, sotto stress e multiple attaccanti; esercizi di ricarica, con caricatore, a una mano, ... e, infine, la pratica in galleria di tiro con pistole, fucili AK-74, M-4, mitragliatrice M-249 e anche lanciagranate M-16.

REF.: • KAPAP7 Tutti i DVD prodotti da Budo International vengono identificati mediante un’etichetta olografica distintiva in supporto e realizzati DVD-5, formato MPEG-2 (mai VCD, DivX o simili). Allo stesso modo, sia le copertine che le serigrafie rispettano i più rigidi standard di qualità. Se questo DVD non soddisfa questi requisiti e/o la copertina non coincide con quella che vi mostriamo qui, si tratta di una copia pirata.

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La Zen Nihon Toyama-Ryu Iai-Do Renmei (ZNTIR) è l'organismo che attualmente, una volta rivisti e adattati i concetti e la metodologia di una scuola proveniente da un sistema di combattimento reale, vuole preservare questa tradizione e le forme originali tramite un metodo che unisce corpo, mente e spirito in maniera realistica ed efficace. Questo DVD è stato creato a cura dei praticanti della Filiale Spagnola della Zen Nihon Toyama-Ryu Iai-Do Renmei (ZNTIR - Spain Branch) per far conoscere a tutti uno stile di combattimento, con una vera spada, creato nello scorso XX secolo e con radici nelle antiche tecniche di guerra del Giappone feudale. Qui potrete trovare la struttura basilare della metodologia che viene applicata nello stile, dagli esercizi codificati per il riscaldamento e la preparazione, passando per gli esercizi di taglio, le guardie, i kata della scuola, il lavoro in coppia e l'introduzione alla pietra miliare su cui si basa il Toyama-Ryu: il Tameshigiri, o esercizio al taglio su un bersaglio reale. Ci auguriamo che la conoscenza dell'esistenza di uno stile come il Toyama-Ryu Batto Jutsu sia una riscoperta di un modo tradizionale e allo stesso tempo differente dalle attuali discipline da combattimento, che attragga coloro che desiderano andare più lontano nella pratica delle arti marziali. Gli appassionati della spada giapponese e i neofiti, troveranno questo DVD utile come punto di riferimento e supporto al proprio apprendimento.

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Reportage


Eskrima Come si arriva ad essere un buon Eskrimador Come si arriva ad essere un buon Eskrimador? Sento questa domanda ripetutamente nei miei seminari. Ricevo anche molte e-mail di persone che mi pongono lo stesso quesito. Quando iniziai a fare Eskrima quasi 30 anni fa era tutto differente. Non c'erano computer, ne internet, ne posta elettronica. Non si potevano trovare video su YouTube e vedere i maestri in azione. Bisognava trovare la vera Eskrima da soli. Oggi è possibile contattare facilmente i maestri, persino allenarsi con loro. I tempi moderni offrono una grande quantità di opportunità. Ma d'altra parte è molto facile essere ingannati da un video. La Vera Eskrima deve essere praticata, compresa e sperimentata in tempo reale. Non si possono imparare i dettagli vedendo solo un video.

“Oggi, l'Eskrima è un mix di differenti stili. Sembra che molti praticanti mescolino stili diversi per poi chiamare il tutto Eskrima e aggiungendo delle cose che non hanno niente a che vedere con l'Eskrima” Differenti stili di Eskrima Oggi, l'Eskrima è un mix di differenti stili. Sembra che molti praticanti mescolino stili diversi per poi chiamare il tutto Eskrima e aggiungendo delle cose che non hanno niente a che vedere con l'Eskrima. Fanno shopping, desiderano apprendere più tecniche possibili e poi le mischiano al loro proprio stile e cominciano a insegnare. Queste persone si autoproclamano maestri e dimenticano che i principi più importanti dell'Eskrima risiedono nelle sue fondamenta. Ogni Arte Marziale comincia da una buona base e lo stesso si applica all'Eskrima. Senza di essa, non è possibile essere un buon Eskrimador, di certo non è il meglio che si può fare. L'uso di un coltello, per esempio, comincia con la comprensione dell'arma, di ciò che si deve fare in una situazione di combattimento, dei suoi rischi, del modo difendersi da esso, della maniera di parare, di attaccare, di ciò che significa davvero la distanza e come influenza lo scontro. Sono


Reportage


Eskrima necessari anni di allenamento con bastoni e coltelli prima di padroneggiare i loro principi fondamentali. I veri maestri capiscono profondamente questi principi e possono anticipare gli attacchi dei loro avversari, prevedendo i loro movimenti e le loro reazioni. Essi conoscono il proprio avversario tramite la comprensione dell'arma utilizzata da quest'ultimo. Naturalmente, questo è applicabile anche alle tecniche a mano nuda. Sfortunatamente molti maestri autoproclamati aprono delle scuole e iniziano a insegnare ai loro allievi nel modo sbagliato, ovvero, senza una buona base. Possiamo immaginare cosa succede con la vera Eskrima. Rimane ben poco di tutto ciò.

Le cinque regole base dell'Eskrimador Ecco qui quelle che sono, a mio parere, le cinque regole base per diventare un vero Eskrimador. E sono: ottenere una buona base da un buon maestro, concentrarsi nell'auto-disciplina, allenarsi duramente, vedere e ascoltare, e naturalmente, bisogna avere un certo talento per trasformarsi in un vero Eskrimador. Ovviamente ci sono molte altre caratteristiche da menzionare, ma se troviamo un buon maestro che è disposto a darci delle buone basi e si lavora duramente, con un minimo di talento è possibile arrivare lontano. Trovare un valido maestro non è facile. Il maestro deve rispondere a vari requisiti. Deve possedere una buona Eskrima, non importa di quale stile. Questo significa non solo sapere comprendere gli esercizi di Eskrima e come parare e attaccare. Si tratta di capire l'Eskrima, dove e quando si eseguono queste parate. Come contrattaccare in modo appropriato? Qual è la distanza corretta per ciascuna arma? Che bastone si può utilizzare a una distanza più lunga che col coltello? Ecc. Allora una delle caratteristiche più importanti di un buon maestro è come può garantire che gli allievi crescano nell'Eskrima; come può il maestro rendere un allievo migliore? Perché molto spesso vediamo che l'allievo arriva ad essere migliore del maestro in un breve lasso di tempo.

Allenarsi duramente e in maniera intelligente Il duro allenamento è la chiave del successo, ma non l'unica. Pertanto, abbiamo un buon Maestro, e una buona Organizzazione, quindi nulla dovrebbe impedirci di diventare un buon Eskrimador. Magari fosse così facile! Guardate le persone che raggiungono grandi traguardi nell'Eskrima, essi hanno in comune una delle caratteristiche più importanti: la volontà di allenarsi duramente. D'altra parte in alcuni seminari mi si è avvicinata gente per dirmi: Frans, mi alleno 4 ore al giorno, lavoro sodo al sacco e con le gomme delle auto. Mi alleno tutti i giorni con degli amici e non riesco a progredire. Loro si allenano veramente forte. La mia risposta è semplice: il duro allenamento è la chiave del successo, ma da solo non è sufficiente. Bisogna allenarsi duramente e combinare tale allenamento con uno più intelligente. Tutto l'allenamento deve consistere nei principi basilari dei fondamentali. Cercate anche di definire ciò che volete ottenere da ciascuna sessione, focalizzatevi di più su quello che volete imparare. Per esempio, l'allenamento alla resistenza, all'esplosività (molto importante nell'Eskrima) o per la coordinazione. Ciascun allenamento deve avere un proposito, ogni passo fatto deve rendervi capaci di spiegare come raggiungere il vostro obbiettivo per essere un buon Eskrimador.

Concentrazione La concentrazione è uno dei principali aspetti del mio stile. Ogni colpo, attacco, disarmo e movimento che si esegue, lo si fa per un motivo, con uno scopo. Gioco di piedi, movimento del corpo, tutto ciò che facciamo deve servire per un obbiettivo. In questa maniera l'Eskrima sarà efficace.

Talento Non tutti nascono col talento. Quante volte si sente dire, “ho talento e riesco a praticare facilmente i movimenti e le tecniche”!. Purtroppo ho una brutta notizia per le persone che affermano ciò. La mia esperienza è che queste persone non arriveranno molto in alto, perché per farlo su serio non è sufficiente avere molto talento. Anche le persone con un gran talento dovranno allenarsi duramente, con intelligenza e dovranno avere un buon maestro. Ma se avete talento, l'accesso a tutti i requisiti e una giusta attitudine, arriverete in cima alla montagna e ciò sarà ineguagliabile.

Conclusione Tutti possono imparare l'Eskrima al proprio livello. Semplicemente per sport o per difesa personale. A molta gente non importa lo stile che pratica, vuole soltanto un Maestro che gli piaccia e un gruppo valido con cui allenarsi. Alle persone che vogliono trasformarsi in Ekrimadores al top, consiglierei di essere molto critici al momento di scegliere il Maestro e osservare se egli possiede le qualità necessarie perché facciano di loro dei grandi Eskrimadores. Se desiderate maggiori informazioni o avete delle domande da farmi, non esitate a contattarmi. Sarete i benvenuti nel mio mondo, il mondo dell'Eskrima.


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Testo: Emilio Alpanseque Foto: Rodrigo Sánchez

Il Choy Lee Fut è un sistema mar ziale tradizionale cinese molto dinamico e d i s t i n t i v o , caratterizzato dalla grande quantità di tecniche combinate di braccia e gambe, da spostamenti agili uniti a movimenti circolari delle anche, che permettono di generare colpi molto potenti e veloci. Il Choy Lee Fut comprende anche un'ampia varietà di maneggi di armi, che in generale sono difficili da trovare come parte di un unico stile. In questo articolo, passeremo in rassegna gli aspetti più importanti di questo patrimonio marziale per tutti i nostri lettori.

Le armi nel


“Il Choy Lee Fut della Famiglia Chan, proveniente dalla provincia di Canton nel sud della Cina, è uno stile di Wushu tradizionale fondato dal maestro Chan Heung nel 1836”


Wu Shu Wushu Tradizionale Le Armi del Choy Lee Fut Il Choy Lee Fut della Famiglia Chan, proveniente dalla provincia di Canton nel sud della Cina, è uno stile di Wushu tradizionale fondato dal maestro Chan Heung nel 1836. Si tratta di una tradizione molto radicata nei metodi marziali originari del Tempio Shaolin, con influenza delle correnti del Sud e del Nord, che amalgama le principali tecniche sviluppate attraverso un'epoca di costanti conflitti e ribellioni. Secondo i documenti della famiglia Chan, Chan Heung passò oltre venti anni ad imparare la sua arte per mano dei suoi tre mentori: Chan Yuen Wu, Lee Yau Shan e il monaco Choy Fook, prima di combinare le sue esperienze marziali in un sistema efficace e completo. Nonostante le precarie condizioni della fine della Dinastia Qing (1644-1911), dove la pratica pubblica delle arti marziali era oltretutto proibita, il Choy Lee Fut riuscì a continuare la sua espansione attraverso le società segrete e i gruppi rivoluzionari. Più avanti, col passare degli anni, si diffonderà apertamente in varie provincie della Cina, nel sudest asiatico e nel resto del mondo. Attualmente, il maestro Chen Yong Fa (Chan Wing Fat), quinto discendente dalla linea paterna del Fondatore, viene considerato il guardiano dell stile e come tale gli è stato assegnato il compito di mantenerlo in vita attraverso i suoi successivi eredi. Il maestro Chen è nato in Cina nel 1951, ha cominciato ad allenarsi quando aveva solo 4 anni, sotto la tutela del nonno, Chan Yiu Chi e suo padre, Chan Wan Hon, ricevendo così il sistema completo tale a quale a quello praticato dai suoi antenati. Chen ha ereditato inoltre i manoscritti originali che documentano la storia e l'evoluzione del Choy Lee Fut, così come sono descritte nel dettaglio tutte le sue forme e le tecniche. Chen, oltre ad essere un consumato artista marziale, è anche un praticante abilitato di Medicina Tradizionale Cinese che esercita nella sua scuola di Sydney (Australia) dagli anni 80, parallelamente all' insegnamento di Arti Marziali, Danza del Leone, Qigong e della Medicina Tradizionale a un gruppo ristretto di allievi.

Le quattro Armi Base Nel sistema Choy Lee Fut si utilizza una grande varietà di armi per la pratica e il perfezionamento della abilità marziali. In generale, queste armi si possono classificare in tre gruppi principali in funzione del loro raggio d'azione: lunghe, medie e corte. Questi tre gruppi possono a loro volta essere suddivisi in differenti categorie come armi dure, morbide, doppie, combinate, flessibili e altro ancora.

Ciò nonostante esistono quattro armi che sono considerate le armi fondamentali dello stile e sono: 1) Il bastone o Gwan Il bastone è normalmente lungo e fatto di legno duro o semi-flessibile. E' un'arma semplice ma efficace; siccome il legno è difficile da rompere, permette che la forza di un colpo venga trasmessa attraverso tutta la sua lunghezza. Il bastone include molte tecniche lineari e circolari realizzate ponendo l'accento sulla forza dura. Funge da ottima base per l'apprendimento delle altre armi lunghe, come lance, alabarde, rastrelli e altro ancora. Tra i bastoni più comuni nel Choy Lee Fut ci sono il Dan Tau Gwan (bastone a una testa), il Seunt Tau Gwan (bastone a due teste) e il Chai Mee Gwan (bastone a livello delle sopracciglia). 2) La sciabola o Darn Dao La sciabola è un'arma tagliente a filo unico e curva, con l'impugnatura cilindrica di legno, con un paramano rotondo e di acciaio. E' ideale per tagliare, lacerare e dividere con grande velocità, utilizzando anche la forza dura. Grazie alla forma curva della sua lama e al filo su un unico lato, con la sciabola sono possibili le tecniche che si avvolgono e passano intorno alla testa, così come l'uso dell'altra mano come appoggio aggiuntivo in certi movimenti. Ci sono molti tipi di sciabole, tra queste citiamo il Gau Wan Darn Dao (sciabola dei 9 anelli), il Ma Dao (sciabola della cavalleria) e il Kwan Dao (alabarda di Kwan Kung). 3) La spada o Gim La spada dritta era simbolo di nobiltà nella cultura cinese. Come indica il suo nome, ha una lama dritta a doppio taglio e una punta affilata; la protezione della mano è piana e allineata con la lama in maniera che protegga la presa alla base dei due lati affilati. L'uso della spada dritta è molto raffinato, si basa sul controllo preciso del polso e sul dare enfasi alla forza morbida con tecniche di taglio e di stoccata, di solito dirette verso obbiettivi specifici o punti vitali. Tra le spade più comuni abbiamo la Ching Lung Gim (Spada del Drago Verde), la Ta Mo Gim (Spada di Bodhidharma) e la Moi Fah Gim (spada del Fiore di Prugno). 4) La lancia o Cheung La lancia è essenzialmente un bastone con una punta di metallo a forma di diamante fissata a un'estremità. Pertanto comprende molti dei metodi impiegati nel bastone a una o


“Nonostante le precarie condizioni della fine della Dinastia Qing (1644-1911), dove la pratica pubblica delle arti marziali era oltretutto proibita, il Choy Lee Fut riuscì a continuare la sua espansione attraverso le società segrete e i gruppi rivoluzionari”


Reportage due teste e inoltre delle tecniche che utilizzano la punta per pungere, tagliare, ecc. A differenza del bastone, i movimenti della lancia - come la combinazione tipica di coprire, deviare e pungere - si eseguono enfatizzando la forza morbida. Tra le lance più diffuse nel sistema ci sono la Ying Cheung (lancia del'Ombra), la Seung Tau Cheung (Lancia a 2 teste) e il Seer Sau Cheung (Lancia della Mano del Serpente).

Metodologia di Insegnamento Lo studio del Choy Lee Fut è composto da due parti principali: il metodo esterno e quello interno. I principianti iniziano lo studio del metodo ester no e il suo apprendimento si divide in tre livelli di conoscenza. Nel primo livello si insegnano i fondamentali del sistema e il lavoro con le routine essenziali: Ng Lun Ma (ruota dei cinque cavalli) e Ng Lun Choy (ruota dei cinque pugni). La prima presenta le posture e le transizioni principali mentre ci si muove in linea retta e la seconda inserisce le tecniche di mano, di pugno e le parate più importanti che sono di natura circolare. Una volta che gli allievi hanno familiarizzato con le basi dell stile, si comincia subito con le armi iniziando dal maneggio del bastone. Questo non solo per il fatto che è l'arma principale secondo la tradizione S h a o l i n , m a p e rc h è p e r m e t t e a l praticante di condizionare i polsi e le avambraccia mentre sta imparando. Inoltre, il bastone serve come base per l'uso delle altre armi lunghe. Si è soliti cominciare con alcune tecniche lineari del Dan Tau Gwan (bastone a u n a t e s t a ) c o m e c o l p i re v e r s o i l basso, deviare e pungere, per poi in seguito aggiungere alcune tecniche c i rc o l a r i d e l S e u n g Ta u G w a n (bastone a 2 teste) come colpi

“Lo studio del Choy Lee Fut è composto da due parti principali: il metodo esterno e quello interno” laterali e colpi ascendenti o discendenti a 45 gradi. Il passo seguente consiste nell'imparare la forma Seung Gaap Dan Gwan (bastone doppio e singolo), che come indica il suo nome è una sequenza che combina le abilità precendentemente acquisite di entrambe le armi, che consente all'allievo di integrare i principi per generare la forza e il “lavoro dei cavalli” imparati nelle forme a mano nuda con le tecniche di bastone, potenziando così integralmente lo stile e preparandolo ad affrontare i successivi livelli di apprendimento. Per ultimo, dobbiamo dire che mentre si imparano le sequenze con le armi del sistema, troviamo anche delle combinazioni specifiche a solo e di

“Occorre sottolineare che le tecniche moderne si usano per il maneggio delle armi classiche nelle competizioni sportive”

coppia, per cercare di comprendere correttamente le applicazioni marziali.

Le Ragioni dell'Allenamento con le Armi Indipendentemente dalla sua struttura, l'apprendimento e l'allenamento delle tecniche tradizionali con le armi, seguendo gli stessi metodi degli antenati del sistema e utilizzando armi storicamente precise in quanto alle loro caratteristiche, come il peso, la lunghezza o la fattura, è anch'esso vitale per la comprensione del lavoro senza armi. Il maneggio delle armi contribuirà a migliorare il controllo del corpo, le qualità fisiche e la stessa abilità dei praticanti nel combattimento. Per esempio, la pratica con armi lunghe e pesanti migliora l'equilibrio nelle posizioni e rafforza i muscoli in generale. Realizzare movimenti complicati a livello avanzato con armi taglienti, richiede altresì maggior attenzione e concentrazione, il che in conclusione andrà a migliorare l'armonia tra mente, corpo e spirito. Occorre sottolineare che le tecniche moderne che si usano per il maneggio delle armi classiche nelle competizioni sportive, che sono assai leggere e/o corte, molte volte non sono adeguate per l'analisi delle stesse, secondo la loro stretta applicazione marziale. Nel Choy Lee Fut si cerca di svelare i segreti scritti nei testi della famiglia Chan e di allenarsi con le stesse armi che vengono descritte nei manuali, tentando di acquisire le medesime abilità che possedevano i nostri antenati. E' essenziale per tutti i professionisti e i maestri, a prescindere dallo stile, riconoscere il dovere di preservare questo patrimonio marziale di generazione in generazione. La conservazione è una sfida continua per gli artisti marziali tradizionali.


Wu Shu

“Una volta che gli allievi hanno familiarizzato con le basi dell stile, si comincia subito con le armi iniziando dal maneggio del bastone�

Nelle fotografie, i Maestri Marcel e Raul Toutin, discepoli diretti del Gran Maestro Chen Yong Fa e Direttori della Sezione Latinoamericana di Choy Lee Fut Wing Sing Tong, con sede a Santiago del Cile. Per maggiori informazioni visitare: http://www.choyleefutlatinoamerica.org


IN ARRIVO!

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S.D.S.-CONCEPT ADDESSTRAMENTO DI SICUREZZA S.D.S. - Concept addestramento di sicurezza è un sistema per allenare e insegnare sicurezza operativa e pratica. Alcune categorie di professionisti corrono più rischi di altre, essendo attaccate da clienti aggressivi. Può darsi che questo non accada tutti i giorni, ma non si deve prendere alla leggera. Il nostro programma didattico è stato chiaramente concepito per questi professionisti. Il personale di sicurezza - privata o pubblica allo stesso modo - ha a che fare con la violenza e le aggressioni ogni giorno. Molto spesso, l'attenzione viene messa in quegli eventi in cui gli aggressori rimangono feriti. Pertanto, far fronte a situazioni potenzialmente pericolose, è il pane quotidiano di questi professionisti. Solo un agente di sicurezza molto ben addestrato sarà



capace di gestire situazioni complicate in maniera appropriata: intimidazione, insulti, minacce, attacchi. Questo è assolutamente necessario per reagire con calma e in modo adeguato in circostanze pericolose. I tempi cambiano, i sistemi e i programmi di difesa personale sono sempre più aggiornati e il SDS-Concept è anch'esso un prodotto dei nostri tempi. La vita scorre veloce in quest'epoca e la maggior parte della gente non può investire degli anni a studiare Arti Marziali. Il SDS-Concept non è prodotto da un sistema di combattimento, per cui può operare al di fuori dei percorsi tradizionali. È completamente basato nell'allenamento alla sicurezza, tenendo presenti tutti gli strumenti e i luoghi a disposizione. Chiaramente non c'è la necessità di studiare un sistema, solo per adattarlo più tardi o per modificarne i concetti e i principi per l'uso di armi o strumenti di autodifesa.

S.D.S. - Concept Addestramento di Sicurezza - L'idea L'idea di base dell'addestramento di sicurezza del SDSConcept è di dare più sicurezza ai professionisti che corrono rischi elevati nei loro contesti lavorativi. La combinazione di sicurezza rilevante, la visione pedagogica e psicologica, l'esperienza di avvocati e di personale di polizia, è stata sintetizzata in una serie di corsi, seminari e consulenze.

S.D.S - uso professionale dell'equipaggiamento Le Tecniche del SDS-Concept di solito si eseguono con strumenti come torce elettriche, manette, bastoni telescopici, tonfa e spray al peperoncino. Questi strumenti si utilizzano per attaccare, controllare, arrestare e trasportare l'aggressore, così come per la difesa personale. Effetti potenzialmente nocivi degli strumenti utilizzati in maniera inadeguata: • Lesioni serie, persino la morte • Tecniche inappropriate per una determinata situazione • Gli strumenti possono essere vietati in alcune aree (per esempio, alcune compagnie aeree non consentono di portare a bordo tonfa o spray piccanti) • Tecniche inappropriate per il lavoro di squadra • L'uso di alcune tecniche può essere errato o addirittura eccessivo • Non sempre è consigliabile usarli

Contenuto dell'addestramento Il programma di studi contiene gli aspetti tecnici, così come l'addestramento al lavoro di squadra, la valutazione della situazione, le tecniche di ricerca, la pianificazione delle emergenze, protezione di terzi, protezione di se stessi e gli studi giuridici. E' tipico del SDS-Concept che le tecniche siano sempre insegnate e praticate nel contesto delle speciali richieste, per ciò che riguarda la tattica e la strategia.

Tattiche Operative Le tattiche operative si possono definire come l'uso di mezzi verbali e fisici per la messa in atto delle misure necessarie in una missione o compito ben pianificato e coordinato. I fattori importanti sono la forza della squadra, il

tempo, il luogo e lo scopo. Le tattiche operative comprendono: la preparazione, le istruzioni di squadra, l'applicazione della forza fisica, l'uso degli strumenti, il posizionamento dei membri della squadra, le tecniche di accompagnamento in squadra, attacchi di squadra, tecniche di arresto e trasporto in squadra, la percezione, gli errori nella percezione, l'eleborazione delle informazioni sotto stress. Come si può vedere negli articoli precedenti, il SDSConcept è un sistema molto vasto. È diverso dagli altri sistemi, poichè si concentra nelle situazioni e non sui livelli. È assolutamente possibile insegnare, per esempio, soltanto tecniche adatte alle donne, o l'uso dello spray al peperoncino, l'uso di oggetti flessibili, ecc. Non c'è l'obbligo di insegnare l'intero sistema SDS-Concept. In termini


generali, il SDS-Concept è un sistema di combattimento corpo a corpo molto elaborato, con l'unico obbiettivo di permettere a tutte le persone di difendersi in maniera efficace. Il sistema copre una ampia gamma di argomenti, nell'ambito della legittima difesa, sia contro aggressori armati che disarmati. Il SDS-Concept è una combinazione di tecniche di difesa personale con la difesa di bastone (Kubotan, Dulo, Yawara, bastone da taschino) - o con gli oggetti quotidiani e tutte le armi del corpo disponibili. SDS-Concept non è uno sport da combattimento con un sofisticato insieme di regole, ne un'arte marziale tradizionale, ma piuttosto un sistema che si focalizza sull'efficacia e solo in quella. È

completato da misure di prevenzione, elementi tattici di autodifesa, allenamento basato sulle situazioni, addestramento e tecniche per la riduzione dell'intensità. Peter Weckauf è un esperto di fama internazionale nelle arti marziali e nella difesa personale. Ha creato il SDS-Concept come aggiunta significativa e complemento per ampliare i sistemi di difesa personale e arti marziali, col fine di migliorare in modo effettivo le capacità di autodifesa degli utenti. Sono programmati i corsi per istruttori da Marzo a Settembre del 2014. Per ulteriori informazioni visitare: www.sds-concept.com o www.sami.international.com Foto di Mike Lehner Scritto da Peter Weckauf e Irmi Hanzal




PREZZI EDIZIONE ITALIANA Per tutto ciò che riguarda le pagine locali o questioni di pubblicità nell'edizione italiana, per favore, si prega di contattare Nicola Pastorino: (bu do it alia@g m a il.co m ).

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AUTORE:RANDY WILLIAMS

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Storia di una determinazione Testo: Nuria Ortiz & Pedro Conde


Da un debutto all'altro sono passati…quanti anni? La recente e assai brillante pubblicità della Volvo (complimenti all'azienda e ai creatori che hanno concepito l'idea) che presenta la stabilità del suo nuovo sistema di guida, ha riaperto di nuovo le porte e posto sotto i riflettori questo gigante del Cinema Marziale, eterno “enfant terrible” dai calci e dalle spaccate perfette, un uomo che ha vissuto ed è “sopravvissuto” al successo. Van Damme è esempio di perseveranza e successo aldilà degli alti e bassi; varie decadi di Cinema marziale lo dimostrano e oggi in questo stupendo e completissimo articolo, il nostro esperto in materia D.Pedro Conde, che tante volte lo ha intervistato, va a fondo nei recessi di una carriera e di una vita eccezionali. Si signori! C'è di nuovo Van Damme, perché ha dimostrato una capacità di rinascere dalle ceneri come poche volte abbiamo avuto occasione di vedere. Un reportage straordinario che non dimenticherete. Alfredo Tucci


Jean Claude Van Damme, storia di una determinazione Jean Claude François Camille Van Varenberg è nato il 18 Ottobre del 1960 alle 6 e 10 del mattino all' Ospedale Francese di Berchem-Sainte Agathe, situato nella parte occidentale di Bruxelles. Cresciuto in seno a una famiglia borghese benestante, suo padre, Eugene, era direttore di una fabbrica di biancheria. Jean Claude da piccolo era molto introverso e sensibile, forse a causa del fatto che la maggior parte della sua infanzia l'ha trascorsa abbastanza solitaria: i suoi genitori erano troppo occupati nel portare avanti l'azienda familiare per potergli dedicare tutte le attenzioni di cui aveva bisogno. Infatti, il piccolo Jean Claude si affezionò velocemente a Manola, una giovane spagnola che faceva la cameriera nella casa dei Van Varenberg, con la quale passava la maggior parte della giornata. Al punto che i genitori dicevano che da piccolo parlava quasi meglio lo spagnolo che il francese. Quando ha iniziato ad andare a scuola, le uniche lezioni che sopportava erano quella di disegno (sin da bambino mostrò una grande abilità nel disegno) e quella di ginnastica. In seguito suo padre lo incitò a dedicarsi allo sport, sperando che così potesse superare la sua estrema timidezza e insicurezza e sviluppasse un po' il suo fragile corpo. Quando nel 1973 in Belgio si scatenò la febbre per le arti marziali, suo padre un giorno lo accompagnò in una palestra di Karate per metterlo sotto la tutela di Claude Goetz, uno dei pionieri del Karate belga. La prima impressione che Claude Goetz, praticante di Karate dal 1958, ebbe del suo nuovo allievo Jean Claude era che non era troppo portato per l'esercizio fisico ed era assai delicato.




Questo minuto e gracile dodicenne diede, tuttavia, dimostrazione di molta più volontà della maggior parte dei suoi adulti veterani, ragion per cui Claude Goetz poi gli si affezionò. Claude Goetz è in tutto e per tutto un personaggio in Belgio: è stato uno dei pionieri del Karate nel suo paese e allievo di maestri del calibro di Harada o Taiji Kase, che ospitò in casa propria. Cominciò a praticare con Jacques Delcourt, attuale presidente della FFKAMA. Si può anche considerare uno dei massimi

artefici dell'introduzione del full-contact e light-contact in Belgio, essendo stato uno dei primi in Europa a partecipare a dei campionati. Ha avuto un ruolo attivo nella creazione della federazione Europea di Karate e, qualche anno dopo, nella creazione della Federazione Europea di Full-Contact. Ha anche organizzato grandi riunioni di full-contact, come quella che mise di fronte Dominique Valera e Macaruso. Van Damme era dunque in buone mani. Gli allenamenti di Goetz erano “alla giapponese”, ovvero, quasi militari. Non accettava scuse. Chi non ce la faceva, appendeva la cintura, chi continuava progrediva. Questo era, senza dubbio, troppo duro per il piccolo Jean Claude che dopo ogni allenamento tor nava a casa stremato, incapace di fare i compiti e alzarsi presto per andare a scuola. Nel giro di un anno abbandonò la palestra di Goetz, frustrato dalla sua incapacità fisica di seguire il ritmo delle lezioni. Passò molti mesi a riflettere prima di decidere di tornare alle arti marziali ma con un altro maestro: Miyazaki, del Karate

Shotokan. Van Damme imparò a forgiarsi una volontà d'acciaio con questo insegnante tradizionalista e acquisì maggiore velocità e precisione. Ma c'era qualcosa che continuava a tormentarlo interiormente: era troppo esile, le sue tecniche mancavano di potenza e di fronte a qualsiasi avversario più pesante poteva fare ben poco. Tale insicurezza, legata alla sua gracilità fisica, lo spinse a tornare alle lezioni del maestro Goetz per sviluppare un corpo di cui poter essere orgoglioso. Allo stesso tempo frequentava spesso una palestra di body building per fare pesi e una dieta, cambiò il suo regime alimentare includendo più vitamine e proteine e si abbonò alle riviste “Pleine Forme” e “Muscles & Fitness”. Dunque aveva canalizzato la sua ossessione e cominciò poco a poco a prendere peso e a sviluppare un fisico solido, che lo portò alla fine a ottenere, col tempo, il titolo di “Mister Belgio”. I suoi genitori erano per lui un gran sostegno, gli davano abbastanza libertà, lo incitavano e quando tor nava sfinito dagli allenamenti trovava sempre la cena pronta e delle parole di affetto e comprensione. Negli studi, tuttavia, non andava particolarmente bene: non gli interessavano granchè, per cui da




li a poco avrebbe avuto più tempo per allenarsi. I suoi genitori non ne erano troppo turbati, pensando che se il loro figlio non avrebbe sfondato nel mondo del karate, avrebbe sempre potuto occuparsi dell'azienda familiare: un negozio di fiori. Aiutando la madre nel negozio di fiori conobbe Monette, una bella ragazza che dava lezioni di danza. Van Damme in seguito se ne interessò e si iscrisse alle sue lezioni col pretesto di

migliorare la propria elasticità. Come egli stesso riconobbe, la ragione era molto diversa: “Era impressionante sentirsi quasi tutti i giorni circondato da tante bellezze aggraziate e affascinanti. Ero innamorato di tutte le ballerine!” Non è poi così difficile comprendere perché ha praticato contemporaneamente, per oltre quattro anni, la danza e le arti marziali. Comunque, ciò che in principio non era altro che un “malizioso” hobby, finì

per diventare qualcosa di più serio: in effetti, la sua straordinaria elasticità e la sua grande coordinazione nei movimenti fecero si che vari coreografi gli proponessero di dedicarsi in maniera intensiva alla danza o al balletto, dipingendogli un promettente futuro sui palcoscenici. Van Damme riflesse sulla questione poiché la danza offriva, naturalmente all'epoca, più opportunità di guadagnarsi la fama che non le arti marziali. Ma Van


Damme cominciava già ad accarezzare seriamente l'idea di tentare la fortuna nel fascinoso mondo del cinema, per cui declinò tutte le offerte che potessero allontanarlo dal suo proposito. I ballerini non diventano eroi, gli attori si, e ciò era quello che Van Damme avrebbe voluto essere un giorno: un eroe. Dopo tutto questo c'è stato un periodo di successi e promettenti partecipazioni a competizioni di Karate e di Light Contact, in cui ha ottenuto due volte il titolo di campione del mondo dell'Associazione Europea di Karate Professionale (Full Contact a quell'epoca) nella categoria

pesi medi. Poco dopo aprì la palestra California, comunque e nonostante che gli affari gli andassero bene, quello non era ciò che più desiderava. Nel 1982 insieme a Michael Qissi, suo intimo amico d'infanzia, anche lui allievo di Goetz, si lanciò all'inseguimento del “sogno americano” e a tentare la fortuna nel mondo del cinema. Si sbarazzò della sua palestra e andò a Los Angeles, contando su un capitale di soli ottomila dollari. Gli inizi furono molto duri e poco incoraggianti: lavorò come taxista, fattorino delle pizze, autista di limousine, maestro di karate e massaggiatore, tra gli altri mestieri. Grazie alle sue incredibili qualità fisiche e le sue conoscenze di body building e fitness, riuscì a diventare sparring e assistente personale di Chuck Norris che gli fruttò un piccolo cameo in “Rombo di tuono” (Missing in action, ndt). Dopo due anni in Nordamerica inseguendo un sogno, non era molto, ma almeno era un inizio. Siccome non gli restava nulla ed era così disperatamente in cerca di una parte, accettò di interpretare un omosessuale, con alcune scene “hot”, in “Monaco Forever”. Nel 1985 ha lavorato in una produzione di Hong Kong intitolata “Kickboxers-Vendetta personale”, la quale, in un primo momento, passò senza infamia e senza lode o almeno era molto lontana dalle aspettative, nonostante fosse diretta dal famosissimo regista Corey Yuen (The transporter). Nel 1988 ebbe l'occasione di dimostrare a Menahem Golam, uno dei produttori e registi della Cannon Group, le sue strabilianti qualità fisiche e quest'ultimo decise di dargli la chance da protagonista in “Senza esclusione di colpi” (“Bloodsport”). La pellicola ottenne un discreto successo che andò in crescendo col passare del tempo. Seguirà “Aquila Nera” (Black Eagle) con Sho Kosugi. Nel 1989 girerà “Cyborg” di nuovo per la Cannon. Anche se queste produzioni



contribuirono a farlo conoscere, il vero successo è arrivato con “KickBoxer - Il nuovo Guerriero”. Il film contava su un budget stimato di 1.500.000 dollari. Negli Stati Uniti ne incassò 14.500.000 e nel resto del mondo 25.000.000, soltanto nei cinema. Questa somma salì ulteriormente con la sua distribuzione e vendita in videocassetta. Nel 1990 fu girato “Lionhearth - Scommessa vincente”, il primo film di Jean Claude Van Damme realizzato e distribuito da uno dei grandi studios di Hollywood: la Universal Pictures. La differenza si è vista subito, soprattutto nel suo budget per le riprese che fu di 6 milioni di dollari. Solo fuori dal mercato americano incassò 24 milioni nei cinema. In quei giorni l'attore era considerato un valore sicuro nel mercato dell' home-video, essendo i suoi lungometraggi delle vere hit nei video club, specialmente del vecchio continente. Tuttavia l'attore aveva più ambizione, voleva uscire dalla classe “B” e girare delle pellicole con più mezzi e sceneggiature un po' più curate. Anche se saranno sempre per lungometraggi d'azione e di arti marziali, gli si aprirono le porte di un altro dei grandi studios di Hollywood: la Metro Goldwyn Mayer Pictures, la quale gli offrì l'opportunità di un ruolo da protagonista in “Colpi proibiti” (Death Warrant), un film sull'ambiente carcerario dove ha potuto recitare e dimostrare che, a parte saper tirare calci, aveva anche un potenziale come attore. Il film incassò 46.665.776 di dollari. Ogni uscita superava di gran lunga la precedente. La sua immagine appariva su tutti i generi di pubblicazione e mezzi di comunicazione. Nel 1991 fu impegnato nelle riprese di “Double Impact - La vendetta finale” che, così come “I Tre dell'Operazione Drago”, venne girato interamente a Hong Kong. In essa è apparso perfino Bolo Yeung. Contava su un budget di 15.000.000 di dollari, il doppio dei suoi predecessori e curiosamente i risultati al botteghino furono raddoppiati, ovvero, 80.039.915 di dollari. Distribuito dalla Columbia,

il film ottenne un'accoglienza eccellente in tutto il mondo. Nel 1992, la stessa casa produttrice gli diede la possibilità di essere il protagonista di “I Nuovi Eroi” (Universal Soldier). Lo studio puntò molto su di esso perché disponeva di un budget di 23 milioni e uscì nei cinema del Nordamerica il 10 di Luglio incassando 10.000.000 di dollari, il secondo film più visto di quel fine settimana. In questo paese arrivò a 36.200.000 di dollari, avendo un successo moderato negli U.S.A., tuttavia in altri paesi arrivò al numero uno delle classifiche di incasso, totalizzando al botteghino 102.299.898 di dollari in tutto il mondo. Questo lungometraggio lo consacrò allora come stella di Hollywood. A quell'epoca conobbe Darcy La Pier, moglie del miliardario Ron Rice; i Van Damme e i Rice si incontrarono per caso ad una festa di società, dove le due mogli indossavano lo stesso vestito. La cosa venne molto chiacchierata…il belga, per minimizzare l'argomento, si fece fotografare con entrambi ridendo e scherzando davanti ai paparazzi. Secondo alcuni, da lì cominciò il peggiore dei suoi mali poiché Van Damme allacciò una relazione con Darcy e chiese il divorzio da Gladys Portugues. Nel 1993 si lasciò coinvolgere in un progetto nel quale voleva dimostrare le sue doti interpretative e uscire dal clichè delle arti marziali. Quel progetto si intitolava “Accerchiato” (Nowhere To Run), che aveva un budget per la sua realizzazione abbastanza inferiore al suo precedente lungometraggio, soltanto 15.000.000 di dollari. Il film non ebbe un grande riscontro nei cartelloni a livello mondiale, incassò soltanto 52.189.039 di dollari, nonostante che Van Damme s'impegnò a fondo per la sua



promozione. Nel suo tour per l'Europa presentò Darcy alla stampa come sua moglie e svelò anche il suo cambio di “genere” avvenuto in questa pellicola:” Non è esattamente un cambiamento, piuttosto una trasformazione. A me prima di tutto piace il genere d'azione, comunque non mi piace fare sempre la stessa cosa: combattimenti e ancora combattimenti. Questa evoluzione era una sfida per me, fare un film con una storia interessante. Non voglio mettere da parte l'azione, ma vorrei trattarla in maniera differente”. Nonostante gli sforzi del belga, il film rimase molto lontano dalle aspettative dell'attore per cui nel successivo lungometraggio, “Senza tregua” (Hard Target), tornò a fare ciò che gli riusciva meglio… Questa sarà la prima pellicola americana girata con l'acclamato regista John Woo, il maestro del cinema d'azione di Hong Kong, un film costato 20 milioni di dollari col quale recuperò il terreno perduto e inoltre guadagnò, soprattutto, popolarità e prestigio, che erano le cose che realmente desiderava:” Se riesco a crearmi un'immagine e un mio stile negli Stati Uniti, l'unanime accettazione da parte del pubblico, comincerò a ricevere proposte di film diretti da James Cameron, Paul Verhoeven, Oliver Stone o questo genere di registi, che è ciò a cui ambisco”. Per questo film ha preso 3.000.000 di dollari. La pellicola aveva un budget di 19.500.000 di dollari e ne incassò al botteghino 74.189.677. Statisticamente, Jean Claude Van Damme triplicava qualsiasi investimento venisse fatto su di lui. Nel 1994, “Timecop - Indagine dal futuro”, diretta da Peter Hyams, lo collocò nell'Olimpo delle grandi star di Hollywood, con un cachet di 8.000.000 come attore protagonista. La superproduzione aveva un capitale a disposizione di 35.000.000 di dollari. Van Damme era assolutamente certo del suo successo:” Finalmente ho un personaggio con una storia, con dei sentimenti, con una certa umanità. Questa pellicola deve funzionare perché voglio che la gente si renda conto che vado oltre i due bicipiti, gli addominali o il culo. So che posso fare molto di più di quello che ho fatto fino ad ora, ho solo bisogno di bei copioni, bei ruoli e buone opportunità. In questo senso “Timecop” è un passo nella giusta direzione: non è solo una ulteriore pellicola della mia filmografia”. Il belga aveva ragione: quella era la strada giusta, quello fu il film più proficuo della sua filmografia oltrepassando la soglia dei 100.000.000 di dollari di incasso in tutto il mondo.

Nelle quotazioni di Hollywood di quel periodo, gli attori che guadagnavano di più per il loro lavoro, con un totale di 15 milioni di dollari a film erano Arnold Schwarzenegger, Eddie Murphy, Michael Keaton, Bruce Willis y Steven Seagal. 14 milioni Kevin Costner e Tom Cruise. 12 milioni Sylvester Stallone e Michael Douglas. 10 milioni Harrison Ford. Si scendeva fino ad arrivare agli 8 che prese Van Damme per “Timecop”. Indiscutibilmente si stava avvicinando ai “grandi” della celluloide, la cosa curiosa è che era il primo attore non nordamericano a farlo. Il percorso era stato lungo e molto arduo, ma ci stava riuscendo. Il suo seguente film “Street Fighter l'ultima sfida” fu un grande successo commerciale, incassando all'incirca tre volte il suo costo di produzione (35.000.000 di dollari), ma venne stroncato all'unanimità da critica, fans del genere e spettatori. In definitiva non piacque a nessuno. Arrivò persino ad essere considerato uno dei peggiori film del 1994. Nel 1995 Jean Claude Van Damme, in un tentativo di redimersi davanti al proprio pubblico, si mise di nuovo agli ordini di Peter Hyams in “A rischio della vita” (Sudden Death), che riuscì ad incassare 64.000.000 di dollari negli USA. Nel mercato dell'homevideo, si avvicinò ai 50 milioni. Nonostante i risultati, con questo Van Damme si consacrò definitivamente come uno dei grandi del cinema. Dopo aver visto i risultati, l'attore si sedette al tavolo delle trattative con la Universal, la produttrice dei suoi ultimi tre film, proponendole le riprese di altre tre nuove pellicole e questo è ciò che avvenne secondo le stesse dichiarazioni dell'interessato:” ricevetti una grande offerta dalla Universal Studios per rinnovare il mio contratto; volevano che recitassi in tre delle loro produzioni pagandomi 12.000.000 di dollari per ciascuna. Io gli risposi che ne volevo 20 come Jim Carrey (questo fu il suo cachet per “Bugiardo Bugiardo”) - Mi risposero di no, che la mia proposta era folle. Rimasi spiazzato. Dopo feci una controfferta, abbassando le mie pretese, ma non mi rispondevano nemmeno più al telefono”. Probabilmente le sue richieste economiche in quel momento erano esorbitanti, ma poteva almeno esserci una negoziazione. Senza ombra di dubbi, le reticenze della produzione nel proseguire a lavorare con lui erano dovute al suo eclatante divorzio con Gladys Portugues e alla sua tormentata relazione con Darcy La Pier, dove gli scandali erano all'ordine del giorno così come i rumors sulla sua dipendenza dalla cocaina. Per

quello, i mezzi di comunicazione parlavano di più di questo che delle sue produzioni. I gior nalisti statunitensi hanno fama di essere molto volubili e hanno il potere di portare in alto certi personaggi, o di distruggere la loro carriera. Purtroppo Jean Claude Van Damme entrò nel loro mirino, forse il non essere nordamericano contribuiva a tutto ciò. Era il 1996 e lontano dallo scoraggiarsi, tornò con “The Quest La prova”, un progetto personale dell'attore. Con questo pensava di recuperare il prestigio perso. La scommessa era sicura perché la trama ruotava intorno a un torneo marziale, ovvero, tornava alle sue origini. La pellicola che lo ha fatto conoscere fu “Senza esclusione di colpi”, con “The Quest - La prova”, che contava sulla presenza di molti esperti e famosi artisti marziali, sperava di superare i fasti del suo primo film, infatti e secondo le sue seguenti dichiarazioni, “Forse dedicherò circa due anni per questo film, perché mi occuperò di scrivere la sceneggiatura, della regia, del casting e della coreografia delle scene d'azione, oltre ad esser ne il protagonista.”The Quest - La prova” è un epopea sulle Arti Marziali la cui trama si snoda tra Parigi, la Cina, gli USA, ecc. E' ambientata negli anni '30 per cui ci saranno vestiti dell'epoca, cavalli, carrozze, ecc. Ci saranno anche i pirati e i templi Shaolin. Nel rispetto di questi ultimi, vorrei portare la troupe nei veri templi di Shaolin che mai sono stati filmati, così come nei magnifici templi situati in Malesia, Thailandia dove i monaci continuano ad allenarsi. Mi piacerebbe anche girare all'interno della Città Proibita. Per questa pellicola voglio degli scenari autentici. Sarà fondamentalmente una storia di coraggio, amicizia e amore. Disporrà di molti mezzi perché desidero narrare in maniera epica la storia e la filosofia delle arti marziali dalle loro origini, per far si che genitori e figli possano vederla e comprendano che cosa rappresentano. Vorrei realizzare un vero classico con mezzi e cast di attori di grande livello. Penso che sarà una grande produzione che inoltre vorrei dedicare a Bruce Lee per ringraziarlo di tutto quello che ha fatto per il cinema e per le arti marziali”. All'inizio avrebbe dovuto contare su un budget di 40.000.000 di dollari che fu poi ridotto a 35.000.000. Alla sua uscita negli USA incassò 21.600.000 di dollari. Come al solito il film ottenne più consensi all'estero raccogliendo quasi 40.000.000 di dollari, ma quelle cifre erano molto distanti da quelle sperate. Il grande stress che subì sul set del film iniziò a presentargli il conto:




durante le riprese soffrì di una grave insonnia, non riusciva a dormire la notte e questo, unito al disturbo bipolare di cui patisce dall'infanzia, lo resero dipendente a un farmaco per il sonno. In più, ha ammesso che durante questo progetto cominciò a consumare cocaina. I suoi problemi sembravano non finire: “The Quest La prova” era basato sul soggetto scritto da Frank Dux. L'attore venne citato in giudizio da Dux quando cambiò il soggetto e le scene, pagandolo meno di quanto promesso. Mescolare cocaina, sonniferi e la sua medicina abituale per il trattamento del suo disturbo bipolare era un vero cocktail mortale. L'attore non faticò rendersene conto e decise di porre fine ai suoi problemi entrando in un programma di riabilitazione, di un mese di durata, ma dopo una settimana lasciò la clinica. In quel periodo la sua spesa settimanale per la cocaina era di 10.000 dollari. Si imbarcò in un nuovo progetto:”Maximum Risk”, diretto da un altro emblematico regista di Hong Kong, Ringo Lam, famoso per i suoi film di azione, che aveva un budget di 25.000.000 di dollari e tuttavia raggiunse appena i 14.000.000 al botteghino americano. A livello mondiale riuscì ad incassare 51.700.000 dollari. Era chiaro che la cattiva pubblicità che aveva avuto in America gli si stava ritorcendo contro. Nel 1997 girò “Double Team - Gioco di squadra”, di nuovo sotto la regia di un altro dei grandi calibri di Hong Kong, Tsui Hark, con un capitale disponibile di 30.000.000 di dollari, ottenendo la cifra irrisoria di 48.000.000 di incasso. Il declino della sua carriera era evidente. I problemi che ci furono durante le riprese, uniti a quelli personali, lo stavano affondando. A Novembre dello stesso anno decise di divorziare da Darcy La Pier; l'attore dichiarò che fu lei a incitarlo a fare uso di cocaina, la sua grande rovina. Ovviamente Darcy contrattaccò accusandolo di essere un maniaco depressivo, oltre che un cocainomane e maltrattatore, dichiarando su vari media che durante il loro tormentato matrimonio lui l'aveva picchiata e torturata psicologicamente. La cosa non fu presa in considerazione dal giudice per mancanza di prove, inoltre anch'ella riconobbe di essere una consumatrice abituale di cocaina. Questo scambio di accuse attraverso i mezzi di comunicazione, pregiudicò ancora di più l'immagine di Van Damme. Nel 1998 tornò di nuovo a provarci con “Hong Kong colpo su colpo” (Knock Off) diretto di nuovo da Tsui Hark, questa volta in un contesto ben c ono sci uto dal regista: Hong K ong. Il lungometraggio disponeva di 35.000.000 di dollari di capitale, una fortuna per girare un film nella excolonia britannica. Nella produzione interverranno alcuni dei migliori specialisti e tecnici di azione del posto, tuttavia i risultati al botteghino furono deludenti, ar rivando a racimolare soltanto 10.300.000 di dollari negli USA. Sommati al resto degli incassi a livello mondiale giunse a un totale di 44.000.000. Era chiaro che Van Damme aveva s messo di essere un buon investimento nel business del cinema, a maggior ragione quando uscì la notizia che durante le riprese l'attore fu vittima di un'overdose di cocaina che fu sul punto di costargli la vita. Al termine della promozione del film, Van Damme entrò di nuovo in una clinica di disintossicazione e in questa occasione riuscì a concludere la terapia,






cambiando completamente le sue abitudini e il suo stile di vita. Si riconciliò con Gladys Portugues, con cui si risposò. Grazie a lei, all'appoggio incondizionato dei suoi genitori e ad alcuni veri amici, fu capace di uscire dall'inferno della “polvere bianca”. Successivamente, in alcune dichiarazioni, l'attore affermò che superò la sua dipendenza dalle droghe per conto suo, poiché i centri di riabilitazione non lo aiutarono per niente. Appena uscito dalla clinica, accettò di girare “The Legionary - Fuga all'inferno”, che verrà filmato in Marocco, credendo che un cambiamento “d'aria” e di ambiente gli avrebbero giovato. Contava su un budget stimato sui 20.000.000 di dollari; in America ne incassò 15.000.000 e a livello mondiale pochi di più. Non era niente male, tenendo presente che le arti marziali spiccavano per la sua assenza. Nel 1999, poco tempo dopo l'uscita di questa pellicola, i paparazzi lo beccarono ubriaco all'uscita di una discoteca famosa, mentre si toglieva la camicia e cercava di entrare nella sua mercedes. Dopo alcuni tentativi se ne andò guidando la propria auto per le strade di Beverly Hills. Gli stessi paparazzi chiamarono la polizia e gli agenti lo arrestarono per guida in stato di ebbrezza. Naturalmente tutto ciò venne filmato e trasmesso dalle televisioni di mezzo mondo. Per quello è stato condannato a tre anni con la condizionale. Jean Claude Van Damme cercò di rimediare al proprio errore, totalmente “pulito” e con la sua vita sentimentale stabilizzata, si concentrò nel rilanciare di nuovo la sua carriera di attore. Fece un accordo con la Columbia Tristar Pictures, uno d ei “grand i” Stud ios di Hollywood: si impegnò per girare un solo film che si intitolerà “Universal Soldier - The Return”. Il suo predecessore era andato molto bene, sia a livello cinematografico che nel mercato dell'home-video. Il progetto vantava un capitale disponibile di 45.000.000 di dollari, per molti esperti nelle produzioni hollywoodiane era una scommessa molto rischiosa, soprattutto se si teneva conto degli incassi delle sue ultime pellicole. Il film raccolse 10.937.890 di dollari negli USA, a livello internazionale soltanto 20.000.000, un vero fallimento, uno dei grandi flop dell'anno, specie se lo si paragonava con gli incassi del primo che superava i 102.000.000 di dollari.


Dopo questo, i grandi studios di Hollywood si mostrarono reticenti davanti ai nuovi progetti dell'attore. Era evidente che gli scandali della sua ubriachezza per le strade di Beverly Hills, oltre al suo precedente matrimonio con Darcy La Pier, avevano il loro peso. Perfino le riviste specializzate di arti marziali smisero di pubblicare articoli e interviste su di lui. Anche il pubblico, “il suo” pubblico, soprattutto nel vecchio continente, cominciava a voltargli le spalle. Da quel momento i suoi lungometraggi iniziarono a uscire direttamente prima in videocassetta e più tardi in DVD nel mercato nordamericano. In qualche paese europeo e in altre parti del mondo, alcuni di questi sono usciti al cinema, ma furono pochi e col tempo seguirono l'esempio del Nord America. I film di quella fase della sua carriera furono: “Fino all'Inferno” (1999), “The replicant” (2001), “The Order” (2001),”Derailed - Punto d'impatto” (2002), “Hell - Scatena l'Inferno” (2003), “Wake of Death Scia di morte” (2004), “Narco” (2004), “The Commander” (2006), “The hard Corps” (2006), “Until Death” (2007) e “The Shepherd - Pattuglia di Frontiera” (2008). Nel 2008 girò un opera molto personale: “JCVD” una parodia della sua vita. In essa fa chiaro riferimento a come il denaro che guadagnava col suo lavoro se lo prendessero il proprio

agente e gli Studios, ovvero, lui faceva il lavoro e i soldi se li prendevano gli altri. Inoltre, tocca sottilmente alcuni dei problemi che aveva avuto a Hollywood. Questo film è uscito nei cinema in Nord America e in altri paesi, ricevendo critiche molto positive. Dopo di questo, la sua filmografia è stata la seguente: “Universal Soldier Regeneration” (2009), “The Eagle Path” (2010), “Assassination Games” (2011), “Beur sur la ville” (cameo 2011), “Rzhevskiy protiv Napoleona” (cameo 2012), e “Dragon Eyes” (2012). Nel 2012 ha accettato di lavorare con i grandi del cinema d'azione di Hollywood ne “I Mercenari II” (The Expendables). Qui, lui sarà il cattivo, dando vita a un personaggio vile e meschino, senza alcun principio, mentre le altre vecchie “glorie” saranno elevate agli onori. Rispetto al suo personaggio, è stato all'altezza del ruolo e sia il pubblico che la critica hanno apprezzato il suo lavoro. Grazie a ciò è tor nato a richiamare l'attenzione del pubblico di mezzo mondo, ma senza l'appoggio dei grandi Studios di Hollywood. E' stato molto, molto difficile rilanciare la sua carriera. Nel 2013, ovvero quest'anno, l'attore si è sottoposto a un intervento chirurgico al bacino, a causa di un'artrosi degenerativa progressiva. Attualmente è totalmente recuperato e continua ad allenarsi come in passato.

In merito alla sua vita personale, al momento è assolutamente stabile. Ricorderemo che la sua gioventù è stata molto turbolenta da questo punto di vista, essendosi sposato in ben cinque occasioni: il suo primo matrimonio fu con la venezuelana Maria Rodriguez (dal 1980 al 1984); il suo secondo fu con Cynthia Derderian (dal 1985 al 1986); la sua terza unione fu con Gladys Portugues (dal 1987 al 1992) con la quale ha avuto due figli: Kristopher Van Varenberg, nato nel 1987 e Bianca Bree nel 1990; il suo quarto matrimonio fu con la modella Darcy La Pier (dal 1994 al 1997) con la quale ha avuto un figlio, Nicolas, nato nel 1995; e nel 1999 si è sposato di nuovo con Gladys Portugues. Riassumendo, l'attore e artista marziale è in piena forma e i suoi problemi con la droga appartengono a un triste ricordo del passato. E' il più giovane degli attori di arti marziali degli anni '90 e ha ancora molto da dire e da fare, ma ha bisogno di un buon copione, di un buon regista e, indiscutibilmente, dell'appoggio di una grande produzione per recuperare il terreno perduto. C'è stata pure la possibilità di girare un film con Tony Jaa. Progetti non gli mancano, l'affetto del suo pubblico e degli appassionati nemmeno, ha solo bisogno del “film” che lo collochi un'altra volta nel posto che merita nella settima arte e speriamo che ciò accada presto.





Sa parlare un pappagallo? Memoria o adattamento? Questa domanda, che faccio spesso in alcuni dei miei scritti e seminari, di solito genera una energia positiva per l'inizio degli stessi. La domanda ha una “trappola” perché già so la risposta… Cerco sempre di catturare l'attenzione di colui che assiste a una lezione di WingTsun e farlo entrare in una dinamica che non è sempre utilizzata nel mondo delle Arti Marziali: La Riflessione! Sembra ovvio che anche se un pappagallo è capace di articolare delle parole, non possiamo affermare che sia sufficiente per impostare una comunicazione verbale con altri individui. Tutti conosciamo qualcuno che possiede uno di questi uccelli che sono in grado di pronunciare con assoluta perfezione “Ciao, mi chiamo Pedro”. Se non

MEMORIA O ADATTAMENTO?



“Un gran numero di praticanti di Arti Marziali (e naturalmente di WingTsun) si allenano in maniera tale che finiranno per trasformarsi in “pappagalli”

vediamo da dove proviene il suono, non riusciremmo a distinguere se è una persona o uno di questi animali pennuti ad emettere la frase. Ma se cerchiamo di dialogare con lui e gli facciamo semplici domande tipo, da dove vieni? Cosa ti piace mangiare? Studi o lavori? Ci renderemmo conto che la risposta a tutte le domande sarà sempre “Ciao, mi chiamo Pedro”. Vi chiederete il perché di questa riflessione con la quale introduco l'articolo di questo mese. Bene, è semplice. A mio avviso, un gran numero di praticanti di Arti Marziali (e naturalmente di WingTsun) si allenano in maniera tale che finiranno per trasformarsi in “pappagalli”. Saranno capaci di riprodurre una serie di movimenti e tecniche secondo un'apparenza che molti reputano come Arti Marziali, ma quando si trovano davanti a una situazione di difesa personale saranno incapaci di applicarne alcuno, non avendo compreso la vera natura del combattimento e dello scontro. Pare logico intuire che un praticante “normale”, di quelli che si allenano due o tre ore alla settimana nelle molte scuole di WingTsun di tutto il mondo, non diventerà mai la reincarnazione del Dr.Leung Jan, ma noi, come insegnanti siamo obbligati a tirare fuori il massimo da ciascuno di loro. Dobbiamo cercare di fare in modo che il loro potenziale arrivi al massimo, investendo nel tempo che ognuno di questi praticanti dedica nelle nostre scuole e nel miglioramento della pratica dell'arte che insegniamo. Se facessimo un sondaggio nelle diverse scuole di Arti Marziali, ci sorprenderemo nello scoprire che la stragrande maggioranza dei praticanti di quest'ultime e di Sport di Contatto, non hanno mai applicato le loro conoscenze del combattimento in una situazione reale di strada. La somma di vari fattori spiega tutto ciò, ma uno spicca su tutti gli altri: le arti marziali (specie quelle a mano nuda), non sono più un'ARMA con cui combattere altre persone. Sebbene questo aspetto non venga sempre tenuto presente, molto spesso è un elemento sul quale insisto con i miei allievi e insegnanti in tutto il mondo: nonostante non avremo mai bisogno di ciò che pratichiamo, non dobbiamo mai dimenticare lo scopo per cui è stato creato, il combattimento. Se c'è qualcosa che, a mio parere, definisce in maniera molto chiara un combattimento è l'assenza di RITMO. Tale concetto, che è stato definito come Il NON-RITMO, è una cosa su cui alcuni dei più grandi maestri della storia delle AM e degli Sport di contatto hanno studiato profondamente e credo fermamente che dovrebbe essere analizzata nella pratica quotidiana delle nostre scuole e dei nostri stili. Bruce Lee o il mitico Mohammed Alì fecero interessanti riflessioni su come non venire catturati dal ritmo dell'avversario, bensì il contrario: entrare in uno stato di non-ritmo che renda impossibile all'avversario di entrare nel tuo. Anche se questo punto è di importanza reale, se vogliamo che le arti da combattimento comincino ad avere un senso logico (basta vedere come funziona il mondo della boxe o delle mma), non

sempre ce ne rendiamo conto. E' mia opinione che se ignoriamo questo principio, sarà così difficile che tutto il sistema e i metodi di allenamento che mettiamo al di sopra di esso, finiranno per perdere totalmente di senso. Se la nostra pratica si concentra sul fatto che l'allievo impari attraverso la ripetizione incessante di tecniche o strategie, forse percepire un potremmo miglioramento della coordinazione neuromuscolare, una indubbia crescita delle qualità e delle conoscenze tecniche, ecc…ma sono sicuro che sarà praticamente impossibile applicare anche solo una di queste tecniche quando l'avversario non è collaborativo… Potremmo citare centinaia di esempi di eccellenti praticanti di AM e più precisamente di WingTsun che sono stati sconfitti in combattimento da avversari molto meno dotati a livello tecnico o di esperienza. Ma, come ho detto nell'articolo del mese scorso, il tempo di enunciare difetti o di fare una critica su tutto quello che facciamo o crediamo, è già passato. Prometto solennemente di presentare umilmente il mio punto di vista su questo sistema e quali penso che siano le soluzioni. Infatti, è quello che faccio in tutti i miei seminari, corsi di formazione, lezioni, ecc…Soluzioni!! (o almeno è quello che cerco di fare). Per analizzare il problema e la possibile soluzione dovremo, UN'ALTRA VOLTA, abbandonare il cammino e guardarci indietro. Dovremmo domandarci come impararono alcuni dei più grandi maestri di arti marziali tradizionali, oltre un secolo fa. E' noto che quasi tutti gli insegnamenti avvenivano direttamente DA GENITORI A FIGLI. Questa ovvietà scaturisce diverse dinamiche e dubbi che meritano di essere studiati per comprendere come gli stili classici siano giunti a questa situazione: 1- Nessun praticante imparava per insegnare ad altri. Un figlio apprendeva l'arte che suo padre gli insegnava con un unico scopo: la protezione personale. Il combattimento. Pertanto, elementi come la didattica, metodo,

MEMORIA O ADATTAMENTO?



MEMORIA O ADATTAMENTO?


ecc…avevano importanza pari a zero. L'unico obbiettivo era insegnare a tuo figlio come combattere e perciò si utilizzava un lavoro quotidiano in privato. Raggiunto l'obbiettivo in misura maggiore o minore, che importanza poteva avere come? 2- Mentre il padre insegnava al proprio figlio, provava con lui e lo introduceva nel mondo del “intangibile” come quello dell'approccio, dela distanza o del NON-Ritmo. Ecco, praticare con qualcuno che sa cosa vuol dire combattere, può aiutare a destreggiarsi in scenari differenti perché in tale pratica diretta e unendo le due cose possiamo trarre le nostre conclusioni e sviluppare un'abilità del tutto personale. 3- Non esisteva alcun interesse ad insegnare a nessuno. Bensì tutto il contrario. La conoscenza di una tecnica avanzata di combattimento ti garantiva una posizione di superiorità sui tuoi possibili rivali. Quindi, non solo non c'era nessun interesse ad insegnare a qualcuno, ma si cercava di occultare, criptare o addirittura rendere invisibile qualsiasi conoscenza rispetto al resto dei praticanti (potenziali avversari). Questi tre punti, più qualcun altro, spiegano molti dei mali dei nostri sistemi. Non siamo stati in grado di renderci conto di questo “piccolo” cambio di scenario. Da uno a quaranta. Da segreto a pubblico. Dal nascondere al cercare di scoprire… Non mi direte che non è appassionante!! Ma la verità è che tale cambiamento di scenario e il non adattamento ai cambiamenti delle scuole, hanno fatto si che gli allievi imparino guardando quello che fanno i loro insegnanti, cercando di riprodurlo fedelmente. La loro estetica. I loro gesti, i movimenti e anche la loro filosofia e il modo di intendere il combattimento o la vita. Nelle prime righe di questo articolo, facevamo riferimento alla difficoltà di comprendere cose intangibili come l'approccio e soprattutto il NON-RITMO. Questo genere di argomenti non può essere sviscerato dal sistema della ripetizione. Tutto ciò, ci trasformerebbe inevitabilmente in “pappagalli” capaci di ripetere alla perfezione quanto appreso dai nostri maestri, ma ci renderebbe alquanto difficile ottenere quegli elementi che sono assolutamente necessari per il combattimento. Anche se il sistema di trasmissione del WingTsun in origine era assolutamente valido, attualmente ha perso la sua efficacia per una questione di numero. Come dico nel mio libro e in alcuni dei miei articoli, alla metà del XX Secolo (intorno al 1950) avremmo potuto contare i praticanti di WingTsun di tutto il mondo nelle dita delle mani (Cham Wa Sum ebbe 16 allievi). Sessant'anni dopo, sono centinaia di migliaia coloro che praticano questo appassionante sistema di combattimento cinese. E' questo uno dei motivi per cui mi vien da ridere quando qualcuno afferma che questo è il sistema di insegnamento “classico”. Bene, quello dovrebbe essere fatto direttamente da un unico Sifu e in lezioni private per una diretta tramandazione. Se la mettiamo in questi termini, le scuole e le associazioni non hanno senso per l'apprendimento di quest'arte. Inoltre, il concetto di “classico” è un termine poco preciso. Dove si colloca il confine del classico? Stupida discussione che ogni maestro mette nel contesto che più gli interessa al momento di auto-proclamarsi l'autentico depositario della saggezza… (vecchi argomenti alquanto noiosi…).

Cosa propongo? In primo luogo il buon senso… In secondo, utilizzare appropriatamente le diverse fasi


“(Anticamente) Non esisteva alcun interesse ad insegnare a nessuno. Bensì tutto il contrario. La conoscenza di una tecnica avanzata di combattimento ti garantiva una posizione di superiorità sui tuoi possibili rivali. Quindi, non solo non c'era nessun interesse ad insegnare a qualcuno, ma si cercava di occultare, criptare o addirittura rendere invisibile qualsiasi conoscenza rispetto al resto dei praticanti (potenziali avversari)” dell'apprendimento di qualsiasi disciplina relazionata all'acquisizione di abilità. Il WingTsun non fa eccezione. Per finire, le arti marziali sono strumenti per acquistare abilità (fisiche o mentali) e pertanto esistono due parti distinte ma inseparabili: nozioni tecniche, tattiche e scoperta di se stessi. E' probabilmente il secondo di questi ciò che sovente escludiamo dalla pratica: 1.- La prima fase è la conoscenza della tecnica, della tattica della filosofia, dell'approccio del sistema, ecc… su questo non ci sono dubbi. Senza basi, contenuti tecnici e la loro corretta realizzazione non è possibile fare passi avanti. Dunque è fondamentale la conoscenza delle FORME del nostro sistema (contenitori dell'antico sapere) e degli scenari che esse ci propongono. 2.- Una volta completato il sistema, nel secondo step andare a introdurre elementi che generino incertezze nelle applicazioni. Cioè, eseguire esercizi che ci sono familiari e che padroneggiamo, inserendo due o tre elementi che non possiamo controllare. Sappiamo cosa dobbiamo fare ma non quando e a che distanza sia l'obbiettivo. Questi piccoli elementi che sfuggono al nostro controllo e nel quale ci pone il nostro compagno di pratica o istruttore, ci danno modo di compiere i primi passi alla ricerca dell'autonomia. 3.- Esercizi di sparring nei quali ci obblighiamo a lavorare con le tecniche del WingTsun e quindi a usarle nelle situazioni vincolate a un ritmo mutevole (sempre stabilito con il compagno). Questo terzo elemento inizierà ad aprirci due aspetti molto importanti. Il primo, prendere coscienza con le distanze, l'approccio, l'uso della potenza e la conoscenza del ritmo per avvicinarci al NON-RITMO. Il secondo ci darà FIDUCIA in quei movimenti che di per se non servirebbero a molto, se non nella pratica in una situazione “semi-libera”, se abbiamo il coraggio di osare. Insieme alla mia fiducia, aumenterà la velocità, la forza e l'intensità degli esercizi. 4.- Libero. Esercizi fuori degli schemi fissi dove si obbliga uno degli allievi (anche se è libero) a tentare di applicare le tecniche che abbiamo praticato con i compagni nelle fasi precedenti. E' possibile che in alcuni casi non si sia in grado di farlo, ma se diminuiremo di una tacca la velocità cominceremo a vedere cosa, quando e dove… siamo sempre in tempo ad aumentare i livelli di velocità o intensità, non serve a nulla sbracciare come pazzi. 5.- Obbligare a PRENDERE delle DECISIONI. Anche se il nostro stile non è particolarmente ricco di tecniche e di tattiche (esistono stili cinesi con un bagaglio tecnico immensamente superiore),

possiamo trovarci in situazioni in cui dobbiamo prendere una decisione. Tutto ciò ci pone in condizione di fallire o di commettere un errore. MAI riprendere un praticante che si prende dei rischi e commette uno sbaglio. Ma analizzare il perché e dove risiede lo stesso. Incitarlo sempre ad avere coraggio nella pratica. Se cominciamo a lavorare con questi semplici parametri, un giorno il WingTsun potrà arrivare lontano come non lo ha mai fatto. Magari non io o noi. Magari una prossima generazione… ma di certo ci riuscirà. Forse negli ultimi anni (in Europa) il WingTsun ha sofferto la crescita smisurata in quanto a numero di praticanti, scuole, ecc… Sebbene la cosa abbia dei lati positivi, ne ha anche di negativi. Spesso dico agli amanti di questo stile che questo è il nostro momento di “abbassare la testa”, lavorare in silenzio, sudare 7 camicie, usare la testa per pensare ed essere i numeri UNO in quanto a UMILTA'!! Non ce lo dimentichiamo, che il WingTsun può essere uno stile assolutamente meraviglioso (divertente, appassionante, longevo e EFFICACE). Grazie a tutti per il vostro sostegno.

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Hung Gar

N

on è un segreto che chi lavora molto e produce, prima o dopo viene premiato per i suoi sforzi. A volte è duro riconoscere quando arriva il momento della ricompensa, poiché vediamo solo le difficoltà. E' in questi momenti che mettiamo alla prova la propria forza di volontà e si dimostra l'importanza di raggiungere uno scopo. Una esperienza che il Gran Maestro Martin Sewer conosce molto bene. Quando fin da piccolo intuiva che la sua ragione di vita sarebbe stata imparare e insegnare le arti marziali, si trovò davanti molti ostacoli. Insegnante di Kung Fu? Non si può essere insegnanti di Kung Fu. E' come quando da bambini diciamo che vogliamo diventare piloti o pompieri. Ma per Martin Sewer era molto più di questo. I suoi veri maestri li conobbe in un seminario a Zurigo, quando era già pienamente nel mondo delle arti marziali e aveva ampie conoscenze di discipline come Judo, Karate, Kung Fu, e aveva praticato la Boxe europea. Partecipò a molti seminari prima di trovare l'arte che cercava. Con l'incontro col direttore di seminari Chiu Chi Ling, si imbattè non solo nel suo ideale di arte marziale, lo Shaolin Hung Gar Kung Fu originale, ma anche nel suo attuale Sifu (Insegnante, Maestro), capostipite dello stile di questa arte marziale. A quei tempi, Chiu Chi Ling, che allora era un'icona nel mondo delle arti marziali e esperto nel combattimento diretto per il Dipartimento di Polizia di Hong Kong e la U.S.Army, non si aspettava assolutamente di incontrare uno come Martin Sewer. Martin era un allievo occidentale, più un fan che un allievo, come tanti altri. Martin Sewer non si immaginava ancora che sfida lo attendeva quando mandava le sue lettere a Chiu Chi Ling, chiedendogli di fargli lezione e di essere accettato come suo allievo. Gli riferì anche molte volte la sua intenzione di andare a Hong Kong. Ma non ricevette mai una risposta. Arrivò il giorno in cui Martin mise insieme tutti i soldi necessari per il viaggio e suonò alla porta della scuola di Chiu Chi Ling a Hong Kong e dopo diversi problemi linguistici e organizzativi, riuscì a prendere parte alle lezioni del Maestro Chiu, già famoso a livello mondiale. Egli aveva già un curriculum denso di precedenti conoscenze in materia di arti marziali, ma queste lezioni saranno le più dure della sua vita. Dopo settimane di apprendimento e un lungo viaggio verso casa, dipendeva solo dalla sua volontà il riflettere su quanto imparato e risparmiare denaro per un nuovo viaggio. In questa maniera ha svolto per anni il suo ruolo di allievo straniero di Chiu Chi Ling e affrontato nuovi viaggi a Hong Kong. Martin Sewer invitò naturalmente il suo maestro in Svizzera (uno dei pochi inviti internazionali che Chiu Chi Ling abbia mai accettato) e gli chiese di fare delle lezioni e dei seminari per i suoi allievi. Da praticanti di arti marziali autentici e tradizionali, naturalmente come i lettori, eravamo noi che pagavamo le spese del volo e dell'alloggio di Chiu Chi Ling. Molto presto Martin Sewer ottenne, dopo esami molto duri,



Hung Gar l'autorizzazione ad insegnare in nome del suo maestro, quando questi gli fu attribuito titolo di Sifu, ovvero Maestro. Non solo imparare sotto un maestro tradizionale era assai impegnativo. Lo era anche tirare su una scuola di Kung fu in Svizzera. A quei tempi c'era uno spietato e vuoto deserto nel Kung Fu che era fonte di non pochi problemi. Oltre a subire delle truffe da alcuni soci in affari, si doveva sempre confrontare con allievi dalla mentalità occidentale, i quali doveva non soltanto istruirli all'antica arte del Hung Gar, ma doveva introdurli alle tradizioni che lo caratterizzano. Ma lui non si è mai dato per vinto. Sono già passati 20

anni da quando ha inaugurato la nuova KUNG FU SHULE MARTIN SEWER, diretta con rinnovata energia. I primi 10 anni comprendeva una sola sede in Fröbelstrasse a Zurigo. In quel periodo Sifu Martin Sewer aveva abbastanza denaro e allievi nei suoi corsi per promuovere l'ampliamento della sua scuola e poco a poco aprì altre filiali. Naturalmente, questa sistematica crescita della scuola di Sifu Martin Sewer e la sua competenza professionale non passarono inosservate. Già allora infatti ricevette numerosi omaggi e titoli onorifici di dottore in arti marziali e medicina. Egli ha ottenuto con successo, fino ad oggi sotto la tutela del suo maestro Chiu Chi Ling, il grado di 8° Dan (grado di maestro). Come avviene in altri stili di Kung Fu, solo il capostipite dello stile possiede il 10° grado. La pietra miliare in quanto a riconoscimento e credibilità (più che mai) della competenza del Gran Maestro Martin Sewer ha avuto luogo quest'anno. Un invito del World Martial Art Institute ha portato il Gran Maestro fino a Kuching, in Malesia, alla “World Black Belt Hall of Fame”. Uno spettacolo in cui si trovano esclusivamente i migliori grandi maestri. Nell'ambito di un programma organizzato nei particolari, ha avuto inizio un fine settimana pieno di esperienze, il venerdì sera con una cena di gala e la grande cerimonia di apertura, nella quale c'è stata una dimostrazione spontanea da parte del Gran Maestro Martin Sewer per gli invitati presenti. Quindi a seguire, uno dopo l'altro, i restanti giorni dell'evento. Là dove l'anno precedente, il 2012, ha ricevuto la decorazione di dell'Anno”, “Gran Maestro quest'anno ha avuto l'onore di essere nominato per quello di “Gran Maestro Insegnante dell'Anno”. Ancora più importante, soprattutto perché tale titolo gli è stato poi riconosciuto. Questa è solo la punta dell'iceberg: è stato anche nominato “Senior Advisor” dalla International Martial Arts Institute,

oltre a ricevere una onorificenza dalla World Kuoshu Federation Bangladesh come Ospite V.I.P. Martin Sewer ha ovviamente preso parte anche al torneo dimostrativo che si è tenuto il sabato e che è iniziato, come nel 2012, con la categoria di gran maestro. E' stato deciso di eseguire, come già lo aveva fatto il Gran Maestro Chiu Kow nel campionato cinese, la forma da tutti conosciuta della Tigre e della Gru, la Fu Hook Seung Yin Kuen. Mentre i suoi allievi a casa, in Svizzera, aspettavano ansiosi il risultato, Martin Sewer dirigeva un seminario per tutti gli allievi, maestri e gran maestri presenti in Malesia. Un evento che ha riempito di ammirazione tutti i partecipanti. Come giusta e onorevole conclusione del sabato sera, ha dunque preso parte a un rilassante tour panoramico di Kuching City. La domenica è cominciata con l'attesa riapertura del “Nanyang Wushu Center of Excellence”, che alcuni anni fa finì in pasto alle fiamme. Con una corposa donazione della KUNG FU SHULE MARTIN SEWER si è potuta ricostruire questa scuola. Per la felicità di tutti, poco più tardi venne reso pubblico che il Gran Maestro Martin Sewer aveva vinto il torneo del giorno precedente e con quello, come già nel 2012, si era aggiudicato il “Grandmaster Trophy”, una onorificenza che non ha bisogno di ulteriori riconoscimenti come maestro. Ma l'onorificenza più grande l'ha ricevuta alla fine dei tre giorni di evento. Il riconoscimento del 9° grado dalla World Martial Ar ts Institute con il discorso del responsabile dell'organizzazione, Dr.Song: “Questo è il minimo che le possiamo riconoscere”. E così, il gran maestro Martin Sewer ha chiuso la manifestazione portandosi a casa tutti i riconoscimenti che poteva, dimostrando che il duro e corretto lavoro a lungo termine vale la pena e viene ricompensato. Naturalmente i suoi allievi in Svizzera sono stati molto felici del successo del loro maestro e grazie a questo ancora più motivati ad allenarsi duramente e a perseguire i loro traguardi personali. Come poi si è dimostrato nel recente campionato Europeo di Neu-Ulm, in Germania. C on olt re 50 p a r t e c ip a nti, la rappresentativa del gran maestro Martin Sewer ha preso d'assalto il campionato e si è portata a casa quasi 30 piazzamenti sul podio nelle forme e nel light e full contact.


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Testo e Foto: Olga Muñoz Rojas

La città spagnola di Guadalajara ha accolto il VIII Campionato del Mondo di Karate WKF per le categorie cadetti e junior. Un grande avvenimento sportivo al quale sono accorsi 100 paesi dei cinque continenti, per un totale di 1400 partecipanti, oltre ad arbitri, tecnici, dirigenti e il folto pubblico che ha riempito quotidianamente l'eccellente str uttura del Padiglione Polifunzionale di Aguas Vivas. La città spagnola di Guadalajara, di soli 80.00 abitanti, ha portato a termine con soddisfazione l'impegno di organizzare, facendolo bene, il VIII Campionato del Mondo di Karate WKF per le categorie cadetti, junior e under 21, celebrato tra il 7 e il 10 Novembre. Insieme alla Real Federación Española di Karate e alla World Karate Federation, il municipio della città con il suo sindaco e il suo assessore allo sport in testa, rispettivamente Antonio Roman e Eladio Frejio, ha dimostrato il proprio impegno nello sport e nei grandi eventi.

Guadalajara è stata praticamente presa dal Karate per 10 giorni, poiché l'adeguata acclimatazione di molti atleti, insieme ai corsi e alle riunioni dei giorni precedenti, lo hanno reso necessario, con tutti gli ovvi benefici a vari livelli per la stessa città e le località della provincia che hanno ospitato diverse delegazioni, in quanto la capitale da sola non era sufficiente a farlo. Finalmente una buona organizzazione che ha fatto si che tutti i visitatori rimanessero appagati dalla loro permanenza nella cittadina dell'Alcarria, durante


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Karate questo appuntamento al quale hanno anche collaborato il Consiglio Provinciale, il Consiglio Superiore dello Sport e la giunta delle Comunità di Castilla-La Mancha. Bisogna dire che soltanto in tre occasioni si sono svolti dei Campionati del Mondo di Karate in Spagna e sempre in città di grande rilevanza come Madrid (1980 e 2002) e Granada (1992). Per questo è giusto riconoscere il grande sforzo che una Guadalajara di appena 80.000 abitanti ha compiuto a favore di questo torneo, nell'edizione con più partecipanti della storia (compresi i tornei Senior). Il Campionato Mondiale WKF si disputa ogni due anni, sia per le categorie cadetti, junior e under 21 che d'altra parte per la categoria senior, in modo che si alternino tra loro. Ovvero i primi si tengono negli anni dispari, come in questo caso, e i senior in quelli pari. Nei giorni precedenti, un corso specialistico per le più alte cariche arbitrali ha portato all'hotel Tryp Guadalajara (Sol Melia), Quartier Generale della manifestazione, oltre 250 arbitri e giudici da più di 80 paesi in cerca del loro titolo riconosciuto. Intanto alcune squadre prendevano contatto con il padiglione delle gare e partecipavano ad allenamenti programmati nelle loro strutture. Nazioni come Inghilterra, Giappone, Cina, Taipei, Ungheria, Italia, Slovacchia, Slovenia, Stati Uniti, hanno portato circa una trentina di atleti in gara. Altre come Turchia, Sud Africa, Croazia, Egitto, Francia o Malesia hanno superato addirittura questo numero. Altre invece contavano su un piccolo manipolo di partecipanti come Cipro, Isole Fiji, Islanda, Mozambico, Palestina, Ruanda… Anche se da questo punto di vista il Karate non crea problemi, alcuni dei paesi partecipanti avevano dei conflitti interni o con altri, per cui la sicurezza nella manifestazione è stata potenziata in gran misura e la presenza degli agenti di polizia è stata più massiccia. Alla fine non c'è stato alcun tipo di problema, il che, data la quantità di visitatori così diversi tra loro che sono confluiti in una città di queste dimensioni… è già di per se motivo di soddisfazione. A Guadalajara si sono viste autentiche leggende del Karate, come Aritake, Nagura, Hashimoto, Inoue, Teraishi, Tsuyama, Kagawa…insieme ad altre residenti in Spagna come Yamashita, Ishimi, Onaga, Fujioka, Nomura…ed ex campioni di spicco di tutte le epoche, come i fratelli Egea, Jesus Juan Rubio, Antonio M.Amillo, Iván Leal, Fernando Rosuero, Ángel López, Javier Ferreira, José Mª Martín, Pedro Rascón, Jesús Calvo, Luis Mª Sanz, Agustín Manzano, Josep Bosch, Tomoko Araga, Ticky Donovan, Antonio Oliva, Francis Didier, Luca Valdesi, Antonio Diaz e un lungo eccetera… Tutti loro, insieme al resto dei visitatori e dei partecipanti, hanno potuto godere dell'Esposizione che Salvador Herraiz ha preparato sul suo viaggio e che mostra i principali maestri di Karate dalla sua nascita a Okinawa più di 100 anni fa, passando poi dall'isola maggiore dell'arcipelago giapponese, al salto in Occidente principalmente attraverso i militari nordamericani dopo la II Guerra Mondiale, all'arrivo in Europa negli anni 50 e alla sua introduzione in Spagna, per giungere a Guadalajara nel 1973, 40 anni or sono. La mostra era composta da una cinquantina di fotografie storiche selezionate e in molti casi scattate da me personalmente nelle mie decine di viaggi in Giappone. Tutte vengono integrate da alcuni dati di luoghi, anni, maestri e scuole che appaiono in esse. Una bella esposizione che è stata gradita da tutti e che ha potuto contare sulla presenza in persona di alcuni dei suoi protagonisti. Yamashita Yosuke, uno di questi, ha

manifestato con piacere che…”e E' molto bella. E' molto importante che si conosca tutto ciò, che si conosca la storia”. La cerimonia di apertura, nel pomeriggio del primo giorno, è iniziata con la sfilata dei rappresentanti di un centinaio di paesi, seguiti dalla bandiera della Federazione Mondiale di Karate portata dai bambini-karateka del club Hombu Dojo di Guadalajara, in cui insegna Salvador Herraiz, 7°Dan Wado Ryu. L'importanza dell'evento ha contato sulla presenza al magnifico padiglione di Aguas Vivas, per suddetta cerimonia di apertura, della Presidentessa della Castilla-La Mancha, Maria Dolores de Cospedal, insieme al presidente del Consiglio Superiore dello Sport, Miguel Cardenal, il sindaco della città ospitante, Antonio Roman, la Presidentessa del Consiglio Regionale, Ana Guarinos, il Direttore Generale dello Sport di Castilla-La Manche, Juan Carlos Martin, il deputato Javier del Rio e i presidenti nazionale e mondiale delle federazioni di Karate, rispettivamente Antonio Moreno e Antonio Espinos. Tutti hanno dato il benvenuto ad atleti e visitatori, e hanno rinnovato il proprio impegno con questo grande evento. Dolores de Cospedal da parte sua nel suo discorso, ha anche detto che…”Il Karate è una delle discipline più complete che può praticare l'essere umano, i cui valori di rispetto per l'avversario e la perseveranza nell'impegno rende grandi gli uomini e i paesi. Oltre alla resistenza, la flessibilità e la velocità, rafforza e concilia il corpo con l'armonia spirituale”. Per chiudere la cerimonia, la magnifica dimostrazione di Karate Uechi Ryu del Sensei Josè Cifuentes e i suoi allievi, che hanno mostrato pratiche con gli attrezzi tipici okinawensi per il potenziamento fisico, tecniche di rottura e kata, accompagnando il maestro con le spettacolari sonorità e i ritmi dei tamburi giapponesi Taeko dal vivo, grazie alla collaborazione dell'Ambasciata del Giappone. Ovviamente ha assistito alla performance lo stesso ambasciatore, Sig.Satoru Satoh e il suo omologo dell'Arabia Saudita. Di seguito una dimostrazione di tecnica e strategia poliziesca a cura dei membri della Scuola di Polizia di Avila, ha portato verso la prosecuzione della competizione che aveva già disputato le sue prime eliminatorie la mattina. La competizione in se si è sviluppata normalmente, senza incidenti (così come non ce ne sono stati durante la necessaria convivenza di molti giorni tra una valanga di 5000 visitatori, la metà dei quali stranieri, e gli abitanti di un capoluogo spagnolo di media portata). Le gare di kata e kumite hanno riempito di emozioni il padiglione, davanti a un pubblico appassionato. La specialità kata a squadre (junior) è stata, come accade abitualmente, la più spettacolare. Nella categoria maschile, la nazionale della Turchia è riuscita a salire sul gradino più alto del podio, con i suoi rappresentanti Yavuz Selim Oruc, Fatih Sadullah Selman e Lutfullah Teber, che hanno sconfitto in finale la Spagna di Carlos Fornell, Ruben Garcia e Antonio Garcia i quali hanno ottenuto una meritata medaglia d'argento. La terza p osizione infine è stata occup ata d alle selezioni dell'Egitto, con Islam Abdallah, Zeyad Abdelrahman e Mahmoud Hanafi, e del Perù con Roberto Atunca, Fabrizio Vindrola e Mariano Wong. La competizione femminile di kata a squadre è stata vinta dalla brillante rappresentativa spagnola, composta da Jessica Moreno, Lidia Rodriguez e Raquel Roy, le quali si sono imposte in finale alla Francia, formata da Pauline Bouchet, Lila Bui e Perrine Mortreux. Una finale molto equilibrata nella quale la Francia ha avuto forse qualche incertezza nel kata e la Spagna invece nel bunkai. Alla fine la Spagna ha portato a casa l'oro. Italia e Grecia hanno condiviso il bronzo con le squadre formate da D'Onofrio, Reale e Sassano nel primo caso, e Rouchota,



Sinistra: Squadra Femminile di Kata Campione del Mondo: Spagna (in alto) e prima della grande finale insieme alla Francia (in basso). Destra: La squadra della Francia durante il suo kata finale (in alto), i responsabili locali e regionali del torneo (al centro) e le squadre dell'Italia e Grecia di Kata Femminile, entrambe medaglie di bronzo (in basso).


In alto: Salvador Herraiz mostra l'esposizione sulla Storia del Karate al maestro Kurihara, Vice Presidente della Federazione Giapponese di Karate. In basso: il leggendario maestro Tsuguo Sukumoto, 9°Dan Ryuei Ryu, accorso a Guadalajara in qualità di membro del Comitato Tecnico WKF.


Sulla sinistra una istantanea scattata da Eduardo Bonilla in uno degli spettacolari combattimenti. Sulla destra, Luis Ignacio Gomez, uno dei migliori arbitri spagnoli, osserva attentamente il kata della giapponese. Theodorakopoulou e Xenou nel secondo. Tutte hanno approfittato del piccolo vantaggio concesso dal Giappone che non ha presentato atleti nelle categorie kata a squadre, in caso contrario, con molta probabilità, ciascuna di esse sarebbe retrocessa di un posto per lasciare l'oro al paese nipponico. Una menzione speciale la merita la spagnola Raquel Roy che alla medaglia d'oro a squadre ha aggiunto quella di bronzo nel kata individuale cadetti, in questo caso dietro alla giapponese Saoro Ishibashi (oro) e la statunitense Jennifer Robinson (argento). La turca Deniz Atak ha condiviso il bronzo con la spagnola. Altri spagnoli a mettersi in evidenza sono stati Xavier Pereda, che ha ottenuto il bronzo nella categoria kata maschile cadetti, insieme al russo Vadim Kobzarev, dietro al giapponese Nozomi Yamanaka (oro) e al turco Enre Befa Goktas (argento). Anche Maria Torres ha portato a casa un bronzo, così come la giapponese Hikaru Furuno, nella categoria kumite junior +59 kg, vinta dall'italiana Silvia Semeraro, con argento per la francese Nancy Garcia. Da parte sua lo spagnolo Raul Cuerva si è aggiudicato anche un bronzo nel kumite junior -68 kg, dietro il francese Steven Dacosta e il turco Dogan Ates. Gabor Harspataki, ungherese, ha diviso il bronzo con l'iberico. Migliore è stato il risultato di Antonio Garcia, che nel kata individuale junior ha ottenuto l'argento perdendo la finale contro il giapponese Yuhei Horiba. Il turco Inis e il russo Ufimtsev hanno guadagnato il bronzo. Ma senza dubbio lo spagnolo più in evidenza nel kumite è stato Alejandro Molina, che nella categoria cadetti - 70 kg ha vinto il tanto agognato oro dopo una finale da infarto nella quale ha battuto l'algerino Dris Aimen, lasciando il bronzo al turco Korkmaz e al tedesco Bauer. Felicità dunque non soltanto per gli atleti spagnoli, ma anche per i loro tecnici, il selezionatore nazionale di

kata Francisco Mayoral, quello di kumite Cesar Martinez Blanes, i loro rispettivi assistenti Lorenzo Martin e Angel Luis Chavez, e il Direttore Tecnico della Federazione Josè Maria de Dios. Per quanto riguarda il medagliere generale bisogna dire che l'Egitto è stato il paese più decorato, precisamente con quindici medaglie di cui nove d'oro. Di seguito il Giappone con dodici, di cui sei d'oro. Al terzo posto la corazzata Francia che si è portata a casa tre ori su un totale di undici medaglie. A ruota la Turchia, con due ori su quattordici in totale e al quinto posto la padrona di casa Spagna, che ha conseguito un totale di otto medaglie, due d'oro, due d'argento e quattro di bronzo. Splendido quindi il campionato celebrato nella città di Guadalajara, nel quale si sono visti all'opera i migliori atleti di Karate del mondo dai 14 ai 20 anni. Alejandro Blanco, Presidente del Comitato Olimpico Spagnolo, non ha voluto perdersi l'appuntamento e ha tenuto anche a presenziare a parte del torneo. Il conto alla rovescia per l'organizzazione di questo megatorneo era iniziato più di un anno fa quando, una volta decisa la città, Salvador Herraiz è stato inviato al Congresso Mondiale della WKF, a Parigi, per coadiuvare nella presentazione di questo campionato di Guadalajara il responsabile federale, Antonio Moreno. Da allora, un anno di lavoro che alla fine è culminato con la realizzazione dell'evento.

Riflessioni di Salvador Herraiz, membro del comitato organizzatore All'inizio questo Campionato del Mondo non era qualcosa che cercavo, a onor del vero. Ma anche se io non sono precisamente un fanatico delle competizioni nel Karate per motivi tecnici e filosofici (lo sanno tutti), non era il momento opportuno per

attaccare questo aspetto o parte dell'arte marziale. Si trattava di un qualcosa di straordinario, per cui sin dal principio, quando venne richiesta la mia collaborazione, non solo ho appoggiato la sua organizzazione ma ho anche collaborato attivamente in essa e sono stato un ulteriore pezzo di questo ingranaggio. Per me, come tutti sanno, difensore di un Karate tradizionale integrato da certi valori personali, alcune volte è stato d ifficile partecipare all'organizzazione di questo movimento estremamente comp etitivo. L'ho fatto con attenzione, con p assione , con comprensione, con tolleranza, con buonsenso. Il Karate non è di nessuno. Il Karate non è della Federazione Mondiale, ma nemmeno dei tradizionalisti più acerrimi, anche se sia all'una che agli altri sicuramente piacerebbe. Il Karate è un'arma potente (sportiva, competitiva, educazionale, tradizionale, culturale, difensiva, offensiva, ecc…) e ciascuno la utilizza adattandolo alle proprie idee, siano queste migliori o peggiori da un punto di vista etico e morale, ma…non smette di essere Karate, col migliore o il peggiore dei propositi. Da sempre la mia principale preoccupazione è che il Karate non perda i suoi valori tecnici e morali. Cerco di farlo non soltanto attraverso i miei insegnamenti quotidiani ma anche tramite i miei libri e gli articoli su Cintura Nera/Budo International. La mia visione del Karate fa si che questo non sia ne troppo vicino ne troppo lontano tanto alla federazione sportiva, quanto ai più tradizionalisti. Non andremo più a fondo in questo tema perché è senza fine e ricorrente da moltissimi anni. Tutti conoscono la mia visione e situazione, ma di certo ho collaborato con molto piacere allo sviluppo di questo evento straordinario nella mia città e voglio ringraziare pubblicamente la grande disponibilità dei membri dello staff del


In alto: Salvador Herraiz e Francisco Angullo, Direttore Organizzativo della RFEK. Il Sindaco di Guadalajara, Antonio Roman e la presidentessa regionale, Maria Dolores de Cospedal, durante il suo discorso di fronte ad atleti, pubblico, giornalisti e i karateka del Hombu Dojo di Guadalajara.


In alto: Alejandro Blanco, presidente del CSD, Antonio Espinos, presidente WKF e Antonio Moreno, presidente RFEK. Al centro: La selezione spagnola di kata maschile (sinistra) e il tavolo ufficiale del torneo (destra). In basso: aspetto generale del palco VIP


Karate di Guadalajara, la Scuola Ufficiale di Lingue della città, il personale del padiglione polifunzionale (con una dedizione encomiabile), i responsabili della giunta municipale, la Polizia Nazionale e Municipale (con in testa il suo Sovrintendente Capo, Julio Estables), il deputato Javier del Rio e in generale tutti coloro che hanno

messo la loro passione affinchè l'evento andasse avanti nel miglior modo possibile. Non voglio nemmeno dimenticare i responsabili federali, specialmente i Direttori dell'Organizzazione WKF, Esteban Perez, e d ell'RFEK, Francisco Angullo, con cui ho condiviso ogni minuto dei giorni di gare, insieme al

suo duro lavoro e i suoi enormi sforzi. Il campionato è stato un successo e tutti, atleti, visitatori e abitanti della città, ne sono rimasti contenti. Se devo fare un appunto, forse la sconcertante sfilata inaugurale, le cui magagne sono state non solo indipendenti dalla mia volontà, naturalmente, ma anche fuori dalle mie


responsabilità, con cambiamenti non dell'ultim' ora ma dell'ultimo minuto, uniti a problemi con l'amplificazione a udi o … h a reso la cerimonia d'aper tura francamente…insopportabile. Ma il buon sapore generale che ha lasciato in bocca il mondiale non può essere offuscato da quello. Alla fine per me tutto ha significato qualcosa di eccezionale, un'abbuffata di Karate e adesso, superata la sbornia, è il momento di tornare naturalmente alla Via, nell'intimità del mio dojo.


In alto: i giapponesi, inarrivabili nella specialitĂ del kata. Al centro: il Consigliere allo Sport della cittĂ , Eladio Frejio, consegna i trofei della categoria Kumite cadetti - 70 kg, vinta dallo spagnolo Alejandro Molina. In basso: l'esterno del padiglione mentre Masao Kagawa e la sua rappresentativa giapponese mentre stanno lasciando la struttura.




Nuovi libri! Questo libro è il primo che parla apertamente di una tradizione Sciamanica giapponese che dal Secolo XII rimase segreta. Si tratta della cultura spirituale degli Shizen ("i naturali"), un popolo che raggiunse la sua massima espressione intorno al Secolo XIV sull'Isola di Hokkaido, al Nord del Giappone. La cultura apparteneva alla popolazione Aino, culla di guerrieri e sacerdoti, gli abitanti originari delle Isole, di razza caucasica e in perenne lotta con gli invasori Yamato. Oggigior no solo un tre percento dei giapponesi possiede geni Aino, tuttavia la sua saggezza sul mondo spirituale fu tale che, nonostante l'essenza fu mantenuta segreta, "contaminò" intensamente la cultura giapponese e la sua influenza si può percepire in aspetti dello Shinto, nello Shugendo, nelle Arti Marziali e nelle tradizioni e abitudini di tutto il Giappone. I saggi Miryoku, gli Sciamani del popolo Shizen, erano temuti e ricercati persino dallo stesso Shogun per via del loro potere e delle loro conoscenze. L'e-bunto è rimasto talmente segreto che anche digitando il suo nome su Google, non ne esce niente. La ricchezza della sua eredità è enor me e le sue conoscenze del mondo spirituale e delle interazioni con esso sono sorprendenti e poderose. Filosofia, psicologia, strategia, alimentazione, medicina spirituale ... le materie che compongono l'ebunto sono molto vaste e ricche mentre la sua Cosmogonia possiede la finezza, la profondità e la raffinatezza della Grecia classica. Questo lavoro è dunque una primizia storica, ma anche una fonte d'ispirazione per comprendere come i popoli antichi esplorarono l'ignoto, interagendo in modo sorprendente con le forze dell'Universo, a partire dall'analogia e dal linguaggio dei fatti, giungendo a conclusioni che solamente ora la scienza moder na incomincia ad intravvedere. Una conoscenza che lontano dal rimanere un qualcosa d'infor mativo o sterile, fu utilizzata come medicina spirituale, trasmettendoci un bagaglio immensamente ricco che solo ora, finalmente, incomincia ad aprirsi al resto dell'umanità, trovando in questo modo il suo giusto riconoscimento.

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“Nel Systema Morabito non ci sono posizioni e punti fissi ma un continuo movimento atto a modificare ogni posizione di combattimento cambiando piano di lavoro”

SYSTEMA MORABITO Sistema di combattimento di derivazione militare; esso racchiude tecniche adatte a ogni individuo sia esso civile, militare o professionista nel settore operativo. Il Systema Morabito prevede un profondo studio del corpo umano dal punto di vista della biomeccanica applicata al corpo, unita a questo la conoscenza di leggi meccaniche e fisiche atte ad eludere qualsiasi tipo di attacco proveniente da più punti e da più avversari. In questo sistema viene studiata la riflessologia applicata al corpo umano durante il combattimento. Questo tipo di addestramento aumenta la percezione e l'istintività durante la pratica, ottenendo ottimi risultati nel combattimento corpo a corpo. In fase di studio si scompongono le tecniche di attacco e di difesa su un sistema cartesiano tridimensionale e vettoriale, analizzando in questo modo ogni possibile ed eventuale soluzione durante un combattimento reale. Questo addestramento fa si che ogni praticante abbia la facoltà di "leggere" un attacco e di scomporlo trovando immediatamente soluzioni difensive adeguate. Nel Systema Morabito si utilizzano alcuni metodi di allenamento dove vengono studiate le linee di attacco e difesa unite alla profondità di campo. Durante un'azione difensiva, questi concetti fisici applicati al corpo umano,

fanno si di indirizzare una tecnica di attacco in un piano di lavoro dove la stessa non risulta essere più efficace. Nel corso degli allenamenti si studiano anche le posizioni relative di combattimento, analizzando e modificando queste posizioni si nota che alcune tecniche di attacco possono essere eluse in maniera più efficace cambiando la nostra posizione difensiva; pertanto nel Systema Morabito non ci sono posizioni e punti fissi ma un continuo movimento atto a modificare ogni posizione di combattimento cambiando piano di lavoro. Il Systema Morabito inoltre racchiude le migliori tecniche di base ed avanzate del Systema russo di varie scuole. Il Systema è un'arte marziale russa di combattimento corpo a corpo. Questa preferisce la versatilità e l'improvvisazione nel confronto, combinando l'uso di movimenti di lotta con tecniche brutali ed immediate. Il Systema Morabito è basato sulle esperienze personali acquisite dal Gran Maestro a seguito d'importanti collaborazioni internazionali nel settore civile, militare e in ambienti ad alto rischio; questo sistema è attualmente certificato e testato da varie organizzazioni a livello internazionale. La Federazione I.K.M.O. settore Systema Morabito utilizza programmi specifici di addestramento con le armi sia convenzionali che l'uso di oggetti comuni. Non per ultimo lo studio e l'utilizzo avanzato del “no contact” Per informazioni: I.K.M.O. International Krav Maga Organization Corsi e seminari per gruppi di lavoro, istruttori, settori militari, rilascio di certificazioni internazionali settore Krav Maga, Kapap, Systema www.internationalkravmaga.com - www.ikmo.it info@internationalkravmaga.com


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L'obiettivo di quest'addestramento è fornire allo studente tutte le conoscenze teoriche e pratiche in modo da essere in grado di lavorare come SSO o come operatore addetto alla sicurezza su una nave in accordo con le procedure internazionali. Inoltre, lo studente, potrà partecipare a una “simulazione reale su una nave” che lo aiuterà a capire meglio le specificità del settore marittimo e il ruolo dell'operatore addetto alla sicurezza su una nave.

Argomenti: Private Military Contractor L'obiettivo di questo corso è preparare militari/forze dell'ordine/civili a svolgere operazioni di sicurezza in ambienti ostili (Africa, centro/sud America, medio oriente). Il training fornirà uno scenario più realistico possibile grazie al supporto di esperti della sicurezza a livello mondiale e darà la possibilità di conoscere varie tipologie di arma ed equipaggiamento indispensabile in situazioni ad alto rischio.



Questo DVD sul pronto soccorso è uno strumentoindispensabile per tutti i praticanti di Arti Marziali chepresto o tardi si trovano in situazioni nelle quali ènecessario “soccorrere”. In qualsiasi scuola in cui siha a che fare con la lotta, il combattimento osemplicemente il contatto fisico, è successo chequalche allievo o istruttore sia stato colpitoo abbia patito un infortunio. E' possibile siano stati messi ko,che abbiano avuto difficoltàrespiratorie, spasmi muscolari,vertigini, nausee, o unqualsiasi altro problemacausato da un allenamentolesivo. Gli “incidenti” sonoqualcosa di reale ed ènecessario intervenirequanto prima, in modoche la disfunzionecausata non peggioriulteriormente. Questeinformazioni n o n d o v r e b b e r o essereobbligatorie per tutti gli“istruttori”, ovviamente, perpreservare la sicurezza e ilbenessere dei loro allievi?Questo DVD è il primo di unaserie di lavori a cura del Maestro Pantazi, incentrato nell' “altro lato”del Kyusho, quel lato che ponel'attenzione alle scienze dell' “energia” dellasalute e del benessere, non solo applicabile nei Dojo, ma anche ne quotidiano con i vostri cari e tutte lepersone che ci circondano.

REF.: • KYUSHO19

Tutti i DVD prodotti da Budo International vengono identificati mediante un’etichetta olografica distintiva e realizzati in supporto DVD-5, formato MPEG-2 (mai VCD, DivX o simili). Allo stesso modo, sia le copertine che le serigrafie rispettano i più rigidi standard di qualità. Se questo DVD non soddisfa questi requisiti e/o la copertina non coincide con quella che vi mostriamo qui, si tratta di una copia pirata.

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Il Kihon Waza (tecniche basilari) è la parte più importante dell'allenamento di qualsiasi arte marziale. In questo DVD, il Maestro Sueyoshi Akeshi ci mostra varie forme d'allenamento di Kihon con Bokken, Katana e a mano vuota. In questo lavoro, si spiega più in dettaglio ogni tecnica, in modo che il praticante abbia una idea più chiara di ogni movimento e di come il corpo deve corrispondere al lavoro di ogni Kihon. Tutte le tecniche sono basate sull'assenza di Kime (forza) in modo che il corpo possa svilupparsi secondo la tecnica del Battojutsu, e anche se può sembrare strano a prima vista, tutto il corpo deve essere rilassato per ottenere una capacità di risposta rapida e precisa. Tutte le tecniche basilari sono eseguiti a velocità reale e vengono poi spiegate per il praticante di raggiungere un livello appropriato. La mancanza di peso sui piedi, il rilassamento del corpo, lasciando cadere il baricentro sono dettagli importanti che il Maestro sottolinea per conseguire un buon livello tecnico, ed un rapporto diretto tra la tecnica di base e l'applicazione reale.

REF.: • IAIDO7

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Oggi intervistiamo Igor Maltagliati, sceneggiatore e regista di numerose opere sia teatrali che cinematografiche, molto attivo anche nel mercato americano. Essendo una persona appassionata e molto sensibile riguardo le arti marziali vorremmo chiedergli alcune riflessioni riguardo il cinema marziale italiano… Cintura Nera: Noi ci conosciamo da tanto tempo, ricordo che hai iniziato con me la pratica delle arti marziali… Igor Maltagliati: In effetti si. Anche se sono passati molti anni, non ho mai smesso di seguirle e di restar ne affascinato. All'epoca vivevo la disciplina marziale in modo totalitario ed anche per questo mi ritrovai a compiere una scelta: o il kung fu o il mio lavoro di regista. Poi ho capito che la cosa poteva non essere così radicale… ma non in tempo per riprendere. C.N.: In effetti uno dei tuoi primi lavori fu scrivere e girare il pilota di una serie dedicata al kung fu. Ci puoi raccontare qualcosa? I.M.: Mi ricordo che mi chiedesti di scrivere qualcosa per promuovere il KUNG FU, ed io, molto colpito dall'idea, ne tirai fuori addirittura una serie televisiva. Con la tua scuola girammo la puntata pilota, condividendo la regia con il mio collega Federico Greco, intitolata KUNG TUSION, parodiando dichiaratamene il famoso film cinese di Stephen Chow. Inizialmente avevamo idee diverse, la tua idea era più drammatica ed intensa, io invece sviluppai una commedia stile Jackie Chan, più fruibile per il grande pubblico: pensai, e penso tutt'oggi, al grande successo dei film di Bud Spencer e Terence Hill, altro mio modello di riferimento. Credo che una commistione tra la grande commedia di arti marziali cinese e le atmosfere grottesche e leggere italiane possa essere un sicuro successo commerciale… ma anche, se girate in modo professionalmente accurato, uno buon ritorno di immagine per questo ambiente. C.N.: Ma oggi come oggi, esiste un cinema marziale italiano? I.M.: oggi fatico ad immaginare anche soltanto UN cinema italiano… scherzi a parte, no. Penso che non esista alcuna traccia di marzialità nel nostro cinema, nemmeno nel sottomercato dei cortometraggi. C.N.: Come mai secondo te? I.M.: In parte perché non è il nostro patrimonio culturale, poi perché girare in maniera apprezzabile questo genere di film richiede soldi, perizia tecnica, conoscenza e profondità di sguardo, ed anche capacità atletiche specifiche da parte degli attori. Cosa assolutamente non scontata, almeno in Italia. Infatti ci tengo a sottolineare che il risultato del nostro pilota è stato eccellente e continua ad affascinare il pubblico, compreso quello più esigente. C.N.: qual è il motivo di questo successo? I.M.: in primis il fatto di aver coinvolto te tra gli attori, assieme ad alcuni praticanti della tua scuola. Oltre a recitare, vi siete accollati la preparazione degli attori professionisti e la creazione delle coreografie marziali. Così il prodotto è stato assolutamente convincente. Più di una volta mi è stato riferito dal pubblico di non aver mai visto un simile realismo nelle azioni kombat, nemmeno in film e serie TV dichiaratamente

ricche. Il che la dice lunga sull'attenzione e la conoscenza che vengono riservate in Italia alle discipline marziali. C.N.: nel cinema è molto facile simulare l'abilità tecnica marziale utilizzando frequenti tagli di montaggio, abusando dei dettagli e dei campi di ripresa molto stretti ed infine sfruttando effetti sonori. I.M.: Si, hai ragione. Ma tieni presente che gli addetti ai lavori ed anche una sempre piu larga fetta di pubblico sa riconoscere questi trucchi. Quindi il valore delle azioni marziali cosi costruite è di fatto una paraculata. Perdona il francesismo. Nei rari seri film di arti marziali europei (vedi ad esempio la Francia) gli attori sono severamente preparati e

Testo: Pastorino Nicola


Intervista

potrebbe riprodurre una scena di combattimento reale… per questo stimo ed apprezzo moltissimo le esibizioni dal vivo che fanno le varie scuole. C.N.: hai intenzione di prosequesta guire tua esperienza cinematografidisciplinati alla tecnica ed il risultato è evidente. Per capire se un film di arti marziali ha una seria costruzione bisogna porre l'attenzione sui campi larghi e sui piani sequenza senza tagli di montaggio. In questi casi si evince la bellezza e la fascinazione di una coreografia marziale ben architettata, fosse anche destinata ad un uso comedy (Jackie Chan). C.N.: in effetti possiamo notare nelle esibizione degli artisti marziali live una grande attenzione a questi particolari. I.M.: è evidente che nessun attore senza una solida esperienza e preparazione

ca nel nostro mondo? I.M.: assolutamente si. È una sfida difficile ma io ho già pronto un copione dal titolo “A MANI NUDE” dove l'arte marziale è protagonista assoluta. È in preparazione e spero di potervi dare buone notizie a breve. C.N.: dacci qualche anticipazione… I.M.: è la storia della elaborazione del lutto di un Maestro di KUNG FU che ha perso moglie e figlio a causa di una sua “distrazione”. I grandi amori della sua vita sono stati uccisi da un gruppo di criminali mentre lui era a letto con la sua amante. Adesso è un uomo finito che sta cercando giustizia: per quel pugno di

criminali, ma soprattutto per se stesso ed i suoi demoni. C.N.: sembra molto affascinante, molto lontana dalle atmosfere di KUNG TUSION, ti sei ispirato a qualche personaggio reale? I.M.: ho preso in prestito alcuni elementi della tua vita, e la figura del Grand Master Paolo Cangelosi e l'ho adattata al mio immaginario personale… quando sono nati i miei figli ho incominciato a pensare a come potrei sentirmi se li perdessi per mia colpa, da li è nata la costruzione finale della storia. Come vedi alla fine ho scritto la tragedia che tanto desideravi! C.N.: non ero in cerca di una tragedia ma solo di porre l'accento sulla profondità dei messaggi insiti nell'arte marziale e sulla difficolta di evolversi attraverso una disciplina così viscerale, mi sembra che in questo tuo ultimo lavoro tu ci sia riuscito bene. I.M.: allora ti ho emozionato…mi fa piacere! Eh eh! Comunque la commedia non l'ho abbandonata. Se volete averne un assaggio, potete andare a vedere il mio penultimo lavoro: “il bastardo innocente” che viene trasmesso on line su www.floptv.tv




COME E' STRUTTURATO IL FU SHIH KENPO Formazione Nel Fu Shih Kenpo essere in piena forma fisica è una necessità assoluta. Se si colpisce con il pugno, il polso, le nocche, il ginocchio, la tibia, i piedi, i gomiti o si utilizzano tecniche di artiglio, ecc. senza che queste siano ben allenate, sentiremo dolore e forse ci procureremo noi stessi delle lesioni. Quindi, non è possibile colpire ripetutamente senza che ci siano le condizioni adeguate. Non importa lo stile che uno pratica, la condizione fisica è imprescindibile e va unita al proprio addestramento mentale. Ricordate che il combattimento reale o stradale non consente l'uso delle protezioni ne possiede regole e bisogna tenere in considerazione che coloro che di solito fanno dimostrazioni di rottura di mattoni o altri oggetti, non stanno mostrando la loro vera abilità nel combattimento, ma un prodotto del loro livello di condizionamento. “Uno scontro per strada va avanti fino a che si è colpito l'avversario abbastanza duramente da fermarlo”. Quante volte una rissa di strada ci ha fatto vedere come un solo o più colpi non siano sufficienti perché l'individuo, benché ferito gravemente, smetta di lottare. Questo è l'istinto di sopravvivenza, lo stato di shock, il livello di adrenalina, oppure il grado alcolico del suo sangue, il consumo di droghe e tutta quella forza ed energia misteriosa che tutti possediamo e che in questi casi si manifesta. Tuttavia, in certe occasioni un colpo rapido e preciso è sufficiente. E' risaputo che le risse di strada di solito sono molto veloci nel loro epilogo, ovvero durano pochissimo tempo, a volte è questione di secondi. Se uno scontro di strada dura più di 15,20 o 30 secondi, c'è di che preoccuparsi.

SICUREZZA NELL'ATTACCO Tre precetti vitali che devono precedere un attacco con successo: 1. Di Trappola o trabocchetto 2. Di Pressione 3. Di Isolamento 1. Metodo di trappola o trabocchetto, prendendo o colpendo il polso della mano avversaria verso il basso e incrociandola sul corpo del contendente, il braccio si mantiene in un angolo di circa 45°, dobbiamo assicurarci che il peso del corpo dell'aggressore sia sbilanciato sulla sua gamba anteriore, il che gli impedisce di poter tirare un calcio e col suo corpo si evita anche che colpisca con il braccio libero. Adesso abbiamo la sicurezza necessaria per entrare nel suo perimetro difensivo e colpirlo. 2. Metodo di pressione, questo serve semplicemente per deviare il perimetro dell'avversario dalla propria linea d'attacco, principalmente si utilizza un colpo di mano

(manata, schiaffo) all'avambraccio o al gomito dell'opponente per lasciare scoperto il lato di quest'ultimo. La manata si da sempre verso il basso o di lato (a incrociare) mai frontalmente a mò di spintone, poiché così si assesterebbe l'equilibrio del contendente sulla gamba arretrata, dandogli così l'opportunità di usare quella avanzata. In ogni caso la manata portata verso il basso o anche in orizzontale, mantiene il peso dell'aggressore sulla gamba anteriore, il che gli impedirà di fare uso della gamba arretrata per colpire. E' quindi più sicuro portare un colpo dentro il perimetro difensivo prima di retrocedere e riconsiderare la posizione. Nota: Solo colpi individuali. 3. Metodo di Isolamento, di base è un colpo poderoso su mano, avambraccio, bicipite e tricipite dell'avversario, che causa un dolore forte e lascia il braccio inerte. Allora, sarà possibile effettuare una combinazione di attacco sopra e attraverso il perimetro di difesa. Questo è il metodo più positivo per garantire il pieno successo di un attacco. E' molto importante comprendere che se l'attacco sul braccio avanzato dell'avversario fallisce usando qualsiasi di questi metodi, è imprescindibile retrocedere e tentare di nuovo da un altro angolo, solo quando ne avremo il pieno controllo, potremo attaccare al corpo. Tutto il resto è semplice scherma, se il nemico para un attacco, distruggere il braccio che ha parato. Nota: accompagnare sempre progressivamente l'avanzamento di questi tre metodi. Ricorda: la difesa personale non è un gioco, non bisogna impelagarsi con il braccio dell'avversario, se questo lo si trova nella traiettoria di un attacco, usare uno qualsiasi di questi metodi.

CALCI Negli stili cinesi si fa molta attenzione ai calci, se avete praticato Shaolin del Nord saprete che si usano i calci alti, mentre ci sono altre correnti che invece prediligono quelli bassi. Io personalmente non ho una preferenza, a seconda della situazione faccio uso degli uni o degli altri, o addirittura di una combinazione di entrambi. In ogni caso bisogna tener presente che negli scontri di strada dobbiamo utilizzare tutto il nostro “migliore” repertorio dalla cintola in giù per attaccare tale zona, e dalle anche in su per attaccare la linea media e alta. Nel Fu-Shih KEnpo quando si è portato un calcio alto, lo doppiamo sempre con uno basso: anca, ginocchio, o tibia, non si tira ma un calcio alto senza che questo venga preceduto da uno basso, o viceversa. La filosofia dei calci nel Fu-Shih Kenpo tende a seguire quella del lavoro con le mani, per esempio portare un calcio diretto dall'anca in posizione frontale, simile al calcio


Kenpo “Ricorda: la difesa personale non è un gioco”

frontale, colpendo la caviglia, la tibia o più in alto da un angolo di 45° per lussare la rotula. Prima di tentare un altro calcio, si uncina con il tallone del piede l'interno della tibia, della caviglia, o del polpaccio e usiamo calci circolari con il collo del piede o metatarso al femore, alla coscia o dietro il ginocchio. Principalmente utilizziamo questi colpi per neutralizzare un possibile contrattacco del nemico con la sua gamba avanzata. Di nuovo e come con i colpi di mano, non si deve attaccare il perimetro difensivo del corpo prima di aver deviato la gamba anteriore del contendente o avergli inflitto un severo danno. Ciò non deve considerarsi esagerato, è essenziale, non bisogna indugiare con la gamba anteriore dell'avversario, ma procurarle il maggior danno possibile prima di cercare di portare dei calci al corpo, in questa maniera se l'attacco non avrà grande successo, almeno lui non potrà contrattaccare o continuare a provarci. Nel Fu-Shih Kenpo tutti i calci sono portati inizialmente con la gamba anteriore, in questo modo non necessitiamo di un grande spostamento di peso, è più veloce che colpire con quella posteriore e abbiamo una maggiore mobilità, un rapido scivolamento dei piedi in avanti o di lato che significano una tensione sulle gambe, nei movimenti da destra a sinistra. Non c'è la tendenza a usare colpi di anca come vediamo negli stili giapponesi o coreani, perché la maggior parte degli europei sono più corpulenti e si mette più enfasi nella rapidità delle gambe e dello spostamento del corpo che nella potenza del calcio. Dal momento che le gambe possiedono approssimativamente una forza 5 volte maggiore rispetto alle braccia, non capisco l'ossessione della gente nel ricercare l'estrema potenza nel calcio, poiché un colpo anche moderato di una gamba può già infliggere seri danni.

“Uno scontro per strada va avanti fino a che si è colpito l'avversario abbastanza duramente da fermarlo”


Combat Hapkido


Autodifesa Il suolo non è tuo amico! Come molti altri artisti marziali, mi interessai alla lotta a terra dopo aver visto il primo Ultimate Fight Championship e vedendo come Royce Gracie sconfisse il suo avversario senza grande sforzo immobilizzandolo velocemente e impedendogli di continuare a combattere. Allora decisi di migliorare le mie abilità difensive e cominciai a ricercare tutte le informazioni che potevo reperire sulla lotta a terra. Voglio che sia assolutamente chiaro che non mi piace andare a terra, ne (a differenza di molti degli stili di grappling) portare un combattimento di proposito al suolo. Perciò ho intrapreso un esteso studio dei sistemi per capire meglio quali sono i loro punti di forza e quelli deboli e per imparare ad applicare tali nozioni in scenari di autodifesa stradale. Durante gli anni delle mie indagini, ho avuto l'opportunità di trarre beneficio

nella mia formazione frequentando seminari con molti esperti e fighter di lotta a terra di discipline come lotta libera, judo, Jiu Jitsu, Sambo e Submission. Ho comprato anche tutti i video, DVD, e i libri sul tema che ho potuto trovare per investigare a fondo nell'argomento. Quasi subito, è stato per me evidente che la maggior parte delle tecniche che studiai, sia che fossero strettamente orientate verso lo sport, o alla difesa personale, avrebbero funzionato solo se la persona che le eseguiva fosse stata alquanto atletica ed elastica. Inoltre, tutte erano praticamente concepite per lottare “uno contro uno” senza considerare le situazioni con molteplici aggressori. E infine, che in gran parte sembravano volessero mantenere il combattimento a terra, che è dove io non vorrei mai stare, nemmeno per un secondo. Quando si tratta di difesa personale stradale, credo che il suolo non sia vostro amico! E fortunatamente questa era anche la

filosofia del mio maestro, fondatore del Combat Hapkido, il Gran Maestro John Pellegrini. Dopo aver elaborato le mie indagini nel 2002, abbiamo deciso di strutturare un nuovo programma per affrontare la lotta a terra con l'unica idea di “sopravvivere e tornare in piedi”. Senza prese, ne sottomissioni o tecniche sportive, senza rimanere a terra un secondo in più di quanto assolutamente necessario. Il nostro obbiettivo era aggiungere una componente a terra che utilizza la maggioranza dei concetti che utilizziamo nel programma di Combat Hapkido, che includa i punti di pressione tipici del nostro sistema, i “Punti di pressione tattici”, per rendere le tecniche più facili ed efficaci. Abbiamo anche optato per concepire le tecniche per praticanti non così atletici (o acrobatici) grazie al fatto che il nostro metodo si concentra nella difesa pratica “alla portata di tutti”. Dovevo assicurarmi che le tecniche che mi hanno insegnato fossero non solo


Combat Hapkido facili da imparare, ma anche le più realistiche che si possono trasmettere a bambini e adulti di tutte le età e costituzione fisica, comprese le persone con disabilità, anziani e non marzialisti. Il nostro programma a terra sarebbe stato per tutti e non soltanto per gli artisti marziali esperti o in “buona forma fisica”. Il lavoro completato (un processo di 2 anni), ci presentò il nostro nuovo Programma di “sopravvivenza a terra” per i nostri allievi e le comunità marziali di tutto il mondo. Fu un successo immediato e, da allora, ho avuto la fortuna di aver viaggiato in tanti paesi per dirigere dei seminari, per conto mio o con il GM John Pellegrini, nell'emozionante formato “Double Impact”. Il nostro recente seminario unico “Triple Impact” (con il Maestro Gridley che insegna i Punti di pressione tattici) a Valencia, Spagna, è stato persino quello di maggior successo degli ultimi 10 anni nel paese iberico. Per facilitare l'apprendimento (e l'insegnamento) del programma, abbiamo prodotto in collaborazione con la Budo International Magazine, una serie di 5 DVD didattici che anch'essi sono stati un successo di vendite nel mondo delle Arti Marziali. Con gli anni, dal lancio del Ground Combat Survival Hapkido, ho avuto l'onore e il privilegio di insegnare a migliaia di allievi di origini assai differenti. Per i praticanti disabili, ho strutturato nelle mie lezioni delle specifiche varianti tecniche basate sulle loro capacità personali. Grazie al fatto che è anche un programma divertente e sicuro da imparare, è diventato popolare tra i bambini e i genitori, che, a causa della crescente incidenza di violenza intimidatoria, desiderano imparare a difendersi in modo pratico e appropriato. Quando insegno alle donne, metto l'accento sul fatto che il suolo non è loro amico quando l'aggressore sta cercando di violentarle, ferirle o ucciderle e che più tempo ci rimangono, peggio è. Devono rialzarsi in piedi il prima possibile! Ma lo stesso vale per gli uomini. Ed enfatizzo il fatto che aldilà di conoscere ben poco di lotta a terra o di lotta libera, devono tener presente che l'aggressore può non essere solo e che essendo stati feriti dall'attacco iniziale che li ha portati a terra, potrebbero

combattere in condizioni fisiche non ideali. Voglio sottolineare anche una cosa che è ovvia ma che spesso sottovalutiamo, quando ci alleniamo, la maggior parte delle volte stiamo su materassini che sono sicuri e comodi, ma per la strada ci sono sassi, vetri rotti, spazzatura, ecc. e non è precisamente dove vorremmo combattere e ruzzolare. Il Combat Hapkido dispone di rami separati per addestrare la Polizia /Agenti di Pubblica Sicurezza e il personale militare. L'allenamento di queste unità richiede una profonda comprensione del modo in cui operano nei distinti contesti ambientali e nelle differenti missioni, rispetto alla popolazione civile. Sono per giunta equipaggiati e vestiti in maniera differente. Gli insegnamenti a questi gruppi di tecniche di uso sportivo è solo una perdita di tempo e li metterebbe in serio pericolo! Al contrario, necessitano di tecniche efficaci, facili da imparare e che si adattino alle specifiche esigenze delle loro funzioni. Per esempio, la missione principale di un agente di polizia è controllare e arrestare soggetti che causano danni agli altri (o anche a loro stessi) garantendo in ogni momento che tali soggetti non abbiano accesso ad armi (ovvero, armi da fuoco, taser elettrici, spray al peperoncino, ecc.). Un altro esempio può essere un soldato la cui missione è proteggere una città, un villaggio, o un edificio davanti alla possibile minaccia di un nemico che vuole tendere un'imboscata o arrecare danni, portando con se circa 30 kg di equipaggiamento, tra armi e elementi di protezione. Come possiamo vedere in queste due situazioni, se la persona finisce a terra, è imprescindibile poter contare sulle abilità necessarie per sopravvivere all'attacco iniziale e tornare nella posizione dominante: in piedi! Spero di avervi dato una visione informativa generale della filosofia del Combata Hapkido “Ground Survival” e di aver risvegliato il vostro interesse per apprendere qualcosa in più. Nei prossimi articoli condividerò con voi alcuni degli aspetti tecnici del nostro programma. State al sicuro e ricordate: Il suolo non è vostro amico, quindi, non fate grappling…SOPRAVVIVETE!




Nuovi libri!

"Karate: immagini di una Storia" è il libro che contiene il maggiore e piÚ interessante archivio di documenti storici della storia del Karate. Funakoshi, i suoi Maestri, i grandi delle generazioni successive, Nakayama, Yamaguchi; tutto questo in documenti inediti o poco conosciuti, fotografie che sono parte della storia del Karate.

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Shidoshi Juliana ha vestito il nostro direttore Alfredo Tucci con un'armatura giapponese, per istruirvi sui suoi componenti e la corretta procedura della sua vestizione. Un articolo che inoltre ci spiega la storia e l'antropologia dell'armatura, uno dei principali attributi del Samurai. Per quanto si riferisce all'armatura, questa veniva considerata di estrema importanza e significato, era conservata in casa come simbolo di onorabilità. Tuttavia, non è stato sempre così. Prima e durante il periodo del Imperatore Kotoku e soprattutto nel primo anno di Taika (645), a tutti, compresi gli ufficiali, era proibito portare nelle loro case l'armatura o qualsiasi altra arma da guerra. Non esiste documentazione su quando avvenne il cambiamento e fu concesso che le armature e le armi personali venissero tenute nelle proprie residenze, anche se secondo alcuni autori, questo fomentò la costituzione di una casta di guerrieri professionisti che in certi casi, dai margini della politica, si facevano strada verso il centro del potere. Questo indumento finì per diventare il simbolo della devozione militare. Ogni clan, famiglia della casta samurai o casata militare possedeva il proprio Gusoku-shi, il fabbricante di armature. Questo spiega la grande varietà di pezzi realizzati per la battaglia. Naturalmente, i segreti della manifattura dei diversi modelli venivano conservati come qualcosa di prezioso in ogni clan, in maniera tale che soltanto coloro che facevano parte dello stesso lineage potevano utilizzare un determinato tipo di armatura. La tradizione di mantenere segreta la realizzazione e la metodologia con cui si facevano le armature veniva preservata con tale ardore e serietà che gli stili, i loro vari elementi e i sistemi di utilizzo, divennero pressochè incomprensibili durante i periodi di pace. In generale esistevano, comunque, dei canoni assoluti per ogni armatura, che consistevano in protezioni per testa, collo, spalle e braccia, torace, addome, gambe e piedi. Come è ovvio, in base alla tipologia di soldato nascevano le relative varianti. Così, il soldato di fanteria che combatteva a terra, quello a cavallo o gli alti ufficiali avevano modelli differenti a seconda della tipologia delle loro funzioni. Col passare del tempo, l'armatura ha smesso di essere soltanto una cosa funzionale trasformandosi in un simbolo di potere, venendo più decorata e acquisendo un maggior valore. Le armi non erano più solo degli strumenti per la guerra, diventarono un riflesso dello status sociale e della forza. Le armature antiche, prodotte prima del XVI Secolo, erano denominate: O-yoroi, Kachu, Haramaki, Do-maru, ecc. Quelle

Come si indossa l'armatura Giapponese


prodotte successivamente, si conoscevano generalmente come Gusoku. I materiali impiegati nella fabbricazione dell'armatura samurai, fanno molta attenzione alla velocità e alla funzionalità dell'equipaggiamento sul campo di battaglia. Inoltre, l'armatura completa veniva usata solo dai samurai delle classi più alte. Grazie a questa attenzione a velocità e funzionalità, è normale che esistessero differenze tra armature utilizzate da samurai a cavallo e da samurai di fanteria. L'armatura era costituita di basa da pezzi di cuoio. Arai Hakuseki, grande conoscitore del Confucianesimo, che prestò servizio alla corte dello Shogun Ienobu (1662-1712) studiano i vecchi manoscritti Sandai Jitsuroku, menziona (Arai,17) antiche armature fatte di cuoio di montone e di mucca usate dai guerrieri di Ono-no-Ason-Uyu durante il periodo Konin e passate ai suoi figli Mutsu-no-KamiHarueda e Tsushimano-no-Kami-Harukaze, che combatterono nell'Era Jogen (976-97). Il cuoio era così fondamentale per l'armatura giapponese che pezzi di questo materiale non solo funzionavano come raccordi tra le varie parti, ma costituivano anche il materiale essenziale per confezionare l'equipaggiamento. Le placche di cuoio venivano rinforzate con ferro, acciaio e/o altri materiali laccati, in modo da conferirle la necessaria rigidità. Gli elmi e le protezioni toraciche, fatte in metallo, che sono state trovate e datate come risalenti a un periodo molto antico del Giappone, suggeriscono che il loro impiego nella storia da parte dei fabbricanti di armatura fu immediato. I pezzi ritrovati dimostrano che il ferro era abilmente lavorato perché venisse alleggerito del suo peso, rendendolo più fine quando era usato come un pezzo unico, come negli elmi, o piegandolo a strati. Quindi, i pezzi piccoli servivano per gli elmi mentre quelli grandi erano destinati alla protezione toracica. Ma fu a partire dal periodo Heian in avanti che l'armatura ebbe finalmente una grande evoluzione fino ad arrivare ad essere quella splendida opera d'arte composta da placche di ferro unite tra loro da piccoli giunti di cuoio (odoshi), che le hanno dato la loro definitiva e caratteristica fattura. Le placche di ferro e acciaio avevano la loro misura e forma adatte per servire allo scopo di protezione della zona a cui erano destinate. I pezzi lunghi venivano usati per le protezioni delle spalle - Sode - o per la protezione del torace - Do.


Col tempo, si raggiunse l'obbiettivo di riunire materiali che offrivano una protezione efficace ed erano leggeri. L'armatura era in grado di proteggere contro i tagli delle spade, le frecce, i proiettili dei moschetti e oltre a offrire la massima protezione, for nivano un equipaggiamento che non risultava troppo pesante da usare. Le varietĂ di colori, stili e materiali utilizzati per confezionare l'armatura,

fecero di essa una mirabile opera d'arte di grande valore oggi per i musei di tutto il mondo e per collezionisti selezionati. Quei dettagli precisi che arricchivano le armature che caratterizzavano le differenze tra uno stile e l'altro, erano ciò che rendeva anche possibile l'identificazione dei membri dei vari clan, dagli specifici colori usati nelle corde, ai dettagli delle rispettive armature. Esistevano lacci di cuoio che erano conosciuti come kawa-odoshi,

mentre quelli di seta cinese si chiamavano kara-ya-odoshi.. Con la reggenza di Tokugawa al potere in Giappone, i tanti conflitti e gli scontri in battaglia finirono. Curiosamente, anche se era declinata l'importanza dell'armatura riferita al combattimento reale, poichÊ gli stessi erano quasi del tutto terminati, lo spessore dell'armatura come simbolo di potere aumentò. Ora piÚ che mai, la spada divenne il punto di riferimento della


Come si indossa l'armatura Giapponese


Tradizione Giapponese

casta, della classe o del posto occupato dal samurai. CosĂŹ, una serie di grandi armature (0-yoroi) furono utilizzate dai Daimyo durante le cerimonie di corte, le cerimonie militari e le incoronazioni.

Pezzi che compongono l'armatura: 1. Tazuna, Fundoshi - indumento intimo utilizzato a contatto col corpo 2. Shitagi e Obi - kimono comune di

uso quotidiano. I Samurai delle classi piĂš alte utilizzavano kimono sontuosi secondo la loro posizione sociale. Erano denominati Yoroi-Hitatare. Per sistemare il kimono si usava una cintura, l'Obi, che


si passava due volte in vita e di solito si legava davanti al corpo. 3. Hakama, Kobakama o matabiki pantaloni piegati con dettagli nella parte posteriore (koshi-ita). Il Kobakama è

caratteristico per essere piĂš corto e piĂš piccolo. Il Matabiki era impiegato dalle classi inferiori. 4. Tabi - calzini speciali con divisorio tra l'alluce e il resto delle dita dei piedi.

5. Kyahan o Habaki - protezioni per le gambe usate dalla caviglia al ginocchio, fatte di tessuto. 6. Waraji - sandali usati dalle classi piĂš basse. Normalmente ne veniva


Tradizione Giapponese

attaccato un paio in pi첫 alla cintura. La classi pi첫 alte usavano una specie di stivale realizzato in pelle (kengetsu, kutsu, tsuranuki), principalmente di orso. 7. Sune-ate, Shino Zutsu - protezione

per la gamba fatta di metallo modellato a stampo o di cuoio laccato. Alcune erano fatte con un'unica placca di metallo, essendo pi첫 utilizzato dalla cavalleria per proteggersi contro le lance e altre armi.

La maggior parte erano realizzate con placche unite tra loro e con placche centrali che proteggevano le ginocchia. Di solito comprendevano del cuoio laccato ai lati (abumi-zure) che a sua


volta proteggeva contro gli sfregamenti con staffe e selle, nel caso della cavalleria. Le ginocchia erano di norma protette dal hiza-yoroi kakuzuri, metallo che a volte era parte integrante del

Sune-ata, o che meno frequentemente era un pezzo separato. Esisteva inoltre un tipo di protezione fatto di maglia metallica, utilizzato sotto i calzoni dalla fanteria in tempo di guerra o anche dai

bushi in tempo di pace, chiamata Kusarikyahan o Kusai-suneate. 8. Haidate - componente interno di protezione per la coscia, somigliante a un grembiule, con l'estremitĂ inferiore



fatta di piccole placche (kozane) di metallo, cuoio o anche di osso di balena. Aperto nel centro, l'Haidate, ha dei lacci che passano intorno ai fianchi e si legano davanti al corpo. Esistono vari tipi di haidate, anche se tutti con la stessa funzione. 9. Yugake - guanti, generalmente con un piccolo foro al centro dei palmi. 10. Kote-Tegai - protezione del braccio e della spalla, di solito fatta in maglia metallica, con delle placche la cui funzione era difensiva. La placca che protegge la spalla si chiama Kamuri.ita; quella del braccio Gaku-no-ita; la placca concava del gomito, Hijigane; e infine quella dell'avambraccio Ikada, fatta con una serie di strisce di metallo, forata e modellabile, alla quale si attacca al polso un altro pezzo che aveva lo scopo di proteggere il dorso della mano. Questo pezzo era foderato in cuoio e aveva una curvatura in modo che si adattasse alle dita del guerriero. Nelle antiche armature, pezzi per le dita e anelli si accoppiavano gli uni agli altri per mezzo di un cordoncino. Più tardi, si indossavano guanti pesanti di pelle. A volte, c'era un ulteriore protezione per il dorso della mano, chiamato tetsu-gai. Sebbene proteggessero la parte esterna del braccio, quella interna era più vulnerabile. Esisteva una enorme varietà di queste protezioni, a seconda dei compiti del guerriero. Per esempio: gli arceri utilizzavano un tipo di protezione conosciuto come Yu-gote, famoso per non avere nessun componente pesante che potesse inibire le sue capacità. La porzione interna del braccio, che richiedeva meno protezione della zona esterna, veniva coperta da un tessuto pesante, o con cuoio intrecciato con seta o strisce di pelle. Tuttavia, la sua difesa si basava più sull'abilità del guerriero che nei pezzi dell'armatura, poiché questa zona rimaneva esposta quando le braccia si sollevavano per effettuare colpi con la spada. Esistevano delle tecniche che diventarono famose nel Yari Jutsu e nel Kenjutsu, che cercavano di raggiungere tali zone esposte e vulnerabili dell'armatura, nel

combattimento contro un avversario. C'erano quantità eccezionali di misure, tipi, forme e materiali che il bushi poteva selezionare per quell'importante indumento. Un esempio sono le maniche dell'armatura, coperte da una maglia fatta di anelli e catene di metallo (Kusarigote). Le braccia erano protette con delle placche (tetsu-gote). C'era un genere di manica che proteggeva il braccio, coprendolo con una lunga placca (come un Sode aggiuntivo), allacciata alla spalla (Tsugi-gote). Altre erano formate da scaglie sopra il bicipite (gaku-no ita); altre ancora, alternavano strisce di queste placche alla maglia metallica (Oshi-no gote), o erano totalmente fatte di maglia alla quale si collegavano delle robuste placche di svariati tipi (Shino gote, Echu gote, Awase gote). Usavano anche una piccola protezione per l'avambraccio, coperta di placche e maglia e poi con un tessuto rustico (Hansho gote). Queste maniche erano assai specifiche secondo il proposito marziale richiesto. Per esempio, c'erano maniche speciali (Yu gote) confezionate in seta e broccato, senza una qualsiasi protezione pesante, che si indossavano a coppie partendo dalle spalle. Erano più utilizzate dagli arcieri, che avevano bisogno di libertà di movimento per maneggiare i loro archi e frecce. In certe occasioni, gli arcieri usavano solo una di queste maniche per proteggere il braccio destro, la spalla e buona parte del petto e della schiena. Si allacciavano intorno al corpo. Molte delle maniche dell'armatura considerate leggere, venivano usate in tempo di pace, indossate sotto il kimono quando il bushi doveva essere pronto solo per gli scontri di strada. Le articolazioni, che generalmente rimanevano scoperte a causa dello spazio vuoto che c'era tra le maniche protettive (kote) e le placche laterali (watagami) del busto (del), erano rinforzate con strati di maglia metallica, placche e scaglie (waki biki). Erano indossate sotto il busto, separate o unite tra loro da una striscia di metallo (kusari waki biki). Uno speciale equipaggiamento (manju nowa) combinava i waki biki con un colletto e delle spalline.

11. Wakibiki - protezione per la zona dell'ascella e laterale superiore del torace, regione tra il kote-tegai e il watagami-do, del busto protettore del torace. Lo si poteva trovare legato al do o anche combinato con un tipo di collare protettivo per il collo e le spalle (manju-nowa). Poteva essere regolato con dei bottoni (botan-gake), delle corde (himo-tsuki) o dei ganci (kohaze-gake). 12. Do - protezione per il torace, parte centrale dell'armatura. Insieme all'elmo, rappresenta l'identità dell'armatura e il relativo periodo storico - preistorico (tanko, kachu, kisenaga) quello antico (yoroi) e quello moderno (gusoku). La maggior parte del corpo del bushi era vestito da un busto realizzato con varie placche di metallo, come quelli antichi (kaki, yoroi, keiko) del IV Secolo. C'erano anche busti di cuoio lucido, foderati e coperti con strisce di scaglie ben allacciate con seta o corde di pelle. Come abbiamo detto in precedenza, il cuoio era la materia prima preferita dai fabbricanti di armature. Le differenti qualità di cuoio utilizzate, così come gli altri vari tipi di trattamenti, diedero origine a una serie di busti (kawa tsutsumi), come quelli di cuoio cinese (kara kawa tsutsumi), cuoio rosso (aka kawa tsutsumi) e cuoio fiorito (hana kawa tsutsumi). Le classi più basse usavano quelli fatti di cuoio laccato nero (sewari-gusoku), anche se, in generale, venivano impiegate molte varietà di pellami per la loro realizzazione. Le placche che componevano il Do erano spesso rivestite con pelle di squalo (same tsutsumi), guscio di tartaruga (moji tsutsumi) e adornate con ossa di balena. Quando i busti erano aperti nella parte posteriore si chiamavano haramaki-do e quando lo erano lateralmente do-maru. Esisteva anche il Do fatto con un unico pezzo di metallo. Sebbene piuttosto inusuale, questo componente si chiamava hatomune-do o hotoke-do. Dal XVII e XVIII, sono stati copiati dalle armature europee. Nel Do potevano anche

Come si indossa l'armatura Giapponese


Tradizione Giapponese esserci due placche per proteggere l'ascella sinistra (hatono-ita) e la destra (sendan-no-ita). Apparentemente c'era un'infinita varietà di busti in uso in Giappone nei diversi periodi e sono stati suddivisi in due categorie principali: la prima e la più comune comprende quelli costituiti da placche o scaglie e allacciati con corde robuste (do) e la seconda, quelli ricavati da pezzi interi. I più recenti, denominati come placche a “petto di piccione” (hatomunedel) o placca a “petto di santo” (hotoke-del), perché riproducevano la curvatura del corpo umano, erano molto delicati. Coprivano il corpo dal collo al bacino ed erano usati in Giappone nel XVII e XVIII secolo. In apparenza copiati dai modelli europei, potevano essere aperti nella parte posteriore o ai lati. Quelli che avevano l'apertura frontale erano assai rari. Alcuni semplici modelli regolabili, adottati dalle classi più basse dei samurai e dai loro aiutanti, presentavano innumerevoli varianti. Altri modelli includevano due calzari ai quali veniva legata la bandiera della cavalleria. I samurai di alto livello indossavano pezzi aggiuntivi, come l'importante Se-ita o Se-ita no yoroi, che erano piccole placche che proteggevano le articolazioni delle spalle e della parte superiore del braccio. Le più antiche venivano fatte in genere di metallo o di cuoio molto grosso, riccamente decorate con particolari metallici sui bordi. Le più recenti erano fatte di tre grosse placche con file di scaglie sovrapposte, protette con pelle conciata. Negli ultimi busti fabbricati, i samurai delle classi più basse - che non erano autorizzati a indossare le placche protettive, portavano delle protezioni minori chiamate Giyo yo ita. Esistevano vari modelli di questo specifico componente. 13. Una-obi - fascia allacciata in vita. In questa obi veniva

bloccata o legata la spada. Di solito era fatta di lino o tessuto, con decorazioni nella parte anteriore. Quando il samurai tagliava la punta di tale fascia e gettava il fodero della sua spada, che di solito teneva legata alla cintura, manifestava chiaramente al nemico la sua intenzione di morire sul campo di battaglia e si scatenava la natura disperata del suo combattere. 14. Sode - i bushi di estrazione più elevata avevano due protezioni per le spalle chiamate Sode. In genere erano costituiti da vari piccoli pezzetti uniti tra loro tramite dei lacci di cuoio o di seta, a strati, sopra una placca di metallo o cuoio laccato. La sommità era sempre in metallo solido finemente decorato (Kamuri-Ita), mentre la porzione inferiore (Hishinui-ita) aveva normalmente un imbottitura all'interno e si allacciava con corde a “x” per bloccarla. Le sue forme più comuni erano rettangolare e quadrata e la sua misura variava da grande (Osode), media (Chu-sode) a piccola (Ko-sode). 15. Koshiate - protezione bloccata sul lato sinistro per trasportare le spade, sia quella lunga (dalesho) che quella corta (wakizashi). Anticamente il Bushi era solito portare una spada di scorta, più lunga del Dalesho, conosciuta come Nodachi, che veniva caricata sulla schiena in diagonale. Ma nel periodo Tokugawa questa consuetudine andò a scomparire. 16. Nodowa - protezione per il collo. Usata dai samurai di estrazione elevata. A forma di “U”, era composta da piccole placche. Sembra che sia stata sviluppata nel XVI secolo, ispirata a un colletto usato solitamente sotto il Do. Nel periodo Tokugawa cominciò ad essere usata sopra il Do, in una grande varietà di stili, tra questi uno che protegge perfino la nuca, legato o bloccato da dei ganci dietro al collo. Il Nodowa poteva anche venire

bloccato direttamente alla maschera, anche se il suo modello sciolto (Tetsuki) era quello più popolare. 17. Hachimaki - banda bianca legata in testa, sulla fronte. Il suo colore simboleggia la morte imminente. 18. Uchi-bari - copricapo protettivo usato sotto il kabuto. Veniva bloccato con dei lacci (Shinobi-no-el) al mento e allo stesso elmo. 19. Mempo - maschera di ferro, acciaio o cuoio laccato, usata per proteggere il viso. Poteva coprire tutta la faccia (Mempo, Membo o So-mempo) o parte di questa. Quando lasciava scoperti gli occhi veniva chiamata Saru-bo. Generalmente le maschere rappresentavano il volto umano, di un demone o di un animale. Le più famose erano: la faccia coreana (Korai-bo), il fantasma (Moriyo), la demoniaca (Akuryo), il barbaro del sud (Namban-bo), il demone dal grande naso della foresta (Tori-tengu), la faccia del vecchio (Okina-men), del giovane (Wara-wazura) e della donna (Onna-men). 20. Kabuto - elmo protettivo. Era composto da vari pezzi che avevano la funzione di proteggere la testa. Il suo componente principale è chiamato Hachi, un pezzo di metallo concavo come una cupola, che riprendeva la forma della testa umana. Nella sua parte frontale troviamo un pezzo di cuoio laccato, spesso dipinto di rosso e decorato, denominato Maezashi. Lo Shikoro è la parte che protegge il collo, composta da 3 a 7 strati tra le 100 e le 138 placche metalliche. Le protezioni per le orecchie (Fukigaeshi), caratterizzate da una curvatura e da un'inclinazione all'indietro, erano anch'esse magistralmente decorate con cuoio e metalli nobili come oro e argento. 21. Jinbaori - una specie di kimono aperto, usato sopra l'armatura dagli ufficiali di alto lignaggio.

Come si indossa l'armatura Giapponese





Arti del Sudest Asiatico Uno dei miei giovani allievi principianti mi domandò, dopo la sua lezione, che cosa esattamente deve fare per diventare un grande ar tista mar ziale. Hmmm, è una domanda interessante, pensai. Sicuramente avrei potuto dargli rapidamente una serie di consigli per riuscire nell'intento, che suonavano bene alle sue orecchie. Tuttavia, dissi all'allievo di tornare la settimana successiva per ripetermi la sua domanda, e solo allora avrei avuto una risposta per lui. Per la lezione successiva, gli avrei descritto i seguenti punti in questo ordine:


Maestri Internazionali 1) Motivazione Dovete avere una buona ragione per imparare le arti marziali. Tale ragione può essere diversa da un allievo all'altro. Che sia per difesa personale, per superare i propri limiti, per fiducia in se stessi, o acquisire qualità speciali. E' importante che sappiate quale è il vostro motivo (non verrà pubblicato in nessun giornale) perciò dovete delineare con maggior precisione possibile quale è il vostro traguardo. Senza avere un reale motivo, le persone sedotte da un temporaneo dall'entusiasmo per le Arti Marziali, non riusciranno a praticarle per il tempo sufficiente a raggiungere un certo livello in esse.

2) Comprensione del percorso Dopo un po' di tempo passato all'interno del processo formativo, saprete come una cosa tira l'altra e che la palla è rotonda, per così dire. Sembra che la vostra nuova condizione influenzi la vostra tecnica perché adesso non vi stancate cosi velocemente e pertanto potete effettuare un numero più elevato di ripetizioni. Così comprendete come con il miglioramento della coordinazione potete fare cose che prima potevate soltanto ammirare negli altri. La nuova comprensione della teoria vi permette di cambiare le vecchie abitudini, perché avete capito come correggerle. Lo vedete nelle esercitazioni, passo dopo passo, assestandovi e andando in direzione della vostra meta. Potete avere un'idea di come si presenta il percorso.

3) Padroneggiare i fondamentali Gli strumenti dell'Artista Marziale sono le sue tecniche fisiche. Bruce Lee pretendeva la perfezione di ciascuno di questi strumenti. Non è mai troppo presto per cominciare a perfezionare i vostri fondamentali, anche se si sono imparate solo alcune tecniche. La fiducia in voi stessi crescerà con le vostre capacità e abilità, attraverso il controllo di questi concetti basilari. Non si tratta di imparare un gran numero di tecniche. Non è tanto quanto sapete, ma il modo di usare la conoscenza che è importante. E' necessario conoscere i concetti basilari e dargli un'attenzione speciale durante la pratica.

4) Praticate Uno dei miei stimati maestri, uno di quelli che può essere descritto come un artista marziale d'eccezione, ha circa 70 anni. In uno dei campi di allenamento più duri che conosco, l'ho visto portare a termine regolarmente un programma di sei ore. Un tempo di pratica che porta allo sfinimento fisico atleti di un terzo della sua età. Quando gli fu chiesto perché lui, con la sua grande abilità, riesce ancora ad allenarsi così tanto tempo, egli rispose:” Devo praticare per mantenermi bene”.

Come trasformarsi in un eccellente artista marziale?


Arti del Sudest Asiatico Non si potrebbe spiegare meglio, la pratica è la STRADA che porta dall'essere “buono” all'essere “straordinario”. La motivazione, la teoria e la tecnica, sono inutili senza una pratica costante delle vostre Arti Marziali.

5) Pazienza Niente diviene eccellente dal giorno alla notte o per una brillante e improvvisa ispirazione. Bisogna praticare il controllo dei fondamentali con regolarità, quindi, per mantenerli e continuare a svilupparli è necessario molto tempo. I segni del tempo possono usurare o lucidare il vostro lavoro, sta a voi decidere come utilizzare il tempo. Se si studiano le personalità di artisti marziali eccelsi, ci renderemmo conto che sono arrivati ad esserlo grazie all'attività quotidiana e alla diligenza fatta di tanti piccoli passi. Hanno passato molto tempo a sviluppare la loro arte marziale.

Una volta che avrete compreso l'importanza dei quattro passi precedenti, il tempo insieme alla conoscenza saranno i fattori che vi faranno passare da essere “buoni” a “eccellenti”. Il tempo non si può accelerare. Fate attenzione a non essere come i bambini piccoli, che guardano ogni minuto un fiore appena piantato per vedere se è già cresciuto. Prendetevi il vostro tempo, per trovare la vostra strada verso la maestria nelle Arti Marziali.

NOTE SULL'AUTORE: Bob Dubljianin è uno dei principali istruttori di Arti Marziali del Sudest Asiatico (Kali, Muay Thay, Silat Pentjak) e Jeet Kune Do in Europa. Dal 1993 ha svolto conferenze e seminari in Germania e altri paesi europei. Per maggiori informazioni sugli attuali seminari, visitateci su internet al sito: www.soai.de o inviateci una e-mail a: info@soai.de





Etichettare il Jeet Kune Do come “una semplice filosofia” senza programma di studi, ne progressioni tecniche, sminuisce il valore tecnico del materiale che ci ha tramandato il suo fondatore, Bruce Lee. D'altra parte, se classifichiamo l'arte come “solo qualcosa che ha insegnato Bruce Lee”, ci priviamo della possibilità di esprimerci in quella maniera libera e naturale, (o meglio, naturalezza - anti naturalezza!) tanto cara al Sijo Lee. Il nostro gruppo crede che l'uno o l'altro approccio non siano del tutto

Elbow-Strike-Photos


corretti. Il materiale del JKD originale (così chiamato) combinato con gli elementi filosofici contenuti negli appunti e negli scritti di Bruce Lee, forniscono la base su cui costruiamo la nostra arte marziale personale. Nel nostro caso, questo è l'origine della “vecchia scuola del JKD”. Usando i principi stabiliti da Bruce Lee, uniti a una comprensione delle fondamenta e del funzionamento del Jeet Kune Do, possiamo indagare sulle altre discipline ed estrarne la loro essenza. Questo è ciò che chiamiamo il “Filtro del JKD”.


Il Filtro del JKD Un articolo del JKD Wednesday Night Group Allievo di tutto o Maestro di qualcosa? Molti diranno che l'unico modo per essere un vero artista marziale, è allenarsi in tutto quanto è possibile. Boxe, Lotta, Jiu Jitsu,e Judo per la competizione. Il Kali per le armi, le arti marziali basate sulla realtà per la difesa personale, ecc. Tutte sono state messe alla prova sotto pressione e hanno dimostrato la loro efficacia. Non ci sono dubbi. Tuttavia, ci sono due domande importanti che credo ogni artista marziale, che si alleni in questa maniera, debba assolutamente porsi: 1) E' più efficace fluire da un'arte all'altra (e da un sistema all'altro), o avere un'unica piattaforma dalla quale posso utilizzare tutti i miei attacchi e difese? 2) Accumulare tecniche mi rende un combattente migliore o dovrei usufruire di una quantità limitata di strumenti da allenare con lo scopo di perfezionarli ognuno a un livello molto alto? Il tempo è la più grande risorsa dell'essere umano. Se teniamo conto che le Arti da combattimento come la boxe, la lotta, o il JKD richiedono un'abilità atletica che spesso comincia a venir meno quando ci approssimiamo alla mezz'età, l'uso ottimale del tempo di allenamento diventa cruciale. Questa è una delle ragioni per la quale la diminuzione quotidiana è un principio così importante del JKD. Come posso realizzare le ripetizioni necessarie per “padroneggiare” una determinata tecnica, se sto spendendo il mio tempo di allenamento aggiungendo nuove tecniche o praticando molte Arti differenti che utilizzano differenti strutture?

Applicare il filtro JKD Siamo sempre in cerca del metodo migliore, di trovare gli strumenti più efficienti e di esaminare le nostre e la debolezze. La ricerca sperimentazione costante sono necessarie. Tuttavia, al fine di ottenere il massimo profitto dal nostro tempo di addestramento, dobbiamo in qualche modo filtrare una grande quantità di materiale senza doverlo per forza allenare tutto. In parole povere, si tratta di come analizzare il nuovo materiale: • Necessità - Dobbiamo aggiungere qualcosa al nostro sistema? • Struttura - Dobbiamo modificare il nostro sistema per adattarlo alla

tecnica o questa s'incastra alla perfezione in ciò che stiamo facendo fin qui? Un esempio basilare di questo sarebbe una tecnica che non funziona bene da una guardia aperta (ovvero, destra avanti contro sinistra avanti) che ci costringe a cambiare la gamba avanzata con il fine di utilizzarla e negare dunque il vantaggio della struttura del lato dominante anteriore e di conseguenza telegrafare le nostre intenzioni. • Adattabilità - Quanto è limitata la sua applicazione? Funzionerà con tipi di combattenti differenti? Contro diversi metodi di difesa? In condizioni tutt'altro che ideali? • Vulnerabilità - Ci espone a contrattacchi che potrebbero essere più pericolosi dell'attacco iniziale contro cui ci stiamo difendendo? “Non si tratta di quello che puoi imparare, ma di quello che puoi scartare” Bruce Lee (a Bob Bremer)

Posizione JKD Foto 2

Esempio 1 Alcune delle prime tecniche che abbiamo aggiunto al nostro modo di esprimere il Jeet Kune Do sono stati i colpi con il gomito della Muay Thai. Questo è l'esempio più basilare di strumenti che rispettano tutti i criteri precedenti. Al fine puramente dimostrativo discuteremo solo di come questi colpi si adattano alla struttura del JKD. Qui non sono necessarie spiegazioni tecniche su come realizzare ogni movimento. Vale la pena sottolineare che le gomitate sono strumenti per la corta distanza che si possono eseguire con più frequenza da una posizione di guardia “ c o m p r e s s a ” . Naturalmente, la posizione della mano, siccome la distanza diminuisce, deve essere tenuta in maniera da offrire una difesa contro gli avversari vicini e dagli attacchi a corta distanza. Senza la


Posizione JKD Foto 1


distanza e il timing richiesto per intercettare, non ha più senso stendere il braccio come si farebbe nel tipico Bai Jong. (Vedi la posizione JKD foto 1 vs la posizione JKD foto 2) Gomitata diagonale verso il basso (osservate il colpo di gomito foto 1 & colpo di gomito foto 2) Gomitata orizzontale (osservate colpo di gomito foto 1 & colpo di gomito foto 3) Gomitata diagonale (osservate colpo di gomito foto 1 & colpo di gomito foto 4) Gomitata verticale (osservate colpo di gomito foto 1 & colpo di gomito foto 5) (Nota: Alcuni praticanti di JKD preferiscono usare i colpi di gomito in diagonale, verso il basso e orizzontali del Wing Chun)

Esempio 2 I Colpi di palmo “pesanti” generano un'enorme potenza e allo stesso tempo riducono il rischio di possibili traumi della mano. Sifu Tim Tackett imparò alcune di queste tecniche a Taiwan, mentre altre provengono da un istruttore del nostro gruppo che si chiama Bert Poe. Gancio di palmo (Osservate il palmo pesante foto 1- 2) Palmo schiacciante (osservate il palmo pesante foto 3 - 4 - 5) Foglia di salice (osservate il palmo pesante foto 6 - 7 - 8 - 9) Palmo laterale (osservate il palmo pesante foto 10) Esempio 3 Per strada, dobbiamo evitare a tutti i costi di andare a terra.

“Spendi l'80% del tuo tempo e userai l'80% del tuo tempo.” Tim Tackett



Note sull'autore Mike Blesch è membro del JKD Wednesday Night Group e cofondatore dell'Associazione Chinatown JKD. Per avere maggiori informazioni, visitate JKDWedNIte.com e JKDLessons.com Foto di Angelico Tolentino AngelicoT.Com. Dimostrazioni di Tim Tackett, D.M.Azul, Jeremy Lynch e Steven Resell. A cura di Brent de Lance BrentLanceJKD.com


Deve finire lì, l'obbiettivo è danneggiare l'avversario e tornare in piedi il più rapidamente possibile. Detto questo, comunque è molto conveniente per noi portare l'avversario a terra e finalizzarlo mentre rimaniamo in piedi, nella migliore posizione possibile per fronteggiare molteplici attaccanti e in ultima istanza per fuggire definitivamente dalla situazione. Guardate questa proiezione che spesso va a segno nelle MMA. (guardate il bloccaggio e l'aggancio foto 1-2-3-4-5-6-6a6b) (Nota: 6a & 6b sono due angoli della stessa posizione) Qualsiasi fighter che scaglia spesso dei colpi con la mano avanzata (come quelli di JKD) deve essere cosciente della propria vulnerabilità in base al tipo di attacco utilizzato. Jeremy Lynch utilizza l'attacco di Steven Revender contro di lui prendendolo e lanciandosi sotto il suo pugno applicandogli una presa al corpo e agganciando la gamba avanzata per eseguire una proiezione. (Questo è un buon esempio del perché gli stop-kick sono così importanti per ridurre chiudere la distanza). Guardando questa tecnica come un potenziale strumento offensivo, possiamo determinare rapidamente che sta violando i nostri principi strutturali (si osservi la foto finale della sequenza). Jeremy termina a terra insieme a Steven e non ha una posizione dominante (mezza guardia). In un contesto senza regole questo può essere molto pericoloso a causa della probabilità che Steven abbia addosso un'arma, per non parlare del fatto che Jeremy è in una posizione molto brutta se ci sono altri aggressori da cui difendersi. Ci sono momenti nei quali può essere necessario afferrare un avversario a terra con lo scopo di neutralizzare un vantaggio evidente, per esempio, (più veloce, con più allungo, più specializzato, ecc.) ma per noi esistono modi più efficienti.

Scartare, ridimensionare o sostituire? A volte, una tecnica che ci piace davvero può non superare il filtro. La domanda allora è: abbiamo davvero bisogno di conservare questa tecnica, anche se fosse solo per allenarsi a contrastarla? Anche se la risposta è negativa, avremo comunque acquisito una certa esperienza nel procedimento e perlomeno, saremo più a nostro agio con una tecnica che potrebbe essere usata contro di noi.

Ecco la maniera con cui si gestiscono i 3 esempi precedenti:

“Spendi l'80% del tuo tempo e userai l'80% del tuo tempo.” Tim Tackett

La regola del 80/20 Anche conosciuta come il “principio di Pareto”, la regola 80/20 stabilisce che molto spesso l'80% dei risultati deriva dal 20% degli sforzi compiuti. Pertanto, per ottenere i massimi risultati, si deve usare l'80% del tempo nel 20% di ciò che ci importa. E' un'idea molto utile che è stata applicata con successo a numerose discipline. Al nostro gruppo, che funziona essenzialmente come un secondo livello del filtro del JKD, ricorda che ci concentriamo solo sulle tecniche e i principi fondamentali del JKD. Il trucco è sapere esattamente quali tecniche costituiscono il 20% di vitale importanza che otterrà l'80% dei risultati. Quando si parla di sport da combattimento come le MMA o la Boxe il compito è più semplice, grazie alle dettagliate statistiche a disposizione. Possiamo determinare che un lottatore di MMA peso leggero ha finalizzato più incontri con delle sottomissioni che per KO, perciò i metodi di allenamento consueti rifletteranno tutto questo. Ai fighter di pesi welter o superiori accade il contrario. Ovviamente ci sono più modi di interpretare le statistiche (vale a dire, i fighters più piccoli hanno bisogno di lavorare nella potenza dei loro colpi e quelli più grandi nelle loro sottomissioni), ma ciò non è rilevante nell'attuale discussione. Nella boxe notiamo che il pugile che porta più jab spesso vince. Il problema con un'Arte per il “combattimento stradale” come il Jeet Kune Do è che non c'è un metodo esatto per ottenere questo genere di statistiche. Allora, come decidiamo quali tecniche saranno le nostre risposte primarie (quel vitale 20%)? Per noi la soluzione è tripla: 1. Seguire i principi del JKD - in particolare “l'economia di movimento” 2. Personalizzare - fare i conti con le forze, le debolezze e il temperamento 3. Prove - imparare dai successi e dai fallimenti nell'addestramento di sparring e nelle varie situazioni, così come sul ring / gabbia. La nostra analisi conclusiva dei 3 esempi è la seguente:

Conclusione Il filtro del JKD e il principio della diminuzione giornaliera si possono applicare a qualsiasi regime di allenamento di arti marziali, indipendentemente dallo stile. Che la sua base sia l'arte della Muay Thai, il Judo, il Karate o ci si alleni per la difesa personale, la gara o entrambi; delle solide basi obbligheranno gli avversari a rispettare e a prepararsi per utilizzare i propri strumenti fondamentali, in modo che tutte le risposte secondarie siano più efficaci e si sfrutti al massimo il tempo dedicato all'allenamento.




“Il proposito di questo gruppo è quello di preservare e promuovere l'arte del Jeet Kune Do di Bruce Lee, per aiutare a definire ed insegnare un programma di studio che non ci limiti, ma che ci liberi, e ci dia modo di scoprire la nostra personale espressione dell'arte di Bruce Leeâ€?. Tim Tackett






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