B&G N°14

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anno III - numero 14 | agosto - settembre 2010 | € 5,00

anno III - numero 14 | agosto - settembre 2010

Voglia di creatività

Per i manager italiani è un requisito fondamentale per avere maggiore successo

Perché fare rete

Lo auspica Confi ndustria Lombardia, lo fanno le PMI, lo vuole il mercato

gianluca rusconi

A caccia di talenti

Aspettando Smau. L’indagine sulle figure più ricercate nel settore ICT

Green economy Strategie di business: quando l’azienda si “tinge di verde”

Case history

Focus su: Raccortubi, Giannini, Claind, Log-In Group, Pamar

Innovation jewellery Gioielli e orologi hi-tech, la rivoluzione targata Rusconi che lancia sul mercato marchi innovativi e va alla conquista anche di Europa e Stati Uniti Protagonisti

Matteo Antonelli, Sara Baroni, Vincenzo Boccia, Angelo Crippa Claudio Dubbini, Mario Salomone, Sergio Tonfi


La combinazione

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Editoriale di Mauro Milesi

I segnali di ripresa ci sono. I segnali di pericolo anche. La lenta risalita dalla crisi ci off re Legenda delle icone di lettura Business & Gentlemen ha studiato

dati positivi, con un secondo trimestre 2010 in cui il Pil è cresciuto dell’1,1% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Ancor più confortante il dato della produzione industriale

dei richiami grafici per aiutare la

che registra un +8,2% rispetto al 2009: è la miglior performance dal 2000. Sono segnali

“navigazione” dei servizi e offrire

confortanti di un’Italia che ha saputo darsi da fare. Dati che premiano il valore di un

informazioni aggiuntive.

certo modo di fare impresa da parte di chi ha saputo guardare il mondo senza paraocchi,

Innanzitutto ogni articolo pre-

rimboccandosi le maniche e, se necessario, operando significative riorganizzazioni delle

senta un’icona che ne identifica la

proprie aziende. Sono stati momenti duri (e lo saranno ancora), ma buona parte del Paese

tipologia di contenuto:

ha reagito e adesso ne abbiamo anche le prove statistiche. Giornalistico: servizi, approfondimenti, interviste realizzate dai nostri giornalisti e dai collaboratori B&G.

Abbiamo visto e raccontato storie di imprese che sono riuscite a sconfiggere la crisi grazie a imprenditori illuminati che non sono rimasti con le mani in mano: rivoltando i reparti come calzini, studiando nuove strategie, ottimizzando i costi, riducendo gli sprechi, in-

Tecnico-scientifico: studi e ricerche che hanno una connotazione

vestendo, se necessario, per essere più competitivi. Ne è prova l’export italiano, capace di

tecnico-scientifica e che sono

conquistare nuovi mercati e tenere il passo in quelli a maggiore concorrenza. C’è ancora

realizzati da esperti, docenti o

molto da fare, ad esempio sul fronte Cina, creando soluzioni produttive complementari ai

studiosi.

cinesi, facendoli diventare alleati, partner e non concorrenti. E’ una delle tante sfide, come

Divulgativo: notizie, curiosità,

quella della qualità, della salvaguardia di quel Made in Italy di cui tutti si vantano, ma

anteprime, focus di carattere

pochi fanno davvero.

divulgativo sui temi d’interesse generale: dalla moda ai motori, dall’arte al design. Inoltre la lettura può riservare

Ed ecco il primo segnale di pericolo. In un momento in cui l’offerta oltre i nostri confini si rivela una strada fondamentale per la nostra economia, la politica non trova il sistema

informazioni aggiuntive con le

di varare una legge con norme chiare che tutelino il Made in Italy, che agevoli il percor-

seguenti icone

so per meglio posizionarlo nei mercati internazionali. Si litiga, si discute, non si decide.

Immagini: didascalie e spiegazione del materiale iconografico Url: la segnalazione di siti e portali sul tema trattato

Non si decide nemmeno su chi debba essere il nuovo ministro dello Sviluppo Economico. Sono passati mesi dalle dimissioni di Scajola, eppure il dicastero resta ad interim e molte deleghe sono state spezzettate su altri ministri. Delle due l’una: o la questione non è considerata importante (colpevolmente) o quel ministero non era importante. E allora perché è stato creato?

Argomenti correlati: segnalazione di servizi B&G che trattano argomenti simili

Insomma, la politica sembra deludere ancora una volta e più che mai in questo periodo dove si assiste a una bagarre su questioni che nulla hanno a che vedere con il futuro del

Citazione: un ipse dixit che impreziosisce il discorso trattato

Paese. Mentre l’Italia, le famiglie e le imprese lottano per uscire dalla crisi, la politica si avvita su se stessa, si rispecchia sempre di più nel suo essere “casta”. Ma senza politica, la

Bibliografia: la segnalazione bibliografica collegata all’argomento

buona politica, non riusciremo ad andare lontano, non riusciremo a costruire il terreno per restare ai livelli dei Grandi. La politica si deve ricordare che il Paese viene prima delle liti e dei giochi di palazzo, che il Paese non può perdere altro tempo in apnea.

B&G è anche online! Non una semplice vetrina della rivista, ma un magazine vero e proprio dedicato al mondo delle imprese, del business e del lifestyle. Servizi quotidiani e approfondimenti suddivisi in canali tematici: dall’economia ai personaggi, dall’internazionalizzazione ai giri di poltrona, dalle fiere all’Ict. E poi, i canali dedicati all’intrattenimento e al lusso: yacht, motori, gioielli, orologi, viaggi e molto altro. Visita il nuovo sito di B&G: www.businessgentlemen.it

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Sommario numero 14 | agosto - settembre 2010

4.

Editoriale

44.

Perché il Paese viene prima

8.

Abstract

Quando l’azienda si “tinge di verde”

48.

Pillole di B&G dedicate al pubblico estero

10.

Creatività in azienda

52.

Fare rete

22.

Raccortubi

56.

Giannini

60.

Claind

64.

Pamar

66.

Ricerca ICT

70.

Smau 2010

90.

Logistica

Futuro rinnovavile

72. 74.

Motori Sergio Rota pilota e imprenditore

100. Myanmar Il Paese più buddista del mondo

104. Fiere

“Made in Italy” Un primo passo verso la nuova legge di tutela

Per conoscere di tutte le novità della prossima edizione

Nautica Ecco il mito dei cantieri Riva

96.

Mario Salomone

Enrico Della Pietà Intervista al brand manager Davidoff per l’Italia

92.

Eventi e brand

Bien vivre Tecnica e Arte, il mestiere dei torcedores

Viaggio alla scoperta delle fonti rinnovabili che avranno più crescita

Alla scoperta delle figure più richieste nel settore

42.

86.

Rappresenta l’Italia all’Onu sullo sviluppo sostenibile

Il successo arriva grazie a dinamicità e diversificazione

38.

Costruire e qualità

Innovazione Focus sull’innovazione “esponenziale”

L’importanza degli eventi nelle strategie commerciali

L’impresa comasca che ha battuto la crisi

34.

82.

La strategia di Log-In Group che punta anche sulla consulenza

Il design “Made in Brescia” che fa la differenza

30.

Innovazione Rusconi

Marketing Quali strategie per fidelizzare il cliente

La carriera di Claudio Dubbini e gli investimenti edilizi

L’azienda milanese leader nel settore piping

26.

80.

Lady Economy

La maison di distribuzione che punta su gioielli hi-tech

Le PMI lombarde fanno network per l’export

L’unione fa la forza L’importanza di fare sistema nei momenti di crisi

Sara Baroni e l’Oceano blu della consulenza

Secondo i manager è sempre più importante

16.

78.

Sostenibilità

Tutti gli appuntamenti più importanti

Paralisi decisionale Il valore del consuelling per l’organizzazione strategica

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Metro. Barra di platino-iridio, si trova nel dipartimento dei pesi e delle misure del Pavillon de Breteuil a Sèvres, in Francia.

Unità di misura della lunghezza

Chilogrammo. Cilindro di platino-iridio, si trova nel dipartimento dei pesi e delle misure del Pavillon de Breteuil a Sèvres, in Francia.

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Secondo. Stimato dalla durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione di transizione dell’atomo di cesio 133. In Italia un campione è conservato all’Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris di Torino, Italia.

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agosto - settembre 2010

Nuggets of B&G

We dedicate the English abstracts of some of the most interesting articles published on this issue to the foreign business public happening to leaf through B&G

The route to creativity

be of help through the provision of its

quickly developing markets. What does

According to the fourth search of IBM’s

analytical capabilities and tools. The

creativity mean? According to Joseph

Global CEO Study, Italian managers

study shows that the complexities of an

Delmestri, from the Bergamo Universi-

want first of all to be creative, but less

interconnected world are intensified by

ty, being creative means: creating expe-

than 50 percent of the polled companies

a number of factors. CEOs, for example,

rimentation areas within the organiza-

feel fit and ready to cope with new mar-

maintain that they will have to double

tion, investing in diversity, tucking into

ket challenges. Angelo Crippa, General

their turnover from new sources over

innovation in work relationships and

Manager of IBM General Business Ser-

the next five years, while 76% predict

ensuring greater stability and security,

vices Italia says that technology can

that the economic power will pass to

especially for young people.

English version

The most demanded job positions in information technology After holding out during a year of strong economic downturn such as the year 2009, even this year, among the most demanded figures in the Information Technology industry, those most sought after are still: the R&D Manager, whose annual average salary ranges between 65,000 and 85,000 euros depending on the years of experience and the company “size� when it comes to turnover, and the ERP Project Manager. Th is is the result of a study conducted by Michael Page Technology, a division of Michael Page International, an international European leader in consultancy for the recruitment of skilled labour. Th is research study is the fruit of the work performed on a daily basis by the consultants of the Division Technology throughout

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these years. More specifically, it is the fruit of a careful analysis of the applications received and taken into consideration on a monthly basis, which have been thoroughly examined as for training pathways, motivations and salaries of the candidates contacted by the Division consultants.


Abstracts

When companies “turn” green Today more than ever, marketing strategies oriented to eco-sustainability and ecology, i.e. the so-called Green Marketing, are becoming the winning tool for companies willing to successfully sell their products. A tool that cannot be improvised but must be part of the organisation and business and must come into existence with the product itself, as stated by Sergio Thuds, Corporate Communication Manager of Philips Italia, a company focusing on energy efficiency more than any other. The result is that today 31% of Philips’s total turnover (which is 23.2 billion euros) already includes “green” products. The company has also set itself the objective of reaching 50% in 2015. The EUR 1 billion target for “green” innovations will be exceeded within the year and a 25% increase in energy efficiency of operations is expected to be reached.

The blue ocean of consultancy

A trip to the land of pagodas rural life and then visit the huge Templar plain, then ahead to romantic Lake Inle. The journey starts in Yangon, the ancient capital of Myanmar, still known as Rangoon, located there where Rivers Bago and Yangon meet, and ends at the Phaung Daw Oo Pagoda, the main sanctuary of the area, which contains five gilded sacred images of Buddha.

A mechanical engineer with a passion for strategic marketing and project management in his DNA. A passion that has become his job and the starting point of an innovative consultancy scheme entirely focused on concern for people and their ability to control more or less complex circumstances. Sara Baroni, President of Oxigenio, an innovating company in the field of strategic consultancy has opened OfficinaStrategia in the Brescia area. This place has become a meeting point for consultants and contractors where strategies to re-examine one’s company and rediscover the essence of one’s own business can be worked out.

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English version

Bradipo Travel Designer offers a classic but circumstantial itinerary to discover the most Buddhist country in the world: starting from Yangon with its Shwedagon Pagoda, the most venerated Temple in Myanmar, then on to Monywa, a traditional Burmese city, via Mandalay and Sagaing. On the way to Bagan, you can discover interesting aspects of the local


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Secondo la quarta ricerca del Global CEO Study di IBM i manager italiani vogliono prima di tutto essere creativi ma meno del 50% delle aziende interpellate si sente adeguata alle nuove sfide del mercato. Come spiega Angelo Crippa, general manager di IBM Global Business Services Italia, la tecnologia può correre in aiuto, mettendo a disposizione le sue capacità analitiche e i suoi strumenti

rotta creatività

testi di Laura Di Teodoro

La della

Parola d’ordine creatività quale chiave di volta per superare la complessità di un sistema che è cambiato e per affrontare nuovi e rinnovati mercati e rotta da seguire per uscire dalla bufera economica in atto. Una creatività della cui importanza il mondo dei CEO e degli imprenditori è ben consapevole. Ma quanti, effettivamente, hanno gli strumenti giusti per metterla in atto? Secondo una ricerca condotta da IBM su più di 1.500 Chief Executive Officer di 60 paesi e 33 settori a livello mondiale, meno della metà dei 10

CEO globali ritiene che la propria azienda sia adeguatamente preparata a gestire un contesto di business altamente volatile e sempre più complesso. In base alle interviste realizzate mediante incontri diretti effettuati dall’IBM Institute for Business Value, i CEO credono che, per navigare con successo in un mondo sempre più complesso, più del rigore, della disciplina nella gestione, dell’integrità e addirittura della “visione” sia necessario possedere la creatività. I CEO si trovano di fronte a importanti cambiamenti


La creatività

– regolamenti governativi, mutamenti globali nei centri di potere economico, rapida trasformazione a livello industriale, volumi crescenti di dati, rapida evoluzione delle preferenze espresse dai clienti – che, secondo lo studio, possono essere superati instillando la “creatività” all’interno delle organizzazioni. “Per creatività - spie-

ga Angelo Crippa general manager di IBM Global Business Services Italia, la divisione che identifica i servizi di supporto decisionale e consulenziale, nonché di system integration, di Big Blue – si intende la capacità di trovare le giuste fonti per capire quanto vale la propria azienda, affidandosi soprattutto all’informatica. Solo in questo

modo è possibile riscoprire e ricollocare il proprio brand”. La principale causa dell’incertezza, secondo il 60% dei CEO, sarebbe da attribuire alla trasformazione industriale. Emerge inoltre la necessità di individuare modalità innovative per gestire la struttura di un’organizzazione, le finanze, le risorse e la strategia. 11


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Inoltre, lo Studio mette in evidenza una netta divergenza tra le priorità e i timori strategici dei CEO in Asia, Giappone, Europa e Nord America: è la prima volta in cui emergono variazioni regionali così evidenti in questa indagine biennale che coinvolge i leader del settore pubblico e privato. Secondo quanto dichiarato dai CEO intervistati, l’ambiente di business di oggi è vola-

te crisi che ha peggiorato la situazione”. La complessità, ad oggi, è caratterizzata da una serie di fattori: i CEO, ad esempio, sostengono che dovranno raddoppiare il fatturato da nuove fonti nei prossimi cinque anni; mentre il 76 % prevede il passaggio del potere economico ai mercati in rapido sviluppo. “Nella ricerca del 2004 era emersa come tematica predominante l’inno-

Questo studio è la quarta edizione della serie biennale Global CEO Study. Per comprendere meglio le sfide e gli obiettivi dei CEO di oggi, abbiamo incontrato personalmente il più grande campione conosciuto di questi dirigenti. Tra il settembre 2009 e il gennaio 2010, sono stati intervistati 1.541 CEO, general manager e alti funzionari del settore pubblico, che rappresentano organizzazioni di diverse dimensioni in 60 Paesi e 33 settori tile, incerto e sempre più complesso. 8 CEO su 10 si aspettano un significativo aumento della complessità del contesto in cui operano, ma solo il 49% ritiene che la propria organizzazione sia equipaggiata per gestirla con successo - la più grande sfida di leadership individuata in otto anni di ricerca. “Oggi il tema fondamentale è la complessità- prosegue Angelo Crippa -; diventa un punto da risolvere soprattutto di fronte a una molteplicità di fonti di informazioni e alla componen-

Giuseppe Delmestri, direttore della Scuola di management del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Bergamo

vazione – prosegue Crippa -; nel 2006 si parlava di gestione dei network; nel 2008 e nel 2010 la complessità è al centro di strategie e gestioni aziendali. Ci troviamo infatti ad affrontare tecnologie nuove, una comunicazione velocissima e numerose informazioni. Come uscire da questa ragnatela? Trovando le informazioni giuste per capire quanto vale la propria azienda utilizzando, per l’appunto, la creatività che tocca molto il settore dell’informatica quale elemento fondamentale. L’informati-

ca infatti non è più solo un supporto o un mezzo ma diventa uno strumento che può suggerire come fare business. Prendo come esempio una catena di distribuzione con cui abbiamo realizzato un progetto che permette di capire in tempo reale cosa i consumatori chiedono e agire immediatamente di conseguenza. Questo permette di migliorare il servizio al cliente e differenziarsi dalla concorrenza”. Innovazione e creatività diventano quindi sinonimi di maggiore efficienza. Lo conferma lo studio stesso secondo cui le organizzazioni che raggiungono le prestazioni più elevate hanno il 54% di probabilità in più delle altre di prendere decisioni rapide. I CEO hanno affermato di aver imparato a reagire rapidamente grazie a nuove idee in grado di indirizzare i profondi cambiamenti che interessano le proprie organizzazioni. E la chiave di volta, per il 95% delle organizzazioni, resta appunto la tecnologia e l’utilizzo di canali web, interattivi e i social media per ripensare al modo di coinvolgere e avvicinare clienti e cittadini. Rispetto alle aziende più tradizionali, le organizzazioni che hanno sviluppato un’eccellente abilità operativa prevedono di acquisire il 20% in più dei ricavi futuri da nuove fonti. Su cosa puntano i nostri amministratori delegati? La ricerca focalizza tre punti principali, ergo le tre leve su cui puntare, come spiega lo stesso Angelo

Investire nell’innovazione e nella diversità Creare aree di sperimentazione all’interno dell’organizzazione, investire in diversità, andare all’attacco sull’innovazione nelle relazioni di lavoro e verso una maggior stabilità e sicurezza soprattutto per i giovani. Il monito arriva da Giuseppe Delmestri direttore della Scuola di management del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Bergamo, che interviene sul dibattito in merito alla creatività in azienda. Partiamo con il capire prima di tutto cosa si intende per creatività nell’organizzazione aziendale e nel business?

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La creatività

Crippa: “Secondo il 65% dei nostri CEO la creatività resta il primo elemento di differenziazione contro una media del 60% del resto del mondo. Una percentuale che riteniamo essere molto positiva”. Secondo punto il cosiddetto “global thinking”: “Il pensare globale” è al secondo posto per l’Italia (53%), al terzo per il resto del mondo (35%). Al terzo posto invece troviamo la responsabilità sociale, ovvero sia la capacità del personale di dedicarsi all’azienda su cui l’Italia si è espressa con un 38%. Sul fronte estero al secondo posto troviamo invece il fattore dell’integrità (52%). Cosa ci ha sorpreso? La percentuale sul fronte della responsabilità sociale che vede l’Italia avanti con un 57% rispetto al 40% del mondo. Questo significa che i nostri imprenditori e i nostri manager sono consapevoli dell’importanza di avere un ruolo sociale nella propria azienda e quindi di avere una propria missione in quello che fanno”. Un capitolo a parte è stato dedicato al mondo dei giovani e degli studenti universitari, ergo la futura generazione di CEO. “Abbiamo intervistato 3mila studenti – spiega Crippa – con l’obiettivo di mettere a confronto le differenze di veduta tra i leader attuali e quelli del futuro. Cosa ne è emerso? Le nuove leve ritengono che una delle caratteristiche di leadership più rilevante sia la global affinity, quindi l’andare oltre i confini nazionali per conoscere e vivere culture diverse e vedono la complessità come un’opportunità. Diciamo che da loro è arrivato uno spiraglio di ottimismo”. Lo studio ha inoltre osservato

Non esiste una definizione unitaria di creatività negli studi di organizzazione e management. Creatività può riguardare i risultati, i processi o gli input. Chi si concentra sul risultato identifica le industrie creative e si concentra sui settori della cultura, del design o della moda. Da questi settori si possono derivare utili spunti su come organizzarsi in settori più tradizionali. Chi invece si concentra sugli input

Angelo Crippa, general manager di IBM Global Business Services Italia

che i punti di vista variano a seconda dell’area geografica - con divergenze di opinione rispetto a quali cambiamenti apportare, a quali nuove competenze serviranno e a come avere successo nel nuovo contesto economico. Queste variazioni regionali contribuiscono ad aumentare

cerca di comprendere come il reclutamento di collaboratori di provenienza culturale, etnica o professionale diversa possa contribuire ad aumentare la probabilità di ottenere risultati più innovativi. La diversità, se gestita bene, tende infatti a produrre condizioni che facilitano creatività e innovazione. Chi si concentra sui processi aziendali cerca invece di comprendere le forme e le pratiche organizzative che facili-

tano l’emergere della creatività e l’apprendimento continuo. In questo caso si vuole anche comprendere i blocchi alla creatività, o la cosiddetta failure to learn. Di fronte alle incertezze dei mercati e a un ciclo di vita ormai corto dei prodotti, come devono comportarsi manager e imprenditori? Su cosa puntare per affrontare il futuro con maggiori sicurezze? 13


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Investire in diversità e creare aree di sperimentazione all’interno dell’organizzazione! La creatività è figlia della diversità, e di una cultura organizzativa tollerante dell’errore e che incentiva il rischio. Una cultura di questo tipo ricorda più una comunità che non un mercato interno di persone l’una in competizione con l’altra. Inoltre innovazione si ha solo se l’organizzazione presenta risorse in eccesso, persone che hanno tempo di annoiarsi e quindi riflettere, persone che possano gestire in modo flessibile il proprio tempo di lavoro.

le complessità con cui i CEO devono confrontarsi. La Cina si è dimostrata essere la nazione con maggiore capacità di ripresa rispetto ai paesi sviluppati durante la recessione economica. Per questo i CEO in Cina sono comprensibilmente meno preoccupati della volatilità rispet-

La ricerca di IBM sottolinea quanto la creatività sia diventata una caratteristica di leadership fondamentale per competere nel futuro. Le nostre imprese e soprattutto le nuove generazioni sono consapevoli di questo valore aggiunto ormai indispensabile? Cosa manca al sistema Italia? E’ difficile fare un discorso generale. Molte nostre imprese sono ai primi posti nei settori creativi tradizionali e non tradizionali. Il rischio è quello di chiudersi in autocompiacimento, in posizioni etnocentriche riscontrabili in affermazioni del tipo: “I tedeschi sono più rigorosi, ma noi siamo più fantasiosi”. Non è vero, rigore e fantasia si trovano ovunque. Per questo le nuove generazioni, che dal mio osservatorio universitario riscontro essere molto ricche di motivazioni e spirito di avventura, dovrebbero ancora di più lanciarsi in esperienze all’estero, in Cina, in India, o anche nel Midwest statunitense, per citare solo alcune destinazioni, e con umiltà, riaffermare lo spirito pionieristico delle generazioni del dopoguerra.

secondo i CEO, la complessità

Quali caratteristiche deve avere l’organizzazione di un’azienda per dirsi vincente ed efficiente? Non esiste un’organizzazione adatta a tutti i contesti. L’organizzazione deve essere come un abito tagliato su misura. L’unica cosa da cui non si può prescindere è lo smantellamento di strutture feudali ancora presenti in molte aziende e l’investimento in equità e trasparenza. E puntare sulla learning organization, etichetta non più nuova, ma particolarmente attuale.

Ma se la Cina intenderà soddisfare le sue aspirazioni globali, avrà bisogno di una nuova generazione di leader dotati di creatività, visione ed esperienza di gestione internazionale. Molti dei CEO del paese lo riconoscono: il 61% ritiene che il “pensiero globale” sia una qualità di leadership prioritaria. La maggior parte delle aziende necessiterà inoltre di nuovi modelli e competenze di settore. Non potranno limitarsi a replicare i modelli utilizzati nel proprio mercato interno, che ha una struttura di costi completamente diversa. I CEO in Cina dedicano inoltre molte più energie a sviluppare nuove competenze e capacità rispetto ai loro colleghi occidentali.

Come si costruisce una vera leadership? Con l’autenticità. Non rischiando in copioni non scritti per sé, ma investendo nella crescita delle persone e dell’organizzazione. Come deve muoversi un’azienda per riuscire a gestire i cambiamenti e le nuove complessità? Come deve equipaggiarsi? Delega, empowerment e una cultura del rischio. E non considerare la gestione del personale solo come una pratica amministrativa. Andare all’attacco sull’innovazione nelle relazioni di lavoro, verso una maggiore stabilità e sicurezza, soprattutto per i giovani, ma, senza cadere in un velleitario giovanilismo, anche valorizzando le generazioni “anziane”.

www.unibg.it

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Dallo studio emerge che, di un mondo interconnesso è esacerbata da una serie di fattori. I CEO, ad esempio, sostengono che dovranno raddoppiare il fatturato da nuove fonti nei prossimi cinque anni; mentre il 76 % prevede il passaggio del potere economico ai mercati in rapido sviluppo to ai CEO di altre regioni. In realtà, stanno acquisendo sempre più fiducia nel proprio posto nello scenario mondiale.

Nell’America settentrionale, che si è scontrata con una crisi finanziaria che ha portato i governi a diventare i principali stakeholder nell’impresa privata, i CEO sono più diffidenti verso il “big government” dei CEO di altre regioni. Un buon 87% prevede un maggiore intervento e una maggiore regolamentazione statale nei prossimi cinque anni, il che aggrava il senso di incertezza. In Giappone, il 74% dei CEO prevede che lo spostamento della potenza economica dai mer-


La creatività

www.amplifon.com

Case history: Amplifon

Franco Moscetti, Ceo di Amplifon

cati maturi ai mercati in rapido sviluppo avrà un impatto sostanziale sulla loro organizzazione. Viceversa, l’Unione Europea è meno preoccupata di questo cambiamento: qui infatti solo il 43% di CEO prevede un impatto. Ma chi “gestisce” la creatività in

bia compiti di pianificazione. “Sarebbe auspicabile un’apertura delle imprese verso realtà che lavorano sull’innovazione, quali IBM ad esempio, in grado di fornire i giusti strumenti creati ad hoc per loro. Non dimentichiamoci che nei laboratori di ricer-

Nel corso degli ultimi quattro studi, l’importanza dell’atteso impatto della tecnologia sulle organizzazioni è salito dal 6° al 2° posto, contribuendo allo sviluppo di un mondo multiforme e massicciamente interconnesso azienda? Mancando il ruolo di un possibile “creative manager” Angelo Crippa chiama in causa la necessità di un aggiornamento continuo per l’amministratore delegato e il top manager e chiunque ab-

ca di IBM lavorano ben sei premi Nobel; ci sono eccellenze che possono e devono essere usate. Per il futuro andremo verso un’estrema competitività su questi temi con l’obiettivo di creare nuo-

Come reagire alla complessità del mercato? Utilizzando l’innovazione e rispondendo tempestivamente ai nuovi bisogni del mercato. Parola di Franco Moscetti, Ceo di Amplifon, società italiana multinazionale con sede a Milano, leader mondiale nella distribuzione di sistemi uditivi (apparecchi acustici) e nel loro adattamento e personalizzazione alle esigenze dei pazienti ipoacusici. Secondo lo stesso Moscetti la complessità è data da tre aspetti: in primis la volatilità per poi passare al fattore “people intensive” e alla necessità di adeguarsi alle richieste di paesi e mercati diversi. “In passato – spiega il Ceo di Amplifon – si facevano piani quinquennali o triennali. Oggi è tutto più volatile: la domanda non è mai costante, i consumi sono soggetti alla crisi, alla pubblicità e ad una serie di dinamiche che vanno comprese e gestite. Sul fronte del people intensive, si lavora con tante persone quindi il successo è prima di tutto legato alla necessità di trovare un giusto e premiante sistema di fidelizzazione della clientela. Il terzo livello è dato dal doversi adeguare a Paesi, mercati e abitudini differenti”. In linea con quanto emerso dalla ricerca di IBM, anche per Moscetti la creatività resta la strategia migliore a cui affidarsi. “Bisogna essere creativi nel senso di essere innovativi e intraprendere i bisogni emergenti organizzandosi in maniera adeguata e facendo il possibile per essere competitivi e seguire soprattutto le innovazioni tecnologiche”. Amplifon oggi è il leader mondiale nella commercializzazione ed applicazione personalizzata degli apparecchi acustici con una quota di mercato dell’8% e una presenza consolidata in 14 paesi; nel 2008 Amplifon ha venduto più di 560.000 apparecchi acustici con un ricavo consolidato di 641 milioni di euro. L’adeguamento ai tempi e ai mercati è passato prima di tutto dalla tecnologia. “Nel corso degli anni siamo passati dalle protesi preistoriche e analogiche a quelle digitali con una micronizzazione dei componenti per arrivare a una quasi invisibilità delle protesi stesse – spiega Franco Moscetti -. Abbiamo inoltre rinnovato l’aspetto delle abitudini di acquisto cambiando la localizzazione dei negozi che sono stati spostati dai secondi piani dei palazzi, come fossero studi medici, ai piani terra, sul fronte strada. Sono stati resi più attraenti lanciando come messaggio quello di una migliore qualità di vita”. Nella gestione della complessità e quindi nella promozione di quella creatività da applicare alla gestione aziendale un ruolo centrale è giocato, appunto, dalla figura dei Ceo: “Le aziende nel bene o nel male sono come una squadra di calcio: hanno dei giocatori, un allenatore che può cambiare nel tempo e un amministratore delegato che deve sempre essere credibile, coerente e convincente. Deve sapersi esporre in prima persona su questi problemi. Deve essere insomma il primo creativo dell’azienda, sapendo valorizzare le risorse che ha a disposizione. Per quanto mi riguarda, da sempre, lavoro molto sulle risorse umane: chi opera con me non deve assolutamente essere uno yes man ma deve confrontarsi ed essere un grande professionista”.

vi modelli di business, mai visti prima”. Nuovi mercati, nuovi attori e nuovi modelli di business quindi, il tutto legato dal fattore creatività quale strumento per vincere le nuove sfide. | Dopo la pioggia il sole splende più bello. Dopo un incendio, il bosco ancora fresco verdeggia dagli anneriti avanzi. Così il nuovo è più splendente quando risalta dalla gran miseria dell’antico. Anonimo www.ibm.it

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Business&Gentlemen

L’

importanza di fare agosto - settembre 2010

Nei prossimi tre anni, due Pmi lombarde su tre investiranno nell’export, direttamente dalle rispettive sedi; solo il 26% punterà ai mercati esteri aprendo filiali o creando joint-venture. Il risultato più evidente del recente studio commissionato da Confindustria Lombardia e condotto su un ‘campione’ di 980 realtà, fra micro, piccole e medie imprese regionali, è che anche nel mondo imprenditoriale è assai diffuso il “preferisco fare da me”. Atteggiamento che, nel bene e nel male, ha segnato l’ultimo mezzo secolo di storia italiana. Fotografabile nel dato certificato da Vincenzo Boccia, presidente della Piccola Industria di Confindustria: “Il 97% delle imprese iscritte alla nostra associazione è costituito da realtà di piccole e medie dimensioni”. Ma perché il sistema imprenditoriale lombardo ha preferito percorrere, finora, questa strada all’insegna di uno sfrenato individualismo? Perché – risponde lo studio che aggiorna un’ampia ricerca sull’internazionalizzazione delle imprese 16

lombarde pubblicata a novembre 2009 - i processi di scambio con i Paesi stranieri, specie quelli emergenti, porta alle aziende diversi benefici in termini di fatturato complessivo, di redditività aziendale, di qualificazione del personale interno, della struttura manageriale e, soprattutto, di competitività complessiva. Nonostante le oggettive difficoltà che l’approcciare un mercato estero, per lo più extra euro-zona, comporti, le imprese lombarde paiono preferire la strategia del muoversi in ordine sparso. E ciò anche se più di un imprenditore sia consapevole del fatto che per realizzare nuovi programmi di crescita oltre che per porsi obiettivi più ambiziosi anche a livello internazionale, sarebbe necessario conseguire una dimensione aziendale decisamente più robusta. Dopo queste premesse, parrebbe tutt’altro che scontato che tra le Pmi lombarde possa attecchire, in tempi relativamente stretti, il nuovo “corso” dettato da Confindustria. Come noto, infatti, da alcuni mesi i vertici della Piccola industria sono im-


Piccole e medie imprese

rete Secondo uno studio commissionato da Confi ndustria Lombardia, due Pmi lombarde su tre investiranno nell’export dalle rispettive sedi, senza aprire fi liali. Dall’associazione industriale arriva il monito a fare rete per non restare isolati testi di Fabrizio Calvo

pegnati nell’organizzazione di convegni e seminari nelle sedi delle Territoriali, finalizzati a sensibilizzare gli aspetti vantaggiosi del “fare rete”, creando aggregazioni, consorzi e costruendo filiere tematiche. Per non restare isolati pur mantenendo la propria identità – questa la linea confindustriale – è infatti necessario essere disponibili a valorizzare reciproche competenze e a fissare comuni obiettivi. “Far filiera”, dunque, per cogliere nuove opportunità altrimenti lontane, cercando nuova attenzione da parte delle

istituzioni, del mondo finanziario e di partner industriali nei Paesi emergenti. Anche la sede di Confindustria Monza e Brianza è stata protagonista, lo scorso giugno, di uno di questi appuntamenti, centrato sul tema “Filiere d’imprese e loro potenzialità. Condividere progetti vincenti nei mercati internazionali”. Senza dubbio, il lavoro da fare per iniziare ad invertire una tendenza consolidatasi nel tempo si presenta titanico, a dir poco. Tuttavia, i numerosi relatori intervenuti in quella

Limitare le individualità per condividere idee e decisioni “Siamo piccoli, non nani. La crescita, cioè, non ci è preclusa. E l’aggregazione tra imprese è uno degli strumenti praticabili, che può inoltre favorire lo sviluppo del business”. Vincenzo Boccia, dallo scorso novembre alla guida della Piccola Industria di Confindustria, è profondamente convinto di questa idea. Tanto da averne fatto la sua mission presidenziale. E ogni volta che è ospite delle territoriali confindustriali, non si lascia sfuggire l’occasione per ribadire che “fare rete è l’unica via per affrontare le nuove sfide dei mercati internazionali”, che “fare rete rappresenta un innovativo oltre che razionale strumento per riuscire a fronteggiare la recessione”, che “l’aggregazione consente di abbassare i costi sfruttando le economie di scala, di migliorare la situazione economica e patrimoniale e di ridurre i rischi”, che “fare squadra significa anche implementare più facilmente le quote di mercato, attenuare la pressione da parte dei competitor favorendo al tempo stesso il trasferimento immediato di know-how”. Concetti che ha esposto anche in occasione del seminario di Monza. “Per attuare aggregazioni – ha puntualizzato Boccia - è però necessario evolvere la cultura imprenditoriale: occorre ripensare il modo di far impresa, orientarsi e condividere idee e decisioni, limitare le individualità. Sia che si affrontino nuovi progetti sia che si punti a nuove produzioni o a nuovi mercati, l’aggregazione di successo passa per una struttura patrimoniale adeguata”. Una questione delicata. Che, nonostante venga affrontata periodicamente, ad oggi non ha ancora portato all’individuazione di soluzioni. Forse, la vulnerabilità del nostro sistema industriale alla contrazione e all’irrigidimento del credito, evidenziata dalla crisi, potrebbe rappresentare un’opportunità per affrontare e risolvere un argomento che vede le Pmi fortemente penalizzate. “Da sempre – spiega Boccia - il debito rappresenta la colonna portante della gestione e della crescita delle attività d’impresa, a dispetto di una più corretta ed equilibrata composizione del passivo patrimoniale”. Ecco perché uno degli

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imperativi di quest’epoca è: patrimonializzare. Già, ma come? “In primo luogo – risponde il presidente della Piccola Industria di Confindustria - va chiarito che lo stereotipo largamente diffuso nella mentalità comune secondo cui l’imprenditore, in proprio, disporrebbe di capitali da investire nell’impresa, non sempre trova conferma nella realtà. La distinzione tra patrimonio aziendale e patrimonio famigliare è, il più delle volte, solamente formale in quanto il secondo è sovente chiamato a garantire il primo”. “Tuttavia – prosegue Boccia - è evidente che nello sviluppo dell’impresa un patrimonio a garanzia, cioè quello famigliare, non può svolgere lo stesso ruolo di un patrimonio aziendale. Crescere a debito, è un esercizio molto rischioso, difficile e limitante rispetto a una crescita realizzata col giusto mix di dotazione finanziaria”. Probabilmente una delle ragioni che ha determinato il ‘nani-

“Le reti consentono di superare il limite delle dimensioni, permettono di fidelizzare i clienti, aiutano a soddisfare bisogni più complessi di molti di loro. Per imboccare questa via, è indispensabile imparare a lavorare insieme avendo un obiettivo comune”

smo’ dimensionale di numerosissime eccellenze industriali italiane è stato determinato da un ricorso eccessivo all’indebitamento. Al momento, ad eccezione del Fondo Italiano di investimento per le Pmi di recente costituzione, non paiono esserci altre alternative. “In realtà – evidenzia Boccia - i capitali per patrimonializzare le Pmi si potrebbero reperire sul mercato azionario, in cui le buone idee possono incontrare i giusti finanziamenti. Il perseguimento di tale strada da parte delle Pmi consentirebbe loro il rafforzamento del sistema industriale, la crescita dimensionale, l’acquisizione di una culturale manageriale nonché la valorizzazione di tutti gli asset immateriali ora inespressi”. Fermamente convinto che la strada del rafforzamento patrimoniale delle singole imprese rappresenti il giusto viatico per costruzioni di filiere d’impresa vincenti sui mercati internazionali, il presidente Boccia e i suoi

sede hanno espresso in termini inequivocabili che quella dell’aggregazione è la strada giusta da percorrere. In una prospettiva di medio-lungo periodo e col chiaro intento di puntare su alcuni mercati extra euro-zona: Paesi Bric, Stati Uniti, Corea, Mediterraneo e Balcani. Ma quali sono i vantaggi più evidenti del “fare sistema” tra Pmi? “Le reti- spiega Renato Cerioli, presidente di Confindustria Monza e Brianza – consentono di superare il limite delle dimensioni, permettono di fidelizzare i clienti, aiutano a soddisfare bisogni più complessi di molti di loro”. Per imboccare questa

via, è indispensabile imparare a lavorare insieme avendo un obiettivo comune. “Credo - sottolinea Emilio Paccioretti, direttore scientifico del Master management della Piccola e media impresa della Liuc - sia importante trovare un accordo tra gruppi di Pmi che solo unendosi e avendo fiducia l’una nelle altre potrebbero riuscire a operare in progetti di grandi dimensioni, magari permettendosi un manager capace di strutturare ottime politiche di marketing strategico. Le Pmi devono cominciare a vivere in intensità, pensando a cosa succederà tra vent’anni e non smettendo mai di

Per l’Europa occidentale una crescita del 3% entro il 2014 La storia recente insegna che, da una crisi economica come quella vissuta tra il 2008 e il 2009, ci si deve aspettare, essenzialmente quattro cose: aumento della disoccupazione, diminuzione del prezzo delle abitazioni per 5-6 anni, riduzione del Pil pro capite per un periodo di circa due anni e, infine, crescita rilevante del debito pubblico. Ma se, fino all’altro ieri, gli effetti delle difficoltà si erano ripercossi, per lo 18


Piccole e medie imprese

vice hanno recentemente deciso di avviare un confronto con Borsa Italiana, finalizzato ad avviare un percorso che “consenta rapidamente alle Pmi di accedere in modo semplice alle enormi opportunità che un mercato azionario moderno può offrire”. Probabilmente ci vorrà tempo prima che si possano raccogliere i frutti sperati. Tuttavia Boccia appare fiducioso: “Credo sia nostro dovere non solo trovare le medicine necessarie a curare nell’immediato il problema del credito, ma anche cercare di riformare in modo strutturale il come fare impresa. Soprattutto perché i problemi di oggi non si ripropongano domani”.

fare cose nuove. E se è necessario dovremmo rompere in qualche caso le regole”. Già, la reciproca fiducia. Perché questo non restasse un concetto astratto, Ambra Redaelli, presidente Piccola Industria Monza e Brianza ha chiesto a Gianluigi Viscardi, omologo di Bergamo, di testimoniare la sua esperienza alla guida di Intellimech, il consorzio per la ricerca pre-competitiva in ambito meccatronico (settore interdisciplinare tra meccanica, elettronica e informatica industriale). Decollato a fine 2006 e recentemente trasferitosi al Centro delle Professioni del Kilometro Rosso, Intellimech ha finora coagulato attorno a sé 27 realtà industriali del Nord, alcune delle quali concorrenti fra loro. Risultati? Di due progetti (uno sulla Prognostica di macchine e impianti industriali e l’altro su Vibrazioni e rumore) sono state presentate ai soci le soluzioni tecniche; un terzo (Sistemi

di controllo oleodinamici di nuova generazione) si concluderà a fine anno mentre un quarto è in fase di avvio. Ma questo non è l’unico esempio di best practise. A fine giugno, Confindustria Monza e Como hanno presentato un piano relativo al bando di Aggregazione dei progetti integrati di internazionalizzazione in Russia, finanziato dalla Lombardia. Una decina le imprese, delle due province, dei settori arredamento e illuminazione coinvolte. “L’obiettivo - spiega Ambra

Credo sia importante trovare un accordo tra gruppi di Pmi che solo unendosi e avendo fiducia l’una nelle altre potrebbero riuscire a operare in progetti di grandi dimensioni

più, sui Paesi emergenti e su quelli in via di sviluppo, la vera novità dell’ultima crisi è che, stavolta, lo scotto maggiore è stato pagato dai cosiddetti Paesi avanzati. I quali, stando alle indicazioni elaborate dal World Economic Outlook (e pubblicate a fine 2009), dovranno inoltre mettere in preventivo periodi di ripresa assai più lunghi rispetto al passato. Ma qual è lo scenario che studiosi e addetti ai lavori prefigurano? I Paesi che, da qui al 2014, si immagina possano crescere del 10% o più, sono quelli della parte centromeridionale del pianeta. Nonostante le brillanti performance messe a segno negli ultimi anni, Cina e India sono viste ancora in decisa progressione; a ruota ci sarebbero alcune repubbliche meridionali dell’ex impero russo oltre all’Iraq. Nel continente africano, Egitto, Libia e Tunisia sarebbero destinati a mettere a segno aumenti del Pil a due cifre; nella fascia sub-sahariana, analoghe prospettive paiono esserci per Zaire, Tanzania, Angola, Zimbabwe e Mozambico. Di una crescita più contenuta, stimata fra il 3 e il 6%, dovrebbero rendersi prota-

gonisti la stragrande maggior parte dei Paesi latino-americani e quelli della regione balcanica. Per Usa e Canada oltre che per l’intera Europa occidentale la crescita dell’indice della ricchezza è stimato fra lo 0 e il 3%. Nell’illustrare la verosimile cornice in cui anche le imprese lombarde si troveranno ad operare, Lucia Tajoli, docente di Economia internazionale al Politecnico di Milano, ha voluto innanzitutto mettere in guardia le Pmi di casa nostra – e in particolare quelle insediate nelle province di Monza-Brianza, Bergamo e 19


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Brescia - che tendenzialmente prediligono esportare nell’area dell’euro-zona. “Una scelta per lo più legata ai molti ostacoli incontrati nelle esportazioni” ha spiegato la professoressa nel corso del seminario organizzato da Confindustria Monza e Brianza lo scorso giugno. I principali freni? “Carenza di informazioni, rischi misti all’incertezza, costi troppo alti per le maggiori richieste di finanziamento e un contestuale minor accesso al credito” Ma continuare a lavorare su mercati destinati a registrare irrisori livelli di crescita, potrebbe rivelarsi deleterio. Per comprendere meglio la situazione, bastano pochi dati: “Nel biennio 2008-2009, il trend delle esportazioni italiane ha viaggiato tra gli 80mila e i 100mila milioni di euro. Il picco si è toccato nel secondo trimestre 2008 (+ 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), mentre il punto più basso è stato registrato nel primo trimestre 2009 (- 25%)”. Nel dettaglio: le esportazioni verso la Ue hanno oscillato fra i 40 e i 60mila milioni (massimo nel secondo trimestre 2008, minimo nel primo trimestre 2009); quelle verso altri Paesi tra i 30mila e i 40mila milioni (picco nel quarto trimestre 2008 e punto più basso nel primo trimestre 2009). Secondo elemento di rif lessione: “Anche in Italia – ha puntualizzato la docente del Politecnico – le protagoniste di quasi la metà (43,6%) dell’export sono imprese con oltre 250 addetti. Le aziende di medie dimensioni si sono ritagliate una fetta pari al 28,1%, mentre le piccole e le micro incidono per il 27,7%”. Tutte queste informazioni – ha suggerito Tajoli – dovrebbe incentivare i titolari di Pmi a rivolgere le proprie attenzioni là dove si prospettano le migliori potenzialità di crescita. Non più ognuno per conto proprio, per le ragioni già evidenziate, ma piuttosto in raggruppamenti quanto più coordinati. Meglio ancora se dotati sia di analisi di mercato sia di partner bancari di spessore internazionale. E a tal proposito, la docente di Economia internazionale ha ricordato che “il 53% del campione intervistato (per lo studio-aggiornamento commissionato da Confindustria Lombardia ndr) dice che avere una banca su cui contare nel processo di internazionalizzazione è importante, mentre il 25% lo ritiene determinante”. Di contro, considerazioni speculari vengono fatte dai potenziali clienti esteri di società italiane. In questo momento, per esempio, negli Emirati Arabi Uniti ci sono in gioco corposi investimenti in infrastrutture, soprattutto ad Abu Dhabi e nelle zone limitrofe all’aeroporto della capitale. Ma ad eccezione di pochissime multinazionali di casa nostra, il made in Italy è poco presente nell’area del Golfo dove comunque i prodotti tricolori sono estremamente apprezzati. Forse, con un minimo gioco di squadra in più…

Redaelli – è stato quello di mettere insieme aziende tra loro complementari, per presentarsi sul mercato russo e offrire chiavi in mano i prodotti made in Italy con azioni mirate sulle più importanti città russe, tra cui Sochi che nel 2014 ospiterà i giochi olimpici invernali. Si tratta di aree in forte sviluppo dove ci sono gare per la fornitura di mobili”. Un altro progetto del genere, con capofila Confindustria di Monza e Brianza, riguarderà la filiera oil&gas. Come dire: dare il buon

“Dobbiamo muoverci seguendo rotte geografiche e mentali diverse. E’ vero che i mercati maggiormente in crescita sono quelli asiatici. Ma per conquistarli bisogna capire che non ci possiamo limitare al puro export, ma che dobbiamo muoversi con atteggiamenti più aperti e innovativi rispetto al passato” esempio, spesso si rivela essere il miglior viatico. E un ulteriore colpo di frusta in questa direzione l’ha dato il presidente della Piccola Industria di Confindustria, Vincenzo Boccia: “Dobbiamo muoverci seguendo rotte geografiche e mentali diverse. E’ vero che i mercati maggiormente in crescita sono quelli asiatici. Ma per conquistarli bisogna capire che non ci possiamo limitare al puro export, ma che dobbiamo muoverci con atteggiamenti più aperti e innovativi rispetto al passato”. E che anche le banche saranno della partita lo ha confermato Luca Manzoni di Unicredit Corporate banking, che ha aggiunto come “la rete o le fusioni possano essere una risorsa se si cambia la cultura di fare impresa”. | Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso e lavorare insieme un successo. Henry Ford

www.aimb.it

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Raccortubi, collegamento diretto con

innovazione e qualità del servizio L’azienda milanese, fondata nel 1949, è leader in Europa nel settore del piping. Da sempre punta su automazione dei processi, disponibilità immediata dei prodotti e investimento continuo nell’innovazione a cura della redazione

Luca Pentericci, Managing Director di Raccortubi S.p.A

Tempi rapidi di consegna, investimenti continui nell’innovazione dei processi di produzione, automatizzazione dei procedimenti e qualità dei prodotti. Sono questi gli strumenti messi in campo dall’azienda milanese Raccortubi S.p.A, una delle più importanti realtà europee nell’ambito della produzione, stoccaggio e fornitura di materiali “piping” (sistemi di tubazioni) destinati a una vasta gamma di applicazioni industriali: dagli impianti chimici, petrolchimici e petroliferi alle centrali per la generazione e trasformazione di energia, dalla cantieristica navale alle piattaforme offshore. L’azienda lombarda esiste da 60 anni ed è cresciuta in questi anni nel segno dell’innovazione, sotto la guida della famiglia Pentericci, come racconta l’attuale Managing Director, Luca Pentericci. “I nostri punti di forza - spiega - sono diversi: la disponibilità immediata dei prodotti a magazzino e procedure operative sempre più efficienti ed efficaci”. Non solo, perchè in un anno critico come il 2009 l’azienda ha stanziato un milione di euro per il settore ricerca e sviluppo. “Nell’ultimo periodo abbiamo attuato una serie di investimenti sul fronte della produzione, ottimizzando così le attività relative alle macchine e portando tecnologie altamente efficienti per essere ancora più concorrenziali. Investimenti diretti e mirati infatti sono determinanti nel raggiungimento de22

gli obiettivi”. Si è puntato soprattutto sull’automatizzazione dei processi con l’obiettivo di ridurre i costi e i tempi di produzione, aumentando la capacità industriale. “Oggi - continua - possiamo contare su procedimenti automatici a tutti i livelli, dalla gestione del magazzino fino ad arrivare alla certificazione dei prodotti, con una riduzione notevole dei margini di errore”. L’azienda ha inoltre investito su nuove macchine per la lavorazione meccanica e quella relativa al collaudo con lo sviluppo di un’innovativa isola robotizzata, unica tra i produttori di raccordi in Italia. “Allo stesso modo - prosegue Luca Pentericci - è stata installata un’isola robotizzata in fase di collaudo per effettuare automaticamente, ed in sequenza, la marcatura e la verifica dei gradi di acciaio su ogni pezzo e, a fronte di prodotti perfettamente corrispondenti alle caratteristiche ideali, deposita il pezzo nell’imballo definitivo”. Nella nuova sede di Marcallo con Casone, nel milanese, su un’area di oltre 25mila metri quadrati, ben 10mila sono riservati al magazzino di stoccaggio. “Abbiamo cercato una sede che permettesse un maggior stoccaggio dei materiale e una organizzazione della logistica più efficiente ed efficace. La nostra area logistica, tra le più ampie nel settore a livello italiano ed europeo, ha così rad-


Azienda di successo

L’azienda conta un organico complessivo di 130 persone e un fatturato di circa 85 milioni, piÚ i 18 milioni di Tecninox, azienda produttrice di raccordi a saldare di testa in acciaio inossidabile e leghe speciali costituita da Raccortubi nel 1988 23


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Azienda Costituito nel 1949 a Milano, il Gruppo Raccortubi inizia a operare come stocchista e distributore di tubi e raccordi nei diversi gradi di acciaio per le aziende di impiantistica che prendono piede in Italia proprio a partire dal secondo dopoguerra. Dalla metà degli anni ’50 fa il suo ingresso in azienda il rag. Piergiorgio Pentericci che, in breve tempo, assume ruoli sempre più importanti all’interno della struttura aziendale fino ad acquisirne la proprietà. Si può dire che Raccortubi, guidata tuttora dalla famiglia Pentericci, sia cresciuta di pari passo con la modernizzazione dell’apparato industriale ed energetico nazionale, costruendo un’immagine di affidabilità assoluta apprezzata anche all’estero in

virtù della sempre maggiore disponibilità in stock di componenti piping di ogni diametro, spessore e materiale, nonché di una riconosciuta competenza tecnica e commerciale. Raccortubi, inoltre, si è affermata grazie alla scelta di proporre esclusivamente materiali di provata qualità, in linea con i più rigorosi standard internazionali in materia di performance e di sicurezza, e alla capacità di rispettare i tempi di consegna venendo incontro nel dettaglio alle specifiche richieste dal cliente. Nel 1988, per soddisfare l’esigenza di una maggior autonomia rispetto ai fornitori e alle oscillazioni del mercato, Raccortubi costituisce la Tecninox a Sarmato (PC), azienda produttrice di raccordi a saldare di testa in acciaio

doppiato la capacità di stoccaggio per i raccordi e quadruplicato quella per i tubi rispetto alla sede precedente”. Dati alla mano, oggi ammontano a oltre 5mila gli articoli disponibili in pronta consegna tra tubi e raccordi. “Grazie a questa organizzazione riusciamo a consegnare il materiale al cliente in tempi compresi tra i due-tre giorni e nei casi di emergenza anche in giornata - prosegue il Managing Director. Di fronte a una situazione di crisi stiamo utilizzando le armi della qualità di prodotto, del continuo miglioramento e ci avvaliamo di questa disponibilità immediata dei prodotti che diventa garanzia di presenza sul mercato. Inoltre cerchiamo di essere flessibili di fronte alla richiesta del cliente”. Sul fronte dell’export i numeri fanno ben sperare: “Abbiamo una crescita attorno al 25-30% perchè all’estero i nostri prodotti sono maggiormente richiesti. Per quanto riguarda l’Italia continuiamo ad essere radicati sul mercato”. 24

inossidabile e leghe speciali. La Tecninox, che già al momento della costituzione da parte della famiglia Pentericci disponeva di una tecnologia all’avanguardia che in ambito europeo era ancora agli albori, inizia un percorso di sviluppo parallelo a quello della Raccortubi. Dalla fine degli anni ’80 il Gruppo Raccortubi conosce uno sviluppo straordinario con fatturati in costante crescita guadagnandosi il ruolo di top player del settore nel mercato continentale e conquistando la fiducia da parte dei clienti più importanti, ovvero delle maggiori Compagnie di Ingegneria italiane ed europee e di attori multinazionali come Eni, Saras, Fincantieri, Ansaldo Caldaie, Nuovo Pignone, Saipem e Tecnimont.

Nonostante la solidità del sistema azienda, i venti di crisi legati a un mercato che sta attraversando una fase non positiva, si sono fatti sentire anche per la Raccortubi: “Purtroppo operiamo in un settore che lavora bene solo quando il mercato è apposto - conclude Luca Pentericci -. Nel 2008 abbiamo preso molti ordini e quindi il portafoglio per il 2009 era ricco. Nel 2009 invece la crisi non ci ha aiutato e sentiamo ora le conseguenze ma siamo ottimisti e la speranza è di uscire presto da questa situazione grazie alla nostra carica di innovazione”. |

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agosto - settembre 2010

Giannini,

il design che fa

la

differenza L’azienda bresciana, specializzata in prodotti di alto design per la tavola, la cucina e l’arredo, è arrivata alla terza generazione. Di fronte ai colpi della crisi la risposta è nella “despecializzazione” e diversificazione di prodotti di Laura Di Teodoro Nicola Giannini, terza generazione della famiglia alla guida dell’impresa

Partiti da un prodotto di punta sono arrivati a coprire, letteralmente, il mondo della tavola, della cucina e dei complementi d’arredo attraverso la scelta, vincente, di diversificarsi sul mercato portando alta la bandiera delle idee e delle innovazioni “Made in Brescia”. Stiamo parlando dell’azienda Carlo Giannini di Cellatica, nel bresciano, che di fronte alla crisi non si è fermata anzi: ha rinnovato interamente i suoi cataloghi e annuncia ulteriori novità per i prossimi mesi. La storia dell’azienda è iniziata nel lontano 1951. In questi sessant’anni, come racconta Nicola Giannini, terza generazione della famiglia alla guida dell’impresa, ha costruito il proprio successo tenendosi ancorata “alle idee e al lavoro per svilupparle” e a quella realtà bresciana che rappresenta “non solo un polo produttivo di oggetti, ma soprattutto di idee e Giannini rispecchia tutto questo”. La leva che ha permesso all’azienda di decollare e rimanere in quota in quasi sessant’anni di storia è la “despecializzazione”. “Le aziende che si sono specializzate in un mono prodotto sono ormai quasi scomparse dal mercato del dettaglio – spiega 26


Storia diTestatina successo

Nicola Giannini -. Giannini ha saputo diversificare i propri progetti coprendo il mondo della tavola, della cucina e dei complementi d’arredo”. La Carlo Giannini spa è diretta e controllata fin dalle origini dalla famiglia Giannini. “La seconda e terza generazione è ben distribuita nei vari comparti aziendali - amministrazione, marketing, commerciale e ricerca -. Viceversa la direzione commerciale è affidata ad un elemento esterno alla famiglia per contribuire in modo incisivo con idee e impulsi nuovi”. Il simbolo storico dell’azienda è racchiuso nella Giannina, la caffettiera “nata” nel 1968 e oggi diventata un’icona.

Il suo design ha percorso i decenni accompagnato dal manico a rotazione che ha sempre garantito un utilizzo agile nell’apertura e chiusura della caffettiera. Per proseguire la sua avventura al passo con i tempi, lo scorso anno Giannini ha intrapreso un restyling affidando la Giannina al designer di origine iraniane Khodi Feiz. Una collaborazione che successivamente ha apportato novità anche su altri oggetti e prodotti. Il design dell’azienda, come spiega Giannini, è “al servizio della funzionalità”: “Da sempre il nostro obiettivo è quello di progettare e realizzare oggetti dove estetica e funzionalità si

amalgamano tra loro. Il valore estetico fine e se stesso non fa parte della nostra tradizione. La praticità è fondamentale, spesso, infatti, il mercato presenta oggetti molto belli che però non coincidono con le esigenze pratiche del consumatore”. L’azienda sta puntando sul complemento per la tavola (piatti, bicchieri e posateria) e per la cucina (pentole e mesto27


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agosto - settembre 2010

L’AZIENDA Carlo Giannini inizia la sua attività produttiva nel 1951 con l’impronta razionale e pragmatica tipica dell’imprenditoria bresciana, dando vita ad una generazione di casalinghi in acciaio, nei quali risalta l’importanza della funzione, in equilibrio con un’estetica lineare e pulita. L’azienda, con sede a Cellatica, nel bresciano, ha nella caffettiera Giannina il suo prodotto storico. Dal 2009, Giannina esce in una versione ridisegnata nei particolari meccanici da Khodi Feiz, designer di fama internazionale. La ricerca sul prodotto di Giannini non si ferma mai e presenta come novità 2010 una nuova collezione tavola e cucina decisamente all’avanguardia: Mix Collection! La seconda generazione ha confermato e rinnovato il successo

nel tempo, grazie a un’attenta ricerca di mercato e ad uno studio continuo dell’evoluzione del gusto e delle esigenze del consumatore, mantenendo come elemento costante la necessità di creare prodotti per la casa pratici ed efficienti, ricchi di originalità e stile. La terza generazione, inserita con successo nel tessuto aziendale, pone basi solide per il futuro, continuando il processo di crescita e di ricerca dal punto di vista del prodotto, del design, della distribuzione e del marketing. Giannini persegue con tenacia e fedeltà l’obiettivo di un prodotto nuovo nelle forme e nel progetto, creato da designer geniali e tecnici esperti che lavorano insieme per realizzare oggetti che sottolineano il valore dei nostri gesti quotidiani.

La storia dell’azienda è iniziata nel lontano 1951 e oggi è controllata direttamente dalla seconda e terza generazione Giannini. La leva che ha permesso all’azienda di decollare e rimanere in quota in quasi sessant’anni di storia è la “despecializzazione”

lame). “Sempre più cerchiamo di dare al nostro cliente un prodotto funzionale, specifico nell’utilizzo (accessori cucina) e quotidiano – prosegue Nicola Giannini. Nonostante la crisi stiamo tenendo le nostre posizioni, non abbiamo previsto crescite”. Nell’agenda futura dell’azienda ci sono progetti già segnati, all’insegna dell’ecosostenibilità, come la nuova collezione Ecoceramicook che verrà presentata il prossimo autunno. Si tratta di un nuovo sistema di cottura ecocompatibile, a impatto zero sull’ambiente. “Sicuramente non siamo un’azienda statica – conclude Giannini. Negli ultimi 5 anni abbiamo rinnovato completamente il nostro assortimento, che comprende ben 3 diversi cataloghi, e nei prossimi mesi non ci fermeremo”. |

Forse credere nel buon design è come credere in Dio, ti rende ottimista. Sir Terence Conrad

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agosto - settembre 2010

Claind

“generatrice” di innovazione L’azienda di Lenno, nel Comasco, ha sfidato la crisi investendo in prodotti nuovi, diversificati e nell’internazionalizzazione, pur continuando a produrre nel territorio di origine a cura della redazione

Giovanni Cogotzi, responsabile dell’azienda Claind di Lenno, nel Comasco

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Internazionalizzazione, diversificazione, alta qualità e per il futuro imminente occhi puntati sulle energie rinnovabili. Sono questi, in sintesi, i pilastri su cui Giovanni Cogotzi, responsabile dell’azienda Claind di Lenno, nel Comasco – nonché presidente dei metalmeccanici comaschi - sta costruendo un solido muro per resistere ai colpi della crisi. Una solidità rafforzata dagli oltre trent’anni di storia e da quel sogno iniziato e realizzato dal padre Lorenzo Cogotzi nel 1979. “Mio padre è nato come progettista elettronico – racconta Giovanni Cogotzi – e l’azienda nacque ai tempi per la progettazione elettronica fatta per conto terzi. Nel corso degli anni è arrivato a realizzare i propri prodotti tecnologici al servizio dell’industria e in particolare di generatori di gas che trovano largo impiego in diversi settori, riuscendo a consegnarlo al cliente direttamente e off rendo così quel valore aggiunto che oggi fa la differenza”. L’azienda produce generatori di idrogeno, di azoto, di aria, purificatori e strumenti di misura. “I nostri generatori di gas rappresentano un’alternativa alle tradizionali fonti di approvvigionamento dei gas quali forniture di gas compressi in bombola e liquefatti – prosegue il presidente -.

Grazie ai generatori, infatti, è possibile produrre tutto il gas necessario presso il luogo di utilizzo, evitando tutti gli inconvenienti tipici delle forniture tradizionali a parità di risultato”. L’azoto viene prodotto grazie a un processo che permette di separare l’ossigeno dall’azoto presenti nell’aria che respiriamo fino a purezze elevatissime; l’idrogeno viene prodotto attraverso una cella elettrolitica unica, ad alta purezza senza la necessità di ulteriori sistemi di purificazione. L’impresa conta un organico complessivo di 40 persone per un fatturato di circa 7 milioni di euro, con una produzione che tocca i 1.200 pezzi all’anno. Il 2009 ha fatto registrare una leggera flessione rispetto al 2008 ma le prospettive per il 2010 sembrano essere alquanto positive: “In questo primo semestre – spiega Cogotzi – abbiamo registrato valori che vanno a +30%”. La crescita ha interessato soprattutto la nicchia estera con un’internazionalizzazione che arriva a toccare l’80% della produzione totale: “L’internazionalizzazione ci ha premiato. L’80% dei nostri prodotti va all’estero, ma anche in Italia stiamo raccogliendo soddisfazioni per l’alto valore aggiunto dei prodotti”. La gamma di prodotti della Claind è stata sviluppata per far fronte


Storia di successo

La storia dell’azienda Claind L’azienda Claind viene fondata da Lorenzo Cogotzi nel 1979. Inizialmente la società aveva come scopo la progettazione e costruzione di strumenti per il controllo di impianti industriali, in particolare per il settore farmaceutico. Nel 1985 è passata alla produzione di unità complete di fermentazione, sempre per il settore farmaceutico. Il cuore del prodotto è rimasto il sistema di controllo del processo, abbinato a competenze impiantistiche, che si vanno sviluppando proprio in questi anni. Nel 1988 a Claind viene offerto di sviluppare il sistema di controllo di un elettrolizzatore per la produzione di idrogeno. Nasce così la collaborazione con una società svizzera specializzata nella produzione di celle elettrolitiche per la realizzazione del primo generatore di idrogeno, la serie “Idrolab”. Successivamente Claind fa diventare suo il prodotto e sceglie di specializzarsi nella produzione e commercializzazione di piccoli elettrolizzatori dedicati al settore analitico ove Claind già operava come fornitore di altra strumentazione. Nel 1991 nasce la collaborazione con Nitrox per la commercializzazione di generatori di azoto basati sul principio PSA. Lo scopo era quello di abbinare l’offerta di azoto con quella di idrogeno, secondo le richieste del settore analitico ed in particolare per la gascromatografia. Negli anni ’90, Claind si concentra principalmente sullo sviluppo di un nuovo elettrolizzatore più robusto ed affidabile rispetto a quello originario. Nasce quindi la collaborazione con il dipartimento di elettrochimica dell’Università di Praga, grazie alla quale Claind acquisisce il know how per la realizzazione di un innovativo sistema per elettrolisi sul quale costruisce una cella molto robusta e più affidabile rispetto alla precedente. La nuova cella subisce diverse evoluzioni fino a divenire il cuore della serie HG2000 attualmente commercializzata. Parallelamente Claind decide di sviluppare la tecnologia PSA iniziando a progettare e a produrre generatori di azoto. Alla fine degli anni ’90 gli sforzi si concretizzano nella realizzazione di una gamma completa di generatori di azoto interamente progettata e prodotta da Claind. Nel 1996 Claind ottiene la certificazione ISO 9001. L’anno 2000 rappresenta un momento di decisa svolta per Claind grazie al lancio di una nuova e innovativa gamma di prodotti per il laboratorio e per l’industria. E’ in questo periodo che si intensifica l’interesse per i prodotti di Claind all’estero grazie anche al consolidarsi di rapporti con importanti distributori collocati in Europa, Medio Oriente e India. Dal 2000 Claind non si rivolge più solo al settore analitico, ma inco-

mincia ad affermarsi anche nel settore agroalimentare e metallurgico grazie ai generatori di azoto industriali della serie PICO e FLO. Nel 2001 viene aperto un ufficio di rappresentanza in Francia allo scopo di intensificare le vendite specialmente nel settore del laboratorio di analisi. Nel 2003 viene lanciata la serie di generatori di azoto N2 MAXI per far fronte alle sempre maggiori richieste di azoto per impieghi industriali e parallelamente decide di affrontare una nuova sfida sul fronte dell’idrogeno. E’ proprio in questo periodo che si da vita ad un progetto molto ambizioso di progettazione di un elettrolizzatore ad alta portata ed ad alta pressione, pensato per il

mercato industriale. Tale progetto si concretizza nel gennaio 2007, con l’avvio della commercializzazione della nuova serie HG MAX3 di generatori di idrogeno con portate fino a 30 m3/h a 15 bar. Nel 2006 Claind fa un ulteriore passo nell’ampliamento dell’offerta nel mondo dell’azoto industriale con lo sviluppo della serie LASER GAS, un innovativo generatore di azoto ad alta pressione. Nel 2007 Claind sviluppa la serie completa HGMAX oltre a importanti progetti con clienti OEM nel settore azoto industriale. Durante il 2008 Claind afferma la sua presenza sui mercati esteri, consolidando allo stesso tempo un trend di crescita del 20% annuo.

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L’impresa conta un organico complessivo di 40 persone per un fatturato di circa 7 milioni di euro, con una produzione che tocca i 1.200 pezzi all’anno. Il 2009 ha fatto registrare una leggera flessione rispetto al 2008, ma le prospettive per il 2010 sembrano essere positive

Abbiamo puntato sul design e sul concept creando prodotti diversi di gamme differenti che possono intercomunicare tra loro”. Il settore analitico resta storico per l’azienda con prodotti venduti in tutto il mondo, autoinstallanti e facili da trasportare soprattutto in Spagna, Francia, Inghilterra, Medio Oriente e in Cina. “Il prodotto viene assemblato presso di noi mentre la componentistica arriva da fornitori esterni. Abbiamo l’obbligo morale di mantenere questo volano per la nostra economia locale”. Per arrivare a questi risultati l’azienda ha puntato molto sull’innovazione: “Abbiamo scommesso 32

alle esigenze di gas puri di svariati settori dell’industria tra cui il metallurgico, la saldatura lead free, lo stampaggio plastico, il chimico, l’analitico-laboratorio e l’agroalimentare. Ed è soprattutto quest’ultimo che ha permesso la notevole crescita in Italia: “Abbiamo introdotto sistemi che consentono di produrre azoto anche per prodotti agroalimentari”. La parola d’ordine resta comunque la diversificazione, ergo rivolgersi a settori diversi garantendo comunque un prodotto di nicchia e unico, come spiega il titolare: “Abbiamo diverse linee di prodotto: il taglio e trattamento dei metalli per il quale serviamo soprattutto clienti in Italia, Inghilterra, Medio Oriente e Spagna; forniamo inoltre prodotti al settore analitico, quello dei centri di ricerca farmaceutici e chimici dove usiamo i nostri prodotti per supportare tecniche di analisi”. Su questo fronte l’azienda, nonostante il contesto economico non favorevole, ha rinnovato la propria gamma di prodotti. “Abbiamo scelto il periodo di maggior flessione e ora siamo usciti con queste novità alla fiera di Orlando a marzo, con la collaborazione di una società americana con cui abbiamo coingegnerizzato i prodotti.

sull’innovazione del prodotto pur lavorando in un settore tra i più in crisi - spiega Giovanni Cogotzi. Siamo stati premiati perché stiamo facendo registrare una crescita incredibile grazie al fatto che abbiamo prodotti di nicchia su un terreno dove la concorrenza è poca”. Il futuro dell’azienda sarà sempre all’insegna dell’innovazione e, visti i tempi, delle energie rinnovabili: “Non vediamo l’ora si terminare il nostro nuovo prodotto presentato a Orlando per poi iniziare il progetto di una linea completa di generatori di idrogeno. Noi commercializziamo da anni prodotti simili e quello che abbiamo in men-

te è un prodotto che possa servire nel settore delle rinnovabili perché quello che oggi c’è sul mercato è poco utilizzabile. Per avere successo bisogna naturalmente mettersi in rete e fare uno sforzo insieme a tutti gli attori della fi liera”.

Un uomo saggio coglie più opportunità di quante ne trovi. Francis Bacon www.claind.it


La casa degli imprenditori dĂ piĂš spazio alle imprese e ai servizi...

... flessibili, personalizzati e interdisciplinari per sostenere la competitivitĂ delle imprese.


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Pamar, una porta aperta

su dinamicità e diversificazione L’azienda di Renate, nata nella cantina del fondatore Angelo Redaelli come piccola fonderia per l’ottone, è oggi leader nella produzione di maniglie per i mobili. Per sconfiggere la crisi ha ampliato i propri cataloghi, puntando su qualità e diversificazione a cura della redazione

Un’azienda “eclettica”, legata da una parte alla forte tradizione familiare e radicata sul territorio e dall’altra capace di adeguarsi ai cambiamenti del mercato, dei tempi e alle esigenze di clienti provenienti da Paesi differenti. L’impresa Pamar di Renate, nel brianzolo, leader nella produzione di maniglie per mobili, ha fatto della qualità, del design di alto livello e della differenziazione i propri caratteri distintivi, ergo le armi per abbattere una concorrenza fatta di guerra di prezzi e imitazioni. Forte di un fatturato di circa 7 milioni di euro, un organico di 70 persone e collaborazioni eccellenti sul fronte del design, l’azienda brianzola sta puntando su un’ampia gamma di prodotti innovativi, oltre al punto di forza caratterizzato dalle storiche maniglie. La sede della Pamar è a Renate, nel cuore dell’imprenditoria lombarda e del distretto del mobile ed è distribuita su due unità operative. In quello stesso paese, poco meno di sessant’anni fa, il fondatore Angelo Redaelli mise le basi per realizzare il proprio sogno: nella cantina della casa paterna installò una piccola fonderia per l’ottone per fabbricare maniglie per mobili. Erano gli anni della ricostruzione e della rinascita dopo la Seconda Guerra Mondiale. Pochi anni più tardi Redaelli passò dall’ottone a una nuova lega di alluminio, la zama, meno costosa e più facile da lavorare. Con il passare degli anni l’azienda si ingrandì e negli anni Novanta passò all’attuale stabilimento di Renate. “L’azienda è nata producendo esclusivamente maniglie per l’industria del mobile – racconta il figlio Marco Redaelli, attuale presidente di Pamar. Negli ultimi vent’anni abbiamo cambiato strategie proponendo prodotti diversi fatti con materiali differenti: metallo, vetro, plastica, legno e abbiamo aumentato l’utenza di riferimento, non solo produttori di mobili ma anche negozi, catene di distribuzione ecc”. Pamar 34


Azienda diTestatina successo

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la storia di pamar

Famiglia Redaelli: Silvia, Marco, Fabio e il fondatore Angelo

La storia di Pamar ha inizio negli anni Cinquanta a Renate, centro lombardo destinato a diventare uno dei poli più evoluti nel settore della minuteria metallica e componentistica per mobili. Pamar è il sogno diventato realtà di Angelo Redaelli che ha iniziato la sua attività imprenditoriale nel campo delle maniglie per mobili e attraverso questo piccolo oggetto l’azienda è decollata assumendo in breve la dimensione e l’impronta di un’industria. Grazie ai figli Fabio, Marco e Silvia l’azienda è cresciuta e oggi conta due unità ad avanzata tecnologia che consentono di realizzare l’intero processo produttivo: stampaggio, pulitura, verniciatura, assemblaggio dei componenti, finitura. La produzione è realizzata tutta all’interno delle due fabbriche, a Renate. L’impegno dell’azienda si traduce in un’evoluzione continua del suo prodotto e della maniera di realizzarlo: impianti all’avanguardia, tecnologie sofisticate, controllo meticoloso di tutte le fasi. Un’azienda dinamica, dunque, in grado di soddisfare puntualmente qualsiasi richiesta del mercato, contribuendo alla diffusione del Made in Italy nel mondo.

cresce insieme al mercato, cambia tiro adeguandosi ai tempi e alle mode, senza perdere però la sua essenza originaria. “Siamo passati dall’essere classici al moderno – prosegue Redaelli – guardando soprattutto l’evoluzione del mercato. Il nostro segreto? Abbiamo le caratteristiche tipiche dell’azienda brianzola: determinazione, l’attaccamento ai nostri valori e la forte componente della manualità che da una parte può portare ad un aumento dei costi ma diventa comunque garanzia di prodotti innovativi e unici”.

L’azienda è nata producendo esclusivamente

La vera e profonda trasformazione si concretizza a partire dagli anni Novanta quando Pamar incrocia le via del design in modo totalizzante, realizzando nuove maniglie da cui emergono le personalità e i linguaggi dei diversi design. “Abbiamo avviato una serie di collaborazioni con architetti e designer importanti per differenziarci ulteriormente e identificare e personalizzare ancora di più i nostri prodotti”. Prodotti che, come si diceva, non si sono fermati alle sole maniglie ma che oggi comprendono, ad esempio, passacavi, reggimensola, pomoli, ciondoli e reggitubi.

fratelli Fabio, architetto e designer e Silvia, responsabile per la parte amministrativa. “Il design e la voglia di creare fanno parte del nostro DNA – racconta il Presidente -. Prima di avviare le collaborazioni con i designer, eravamo noi i creatori dei nostri prodotti, segno di una passione che ci portiamo dentro fi n dalle origini”.

“In questa fase di crisi ci siamo mossi cercando prima di tutto di differenziarci e scoprendo mercati nuovi. Ad oggi esportiamo il 50% circa dei nostri prodotti. Stiamo facendo il possibile per non fermarci: la chiusura di alcuni piccoli terzisti qui in Brianza ci ha portato a dover produrre alcune componenti nei nostri capannoni. Inoltre sono cambiate le tipologie di ordini: piccoli e personalizzati che hanno sicuramente aumentato il lavoro”. Marco Redaelli prosegue sottolineando la necessità di “essere elastici e aperti verso i cambiamenti, portando innovazione all’interno dell’organizzazione aziendale stessa”. Ora alla guida della Pamar, oltre a Marco, presidente, ci sono i 36

maniglie per l’industria del mobile. Negli ultimi vent’anni ha cambiato strategie proponendo prodotti diversi fatti con materiali differenti quali metallo, vetro, plastica, legno e ha aumentato l’utenza di riferimento

Una passione che continua nel tempo, accompagnata da una buona dose di ottimismo. “La voglia di uscire da questo momento critico c’è e si sente. Da parte nostra contiamo di mantenere più o meno lo stesso fatturato dell’anno scorso, senza alcuna flessione”. |

A una sola cosa tendi, e cerca col tuo volere: essere a te stesso bello in ogni cosa che fai. Marco Aurelio

www.pamar.it


Since 1902 Testatina

La prima organizzazione fra imprenditori sorta in Italia

CONFINDUSTRIA MONZA E BRIANZA RIANZA 37


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Le

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figure più richieste nell’Information Technology

Secondo una recente ricerca, frutto di anni di interviste e analisi, i profi li che brillano sono il Direttore dello Sviluppo (R&D) e il Project Manager a cura di Michael Page Technology, divisione di Michael Page International 38


Focus Professioni

luce sui comportamenti relativi a precise opportunità professionali. Due i profi li più ricercati quindi per il settore IT: il Direttore dello Sviluppo e il Project Manager. DIRETTORE DELLO SVILUPPO/R&D Le principali responsabilità del Direttore dello Sviluppo sono: • gestire i progetti di sviluppo, garantendone qualità, metodologie e affidabilità; • definire e gestire il budget e gli impegni di spesa del reparto; • garantire l’inquadramento dello staff di sistema e dello staff d’esercizio; • definire delle metodologie dei test tecnici di verifica e della qualità; • definire la strategia tecnica della produzione e scegliere gli applicativi di controllo e di supervisione; • essere il garante della funzionalità dei sistemi dell’azienda e della performance delle transazioni. In questo quadro, è responsabile della creazione di piattaforme di test (limiti, prestazioni etc) e dei piani di pronto intervento informatico o di back up; • lavorare in stretta collaborazione con la Direzione degli studi al momento della produzione di nuove applicazioni da parte delle sue squadre.

Dopo aver tenuto botta durante un anno di forte contrazione economica come il 2009 anche quest’anno, tra le figure più richieste in ambito Information Technology, continuano a spiccare il Direttore dello Sviluppo (R&D), la cui retribuzione media annua oscilla tra i 65.000 e gli 85.000 euro a seconda degli anni di esperienza e della dimensione dell’azienda in termini di fatturato e il Project Manager ERP. La ricerca è il frutto del lavoro fatto quotidianamente dai consulenti della divisione Technology per tutti questi anni e, nello specifico dello studio delle candidature ricevute e prese in considerazione ogni mese, oggetto di un’approfondita analisi dei percorsi, delle motivazioni e delle retribuzioni dei candidati contattati dai consulenti della divisione. Per ogni profilo abbiamo precisato le tendenze del mercato ad esso relativo, oltre alle possibili evoluzioni di carriera. I commenti si basano sulla percezione delle aspettative del candidato, sulla constatazione del percorso specifico e sul contesto del servizio di ricerca e selezione da noi gestito. Sebbene non possano certo essere adattabili a tutte le strutture aziendali, possono tuttavia contribuire a fare un po’ di

Sul fronte della formazione, questo profi lo ha in genere una laurea in Ingegneria o cultura equivalente, con un minimo di 5 anni di esperienza nel campo dell’esercizio e dell’ingegneria dei sistemi. Si ritrova principalmente nelle strutture in cui il servizio informatico ed il relativo sviluppo tecnologico risulta determinante e strettamente legato alle tematiche di business. Tale profi lo diventa determinante in ambienti che richiedono grandi sistemi (banche, assicurazioni, grande distribuzione) o dove prevale l’innovazione tecnologica dei sistemi, non solo di supporto ai clienti esterni. Gestisce in generale un minimo di 5 persone. La domanda per questo tipo di posizioni, anche in realtà non eccessivamente strutturate o multinazionali, ha subito un deciso incremento soprattutto in ambito soft ware legato ai database e al mondo della sicurezza dei sistemi e delle reti. I dati sulla retribuzione in base agli anni di esperienza sono significativi e relativi alla retribuzione annua lorda, non è inclusa la parte variabile.

NS*= non significativo 39


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PROJECT MANAGER ERP Le principali responsabilità del Project Manager ERP sono: • gestire i progetti di analisi, implementazione e application maintenance dell’ERP, assicurandone qualità, efficienza ed efficacia; • definire e gestire le risorse a lui assegnate, favorendone la comunicazione e l’affiatamento; • distribuire le attività alle risorse e monitorarne il corretto svolgimento, nel rispetto delle tempistiche di delivery; • mantenere e coltivare i rapporti con i clienti finali, pianificando e coordinando il loro coinvolgimento nelle varie fasi di progetto; • produrre la documentazione di propria competenza e supervisionare quella prodotta dal team di progetto; • gestire la chiusura del progetto e le relative attività di riepilogo; • lavorare in stretta collaborazione con il cliente durante lo svolgimento 40

Tra le figure più richieste in ambito Information Technology, continuano a spiccare il Direttore dello Sviluppo (R&D), la cui retribuzione media annua oscilla tra i 65.000 e gli 85.000 euro a seconda degli anni di esperienza e della dimensione dell’azienda in termini di fatturato e il Project Manager ERP del progetto, provvedendo alla proposizione di nuovi progetti evolutivi o correttivi in corso d’opera. Sul fronte della formazione, il Project Manager ERP ha una laurea in Ingegneria o Economia o cultura equivalente, con un minimo di 5 anni di esperienza nello stesso ruolo. Questa tipologia di profilo si ritrova principalmente nelle società di consulenza IT, dove l’implementazione dell’ERP ed il relativo sviluppo tecnologico risulta strettamente legato alle tematiche di business.

Questo profi lo si ritrova anche all’interno della struttura aziendale di un cliente finale, con il ruolo di Business Process Support, ed ha il compito principale di gestire i consulenti esterni e le richieste che provengono dal business interno. Gestisce in generale un minimo di 5 persone (interne e/o esterne). La domanda per questo tipo di posizioni, vista l’importanza strategica assunta dall’Information Technology all’interno dell’azienda, ha subito un notevole incremento soprattutto in realtà di consulenza ERP. I dati sulla retribuzione sono significativi e relativi alla retribuzione annua lorda, non è inclusa la parte variabile.


Focus Professioni

del ruolo sono di direttore commerciale del canale web o di country manager in una internet company.

NS*= non significativo Altre due figure che stanno prendendo piede sono: l’Online Sales Manager e il Web Marketing Manager. L’ONLINE SALES MANAGER, che riporta al direttore commerciale o al direttore generale, è responsabile del canale di vendita on-line. Il suo compito consiste nel definire e implementare la strategia commerciale sul canale web, definire il budget di vendita in funzione di prodotti/servizi, definire insieme alla direzione comunicazione/marketing il piano sales on-line, raggiungere gli obiettivi di fatturato e margine. Il ruolo richiede l’aver maturato una solida esperienza nel mondo web con capacità strategico/tattiche nella definizione ed implementazione di un canale di vendita complementare a quelli tradizionali. Le possibili evoluzioni

Il WEB MARKETING MANAGER, che riporta al direttore marketing o al direttore commerciale, nelle strutture più snelle ha la responsabilità dello sviluppo delle strategie di marketing sui nuovi media (web, mobile, tecnologie digitali). Il ruolo richiede l’aver maturato una solida esperienza in Sem, Seo, Keyword Advertising, e-commerce. La possibile evoluzione del ruolo è la direzione marketing. |

www.michaelpage.ch

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Verso

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Smau 2010: tutte le novità

della prossima edizione Eventi, lanci di prodotto e occasioni di networking, tutto questo e molto altro attende i 50.000 visitatori di Smau 2010 Dopo un primo semestre di eventi itineranti - Smau Business Roadshow - che hanno accolto nelle tappe di Bari (febbraio), Roma (marzo), Padova (maggio) e Bologna (giugno) circa 12.500 visitatori professionali (+ 25% rispetto al 2009), di cui il 65% imprenditori e decisori aziendali delle imprese locali, Smau si prepara a tornare a Milano da mercoledì 20 a venerdì 22 ottobre a Fieramilanocity con una tre giorni ricca di novità per il mondo dell’impresa e del canale ICT e un calendario denso di appuntamenti. “L’edizione 2010 di Smau – dichiara Pierantonio Macola - con un‘articolata offerta di contenuti indipendenti curati da oltre 600 relatori delle migliori università italiane e società di consulenza, ricerche e dati inediti presentati dalla School of Management del Politecnico di Milano sulle tematiche più at-

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tuali del settore, 500 aziende partecipanti e più di 100 tra le start up e le Pubbliche Amministrazioni Locali più innovative ospitate nell’area Percorsi dell’Innovazione sarà l’appuntamento di riferimento in Italia per tutta la business community sulle tematiche dell’Information & Communication Technology, di aggiornamento professionale e di condivisione tra i vari protagonisti coinvolti. Del resto le tecnologie, nel contesto di mercato attuale giocano un ruolo sempre più importante nel favorire la competitività delle imprese, per questo è necessario che un evento come Smau, illustri, non più solo agli addetti ai lavori ma a tutti coloro che sono coinvolti nelle sfida di condurre le imprese italiane oltre la crisi, come utilizzare in modo efficace le nuove tecnologie per ridurre i costi e aumentare l’efficienza della propria

azienda. Da qui la scelta di inaugurare la 47a edizione di Smau con il Premio Innovazione ICT, evento nato per mettere in luce i casi di eccellenza del nostro territorio: l’impresa che parla all’impresa, questo ritengo sia il vero ruolo di Smau oggi, non solo vetrina di novità e momento di incontro tra domanda e offerta, ma anche una formidabile piattaforma di condivisione di esperienze di successo”. Saranno oltre 49.000 i visitatori attesi che varcheranno le porte dei padiglioni 3 e 4 di Fieramilanocity dalle 9.30 alle 18.30 dal 20 al 22 ottobre 2010 e potranno aggiornarsi sulle ultime novità espositive presentate da 500 espositori del calibro di Adobe, Canon, Dell, D-Link, Ibm, Intesa Sanpaolo, Fastweb, Oracle, Poste Italiane, Toshiba e Sap, solo per citarne alcuni. Anche quest’anno saranno due le dimensioni del Salone: Smau


Smau Milano

SMAU TRADE

Business e Smau Trade rivolte alle due tipologie di visitatori di Smau: 50% manager e decisori aziendali e 50% operatori del Canale ICT. Smau Business, che occuperà tutto il padiglione 4 e parte del padiglione 3, riprende il format del Roadshow proponendo agli oltre 27.000 manager attesi un calendario di circa 200 workshop sulle tematiche più attuali con percorsi formativi mirati che puntano a rafforzare il dialogo con i manager delle diverse funzioni aziendali non soltanto legate al mondo IT, ricerche e pubblicazioni ad hoc, i migliori casi di successo e un’area espositiva che ospiterà i più importanti protagonisti del settore a livello nazionale e internazionale e alcune aree speciali dedicate a Marketing Digitale e Ecommerce, Fatturazione Elettronica e Gestione Documentale, Information Security, Mobile&Wireless e Unified Communication. Accanto al calendario dei workshop Smau quest’anno ha rafforzato l’offerta di contenuti di alto livello programmando 4 laboratori della durata di 90 minuti ciascuno, a cura dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, con l’obiettivo di confrontarsi sugli ultimi trend in corso, condividere i migliori casi di successo e i criteri di misurabilità del ritorno sull’investimento (ROI) in tema di Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Enterpirse 2.0, Mobile & Wireless, e Marketing Digitale. In programma anche 3 arene, l’Arena Marketing Trends, l’Arena Sistemi di Comunicazione Avanzata e Unified Communication e l’Arena Mobile & Wireless, in cui verranno affrontate, insieme ai massimi esperti in materia, le principali tendenze e le tematiche emergenti su cui le aziende non possono non essere aggiornate per competere in modo innovativo. Smau Milano darà spazio alle giovanissime imprese rappresentanti del “genio made in Italy” grazie all’iniziativa “Percorsi dell’Innovazione. Dall’Idea al Business” che offrirà a 100 start up italiane una vetrina qualificata per presentare i propri progetti e prototipi altamente innovativi e ottenere contatti con potenziali finanziatori. Quest’anno l’Area Percorsi dell’Innovazione rappresenterà anche il volto dell’Italia che innova: tutte le Regioni presenti e una selezione di Province e Comuni racconteranno a

All’edizione 2010 di Smau parteciperanno 500 aziende, 600 relatori delle migliori università italiane e società di consulenza e più di 100 tra le start up e le Pubbliche Amministrazioni locali più innovative Smau la loro ricetta per rispondere alla crisi economica attraverso piani di sostegno alle imprese sul tema dell’innovazione. La fotografia dei risultati e degli investimenti delle Pubbliche Amministrazioni sul tema dell’innovazione costituirà il contenuto della Guida Stampa, che da quest’anno cambia veste. La pubblicazione sarà un vero e proprio Annuario dell’Innovazione che, attraverso l’analisi dei risultati di un’indagine compiuta da un team di esperti sul tema “Regioni, Province e Comuni virtuosi”, presenterà le politiche e i finanziamenti a sostegno dell’innovazione, il parco Start

Smau Trade, al padiglione 3, sarà il più importante momento di incontro tra addetti ai lavori dedicato all’ICT community: una piattaforma di incontro e networking tra i grandi fornitori di tecnologia e i distributori con momenti di socializzazione, ma anche di approfondimento e di formazione e imperdibili occasioni di business in cui conoscere potenziali partner e rivenditori. Smau Trade si configurerà come una vera e propria “festa dell’ICT Community”: l’area espositiva farà da sfondo a lanci di prodotti, eventi esclusivi riservarti ai rivenditori, anteprime e, novità di quest’anno, verrà ospitata la vendita di prodotti e servizi da parte dei principali fornitori di tecnologie. All’interno dell’Arena Trade si susseguiranno sessioni di training da 30 minuti a cura dei fornitori di tecnologie dedicate ai prodotti lanciati sul mercato e alla presentazione di politiche di fidelizzazione ed enablement.Gli operatori del Canale ICT potranno, inoltre, partecipare alla presentazione – venerdì 22 ottobre – dei dati della seconda edizione della ricerca dell’Osservatorio Smau Trade realizzato in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano, e potranno ritirare gratuitamente in fiera l’Agenda del Trade. Per facilitare l’incontro tra fornitori e distributori l’Evento si baserà su un articolato sistema di matching: ogni visitatore trade potrà costruire attraverso il sito www.smau.it la propria agenda personalizzata, pianificando gli incontri one-to-one, le presentazioni, a cura dei fornitori di tecnologie e distributori, gli interventi nell’arena e gli eventi di suo interesse, supportato in tutto questo da un call center dedicato, che lo indirizzerà nella scelta dei contenuti più adatti alle sue esigenze.

up, gli incubatori, i centri di ricerca dei protagonisti. All’interno dell’Area il 21 ottobre si terrà il DistrictDay, una tavola rotonda delle più innovative Province e Comuni sul ruolo dei Distretti per la competitività dell’Italia, mentre venerdì 22 ottobre l’appuntamento è con l’Innovation Day che vedrà a confronto le principali Regioni e che culminerà col Premio Start Up Business rivolto alle migliori start up e spin off selezionate da una giuria di Venture Capital e Business Angels nell’ambito dello speed date in programma giovedì 21 ottobre e ospitate all’interno dei Percorsi dell’Innovazione. Dall’Idea al Business. Tra gli altri appuntamenti da non mancare l’Evento Inaugurale, mercoledì 20 ottobre, che ospiterà, il Premio Nazionale Innovazione ICT, un riconoscimento dedicato alle imprese e pubbliche amministrazioni di tutta Italia che hanno adottato soluzioni tecnologiche con successo. Durante i tre giorni di evento avranno luogo anche le premiazioni dei migliori casi di adozione di tecnologie da parte di imprese e pubbliche amministrazioni utenti nell’ambito delle funzioni aziendali Marketing & Vendite, Amministrazione e Finanza, Logistica & Supply Chain, Acquisti e Operations, Risorse Umane organizzate in collaborazione con le associazioni di categoria. | www.smau.it

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Quando l’azienda si “tinge” di verde Sostenibilità e aspetto green inquadrati come vere strategie di business. Sergio Tonfi, Corporate Communication Manager di Philips Italia, spiega come costruire i processi aziendali e l’organizzazione del marketing attorno al tema dell’efficienza energetica testo di Laura Di Teodoro Strategie di marketing orientate all’eco-sostenibilità e all’ecologia, il cosiddetto Green Marketing, che oggi più che mai sta diventando l’arma vincente delle aziende che vogliono vendere con successo i propri prodotti. Un’arma che non può essere improvvisata ma deve essere parte dell’organizzazione e del business e deve nascere con il prodotto stesso, come sottolinea Sergio Tonfi, Corporate Communication Manager di Philips Italia, azienda che più di altre sta puntando sull’efficienza energetica. Il risultato è che oggi il 31% del fatturato globale di Philips (che è di 23,2 miliardi di Euro) è già fatto da prodotti “green”. Recentemente la Philips ha ottenuto il riconoscimento come “green Brand”. Quali strategie di Green Marketing avete messo in campo per raggiungere questo importante risultato? Diciamo che il tema e l’impronta della sostenibilità sono scritti nel Dna dell’azienda. La Philips è nata nel lontano 1891 grazie ai due fratelli Anton e Gerard Philips che iniziarono a produrre lampade a fi lamento di carbonio, portando così la luce nelle case della gente. Oggi, dopo una serie di vicissitudini e successi, il cuore dell’azienda è riassumibile in due parole: salute e benessere con l’obiettivo comune di semplificare la vita dei consumatori. La tecnologia spesso infatti mostra degli aspetti complessi per cui l’obiettivo della semplicità d’uso diventa centrale. Il tema della sostenibilità è presente da sempre. Sin dal 1994 l’azienda si è dotata di un programma Eco-vision, finalizzato all’innovazione di prodotto, strutturandosi in sei aree tecniche definite “green focals areas”: consumo energetico, 44

packaging, evitare le sostanze nocive, peso, riciclaggio, durata della vita del prodotto. Si tratta di sei aree che guidano la ricerca e sviluppo di base del prodotto. Abbiamo così iniziato un percorso per consolidare l’educazione alla sostenibilità nella parte industriale. A questo abbiamo affiancato un impegno per la sostenibilità sociale che tocca il target interno, il personale – la sicurezza, la qualità dell’ambiente ecc. - fino ad arrivare a organizzare eventi e creare situazioni per motivare l’intero organico: dalla palestra alla sala giochi in azienda fino ad arrivare al Family Day (porte aperte alle famiglie) e ai Summer Game (competizioni sportive aperte a tutti i dipendenti). Sul fronte esterno stiamo svolgendo una serie di attività legate al territorio quali la collaborazione con il Comitato Maria Letizia Verga di Monza per sconfiggere la leucemia infantile. Si tratta di un legame finalizzato non tanto alla


Green Marketing sponsorizzazione ma alla partecipazione attiva dei dipendenti alla causa del Comitato, attraverso la realizzazione di un calendario fotografico con le immagini dei nostri bimbi i cui proventi vengono devoluti a questa importante causa sul territorio. Questo per quanto riguarda la responsabilità sociale dell’azienda. Sul fronte dell’aspetto “green” e dell’efficienza energetica invece su cosa avete costruito il vostro marketing? Sull’idea di un’azienda che garantisce “salute e benessere”. Questo significa un’organizzazione suddivisa in settori di business (healthcare, consumer lifestyle e lighting) tutti orientati al concetto di sostenibilità di green philosophy che vanno a toccare la salute ed il benessere individuale passando da un lato per l’aspetto più prettamente medicale (legato alleattrezzature tecnologiche per gli ospedali) e dall’altro al più generico concetto di wellbeing e di qualità della vita (igiene orale, cura della persona, risveglio più naturale ...). La sostenibilità e l’aspetto green quindi sono inquadrati come vere strategie di business, i prodotti nascono verdi, non vengono “vestiti” di verde in fasi successive come può capitare per chi segue la moda della cosiddetta green economy. Alcuni prodotti? Certamente le lampadine a risparmio energetico o i led che ci stanno già dando risultati molto positivi perchè stiamo agendo nel nostro business con tecnologie più efficienti dal punto di vista energetico.

intendere di certo la pratica, pur apprezzabile, del cause related marketing, cioè di una attività di tipo fi lantropico spesso associata a tematiche di tipo promozionale, ma invece, l’organizzazione del business e del product creation process intorno ai principi “green”, come quelli descritti dalle 6 green focal areas di Philips. Il risultato è che oggi il 31% del nostro fatturato globale (che è di 23,2 miliardi di euro) deriva da prodotti “green”.

Cosa si intende oggi per Green Markerting? Non si deve

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la missione “green” di Philips

Sergio Tonfi, Corporate Communication Manager di Philips Italia,

Quali sono gli aspetti che assolutamente bisogna conoscere per affrontare questo “nuovo” settore? Per aff rontare il tema “green” occorre immergersi in una cultura aziendale in cui la tematica non è appannaggio di una funzione singola, ma un modo di essere e fare le cose che pervade tutta l’organizzazione. Non esiste una vera “scuola” se non quella molto concreta del lavorare quotidianamente avendo come elemento guida una visione del mondo che non può più prescindere dai principi della sostenibilità, una sostenibilità vista come obiettivo condiviso e comune per tutti noi e per la società in cui operiamo. Come diceva, spesso la parola “green” viene utilizzata in maniera inappropriata, più come una moda che come caratteristica prima dei prodotti... Esattamente. Al contrario il tema green deve diventare sempre di più “il” modo di fare business perchè dobbiamo imparare a trattare bene questo pianeta che non può più reggere certi nostri comportamenti. Ciascuno di noi deve fare la propria parte per renderlo più vivibile e salvarlo a vantaggio delle generazioni future. Fino a pochi anni fa un’azienda multinazionale come Philips 46

Philips ha costantemente ridotto il consumo energetico dei molti prodotti del suo portafoglio, come i televisori e le soluzioni di illuminazione. In effetti, se le nuove tecnologie dell’illuminazione fossero adottate in tutto il mondo, si riuscirebbero a risparmiare 555 milioni di emissioni di CO2 e oltre 100 miliardi di euro all’anno in costi energetici. Philips ha raggiunto il 31% di incidenza dei “green products” sul totale del fatturato, e si è posta l’obiettivo di raggiungere il 50% nel 2015. Il target di 1 miliardo di Euro per innovazioni “green” verrà superato entro l’anno ed è previsto il raggiungimento di un 25% in più di efficienza energetica delle operations . La luce pesa oggi il 19% del totale dei consumi energetici globali e con l’introduzione progressiva dei LED, che diventeranno presto la norma per tutta l’industria, Philips ha la capacità di produrre significativi cambiamenti nella soluzione dei problemi energetici del nostro pianeta grazie alle proprie competenze tecnologiche nel campo dell’illuminazione. Philips si è posta l’obiettivo di duplicare la raccolta ed il riciclaggio dei prodotti a fine ciclo di vita e l’utilizzo di materiale da riciclo nei propri processi produttivi. La scarsità di certi materiali, l’assenza di chiare leggi sul riciclo e la crescita esponenziale della domanda nei paesi emergenti, sottopone il pianeta a gravi rischi ecologici. Con l’approccio EcoDesign, Philips si è dotata di una metodologia “sostenibile” per lo sviluppo di tutti i suoi nuovi prodotti che ha portato al lancio di tante novità “green” come ad esempio l’aspirapolvere “Performer Energy Care”, fatto da più del 60% di plastica biologica.

era vista come “il problema” perchè produceva troppo e quindi inquinava e consumava. Oggi invece siamo diventati anche parte della “soluzione” perchè rispettiamo di più l’ambiente e off riamo alla società strumenti per migliorare la qualità di vita con un impatto sociale inferiore. Qual è la risposta del consumatore di fronte al tema “green”? Complessivamente è positiva. Diverse ricerche hanno dimostrato che esiste una buona risposta rispetto a questi temi, ma c’è un aspetto da considerare: l’affermazione delle attenzioni verso la sostenibilità ambientale è sicuramente elevata ma c’è un salto quando si parla di comportamenti di acquisto nel senso che solo il 15% effettivamente sceglie i prodotti “green”; l’80% circa vive ancora questa tematica nella sfera degli atteggiamenti più che in quella dei comportamenti. Questo ci fa capire che ci vuole ancora un grande sforzo educativo. Noi italiani siamo poco “sociali” e facciamo poco sistema paese e l’impegno di Philips è quindi quello di rendere più esplicite certe intenzioni attivando un continuo dialogo, anche online, con gli interlocutori della catena del valore per cambiare davvero le


Green Marketing

cose. Stiamo ad esempio lavorando al progetto “Città più vivibili”, un piano che incentiva l’ideazione di un programma d’azione per rendere le città più belle, illuminate meglio e con un maggiore risparmio energetico per la comunità. Discutiamo con tutti gli attori in campo (in primis con i responsabili urbani e ambientali delle nostre belle città) per far capire che cambiando le luci dell’illuminazione stradale con i Led si può risparmiare fino al 50% del consumo energetico e si può rendere la città davvero più bella. Ci siamo riusciti a Firenze e stiamo lavorando per Roma, dove il sindaco Alemanno si è dato un target davvero ambizioso in questo senso. Come è cambiato il modo di fare marketing con questa nuova componente green? Abbiamo scelto di semplificare il linguaggio e l’approccio con il consumatore passando attraverso la nostra promessa di brand, “Sense and Simplicity” che significa anche cercare di essere più rispettosi delle persone e del mondo in cui operiamo mettendo in atto una comunicazione chiara, semplice e trasparente guidata da queste due parole chiave. Non vogliamo essere aggressivi ma cercare di portare un contenuto più significativo e rilevante per la gente

Per affrontare il tema “green” occorre immergersi in una cultura aziendale in cui la tematica non è appannaggio di una funzione singola, ma un modo di essere e fare le cose che pervade tutta l’organizzazione. Quando si parla di Green Marketing si parla di organizzazione del business e del product creation process intorno al principio dell’efficienza energetica grazie alle nostre soluzioni tecnologiche, rafforzando il contatto diretto con le persone soprattutto attraverso le fantastiche opportunità offerte dal web. Più web nella vostra comunicazione quindi? Esatto. Abbiamo ridotto i canali cosiddetti classici quali tv, radio e giornali per privilegiare il web. La televisione non crea dibattito, neanche se è ancora rilevante in fase di conoscenza delle novità di prodotto. Volendo dedicarci più ad una fase educativa mirata abbiamo bisogno di un canale, quale il web, in grado di rivolgersi a determinati target, mandando segnali specifici che possano provocare le azioni e reazioni desiderate.

Perchè il green marketing può essere considerato strategico per un’impresa? Perchè va a “stressare” le caratteristiche specifiche dei prodotti cosiddetti “green” e crea un alone di positività intorno a ciò che l’azienda si propone di fare sul mercato. Caratteristiche che, come ho già detto, non vengono “vestite” dopo che un prodotto è nato, ma che nascono con il prodotto stesso: la scelta dei suoi materiali, il tipo di packaging utilizzato e le sue dimensioni, l’effettivo risparmio energetico ottenuto con il loro utilizzo, le possibilità di riciclaggio a fine vita…. Sul campo della sostenibilità come sta andando il confronto tra Italia e resto del mondo? I paesi nordici, quali Olanda e Paesi Scandinavi, sono sicuramente più avanti perchè c’è una maggior predisposizione e disponibilità, anche di tipo culturale e sociale. Noi, come spesso accade, abbiamo un piccolo ritardo motivato proprio dalle nostre specifiche caratteristiche come popolo più attento all’individualismo che alle cause collettive. Ma sono fiducioso perchè adesso il trend di atteggiamento positivo verso i temi “green” è in forte crescita. Come siete strutturati sul piano del green marketing? A livello centrale è stato creato un Sostenibility Board che riunisce i capi di tutti i settori di business ed è guidato direttamente dal presidente di Philips. C’è poi una parte più operativa che si occupa, ad esempio, della redazione del bilancio sociale e che è seguita da un ufficio apposito. A livello italiano abbiamo creato un Sostenibily Board locale, di cui sono responsabile, e che coinvolge anche il direttore Risorse Umane, il responsabile della Qualità e la Presidenza di Philips Italia. Ogni anno viene definito un budget ad hoc che in base alle guidelines internazionali viene dedicato alle attività selezionate dal Board o suggerite direttamente dai nostri colleghi. | La natura non fa nulla invano. Aristotele

www.philips.it

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Sara Baroni, presidente di Oxigenio societĂ innovatrice nella consulenza strategica

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Lady Economy

L’

Oceano blu della consulenza

Sara Baroni, esperta riconosciuta nell’applicazione della Teoria dei Vincoli in tutti gli ambiti dell’organizzazione aziendale, ci parla del valore della consulenza oggi e di come guidare l’imprenditore verso la riscoperta del Dna della propria azienda testo di Laura Di Teodoro fotografie di Vincenzo Lombardi

Un ingegnere meccanico con nel Dna la passione per il marketing strategico e per il project management. Una passione diventata il suo lavoro e il punto di partenza di un progetto di consulenza innovativo focalizzato interamente sull’attenzione alle persone e sulla loro abilità di controllare situazioni più o meno complesse. Sara Baroni, presidente di Oxigenio società innovatrice nella consulenza strategica ha aperto nel bresciano OfficinaStrategia, un luogo diventato punto di incontro tra consulenti e imprenditori dove elaborare strategie per ripensare la propria azienda e riscoprire l’essenza della propria impresa. Sara Baroni, un ingegnere meccanico che ha fatto diventare la sua passione per il marketing e la strategia d’impresa il suo lavoro. Qual è stato il suo percorso professionale? Mi sono laureata in ingegneria meccanica a Brescia nel 1999. Di fatto sarei specializzata nella direzione di produzione ma già ai tempi mi appassionai ad altro; parallelamente alla laurea infatti ho iniziato a lavorare in una società di consulenza a Milano che portò in Italia un particolare modello di gestione d’impresa, la Teoria dei Vincoli, argomento anche della mia tesi. Poco tempo dopo mi sono trasferita in Brasile per motivi personali, ma senza abbandonare quella nuova passione. Al contrario cercai di coltivarla prendendo contatto con le società che anche lì avevano adottato quel particolare modello di fare impresa. È stata di fatto un’esperienza interessante perchè ho avuto modo di vedere l’applicazione della Teoria in diverse multinazionali e imprese. Tornata in Italia, sull’onda di quell’entusiasmo, nel 2003 ho fondato Oxigenio insieme a Marco Gafforini, con l’obiettivo di guidare la crescita delle piccole e medie imprese proprio attraverso l’adozione di un modello ispirato alla Teoria dei Vincoli, sebbene ripensato per la piccola e media impresa tipica italiana. Da subito la scelta strategica è stata di offrire interventi di livello direzionale, puntando sulla competenza in ambito di modelli organizzativi, strategia e metodo. Questo mi ha permesso di arrivare ad un punto in cui poter dire la mia in ambito di marketing strategico, ambito apparentemente lontano dalla produzione, anche se poi ne è molto vicino quando fatto bene.

Dal 2003 al 2009 ho guidato diversi interventi di riorganizzazione aziendale, con particolare enfasi sulla pianificazione e controllo (attività fondamentale specialmente in aziende con produzione su commessa) e il marketing. In questo ambito la lettura di un libro, Strategia Oceano Blu, è stata illuminante e ha portato alla creazione di un intervento molto richiesto dalle aziende che prevede l’utilizzo del metodo rigoroso e pratico della Teoria dei Vincoli per seguire la filosofia di Oceano Blu, appunto. Nel 2009, complice la crisi che dava chiari segnali sulla necessità di ripensare il mercato della consulenza direzionale, ho deciso di applicare alla mia società il modello di marketing strategico che vendevo alle aziende. Come vi siete “adeguati” a questi cambiamenti? Ci siamo detti che dovevamo differenziarci, soprattutto in un mercato come quello della consulenza dove la concorrenza è tanta e i clienti hanno pochi strumenti in mano per capire come orientarsi e distinguere il valore dell’offerta. Ripartendo dal nostro stesso Dna di esperti di sistemi organizzativi e di metodo, e con l’obiettivo di semplificare l’offerta, è nata OfficinaStrategia, un luogo pensato per aiutare imprenditori e manager in quell’attività di strategia che è tanto importante quanto trascurata da molti a causa dell’operatività quotidiana. Non è un centro di formazione, di quelli ce ne sono anche troppi e lavorano molto male. 49


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Quali sono i principali dubbi e problematiche che spingono gli imprenditori verso la necessità di una consulenza e con quali certezze escono dalla vostra porta? Le problematiche sono per lo più legate alla scelta di una direzione da prendere in questo mercato così rapido e a progetti di cambiamento e ristrutturazione da mettere in atto. Lavoriamo molto sul marketing e sulla strategia di comunicazione d’impresa: su questo ultimo aspetto ritengo sia importante lavorare molto sul Dna dell’impresa, riscoprirlo e valorizzarlo perchè è l’unica caratteristica che può differenziare l’azienda sul mercato. Spesso infatti, in molte aziende, a causa per esempio di passaggi generazionali, fusioni o acquisizioni, si perde quello spirito e quella focalizzazione che contraddistinguono l’inizio di un’impresa e ne determinano il successo. L’imprenditore deve lavorare molto sul proprio modello organizzativo, su ciò che è percepito di valore dal mercato per arrivare a valorizzare di più il proprio Dna e creare un messaggio chiaro da trasmettere. Qual è l’aspetto che più l’appassiona di questo lavoro? Quello di condividere il momento in cui si 50

fa strategia con l’imprenditore e guidarlo nel vedere la propria realtà da punti di vista diversi. Faccio le giuste domande e lo porto a ragionare sulle diverse strade da intraprendere per poi scegliere quella giusta. Parlando di Dna, forse OfficinaStrategia è proprio questo, la mia essenza, quel giusto mix di marketing strategico e project management che tanto mi appassionano. Quali sono le maggiori criticità che registra nel contesto che la circonda? Sono soprattutto gli aspetti legati alle vendite. Tutti hanno problemi commerciali. Le possibili soluzioni? Un problema di mercato non va cercato esclusivamente nell’area commerciale; bisogna invece ripensare l’intero sistema e non fermarsi ai corsi di autostima dei venditori o di formazione. La crisi ha cambiato il mercato e bisogna prenderne consapevolezza altrimenti si resta dove si è. Questo è il momento giusto per fare il punto della situazione e mettere in atto nuove strategie.

Teoria dei vincoli Teoria dei Vincoli oggi è una risposta alla resistenza che tutte le persone mostrano di fronte al cambiamento. Maggiore è il cambiamento, maggiore sarà la resistenza. Nasce con l’intuizione del fisico israeliano Eliyahu Goldratt in ambito industriale alla fine degli anni 70 e qui, oggi, riesce a portare valore con un approccio alla gestione d’impresa completo e focalizzato sui pochi fattori responsabili del risultato economico finale. Il modello organizzativo si basa sull’idea che l’impresa è un sistema di processi, le cui interdipendenze ne regolano il funzionamento. La prestazione complessiva dell’impresa è determinata da un numero limitato di fattori - definiti vincoli - utilizzati come leva per il controllo e la crescita. Esiste sempre un vincolo che limita la capacità di conseguire migliori risultati; se così non fosse la performance del sistema sarebbe infinita e così il suo profitto. In quest’ottica per migliorare la performance di un’organizzazione è necessario gestire il suo vincolo. I vincoli determineranno l’output del sistema sia che essi siano conosciuti e gestiti, sia che non lo siano. Tuttavia, soltanto nel primo caso diventano una buona opportunità, una leva reale per il business. Gestire il vincolo significa controllare la velocità con cui l’intero sistema genera valore.


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Strategia oceano blu

“ L’imprenditore deve lavorare molto sul proprio modello organizzativo, su ciò che è percepito di valore dal mercato per arrivare a valorizzare di più il proprio DNA e creare un messaggio chiaro da trasmettere”

La Strategia Oceano Blu è la teoria secondo la quale i mercati in cui operano le imprese di qualsiasi tipo sono metaforicamente visti come due oceani paralleli di colore diverso, uno rosso ed uno blu, a seconda del modo in cui si decide di operare sul mercato stesso. L’oceano rosso è un mercato ipotetico in cui i manager delle imprese si sono focalizzati da tempo, che comprende tutti i settori esistenti, dove vige una continua lotta tra competitors per aggiudicarsi una maggiore fetta di domanda all’interno dello stesso settore e dove c’è completa assenza di innovazione. In questo tipo di mercato le imprese devono accontentarsi di bassi margini di profitto, perché l’approccio strategico è quello tradizionale, basato sulla sconfitta della concorrenza. Viceversa, un oceano blu è caratterizzato da innovazione. Le nuove idee sono sviluppate attraverso mosse strategiche, cioè da un insieme di azioni e decisioni manageriali che portano alla nascita di nuovi prodotti e servizi che, a loro volta, fanno nascere nuovi mercati. Ma come si passa da un oceano rosso a quello blu? Anche se può sembrare difficilissimo abbandonare le logiche tradizionali e studiare nuove strategie, la svolta non è nell’idea geniale che sbaraglierà la concorrenza, ma è dare un valore innovativo a qualcosa che già esiste, interpretandolo in forma diversa. Si tratta di creare “innovazione di valore”: cambiare l’approccio mentale e superare così i confini tradizionali del proprio settore di riferimento per esplorare nuovi territori, guardando soprattutto ai non-clienti e creando nuovi spazi mercato incontaminati.

Cosa serve oggi soprattutto alle Piccole e Medie imprese? Serve una progettualità che oggi manca: la capacità di definire obiettivi e perseguirli con piani di azioni semplici ma definiti. Proprio in questo contesto stiamo partendo con un progetto, chiamato PMIxPMI in collaborazione con il Project Management Institute, con l’obiettivo di fornire le linee guida di un modello gestionale di valore che oggi esistono solo per le grandi aziende. L’idea è quella di pensare ad un modello ispirato ai principi del project management per le piccole e medie imprese. Il progetto partirà da Brescia: al momento è stato costituito un “gruppo di lavoro ristretto”, formato da 8 imprenditori e 4 project manager, che, con incontri a cadenza bimestrale, avrà il compito di delineare le linee guida di questo modello. Il lavoro del “gruppo ristretto” verrà condiviso in tavoli di lavoro semestrali ai quali saranno invitati tutti gli imprenditori che hanno aderito al progetto, dando lo spazio a nuove eventuali adesioni e pensato per la piccola e media impresa.

stessi e per lo più legati alle persone e al modo di lavorare. Ciò che fa la differenza è il metodo e la capacità di capire cosa si sta facendo, dove si vuole arrivare e perseguire quella strada.

Una donna consulente di piccole e grandi aziende. Come è riuscita ad abbattere il muro di diffidenza e “maschilismo” di certi ambienti? La laurea in ingegneria meccanica mi ha aiutata molto come biglietto da visita. Per tanti imprenditori il fatto di essere ingegnere è sinonimo di autorevolezza e competenza nonostante con loro io parli di marketing. Probabilmente se fossi stata psicologa certe porte non si sarebbero aperte. Devo anche aggiungere che, in effetti, io non ho mai sentito una discriminazione per il mio essere donna.

Lei ha scritto un libro dal titolo”Quando l’imprenditore non si diverte più”. In un contesto critico quale quello odierno come fare? Riscoprire le proprie passioni e ritornare al proprio Dna. Se le cose si fanno con passione, si fanno bene. Spesso i progetti falliscono perchè non si hanno chiari gli obiettivi, e gli obiettivi sono chiari quando c’è passione. |

Qual è il valore della consulenza oggi? La consulenza deve saper offrire un metodo, nel senso che oggi più che mai le aziende necessitano di un nuovo approccio che garantisca una certa rapidità e autonomia. I problemi, anche per imprese di settori diversi, alla fine sono gli

Quale sogno nel cassetto vorrebbe veder concretizzato? Si tratta di un sogno mai dichiarato ma a cui tengo particolarmente. Oggi lavoro con gli imprenditori e con i manager delle aziende. Se ci fossero le condizioni economiche mi piacerebbe aprire OfficinaStrategia anche a chi non è ancora imprenditore, a chi ha un progetto e vorrebbe realizzarlo e gli manca solo quella motivazione in più, oltre alla capacità di valutare la fattibilità di un’idea imprenditoriale.

Nulla costa meno alla passione del mettersi al di sopra della ragione: il suo grande trionfo è di avere la meglio sull’interesse. Jean De La Bruyère www.oxigenio.it

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Innovazione

Rusconi

l’alta gioielleria diventa hi-tech

Gianluca Rusconi presenta la rivoluzionaria maison di distribuzione di gioielli e orologi che punta su qualità, innovazione e internazionalizzazione per presentare al mercato oggetti unici con i marchi Hera, Gebrüder Schaffrath e Noon. Le sfide nel mercato italiano, in Europa e negli Usa

un esemplare della linea ophera con una particolare tecnologia brevettata che consente a un anello di dilatarsi fino a diventare bracciale

Qualità, innovazione e internazionalizzazione. Sono le parole d’ordine di una nuova realtà nel mondo della gioielleria italiana che nasce nel cuore della Brianza per allargare i suoi orizzonti non solo a livello nazionale, ma anche in Europa e negli Stati Uniti. Da questa terra fatta di operosità, di cultura dell’in52

dustria, di forte vocazione al design, ha mosso i suoi primi passi nel 2007 la Rusconi, maison di distruzione di gioielli e orologi che ha il nome e il volto di Gianluca Rusconi, enfant prodige di una famiglia che ha radici nel mondo dei preziosi fin dal 1924, quando sorse la gioielleria Fasana nel cuore di Cantù.

Ophera Gioielli in oro caratterizzati da uno straordinario meccanismo brevettato che consente di modificare la forma di questi preziosi oggetti. Addirittura è possibile trasformare un anello in braccialetto o adattarlo a qualsiasi misura del dito. I gioielli (anelli, orecchini, collier) sono in Oro Bianco o Rosa e possono essere alternati con diamanti bianchi, neri e brown: tutte pietre selezionate e fornite da primari distributori e con un elevato standard qualitativo. I modelli disponibili sono diversi a seconda del tipo di gioiello e per ogni tipologia ci sono differenti versioni. Ophera è frutto di studi d’ingegneria applicata all’alta gioielleria, può arrivare addirittura a contare ben 2750 saldature laser, con incassatura e finitura a mano.


Storie d’eccellenza

gianluca rusconi

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Vhera Anelli, Fedine, Fedi composte da due corpi distinti. Grazie a un particolare meccanismo brevettato, sono uniti in un‘unica struttura su due livelli che ruotano facendo apparire o scomparire la fascia sottostante. Questo consente un duplice utilizzo con la possibilità di essere indossati in due versioni e di essere completamente personalizzati con diamanti, pietre preziose e dediche. Gli anelli sono disponibili in Oro Bianco, Giallo o Rosa, tutti alternati a seconda della richiesta e personalizzati con diamanti e pietre preziose. Sono disponibili in 4 differenti modelli che si distinguono per forma, dimensione e peso. Questi gioielli di alta manifattura hanno un elevato standard qualitativo, una tecnologia avanzata e sono 100% Made in Italy.

E’ lui che ci racconta la rapida escalation di questo progetto che in pochi anni ha saputo costruire solide basi per presentarsi con successo a “Baselworld 2010”, la più importante manifestazione mondiale dedicata a orologi e gioielli, dove ha ottenuto la sua prima consacrazione nel gotha del lusso internazionale. L’idea della casa distributrice comasca è quella di presentare un nuovo concetto di lusso, basato sull’unicità, sull’innovazione, anche grazie all’impiego delle più moderne tecnologie. Ne sono conferma i tre marchi distribuiti e che hanno caratteristiche comuni tra loro pur avendo concept e tipologie completamente diverse. Il primo marchio è Hera: “Si tratta di un brand che racchiude gioielli straordinari – spiega Gianluca Rusconi – che nascono dalla tradizione orafa Made in Italy e che si distinguono per la forte vocazione innovativa sul fronte del design, della tecnologia e delle materie prime impiegate sulla base di produzioni brevettate”. I gioielli Hera hanno due principali collezioni: “C’è Vhera – continua Rusconi – che è una linea dedicata agli anelli e alle fedi nuziali con un meccanismo a scomparsa che rende unico e misterioso questo straordinario tipo di gioiello. E poi c’è Ophera che è una linea ad alto fattore tecnologico, con un’impronta ingegneristica che consente la totale trasformazione di questi preziosi, ad esempio, un anello può diventare un bracciale”.

in alto: un esemplare della linea Vhera del marchio Hera qui sopra: un esemplare della linea Libertè del marchio Gebrüder Schaffrath

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Storie d’eccellenza

“Oggi sentiamo continuamente parlare di lusso ma il vero lusso è la capacità di ciascuno di noi di scegliere consapevolmente, di identificarci per quello che siamo non per quello che indossiamo, per le cose che abbiamo. Il lusso non è il possesso di qualcosa che costa moltissimo, ma è il gusto di scegliere ciò che è davvero unico, non necessariamente di grande valore economico. Il lusso come lo intendo io è scegliere ciò che ci rappresenta, non essere rappresentati da ciò che si è scelto”

Dalla tradizione orafa italiana all’alta manifattura tedesca. Rusconi conferma la sua forte vocazione all’internazionalizzazione pescando in Germania un’altra linea di gioielli fuori dal comune con il marchio Gebrüder Schaffrath: “Quando ho conosciuto per la prima volta questa manifattura – ha raccontato Gianluca Rusconi – ho subito capito che mi trovavo di fronte a qualcosa di eccezionale. Abbiamo tempestivamente messo a punto un progetto di distribuzione in esclusiva per l’Italia, in particolare per la linea “Liberté” che presenta dei gioielli dove i diamanti non sono incastonati ma hanno la possibilità di oscillare “liberamente” con giochi di luce emozionanti. Per la prima volta il diamante è visibile in tutta la sua completezza”. Ma la Rusconi non si muove soltanto nell’ambito dei gioielli, ma in tutto ciò che può rappresentare innovazione nel mondo della gioielleria. Da questa prospettiva è arrivata la conquista della distribuzione, sempre in esclusiva per l’Italia, del marchio Noon. “Sono orologi prodotti da una giovane casa danese - continua Gianluca Rusconi - e sono commercializzati in una fascia di prezzo tra i 50 e i 200 euro. Hanno un particolarissimo quadrante brevettato che li rende molto accattivanti. Questi orologi avranno una prima fase test di distribuzione a partire da settembre e il grande lancio sul mercato consumer in primavera 2011. E’ un prodotto interessante anche nell’ambito B2B per la regalistica aziendale e le personalizzazioni dedicate al mondo delle società sportive”.

Insomma ci sono tanti progetti in cantiere per questa realtà che sta crescendo in un momento molto delicato per il settore del lusso. Alla base c’è una strategia ben precisa. “Dobbiamo partire dalla qualità, da oggetti davvero distintivi in un mercato ultra affollato di proposte - ha voluto evidenziare il giovane imprenditore comasco tenendo conto del fattore innovativo e della connotazione hi-tech”. Ma alla base di tutto c’è una fi losofia precisa: “Oggi sentiamo continuamente parlare di lusso - precisa Rusconi - ma il vero lusso è la capacità di ciascuno di noi di scegliere consapevolmente, di identificarci per quello che siamo non per quello che indossiamo, per le cose che abbiamo. Il lusso non è il possesso di qualcosa che costa moltissimo, ma è il gusto di scegliere ciò che è davvero unico, non necessariamente di grande valore economico. Il lusso come lo intendo io è scegliere ciò che ci rappresenta, non essere rappresentati da ciò che si è scelto”. |

qui sopra: un altro esemplare della linea Libertè del marchio Gebrüder Schaffrath a fianco: alcuni modelli degli orologi noon

Il lusso è un’esigenza che comincia dove la necessità finisce. Coco Chanel

www.rusconisrl.com www.heragioielli.com www.nooncopenhagen.com www.gebrueder-schaffrath.de

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Costruire con qualità Dalla consulenza all’edilizia passando per gli investimenti nel turismo. Una carriera ricca per Claudio Dubbini, ingegnere bergamasco con la passione per le antiche costruzioni e per il lavoro di qualità. Nel 2006 ha acquistato un’abbazia in Umbria che ha trasformato in un resort di lusso testo di Laura Di Teodoro fotografie di Vincenzo Lombardi

Una carriera professionale costruita sul fil rouge della qualità. Claudio Dubbini, ingegnere chimico e imprenditore bergamasco, è passato dalla consulenza aziendale all’attività edilizia dove continua ad applicare quegli stessi principi per il miglioramento dei processi produttivi imparati e fatti suoi negli anni della consulenza. Oggi Dubbini è diventato un vero e proprio imprenditore edile, passando dalle ristrutturazioni di edifici storici e privati tra Venezia e Bergamo a veri e propri investimenti nel settore tra cui, l’ultimo e più importante, la realizzazione di un resort in Umbria, a San Faustino (a Pietralunga, in provincia di Perugia), ricavato da un’antica abbazia del 1200 (Abbazia di San Faustino) e operativo da poco meno di un anno.

Claudio Dubbini, ingegnere chimico e imprenditore

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Claudio Dubbini, ci può ricostruire la sua carriera professionale? Mi sono laureato in ingegneria chimica e per sette anni ho lavorato nella consulenza aziendale per una società di Milano. Qui ho iniziato ad occuparmi di qualità totale applicata alle imprese quindi partecipazione, miglioramento dei processi produttivi, analisi di dati e tecniche statistiche applicate agli organi di processo. Dodici anni fa, circa, un amico mi coinvolse in una ristrutturazione a Venezia e da lì è nata la passione per l’edilizia, diventata con gli anni la mia occupazione principale; ho aperto la mia azienda e ho intrapreso la mia nuova avventura. Anche qui, come nella società di consulenza per cui lavoravo, ho tentato di portare il concetto

di qualità di servizio e di prodotto. E oggi più che mai i sistemi di qualità sono elementi portanti per il settore e diventano l’unico elemento di differenziazione in un mercato complesso e in grave difficoltà. E’ partito da Venezia quindi. Passione per le costruzioni d’epoca? Si, molta. Inoltre ho iniziato negli anni in cui, soprattutto a Venezia, c’era il boom del settore. Mi piace scoprire cose antiche e rimetterle a nuovo senza perdere comunque l’impronta passata. L’ultimo investimento ne è la prova. Il San Faustino Resort? Esatto. Si tratta di un antico monastero, a seicento metri di quota, a San Faustino, in Umbria. L’ho conosciuto via internet e per curiosità, durante un viaggio di lavoro, mi sono fermato da quelle parti e l’ho visto. Era il 2005. Diciamo che è stato amore a prima vista per la sua meravigliosa collocazione: sorta sulle rovine di un insediamento romano e di una successiva torre longobarda, l’edificazione dell’Abbazia è stata completata dai benedettini nel 1289 e ha mantenuto intatto il suo fascino. Non ho voluto perdere tempo e nel 2006 l’ho acquistata; nel giugno dello stesso anno sono partiti i lavori per la ristrutturazione che ha mantenuto l’atmosfera di un’architettura medievale, rievocata dalle ceramiche artigianali, dai lumi in ferro battuto, dai tessuti pregiati. Questo progetto mi ha impiegato 4 anni tra acquisto e lavori. Devo dire che ne è valsa la pena: tra viaggi continui, ritardi burocratici e il


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San Faustino resort

lavoro in sé, oggi le soddisfazioni sono tante. È un luogo senza tempo, bellissimo. Sembra di essere in un altro mondo, immerso nella natura e a contatto con la vita più genuina. Come sta andando il mercato delle ristrutturazioni? Non bene, come l’edilizia in generale d’altronde. In contesti quali Venezia restano comunque gli unici interventi possibili da fare. Altri sbocchi sono le riqualificazioni di vecchie aree industriali. Purtroppo si sta speculando molto sul fronte delle nuove costruzioni e questo 58

ricade sulla qualità di vita, sulla viabilità e sul mercato stesso. Il futuro resta la nuova edilizia incentrata sul risparmio e sull’efficienza energetica: case di classe A, sistemi domotici ad alta tecnologia, fotovoltaico, impianti geotermici, isolamenti, niente più metano ecc.. Personalmente sto puntando proprio su queste cose, su una qualità che alla fine premia e che la gente cerca, nonostante i costi siano comunque più alti. Il motivo? Il risparmio per chi acquista queste tipologie di casa è dell’ordine del 70% all’anno. Inoltre la qualità della costruzione stessa è migliore rispetto a una

Sorta sulle rovine di un insediamento romano e di una successiva torre longobarda, l’edificazione dell’Abbazia è stata completata dai benedettini nel 1289. Durante la seconda guerra mondiale, l’Abbazia San Faustino fu sede del quartier generale di una brigata partigiana che si opponeva alle forze di occupazione. Immerso nelle dolci colline umbre, il Resort conta complessivamente 16 alloggi, dotati tutti di moderni comfort; sono arredati con mobili d’epoca, tessuti pregiati e lampade antiche o in ferro battuto. La chiesa dell’Abbazia, con affreschi del 1500, è divenuta oggi un suggestivo salone che può ospitare meeting ed eventi; il bar nella sacrestia, con volte in pietra, offre la possibilità di degustare e acquistare i prodotti della zona. Nel giardino che circonda l’Abbazia, in posizione panoramica, troviamo la piscina riscaldata, con solarium.


Storie imprenditoriali casa convenzionale: è praticamente scomparso il mattone, sostituito dal cemento armato e da divisori in cartongesso. Oltre alla crisi economica quali sono gli altri ostacoli che rallentano il settore? Sicuramente la burocrazia. Me ne sono reso conto proprio con il progetto in Umbria: due anni e mezzo per avere la linea telefonica e più di anno e mezzo per avere l’Enel. L’eccesso di burocrazia è il problema dell’Italia, a tutti i livelli. La legislazione inoltre è molto complicata e articolata; i regolamenti cambiano di Comune in Comune e non sono sempre facili da comprendere; le leggi si contraddicono e alla fine chi ne risente è il tessuto imprenditoriale e quindi l’economia. In un contesto non facile cosa potrebbe aiutare a rialzarsi, il prima possibile? Rischio di essere ripetitivo ma sicuramente la qualità. Il cliente è diventato molto attento. È bombardato da informazioni, ha la possibilità di conoscere e approfondire. Il livello tecnico e soprattutto critico si sono alzati e l’acquirente non si ferma al solo aspetto estetico ma vuole capire come è costruita la casa. Le imprese devono adeguarsi a questo cambiamento dotandosi di un sistema di qualità che diventa garanzia di un certo servizio. I tempi sono mutati: non è più sufficiente il bravo muratore, è necessario invece l’aggiornamento continuo sui nuovi materia-

li, le innovazioni tecnologie e sul mercato in generale. Chi non riesce a stare al passo con tutto questo è destinato a morire. Consulente, imprenditore edile e da poco anche imprenditore nel settore del turismo con il resort in Umbria... Esatto ed è stato il motivo per cui ho intrapreso questa nuova avventura. L’Italia ha delle potenzialità enormi nel turismo, non le manca nulla. Nessun Paese ha quello che abbiamo noi anche se la crisi si è fatta sentire anche qui soprattutto per una questione di prezzi. Non è possibile competere con nazioni dove il costo del personale è un decimo rispetto al nostro. Sono costi altissimi che incidono sull’intero andamento. In alcune zone addirittura si apre solo per

alcuni mesi all’anno nonostante il costo del personale sia veramente alto ed è il costo principale. E in certe zone alla fine si apre per una stagione molto breve nonostante le occasioni e le opportunità da cogliere ci siano anche negli altri mesi. Come si sopravvive? Per quanto ci riguarda ci stiamo muovendo molto sul turismo individuale, sui matrimoni (tanti gli stranieri che vengono apposta per sposarsi), su convegni, meeting, eventi aziendali ed eventi culturali. Il turismo individuale ormai è diventato un turismo da last second: si decide sempre all’ultimo secondo quando partire e noi dobbiamo essere pronti e accettare questa situazione.

“Il livello tecnico e soprattutto critico si sono alzati e l’acquirente non si ferma solo all’aspetto estetico ma vuole capire come è costruita la casa. Le imprese devono adeguarsi a questo cambiamento dotandosi di un sistema di qualità che diventa garanzia di un certo servizio”

Un altro sogno nel cassetto? Dopo la “fatica” di San Faustino per cui ho dovuto viaggiare molto, vorrei godermi la famiglia e un po’ di tranquillità. |

Gran parte del progresso nella qualità della vita è il risultato dell’opera di individui impegnati a fare ciascuno il proprio dovere con abilità e coscienza. Molte scontentezze personali, nonché tanti difetti dei prodotti e dei servizi, sono la conseguenza del tenere lo sguardo fisso in alto, allo scalino superiore, invece che dritto davanti a sé, al lavoro che si sta facendo. Laurence Peter

www.sanfaustinoresort.com

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logistica

Dalla alla consulenza specializzata:

La capacità di fare squadra, di guardare sempre al di là dell’orizzonte, di trasformare la competitività in una sfida innovativa, di pensare in modo “diverso”. Sono questi gli elementi cardine di un processo che ha portato Log-In Group a diventare tra le realtà leader nel mercato della logistica fi no a trasformare l’azienda in un vero e proprio provider di soluzioni al servizio delle imprese. Oggi il Gruppo di Segrate è punto di riferimento non soltanto nel mondo degli operatori logistici ma ha saputo evolversi per off rire ai propri clienti e al mercato B2B una molteplicità di servizi a valore aggiunto grazie al know-how interno e all’apporto di partner strategici: dalla consulenza del lavoro e fiscale fi no alla consulenza per la sicurezza, dall’office automation alla formazione, dalle attività real estate agli autotrasporti. La fi losofia di Log-In Group è semplice: un unico partner per soddisfare tutti i bisogni dell’impresa. Abbiamo chiesto al presidente Antonio D’Iglio di spiegarci come è nato e come si evoluto negli anni il business di questa interessante realtà. 60

Come nasce l’idea di dar vita a Log-In Group? Nasce dalla volontà di due giovani imprenditori, io e l’amico Massimo Tarantino, cresciuti nel mondo della logistica fi n da bambini visto che le nostre famiglie già si occupavano di movimentazione delle merci. E’ un elemento importante, perché nel nostro modo di fare logistica con i rispettivi servizi integrati, abbiamo sempre messo a frutto questa esperienza maturata sul campo. Per capire e risolvere concretamente tutte le problematiche riguardanti la movimentazione merci, la gestione logistica e del personale non ci si può basare solo sulla teoria e noi abbiamo potuto fare affidamento anche su quello che avevamo imparato in prima linea fi n da piccoli.


Logistica e dintorni

la strategia multitasking di

Log-In Group

Antonio D’Iglio, presidente di Log-In Group di Segrate

Il “motto” del Gruppo è “pensare diverso”. Cosa significa esattamente? Significa non accontentarsi mai, cercare sempre la soluzione più innovativa, porsi con spirito creativo e costruttivo nei confronti del cliente, affidarsi alle nuove tecnologie per ottimizzare e migliorare i processi, fare delle risorse umane un valore aggiunto. Pensare “diverso” è fondamentale per essere competitivi e guadagnarsi la fiducia del cliente, per essere oggi in costante crescita nelle zone strategiche del territorio italiano puntando sulla specializzazione e la diversificazione dei nostri servizi. Difficile in un momento di crisi come questo... Prevediamo di incrementare il nostro fatturato dai 20 milioni del 2009 a 35 nel 2010. La crisi è servita a evidenziare la nostra capacità di essere differenti dagli altri. Lavoriamo sulla qualità, mettiamo in campo persone decise, che non si spaventano nel fare delle scelte e siamo pronti a investire per soddisfare al meglio le esigenze del cliente.

Antonio D’Iglio, presidente del Gruppo di Segrate, spiega le strategie di un’azienda sulla cresta dell’onda, capace di evolversi non solo per offrire soluzioni innovative nella gestione logistica, ma anche nei servizi a 360 gradi dedicati alle imprese. La filosofia di “pensare diverso” alla base della crescita anche in momenti di crisi, puntando anche sulle nuove tecnologie fotografie di Leonardo Grassi 61


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agosto - settembre 2010

Pensare “diversoâ€? significa non accontentarsi mai, cercare sempre la soluzione piĂš innovativa, porsi con spirito creativo e costruttivo nei confronti del cliente, affidarsi alle nuove tecnologie per ottimizzare e migliorare i processi, fare delle risorse umane un valore aggiunto

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Logistica e dintorni

da sinistra: Massimo Esposito e Antonio d’Iglio rispettivamente vice presidente e presidente di Log-In Group

Tra questi investimenti ci sono le nuove tecnologie applicate alla logistica... E’ uno dei nostri punti di forza. Ad esempio la tecnologia RFID, che consente di utilizzare la radiofrequenza con tag identificativi per la gestione logistica tramite apparecchiature palmari o voice. Per ottimizzare tempi e risorse, ormai è necessario puntare sull’innovazione dei processi grazie a strumenti hi-tech di ultima generazione. E poi ci sono gli investimenti strutturali, come ad esempio quelli che Log-In Group sta operando in Sardegna... In Sardegna possiamo contare su oltre 10 anni di presenza consolidata. Il nostro gruppo detiene, ormai, gran parte delle quote di mercato nel settore della logistica legata alla GDO. Stiamo lavorando all’idea di creare un polo della logistica di circa 100mila metri quadrati che possa centralizzare tutte le attività logistiche del territorio sardo. Un progetto che stiamo pensando per i nostri migliori clienti, in modo che possano ottimizzare le loro attuali strutture di magazzino usufruendo di un servizio in outsourcing attraverso noi.

Da alcuni anni ci siamo strutturati per offrire ai nostri clienti una fitta

Log-In Group La presenza sul territorio italiano

rete di servizi che possano risolvere a 360 gradi le esigenze delle imprese. Ci siamo circondati di partner affidabili e professionisti di primo livello in grado di rispondere adeguatamente a tutta una serie di richieste dei nostri clienti Però Log-In Group non è solo logistica... Questo fa parte del nostro modo di pensare “diverso”. Da alcuni anni ci siamo strutturati per off rire ai nostri clienti una fitta rete di servizi che possano risolvere a 360 gradi le esigenze delle imprese. Ci siamo circondati di partner affidabili e professionisti di primo livello in grado di rispondere adeguatamente a tutta una serie di richieste dei nostri clienti. In questo modo un’azienda non ha più bisogno di mettersi alla fi nestra per cercare specifiche soluzioni, ma può tranquillamente affidarsi a noi sulla base di un rapporto di fiducia costruito nel tempo. Quali novità sono in programma nell’immediato futuro? Ci stiamo concentrando molto su tutti gli aspetti del-

la consulenza per la sicurezza ed elaborazione dati per le imprese: contabilità, paghe, ecc. E poi stiamo lavorando sempre di più sulle nuove tecnologie per creare un sistema di magazzino completamente automatizzato. Insomma, non ci fermiamo mai. |

Non preoccuparti della critica. Se non è vera, ignorala; se è ingiusta, evita di irritarti; se è ignorante, sorridi; se è giustificata, impara da essa. Anonimo

www.logingroup.it

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Quando l’ evento diventa sinonimo di successo agosto - settembre 2010

Per garantire il successo di un evento nella scelta della location non si può sbagliare, soprattutto quando si parla di prodotti e marchi nuovi o poco conosciuti. Il buon esito di un evento infatti può condizionare fino al 50 per cento l’andamento futuro delle vendite di prodotti. In tali casi, la qualità dell’evento stesso può rappresentare un primo e importante biglietto da visita dell’azienda, del prodotto e del marchio. Questo il punto di partenza della ricerca e del progetto portati avanti da ClassVenues prima e unica realtà italiana impegnata nella selezione e nella certificazione di location di alto livello che ha stilato un vero e proprio codice con 8 criteri di valutazione. Tra le variabili fondamentali per la riuscita di un evento, la scelta della location risulta essere fondamentale. La richiesta di una sede particolarmente originale e adeguata al tipo di avvenimento da parte del management aziendale è, infatti, una delle più importanti, attestandosi al primo posto fra i servizi desiderati. A fronte di tale realtà, ClassVenues ha dotato le location di classe di apposite certificazioni di qualità e garanzia, individuando delle vere e proprie “location doc”. Su circa 35mila location di prestigio dislocate sul territorio nazionale, ad oggi ne sono state selezionate 2.600 per la certificazione Selected By ClassVenues. Di queste, gran parte sono situate nel Veneto, nel Lazio, in Lombardia, in Toscana, nelle più rinomante località di lago e sono per la maggiore Ville d’epoca e Hotel di lusso. Le ville d’epoca, i castelli, i casolari, i relais, gli hotel e i ristoranti di alto livello sono classificati da ClassVeneus sulla base di un codice di 8 criteri di valutazione che ne stabiliscono le caratteristiche di esclusività, facendone i migliori luoghi in cui organizzare eventi e ricevimenti di vario genere, tra cui anche cerimonie di nozze e vacanze uniche, con l’obiettivo principale di evitare spiacevoli inconvenienti. Questi i punti del codice: 1.

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Prestigio riconosciuto nell’area geografica: una location di classe si caratterizza per la sua storia, il suo design speciale e la sua eleganza, che la rendono un punto di riferimento nell’area geografica; Posizioni esclusive e uniche nel contesto geografico: tutte le location di prestigio sono situate in posizioni considerate uniche. Sono al mare, al lago, in campagna, in montagna o in centro città, ma sempre in posizioni ricercate e le migliori del luogo geografico di riferimento; Ottimo livello di manutenzione: anche gli edifici più belli

Il buon esito di un evento può condizionare fi no al 50 per cento l’andamento futuro delle vendite di prodotti. Per riconoscere e certificare le location “doc”, ClassVenues ha creato un codice di qualità a cura della redazione

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hanno un effetto diverso se non sono mantenuti e curati adeguatamente. Le location di livello si presentano in ottime condizioni e rispettano lo stile originale. Eventualmente, l’aggiunta di nuove tecnologie può offrire ulteriori comfort all’organizzazione di un evento o di una vacanza esclusiva, sempre in armonia con l’ambiente circostante. A questo criterio di valutazione sono sottoposti sia gli interni e gli esterni della location che gli spazi circostanti come i giardini; Esclusività: un evento di classe richiede la possibilità di avere una location in esclusiva;

Tra le sedi preferite per l’organizzazione di eventi, al primo posto si posizionano gli hotel di lusso, scelti dal 70% dei manager, poiché offrono tutti i servizi necessari, dimostrando grande flessibilità nelle soluzioni proposte e professionalità nel supporto dedicato 5.

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Offerta di servizi per gli eventi: per poter rendere un evento unico ed evitare “contrattempi”, è necessario che determinati servizi ci siano e funzionino: il parcheggio, la sicurezza, gli spazi adeguati e correttamente attrezzati, bagni accessibili e in numero adeguato, etc. Cura e ordine di tutti gli spazi correlati: l’alta qualità di una location viene riconosciuta anche dalla cura dei piccoli dettagli, dall’ordine e dalla pulizia; Accessibilità per gli ospiti: il successo di un evento dipende


Eventi Biz

Intervista a Matteo Antonelli, responsabile di ClassVenues L’idea di creare ClassVenues è nata nel 2008. La società ha oggi la sua sede a Brescia. Matteo Antonelli, l’ideatore del progetto, inizia ad analizzare il mercato online legato all’organizzazione di cerimonie di nozze e di eventi in Italia e all’estero. Si rende conto che in un mercato mediamente affollato, un settore è scoperto: quello dell’offerta e della presentazione di location selezionate di alto livello. Inoltre, i siti di riferimento sono principalmente orientati a singole nazioni senza respiro internazionale, sia in Italia che all’estero. Antonelli decide, quindi, di sviluppare il progetto ClassVenues, prima ed unica realtà in Italia a rilasciare certificazioni di qualità a location di prestigio, e poco dopo il “Class Venues CODE”, creato con la collaborazione di un gruppo di Wedding Planner con anni di esperienza. Oggi ClassVenues conta un partner Wedding Planner per provincia su tutto il territorio nazionale. A ottobre del 2009, ClassVenues inizia a rilasciare le prime certificazioni; nel giro di qualche mese le prime 120 location ricevono la targa di “Selected by ClassVenues”.

Matteo Antonelli, responsabile di ClassVenues

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anche dalla raggiungibilità della location; per questo collegamenti con nodi autostradali e aeroporti sono fondamentali; Esperienza nell’organizzazione di eventi: tutte le location di qualità sono gestite da esperti in organizzazione eventi e ricevimenti. Una bella location e un’ottima organizzazione risultano essere elementi di successo di un evento o di una vacanza esclusiva.

Alle location selezionate viene rilasciato l’attestato di certificazione di ClassVenues e sono contattate solo dopo essere state valutate dagli esperti positivamente su tutti gli 8 punti. Tra le sedi preferite per l’organizzazione di eventi, al primo posto si posizionano gli hotel di lusso, scelti dal 70% dei manager, poiché offrono tutti i servizi necessari, dimostrando grande flessibilità nelle soluzioni proposte e professionalità nel supporto dedicato. Per chi invece ha deciso di convolare a nozze, un dato significativo è quello che arriva dall’estero, vale a dire il numero di stranieri che decide di organizzare il proprio matrimonio nel BelPaese utilizzando la cornice delle location più esclusive. Sono, infatti, soprattutto inglesi (per l’80%), americani (per il 14%), tedeschi, francesi, russi, australiani e sud africani (per il 6%). Nella scelta della location tra ville d’epoca, castelli, casali, hotel e ristoranti, sono molto attenti alla qualità, ai dettagli e a tutti i servizi correlati, al contesto e al paesaggio che fa da contorno alla stessa location. Prediligono luoghi situati in aree rinomate (Lago di Como, Amalfi, Toscana, Lago di Garda, per citarne alcune) dove sia possibile festeggiare fino a tarda notte. La tendenza nella scelta delle location per le coppie ita-

Parlate di un’incidenza fino al 50% del buon esito di un evento sull’andamento futuro delle vendite di prodotti. Quali caratteristiche deve avere questo evento per incidere così pesantemente sul futuro dell’azienda? Le dichiarazioni dei responsabili vendite di molte aziende confermano che un venditore o rivenditore che da un evento esce insoddisfatto, indipendentemente dal prodotto/servizio presentato, potrebbe dubitare dell’affidabilità organizzativa dell’azienda stessa e per questo essere meno convinti nell’esporsi sui clienti spingendo le vendite. Questo effetto potrebbe portare a diminuzioni di sell-in rispetto al potenziale massimo dei venditori e rivenditori. Per i responsabili vendita il funzionamento di un evento è un prerequisito alla vendita. Quando un’azienda dovrebbe organizzare un evento in grande stile? Quali le occasioni più appropriate? Per convincere i venditori e rivenditori della qualità dell’azienda e per motivare il proprio personale e creare engagement interno. Complessivamente si può spendere da un minimo di 7/8mila euro a un massimo di circa 500mila euro. Come sta andando il mercato su questo fronte? Diciamo che il bilancio è vario: molte location rinomate hanno prenotazioni per eventi a 2 anni, altre, che sono assolutamente valide, fanno fatica a chiudere i bilanci in positivo. Si affacciano a questo mondo sempre nuove locations aumentando molto l’offerta in un periodo di diminuzione di domanda dovuto alla crisi. Questo permette a chi vuol organizzare un evento di risparmiare, ma allo stesso tempo aumenta il rischio di insoddisfazione finale. È sempre più difficile, soprattutto selezionando e guardando su Internet, capire il valore di una location. Tutte sembrano dare tutto e al meglio, ma quando i nostri consulenti sul territorio vanno a fondo si capisce veramente chi offre la qualità e ha un approccio al cliente efficiente Da dove parte l’idea di creare un codice di qualità per location? Dal proliferare di location per eventi, alcune improvvisate e senza esperienza, altre con qualche caratteristica di qualità e molte deficienze Dalla sempre maggior preoccupazione di chi sta per organizzare un evento di avere brutte sorprese e dal fatto che sempre più le location in difficoltà nel loro core business (ristoranti, hotel, casali, B&B, ecc.) si improvvisano location per eventi aumentando il rischio di brutte sorprese per il cliente.

liane, che hanno programmato di compiere il grande passo, negli ultimi anni sta, invece, cambiando. Sono alla ricerca di location di classe, ma immerse nella natura e circondate da bei paesaggi. Prediligono, quindi, agriturismo, cascine e casolari di alto livello, senza, però, allontanarsi troppo dalle città che devono restare facilmente raggiungibili. | L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità. Ugo Foscolo www.classvenues.com

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Mario Salomone, professore di Sociologia dell’ambiente e di Educazione ambientale alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bergamo e rappresentante per l’Italia alla recente sessione annuale della Commissione per lo sviluppo sostenibile all’Onu

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Green Ecnomy

Più coraggio e più cultura per lo sviluppo

sostenibile

Intervista a Mario Salomone, docente all’Ateneo di Bergamo e rappresentante per l’Italia all’Onu sui temi dello sviluppo sostenibile. Nell’ultima sessione della Commissione si è parlato dell’elaborazione di un insieme di programmi decennali sui modelli di consumo e produzioni sostenibili Una formazione “imprenditoriale” e “manageriale” orientata alla cultura della sostenibilità, un approccio quotidiano proiettato alla qualità di vita e alla concreta ed efficiente pratica dell’innovazione. Tre strade da percorrere per un obiettivo comune: lo sviluppo sostenibile. Il monito arriva da Mario Salomone, professore di Sociologia dell’ambiente e di Educazione ambientale alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bergamo e rappresentante per l’Italia alla recente sessione annuale della Commissione per lo sviluppo sostenibile all’Onu. Lei ha partecipato come membro della delegazione del Governo italiano alla sessione annuale della Commissione per lo sviluppo sostenibile dell’Onu. Che contributo porta l’Italia su questo tema? Il Governo italiano da un lato ha avuto un ruolo di rafforzamento delle posizioni dell’Unione Europea, dall’altro ha portato specifici contributi su temi come la mobilità alpina, i rifiuti, il settore chimico. Inoltre l’Italia ha un ruolo di primo piano nel tema del consumo e della produzione sostenibili, in qualità di promotrice e coordinatrice di una “Task Force” internazionale sull’educazione al consumo sostenibile che sta lavorando, insieme ad altre task forces guidate da altri paesi, a un piano decennale di azione che sarà approvato l’anno prossimo. Quali sono gli obiettivi che vi ponete? In generale, l’obiettivo italiano è di dare più peso e più trasversalità dentro il “sistema Onu” alla Commissione sullo Sviluppo Sostenibile e di favorire la riorganizzazione della “governance” delle Nazioni Unite alla luce della sostenibilità. Il ministro Prestigiacomo, ad esempio, si è impegnata per trasformare l’Unep (il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) da semplice “programma” a “organizzazione”, tipo Unesco, Fao e Oms. Infine, l’Italia ha una responsabilità di primo piano nella preparazione della conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile che si terrà nel 67


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agosto - settembre 2010

La commissione per lo sviluppo sostenibile delle nazioni unite La Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (CSD dall’inglese Commission on Sustainable Development) è stata istituita con la Risoluzione A/RES/47/191 del 22 dicembre 1992. E’ una Commissione funzionale del Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) con il compito di sviluppare la raccomandazione del Capitolo 38 dell’Agenda 21, trattato firmato a Rio de Janeiro nella conferenza dal 3 al 14 giugno 1992. La Commissione è l’unica istituzione dell’ONU che si occupa nel contempo di questioni legate all’economia, allo sviluppo sociale e all’ambiente. La CSD è composta da 53 Stati membri, secondo una ripartizione geografica. La sessione ordinaria si riunisce ogni anno, con la partecipazione dei 53 Ministri di turno e le Organizzazione Non Governative. In occasione del riesame dell’attuazione dell’Agenda 21, la Commissione ha elaborato il testo del Programma per l’ulteriore attuazione dell’Agenda 21, adottato dalla XIX Sessione speciale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGASS - giugno 1997).

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2012 in Brasile e avrà al centro la “Green economy”. Un dirigente del Ministero dell’Ambiente, il dottor Paolo Soprano, che guida anche la Task Force internazionale sull’educazione allo sviluppo sostenibile, è infatti uno dei dieci membri del gruppo di lavoro internazionale incaricato della preparazione della conferenza. Cosa può e deve fare l’Italia per lo Sviluppo Sostenibile? L’Italia ha grandi potenzialità, ha degli ambienti straordinari, ha un passato industriale glorioso ma in parte dilapidato e un eccessivo peso della speculazione e della rendita che porta a una cattiva programmazione dell’uso del territorio. Deve sapere usare la sua grande biodiversità, le sue risorse di creatività, l’eccellenza di luoghi e prodotti per indicare una via di sviluppo basata sulla qualità della vita al primo posto. Dobbiamo trovare un modo per misurare il benessere e il progresso in base a una molteplicità di indicatori e non al semplice PIL. Contano anche fattori immateriali come il grado personale di soddisfazione, la coesione sociale, le relazioni interpersonali, la fiducia negli altri, il senso del bene comune, la vita spirituale, le opportunità culturali, ecc.

Nello specifico cosa può fare il mondo imprenditoriale? Vedo emergere progressivamente imprese innovative e con un elevato grado di responsabilità sociale e ambientale, ma bisogna fare ancora molto perché questa cultura di impresa sia diffusa ad ogni livello e in ogni settore. Il mondo imprenditoriale può formare il suo staff, dai top manager fino agli impiegati e agli operai, può “educare” i fornitori e i clienti e/o i consumatori, lavorando a monte e a valle perché in tutte le filiere si affermi un approccio orientato allo sviluppo sostenibile. Deve insomma credere fino in fondo all’innovazione e praticarla con decisione: la “green economy” è sia la riorganizzazione dei settori tradizionali, sia la creazione di nuove attività e di nuovi posti di lavoro. Un obiettivo importante è senz’altro quello di una “ecologia industriale”, ovvero di un sistema integrato che progressivamente giunga a funzionare come i cicli della natura: zero emissioni e zero rifiuti. Cominciando con il portare alla luce gli impatti nascosti e con l’analizzare il flusso di energia e materiali in tutto il ciclo di vita dei beni, ad esempio per costruire sinergie e forme di integrazione tra settori produttivi diversi, in modo che gli scarti di un settore sia usati come materia prima da altri settori.


Green Ecnomy

Mario Salomone Mario Salomone è professore di Sociologia dell’ambiente e di Educazione ambientale alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bergamo e membro del Collegio didattico della Scuola di Dottorato in Antropologia ed epistemologia della complessità. Dirige dalla sua fondazione (1989) il mensile “.ECO, l’educazione sostenibile” ed è direttore responsabile del semestrale scientifico “Culture della sostenibilità”. È membro del Comitato scientifico nazionale italiano Unesco del Decennio delle Nazioni Unite per l’educazione allo sviluppo sostenibile (2005-2014), del Gruppo di lavoro della Regione Lombardia sull’educazione ambientale nei parchi e nelle aree protette e del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Aurelio Peccei. È, inoltre, segretario generale della rete internazionale di educazione ambientale Weec (World Environmental Education Congress) che ogni due anni organizza i congressi mondiali del settore.

E quello accademico? Nell’università c’è una situazione a macchia di leopardo, con forti resistenze di una mentalità accademica legata a vecchi schemi disciplinari. Lo sviluppo sostenibile dovrebbe entrare come tema trasversale nei curricoli di tutte le facoltà e di tutti i corsi di laurea. Non è, infatti, un tema solo per tecnici e per addetti ai lavori, ma una transizione che riguarda tutti gli ambiti e tutte le professioni.

“Il “sistema Italia” deve fare un salto culturale, in termini di valori, stili di vita, priorità, atteggiamenti e comportamenti. Si parla molto di educare i giovani,ma credo sia urgente educare gli adulti, politici, amministratori, imprenditori, tecnici e i cittadini in genere” Che tipi di stili di vita e modelli di consumo sostenibili siamo chiamati a mettere in atto per un mondo più sostenibile? Nella società si vedono segnali interessanti: ogni giorno si ha notizia di trend “eco” e di nuove iniziative, proliferano gruppi di base e comportamenti “sostenibili”. Mangiare cibo locale e di stagione, ad esempio, è un modo semplice ma molto efficace per contribuire alla sostenibilità, che fa bene anche alla salute. Usare i mezzi pubblici, andare a piedi o in bicicletta è un altro buon esempio. In generale, bisogna puntare alla qualità e alla durata e non all’usa e getta e allo spreco. L’abbondanza di beni di consumo, per lo più a basso costo, tipico dei paesi più sviluppati avviene a spese dell’ambiente e delle condizioni di vita di miliardi di esseri umani.

Quali sono i principali ostacoli che oggi ci dividono da un effettivo sviluppo nel segno della sostenibilità sociale, economica e ambientale? L’ostacolo maggiore che vedo è di tipo culturale: disinformazione, pigrizia mentale, visione di corto respiro, incapacità di progettare su tempi lunghi e su vasta scala. Complessivamente, è tutto il sistema Italia che deve fare un salto culturale, in termini di valori, stili di vita, priorità, atteggiamenti e comportamenti. Si parla molto di educare i giovani, ma credo sia urgente educare gli adulti, politici, amministratori, imprenditori, tecnici e i cittadini in genere. Naturalmente, da questa maturazione culturale dovrebbero poi scaturire politiche concrete, sistemi di incentivazione economica coerenti, soluzioni che tengano conto che siamo ormai quasi sette miliardi di abitanti su un pianeta le cui risorse si stanno via via esaurendo e che negli ultimi venti-trenta anni abbiamo sottoposto a una pressione eccessiva. | Il futuro non è più una scelta tra crescita economica e un pianeta pulito, perché la sopravvivenza dipende da entrambi. Barack Obama www.unibg.it

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agosto - settembre 2010

Impianti di

produzione di energia da fonte rinnovabile Un viaggio alla scoperta delle principali fonti energetiche rinnovabili che nei prossimi 10 anni avranno una crescita senza paragoni, in modo particolare per l’eolico ed il solare di Dario Fiorina, Energy Manager ABenergie Rinnovabili

Sono da considerarsi energie rinnovabili quelle forme di energia generate da fonti che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono “esauribili” nella scala dei tempi “umani” e il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. Sono dunque generalmente considerate “fonti di energia rinnovabile” il sole, il vento, il mare, il calore della Terra. Le fonti energetiche rinnovabili, (solare termico, fotovoltaico, eolico,..) stanno vivendo una stagione di grande sviluppo a livello mondiale, assumendo un peso sempre maggiore nella produzione energetica e nelle strategie politiche dei vari governi. Queste fonti energetiche, oltre ad essere inesauribili, sono ad impatto ambientale nullo in quanto non producono né gas serra né scorie inquinanti da smaltire. Negli ultimi anni la quota mondiale percentuale di energia prodotta tramite queste fonti è molto aumentata; sulla base di questo trend le fonti rinnovabili di energia nei prossimi 10 anni avranno una crescita senza paragoni, in modo particolare per l’eolico ed il solare. In Italia puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, ed in particolare 70

su quella solare, eolica e geotermica, può rappresentare una straordinaria occasione per creare nuova occupazione e ridurre la dipendenza dalle importazioni di greggio, oltre a stimolare la ricerca e l’innovazione tecnologica. Può rappresentare anche una opportunità per ripensare e migliorare la qualità delle nostre città, per rinnovare e recuperare edifici che consumano troppa energia, caldi d’estate e freddi d’inverno. La strada da seguire è dunque quella di valorizzare le risorse naturali - sole, vento, acqua, biomasse e calore del sottosuolo - a seconda delle potenzialità locali. Le principali forme di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile sono: SOLARE FOTOVOLTAICO E’ la tecnologia che converte direttamente l’irradiazione solare in energia elettrica. I pannelli sono composti da unità di base, le celle fotovoltaiche, che praticamente si comportano come delle minuscole batterie in seguito all’irraggiamento solare. Il materiale usato per le celle fotovoltaiche

commerciali è il silicio. Poiché si richiede una sua certa purezza, i prezzi sono tuttora elevati, sebbene in costante diminuzione. Il fotovoltaico in Italia deve il proprio successo all’incentivo statale denominato “Conto Energia”, incentivo che premia tutta la produzione di energia elettrica. L’EOLICO Gli impianti eolici sfruttano l’energia del vento per produrre elettricità. Sono costituiti da aerogeneratori che trasformano l’energia cinetica del vento in energia meccanica e infine quest’ultima in energia elettrica. Possono essere realizzati impianti eolici di varie dimensioni organizzati in “parchi”, con aerogeneratori di altezza e potenza differente. L’eolico è la fonte rinnovabile in maggiore espansione a livello internazionale. In Italia sono installati solo 3.736 MW. IL MINIEOLICO La produzione di energia elettrica dal vento può essere realizzata anche attraverso aerogeneratori di altezza e potenza ridotte (10-20 metri, e anche meno), in grado di


Energie Rinnovabili alla superficie può essere sfruttato per produrre energia elettrica attraverso una turbina a vapore, oppure utilizzato per il riscaldamento per gli usi residenziali ed industriali. In Italia lo sfruttamento della risorsa geotermica è per il momento limitato alla Toscana ed all’alto Lazio con una capacità totale installata a fi ne 2007 di 723 MW, ed una produzione di elettricità di 5.248 GWh pari all’1,74% della produzione elettrica nazionale.

In Italia puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, ed in particolare su quella solare, eolica e geotermica, può rappresentare una straordinaria occasione per creare nuova occupazione e ridurre la dipendenza dalle importazioni di greggio, oltre a stimolare la ricerca e l’innovazione tecnologica servire utenze diff use (aziende agricole, imprese artigianali, utenze domestiche, ecc.) e risultare integrati in paesaggi agricoli. In Italia questo modello eolico diff uso sta compiendo oggi i primi passi, ma ha importanti potenzialità proprio per le caratteristiche del territorio italiano e del vento presenti. LE BIOMASSE La biomassa utilizzabile ai fini energetici consiste in tutti quei materiali organici che possono essere utilizzati direttamente come combustibili o trasformati in combustibili liquidi o gassosi, negli impianti di conversione, per un più comodo e vasto utilizzo. Il termine biomassa riunisce materiali di natura eterogenea, dai residui forestali agli scarti dell’industria di trasformazione del legno o delle aziende zootecniche. In generale si possono definire biomasse tutti i materiali di origine organica provenienti da reazioni fotosintetiche (il processo che permette alle piante di convertire l’anidride carbonica in materia organica sfruttando l’energia solare). LA GEOTERMIA L’energia geotermica è una forma di energia che utilizza le sorgenti di calore, che provengono dalle zone più interne della Terra, nel sottosuolo. E’ naturalmente legata a quei territori dove vi sono fenomeni geotermici (in Italia si evidenziano come “zone calde” la Toscana, il Lazio, la Sardegna, la Sicilia e alcune zone del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia) dove il calore che si propaga fino alle rocce prossime

IL MINI-IDROELETTRICO Con mini-idroelettrico ci si riferisce abitualmente ad impianti idroelettrici di potenza inferiore a 10 MW, di ridotta dimensione e con un basso impatto ambientale. L’energia viene ottenuta attraverso impianti idraulici che sfruttano la portata dell’acqua per muovere le turbine. Il mini-idroelettrico può rappresentare una importante risorsa in molti territori agricoli e montani, sfruttabile sia recuperando strutture esistenti lungo i fiumi (condotte, depuratori, acquedotti), sia, laddove ci siano portate interessanti, realizzando salti e interventi di limitato impatto nei confronti dei bacini idrografici. In Italia la potenza mini-idroelettrica installata a fine 2007 era di 2.522 MW MARE E MOTO ONDOSO Le onde del mare sono un accumulo di energia presa dal vento. Più sono lunghe le distanze e più vi è la possibilità di accumulo. Vista la vastità del mare e l’energia contenuta in un’unica onda, abbiamo un immenso serbatoio di energia rinnovabile che può essere usato. Il totale medio annuo di energia contenuta nel moto ondoso (che viaggia per centinaia di km anche senza vento e con poca dispersione) al largo delle coste degli Stati Uniti (inclusi Alaska e Hawaii), calcolato con acqua di una profondità di 60 m (l’energia inizia a dissiparsi intorno ai 200 metri e a 20 metri diventa un terzo) è stato stimato intorno ai 2.100 terawattora (TWh/yr) (2100×10¹² Wh) (1TWh=1.000.000.000KWh). La produzione di energia da moto ondoso è già una realtà che suscita notevole interesse. Le tecnologie in fase di sperimentazione e quelle già utilizzate (Pelamis, WAC, AquaBuOY, Wave Dragon, ecc...) sono varie e numerose. Sono stati realizzati dispositivi galleggianti ancorati con un cavo che si srotola e si avvolge, tappetini piezoelettrici, contenitori che si riempiono e si svuotano d’acqua, sistemi di galleggianti di varia natura e sistemi fissi sia sulla costa che sul fondo del mare che ottengono energia in tanti di quei modi da farci capire che la fantasia e l’inventiva in questo settore non sono sicuramente mancate. Sebbene “non fossile”, l’energia nucleare non è tradizionalmente considerata rinnovabile in quanto, il suo utilizzo dipende comunque da riserve limitate di materiali. L’uranio-235 infatti costituisce solo lo 0,7% del totale dell’uranio presente in natura, e in base alle riserve di uranio fino ad oggi accertate si prevede che al consumo attuale, ma a prezzi di estrazione via via sempre più elevati, non ne resti che per 200 anni, secondo l’ipotesi più riduttiva. In realtà sono noti non meno di 150 minerali contenenti uranio in percentuali ritenute sfruttabili commercialmente (> 0.5%) e solo alcuni fra questi vengono attualmente utilizzati. |

B&G n.10 pag. 74 L’uso razionale dell’energia B&G n.12 pag. 70 Impianti di energie fotovoltaica una scelta etica e razionale B&G n.13 pag. 80 Il mercato liberto dell’energia elettrica www.abenergie.it

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Edei tichettatura prodotti e

“Made in Italy”

E’ stata approvata dalla Commissione Attività produttive della Camera, la legge sul “Made in Italy” per la commercializzazione di prodotti tessili, pelletteria e calzaturieri. Le sanzioni vanno da 10mila e 70mila euro testo dell’Avv. Vincenzo Diego Cutugno

La Commissione Attività produttive della Camera in sede legislativa ha approvato, all’unanimità, la legge sul “Made in Italy” (Legge 8 aprile 2010, n. 55), per la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri. Le nuove disposizioni saranno in vigore dal 1° ottobre 2010, previa notifica della Ue per il necessario esame di compatibilità. Riassumendo, il disegno di legge in commento prevede che: • la denominazione “Made in Italy” potrà essere utilizzata solamente per i prodotti finiti • il processo di lavorazione dovrà essere svolto nel territorio dello stato italiano per almeno due delle fasi di lavorazione • per le altre fasi sarà comunque necessario verificare la tracciabilità • siano presenti indicazioni di conformità alle normative vigenti in materia di lavoro e sia garantita l’esclusione di impiego di manodopera minorile nella produzione dei prodotti • vi sia una certificazione di igiene e sicurezza dei prodotti • vi sia il rispetto della normativa europea e degli accordi internazioni in materia ambientale. Quali prodotti sono oggetto del provvedimento in esame? Ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 55/2010, «viene istituito un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, intendendosi per tali quelli che sono destinati alla vendita, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi». In particolare, per prodotto tessile, si intende ogni tessuto o filato, naturale, sintetico o artificiale, che costituisce parte del prodotto finito o intermedio destinato all’abbigliamento, oppure all’utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all’impiego quale materiale componente di prodotti destinati all’arredo della casa e all’arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero. Dal testo del dettato normativo emerge chiaramente che il legislatore ha voluto utilizzare un’accezione di prodotti tessili quanto più estesa possibile al fine di ricomprendere al suo interno ogni tipo di prodotto tessile, di pelletteria e calzaturiero. 72

Quali elementi dovrà indicare l’etichetta? Le imprese produttrici dovranno fornire in modo chiaro e sintetico le seguenti informazioni specifiche: • sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, garantendo il rispetto delle convenzioni siglate in seno all’Organizzazione internazionale del lavoro lungo tutta la catena di fornitura • sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti • sull’esclusione dell’impiego di minori nella produzione • sul rispetto della normativa europea • sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale. Si accresce notevolmente, dunque, la quantità di informazioni che i produttori dovranno fornire ai consumatori. Quando sarà possibile utilizzare la dicitura «Made in Italy»? Il testo normativo dispone, al riguardo, che sarà possibile adottare la dicitura «Made in Italy» esclusivamente per i prodotti finiti per i

La normativa riguarda i settori della filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione, il settore della pelletteria, il settore calzaturiero, il prodotto conciario e il settore dei divani quali le fasi di lavorazione (come descritte nel testo di legge, e riportate di seguito) hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare «se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità». Il legislatore ha voluto, dunque, chiarire il significato del termine “prevalente”. Quali sono le fasi di lavorazione? In considerazione della molteplicità dei prodotti oggetto della novella


Internazionalizzazione

normativa, il legislatore ha ritenuto opportuno specificare, per ciascun settore merceologico coinvolto, cosa si intende per “fase di lavorazione”: • nel settore tessile si intendono la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione • nel settore della pelletteria si intendono la concia, il taglio, la preparazione, l’assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione • nel settore calzaturiero si intendono la concia, la lavorazione della tomaia, l’assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione • per il prodotto conciario si intendono la riviera, concia, riconcia, tintura –ingrasso – rifinizione • nel settore dei divani si intendono la concia, la lavorazione del poliuretano, l’assemblaggio dei fusti, il taglio della pelle e del tessuto, il cucito della pelle e del tessuto, l’assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione. Vi sono obblighi anche per i prodotti non etichettati «Made in Italy»? Si. Ai sensi dell’art. 1 comma 10 della legge 55/2010, per tutti i prodotti contemplati dal medesimo articolo, ma non in possesso dei requisiti per l’impiego dell’indicazione «Made in Italy», resta salvo l’obbligo di etichettatura con l’indicazione dello Stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria.

L’obbligo di indicare lo Stato di provenienza prescritto per tutti i prodotti oggetto del provvedimento costituisce, senza dubbio, uno degli elementi su cui si concentrerà prevalentemente la valutazione dell’Unione Europea. A tale riguardo si ricorda che l’obbligo positivo di apporre l’origine (italiana o estera) del prodotto è stato da sempre ritenuto in contrasto con principi di carattere costituzionale e comunitario. In attesa di conoscere il parere comunitario sulle norme di nuova introduzione, l’entrata in vigore della norma è stata rinviata al 1°ottobre 2010. Quali sono le misure sanzionatorie? La proposta individua oggi tre diverse previsioni sanzionatorie: di ordine generale; nei confronti delle imprese; e per l’ipotesi di reiterazione del comportamento sanzionabile. • Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque violi le nuove disposizioni normative è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 Euro. La sanzione può essere aumentata fino a due terzi, nei casi di maggiore gravità, e diminuita fino a due terzi nei casi di minore gravità. In ogni caso, si applicano il sequestro e la confisca delle merci. • L’impresa che violi le nuove disposizioni normative è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a 70.000 Euro. La sanzione può essere aumentata fino a due terzi, nei casi di maggiore gravità, e diminuita fino a due terzi nei casi di minore gravità. In caso di reiterazione della violazione, infine, è disposta la sospensione dell’attività per un periodo compreso tra un mese ed un anno. • Se le violazioni prescritte all’art. 3 com-

ma 1 sono commesse reiteratamente si applica la pena della reclusione da uno a tre anni. Qualora le violazioni siano commesse attraverso attività organizzate, si applica la pena della reclusione da tre a sette anni. Originariamente, inoltre, la proposta di legge prevedeva un’ulteriore ipotesi sanzionatoria nei confronti dei pubblici ufficiali. Essa disponeva che nei confronti del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, preposti all’accertamento dell’osservanza della legge in esame, avessero omesso di eseguire i prescritti controlli si sarebbero applicate la pena della reclusione da sei mesi a due anni (art. 328 c.p.) e la multa fino a Euro 30.000. Tale disposizione costituiva forse quella che suscitava maggior clamore. Essa, difatti, esponeva i funzionari doganali e degli altri organismi di controllo a pesanti rischi riguardanti la loro attività. Le autorità doganali, in particolare, paventavano che il testo normativo così formulato potesse da un lato causare il rallentamento delle operazioni di sdoganamento – gli operatori competenti sarebbero stati, difatti, indirettamente indotti ad eseguire controlli più rigorosi per non incorrere nella violazione penale – e, dall’altro, indurre le imprese a superare le difficoltà poste dalla normativa de qua sdoganando la merce in altri Paesi con ordinamenti meno restrittivi. Quest’ultima disposizione è stata dunque eliminata in seguito all’approvazione dell’emendamento soppressivo del comma 3 dell’articolo 3. |

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superare la paralisi decisionale

Come

Nella nuova rubrica curata in collaborazione con Umania. L’analisi su come migliorare le relazioni umane all’interno del sistema aziendale testo di Massimo Crucitti

In questo breve articolo vi spiegherò come può essere affrontato il silente impegno di chi deve prendere decisioni che condizionano non solo il proprio futuro ma spesso quello di molte altre persone. Mi rivolgo a tanti imprenditori o dirigenti che si trovano alle prese con quotidiane emergenze problematiche e periodici dilemmi strategici. Decidere significa scegliere, solitamente il dubbio è quello di aver fatto la scelta meno economica, non parlo solo di economia finanziaria ma anche di economia relazionale. Siamo tutti legati da relazioni che, secondo la nota ricerca di Milgram, ci consentirebbero di raggiungere il presidente Obama con circa 6 passaggi di amicizie; quindi ogni nostra decisione influenzerà, in seppur minima misura, anche Obama. Ci avevate mai pensato? Basta già questo banale esempio per dare un’idea di quanto le relazioni condizionino ogni scelta considerata autonoma, ma soprattutto ci fa capire che se le decisioni di Obama hanno influenza su ognuno di noi, le nostre hanno influenza su di lui. Tradotto nel vostro sistema aziendale: le decisioni della dirigenza hanno un forte impatto sui livelli più bassi così come quelle dei livelli più bassi impattano sulla dirigenza. Comincia a delinearsi uno scenario estremamente complesso e difficile da prevedere, quello delle relazioni umane. Come si gestisce un aspetto così importante? Chi se ne occupa? Che tipo di formazione deve avere? Come possiamo migliorare le nostre capacità relazionali? In che modo questo aumenta le nostre prestazioni decisionali? Esiste un professionista che si chiama counsellor e si occupa proprio di queste cose. Le radici del counselling appartengono alle scienze umane, il counsellor interviene sulla persona con la parola, a differenza dello psicologo non si occupa di terapia ma di relazioni. Racconterò adesso qualcosa del counselling, ma tenete conto che lo scritto può trasmettere solo una minima parte di quanto accade nel coinvolgimento di tutti i nostri strumenti di comunicazione. La più potente arma del cousellor è costituita dalle domande; apparentemente niente di straordinario, siamo abituati alle domande nei focusgroup, nelle interviste etnografiche, nella selezione del personale. Qui sono esperti che fanno domande per ottenere informazioni, un patrimonio aziendale che purtroppo rimane spesso archiviato nei dossier dei diversi 74

dipartimenti, è straordinario cosa può succedere stimolando connessioni tra tutto questo patrimonio, ma parallelamente occorre curare adeguatamente le perturbazioni innescate da un simile intervento. La stessa cosa può avvenire con le informazioni che archiviamo nel nostro cervello, sono quelle che ci servono quando dobbiamo prendere una decisione; il problema può essere costituito proprio dalla grande quantità di informazioni, occorre mettere ordine e spesso non c’è tempo per farlo. Mettere ordine significa mettere in relazione, non solo, occorre considerare il proprio inserimento in un sistema di connessioni, ma non possiamo osservare in modo obiettivo questo sistema perché ne facciamo

Secondo la nota ricerca di Milgram, le relazioni ci consentirebbero di raggiungere il presidente Obama con circa 6 passaggi di amicizie parte, serve una figura esterna non inquinata dal sistema, paradossalmente serve qualcuno che non sia esperto del nostro problema ma che sia uno scaltro esploratore. L’esplorazione è la prima attività che il counsellor propone attraverso l’arte delle domande, queste devono far scaturire novità, ovviamente io non porto nuove informazioni ma nuove connessioni. La cosa sorprendente è che, pur non proponendo soluzioni, il counsellor mette il cliente nelle condizioni di decidere.Non sappiamo se quella sarà la decisione migliore, non è compito del counsellor perché non è



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esperto di quel tema, ma è in grado di valutare che è stato superato un rischio ancora più grosso di una scelta sbagliata: la paralisi decisionale. La fi losofia del counselling sta nella convinzione che solo il cliente può essere esperto del suo problema ed è quindi la persona migliore per prendere la decisione, nessun consulente può dirgli cosa deve fare, ma la decisione deve essere presa; senza decisioni non c’è strategia e l’azienda prosegue per inerzia su binari che non si sa dove porteranno. Il buon counsellor attiva le risorse del cliente facendo in modo che questi possa svolgere al meglio il suo importante contributo per l’azienda e lo affianca nell’elaborazione di strategie decisionali, esplora il suo mondo relazionale per costruire una mappa che consenta di orientarsi nel complesso sistema di cui fa parte. E’ importante evidenziare il carattere non manipolante di questi interventi, non è necessario manipolare le altre persone per raggiungere gli obiettivi, serve invece com76

prendere come muoversi nel sistema. Per questo motivo il counsellor è vincolato al segreto professionale ed è tenuto a non utilizzare in modo strumentale le informazioni raccolte. Il modello sistemico proviene da un percorso che parte circa mezzo secolo fa nel Mental Research Insitute di Palo Alto per essere principalmente applicato nella terapia dei sistemi familiari. A Milano, dai fondatori del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, viene sviluppato un approccio che desta l’attenzione dello stesso MRI, ne segue un’intensa attività clinica sostenuta da un network scientifico internazionale. I recenti sviluppi stanno beneficiando dell’apporto altamente eterogeneo di più voci professionali, favorendo l’applicazione nel lavoro con le aziende private o con le pubbliche organizzazioni. In particolar modo con Umania stiamo vivendo l’entusiasmo di inediti risultati nei workshop creativi e formativi, dove l’attenta gestione del sistema del cliente consente

la feconda interazione con una polifonia di menti estranee. L’esperienza in contesti così diversi arricchisce progressivamente la consulenza auspicando un sempre più alto livello del profi lo etico. La nostra provocazione creativa è quella di muoversi nel business da gentiluomini; alcuni imprenditori hanno fatto emergere le qualità necessarie ad una simile impresa e, orientandole al bene di tutti, hanno amplificato la motivazione dei collaboratori. Molto c’è ancora da sviluppare in questa attività ed è uno dei motivi che alimentano la mia passione per il counselling: ogni giorno ci rendiamo conto che abbiamo davanti a noi un vasto orizzonte ancora tutto da esplorare e laggiù nuovi tesori attendono solo di essere scoperti. |

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unione fa la forza

L’

L’ associazionismo di impresa come strumento per difendere e conquistare quote di mercato In un contesto di crisi,

consorzi, raggruppamenti temporanei di imprese, gruppi economici di interesse europeo possono assumere un valore strategico di primaria importanza per le piccole e medie imprese che caratterizzano il tessuto imprenditoriale lombardo e italiano. testo di Andrea Manzoni, esperto di ricerca in Marketing per le strategie di impresa

È noto a tutti come il tessuto imprenditoriale italiano sia caratterizzato da una robusta presenza di piccole e medie imprese (PMI). Dati aggiornati al 2005 (risalgono a tale anno gli ultimi dati ufficiali a disposizione), assegnano alle PMI una quota del 99.9% sul totale delle imprese italiane; garantendo l’occupazione all’ 81.3% dei lavoratori e creando il 70.9% del valore aggiunto (fonte: Eurostat, 2008) . Il 95% delle stesse sono rappresentate da micro imprese, cioè da quelle imprese con meno di 10 addetti (fonte: Istituto Nazionale di Statistica, 2008) . Tale prevalenza di PMI in Italia non garantisce loro una certa tranquillità operativa e gestionale in quanto, grazie all’allargamento dei mercati di riferimento ben oltre i meri confini domestici, le nostre aziende si trovano a competere con giganti provenienti anche dall’oriente. Rispetto anche a un passato recente, lo scenario è mutato considerevolmente. Siamo sempre stati abituati a leggere o studiare di trade-off quali quantità / qualità, servizio impersonale / customized, dinamismo imprenditoriale / immobilismo manageriale, ecc., associando alle aziende di piccole dimensioni gli aggettivi positivi (dinamismo, servizio personalizzato, consumer oriented, qualità, ecc.); attribuendo parimenti alle multinazionali o grandi aziende in genere, l’incapacità di affrontare crisi, mutamenti o semplicemente repentini cambi di direzione. Incapacità attribuita prevalentemente alla pesantezza della struttura aziendale ovvero alla lentezza del processo decisionale. Insomma, abbiamo sempre ritenuto preferibile una seducente e romantica barca a vela rispetto ad una autorevole ed imponente transatlantico. Il problema, però, è che ci viene chiesto di attraversare l’oceano e non di fare una breve crociera sul lago di Garda. Nonostante la premessa di questo articolo non sia delle più positive, è fondamentale per garantire la salvaguardia delle PMI ed evitare il declino del sistema italiano non solo economico, analizzare i punti di debolezza, se così si possono definire, e trasformarli in punti di forza. Il riferimento ai termini debolezza e forza, componenti la cosiddetta analisi SWOT non è casuale. Da un’indagine condotta da Unioncamere sulle PMI del comparto manufatturiero, e scaricabile sul loro sito internet, i fattori di competitività dalle stesse PMI evidenziate, quasi come una sorta di autorappresentazione, risiedono principalmente nelle caratteristiche del prodotto (qualità, design, etc…) nella flessibilità, nei servizi pre e post vendita, nella innovazione, etc….. La tabella che segue, riassume i risultati della predetta indagine condotta sulle piccole e medie imprese (escludendo le micro) confrontandole sia con competitor italiani sia stranieri. 78


Strategie d’impresa

Tab. 1 – Vantaggi competitivi PMI (settore manifatturiero)

Fonte: Unioncamere – Il sistema imprenditoriale italiano tra il 2008 e il 2009 (pag. 46) Le PMI italiane hanno ancora qualche asso nella manica, originalità e fantasia a parte. Come emerge chiaramente nel titolo, l’associazionismo di impresa deve essere considerato un valido strumento per poter difendere le quote di mercato e conquistarne di nuove, anche in mercati lontani. In tal modo le nostre PMI conserverebbero le caratteristiche individuate nella tab. 1, acquisendone di nuove, e tipiche delle grandi aziende (in termini di immagine, peso “politico”, risorse a disposizione, etc…). Consorzi, raggruppamenti temporanei di imprese, gruppi economici di interesse euro1. 2. 3. 4. 5.

peo possono assumere un valore strategico di primaria importanza, in quanto permette agli associati di condividere le competenze distintive di ciascuno. Il singolo associato però non dovrà considerare la predetta condivisione come una ripartizione delle proprie abilità e conseguenti guadagni con le aziende con cui si è sempre scontrato sul territorio nazionale; bensì una ripartizione del nuovo valore creato grazie a nuove sinergie. La difficoltà di attuazione risiede appunto nel cambiamento di mentalità imprenditoriale. I competitor locali devono essere considerati come partner strategici. Riduzione dei costi di fornitura (e.g. centrale acquisto unica per tutti i consociati), nuovi clienti che non temono la mancata evasione di un grosso quantitativo (e.g. l’associazione ripartisce l’ordine ricevuto in funzione della capacità produttiva di ciascun associato), ripartizione dei costi per l’internazionalizzazione magari non sostenibili singolarmente (e.g. delegazione in Paesi lontani, servizi di consulenza legale / fiscale internazionale) sono soltanto alcuni dei benefici che derivano dall’associazionismo di impresa . Non per ultimo, anche lo Stato Italiano garantisce agevolazioni di natura fiscale alle associazioni fra PMI, quali ad esempio l’esenzione totale da imposizione fiscale degli utili realizzati ovvero forme di finanziamento a tassi agevolati . Sicuramente il futuro per le aziende di piccole e medie dimensioni italiane, indipendentemente dal perdurare di crisi finanziarie e/o economiche, non è roseo. Le imprese italiane, però, previo un cambiamento di mentalità non più orientato a logiche di guadagno a breve termine, hanno ancora ampi spazi di manovra che possono loro permettere di ricoprire nuovamente un ruolo primario nei mercati internazionali. |

Per un approfondimento: Enterprises by size class – overview of SMEs in the EU. Eurostat, Statistics in focus 31/2008. Per un approfondimento: Struttura e dimensione delle imprese. Archivio Statistico delle Imprese Attive (ASIA) del 24/07/2008. In realtà l’analisi dell’ISTAT è riferita all’anno successivo, cioè il 2006. È ragionevole pensare, comunque, che anche nel 2005 le percentuali fossero simili. L’analisi SWOT è uno strumento di pianificazione strategica che prevede il controllo dei punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), opportunità (Opportunities) e minaccia (Threats). Il ruolo svolto dall’associazione, nonché i vincoli / limiti che caratterizza il rapporto associato – associazione è liberamente stabilito dai consociati. Al riguardo la normativa italiana garantisce un grado di libertà ed autonomia pressoché completa. Per approfondimento, vedere Legge 21/5/1981 n.240 e normativa sui consorzi export.

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Marketing d’ acquisto e fidelizzazione supply chain partner Quali strategie per fidelizzare i clienti e ottenere così un reale ritorno dell’investimento per lo scouting, valutazione, selezione, qualificazione, contrattazione, gestione rapporto e abbattimento barriere all’uscita o sostituzione di Alberto Claudio Tremolada Metatech Group - Socio e responsabile G.a.m. Componentistica in Adaci sez. Lombardia/Liguria (Ass. It. di Management degli Approvvigionamenti)

Uno fra i principali obiettivi delle aziende consiste nel raggiungere un soddisfacente e proficuo livello di Customer Loialty. Per centrare l’obbiettivo è imprescindibile coinvolgere chi si occupa degli acquisti, figura fondamentale nella catena del valore prodotto internamente. I tre lati del triangolo classico utilizzato per gli acquisti operativi, cut & stock cost, improvement quality e short lead time hanno efficacia se considerati per acquisti spot di prodotti fascia B-C (prendendo come riferimento Il principio della cosiddetta “legge 80/20” formulata da J.Juran nel 1950, nello specifico l’80% dei prodotti/servizi equivale in termini di fatturato e importanza solo al 20% del totale acquistato). Ma quando l’enfasi è su prodotti/servizi strategici per la produzione o difficilmente sostituibili con altri (nello specifico prendendo anche come riferimento il modello delle cinque forze competitive di Michael Porter, accademico ed economista Statunitense), fondamentale diventa poter contare non più solo su fornitori ma su partner strategici solidi e affidabili. Ma in realtà fidelizzare il fornitore perché è importante? Quali fornitori necessita fidelizzare? Con quali strategie si possono raggiungere i migliori risultati? Soprattutto per prodotti/servizi di fascia 80

A è evidente l’importanza di avere partner affidabili che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi Aziendali di brevemedio e lungo periodo. Fidelizzare con efficacia permette inoltre di ottenere un reale ritorno dell’investimento per lo scouting, valutazione, selezione, qualificazione, contrattazione, gestione rapporto e abbattimento barriere all’uscita o sostituzione. Tenersi un fornitore affidabile costa meno dell’acquisizione di nuovi, banale ma spesso si dimentica, non deve però escludere il monitorare continuamente il mercato valutando sempre nuovi fornitori, per aggiornarsi sulle novità e cambiamenti dei mercati. Assolutamente determinante se in mercati complessi, competitivi, globalizzati dove è più forte la concorrenza anche negli acquisti. Ogni fornitore è un soggetto autonomo con le proprie specifiche caratteristiche. Ricerche e studi possono fornire un quadro e tendenze generali sui suoi comportamenti più frequenti, ma è assodato che ogni fornitore ha la sua storia, cultura, bisogni, motivazioni ed obiettivi. Una strategia di fidelizzazione vincente deve essere pertanto in grado di rispondere efficacemente prima alle esigenze delle

persone che fanno parte dell’organizzazione del fornitore ( tramite interesse, ascolto, apprezzamento, focus sugli obiettivi ), tenendo comunque presente che non tutti sono fornitori strategici e che alcuni possono essere troppo dispendiosi in termini di benefici/costi. Meglio concentrarsi su quelli che sappiano dare risultati apprezzabili fin dal primo contatto. Per ottenere la fiducia è necessario dimostrare apertura, interesse ed ascolto, la trasparenza è fondamentale per un profittevole rapporto duraturo. Altro aspetto basilare riguarda i propri obiettivi e la condivisione comune, è necessario garantire quanto si promette al fornitore. Il marketing e le strategie di fidelizzazione possono non raggiungere l’obiettivo prefissato se quanto promesso e condiviso non trova attuazione concreta. Non è profittevole, genera maggiori costi e mette a rischio i vantaggi raggiunti, il fornitore diventa un partner affidabile se soddisfatto e se si riesce a superare le aspettative. Alcune modalità per raggiungere tale scopo: • •

con contratti di partnership con condizioni fi nanziarie che con-


Marketing

• • •

sentano risorse per investimenti o accantonamenti off rendo incentivi al raggiungimento di determinati livelli di performance ( misurabili tramite le supply chain balanced scorecard ) coinvolgendoli nella progettazione dei nuovi prodotti/servizi e nel miglioramento degli esistenti ( co-design ) aprendo un canale preferenziale di comunicazione ed interscambio fornendo dati/informazioni e supporto di cui ha bisogno

Per esempio se si hanno come fornitori fonderie (un settore chiave del comparto manifatturiero nel quale opera anche Metatech Group, con oltre 1.100 fabbriche nel nostro Paese per un totale di quasi 30.000 addetti) potrebbe essere vantaggioso rivolgersi a u.m.s.q. (unique manufacturing supplier qualified), essendo integrati verticalmente o in network consentono economie di esperienza-scala o scopo per: • • •

• •

Automatizzare parte delle attività è possibile utilizzando piattaforme integrate funzionali in grado di gestire le vendor list affiancati da strumenti di Business Intelligence. I contesti dove possono aver luogo efficaci strategie di fidelizzazione sono davvero molti incontri e visite periodiche in Azienda o presso il fornitore, fiere, eventi ecc. Da considerare anche la “geo-fidelizzazione” che è un’insieme di attività volte a favorire il mantenimento dei fornitori di un determinato territorio per garantirsi l’appetibilità ( i fornitori si parlano ). Per fidelizzare si parte da lontano. Già dai primi contatti è possibile gettare le basi per un rapporto duraturo, acquisendo informazioni essenziali che consentono di creare un vendor profi le così da mettere in atto azioni mirate e strategie personalizzate, per ottenere il massimo dal rapporto con il fornitore. |

ridurre costi, stock e tempi consegna migliorare il livello qualitativo e di servizio risolvere problematiche esistenti, ottimizzare e semplificare i prodotti o acquisire vantaggi tecnologici/produttivi ( anche per materiali e tecnologie alternative a quelle utilizzate ) supporto progettuale e tecnico aumentare la competitività sui mercati

Prestare attenzione ai bisogni ed esigenze del fornitore è complementare al prestare attenzione agli obiettivi d’acquisto.

B&G n.10 pag. 72 Supply chain involvement partnership B&G n.13 pag. 78 Supply lean marketing

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L’innovazione

esponenziale

Creare un nuovo spazio competitivo per rendere irrilevante la concorrenza e sopravvivere alle sfide di domani. L’importanza di defi nire nuove regole del gioco nel mercato di riferimento per riuscire a navigare in un oceano blu limpido e tranquillo di Edoardo Monopoli

Nel numero precedente abbiamo trattato il tema del miglioramento incrementale, generalmente prodotto con molti piccoli e frequenti cambiamenti che sommati assieme portano comunque a effetti considerevoli, solitamente nell’ambito dei processi aziendali. Esiste però un diverso livello di innovazione, che viene solitamente descritta come “esponenziale” o ”radicale” (in questo articolo utilizzeremo i due aggettivi come sinonimi). Il risultato di questo tipo di innovazione è la creazione di un vantaggio competitivo duraturo, basato sulla definizione di nuove regole del gioco nel mercato di riferimento. Kim e Mauborgne, nel loro best seller del 2005 “Blue Ocean Strategy” descrivono bene la differenza tra il miglioramento incrementale, definito “strategia oceano rosso” e l’innovazione esponenziale, chiamata “strategia oceano blu”. Mentre il miglioramento serve a rendere un’azienda sempre più performante in un’arena competitiva resa rossa dal “sangue” della competizione, l’innovazione esponenziale permette di creare un nuovo spazio competitivo (un “oceano blu limpido e tranquillo”), rendendo in ultima analisi irrilevante la concorrenza. Abbiamo provato a riepilogare nella tavola sottostante i diversi tipi di innovazione, distinguendo tra impatto ed oggetto dell’intervento:

Tipi di innovazione

Incrementale

Il cammino impervio dell’innovazione radicale Anche le aziende si estinguono, come è capitato ai dinosauri al termine del periodo Cretaceo. I due ri82

cercatori Foster e Kaplan hanno dimostrato in proposito che delle migliori 100 aziende nella classifica di Forbes del 1917, solo 13 sono sopravvissute, peraltro con scarse performance. Ogni business affronta due domande fondamentali: deve ottimizzare le attività quotidiane per sopravvivere alle sfide di oggi e deve rinnovare tempestivamente tali attività per sopravvivere alle sfide di domani. Le aziende che sanno al contempo gestire il quotidiano e prepararsi al futuro sono rare. Le aziende-dinosauro sono quelle che sono cresciute, specializzandosi per dominare un certo assetto competitivo. Esse sono perciò caratterizzate da: • • •

Il dominio di pochi modelli mentali o paradigmi, che noi chiamiamo “dogmi” Strutture complesse e con elevate interdipendenze, che creano sovente un blocco alla circolazione di informazioni e di idee innovative Risorse umane con competenze specialistiche e mirate per produrre risultati ottimali nel business corrente, ma meno flessibili e adeguate ad un business futuro differente.

Eppure la profonda, scioccante recessione che stiamo ancora vivendo richiederebbe approcci veramente nuovi. L’innovazione radicale non è però un impegno piacevole: il rapporto tra tentativi avviati e successi ottenuti è naturalmente più basso che nel miglioramento incrementale e determina risultati a medio termine in contesti spesso condannati al risultato mensile, se non settimanale. Inoltre distrae i manager e i loro collaboratori dal core business, che al momento assicura la redditività dell’azienda. Conseguentemente il “partito dei detrattori” dell’innovazione radicale risulta essere sempre in maggioranza su quello dei suoi sostenitori. Non a caso in molti settori (es.



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videogiochi, linee aeree, entertainment) coloro che hanno avuto la forza di cambiare le regole del gioco sono stati i nuovi entranti, vale a dire organizzazioni non condizionate dalla “sindrome del dinosauro”. Ma è proprio un dilemma irrisolvibile? Come si coltiva l’innovazione esponenziale Le indicazioni che abbiamo tratto dalla nostra attività, per permettere all’innovazione radicale di generare dei risultati concreti in aziende già avviate, sono ricordate di seguito: 1. 2. 3. 4.

E’ meglio separare l’innovazione radicale dal business corrente La vera lotta è contro i dogmi aziendali e di settore Il futuro è già accaduto: è solo inegualmente distribuito. E’ meglio testare un prototipo imperfetto che attendere la perfezione ed arrivare in ritardo sul mercato

Separare l’innovazione radicale dal business corrente Viene spesso utilizzata l’espressione “greenhousing” (tradotto in italiano con “coltivare in serra”) per sottolineare come le idee radicalmente innovative siano paragonabili inizialmente a delle piantine giovani ed un po’ gracili. Tali piantine hanno bisogno di cura ed attenzioni particolari, non di essere sottoposte al test immediato del business corrente. Purtroppo, spesso in azienda succede esattamente questo: le buone intuizioni vengono soffocate prima che possano essere sviluppate. Alcuni esempi sono rappresentati dalla richiesta insistente di “business case”

Smascherare i dogmi diventa fondamentale per permettere all’innovazione radicale di farsi strada in azienda, una volta che la “piantina” è pronta per essere spostata dalla serra

mente portatori di una visione più strategica, ma il resto della squadra dovrebbe dedicarsi full time e con spirito imprenditoriale alla missione dell’innovazione esponenziale, senza sentirsi condizionata da capi intermedi e da logiche di conflitti. La vera lotta è contro i dogmi aziendali e di settore E qui arriviamo alla seconda affermazione: tutte le aziende sono vincolate da dogmi o paradigmi. Il DNA delle aziende è impresso con le soluzioni che hanno riscosso successo nel passato, conducendole a rifiutare gran parte delle idee realmente innovative. Le frasi “da noi si è sempre fatto così” o “nel nostro settore si opera in questa maniera” creano un vero e proprio filtro alla capacità di cogliere per tempo i segnali del cambiamento. Più un’azienda ha prosperato nel passato, più radicati sono i dogmi che la caratterizzano. I dogmi sono “verità rivelate” che non possono mai essere messe in discussione, proprio perchè sono condivise da tutti, magari richiamandosi all’“età dell’oro” del fondatore o di un alto dirigente che ha inciso il proprio marchio nel corso di un periodo particolarmente felice della vita aziendale. I dogmi sono riferiti a tre domande fondamentali: 1. 2.

economico-finanziari o dall’applicazione di processi di sviluppo prodotto tipici di estensioni di gamma e non di innovazioni radicali. Più la ricerca dell’innovazione radicale è spiccata, più bisognerebbe separare in maniera netta l’“incubatore” delle nuove idee da coloro che gestiscono il core business. Naturalmente vanno conservati i legami con il vertice aziendale o l’imprenditore, normal84

3.

Che cosa fa la differenza per la soddisfazione del cliente? Che cosa rende la nostra azienda unica rispetto alla concorrenza? Come possiamo organizzarci per avere successo?

Smascherare i dogmi diventa fondamentale per permettere all’innovazione radicale di farsi strada in azienda, una volta che la “piantina” è pronta per essere spostata dalla serra.

Il futuro è già accaduto: è solo inegualmente distribuito Questa famosa citazione del grande scrittore di fantascienza americano William Gibson mette in evidenza come per sviluppare idee radicalmente innovative bisogna guardare in modo realmente creativo all’ambiente che ci circonda, anticipando le tendenze (economiche, sociali e demografiche, tecnologiche, regolatorie...) e comprendendo appieno i cosiddetti customer insights, i futuri bisogni dei clienti che spesso nemmeno gli stessi clienti sono in grado di articolare in maniera precisa. Solo un’azienda veramente aperta nei confronti dell’ambiente è capace di produrre innovazione esponenziale. Si parla perciò di “open innovation”, per descrivere un processo di innovazione che coinvolge soggetti ed organizzazioni che non appartengono all’azienda, ma che con essa si alleano per produrre idee senza precedenti. La sua naturale conseguenza è la quarta caratteristica dell’innovazione radicale, vale a dire che è meglio “testare un prototipo imperfetto, piuttosto che attendere la perfezione e arrivare in ritardo sul mercato”. Le aziende che inseguono standard perfetti, innamorate delle fasi pilota che devono produrre risultati inequivocabili, raramente generano innovazione radicale. Essa segue un percorso non lineare e con interazioni frequenti con clienti, fornitori, altri soggetti esterni, tutti interessati a far crescere insieme la “piantina” dell’idea. |

B&G n.13 pag. 70 Riorganizzare l’azienda partendo dal cliente www.valeocon.it


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Tecnica e arte il mestiere dei

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Speciale Sigari - Dal seme alla cenere - Terza puntata

Cigar world

Lo speciale a puntate realizzato in collaborazione con Davidoff prosegue con la descrizione e il culto della lavorazione manuale del tabacco che dĂ vita ai sigari. Tradizione e passione si mescolano a esperienza e rigidi controlli: ecco lo stile della maison elvetica a cura di Enrico Della PietĂ Brand manager Davidoff per International Tobacco Agency

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Dopo esserci soffermati sull’arte dell’essicazione e della miscelazione del tabacco, in questo numero raccontiamo quello che potremmo definire un vero e proprio culto della lavorazione del sigaro. Un procedimento a metà tra arte e scienza, tra passione e ragione, dove ogni gesto è scandito da ritmi precisi, tecniche rigorose e straordinarie emozioni. Questo è lo stile Davidoff dove ogni dettaglio produttivo è rigorosamente controllato e pianificato. Il tabacco già pronto per essere lavorato e trasformato in sigari arriva in CiDav (acronimo di Cigarros Davidoff), una magnifica struttura in stile coloniale, inaugurata a Palmarejo nel 1998 per rappresentare al massimo la filosofia produttiva di questo marchio di fama mondiale. In questa struttura, attrezzata con validissimi torcedores e sottoposta ad un continuo e maniacale trattamento igienico, vengono create le marche di proprietà della maison elvetica che tutti i fumatori conoscono (parliamo quindi di Davidoff, Wiston Churchill, Avo Uvezian, Griffin’s, Zino Platinum, Zino Classic, Bundle Selection e delle preziose Edizioni Limita-

Un procedimento a metà tra arte e scienza, tra passione e ragione, dove ogni gesto è scandito da ritmi precisi, tecniche rigorose e straordinarie emozioni. Questo è lo stile Davidoff, dove ogni dettaglio produttivo è rigorosamente controllato e pianificato te etc…). Qui avviene la lavorazione e la miscelazione del tabacco secondo procedimenti che mescolano tradizione e arte con le più ricercate tecniche di controllo qualità. Sulla base di precise esigenze organizzative, tutto il tabacco che entra in fabbrica viene analiticamente classificato per tipologia, zona di provenienza e qualità. Dopo la fumigazione, il tabacco fa il suo ingresso in “cucina”, cuore pulsante dell’intera struttura produttiva. Qui, su un lungo tavolo, le foglie vengono 88


prima divise per tipologie, caratteristiche, provenienza e invecchiamento, quindi vengono assemblate in piccoli mazzi. Ma non si tratta di semplici fasci di foglie. Ognuno di essi, supervisionato da sapienti miscelatori, è destinato a comporre la tripa di un sigaro ben preciso e le foglie assemblate in questa stanza non si separeranno più fino alla produzione di diverse e preziose linee di sigari che tutti conosciamo. Nella fabbrica i tor-

Speciale Sigari - Dal seme alla cenere - Terza puntata

Cigar world

cedores lavorano con la stessa maniacale precisione degli orologiai svizzeri. L’operazione di confenzione del sigaro consiste innanzitutto nell’arrotolare la miscela di foglie da ripieno in una sottofascia che consente di creare la cosiddetta pupa. Successivamente, la pupa viene inserita in un “molde” (stampo, in spagnolo), che è differente a seconda del formato e che le conferisce una particolare forma grazie a una pressa azionata a mano. Le fasce esterne, invece, dopo essere state selezionate e tagliate a regola d’arte, vengono avvolte con una calibrata pressione intorno al ripieno e alla sottofascia. E’ una fase delicatissima: questa operazione richiede infatti grande accuratezza perché serve a garantire al sigaro un tiraggio uniforme che altrimenti ne pregiudicherebbe la qualità. Alla fine, la testa del sigaro viene sagomata con maestria utilizzando il medesimo pezzo della fascia esterna e poi il sigaro viene tagliato nella lunghezza desiderata. Ogni singolo sigaro prodotto da Davidoff viene controllato manualmente da un supervisore e ogni minimo difetto ne determina lo scarto. La gloria o il declino di un sigaro passano attraverso gli abili gesti di questi straordinari artigiani e la selezione è severissima. Per questo, ogni sigaro Davidoff racchiude la storia, l’arte e il piacere di questo mondo straordinario al di là dell’oceano. | B&G n.13 pag. 105 L’arte della lavorazione del tabacco B&G n.12 pag. 88 L’origine del tabacco Il sigaro è una grande risorsa in quanto inganna la fame, sconfigge la noia, rasserena, aiuta a riflettere e spesso richiama alla mente dolci ricordi. Il duca di Rochefoucauld-Liancourt www.davidoff.com www.itagency.it

il fumo nuoce gravemente alla salute

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Tempo di nuove sfide per Davidoff Intervista al Brand Manager per l’Italia, Enrico Della Pietà, che racconta le strategie commerciali, di comunicazione e parla in anteprima del lancio del “Puro D’Oro”, una nuova linea di sigari 100% dominicani che rappresenta una svolta epocale nel mondo dei sigari Probabilmente alla base di tutto c’è la voglia di sfida. da. Quella personale di Enrico Della Pietà, con una formazione in comunicazione e marketing, che ha accettato di mettersi in gioco in un mondo come quello del tabacco che gli era sconosciuto. Da due anni è lui l’uomo nuovo nel pianeta dei sigari in Italia. Quella industriale di una marca di fama internazionale come Davidoff, che dopo vent’anni passati alla continua ricerca della perfezione di processo e di prodotto, si presenta oggi sul mercato con una nuova collezione di sigari 100% dominicani e che rappresentano una svolta epocale nel settore. Quella imprenditoriale di una realtà come Ita – International Tobacco Agency, che su Davidoff (e i suoi vari marchi) ha puntato davvero molto in questi anni detenendo la distribuzione in esclusiva e coltivandola con oltre 150 agenti e promoter sul territorio nazionale, percorsi di formazione mirata ed eventi dedicati. Ad Enrico Della Pietà, brand manager Davidoff per l’Italia abbiamo chiesto di tracciare una fotografia sull’evoluzione di questo marchio, sull’andamento del mercato e sulle strategie commerciali nel prossimo futuro. Innanzitutto la domanda è d’obbligo: come va Davidoff in Italia? Sembra retorico eppure è così: Davidoff è sempre sulla cresta dell’onda. Basti pensare che in momenti di crisi generale come questi, noi abbiamo registrato una crescita nel 2010 di circa il 10% con un 25% di nuovi clienti attivi. E’ la dimostrazione che la qualità paga. Cosa distingue Davidoff dai suoi principali competitor? L’ampia gamma di offerta, la forza di mantenere e incrementare la penetrazione del mercato, la capacità di soddisfare e gratificare sia la rete distributiva sia il consumatore finale. Noi abbiamo una grande presenza, siamo vicini ai nostri clienti e loro se ne rendono conto. 90

Enrico Della Pietà, Brand manager Davidoff per International Tobacco Agency


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Enrico Della Pietà Dopo aver intrapreso la carriera universitaria in Scienze della Comunicazione a Padova è costretto a interrompere gli studi per seguire interessanti opportunità di lavoro che lo portano a spostarsi sia in Italia che all’estero. Inizialmente si occupa di studi e ricerche di mercato per poi specializzarsi nel marketing strategico e nella gestione di gruppi di lavoro. Segue con successo lo sviluppo commerciale di una realtà multinazionale con il Wall Street Institute, operando sia sul fronte italiano che estero per oltre cinque anni. Il passaggio alla Ita – International Tobacco Agency nel 2009 rappresenta una nuova sfida pronta per essere colta in un settore, quello del tabacco, ancora tutto da esplorare.

Come è strutturato il mercato italiano? E’ un mercato molto particolare, con un grande numero di tabaccherie stratificate su tutto il territorio e molto diverse tra loro per dimensione, specializzazione, caratteristiche distintive. Noi siamo presenti con un centinaio di punti vendita specializzati e in altre 1500 rivendite più generalizzate. Siamo molto attenti alla cosiddetta fi liera in modo che il cliente finale possa sempre riconoscersi e riconoscere la qualità Davidoff.

unici che riescono a utilizzare esclusivamente lavorazioni a mano, insieme a tecniche di controllo qualità completamente artigianali, che permettano di offrire a chiunque in qualunque parte del mondo la stessa costanza di prodotto garantita nel tempo. E adesso arriva sul mercato la grande novità di “Puro d’oro”… “Puro D’Oro” è la più grande novità Davidoff dell’ultimo decennio. Esattamente 10 anni dopo il lancio della celeberrima serie “Millennium Blend” e a distanza di vent’anni dall’avvio della produzione di sigari in Repubblica Dominicana, Davidoff si presenta con una svolta epocale: il “Puro D’Oro” è il primo sigaro realizzato esclusivamente con tabacchi e foglie di copertura provenienti dalla Repubblica Dominicana. Ci sono voluti dieci anni di ricerca e sperimentazione per arrivare a questo importantissimo traguardo. Come state progettando il lancio di questa nuova linea? Il via è previsto a settembre con la distribuzione mirata nei nostri punti vendita più selezionati e con una serie di eventi di presentazione. Ad esempio saremo partner dei “100 vini” organizzato dal gruppo Meregalli all’Autodromo di Monza il prossimo 27 settembre. Invece, dal 3 al 5 settembre, saremo protagonisti del Luxury of Taste al San Domenico Pala-

Qual è la sua strategia commerciale e promozionale? Noi operiamo in modo molto analitico. Verifichiamo la domanda sulla base di indagini di mercato e sviluppiamo specifiche strategie commerciali che abbiano sempre come punto di rifermento la qualità e il valore del marchio. Stiamo lavorando anche per modernizzare e impiegare nuove soluzioni tecnologiche volte a velocizzare e migliorare il dialogo tra noi e la rete distributiva. Inoltre vogliamo dedicarci con grande attenzione al consumatore finale con eventi, degustazioni, momenti “emozionali” per dare sempre maggiore riconoscibilità al sigaro Davidoff quale oggetto dallo straordinario valore emotivo e di collocazione sociale. Il “Puro d’oro” E poi c’è grande attenzione all’aspetto formativo… Esatto. Abbbiamo pensato di mettere a punto un progetto di formazione costante a tutta la struttura commerciale. Ho identificato due k-account, Nico Alunno e Arturo Ciullo, quali figure di riferimento, che sono in prima linea per questa attività coinvolgendo anche esperti del settore e lavorando affinché si possa promuovere una vera e propria cultura del sigaro. Questo ci permette di identificare dei rivenditori “ufficiali” specializzati, in grado di garantire una “customer experience” interamente votata al nostro consumatore.

Cosa significa essere brand manager in Italia di un marca così importante? É sicuramente un grande onore. Ho la possibilità di gestire i migliori prodotti sul mercato sulla base di una leadership riconosciuta. Davidoff è un brand che manifesta qualità, prestigio, fi losofia del saper vivere e inoltre, mi offre l’opportunità di conoscere e condividere iniziative con tutte le aziende di alto profi lo che sono sinergiche ai nostri prodotti. Sto puntando molto sulle politiche di partnership che ci consentiranno di migliorare sempre di più la percezione della qualità e la cultura di una marca come Davidoff. Ma qual è la qualità distintiva di un sigaro Davidoff ? Il sigaro Davidoff è per antonomasia il sigaro perfetto. Noi controlliamo verticalmente tutta la fi liera “dal seme alla cenere”. Siamo gli

Grazie ad un lungo lavoro di ricerca svolto con la passione di un artista, Hendrik Kelner - famoso esperto di tabacco e responsabile Davidoff nella Repubblica Dominicana - ha perfezionato per la linea «Puro d’Oro» una foglia di copertura coltivata esclusivamente nella zona di Yamasá nel sud dell’isola, particolarmente adatta a questo tipo di coltivazione. Questa esclusiva foglia di copertura esterna cresce nei campi di tabacco di terra rossa, ricca di importanti minerali ed in grado di trasmettere un aroma unico.

ce Hotel di Taormina. Questi eventi saranno il preludio di altre iniziative che svilupperemo via via nei mesi successivi, come ad esempio un’importante evento su Roma. Per noi questo è un momento magico perché quando si lancia un prodotto rivoluzionario come questo si deve lavorare sodo sul fronte della progettazione e della strategia sia commerciale che comunicativa. E’ una nuova grande sfida. |

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I primi passi della a in Italia Il mito dei cantieri

nautica motore

Riva

Dagli Stati Uniti all’Italia. Prosegue la storia della nautica a motore che vede protagonista in questo speciale il cantiere navale Riva passato dal costruire barche da carico a cabinati di prestigio a cura di Roberto Magri “Opera”, una delle ultime realizzazioni del cantiere di Sarnico

Se nel 1884, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, sulle sponde del lago St. Clair (nello stato americano del Michigan) mister Christopher Columbus Smith varava la sua prima imbarcazione da diporto a motore, dando così vita al primo cantiere navale a vocazione diportistica, già da qualche anno, sulle sponde di un altro lago, quello di Iseo, nella cittadina di Sarnico, in provincia di Bergamo, un altro precursore della nautica da diporto, tale Ernesto Riva, sposato con Carolina Malighetti, nel suo piccolo cantiere attendeva alla costruzione di barche da carico, da pesca e da passeggio. L’attività crebbe e in breve tempo la piccola azienda, avviata dal papà Pietro (che era giunto sul lago di Iseo, quasi per caso provenendo da Lario, in provincia di 92

Como, perché chiamato da un notabile locale, tale signor Giacinto Carena da Sarnico, che aveva avuto modo di apprezzarne l’arte di calafato e gli aveva quindi proposto di trasferirsi per provvedere alla riparazione di due imbarcazioni danneggiate da un fortunale) che portò a dieci il numero dei dipendenti ed accanto alla attività di costruzione di imbarcazioni da diporto, Ernesto, certamente intraprendente e versato negli affari, affiancò una attività che oggi definiremmo di “ chartering”, Era accaduto che un armatore di Como avesse commissionato al cantiere Riva la progettazione e la costruzione di un battello a vapore per venticinque passeggeri ritenendo che i piaceri della crociera lacustre non dovessero essere privilegio soltanto di coloro

che fossero economicamente in condizione di permettersi di possedere una imbarcazione propria, ma anche di coloro che volessero noleggiare un battello. L’iniziativa piacque ad Ernesto che, dopo aver consegnato l’esemplare al committente, decise di costruirne un gemello per dare vita ad un’attività di noleggio anche sul lago di Iseo. L’iniziativa ebbe successo e coadiuvato dalla moglie Carolina, abile cuoca, diede vita anche ad un punto di ristoro per i gitanti in transito. Le guerre e le pestilenze dei primi del Novecento priveranno Ernesto dei suoi figli lasciandogli solo Serafino, il terzogenito, che proseguirà l’attività di famiglia, la cantieristica navale, dove prepotentemente aveva ormai fatto irruzione il motore a scoppio.


Nautica Story

l’equilibrio formale dell’oggetto corrisponde al significato della parola greca che gli dà il nome: ariston: “il migliore”

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Risalgono agli inizi del ventesimo secolo i primi record di velocità e Serafino, nel suo cantiere, fabbrica anche imbarcazioni da corsa con le quali si cimenta anche personalmente. Nel 1934 un’imbarcazione Riva, equipaggiata con un motore BPM da un litro e mezzo, si aggiudicherà il record mondiale di velocità di categoria superando i 107 km/h, quando il suo unico figlio maschio, Carlo, aveva appena compiuto dodici anni. Il cantiere Riva entrava nella storia della nautica non solo italiana. Come sempre accade, dall’esperienza sportiva all’applicazione industriale il passo è breve e nascono così, come era accaduto negli Stati Uniti di America, i primi motoscafi da diporto. Ma è con il secondo dopoguerra, negli anni della ricostruzione, che il cantiere Riva si colloca, con rapida progressione, al vertice del diporto nautico divenendo una icona irrinunciabile per il jet-set mondiale. E’ da dire, però, che gli inizi furono piuttosto tribolati, il credito scarseggiava e le garanzie erano poche ma lo spirito imprenditoriale, la passione ed il talento, probabilmente uniti ad una buona dose di fortuna, non ultima l’incontro con l’amico Gino Gervasoni, pure di Sarnico, che sposerà la sorella di Carlo, Dafne, consentirono al giovane Carlo Riva di divenire il demiurgo della nautica da diporto eguagliando e superando la fama ed il prestigio del cantiere statunitense Chris Craft, unico autorevole concorrente nella gamma dei “runabout” di piccolo cabottaggio. Se da un lato il cantiere del Michigan annoverava tra i suoi estimatori, come si è già ricordato, personaggi del calibro di Dean Martin, Katharine Hepburn, Frank Sinatra, Elvis Presley, tanto per citare i più noti, va detto che il cantiere Riva poteva annoverare

Il cantiere Riva poteva annoverare tra i propri estimatori e clienti Sofia Loren, Saddrudin Aga Kan, Roger Vadim, Elizabeth Taylor e Richard Burton, Brigitte Bardot, Silvana Mangan tra i propri estimatori e clienti Sofia Loren, Saddrudin Aga Kan, Roger Vadim, Elizabeth Taylor e Richard Burton, Brigitte Bardot, Silvana Mangano. Siamo negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, dove la vita mondana si consumava tra via Veneto a Roma e la costa Azzurra. Sono gli anni della “dolce vita”. Sono gli anni in cui nasce il “Tritone”, splendido motoscafo dalle linee superbe ed ineguagliabili, palcoscenico di attrici affermate e sogno di giovani talenti. La gamma dei motoscafi Riva si infoltisce e così, accanto ai piccoli motoscafi “Scoiattolo” e “Sebino” ecco nascere, dalla felice matita dell’ufficio progettuale dei cantieri Riva, l’ “Ariston” il “Florida” ed il famoso ed indimenticabile “Aquarama”. Poi nasce il piccolo “Junior”, maneggevole e veloce, adatto allo sci nautico ed ideale come “tender” per i grossi panfi li come l’“Odysseia” di Elizabeth Taylor e Richard Burton, 94


Nautica Story

nella pagina a fianco dall’alto: Disegni progettuali di “Aquarama”; il mitico “Florida”; “Yunior”, “tender” dello tacht acquistato all’epoca da Elizabeth Taylor e Richard Burton. nell’immagine: “Aquariva”, reinterpretazione moderna di “Aquarama”

al quale seguirà “ Olympic” che chiuderà l’epopea dei motoscafi Riva in legno. Il Ventesimo secolo è al giro di boa e si affaccia prepotente la vetroresina provocando una rivoluzione nella cantieristica navale. Lo stampo, dentro il quale si stratifica la vetroresina, consente costruzioni seriali e rapidità di esecuzione che, con il crescere del costo della manodopera, rappresenta certamente un fattore determinante per gli equilibri finanziari dei cantieri.E così si affacciano sul mercato due sobrie imbarcazioni, il “ Bahia Mar” ed il “25 fisherman” , entrambi di derivazione americana ove il cantiere “ Bertram” stava vivendo il suo migliore momento anche per le ripetute vittorie nelle competizioni motonautiche. Il “Bahia”, così confidenzialmente chiamato dagli estimatori era realizzato sulla struttura del Bertram 20, imbarcazione di poco più di sei metri, dotato di una piccola cabina prodiera, di una postazione di manovra ben protetta e di un discreto prendisole a poppavia. Il “Fisherman” era invece realizzato sulla struttura del “ Bertram 25” ed era dotato di una zona coperta, per l’epoca, ampiamente vivibile, e disponeva di un proporzionato “flybridge” che consentiva di timonare l’imbarcazione da una posizione sopraelevata rispetto alla tradizionale, in ciò imitando i fisherman dai quali, appunto, mutuava il nome. La strada è ormai segnata ed ai due piccoli cabinati ne seguiranno altri e prestigiosi come il

“Riva 42” di poco meno di tredici metri di lunghezza, il “Riva 45” e poi il “48” ed il “Riva 50” che vanno tutti ad annoverarsi nella gamma dei cabinati di prestigio. La produzione non disdegna gli “open” e cioè quei cabinati privi di “fly bridge” e così nascono il “ Riva 2000”, il “ saint Tropez”, ed il “ Bravo”. Il design muta e con esso i gusti della clientela ai quali Il cantiere di Sarnico si adegua e la penna dei progettisti disegnano il “Diable”, il “Black Corsair” e poi ancora “Opera” e “Dolcevita” ma forse la più bella creazione è rappresentata da “Aquariva”, reinterpretazione moderna di “Aquarama”: forse malcela il desiderio di voler tornare alle origini. |

B&G n.12 pag. 92 “I primi pasi della nautica a motore con la leggendaria Chirs-Craft” B&G n.10 pag. 82 “Coppa America oltre 150 di grandi sfide” Chi ha il dominio del mare ha il dominio di tutto. Temistocle www.marboats.it www.riva-yacht.com

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Pilota e imprenditore le sďŹ de di Sergio Rota 96


Miti a quattro ruote

All’inizio fu una mini moto cavalcata all’età di 6 anni. Come tutti i grandi viaggi cominciano dal primo passo, così questo fu il battesimo di sangue di Sergio Rota nello straordinario mondo dei motori. Quella mini moto che all’epoca sembrava possente e vera come le moto dei “più grandi”, quella mini moto che fu un regalo di papà Arnaldo innamorato dei motori come il fratello Pietro, un mito nella famiglia Rota, perché negli Anni ’60 corse la SeiGiorni in Polonia come indipendente. Parte da questa immagine l’avventura di un pilota che oggi fa faville al Ferrari Challenge e al trofeo Maserati. Un’immagine che ha il sapore di altri tempi, della benzina fatta a miscela, delle mani sporche di olio motore e grasso della catena. Perché il mondo dei motori è fatto così: puoi guidare anche una Formula 1, ma le emozioni sono uguali per tutti quando sotto il sedere ti ritrovi un motore che pulsa, che è fatto di combustibili e combustioni, di liquidi che scorrono e pistoni che galoppano. Per capire la passione di Sergio Rota bisogna cominciare da qui, da quella mini moto

“Da 105 anni la mia famiglia lavora nel mondo delle auto e credo che oggi la mia passione per la competizione sia un modo per celebrare questa tradizione”

Storia del pilota bergamasco in lotta nel Trofeo Maserati, per il titolo assoluto e nel Ferrari Challenge per la vittoria mondiale. Il sogno per il futuro: coltivare il talento dei più giovani. Dalle corse alla guida di una delle concessionarie più conosciute in Lombardia con i marchi Alfa, Fiat, Maserati e Ferrari

che poi diventa di cilindrata sempre maggiore insieme all’età di un ragazzino che cresce e che arriva a disputare il campionato italiano trial nella classe 240 con la Fantic. Ma il sogno, il grande sogno arriva a 15 anni quando papà Arnaldo riceve l’invito al paddock del Gran Premio di Monza. Purtroppo per quel giorno ci sono solo 2 pass, troppo pochi per soddisfare tutti gli appassionati della famiglia Rota: il papà Arnaldo con i figli Sergio e Patrizio insieme allo zio Pietro e al cuginetto Curzio. Allora che fare? Chi lasciare a casa? L’idea del padre Arnaldo è un’astuzia che consente di salvare capra e cavoli. I grandi in bella vista sui sedili, i tre piccoli cuginetti rinchiusi nel baule dell’auto per passare i controlli alla porta Vedano. Per Sergio quei momenti sono una rivelazione. Chiuso nel baule, con la vista bloccata dal buio, è il trionfo dell’immaginazione: fuori ci sono motori che rombano, una “musica” inconfondibile che trasforma il sogno in realtà. Il cuore di quel ragazzino è ormai rapito dal mondo delle corse. Dopo le moto comincia la carriera nei rally insieme al fratello e poi arriva l’approdo in pista. Il ragazzino diventa uomo, imprenditore e un pilota più maturo. Dal 2000 è un escalation, prima con l’Alfa Romeo, poi la Fiat, la Maserati e infine, il mito Ferrari nel Challenge. Tanti podi, tante vittorie e la promessa per il titolo che oggi sembra più concreta che mai. “Quest’anno sono in campo sia nel trofeo Maserati che al Ferrari Challenge – ha spiegato Sergio Rota – e 97


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pensare che la stagione in Maserati doveva essere una toccata e fuga. Ho partecipato alla prima gara, quella a Monza, solo perché ci tenevo a non mancare un appuntamento così magico. Era dal 2005 che il trofeo Maserati non ripartiva da Monza e io non volevo mancare. Certo non mi aspettavo di arrivare primo davanti a un mito come Ivan Capelli. Un successo incredibile che sarebbe bastato a chiunque. Per questo poi ho scelto di concentrarmi sul Ferrari Challenge, ma ho avuto forti e piacevoli pressioni da Maserati per continuare a correre e così

Il ragazzino diventa uomo, imprenditore e un pilota più maturo. Dal 2000 è un escalation, prima con l’Alfa Romeo, poi la Fiat, la Maserati e infine, il mito Ferrari nel Challenge. Tanti podi, tante vittorie e la promessa per il titolo che oggi sembra più concreta che mai ho deciso di essere presente a tutte le gare del finale di stagione”. E Sergio Rota lo ha fatto a modo suo trasformando la sua Maserati in un bolide verde militare con un cofano nero opaco dove troneggia la scritta Replay: un omaggio che il pilota bergamasco ha voluto fare a Claudio Buziol, amico e fondatore del marchio conosciuto in tutto il mondo, prematuramente scomparso nel 2005 a soli 47 anni, anch’egli grande appassionato di motori. La nuova accoppiata Sergio Rota e Replay è frutto della fondamentale collaborazione di un altro grande uomo della casa di moda trevigiana, quel Tony Andolfato che oggi si occupa del business development che che sedeva al fianco di Buziol nelle sue performance in pista. C’è sempre questa doppia visione delle cose in un personaggio come Sergio Rota che sa calcare il palcoscenico, ma non dimentica i contenuti più profondi come il forte legame per un amico che come lui amava il mondo delle corse.

Una doppia identità come quella di pilota e imprenditore di successo con una delle concessionarie Alfa, Fiat,Ferrari e Maserati più conosciute in Lombardia. E proprio questa capacità di analizzare la realtà anche con lo sguardo attento dell’imprenditore gli ha permesso di continuare a “investire” nel piacere dei motori. “Certo non da solo, ma anche grazie a tutti gli sponsor che mi sono stati vicini in questi anni – ha sottolineato Sergio Rota. Ho cercato di costruire un progetto importante dietro alla mia passione per i motori che potesse essere condiviso anche dai miei partner. E tra i partner c’è da sottolineare l’importante accordo con Amato Ferrari e la sua AF Corse di Piacenza, che gestisce per conto del team Ferrari tutto il settore corse extra Formual 1. E’ infatti Amato Ferrari a gestire per noi - con 98


Miti a quattro ruote

E una nuova scommessa attende Sergio Rota, che si prepara a un nuovo futuro nel mondo dei motori, come investire nei più giovani “Ho 42 anni, non posso correre in eterno. Presto mi dedicherò a coltivare il talento dei più giovani, di coloro che hanno la capacità ma non i mezzi per correre. Io cercherò di fare del mio meglio perché dei ragazzi talentuosi possano andare lontano”. Ecco una nuova grande sfida sta per cominciare. | la conosciuta “chirurgica” professionalità - tutto lo sviluppo meccanico e ingegneristico, consentendoci di essere ancor più competitivi”. Le ultime parole di Sergio, prima di tornare al volante e salutarci sono dedicate alla sua azienda: “Da 105 anni la mia famiglia lavora nel mondo delle auto e

credo che oggi la mia passione per la competizione sia un modo per celebrare questa tradizione. Perché l’impresa è competizione, è sfida come nello sport. E adesso ci attendono nuove sfide con il mercato, con l’esigenza di investire nella ricerca e sviluppo, con la voglia di non arrivare secondi”.

Non saprete mai come si sente un pilota quando vince. Ayrton Senna www.rotagroupspa.it www.rotacorse.it

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Un Viaggio nel paese delle

Pagode

Un itinerario nel cuore di Myanmar, il paese pi첫 buddista del mondo, alla scoperta di templi, aspetti della vita rurale locale e antiche memorie coloniali. a cura di Bradipo Travel Designer

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turismo Testatina a 5 stelle

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Bradipo Travel Designer propone un itinerario classico ma particolareggiato per partire alla scoperta del paese più buddista del mondo: partendo da Yangoon con la sua la pagoda Shwedagon, il tempio più venerato in Myanmar, per raggiungere poi Monywa, una tradizionale città birmana, attraverso Mandalay e Sagaing. Lungo il tragitto per Bagan si potranno scoprire interessanti aspetti della vita rurale locale per poi visitare l’immensa piana templare e proseguire verso il romantico lago Inle. Il viaggio inizia a Yangon, antica capitale del Myanmar, ancora conosciuta come Rangoon, situata alla convergenza dei fiumi di Bago e di Yangon. Questa città accosta memorie coloniali britanniche, templi buddisti e indù, chiese cristiane e moschee musulmane che la rendono una delle città più esotiche e mozzafiato del paese. Qui è piacevole godersi una passeggiata lungo i marciapiedi delle strade principali, larghi e spaziosi, invasi dai mercati e dai tavolini dei ristoranti oppure mescolarsi ai fedeli che recitano le loro preghiere in un’oasi di pace, ammirando le immagini simboliche di un luogo dove la dottrina buddista permea ogni attimo della vita quotidiana. Molto interessante il Museo Nazionale, dove ammirare i manufatti antichi immergendosi nella affascinante storia del paese. Imperdibile la celebre pagoda Shwedagon, il tempio buddista più venerato in Myanmar. Si parte poi alla volta di Mandalay, dove si pernotterà presso l’Hotel by the Red Canal, piccolo e grazioso, che rappresenta una celebrazione dell’artigianato del Myanmar con i suoi mobili in teak, gli accessori in rattan, la madreperla ed altri materiali locali come il marmo che decora le pareti dei bagni. Un’esperienza unica è quella di perdersi negli splendidi giardini del Shwenandaw Kyaung, l’antico palazzo reale Birmano, dove si arriva ad immaginare lo splendore che ha caratterizzato questi luoghi fin dai tempi antichi: l’oro zecchino di cui sono ricoperti i cornicioni separa il rosso dei legni pregiati dal cielo sempre di un puro colore turchese. Al tramonto salire sulla collina di Mandalay ricca di scalinate a spirale e templi,

permette di farsi trasportare dal pensiero in tempi lontani, ammirando lo splendido paesaggio da punti panoramici mozzafiato. Immancabile una visita alla pagoda Mahamuni che ospita uno dei Buddha più venerati del paese, che nel corso del tempo è stato rivestito d’oro e, per finire, una traversata sul fiume Irrawaddy per visitare l’antica capitale di Mingun, sede della Pagoda più grande, non ultimata e distrutta da un terremoto. Attraversando il ponte sul fiume Irrawaddy si arriva a Sagaing. La collina è costellata di pagode e templi dipinti di bianco, che costituiscono il centro religioso del Myanmar e ospitano tremila monaci e svariati centri di meditazione. Con tre ore di auto da Mandalay si raggiunge Monywa, una tradizionale città birmana costruita sulle rive del fiume Chindwin.

Attraversando in battello il fiume e dopo un breve percorso a bordo di una jeep, si arriva alle grotte situate in una fenditura delle colline di Powintaung. Questo straordinario complesso è costituito da 947 ambienti scavati nell’arenaria della collina e contiene quella che gli archeologi considerano la più grande raccolta di pitture murarie e statue di Buddha di tutto il Sudest asiatico. Lungo la strada che porta a Pakokku, affascinante cittadina dalla ricca tradizione artigianale, si attraversano villaggi tradizionali, dove è possibile osservare i contadini che si arrampicano sulle palme per estrarre il succo dal quale producono lo zucchero di palma. Con una traversata di due ore sul fiume Ayeyarwady si raggiunge Bagan, città ricca di pagode e templi favolosi: solo visitandola è possibile comprendere perché sia

L’itinerario alla scoperta del Paese parte da Yangoon con la sua pagoda Shwedagon, il tempio più venerato in Myanmar, per raggiungere poi Monywa, una tradizionale città birmana, attraverso Mandalay e Sagaing

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Turismo a cinque stelle

considerata una delle meraviglie dell’Asia. Difficile descrivere e commentare i numerosi templi costruiti secondo stili differenti nei vari periodi in cui Bagan è stata il fulcro culturale e religioso più importante dell’intera regione; lo stile architettonico adottato per la costruzioni degli edifici si è infatti evoluto velocemente nell’arco dei secoli per

dare più luce agli spazi interni, utilizzando materiali provenienti anche dall’India. Qui si soggiorna al Myanmar Treasure Resort, una struttura inserita in un’area archeologica di grande interesse, con camere arredate in modo tradizionale, arricchite da opere d’arte. Un’intera giornata è dedicata all’esplorazione delle bellezze di questa città:

dal colorato mercato Nyaung Oo dove ogni giorno gli abitanti giungono per vendere o acquistare prodotti freschi, proseguendo con la splendente pagoda Shwezigon, per terminare con la visita ai templi di WetkyiIn Gubyaukgyi, Htilominlo e Ananda, uno dei più belli di Bagan. Al tramonto, Bradipo Travel Designer propone una crociera sul fiume Irrawaddy dove verrà servito un cocktail su un banco di sabbia. Un modo magico per terminare la giornata. Con un volo interno si raggiunge in seguito il lago Inle, un’oasi circondata dall’altipiano meridionale dello Shan. Una volta raggiunto il lago dal villaggio di Nyaung Shwe, a bordo di una barca a motore privata si raggiunge l’altra sponda per ammirare uno dei paesaggi più spettacolari del paese. Sul lago sono stati costruiti diversi villaggi su palafitte, abitati dalla tribù Intha. I giardini e i villaggi gal-

INFO UTILI SUL MYANMAR Capitale Nay Pyi Taw Stagionalità Dal punto di vista climatico, i mesi migliori per visitare il Myanmar sono quelli da novembre a febbraio, quando le precipitazioni sono ridotte e il caldo è tollerabile. Se intendete recarvi nelle stazioni climatiche collinari o sulla costa di Rakhine, la stagione più indicata va da marzo a maggio, periodo invece proibitivo se desiderate visitare Bagan e Mandalay. L’afflusso turistico nel paese è minore in maggio, giugno e settembre. Documenti I viaggiatori di nazionalità italiana, così come quelli della maggior parte dei paesi, devono essere muniti di visto d’ingresso, che consente una permanenza di 28 giorni, e che sarà necessario richiedere prima della partenza, poichè non vengono rilasciati visti all’arrivo. Ai fini del rilascio occorre presentare, fra gli altri documenti, il passaporto con una validità residua di almeno sei mesi. Moneta kyat (K). Il dollaro US può essere usato in alternativa al Kyat per pagare il soggiorno in hotel, biglietti aerei e visite ai musei e ai vari siti archeologici. Invece per pagare le spese di tutti i giorni si preferisce la valuta locale. Lingua Birmano, oltre a karen e dialetti chin, shan e kachin Clima Clima gradevole e mite tutto l’anno. Religione 89% buddhista theravada, 4% cristiana (3% battista, 1% cattolica), 4% musulmana, 1% animista, 2% induista e altre religioni Fuso orario Sei ore e mezzo avanti rispetto al meridiano di Greenwich

leggianti offrono interessanti scorci della vita locale; sarà possibile ad esempio osservare la particolarissima tecnica di pesca utilizzata dagli indigeni: essi remano con una gamba in modo da avere le mani libere per pescare con una rete conica. Si prosegue quindi verso la Pagoda Phaung Daw Oo, il principale santuario della zona, che contiene cinque immagini sacre di Buddha rivestite d’oro. La mattinata seguente sarà dedicata agli acquisti di artigianato locale che è possibile fare al mercato galleggiante, dove la parola d’ordine è “contrattare”. Qui Bradipo Travel Designer propone un corso di cucina presso una casa tipica birmana, un’opportunità davvero interessante per conoscere i sapori tradizionali e la preparazione dei piatti della cucina locale. Si alloggia al Myanmar Treasure Resort, posizionato sulle tranquille sponde del lago, dove un’enorme terrazza consente di ammirare il tramonto, poco sopra la silouhette delle montagne, con le nuvole che sembrano incendiarsi mentre si specchiano nelle acque. Un viaggio in Myanmar si trasforma così in un’esperienza unica di meditazione e riflessione alla scoperta di sensazioni mistiche e di beatitudine. | Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere. a Dalai L ama www.bradipotravel.com

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Macef Autunno Dal 9 al 12 settembre 2010 Sede: Polo fieristico Milano

Macef, Salone Internazionale della Casa, è dedicato a tutti i settori e le merceologie in cui si articola la vita domestica, compresi gli spazi all’aperto e la vita in compagnia dei piccoli animali e la cura della persona, presentata attraverso la vasta area Bijoux, dedicata a bigiotteria, accessori moda, oreficeria e gioielleria. Macef è una mostra molto grande (occupa quasi per intero Fiera Milano) che da oltre quarantacinque anni anticipa e propone le tendenze, i prodotti, i materiali degli oggetti di uso domestico.

Anteprima 8 e 9 settembre 2010 Sede: Polo Fieristico Milano

Un’occasione di incontro e confronto di idee con le migliori società produttrici di pelle, sintetico, accessori e componenti per calzatura, pelletteria, abbigliamento ed interni in pelle. Una rassegna altamente specializzata, riservata ai designer, ai produttori della moda e del lusso, al top del mercato internazionale. Anteprima si svolge due volte l’anno. E’ una presentazione “in esclusiva” di idee e proposte per la messa a punto dei campionari, che vengono poi esposti a Lineapelle, la maggiore fiera mondiale di settore.

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Milano Unica Dall’8 al 10 settembre 2010 Sede: Polo Fieristico Milano

Milano Unica riunisce le manifestazioni italiane da oltre 25 anni che rappresentano con successo il tessile italiano ed europeo. I tessuti del Made in Italy sono il punto di riferimento internazionale per la produzione di gamma: da qui la richiesta di mercato di una razionalizzazione dell’offerta. Per questo motivo Ideabiella, Ideacomo, Moda in e Shirt Avenue hanno trovato la formula giusta per fondere concretamente la tradizione con il nuovo.

Surface Expo Dal 15 al 18 settembre 2010 Sede: Nuova Fiera di Bergamo

Surface Expo è l’unico salone nazionale interamente dedicato alla fi nitura industriale ed al trattamento delle superfici. Si rivolge ai seguenti settori merceologici: pretrattamento e verniciatura, sgrassaggio con solventi, lavaggio con soluzione acquosa, vibrofi nitura e burattatura, fi nitura e pulitura meccanica, sabbiatura e granigliatura, galvanotecnica, attrezzatura ecologica per la fi nitura, centrifugazione, prodotti di consumo, accessori ed apparecchiature di supporto, strumentazione per il controllo dei processi, altre macchine ed altri impianti, lavorazioni per conto terzi.

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I prossimi appuntamenti

L’agenda delle Fiere NoFrills Expo 24 e 25 settembre 2010 Sede: Nuova Fiera di Bergamo

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Positività, rete e innovazione: la strada per il successo passa da qui. E’ questo il fi l rouge che lega tutti gli appuntamenti convegnistici della decima edizione di NoFrills. Sul palcoscenico della kermesse sfi leranno interlocutori di prim’ordine, a partire dal ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla, attesa per il giorno di apertura della manifestazione. Da Alpitour World e dalla storica adv vicentina Tonello Viaggi, alle nuove figure professionali dei consulenti di viaggio, fi no ai grandi gruppi di agenzie come Blu Holding, che, da poco attuata una virata nella strategia commerciale, farà il suo debutto a NoFrills in veste di protagonista di un dibattito.

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Bread&Game Dal 24 al 26 settembre 2010 Sede: Brixia Expo

Bread & Game è l’evento per chi è cresciuto con il controller in mano, per chi ha sempre pensato che l’uso migliore del televisore fosse collegato a una console, per chi è convinto che mouse e tastiera non servano solo per lavorare e navigare e per chi non ha paura di trovarsi in coda perché ha sempre in tasca un dispositivo per giocare.

MI Milano Prêt-à-Porter donna Dal 24 al 27 settembre 2010 Sede: Polo Fieristico Milano

MI Milano Prêt-à-Porter, prende il posto dello storico MilanoVendeModa, uno degli appuntamenti più importanti per il mondo della moda, rinnovandosi nei contenuti e riconfermandosi un’occasione unica di presentare le collezioni di Prêt-à-Porter. Negli stand di MI Milano Prêt-à-Porter i capi non saranno più rigidamente divisi in categorie, bensì i prodotti selezionati secondo logiche attente di innovazione e di ricerca, di affidabilità e di validità, verranno proposti secondo un percorso comprensibile con immediatezza. Le diverse tipologie capospalla, maglieria, accessori, abbigliamento formale e casual - a MI Milano Prêt-à-Porter “vivranno” le une accanto alle altre rendendo più facile ed immediata l’interazione da parte dei buyers e degli addetti ai lavori.

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APPUNTAMENTO CON LA QUALITA’ A NOVEMBRE la 22

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il Gruppo Galgano presenta

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B&G - Business&Gentlemen Pubblicazione bimestrale www.businessgentlemen.it Anno III – numero 14 - agosto/settembre 2010

per testimoniarne il ruolo strategico D EHQHĂ€FLR GHO 6LVWHPD 3DHVH /H $]LHQGH FKH KDQQR JLj FRQIHUPDWR OD ORUR DGHVLRQH 0 ,7$/,$ Ć” $%%277 Ć” $%,2*(1 3+$50$ Ć” $*(1'$ '(/ *,251$/,67$ Ć” $,&4 Ć” $/&2$ Ć” $/)$ 520(2 Ć” $10 $=,(1'$ 1$32/(7$1$ 02%,/,7$Âś Ć” $118$5,2 48$/,7$Âś &(57,),&$7$ Ć” $16$/'2(1(5*,$ Ć” $576$1$ *5283 Ć” $67$/', Ć” $87202%,/( &/8% 'Âś,7$/,$ Ć” $=,(1'$ 6$1,7$5,$ '(/ 75(17,12 Ć” $=,(1'$ 81,7$Âś 6$1,7$5,$ /2&$/( ', 9,7(5%2 Ć” $=,087 %(1(77, ',9 %(1(77, Ć” % * %86,1(66 *(17/(0(1 Ć” %$%,1, 2)),&( Ć” %$1&$ $*5,/($6,1* Ć” %$1&$ 3232/$5( ', 38*/,$ ( %$6,/,&$7$ Ć” %$;, Ć” %,$1&+, &86&,1(77, Ć” %0: ,7$/,$ Ć” %277(*$ 9(5'( Ć” %7,&,12 Ć” %85($8 9(5,7$6 ,7$/,$ Ć” &$0(5$ ', &200(5&,2 ', /2', Ć” &$0(5$ ', &200(5&,2 ', 75(9,62 Ć” &$0(5$ ', &200(5&,2 ', 9(521$ Ć” &$027(5 &200(5&,$/( VHOHFWLYH TXDOLW\ UHF\FOLQJ PDFKLQHV Ć” &$5217( 7285,67 Ć” &(0(17,5 ,7$/,$ Ć” &+,48,7$ ,7$/,$ Ć” &,3 Ć” &2081( ', %2/2*1$ Ć” &2081( ', 6(*5$7( Ć” &2081( ', 6(77,02 0,/$1(6( Ć” &21)&200(5&,2 Ć” &21),1'8675,$ 75(172 Ć” &21625=,2 787(/$ *5$1$ 3$'$12 Ć” &21625=,2 =$, 48$'5$17( (8523$ Ć” &217,1886 3523(5=, Ć” &2236(59,&( Ć” &267$ &52&,(5( Ć” &6& Ć” &70 &$*/,$5, Ć” '( 48$/,7$7( Ć” '(/3+, ,7 $872027,9( 6<67(06 Ć” '(162 7+(50$/ 6<67(06 Ć” '(;,$ &5(',23 Ć” ',9$1, ',9$1, %< 1$78==, Ć” (&&(//(5( %86,1(66 &20081,7< Ć” (&26)(5$ Ć” (',621 Ć” (',75,&( /( )217, Ć” (',=,21, *8(5,1, ( $662&,$7, Ć” (/(77527(&1,&$ 52/' Ć” (0(5621 352&(66 0$1$*(0(17 Ć” (1(/ ,1*(*1(5,$ ( ,1129$=,21( Ć” (67( Ć” (8523&$5 ,7$/,$ Ć” (;35,9,$ Ć” )$%(5 Ć” )$0(&&$1,&$ '$7$ Ć” )$50,*($ Ć” )$7(5 Ć” ),$7 Ć” ),$7 352)(66,21$/ Ć” )21'$=,21( 0$5&2 9,*25(//, Ć” )217(&$/ Ć” *(/&2 81,3(5621$/( Ć” *,16$1$ Ć” *5$1', 1$9, 9(/2&, Ć” *5$1,7,),$1'5( SURGXWWRUL GL SDYLPHQWL LQ FHUDPLFD Ć” *5,0(&$ ,1'8675,( Ć” *58332 0$**,2/, Ć” +27(/3/$1 ,7$/,$ Ć” ,&$3 6,5$ Ć” ,035(6$ 3,==$5277, & Ć” ,1$,/ Ć” ,1'8675,(6 Ć” ,136 Ć” ,3267 ,67,7872 3267(/(*5$)21,&, Ć” ,5&$ =233$6 ,'8675,(6 Ć” ,6($ VLVWHPL GL GHSXUD]LRQH UHĂ€XL Ć” -2+1621 -2+1621 0(',&$/ Ć” /$1&,$ Ć” /$7 %5, Ć” /$9$==$ Ć” /,& 3$&.$*,1* Ć” /Âś,035(6$ Ć” /20%$5',1, Ć” 0$6(5$7, Ć” 0(7$/ :25. FRPSRQHQWL SHU DXWRPD]LRQH SQHXPDWLFD Ć” 0,&+(/,1 ,7$/,$1$ Ć” 021'2/,%(52 SHULRGLFR QD]LRQDOH GDO Ć” 08.., Ć” 12675202 Ć” 129$57,6 )$50$ Ć” 12<),/ 5$',&,*5283 Ć” 1<. /RJLVWLFV ,WDO\ Ć” 2.,7( Ć” 2/,9(77, Ć” 230 Ć” 2562*5,/ *5283 JULJOLDWL UHFLQ]LRQL FDQFHOOL H DUUHGR XUEDQR Ć” 272 0(/$5$ Ć” 3$/$==(77, LO FDORUH FKH SLDFH DOOD QDWXUD Ć” 3(36,&2 Ć” 3(5)(77, 9$1 0(//( Ć” 3,5(//, 7<5( Ć” 32/,7(&1,&2 ', 0,/$12 $ 5 6 ' 6(59,=,2 48$/,7$Âś ', $7(1(2 Ć” 32/<17 Ć” 3529,1&,$ ', 5,0,1, Ć” 5(*,21( $872120$ 9$//( 'Âś$267$ $VVHVVRUDWR $WWLYLWj 3URGXWWLYH Ć” 5(*,21( &$03$1,$ $VVHVVRUDWR $JULFROWXUD Ć” 5(*,21( 80%5,$ Ć” 5,&2+ 1$6+8$7(& ,1)27(& *(67(71(5 Ć” 520(2 0$(675, ),*/, VLVWHPL GL FXFLWXUD D SXQWR PHWDOOLFR Ć” 52<$/ &$1,1 ,7$/,$ QXWUL]LRQH VX PLVXUD SHU FDQL H JDWWL Ć” 6$,3(0 Ć” 6$10$5&2 ,1)250$7,&$ .12:/('*( &203$1< Ć” 6$3,2 JDV WHFQLFL SXUL SXULVVLPL PHGLFLQDOL Ć” 6$5*5$),&$ SDFNDJLQJ IDUPDFHXWLFR Ć” 6&$92/,1, Ć” 6'$ (;35(66 &285,(5 Ć” 6,*0$ 7$8 Ć” 6,..(16 Ć” 6,5&$ Ć” 6,57, Ć” 6/,03$ Ć” 60& ,7$/,$ Ć” 60,7+ ,17(51$7,21$/ ,7$/,$ Ć” 61$, JLRFKL H VFRPPHVVH Ć” 62/ *5283 JDV WHFQLFL VSHFLDOL DOLPHQWDUL PHGLFLQDOL H UHODWLYL LPSLDQWL H VHUYL]L KRPHFDUH Ć” 62/9$< 3$'$1$3/$67 Ć” 63(('/,1( JUXSSR 521$/ Ć” 63,5$; 6$5&2 Ć” 63257(//2 81,&2 $662&,$72 32/2 526,*1$12 0$5,77,02 Ć” 7$.('$ ,7$/,$ )$50$&(87,&, Ć” 7(.)25 Ć” 7(/(&20 ,7$/,$ Ć” 75(17,12 ,1'8675,$/( Ć” 7 7(&+ Ć” 81,9$5 Ć” 9,6+$< 6(0,&21'8&725 ,7$/,$1$ Ć” 9257,&( (/(775262&,$/, Ć” :(%$672 Ć” :(,'08//(5 Ć” =8&&+(77, 58%,1(77(5,$

Il Gruppo Galgano invita Aziende e Istituzioni ad aderire numerose alla Campagna Nazionale 2010 per entrare nel Circuito di Comunicazione della Campagna condivisa per aprire una vetrina privilegiata sulla propria azienda dal sito dell’iniziativa per essere ospiti Galgano agli Incontri organizzati per l’occasione

ADERISCI ANCHE TU tel. 02.39605295 fax 02.39605212 - relazioni.esterne@galganogroup.it www.galganogroup.it/allegati/gmq/CampagnaNazionaleQualita.pdf

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anno III - numero 14 | agosto - settembre 2010

Voglia di creatività

Per i manager italiani è un requisito fondamentale per avere maggiore successo

Perché fare rete

Lo auspica Confi ndustria Lombardia, lo fanno le PMI, lo vuole il mercato

gianluca rusconi

A caccia di talenti

Aspettando Smau. L’indagine sulle figure più ricercate nel settore ICT

Green economy Strategie di business: quando l’azienda si “tinge di verde”

Case history

Focus su: Raccortubi, Giannini, Claind, Log-In Group, Pamar

Innovation jewellery Gioielli e orologi hi-tech, la rivoluzione targata Rusconi che lancia sul mercato marchi innovativi e va alla conquista anche di Europa e Stati Uniti Protagonisti

Matteo Antonelli, Sara Baroni, Vincenzo Boccia, Angelo Crippa Claudio Dubbini, Mario Salomone, Sergio Tonfi


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