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anno II - numero 5 | marzo - aprile 2009 | € 7,00
anno II - numero 5 | marzo - aprile 2009
Roberto Ruozi
La crisi e la fenice Nuovi modelli di società e di economia sorgeranno dalle ceneri di questo periodo così difficile
Distretti e reti
L’unione fa la forza Il primato della Lombardia
Credit crunch
L’anali dalla prospettiva di banche e imprese
Storie di successo Focus su: Nuncas, Antica Fratta, Bresciani
Giovani e imprese Una scommessa ancora tutta da vincere
Protagonisti
Raffaella Radice Carlo Edoardo Valli Sandro Bicocchi Libero Stradiotti Stefano Colli-Lanzi Franco Giacomazzi
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Roberto Ruozi fotografato da
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Editoriale di Mauro Milesi
Legenda delle icone di lettura Business & Gentlemen ha studiato dei richiami grafici per aiutare la “navigazione” dei servizi e offrire informazioni aggiuntive. Innanzitutto ogni articolo presenta un’icona che ne identifica la tipologia di contenuto: Giornalistico: servizi, approfondimenti, interviste realizzate dai nostri giornalisti e dai collaboratori B&G. Tecnico-scientifico: studi e ricerche che hanno una connotazione tecnico-scientifica e che sono realizzati da esperti, docenti o studiosi. Divulgativo: notizie, curiosità, anteprime, focus di carattere divulgativo sui temi d’interesse generale: dalla moda ai motori, dall’arte al design Inoltre la lettura può riservare informazioni aggiuntive con le
Quando pensiamo alla crisi che stiamo vivendo, ci troviamo spesso a domandarci quando finirà. Questo difficile periodo per il mondo economico costringe gli imprenditori a fare un esercizio di proiezione verso il futuro. La verità è che il domani delle nostre imprese, delle nostre famiglie, resta per molti sconosciuto, in barba alle previsioni degli esperti, dei premi Nobel, dei politici (se sono così bravi perché non hanno previsto la crisi?) che provano a mettere un’etichetta con la data di scadenza su questo argomento. La verità è che il futuro non va immaginato, né ipotizzato: il nostro futuro va costruito. Ci dobbiamo far carico di questa responsabilità proprio adesso che il gioco si fa davvero duro. E la verità è che per costruire il nostro futuro, occorre uno sforzo ancora più grande se vogliamo che sia non soltanto diverso, ma migliore del nostro presente.
seguenti icone Immagini: didascalie e spiegazione del materiale iconografico Url: la segnalazione di siti e portali sul tema trattato Argomenti correlati: segnalazione di servizi B&G che trattano argomenti simili Citazione: un ipse dixit che impreziosisce il discorso trattato Bibliografia: la segnalazione bibliografica collegata all’argomento
La crisi, come la malattia e le disavventure della vita, può essere un’occasione, un’opportunità da cogliere. Innanzitutto per capire gli errori ed evitare di ripeterli. Si è già ampiamente dibattuto su questo aspetto, in particolare sull’esigenza della nascita di una nuova società dei valori. Lo afferma anche il professor Ruozi nell’intervista che dà la copertina a questa edizione di B&G. Tuttavia, vorrei aggiungere soltanto una considerazione: forse non abbiamo bisogno di nuovi valori e nemmeno di un ritorno ai cosiddetti valori del passato. Forse abbiamo molto più banalmente e brutalmente bisogno di ridisegnare la scala dei valori che già conosciamo. Quale valore c’è oggi in cima alla nostra personale graduatoria dei valori? E in quella della società in cui viviamo? E in quella delle imprese? Ognuno nei vari livelli ci metta la risposta
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che ritiene più opportuna. Adesso, se vogliamo provare a costruire il nostro futuro, proviamo a fare l’esercizio di pensare se quel valore va sostituito e con quale altro. Poi passiamo dal primo al secondo posto e via così fino a completare la nostra nuova gerarchia dei valori. Adesso resta la parte più difficile: se ci crediamo davvero, dobbiamo provare a cominciare a vivere la nostra vita, la nostra occupazione, la nostra impresa, il nostro rapporto con il mondo con questa nuova scala di valori. Un po’ come cambiare le tappe dell’itinerario del nostro GPS: forse adesso non sappiamo ancora quale sarà la destinazione finale di questo nuovo viaggio. Però ci siamo messi in cammino, abbiamo provato a cambiare strada, a costruire il nostro futuro. Credo che per molti quella nuova sarà all’inizio una strada dura e in forte salita. Meglio così, abbiamo imparato sulla nostra pelle in questo periodo quanto sia più pericoloso scegliere sempre la strada in discesa.
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Sommario numero 5 | marzo - aprile 2009
8.
Editoriale
60.
La crisi, un’occasione per costruire il futuro
16.
ICT
Distretti e reti
64.
Banche e imprese
68.
Giovani e imprese
72.
Ecosostenibilità
76.
Imprese del vino
80.
Tessile
84.
Il personaggio
88.
Monza e Brianza
90.
Lady Economy
Pavarotti Tower
Emirati Arabi
Financial Comm Finanziamenti e capitale di rischio
92.
Un tessuto imprenditoriale di successo
56.
Come investire con successo
Crisi fi nanziaria: intervista a Roberto Ruozi
52.
Logistica
Un gioiello dell’architettura nel cuore di Dubai
Bresciani, l’azienda che investe in tempo di crisi
46.
Marketing
Social network tra pubblicità e business
Il progetto Antica Fratta compie trent’anni
42.
Apartment Il nuovo spazio dove “vive” la moda
94.
Raffaella Radice al timone di Sessa Marine
Leadership e arte L’essenza del leader nei capolavori artistici
98.
L’opinione Il valore del “non-messaggio” in arte e pubblicità
10
110.
Casa del Habano La storia di Cuba legata a quella del tabacco
112.
In crociera La superammiraglia in stile yacht
114.
La nuova generazione di servizi con Sogema
La fi losofia vincente della milanese Nuncas
38.
Occupazione
Del mondo dei sigari Intervista a Claudio Sgroi
Le opportunità offerte dal web
Una scommessa ancora tutta da vincere
34.
106. Dietro le quinte
In Italia, la svolta di Gi Group
Credit crunch e dialogo tra istituti di credito e aziende
30.
Alimentare
La vera rivoluzione di Gebruder Schaff rath
Il Dna del formaggio col Consorzio Valpadana
Il primato della Lombardia: l’unione fa la forza
26.
100. Alta gioielleria
L’international guidata da Sandro Bicocchi
Approda a Brescia il progetto local di Smau
20.
Fiera Milano
Motori La nuovaInfi niti G37 la cabrio che emoziona
118.
Wellness Sul Garda sorge l’oasi del benessere
122. Egitto e Marocco Affascinanti perle di storia e cultura
128. Fiere Gli appuntamenti di marzo aprile
stile intramontabile
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ICT Approda a Brescia il progetto “Local” di
Smau Dopo Bari continua il circuito di eventi business territoriali dedicati all’Ict. Approccio innovativo e format studiato su misura per le imprese e imprenditori che possono costruirsi online l’agenda degli incontri e dei seminari: appuntamento il 25 e 26 marzo a Brixia Expo che fa da cornice alla manifestazione teato di Desirèe Cividini 16
Non solo un appuntamento dedicato a imprenditori, manager e operatori del canale Itc, ma soprattutto un’occasione per conoscere le principali novità per il business in ambito tecnologico. Tutto questo in stretta relazione con il territorio. Dopo il successo ottenuto a Bari, Smau Business, il circuito di eventi “Local” dedicati all’Ict e all’innovazione, per la prima volta a fine marzo fa tappa a Brescia. E’ Brixia Expo a fare da cornice all’evento che intende facilitare l’incontro tra i principali fornitori di soluzioni Ict, sia nazionali che locali, e gli imprenditori lombardi. “Smau Business
Ict e Business
– spiega Pierantonio Macola, Amministratore Delegato di Smau - è un circuito di eventi itinerante, ideato da Smau - da oltre quarantacinque anni salone di riferimento sulle tecnologie - e dalla School of Management del Politecnico di Milano, per supportare le imprese del territorio nelle sfide che il mercato impone oggi, sfruttando al meglio le tecnologie informatiche. L’approccio è innovativo in quanto anziché partire dai fornitori di Ict, il modello prevede la valorizzazione dei casi di successo delle imprese utenti, quindi le Pmi del territorio, che vengono analizzati e presentati agli imprenditori e decisori aziendali della stessa regione con un format di seminari di cinquanta minuti. E’ un progetto vincente anche perché esce dalla logica di un unico grande evento in fiera a Milano, per andare incontro alle esigenze del mercato con accordi strategici con gli altri poli fieristici più importanti d’Italia”. Una formula che mira a coinvolgere le aziende lombarde per facilitare
il contatto con il mondo delle nuove tecnologie, soprattutto in un momento in cui l’innovazione può rappresentare la carta vincente per uscire dalle difficoltà del mercato: “In una fase congiunturale complessa come quella che stiamo vivendo in questo momento – commenta Macola – le aziende sono chiamate a trovare nuove vie per competere. In tal senso l’Ict può divenire una leva strategica, non solo per le grandi aziende ma anche per quelle medie e piccole, per migliorare le proprie performance. Da qui nasce il progetto di Smau Business che ha come missione di aiutare le imprese italiane a capire il vero valore e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie”. Il progetto, al quale aderiscono i protagonisti del settore, prevede accanto allo spazio espositivo, un ciclo di work-shop focalizzati sulle tematiche di maggiore interesse in ambito Ict e tenuti in parte da autorevoli docenti universitari e analisti di mercato, in parte, da primattori dell’Ict che presentano testimonianze 17
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In una fase congiunturale complessa come quella che stiamo vivendo, le aziende sono chiamate a trovare nuove vie per competere. In tal senso l’Ict può divenire una leva strategica, non solo per le grandi aziende, ma anche per quelle medie e piccole per migliorare le proprie performance. Da qui nasce il progetto di Smau Business che ha come missione di aiutare le imprese italiane a capire il vero valore e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie
Alcune immagini dei precedenti appuntamenti smau business local di padova e bari
di eccellenza di imprese clienti della Lombardia che hanno adottato soluzioni tecnologie migliorando le proprie performance. “E’ una formula – commenta Macola - che è già stata testata con successo nel Veneto, a Padova nel maggio 2008, e nel Mezzogiorno, a Bari alla fine di gennaio, con oltre 2.000 imprenditori partecipanti per ogni tappa. Quella di Brescia rappresenta una tappa strategica per coinvolgere tutte le imprese della Lombardia. Brescia infatti è idealmente baricentrica rispetto a tutta la regione ed è posta in una zona molto vitale e ricca di piccole e medie aziende alle quali si rivolge l’evento”. Evento che dà anche spazio alle giovanissime imprese del territorio grazie all’iniziativa “Percorsi dell’Innovazione. Dall’Idea al Business” che offre alle start up, ai centri di ricerca e ai laboratori una vetrina qualificata per presentare i propri progetti e prototipi altamente innovativi e cercare opportunità di business e contatti con potenziali finanziatori. In pratica un appuntamento caratterizzato da un format innovativo e studiato su misura per permettere agli operatori del mondo business di conoscere le ultime novità nel campo delle tecnologie. Inoltre, in collaborazione con Comufficio, Smau Business Brescia dedica un’area speciale all’innovazione per il retail e la grande distribuzione. Infine anche questa tappa, come già avvenuto per Bari, si presenta come un’occasione per monitorare lo stato di adozione delle Ict da parte delle imprese lombarde: una ricerca condotta dalla School of Management del Politecnico di Milano i cui risultati vengono raccolti all’interno dell’Agenda dell’innovazione, la pubblicazione che viene distribuita a tutti i partecipanti all’evento. |
B&G n.4 – Ai manager piace Ict - p.16 B&G n.2 – ICT e imprese, il rapporto sull’IT– p.10 B&G n.1 – Enterprise 2.0, l’era office mobile – p.14 www.mip.polimi.it www.smau.it
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Distretti e reti insieme contro la crisi
In Lombardia le imprese fanno quadrato e nascono forme di cooperazione strategica anche legate a prossimità territoriali specifiche. Cluster e network di aziende che sfruttano competenze comuni e fattori di innovazione per sconfiggere le difficoltà economiche, ma anche per creare valore aggiunto e aggredire il mercato globale testi di Laura Di Teodoro
Dai distretti alle reti. Il sistema industriale e imprenditoriale lombardo e nazionale sta crescendo e aff rontando la globalizzazione dei mercati e la crisi in atto, nel segno della cooperazione insieme ad associazioni, istituzioni, professionisti e fondazioni. Lo rileva la ricerca “Reti di impresa oltre i distretti”, a cura di AIP, Associazione Italiana della Produzione, realizzata in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano: ad oggi sono 27 le reti di impresa in Lombardia che coinvolgono circa 500 soggetti e 91 le reti sull’intero territorio nazionale. Non è solo lombarda la composizione dei soggetti che costituiscono la rete: arrivano da molte regioni italiane e talora dall’estero gli attori di questo innovativo modo di fare impresa, e che si collegano in rete dandosi una governance comune. Come spiega il presidente di AIP, Domenico Palmieri, le reti si differenziano dai distretti per una dimensione più ampia: “Le reti sono un’evoluzione dei distretti – spiega Palmieri -. I distretti sono nati come aggregazioni di piccole imprese che operavano nello stesso settore. Le reti invece accorpano fasi produttive e settori diversi permettendo alle aziende di confrontarsi con contenuti di innovazione e competenze polifunzionali di prodotti. La nostra indagine presenta nuove e significative realtà per cui di fronte all’evoluzione del mercato, si sta cominciando realmente a fare sistema attraverso la creazione di nuove modalità di organizzazione produttiva che vanno oltre i distretti. Si vanno così consolidando realtà transterritoriali e transettoriali in cui pos20
sono giocare nuovi e più incisivi ruoli la ricerca, la finanza avanzata e le varie altre infrastrutture e anche quelle dedicate al commercio internazionale a cui le realtà di piccola dimensione non potrebbero arrivare facilmente singolarmente e il cui utilizzo, al contrario, apre nuove prospettive nel mercato globale. Sosteniamo inoltre che le reti debbano dotarsi di una propria governance unitaria e giuridica”. Sono molteplici le forme, “le tipologie”, delle reti individuate nella ricerca AIP: per la precisione 9 in cui sono raggruppati i 90 casi di reti, a livello nazionale. In Lombardia prevalgono le reti finalizzate come evoluzione dei territori e dei vecchi distretti, pari rispettivamente al 25,9% e al 7,4% (33,3% totale), le reti di innovazione basate sullo sviluppo di nuove tecnologie di processo e/o di prodotto sono pari al 25,9%, quelle impegnate in progetti culturali di vasta portata (22,2%) e quelle orizzontali di condivisione, cioè quelle in cui collaborano operatori impegnati direttamente sui mercati delle stesse merceologie (3,7%) ed emergono l’importante aggregato di reti professionali di cui sono attori gli operatori delle professioni (11,1%) e le reti attivate da associazioni territoriali (3,7%). I settori che aggregano di più? Innovazione e tecnologia (18,5%) e cultura (14,8%). Pari merito per design, servizi e tessile con l’11,1%. Alcuni esempi? Dal biomedicale di Bergamo e Brescia alla cultura di Mantova, dall’innovazione di Varese al tessile di Como. Le reti rappresentano un nuovo modello, un’evoluzione del “vecchio” distretto che supera i confini
Dossier distretti e reti
Uniti nel segno del design ll design è senza dubbio uno dei caratteri distintivi del territorio e dell’economia milanese e lombarda. “Ragione per cui – spiega Giuliano Simonelli, Presidente Consorzio POLI. design del Politecnico di Milano e referente per il Sistema Lombardo del Design - affermate personalità del design internazionale, ma anche schiere di giovani talenti giungono quotidianamente qui, da tutto il mondo, per portare le proprie idee e scambiarle in quel fecondo processo di generazione collettiva dell’innovazione che è tipica del “fare design a Milano”. Quali sono le opportunità e le caratteristiche principali e fondanti della rete del design? La rete del design presenta forti analogie con la tipica forma distrettuale italiana, qui applicata alla produzione di un bene particolare che è il sapere progettuale, e di tale forma ha seguito i più recenti processi evolutivi dettati dalla internazionalizzazione e dalla globalizzazione. L’impresa di base che off re “servizi” di design è di piccole dimensioni, non riassume in sé in genere l’intero processo di ideazione, progettazione, comunicazione e vendita del progetto, ma si serve di una serie di fornitori di intermedi, a loro volta altamente specializzati in una fase, determinando nei fatti l’esistenza di vere e proprie fi liere produttive del progetto. Quali sono gli strumenti messi in campo per reggere la concorrenza nel settore design sul fronte internazionale? L’obiettivo della Rete del Design milanese e lombardo resta quello di mantenere una posizione dominante nell’attuale competizione tra regioni e città del mondo, tese ad affermare la propria identità e le proprie vocazioni, per conquistare rinnovate posizioni di leadership produttiva, culturale e sociale. Milano vanta oggi un fitto sistema di relazioni a livello na-
zionale ed internazionale che organizzano nella città proprie antenne di ascolto, momenti di visibilità, eventi e manifestazioni, facendo frequentemente ricorso a risorse di progetto qui facilmente reperibili. Quello del design rappresenta certamente uno dei punti di più forte attrattività a livello internazionale. Quali sono le aziende che appartengono a questa Rete? Le origini del sistema stanno in quel ricco ed esteso tessuto di imprenditoria milanese e lombarda che si è distinta, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, nella produzione di beni durevoli capaci di esprimere singolari qualità. È principalmente nella produzione di beni estetici quali arredi, lampade, oggetti per la casa e per la persona che un acereta parte dell’imprenditoria milanese e lombarda si è specializzata, in singolare comunanza di intenti e di interessi con un nucleo di architetti, designer, grafici, comunicatori, manager del progetto che ha di fatto dato origine al sistema. Si trattava di forti personalità, attive nell’ambito del progetto di architettura e di design, dell’editoria come della comunicazione, della promozione di eventi artistico-culturali, nel management delle attività a supporto del sistema, protagonisti nei rispettivi campi di attività. Come opera la Rete? Si tratta nell’insieme di un organismo complesso che non ha mai avuto una guida dall’alto, una forma definita, una sua struttura codificata. Si può affermare che questo è stato in passato il suo elemento di forza; oggi costituisce uno dei suoi punti di maggiore criticità. Il design rappresenta un valore fondante per l’identità nazionale. Che cosa differenzia, dunque, il design milanese
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e lombardo da altre realtà sul territorio italiano? Resta il fatto che Milano è, nell’insieme, un grande brand collettivo del progetto che deve mantenere un primato sforzandosi di elaborare continuamente nuove forme di conoscenza intorno al design, sperimentando idee, codici stilistici e formali, anticipazioni sui comportamenti d’uso e sui modelli di consumo. Realizza tale obiettivo attraverso un complesso sistema di attività legate al design di cui si fanno interpreti soggetti d’impresa, operanti nel campo dell’associazionismo e della rappresentanza, dell’editoria di settore, della formazione e della promozione culturale, della visibilità e della rappresentazione del prodotto. Lei è Presidente del Consorzio POLI.design del Politecnico di Milano, una realtà che fa da cerniera tra formazione, innovazione e impresa. Come il mondo delle imprese percepisce oggi il design? Molte delle relazioni con il design delle imprese sono esterne, talvolta formali, di collaborazione continuativa o periodica, oppure informali, di semplice assorbimento del design per processi di trasmissione osmotica dall’ambiente circostante o per imitazione. Non dimentichiamo inoltre che l’azione del design si proietta oggi non solo sul prodotto, ma anche sull’intero processo di creazione di valore intorno al prodotto, sulla comunicazione, sui punti vendita, sui servizi. Non tutte le imprese hanno il design nel loro dna. Occorre inoltre ricordarsi che il design non è una merce che si acquista, ma un processo che richiede un lungo apprendimento da parte dell’azienda, un processo di comprensione del suo valore e delle sue potenzialità, condizioni non sempre presenti delle imprese italiane. Come sarà il 2009 di questo distretto? La crisi epocale che stiamo vivendo induce le imprese più lungimiranti ad investire sul design come fattore distintivo al fine di mantenere - ed accrescere se possibile - il proprio potenziale competitivo. Il sistema delle professioni reagisce cercando di trovare dentro la crisi nuove forme di adattamento, inventandosi nuove professionalità in risposte a nuovi bisogni e guardando anche, con grande interesse. ed attenzione, alle economie emergenti del mondo. I molti soggetti che, a vario titolo, partecipano alla governance di questo distretto dovrebbero sforzarsi di costruire politiche coerenti perché il delicato equilibrio dell’“eco-sistema del design” non si impoverisca e regredisca.
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territoriali per aprirsi ad opportunità vicine e lontane con l’appoggio di realtà private e pubbliche: “Una delle caratteristiche più innovative delle reti è la collaborazione tra pubblico e privato – prosegue Palmieri -. In alcuni casi le reti si costituiscono per iniziative che partono dal basso per essere poi accompagnate dalle varie Confindustrie, Camere di Commercio, Province e Regioni ecc.. A questa collaborazione si unisce un lavoro di convergenza con il sistema bancario sia per quanto riguarda il credito che sul fronte delle competenze per aff rontare il mercati esteri”. In un contesto di crisi e instabilità la reti, sottolinea il presidente di AIP, diventano “una prospettiva di sopravvivenza per le piccole imprese che da sole rischierebbero di non farcela. La rete infatti consente un allargamento delle merceologie e delle competenze, permette un ammortizzamento dei costi fissi per la ricerca e lo sviluppo perché vengono messe in comune le conoscenze di ciascuna impresa. Vengono quindi realizzate economie di scala senza annegare le economie di scopo delle singole aziende”.
Mantenendo la particolarità e la peculiarità di ogni realtà e nel comune obiettivo dello sviluppo e della competizione le reti crescono e si allargano fino a diventare vere e proprie “reti a distanza”: “La sfida dei prossimi anni - conclude Palmieri -.sarà quella di riuscire a integrare le opportunità delle nuove reti a distanza nelle strategie dei decisori dello sviluppo locale e con gli esistenti distretti territoriali che esprimono ancora dei valori importanti ma insufficienti se non innestati in un contesto di sistema quale rappresentato dalle reti. Questa operazione sarà centrale per la ristrutturazione economica dell’intero sistema”. |
Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso e lavorare insieme un successo. Henry Ford
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Il cluster biomedicale Lungo l’asse Bergamo-Brescia si inserisce un tessuto di imprese con alte capacità tecnologiche trasferibili nel comparto biomedicale. Una piattaforma di aziende che possono beneficiare del rapporto con rilevanti istituzioni in campo medico e biomedico presenti nell’area, come il circuito ospedaliero e universitario locale e, in particolare, con l’Istituto Mario Negri, che svolge specifiche ricerche in campo farmaceutico e biomedicale. Come riportato dalla ricerca dell’Associazione Italiana Produzioni, attualmente le maggiori imprese dell’area bresciana stanno valutando la possibilità in accordo con le CCIAA di Brescia e Bergamo e con alcuni ospedali e centri di ricerca di costituire formalmente un network di collaborazioni, in grado di superare i contatti episodici tenuti fino a ora. Tra gli obiettivi e i vantaggi della nuova rete emergono: rafforzamento del distretto aumentando la consapevolezza delle imprese; incremento delle sinergie e collaborazioni tra imprese, tra imprese produttrici e subfornitrici, con le istituzioni sanitarie e di ricerca, con gli istituti di credito; aumento del grado d’innovazione per diventare un punto di riferimento del settore in ambito internazionale; creare nuove opportunità di business in particolare nei confronti del mercato globale. La rete, ad oggi, non è ancora una realtà concreta ma “esiste un’elevata complementarietà tra le diverse aziende che potrebbe favorire la possibilità di scambi all’interno della rete. La specializzazione delle aziende potrebbe generare una certa flessibilità nel seguire le esigenze del mercato, con prodotti innovativi a elevato contenuto scientifico che potrebbero incrementare la competitività esterna. Il raggruppamento è aperto per incrementare la dimensione e le potenzialità”. Particolarmente interessate a favorire la creazione di una rete di imprese abile a supportare le diverse esigenze ci sono le imprese Invatec e Copan, i maggiori operatori dell’area, insieme alle rappresentanze economiche delle imprese intenzionate a far crescere un tessuto di subfornitura in grado di connettersi alla costituenda rete. Stanno altresì svolgendo un ruolo importante le CCIAA di Bergamo e Brescia, alcuni ospedali e centri di ricerca della zona e infine i comitati locali di Unicredit.
Dossier distretti e reti
Il distretto Hi-tech di Vimercate Circa 150 aziende per 12000 addetti. Sono i numeri che caratterizzano il distretto Hi-tech Milano e Brianza con sede a Vimercate. Le priorità su cui il sistema si sta muovendo, come spiega il presidente designato del Distretto, il professor Adriano De Maio, riguardano gli aspetti di finanza, occupazione, sviluppo industriale, marketing. In un contesto di crisi come quello odierno, quali sono i punti di forza del distretto Hi-tech di Milano e Brianza-Polo di Vimercate? La crisi si presenta come molto seria e di carattere strutturale. È nostra opinione che raggruppamenti di aziende complementari (Cluster) possano affrontare i problemi posti dalla crisi in modo più efficiente. Il distretto si propone di sponsorizzare e facilitare queste aggregazioni. In modo più specifico occorre dire che la crisi attuale per le aziende del territorio, oltre ai problemi che purtroppo tutti conosciamo, si caratterizza oggi soprattutto per la difficoltà di accesso al credito. Il distretto punta a stabilire un legame con le strutture bancarie proponendosi come assessore della solidità e della sostenibilità dei progetti industriali in modo da stabilire dei canali privilegiati di accesso al credito per le aziende che abbiamo ricevuto un assessment positivo. Inoltre il
Cluster di imprese per uscire dalla crisi testo di Michele Coletti Consulente Unioncamere Lombardia
distretto si sta fornendo di una struttura molto snella che aiuterà le aziende ad analizzare e a rispondere ai bandi per finanziamenti agevolati. Il principale punto di forza è dato dalla presenza di un consolidato insieme di aziende hi-tech, da una forte storica cultura manifatturiera industriale e da una spiccata attitudine imprenditoriale, caratteristiche queste fondamentali per ridare vigore all’economia reale e per uscire il più rapidamente possibile da questa crisi. Si tratta di un distretto di recente nascita. Come si sta evolvendo? In cosa consiste il suo programma? Con la nomina del direttore generale, entrato in funzione a febbraio, si è avviata la fase di costruzione vera e propria del distretto. L’obiettivo fondamentale posto alla nascita di questo distretto consiste nell’aumentare la capacità di attrazione del territorio di riferimento. Questo significa da un lato cercare di portare sul territorio aziende, nuove o già esistenti, nonché investimenti, ma questo implica innanzitutto consolidare, rendere più competitive e “trattenere” le imprese e gli investimenti già esistenti. Pertanto stiamo rilevando quali sono i principali fattori che permettono o determinano la decisione di “rimanere” e di “venire” sul territorio e, di conseguenza, quali possono essere le azioni che migliorano
La crisi finanziaria fa sentire i suoi effetti sull’economia reale e le imprese aff rontano la situazione pensando alle risorse che mancano proprio quando per resistere bisogna proporre nuovi prodotti, esplorare altri mercati e adottare processi migliori. Oggi più che mai è necessario accedere a conoscenze specializzate, condividere investimenti per ridurre i rischi e cercare sinergie commerciali e produttive per limitare i costi. Una soluzione a queste esigenze viene dai business cluster. La parola “cluster” che in inglese vuol dire grappolo, secondo Michael Porter, celebre professore ad Harvard, identifica le concentrazioni geografiche di aziende e istituzioni che operano in certi settori in maniera interdipendente. Non a caso egli cita l’esempio di Sassuolo, il comune emiliano che ha dominato
a lungo la produzione mondiale di ceramica. Gli italiani conoscono bene questo modello industriale e lo chiamano “distretto”. Porter sottolinea che nonostante i mercati siano più aperti di un tempo e le comunicazioni più facili e veloci, il luogo dove si opera conta ancora molto. È interessante a questo proposito citare lo stilista Ottavio Missoni che, in una recente intervista, ha dichiarato come la sua mossa migliore nel campo degli affari sia stata portare molti anni fa la sua impresa a Varese, dove c’erano le competenze per farla decollare. Le tipologie distrettuali sono molte. In Italia ad esempio vanno dal distretto della liuteria di Cremona a quello agro-alimentare di Parma, dalla seta a Como ai divani di Matera. Alcuni distretti vanno bene, magari grazie alle capacità di un certo numero di famiglie
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“L’intervento del Distretto sullo sviluppo industriale si articola su interventi di consulenza strategica ed organizzativa che stiamo dando sia ad aziende in fase di ristrutturazione sia ad aziende in fase di start up. L’obiettivo è quello di aiutare queste piccole e medie aziende ad accedere a know how a costo ridotto”
questi fattori. In base ad un’analisi preliminare, le priorità sulle quali il distretto si sta muovendo riguardano i seguenti aspetti: finanza, occupazione, sviluppo industriale, marketing. Le linee guida sulle quali vogliamo muoverci per la finanza sono già state tratteggiate. Sul tema dell’occupazione stiamo per far partire a breve un programma per la creazione dell’Ufficio Presidio Occupazionale che, in collaborazione con le strutture esistenti sul territorio (centri lavoro), riesca ad avviare dei programmi di formazione e di ricollocazione che possano dar luogo ad un’efficace mobilità interaziendale. L’intervento del Distretto sullo sviluppo industriale si articola su interventi di consulenza strategica ed organizzativa che stiamo dando sia ad aziende in fase di ristrutturazione sia ad aziende in fase di start up. L’obiettivo è quello di aiutare queste piccole e medie aziende ad accedere a know-how a costo ridotto. Le attività di marketing del distretto si focalizzeranno sulla promozione del territorio per valorizzarne la sue attrattive. La presenza di accesso a personale qualificato, la qualità e la disponibilità delle infrastrutture ed un punto di contatto unico per gli adempimenti burocratici sono tutti elementi che vanno valorizzati. Quali sono i settori di competenza del distretto? Il Distretto si occupa di identificare e favorire tutte le iniziati-
imprenditoriali, mentre altri rischiano di soccombere alla concorrenza internazionale. Alcuni stanno aprendosi all’innovazione e all’internazionalizzazione, e altri si focalizzano sulla tradizione o sul marchio d’origine, sperando di frenare così l’avanzata dei concorrenti. Questo modello economico non è rilevante solo per le industrie del mobile o della moda, ma si ritrova nei poli di alta tecnologia come ad esempio la Silicon Valley in California, il Cambridge Technology Park in Inghilterra e l’area delle micronanotecnologie di Grenoble in Francia. Settori avanzati come le biotecnologie, l’aerospaziale e le nanotecnologie sono fortemente dipendenti dagli sviluppi della scienza e della tecnologia. Pertanto questi tipi di cluster nascono intorno ai grandi poli dell’università e della ricerca. Essi sono spesso il risultato di una concertazione o
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perlomeno di attività sinergiche tra le istituzioni pubbliche, quelle accademiche e il mondo delle imprese. I cluster tecnologici si caratterizzano per la vivacità non solo delle idee ma anche delle iniziative; infatti il loro sviluppo economico si fonda sulla nascita di numerose startup che perseguono business innovativi. Una gran parte non riesce a crescere come sperato, ma quelle che ce la fanno diventano le grandi imprese di domani. Il vantaggio dei cluster è che ognuno di essi costituisce un eco-sistema dove si trovano competenze e risorse quali personale, scuole e fornitori specializzati. Inoltre i rapporti di collaborazione sono facilitati dalla consuetudine e dalla fiducia reciproca che vengono dalla vicinanza geografica, i contatti personali e la condivisione di una cultura. Questo crea opportunità non solo per brillanti inventori, ma per tutti coloro
che abbiano qualche prodotto o servizio da offrire alle organizzazioni presenti nel cluster. È dimostrato che le aziende che operano nelle aree distrettuali crescono mediamente più delle altre, e che chi ci lavora guadagna di più. Non meraviglia che molte aziende si spostino verso i cluster più attivi. Ciò non limita la libertà di impresa, poiché nei distretti le aziende sono sottoposte a co-opetizione, cioè coesistono meccanismi competitivi e (stabilmente o episodicamente) collaborativi. Nonostante le molte decine di sistemi produttivi locali specializzati in questo o quel settore in Italia, un notevole numero di imprese si trova al di fuori di zone distrettuali riconosciute. Tuttavia, mentre i distretti industriali sono il risultato di un processo in gran parte spontaneo che si è sviluppato nel corso di secoli e decenni, i cluster possono essere aiutati a svilupparsi.
Dossier distretti e reti ve che permettano di sfruttare al massimo le sinergie tra territorio e aziende e quindi si occupa sia di aziende già installate sul territorio sia di aziende che vogliano creare nuovi insediamenti. Le tematiche di competenza del distretto, come detto, riguardano tutti i fattori rilevanti per la capacità di attrazione e per il miglioramento di competitività delle aziende già presenti. Pertanto, oltre agli aspetti già citati precedentemente (finanza, occupazione, sviluppo industriale, marketing), stiamo ragionando su altri campi che danno risultati sul medio e lungo termine quali, tipicamente, la formazione. La carenza di “manodopera” specializzata, dagli operai qualificati ai ricercatori,è oramai avvertita in modo diff uso. Ma opereremo anche, con ruoli differenti, su altri aspetti, dalle infrastrutture logistiche ai servizi alla persona. Innovazione, qualità e valorizzazione della ricchezza locale diventano parole d’ordine importanti per penetrare sui mercati internazionali. Come si sta lavorando a livello di distretto per concretizzare questi obiettivi? È chiaro a tutti che la competitività in un mercato sempre più globalizzato si basa sulle parole d’ordine citate. D’altra parte la vocazione del distretto e delle aziende presenti in esso a lavorare sui mercati inter-
nazionali è consolidata e provata. L’attività del distretto si focalizzerà sulle attività che possono creare sinergie e favorire aggregazione tra le stesse aziende e tra aziende ed enti territoriali. Gli ambiti sono quelli indicati precedentemente. Quali sono i caratteri innovativi del distretto di Milano e Brianza-Polo di Vimercate? La peculiarità del Distretto consiste nella presenza al suo interno di multinazionali e di PMI votate all’Hi tech. Da questo substrato culturale unico si dovrà partire per costruire una cultura territoriale ed interaziendale di disponibilità e di valorizzazione delle aggregazioni. Da queste collaborazioni e aggregazioni si potranno liberare energie positive di sviluppo. Il nostro obiettivo è che il territorio possa diventare un caso esemplare in senso complessivo. È per questo che il rapporto con le amministrazioni locali acquista un significato importante. L’esemplarità del territorio riguarda i temi fondamentali oggi sul tappeto, dall’energia all’ambiente, dai trasporti e più in generale la mobilità alla sanità, alla formazione, e, perché no, allo sport ed allo svago. È questo uno scopo molto ambizioso, ma senza ambizione che cosa siamo ridotti a volere per il futuro dei nostri figli e nipoti?
Un po’ come le perle coltivate, i cluster hanno forse origini meno singolari dei distretti (che in questa analogia possono essere paragonati alle perle naturali), ma off rono alle regioni e ai territori l’opportunità di puntare su un modello di sviluppo locale che non si basa sulla perla trovata per un colpo di fortuna, ma sulla sistematica coltivazione dell’ostrica. Le politiche dell’innovazione hanno sempre più un carattere regionale piuttosto che nazionale perché è soprattutto a livello locale che si possono creare le condizioni favorevoli alle imprese. Francia e Italia hanno recentemente avviato programmi a supporto dei cluster di imprese. Come emerso però nell’ultimo Forum Mondiale dei Cluster svoltosi a Sophia-Antipolis, nel Paese transalpino i “poles de competitivité” sono diventati in pochi anni uno strumento efficace per l’innovazione collaborativa e l’aggregazione delle imprese, mentre i distretti tecnologici italiani, tranne alcune lodevoli eccezioni, non hanno ancora mostrato la stessa vitalità. I soggetti pubblici e privati impegnati nello sviluppo economico devono avere un ruolo attivo nell’identificazione di cluster potenziali e nel supporto al loro rafforzamento. Le organizzazioni intermediarie che si occupano del coordinamento delle attività pubbliche, accademiche ed economiche in un certo territorio e in un certo settore sono dette
Perché un’impresa dovrebbe decidere di mettersi in rete con altre realtà imprenditoriali? Quali i vantaggi? Nessuno è in grado di fare tutto da solo. Mettendosi in rete con altre realtà imprenditoriali si facilita l’accesso alle informazioni, all’utilizzo delle “Best Practice”, a costo ridotto e si può avere accesso ad una serie di servizi a costi più contenuti ( accesso al credito, gestione delle risorse, marketing, accesso a finanziamenti agevolati per gruppi di imprese) Come sarà questo 2009 per il distretto? Il 2009 sarà un anno pieno di sfide per tutti. Il distretto in particolare dovrà svilupparsi e diventare un ente di riferimento dovendo al contempo affrontare al meglio la situazione di crisi che si sta evolvendo. Il compito non è facile ma abbiamo messo le basi per svolgerlo al meglio. È evidente però che, purtroppo, molte ed importanti variabili non sono in mano nostra ed i risultati dipenderanno fortemente anche dalle politiche e dalle decisioni di altri, privati e amministrazioni pubbliche (Regione, Stato, Unione Europea). Confidiamo che proprio la crisi costituisca un forte stimolo a definire una strategia di sviluppo dell’economia reale. In tal caso il distretto parte da una buona posizione.
“istituzioni per la collaborazione”. Le Camere di Commercio e le loro Aziende Speciali spesso già operano in questa direzione. I cluster di imprese innovative rappresentano un’opportunità per tutti: per le amministrazioni locali, che possono guidare strategicamente lo sviluppo locale verso il rinnovamento delle produzioni tradizionali, per le università e i laboratori, che possono dare un’applicazione concreta all’impegno dei loro ricercatori e per le imprese che nei cluster trovano competenze, risorse e sinergie per innovare ed espandersi nei mercati nazionali e internazionali. In tempi di recessione diventa imperativo “fare sistema”. L’esperienza secolare dei distretti ci indica una via che oggi va percorsa con un approccio sistemico. Le aziende italiane, operando nei cluster, potranno aff rontare l’economia globale sfruttando al meglio i vantaggi competitivi che dipendono da fattori locali come la conoscenza, le relazioni e la motivazione.
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marzo - aprile 2009
Si spegne il dialogo tra
banche e imprese H C N U R C T I D CRE
Crisi fi nanziaria, il rapporto tra aziende e istituti di credito si fa più difficile, soprattutto per le Pmi. Ecco le stime dell’Abi e l’inevitabile prospettiva del credit crunch testi a cura della redazione 26
Finanza e impresa Diminuisce il credito alle imprese. Un credito che nella maggior parte dei casi viene utilizzato dalle aziende per ristrutturare il proprio debito. A dirlo è il bollettino di febbraio pubblicato da Abi (Associazione bancaria italiana). Rapporto alla mano si è registrato infatti un forte calo degli investimenti fissi, delle operazioni di fusione, acquisizione e delle ristrutturazioni. L’esigenza di fondi per investimenti fissi ha segnato in Italia (a dicembre 2008 rispetto a settembre dello stesso anno) un saldo percentuale negativo pari al 62,5%. Si tratta del peggior risultato da quando è iniziata la rilevazione (gennaio 2003). Si è registrato un forte calo degli investimenti fissi, delle operazioni di fusione, acquisizione e delle ristrutturazioni e a gennaio si è avuto un lieve rallentamento della crescita degli impieghi saliti del 4,2% a 1.526 miliardi di euro (+62 miliardi rispetto allo stesso mese di un anno fa) contro il +4,9% di dicembre 2008. E come riportato da Abi, sulla base dell’indagine Bank Lending Survey di Bankitalia la domanda di prestiti delle aziende è risultata rilevante “solo ai fini della ristrutturazione del debito”. Il rallentamento del credito è più intenso nei confronti delle piccole imprese e delle aziende che operano in settori a rischio. L’indagine periodica sul credito condotta dalla Banca d’Italia segnala inoltre un progressivo inasprimento delle condizioni di concessione dei prestiti; è in aumento, secondo altri sondaggi, la percentuale di imprese che incontrano difficoltà nel finanziarsi. Dal rapporto di Banca Italia emerge che le banche, in Italia come in altri Paesi, adattano l’attivo dei propri bilanci alle difficoltà di provvista e al costo crescente della stessa. “L’allentamento delle tensioni sui mercati monetari e finanziari e il rafforzamento patrimoniale degli intermediari, facilitati dalle misure prese dal Governo e dalla Banca d’Italia – si legge nell’indagine - potranno contribuire a distendere le condizioni di offerta di credito. I dati relativi alle prime due decadi di dicembre segnalano che le recenti riduzioni dei tassi ufficiali si stanno gradualmente trasmettendo ai tassi sui prestiti bancari”. Sulla base dei dati disponibili fino a ottobre, l’attività si sta contraendo in quasi tutti i comparti dell’industria manifatturiera, con maggiore intensità in quelli dei beni intermedi e d’investimento; segnali lievemente meno negativi provengono dal settore dei beni di consumo, ad eccezione di quello dell’auto dove la produzione è crollata negli ultimi mesi del 2008. “I sondaggi congiunturali – riporta l’indagine - non lasciano intravedere una ripresa dell’attività manifatturiera a breve termine. Come nel resto dell’area, in Italia la fiducia degli imprenditori rilevata nelle inchieste dell’ISAE è scesa nei mesi più recenti ai minimi storici; si sono deteriorate in misura particolarmente accentuata le componenti relative ai giudizi sul livello degli ordini, soprattutto sui mercati esteri e sulle tendenze della produzione. Anche l’indicatore PMI, calcolato sulla base delle interviste ai responsabili degli acquisti delle imprese, ha raggiunto i valori più bassi da quando esiste la serie”. Nel terzo trimestre del 2008 gli investimenti fissi lordi delle imprese sono caduti bruscamente (-1,9 per cento sul periodo precedente), trascinati dalla componente dei macchinari e attrezzature (-3,5 per cento). L’accumulazione delle imprese è stata frenata dal deterioramento della domanda, sia corrente (i margini utilizzati di capacità produttiva sono scesi dall’estate del 2008 sui livelli più bassi da circa un decennio) sia prospettica, e dall’inasprimento delle condizioni di finanziamento, in un contesto in cui la redditività ha continuato a peggiorare e i margini per l’autofinanziamento si sono ulteriormente ridotti. Secondo le indicazioni fornite dalle banche italiane nell’ambito dell’Indagine trimestrale sul credito bancario nell’area dell’euro (Bank Lending Survey), “i criteri adottati per l’erogazione di prestiti alle imprese hanno registrato un ulteriore, moderato irrigidimento. Nel confronto con le altre rilevazioni effettuate dall’inizio della crisi finanziaria, la quasi totalità delle banche nel campione segnala una restrizione, pur moderata, delle
Secondo quanto emerge dal bollettino mensile diffuso dall’Abi le imprese che chiedono prestiti non li usano per investire ma per ristrutturare il proprio debito. A gennaio si è registrato un lieve rallentamento della crescita degli impieghi che, a gennaio, sono saliti del 4,2% a 1.526 miliardi di euro (+62 miliardi rispetto allo stesso mese di un anno fa) contro il +4,9% di dicembre 2008 politiche creditizie. L’inasprimento delle condizioni di concessione dei prestiti – che ha interessato le quantità erogate, i margini applicati, le scadenze adottate e l’utilizzo di specifiche clausole contrattuali volte al contenimento del rischio – è prevalentemente ascrivibile al deterioramento del quadro economico e al riacutizzarsi della crisi finanziaria nella seconda metà di settembre a seguito del fallimento di Lehman Brothers”. A sostegno del sistema banche-imprese, oltre al sistema Confidi, è stata accolta la richiesta di Abi e Confindustria di un congruo rifinanziamento di 450 milioni di euro del Fondo di garanzia per le Pmi per facilitare ulteriormente l’accesso al credito da parte delle imprese. In 9 anni di operatività, il Fondo ha ammesso a garanzia complessivamente oltre 56.000 Pmi (di cui oltre 13.000 solo nell’arco degli ultimi 12 mesi) per un totale di finanziamenti garantiti pari a 11 miliardi di euro. |
Un pessimista vede la difficoltà in ogni opportunità; un ottimista vede l’opportunità in ogni difficoltà. Winston Churchill
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marzo - aprile 2009
Fronte banche I nostri dati non confermano l’esistenza del credit crunch in Italia Gianfranco Torriero, Direttore Centrale Responsabile dell’Area Centro Studi e Ricerche Abi
Rafforzare il dialogo tra banche e imprese, favorire la ricapitalizzazione delle aziende e l’accesso al credito. Sono alcune delle azioni messe in campo dal sistema bancario per affrontare la crisi finanziaria, come spiega il Direttore centrale responsabile dell’Area Centro Studi e Ricerche Abi, Gianfranco Torriero. Cerchiamo prima di tutto di capire se effettivamente si sta registrando questo credit crunch. In che misura? I dati disponibili a livello di sistema non confermano la presenza del credit crunch in Italia. Nel corso degli ultimi mesi si sta registrando invece una decelerazione del tasso di crescita degli impieghi. In particolare, i finanziamenti alle imprese non finanziarie sono cresciuti a dicembre 2008 di circa il 6% su base annua. Questo valore è ancora superiore di oltre un punto percentuale se si considera l’effetto delle cartolarizzazioni dei crediti. Pertanto il mercato dei finanziamenti, più che da un fenomeno di contrazione dell’offerta del credito, nella fase attuale risente dagli effetti del rallentamento ciclico dell’economia italiana. I finanziamenti alle imprese registrano un tasso di crescita positivo mentre il pil, gli investimenti, i principali dati relativi alla dinamica del fatturato e della produzione delle imprese sono fortemente negativi. Quindi, pur in rallentamento, l’offerta del credito nel complesso resiste ai venti di recessione, in un contesto in cui inevitabilmente le politiche di affidamento delle banche sono diventate più attente data l’evoluzione dell’economia. Qual è lo stato di salute della banche italiane? In questa crisi che ha colpito tutte le economie, il settore bancario italiano si è dimostrato più solido, più forte rispetto agli altri settori bancari esteri. La maggiore capacità di resistenza delle banche italiane ha fatto perno su un più basso utilizzo dell’effetto leva, un diverso business mix (più tradizionale e meno esposto nelle attività finanziarie), una elevata qualità degli attivi bancari. Ma la crisi ora da finanziaria è diventata “reale”, impatta su tutti i settori dell’economia. Sicuramente l’attesa è di un peggioramento della qualità del credito, fenomeno che si accompagna normalmente a situazioni di recessione. Tuttavia, partiamo da una situazione di forza. Il livello della rischiosità dei prestiti alle imprese è su livelli storicamente bassi, possiamo quindi ritenere che la situazione sia pienamente gestibile. Da parte dei clienti-famiglie inoltre non sembrano esserci tracce di aumento delle sofferenze, che possano pesare ulteriormente sullo stato di salute delle nostre banche. Per continuare a garantire la stabilità del sistema, è necessario preservare la qualità degli impieghi. Un importante contributo alla stabilità del settore deriva altresì dalla dinamica della raccolta: a dicembre del 2008 è cresciuta del 13% rispetto allo stesso mese del 2007, più del doppio di quanto si registrava a fine 2007 (+6,3%). Quali sono i settori, le aziende che oggi avanzano richieste di credito? A partire dalla seconda metà del 2008, si registrano andamenti più convergenti per quanto riguarda la dinamica dei prestiti tra le diverse dimensioni di imprese. Strutturalmente i prestiti alle piccole e medie imprese presentano tassi di crescita maggiormente stabili mentre sono soprattutto i prestiti di maggiore dimensione che registrano andamenti più volatili. Questo è dovuto soprattutto alle diverse finalità dei prestiti che caratterizzano le due tipologie dimensionali di imprese. Per le Pmi è rilevante la quota di finanziamenti per stabilizzare il circuito degli incassi e dei pagamenti. Comunque nell’ultimo trimestre del 2008, i settori che presentano tassi di crescita più elevati sono quelli dei prodotti energetici, della metallurgia, dei mezzi di trasporto. Il tessile e la carta invece registrano variazioni negative. 28
Quali sono state le principali iniziative prese dal settore bancario a sostegno dei finanziamenti alle aziende? Già nel biennio 2004-2005, periodo che ricordo aveva registrato un forte rallentamento ciclico dell’economia, il settore bancario aveva contribuito ad una efficace gestione della struttura finanziaria delle imprese, attraverso anche un ampio ricorso alla ristrutturazione dei debiti. Oggi, data la situazione recessiva, l’impegno deve essere ancora maggiore. Abi e Confindustria hanno attivato proprio a questo fine un tavolo di lavoro ad alto livello, che vede il coinvolgimento dei presidenti delle due Associazioni, e dei presidenti e degli amministratori delle principali banche italiane oltre ad alcuni importanti imprenditori. L’obiettivo è rafforzare il dialogo tra il mondo delle imprese bancarie e quello delle imprese degli altri settori produttivi. Inoltre sono stati individuati alcuni temi che possono essere sviluppati con una azione comune. In particolare, sosteniamo misure volte a favorire la ricapitalizzazione delle aziende ad esempio attraverso la detassazione degli utili reinvestiti e degli apporti di capitale nonché tramite la rivalutazione del patrimonio immobiliare delle Pmi. Nello stesso tempo, per favorire l’accesso al credito, abbiamo auspicato un rafforzamento dei Confidi e della dotazione patrimoniale del Fondo di Garanzia delle Pmi, che può essere utilizzato anche per operazioni di capitale di rischio. Un ulteriore intervento che stiamo realizzando è quello dell’individuazione di strumenti che rendano più facile lo smobilizzo dei crediti che le imprese hanno nei confronti della pubblica amministrazione. Per migliorare il rapporto tra le parti, in tema di rating è stato concordato un protocollo per individuare le modalità con cui le banche dovranno informare le aziende dei fattori rilevanti, suscettibili di influenzare la valutazione, e i principi del processo del rating che saranno applicati. Per rafforzare ulteriormente la collaborazione, il lavoro comune tra Abi e Confindustria sta proseguendo, tappa dopo tappa, su tutto il territorio nazionale, nelle singole province. La priorità attuale è mantenere la reciproca fiducia. Chi subisce maggiormente il rallentamento del credito? Le indagini congiunturali svolte periodicamente dalla Bce e dalla Banca d‘Italia per valutare i fattori alla base della dinamica dei prestiti, stanno rilevando come sia negativo il contributo fornito alla domanda di prestiti da parte delle componenti riconducibili agli investimenti e alle politiche di merger & acquisition. In realtà, quindi, la decelerazione dei finanziamenti è stata più sensibile per le medio/grandi imprese. Le Pmi in genere presentano variazioni dei finanziamenti più contenute. Per l’Italia, un nostro recente studio ha messo in evidenza l’importanza della vicinanza tra banca e impresa per ridurre il grado di rischio dei finanziamenti. Proprio la vicinanza, l’ampia articolazione territoriale dei punti di contatto tra banche e realtà produttive, assicurata sia dalle piccole banche sia dai grandi gruppi bancari, dovrebbe consentire il significativo sostegno nei confronti delle imprese, soprattutto di quelle piccole e medie, fondamentali per la tenuta dell’intero sistema economico, che potranno quindi fare affidamento su istituti che pure innovandosi hanno mantenuto una presenza capillare e un rapporto forte con il territorio. Dal vostro punto di vista le imprese come dovranno affrontare questo 2009? Piuttosto che dare consigli su come aff rontare la crisi, sarebbe meglio riflettere sulle difficoltà comuni e considerare le op-
Finanza e impresa portunità per rafforzare il confronto tra industria bancaria e settore produttivo. Il compito delle banche nel 2009 sarà particolarmente impegnativo: dovrà contemperarsi l’esigenza del sostegno dell’economia con i principi di sana e prudente gestione, per evitare spiacevoli sorprese a livello di qualità del credito. Per quanto riguarda le imprese, il rafforzamento patrimoniale si pone come obiettivo prioritario. Questo è un fattore cruciale per creare le condizioni di maggiore competitività in una fase ciclica che dai diversi previsori viene considerata particolarmente critica. Proprio nell’ottica di accrescere il dialogo come Abi, oltre all’attività con Confindustria, stiamo rafforzando la collaborazione anche con le altre rappresentanze del mondo imprenditoriale, ad esempio rafforzando il ruolo dell’“Osservatorio permanente sui rapporti banche e imprese” che ci permette di monitorare con tempestività le principali variabili creditizie e di confrontarci con i problemi che di volta in volta si possono presentare. Quando potranno esserci degli spiragli di luce? Come dimostrato dalle previsioni della Banca d’Italia e del Governo che stimano una contrazione del Pil del 2% per il 2009, la crisi finanziaria ora è accompagnata a livello internazionale da un ciclo recessivo dell’economia reale, che investe ovviamente anche l’Italia. Ciò è confermato anche dal calo degli investimenti e dal crollo della produzione industriale e degli ordinativi. L’economia italiana è fortemente penalizzata dalla dimensione del debito pubblico che rende più difficile l’attivazione di politiche anticicliche. Tuttavia, data l’eccezionalità della crisi, è ineludibile uno sforzo congiunto di tutti gli operatori economici per ricreare condizioni per una rapida ripresa dell’economia nazionale. Ognuno deve fare la sua parte. Inoltre non dobbiamo dimenticarci che nel corso degli ultimi dieci anni il Pil italiano era cresciuto a ritmi stabilmente inferiori a quelli degli altri paesi europei e quindi permane l’esigenza di attivare politiche volte non solo al rilancio congiunturale ma anche al rafforzamento strutturale della nostra economia. In questo quadro, un importante elemento di positività può essere svolto dal settore bancario che ha dimostrato un buon livello di solidità e stabilità. Grazie ad una gestione tradizionalmente oculata e attenta, le nostre banche continuano a svolgere con efficienza ed efficacia il proprio ruolo cruciale di sostegno dell’economia. Nell’anno in corso, speriamo quindi, con uno sforzo corale, di riuscire a gettare le basi per una ripresa economica, affinché nel 2010 si realizzi una significativa inversione di tendenza.
Fronte imprese Tassi in aumento, rincari e stretta del creditizia: le aziende faticano “Le imprese saranno il motore dell’uscita dalla
e continuano ad offrire opportunità per investi-
crisi. Investimenti, la spesa per la ricerca, lo svi-
menti strategici.
luppo e l’innovazione saranno alla fine strategie premianti”. A dirlo è il presidente di Confindu-
Gli imprenditori quali strumenti possono uti-
stria Lombardia, Giuseppe Fontana, convinto
lizzare nel concreto per restare a galla?
della necessità da parte delle aziende di cogliere le
Fra gli elementi del contesto esterno su cui un’im-
occasioni che il mercato presenta.
presa può fare leva virtuosamente per uscire dalla crisi vanno sicuramente menzionate le politiche
Quali sono, ad oggi, gli effetti concreti della
predisposte da Regione e Governo e il forte ruolo
stretta sul credito alle imprese sull’economia
dei Confidi confindustriali come ammortizzatori
lombarda?
della stretta creditizia.
L’effetto più evidente è stata la richiesta di maggiori garanzie da parte delle banche avvenuto attraver-
Come si sta muovendo Confindustria Lombar-
so l’aumento dei tassi d’interesse o il rincaro dei
dia in questo contesto?
costi operativi e di commissione. Di conseguenza
Confindustria Lombardia ha immediatamente
le imprese ora tendono a razionalizzare i costi di
sollecitato politiche regionali in grado di foca-
approvvigionamento e produzione, a comprime-
lizzare selettivamente le risorse su un ventaglio
re i margini di profitto e a ridurre gli ordinativi
di interventi decisamente mirato. In particolare
ai propri fornitori. Le banche, a loro volta, non
abbiamo lavorato per fare inserire nel pacchetto
scontano più le fatture in ritardo, alzano gli spre-
anticrisi misure di sostegno agli investimenti pro-
ad e chiedono di rientrare dal debito allo scopo
duttivi, all’innovazione tecnologica e al rinnovo
di ripatrimonializzarsi. Ma c’è di più: alle piccole
dei macchinari ma soprattutto misure di sostegno
imprese e a quelle dei comparti considerati più a
all’accesso al credito nella forma dell’abbattimen-
rischio, come per esempio l’automotive, vengono
to dei tassi d’interesse e del rafforzamento della
ridotte o non più rinnovate le linee di credito.
garanzie rilasciate dai Confidi.
Quali e quanti settori sono a rischio?
Seppure il periodo non sia dei migliori, in Lom-
Per la prima volta negli ultimi anni ci troviamo
bardia ci sono comunque dei segnali positivi, re-
ad affrontare una crisi di carattere intersettoriale.
altà che riescono comunque a crescere? Come?
Il carattere sistemico di questa crisi è strettamente
Paradossalmente ogni crisi è un’opportunità e le
correlato alla sua matrice finanziaria. Dalle rileva-
imprese saranno il motore dell’uscita dalla crisi.
zioni effettuate dalle nostre associazioni territoriali
La business community lombarda è sempre atten-
possiamo verificare un solo settore in controten-
ta ad investire in progetti interessanti e sostenibili
denza, vale a dire quello alimentare, struttural-
e ciò è provato dai numeri: l’impresa del nord-
mente meno soggetto al calo dei consumi.
ovest sostiene la ricerca con un investimento pari al 73,1% della spesa complessiva contro una media
Accesso al credito ridotto, domanda in diminu-
nazionale, che include anche il contributo di uni-
zione e mercati internazionali che rallentano. In
versità e pubblica amministrazione, del 47,8%. Le
questo scenario come riescono a sopravvivere le
imprese saranno il motore dell’uscita dalla crisi:
piccole e medie imprese?
non tagliare gli investimenti, la spesa per la ricer-
Alla domanda su come un’impresa possa uscire
ca, lo sviluppo e l’innovazione saranno alla fine
dalla stretta e rilanciarsi, le risposte possono na-
strategie premianti. Le imprese devono inoltre
turalmente essere tutte discutibili. Sicuramente
fare più rete incrementando le opportunità che
un’impresa deve prima condurre un’analisi della
il mercato in questa fase offre. Le dinamiche di
propria situazione interna (patrimonio, organiz-
filiera sono un patrimonio importante che va raf-
zazione, etc.) ed esterna (business di riferimento,
forzato e favorito soprattutto in fasi cui il sistema
andamento del proprio mercato). Successivamen-
economico-produttivo non può permettersi di
te dovrebbe adeguare a questo quadro un appro-
cedere ma anzi deve attutire l’impatto negativo
priato sistema di gestione di cassa raffinando per
della crisi.
esempio la gestione dei costi. Tuttavia un’impresa non può mai prescindere dalla ricerca di nuovi sbocchi di mercato: i paesi cosiddetti emergenti continuano a crescere, anche se meno di prima,
Giuseppe Fontana, presidente di Confindustria Lombardia
Business&Gentlemen
marzo - aprile 2009
Giovani
e imprese una sfida culturale tutta da giocare e da vincere
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Giovani e imprese. Un amore davvero impossibile? Stando al report realizzato da Confindustria Lombardia il gap esistente tra le nuove generazioni e il mondo dell’impresa sarebbe ancora troppo evidente. Falsi miti, difficoltà di accesso al credito e una burocrazia lenta e complessa non farebbero altro che allontanare ulteriormente i giovani dal mondo dell’imprenditoria. Un mondo spesso avvertito come distante e sconosciuto, ma che può riservare infinite possibilità, anche in un momento di crisi profonda come quello che stiamo attraversando. A dirlo è
Nuove generazioni
Studio di Confi ndustria Lombardia: tra le nuove generazioni e il mondo imprenditoriale il contatto è ancora difficile. Allo studio alcune iniziative utili a migliorare il dialogo e a incentivare i più giovani a trovare stimoli e punti di contatto con le aziende. L’intervista al presidente dei Giovani Imprenditori della Lombardia, Marco Campanari, che sottolinea l’esigenza di una sfida culturale testi di Desirèe Cividini
Marco Campanari, Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Lombardia: un gruppo che raccoglie ben 12 mila iscritti. Tra questi circa il 25 per cento sono imprenditori di nuova generazione. Giovani che hanno scelto di giocare la loro scommessa su un campo difficile ma senza dubbio stimolante: quello dell’impresa. Dalla ricerca sul rapporto tra giovani e imprese elaborata da Confindustria Lombardia emerge che i giovani conoscono ancora poco l’impresa. Quali crede siano i passi necessari da compiere affinché l’azienda diventi una realtà più attraente per i giovani? Prima di tutto si tratta di una sfida culturale. Le aziende sono l’ossatura portante
del Paese, ma viviamo in un’epoca in cui il “fare impresa” viene considerato da molti attori della società come un “male” necessario. La cultura d’impresa, per ragioni storico-culturali, è rinchiusa all’interno del sistema delle imprese e delle associazioni imprenditoriali. Al di fuori se ne parla quasi sempre in negativo, riferendosi all’inquinamento, agli incidenti, agli aspetti problematici, senza ricordare come l’impresa sia stata e sia, in realtà, il vero e principale motore del progresso del Paese, producendo e ridistribuendo ricchezza, benessere, dinamismo sociale e conoscenza. In altri Paesi questi concetti sono acquisiti, mentre da noi, spesso, i giovani non conoscono la realtà e le opportunità del lavoro nell’impresa o ne hanno un’im-
magine distorta. E’ importantissimo che i due ambiti in cui un giovane si forma, ovvero la famiglia e la scuola, sappiano parlare di impresa in maniera più corretta ed oggettiva. A questo proposito una realtà quale Confindustria Lombardia cosa sta facendo? La diff usione della cultura d’impresa fa parte della tradizionale mission dei Giovani imprenditori di Confindustria, ed è forse uno degli aspetti più importanti del nostro impegno. Da questo punto di vista, in Lombardia quest’anno abbiamo organizzato un Management game regionale, ovvero un gioco di simulazione d’impresa che portiamo nelle scuole lombarde e a cui possono partecipare le classi quarte degli 31
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marzo - aprile 2009
Marco Campanari, Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria Lombardia
Un giovane che voglia intraprendere un cammino imprenditoriale per trasformare una nuova idea in un’impresa, trova indubbiamente degli ostacoli e trova, ancor più di questi tempi, difficoltà di accesso al credito. Tuttavia, pur in questo quadro a tinte fosche, idee vincenti e una buona dose di tenacia possono essere determinanti, come è dimostrato da quelli che “ce la fanno” . E non sono pochi: degli oltre 12.000 iscritti al movimento dei Giovani imprenditori di Confindustria, il 25 per cento è imprenditore di nuova generazione
istituti superori. Alla competizione parteciperanno migliaia di ragazzi: sarà una formidabile e preziosa occasione per far conoscere più da vicino agli studenti il mondo dell’impresa. Accanto a strumenti innovativi come questo, quasi ovunque i Giovani imprenditori detengono nel sistema delle Confindustrie territoriali la delega alla scuola e la esercitano, anche e soprattutto, creando numerose occasioni di contatto e di intervento con gli studenti nel mondo delle scuole professionali, dei licei e delle università. Cosa è cambiato rispetto a qualche anno fa nel rapporto tra i giovani e le imprese? La Lombardia, da sempre, è un territorio fondato sul valore della cultura del lavoro. Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, si sono creati e diff usi falsi miti ed aspettative fondate su concetti fuorvianti. Si è voluto distinguere fra lavori comodi e scomodi come se non vi fosse un’identica alta dignità nel lavoro in senso generale. Si è diff usa l’idea che a fronte di un modesto impegno debba esserci un guadagno sicuro e facile, e si è dimenticato che accanto a diritti certi debbano anche esserci doveri altrettanto certi. In altre parole, mi pare che si stia deteriorando la cultura del lavoro cui si faceva cenno, che dal dopoguerra ad oggi aveva sempre costituito da un lato il carburante e dall’altro il valore fondante delle nostre terre. E’ una deriva dannosa e preoccupante cui si deve assolutamente porre fine: ristabilire i valori e 32
i concetti corretti è un modo per aumentare il “capitale sociale” del Paese. Quali sono gli ostacoli maggiori che un giovane che intende diventare imprenditore oggi rischia di incontrare sul suo cammino? Quali invece le opportunità? Oggi fare impresa è molto più difficile che in passato; lo è diventato tanto il fare nuova impresa, quanto il prendere il timone dell’impresa di famiglia per svilupparla. Soprattutto in Italia, che nell’indice delle libertà economiche si colloca ad un livello incredibilmente basso. Viviamo in una Paese che, purtroppo, da ormai lunghissimo tempo soffoca le aspirazioni anziché stimolarle. Le soffoca con una burocrazia lenta e complessa, con una pressione fiscale sempre meno sostenibile, con un ordinamento basato su oltre 120 mila leggi, non di rado fra loro contrastanti, che regolano la nostra esistenza non sullo slancio del fare, quanto piuttosto del cosa non si può fare. Un giovane che voglia intraprendere un cammino imprenditoriale per trasformare una nuova idea in un’impresa, trova indubbiamente ostacoli legati a questi aspetti, e trova, ancor più di questi tempi, difficoltà di accesso al credito. Tuttavia, pur in questo quadro a tinte fosche, idee vincenti e una buona dose di tenacia possono essere determinanti, come è dimostrato da quelli che “ce la fanno”. E non sono pochi: degli oltre 12.000 iscritti al movimento dei Giovani imprenditori di Confin-
Nuove generazioni
Giovani e imprese, la distanza resta grande Sono le aziende, attraverso quello che fanno e dicono, gli attori principali per il rinnovamento della relazione fra i giovani e l’impresa. Un rinnovamento quanto mai necessario, soprattutto alla luce dei risultati emersi dall’ultimo report realizzato da Confindustria Lombardia, nel quale viene analizzato il rapporto, ancora troppo debole, tra le nuove generazioni e le aziende presenti sul territorio. Obiettivo del complesso lavoro dal titolo “Giovani e imprese, un amore impossibile”, condotto da Confindustria, è stato quello di identificare le modalità più efficaci per diffondere la cultura d’impresa e per far capire le opportunità di crescita professionale presenti nel mondo industriale, spesso percepito dai più giovani come un universo decisamente troppo distante. Se nelle oltre sessanta pagine di cui è composta la ricerca da un lato emerge che l’industria incarna un polo di opposizione rispetto alla scuola, dall’altro si cerca di individuare degli interventi utili al rilancio dell’immagine dell’impresa tra i giovani, in modo tale da stabilire un contatto diretto e più immediato tra le due realtà. Fondamentale, per raggiungere questo obiettivo, è l’abilità delle aziende di attrarre a loro anche le generazioni più giovani: “Un adolescente – spiega Guido Corbetta, docente dell’area Strategia della SDA Bocconi – difficilmente mostra interesse nei confronti del mondo dell’industria. Il compito di catturare l’attenzione dei giovani spetta quindi alla scuola e alle aziende, che dovrebbero essere in grado di organizzare delle iniziative per attrarre i giovani, tenendo in considerazione quelli che sono i loro reali interessi. Parlo di iniziative concrete, che diano l’opportunità di vedere da vicino la realtà aziendale e il lavoro che quotidianamente viene svolto da chi ci lavora. Solo con un approccio più immediato e meno teorico può crescere l’interesse e i giovani possono realmente essere stimolati”. Quello su cui bisogna concentrarsi secondo Corbetta sono proprio gli incentivi: “In una logica di lungo periodo – afferma il docente - credo che l’imprenditore abbia interesse ad attirare verso la propria aziende dei giovani validi, che possano iniziare a gettare le basi non solo per il proprio futuro, ma anche per quello dell’impresa. E’ chiaro che per riuscire a instaurare un legame diverso tra industria e nuove generazioni è necessario ragionare su cosa realmente serve a questi ragazzi, cercando di agire sugli incentivi e non sui doveri”. Una delle fonti principali per stimolare la motivazione, stando a quanto indicato nella ricerca condotta da Confindustria, sarebbe il management, il modo in cui le persone sono gestite, guidate e aiutate a crescere. Ed è proprio partendo da questo presupposto che sono state individuate delle iniziative utili ad avvicinare i giovani alla realtà aziendale. Queste azioni, secondo Confindustria, dovranno essere sviluppate in parallelo agendo su tre differenti realtà: la prima sono appunto le aziende che, con i loro processi produttivi e organizzativi, devono diventare realtà concrete per i giovani: far vedere e “far toccare” l’azienda, le sue persone e trasformare le visite in momenti attivi e di presa di iniziativa sono il primo presupposto per stabilire un contatto più immediato. Fondamentale è anche la strategia messa in campo dalla scuola, che deve essere in grado di favorire tutte le proposte che contribuiscono ad abbattere la vertiginosa separazione che c’è oggi tra lo studio e il lavoro e potenziando le apprezzate iniziative già in atto come gli stage e l’alternanza scuola-lavoro. Ma fondamentale secondo lo studio condotto da Confindustria è anche la comunicazione, ovvero la capacità di far conoscere ai giovani il mondo della produzione servendosi degli strumenti, dei canali e del linguaggio delle nuove generazioni. Un modo per dare visibilità alle aziende e alle diverse professionalità che le compongono, attraverso strumenti inconsueti ma utili ad abbattere i muri che si sono creati tra il mondo della scuola e quello del lavoro.
dustria, il 25 per cento è imprenditore di nuova generazione. Preziosissimo, in tale senso, è un rapporto evoluto con il mondo delle università e degli acceleratori di impresa. Da ultimo, occorre dire che la crisi epocale che stiamo vivendo può anche presentare opportunità di investimento e di crescita impensabili fino a poco tempo fa.
La Lombardia, da sempre, è un territorio fondato sul valore della cultura del lavoro. Tuttavia, soprattutto negli ultimi anni, si sono creati e diffusi falsi miti ed aspettative fondate su concetti fuorvianti Quali consigli si sente di dare ad un giovane che oggi sceglie di fare l’imprenditore? Deve essere conscio di accingersi a fare il mestiere più bello che esista, ma anche uno fra i più complicati e rischiosi. Deve avere una formidabile tenacia, eun carattere forte per gestire tanto gli insuccessi quanto i successi. E deve essere creativo, innovativo, in qualsiasi ambito abbia a che fare con la sua attività di imprenditore. |
Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro Bob Dylan
www.confindustria.lombardia.it
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Innovazione
ecosostenibile
la filosofia vincente di Nuncas
Nata nel 1935, l’azienda milanese leader nei prodotti per la pulizia vive oggi la sua terza generazione imprenditoriale e concentra le sue prospettive di sviluppo senza tralasciare le politiche ecologiche a cominciare dalla nuova sede, tra i primi edifici in Lombardia a basso impatto ambientale testo di Laura Di Teodoro 34
Una storia cresciuta seguendo l’onda e la filosofia di investimenti e strategie di “lungo periodo”, mantenendo ancorate le radici all’italianità, alla tradizione unita a innovazione e specializzazione. È la storia di Nuncas Italia, azienda milanese leader nel settore dei prodotti chimici detergenti per la pulizia della casa e la cura del corpo. Con i suoi 22 milioni di fatturato e un organico di 75 dipendenti, la Nuncas cresce ogni anno grazie a scelte nettamente in controtendenza rispetto al mercato, come spiega l’amministratore Luca Manzoni. “Come terza generazione siamo partiti con la consapevolezza che era necessario fare scelte e fissare obiettivi a lungo termine – spiega Manzoni -. Questo è stato possibile solo attuando strategie diverse rispetto alla concorrenza o alla grande distribuzione. Loro hanno un approccio e un orientamento a risultati di breve periodo. Non solo. Fin da subito abbiamo voluto posizionarci su valori solidi e veri puntando sul prodotto e sulla qualità, facendo esattamente il contrario di quanto attuato dai
concorrenti multinazionali”. La storia di Nuncas inizia nel 1935 a Milano su idea di Nunzio Cassata, un commerciante di pellami. Come racconta l’ad Luca Manzoni, il primo prodotto fu un bianchetto per calzature utilizzato da signori e signore, persone che già avevano un abbigliamento di un certo stile. Nel 1952 il testimone passò a Salvatore Cassata, figlio di Nunzio. Sotto la sua guida venne ampliata la sfera commerciale, distribuendo in Italia prodotti esteri innovativi appartenenti alla categoria della cura della casa, dalla pasta lavamani, al deodorante spray per gli ambienti, al primo ammorbidente, al detergente per vetri e specchi e ancora dalla cera per mobili. Con il passaggio alla terza generazione, negli anni Ottanta e l’ingresso della figlia di Salvatore, Rosa Maria Cassata e di suo marito Luca Manzoni si è iniziato a viaggiare verso la costruzione di un’impresa specializzata nella produzione e vendita di prodotti per il lavaggio e la cura dei tessuti, la pulizia della casa e la profumazione degli ambienti. Partendo dal bisogno del clien-
La strada ecosostenibile
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La proprietà dell’azienda ha creduto, e crede tuttora, che il mondo non possa finire con la grande distribuzione. Ha, dunque, puntato sulla propria diversità dimensionale e sulla qualità. Pur essendo relativamente piccola, Nuncas ha deciso di aprire negozi monomarca
Sopra Boutique Nuncas a Milano nello storico quartiere di Brera Nella pagina precedente uno scorcio della nuova sede dell’azienda In apertura di servizio l’ad di nuncas, luca manzoni Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e se non le trovano le creano. George Bernard Shaw
www.nuncas.it
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te e dalla qualità del prodotto, la terza generazione Nuncas ha deciso di puntare e concentrarsi sul canale della distribuzione al dettaglio, non limitandosi quindi alla GDO, fino ad arrivare ad aprire un proprio negozio monomarca nello storico quartiere Brera di Milano, un punto vendita totalmente dedicato all’igiene e alla cura della casa. “Ad oggi abbiamo circa 250 prodotti sul mercato e circa tre milioni di clienti in Italia – spiega Manzoni -. Abbiamo sempre voluto mettere in primo piano le esigenze del nostro consumatore, senza mai ridurre la qualità delle nostre formule”. Una qualità che corre di pari passo con una ricerca e sviluppo diventati parte integrante dell’azienda e un settore che assorbe oggi circa il 10 per cento dell’organico complessivo e il 3 per cento degli investimenti: “Il reparto interno di Ricerca e Sviluppo è composto da un team di chimici professionisti – spiega Manzoni - . Nell’organigramma aziendale si trova anche una figura assolutamente anomala per il settore, rappresentata dal Direttore Creativo che si posiziona a metà tra il marketing e la ricerca e definisce lo sviluppo dei nuovi prodotti”. Gli altri fattori su cui Nuncas ha costruito il proprio successo sono l’italianità di tutta la catena di produzione, la tradizione, ergo il legame con le origini, l’innovazione nella chimica e la specializzazione dei prodotti, studiati “senza limiti di costo sulle formule chimiche”. “Anche su questo tipo di scelta prendiamo le distanze dalla normale via seguita dai grandi – spiega l’amministratore delegato -. Investiamo sulla produzione piuttosto che nel marketing. Grazie a questa strategia non facciamo concorrenza a nessuno e i clienti che vogliono la qualità ci vengono a cercare”. Per migliorare e incrementare il servizio alla clientela, Nuncas ha creato una scuola di formazione interna per preparare i dettaglianti a consigliare il prodotto giusto e far conoscere tutta la nostra gamma. Sul fronte del mercato estero l’azienda ha avviato un processo di internazionalizzazione in Francia e in Spagna. “Per il futuro il nostro obiettivo è sicuramente quello di rafforzare la nostra presenza in quei Paesi – prosegue Manzoni parlando degli obiettivi per il prossimo triennio -. Continueremo a sviluppare nuovi prodotti e lavoreremo per aprire uno o due negozi Nuncas”. Un’attenzione particolare viene rivolta alla tematica ambientale e proprio in questa direzione è stata realizzata la nuova sede di Settimo Milanese. Si tratta del primo insediamento industriale che è in grado di produrre più energia rispetto a quanta ne consuma e questo attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili e strumenti per il risparmio energetico. La nuova sede, inaugurata lo scorso marzo 2008, ha una superficie di ottomila metri quadrati, ospita gli uffici dell’azienda e il magazzino per lo stoccaggio dei prodotti. È tra i primi casi realizzati in Lombardia di edificio totalmente eco-sostenibile e autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie all’utilizzo di un impianto fotovoltaico la cui potenza si colloca tra i maggiori impianti funzionanti in Lombardia, abbinato a materiali ecologici e impianti all’avanguardia capaci di sfruttare le risorse naturali e produrre un abbattimento delle emissioni di CO2 pari a 140 tonnellate l’anno. La sede, che si trova a Settimo Milanese, è alimentata infatti da un impianto fotovoltaico composto da 624 moduli di 135 chilowatt di potenza realizzato per Nuncas dalla cooperativa sociale Esedra. |
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Tradizione e innovazione il “Progetto”
Antica Fratta compie 30 anni
Nel cuore della Franciacorta, tempo di festeggiamenti per la casa vinicola che vanta una filosofia innovativa: grande attenzione all’eleganza, alla piacevolezza e all’esclusività per creare “gioielli” di bollicine testi di Mauro Milesi
Il tempo nel mondo del vino funziona a modo suo. C’è il tempo della vigna, ritmato, implacabile, operoso. C’è il tempo delle scelte, sapiente e rigoroso. C’è quello dell’attesa, della maturazione: un tempo lento lento, strutturato, immobile. C’è quello dell’imbottigliamento, con i suoi schemi; quello della distribuzione, con le sue procedure. Poi c’è il tempo dei gesti, consapevoli e esperti che portano il vino dalla bottiglia al bicchiere: guardare, aprire, versare. Infine c’è quel tempo straordinario e meraviglioso, quello dei colori, dei profumi e dei sapori: attimi liquidi che si trasformano in sensazioni e, qualche volta, in emozioni. E questo fantastico giocattolo del tempo nel mondo del vino segna per un’azienda giovane eppure matura il rintocco dei trent’anni. Festeggia questo traguardo Antica Fratta, casa vinicola in provincia di Brescia, nel territorio magico della Franciacorta. Trenta candeline possono sembrare poche nel panorama enologico italiano, ma qui la prospettiva è completamente diversa, perché tre decenni legati alla produzione delle “bollicine” sono un traguardo importante. “Data la brevissima storia della Franciacorta – spiega Marcello Bruschetti, amministratore di Antica Fratta con delega al marketing strategico – con i suoi trent’anni, Antica Fratta è una delle più “anziane”. Ci sono certamente aziende vinicole che vantano una storia molto più lunga, ma solamente negli ultimi anni si sono convertite alla produzione di questo tipo di vino”. Inoltre, c’è modo e modo 38
di vivere i propri trent’anni e Antica Fratta lo fa senza adagiarsi troppo al passato e ai traguardi conquistati, perché l’azienda in questi ultimi anni è in costante evoluzione. Una sorta di “Progetto Antica Fratta”, attraverso cui l’impresa avvia una politica di costante rinnovamento, un processo che ha subito un grande impulso circa sei anni fa. Una linea di confine che divide in due la storia di questa casa vinicola. Nella sua “prima vita”, Antica Fratta era poco più che una realtà commerciale: i vini venivano pensati e realizzati dalla casa madre Berlucchi e le ottocentesche cantine dell’azienda servivano solo per il periodo di presa di spuma e maturazione, senza generare un vero valore aggiunto al vino. Ma sei anni fa è iniziata una nuova vita per Antica Fratta che si è incamminata verso un percorso d’indipendenza operativa attraverso la costruzione di macchinari di pressatura e vinificazione, la ricerca di un enologo, l’impianto di vigneti propri e la selezione di un gruppo di produttori d’uva. “E’ stato il primo grande cambiamento – ha continuato Marcello Bruschetti – anche se mancava ancora un progetto compiuto che mirasse a creare una personalità, uno stile, un’immagine distintiva. Nel 2004 abbiamo iniziato a lavorare anche su questo per ideare un percorso che trasformasse Antica Fratta in un marchio conosciuto e riconoscibile. Come mi piace ripetere, nella realtà tutto questo era già scritto nella storia, nell’eleganza, nell’esclusività della sede e delle cantine di Antica Fratta. Sono que-
Imprese del vino
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Trenta candeline possono sembrare poche nel panorama enologico italiano, ma qui la prospettiva è completamente diversa, perché tre decenni legati alla produzione delle “bollicine” sono un traguardo importante ste le basi solidissime su cui si fonda un progetto ambizioso che vuole fare di Antica Fratta il “gioiello” di Franciacorta”. Ma quali sono gli elementi distintivi della produzione Antica Fratta? Qui si tende a dare particolare importanza all’eleganza, alla piacevolezza, all’esclusività: tutto condito con un pizzico di glamour. Perché queste caratteristiche, in fondo, sono le stesse dell’anima del Franciacorta e sono le stesse del nostro essere italiani. Certo, perché la forza del Made in Italy in azienda conta parecchio. “ Non abbiamo nessun interesse – sottolinea Bruschetti - a volerci misurare sul campo dei cugini dello Champagne in tema di acidità e struttura, ma facciamo della piacevolezza, della pulizia, dell’eleganza la nostra bandiera, consapevoli che in questo la Franciacorta non ha rivali. Il tutto condito con una idea del vino e della vita che si confà perfettamente alla nostra natura di esteti e buongustai”. Insomma, il progetto Antica Fratta ha una sua filosofia ben precisa e che si basa sull’idea del godersi la vita (Enjoy life) e del lusso quotidiano. Una flute di Antica Fratta quale piacevole momento di edonismo, un lusso di assaporare la vita che tutti, magari con frequenza diversa, si possono permettere. “Un’idea – continua Bruschetti - che vogliamo condividere con tutti gli amanti di Antica Fratta, perché il vino è un social network ante-litteram, è condivisione e socializzazione. Così abbiamo cominciato a lavorare assiduamente all’immagine ed alla comunicazione dell’azienda e dei nostri vini, puntando molto in questa direzione. Una cura del packaging e dell’immagine coordinata che non abbia eguali sul panorama spumantistico italiano: questo è diventato subito uno dei punto cardine del nostro “progetto”. Gli altri punti cardine della casa vinicola sono, invece, più strettamente legati alla
La prima cantina industriale in ranciacorta Fu Luigi Rossetti, un commerciante di vini di Marone, ad acquistare “La Fratta” nel 1866. Un casale agricolo che si trova nella frazione Fontana di Monticelli Brusati, in Franciacorta. Rossetti sistemò il complesso dando vita a una lussuosa residenza padronale. Un importante intervento riguardò la cantina che venne ampliata scavando nella roccia calcarea gallerie profonde oltre 25 metri. Qui vennero collocate botti con una capacità complessiva di migliaia di ettolitri di vino. Per questo, quella di Antica Fratta, viene considerata la prima cantina “industriale” della Franciacorta. Nel 1978 la residenza è stata acquisita dalla Berlucchi, completamente ristrutturata e riportata all’antico splendore.
Imprese del vino
Esterno della villa che viene utilizzata come location per eventi nella pagina precedente una veduta delle cantine
produzione: una auto-limitazione a 350mila bottiglie l’ anno per dare un significato concreto alla parola esclusività; la volontà di allungare in maniera unica i tempi medi di maturazione ed affinamento, facendo in modo che (entro 3 anni) la gamma di Antica Fratta si componga di soli “Essence” e “Quintessence”. “Essenza di Franciacorta – racconta Marcello Bruschetti - è il nostro pay-off ed Essence saranno i nostri vini che avranno tempi di maturazione minimi di 30/36 mesi e tempi di affinamento minimi di 8/10 mesi; il Quintessence (in commercio dal 2013) avrà addirittura tempi di maturazione superiori ai 6 anni, oltre ad un anno di affinamento”. Nel 2009 il progetto Antica Fratta vivrà un altro anno cruciale, come lo è stato il 2008. L’azienda punterà mol-
La produzione Antica Fratta ha venduto nel 2008 212.000 bottiglie di cui 170.000 di Franciacorta (si è registrato un incremento del 22% sulle vendite 2007), per un fatturato totale di € 2,75 mio contro un fatturato 2007 di € 2,28 mio. Da 2 anni l’imbottigliamento si è attestato intorno alle 320.000 bottiglie di Franciacorta e 35.000 bottiglie di Curtefranca (rosso e bianco). Sempre sul fronte della produzione, l’aspetto export risulta marginale (circa il 7% sul fatturato totale) indirizzato soprattutto a Germania, Polonia e Giappone.
to a completare e consolidare una rete commerciale fatta di agenti diretti, uomini scelti soprattutto sulla base della condivisione dell’idea e del progetto. Ma sarà soprattutto un anno di festeggiamenti per onorare al meglio i trent’anni compiuti: “Per questo – anticipa Bruschetti – presenteremo al prossimo Vinitaly un’anticipazione del nostro futuro: una prima, piccola tranche (6mila bottiglie) di Essence Rosé, che ci servirà per rendere ancora più semplice e concreta la descrizione della nostra idea”. E, ovviamente, per brindare a questo trentesimo compleanno. |
Il vino non si beve soltanto, si annusa, si osserva, si gusta, si sorseggia e... se ne parla Edoardo VII www.anticafratta.it
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Da Bush a 007
tutti pazzi per i calzini
Bresciani
Il successo del calzificio bergamasco che punta su qualità, creatività e innovazione per celebrare il Made in Italy in tutto il mondo. E in tempo di crisi va in controtendenza con un piano di investimenti per nuovi macchinari, comunicazione e ampliamento dell’azienda testo di Desirèe Cividini
Con loro il “Made in Italy” di qualità ha fatto il giro del mondo, superando non solo i confini europei, ma arrivando anche in Russia, Cina, Giappone e Stati Uniti. Ed è proprio oltreoceano che l’ormai celebre marchio lombardo, noto per la produzione di calze maschili, ha conquistato clienti illustri: dallo 007 Pierce Brosnam che ha scelto di indossare le calze prodotte da “Bresciani” nel giorno del sì, a George Bush senior, che ha permesso alle calze prodotte dalla società, nata dall’intraprendenza di Mario Bresciani, di arrivare fino alla Casa Bianca nel giorno del suo insediamento come presidente degli Stati Uniti. Ma per ricercare la formula del successo del calzificio Bresciani bisogna fare un passo indietro e tornare negli anni Settanta, quando il suo fondatore scelse di giocare la sua partita scommettendo sulla qualità. Qualità che ancora oggi è garantita dai rigorosi controlli che vengono effettuati nell’azienda 42
bergamasca con sede a Spirano, dalla manodopera altamente qualificata e non ultimo dall’utilizzo della più elevata tecnologia elettronica. Tutte caratteristiche che nel tempo hanno permesso al marchio di affermarsi sul mercato internazionale e di approdare negli store più prestigiosi del mondo. La crescita dell’azienda, che ancora oggi ci tiene a mantenere la sua impronta familiare, è documentata dai numeri che parlano di un incremento del sessantacinque per cento del fatturato dal 2005 al 2008, anno in cui è stato raggiunto un volume d’affari di circa quattro milioni di euro e i prodotti sono stati esportati in quarantotto Paesi diversi. Eppure l’anima della società, nella quale insieme al padre Mario oggi operano anche i figli Massimiliano, che si occupa del settore commerciale e Fabio, responsabile della produzione, continua a rimanere la stessa: “L’azienda – spiega Massimiliano Bresciani – fin dalla nascita ha scelto di
puntare sulla produzione di prodotti di alta qualità. Una caratteristica che negli anni abbiamo scelto di mantenere anche attraverso un attento lavoro di ricerca di materiali nuovi e pregiati, che si è rivelato indispensabile in un mercato sempre più concorrenziale. Per differenziarsi dagli altri e riuscire ad affermarsi è quindi indispensabile essere in grado di proporre al consumatore non solo un prodotto di qualità, ma anche un prodotto innovativo”. Oggi l’azienda, che nel magazzino conta ben 120 tipi di fi lati diversi, realizza calze in canapa, vicuna, alpaca, lino e bambù: materiali preziosi per produrre calze esclusive e di qualità, che negli anni hanno conquistato anche grandi nomi della moda per cui l’azienda orobica realizza i prodotti. “La società, infatti, – rivela Massimiliano Bresciani – oggi si concentra non solo sullo sviluppo del marchio, che rappresenta il 50 per cento del nostro fatturato, ma anche sulle licen-
Storie di successo
“L’azienda – spiega Massimiliano Bresciani – fin dalla nascita ha scelto di puntare sulla produzione di prodotti di alta qualità. Una caratteristica che negli anni abbiamo scelto di mantenere anche attraverso un attento lavoro di ricerca di materiali nuovi e pregiati, che si è rivelato indispensabile in un mercato sempre più concorrenziale. Per differenziarsi dagli altri e riuscire ad affermarsi è quindi indispensabile essere in grado di proporre al consumatore non solo un prodotto di qualità, ma anche un prodotto innovativo”
un’immagine di prodotto delle calze bresciani che portano il made in italy in 48 paesi nel mondo. moltissimi i vip che apprezzano questi “preziosi” accessori d’abbigliamento
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Il Ritratto dell’Azienda Il calzificio Bresciani nasce nel 1970, anno in cui Mario Bresciani, dopo una lunga esperienza in aziende leader del settore tessile, decide di tuffarsi a capofitto in una nuova avventura: aprire un’azienda tutta sua. La società, che nel giro di una decina d’anni si afferma sul mercato instaurando collaborazioni con importanti aziende a livello internazionale, viene fondata a Castiglione delle Stiviere, a Mantova. E’ da qui che inizia la storia di questo marchio che oggi, a distanza di quasi quarant’anni, si è affermato sul mercato internazionale distribuendo i suoi prodotti attraverso diverse organizzazioni di vendita in Europa, Stati Uniti, Estremo Oriente, Africa e Sudamerica. I preziosi filati - dal cotone egiziano alla lana merino, dal cachemire alla canapa - vengono lavorati dai dipendenti dell’azienda (trasferita a Bergamo nel 1974) che oggi collabora con noti designer e investe una parte consistente del proprio fatturato nella ricerca.
Sopra, da sinistra: Fabio, Mario e Massimiliano Bresciani
Niente di grande è stato fatto al mondo senza il contributo della passione. Georg Hegel
www.bresciani.it
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ze (la storica Brioni acquisita nel 1994 e quelle più recenti, ndr) e sulla produzione delle collezioni chiavi in mano di marchi di primo livello”. Dal 2005, inoltre, la famiglia Bresciani si è lanciata in una nuova sfida, affiancando alla collezione uomo una linea di calze femminili. Ma questa non è l’unica novità: “Alla calza – sottolinea Bresciani - abbiamo affiancato la produzione di sciarpe in cachemire, di cravatte in maglia di cachemire e seta e della babbuccia in cachemire e cervo diventata un vero e proprio must. Si tratta di prodotti particolari, sia per quanto riguarda la fattura sia per quanto riguarda i materiali”. E nonostante la crisi finanziaria in atto lo sguardo verso il futuro è positivo: “Nei prossimi anni – anticipano dall’azienda, che nel 2008 ha conquistato il premio Odysseus organizzato da Confindustria Bergamo nella categoria “Design e creatività”, con le calze da uomo ricamate con i versi tratti dalla “Divina Commedia” – abbiamo intenzione di sviluppare dei corner con i nostri prodotti da proporre nei grandi magazzini di alto livello e di ampliare la collezione con altri accessori. L’obiettivo, per il raggiungimento del quale lo scorso anno abbiamo presentato un piano di investimento di 1,5 milioni di euro, è quello di sviluppare il marchio puntando sulla comunicazione, sull’acquisto di nuovi macchinari e sull’ampliamento dell’azienda”. Senza dimenticare però quelle che sono le carte vincenti che hanno reso grande la società, in primis la produzione di prodotti di qualità. Produzione che, nonostante la globalizzazione, per la famiglia Bresciani deve rimanere non solo in Italia, ma anche all’interno dell’azienda bergamasca. “Una scelta – dice Massimiliano Bresciani - che nasce dalla consapevolezza della forza del Made in Italy, sul quale nel 2005 abbiamo scommesso unendoci insieme ad altre due aziende nel Consorzio SI Sigillo Italia, nato per dare ancora più forza alla produzione italiana di qualità, la carta vincente per rilanciare l’economia del nostro Paese”. |
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Il protagonista
La crisi, la finanza e
la fenice
Intervista all’economista Roberto Ruozi, che ci racconta il suo “Viaggio nel mercato finanziario” per scoprire cosa sta succedendo alle nostre banche, alle nostre imprese e per immaginarci alcuni possibili segnali di ripresa. Aspettando un nuovo modello di società che sorgerà dalle ceneri di questo periodo così difficile testo di Mauro Milesi foto di Matteo Mottari
Forse c’è uno spiraglio in fondo a questa crisi. Non adesso, non domani, ma c’è. E non si tratta semplicemente di attendere la fine di questo brutto periodo. Si tratta di affrontare con convinzione il corso del rinnovamento. C’è il sogno di un mondo che rinascerà - come la fenice dalle ceneri - con nuovi valori, che si guarderà allo specchio con maggiore consapevolezza, senza preoccuparsi troppo di sembrare, ma di essere quello che davvero è. E’ la voglia di immaginarsi al di là dell’orizzonte per scoprire che la gravissima situazione di oggi può dar vita a un nuovo modello di economia e di società. Un modello migliore. Se lo augura anche Roberto Ruozi, grande studioso di economia, cattedratico in Italia e in Francia, ex rettore della Bocconi e con molte cariche di responsabilità nel mondo dell’impresa. Gli abbiamo chiesto di disegnare un panorama complesso, quello del mercato finanziario di oggi, ma anche quello dell’economia reale. La sua è un’analisi concreta, lucida, certamente non condivisibile da tutti, ma sicuramente autorevole e per certi versi auspicabile, soprattutto sul fronte delle conclusioni. Nel suo libro “Viaggio nel mercato finanziario” lei affronta la questione del ritorno dello Stato nel mondo delle banche. In sostanza sottolinea che gli interventi dei governi sono legati a questo particolare momento della storia economica e che sono destinati a rientrare una volta ristabiliti gli equilibri finanziari... In passato questo tipo di intervento, spesso celato, veniva definito nazionalizzazione ed era visto da molti con criticità. In questi ultimi tempi invece, l’intervento di sostegno dei governi nel capitale delle banche è divenuto totalmente esplicito e, anzi, auspi-
cato da molti addetti ai lavori. Ci sono esempi negli Usa, in Gran Bretagna, Germania e in altri Stati; a volte con ingressi che di fatto sono superiori al 50%. E pensare che, in alcune legislazioni, come proprio nel caso della Germania, questo approccio è vietato e ora si tenta di correre ai ripari con una normativa ad hoc. Ma tutto dipende dall’approccio degli Stati nazionali? Lei ritiene che non ci sia davvero una volontà di nazionalizzazione? Questo è un aspetto politico: dove andiamo con questi interventi statali? A mio avviso gli stati hanno agito con l’intenzione di non immischiarsi nella gestione corrente e con una prospettiva temporanea fino al ritorno alla redditività. Però questi elementi sono parte soprattutto di un cambiamento tecnico: il mercato ha fallito e lo Stato è stato chiamato in ultima istanza a provvedere. Però attenzione, se i governi si accaparrano il 100 per cento delle azioni allora mi sembra davvero difficile che non ci sia anche un intervento sulla gestione e in questi casi mi domando anche come sia possibile poi liberare il campo, soprattutto nel caso di banche di certe dimensioni. In Italia cosa succederà su questo fronte? L’Italia finora è rimasta ai margini di tutto questo discorso. Anche per la peculiarità del mercato finanziario italiano. Non ci sono ancora stati interventi diretti e la legge che potrebbe regolarli c’è ma non è ancora applicabile. Inoltre, mancano tutti gli aspetti attuativi. In sostanza sono previsti due tipi di intervento: la ricapitalizzazione e l’iniezione di liquidità. Ma nessuno oggi è in grado davvero di fare delle previsioni corrette. 47
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Se Obama perde la partita dell’economia c’è il rischio che perda anche le altre. Farà di tutto per invertire il ciclo. E allora, se dagli Usa arriverà questa inversione di tendenza entro la seconda parte del 2009, anche l’Europa a cascata ne trarrà vantaggio.
In generale, qual è a suo avviso lo stato di salute dei nostri istituti di credito? Inutile negare che non ci siano problemi in certe banche. Alcuni istituti stanno vivendo un momento tra i più difficili della loro storia e attendono l’azione dello Stato. Anzi la reclamano. E per certi versi hanno ragione. In un mercato globalizzato se le banche straniere hanno potuto godere di interventi di salvataggio e quelle italiane no, allora il principio di concorrenza vacilla perché qualcuno è più avvantaggiato di altri nella medesima situazione critica. Quindi se lo Stato italiano intervenisse non sarebbe scandaloso e se le banche approfittassero di questi interventi non sarebbe altrettanto scandaloso. Però il nodo cruciale riguarda anche la pesante ricaduta sull’economia reale... Certo, qui la questione si complica ancora di più. Fare delle previsioni è ovviamente difficilissimo, ma credo che dopo le difficoltà crescenti di fine 2008, l’inizio tragico di questo 2009, la situazione andrà progressivamente a stabilizzarsi e alcuni segnali, anche deboli, si potranno vedere alla fine del secondo semestre di quest’anno. Io la ritengo un’ipotesi realistica perché è legata alla ripresa dell’economia negli Stati Uniti dove c’è una forte volontà di cambiare passo. Ovviamente è tutto molto difficile, ma l’America è brutale anche negli aspetti positivi. I loro tempi di reazione sono velocissimi e il nuovo governo non può permettersi che le cose vadano male troppo a lungo. Se Obama perde la partita dell’economia c’è il rischio che perda anche le altre. Farà di tutto 48
per invertire il ciclo. E allora, se dagli Usa arriverà questa inversione di tendenza entro la seconda parte del 2009, anche l’Europa a cascata ne trarrà vantaggio. Quindi è possibile fare qualche previsione positiva per la fine di quest’anno? Non credo che la nostra economia si potrà riprendere già dal 2009, ma nel corso del 2010 ci sarà un progressivo miglioramento. Speriamo, intanto la situazione è sempre più critica e le imprese soffrono, senza parlare di quelle che sono costrette a chiudere i battenti... Purtroppo, vista la situazione, c’è sul mercato una categoria di imprese che sono strutturalmente senza futuro, fatalmente costrette ad andare fuori scena. Ne sarebbero uscite comunque, ma la crisi ha accelerato questo processo. Poi c’è una serie di imprese che sono ottime dal punto di vista industriale, dei prodotti che realizzano e queste si dividono in due categorie: quelle che hanno una buona situazione finanziaria, con poco ricorso al debito e che utilizzano mezzi di sostegno propri; quelle che invece non hanno una buona situazione finanziaria, magari ancora giovani e più indebitate. Le prime non avranno conseguenze traumatiche dal 2009, dovranno avere pazienza e inghiottire bocconi amari, si vedranno magari ridurre il patrimonio, ma i debiti non le schiacceranno e poi arriverà la ripresa. Le seconde, al contrario, sono fortemente a rischio, un rischio che cresce in proporzione al loro indebitamento. Saranno vittima delle restrizioni crediti-
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Carriera in sintesi Dopo una carriera universitaria nel campo dell’economia (fra cui Politecnico di Milano, Sorbona di Parigi e, dal 1973, cattedra all’Università Bocconi), per sei anni è stato rettore della Bocconi. Svolge anche attività di consigliere d’amministrazione di società e banche (è presidente di Mediolanum Spa), nonché attività di consulenza aziendale in materia di valutazione di imprese. Da cinque anni è presidente del Touring club italiano. Inoltre si occupa di attività nell’ambito del servizio civile non profit e di diverse fondazioni, tra cui la Fondazione Verdi, casa di riposo per musicisti.
atteggiamento “allegro” sul rischio a un atteggiamento di paura. Gli istituti di credito ora danno solo a chi conoscono e a chi non conoscono preferiscono non dare e restare alla finestra. Senza contare che il prestito interbancario è bloccato, un aspetto che aggrava ancor più la crisi, perché la mancanza di fiducia è presente anche tra le banche. Quindi la contrazione del credito andrà ulteriormente a peggiorare? Facciamo un ragionamento. I ricavi delle banche avvengono principalmente da due fonti: dagli interessi e dalle commissioni. I nuovi modelli bancari hanno puntato molto sullo sviluppo del business legato alle commissioni, ai servizi, ma con le batoste legate ad alcune tipologie di investimento, questa prospettiva ora è difficile. Di conseguenza per fare ricavi le banche dovranno puntare ancora sulla vecchia intermediazione creditizia, quindi questo atteggiamento prudente nel concedere potrà essere solo temporaneo. Se continueranno a stringere sul credito come potranno far quadrare i loro bilanci? zie, pagheranno troppi interessi e quindi usciranno dal mercato. Spiace, ma in tutte le crisi ci sono dei cadaveri. Esiste però un aspetto che è importante: un’impresa può morire, si chiude e tutti a casa. Però alcune imprese che fanno cose buone, può darsi che non vengano lasciate fallire, ma vengano comprate a prezzi di liquidazione dagli imprenditori più solidi o da investitori istituzionali. C’è chi pronostica addirittura la fine del private equity, anche se io questo non lo credo. Si parla sempre più di credit crunch. Secondo lei quanto sono stati stretti i cordoni della borsa? Generalizzare è pericoloso. Ovviamente il credito alle imprese rallenta, ma non bisogna trascurare l’aspetto psicologico nell’attività bancaria. Tutto è basato sulla fiducia. Se viene a mancare questa condizione allora è davvero una tragedia. Ritengo sia stato dimostrato che le banche non sanno davvero quello che hanno in pancia, soprattutto quelle straniere. E soprattutto hanno il terrore del rischio, perché si sono rese conto in questi ultimi tempi di essersi assunte delle incognite che non sono state in grado di controllare. Il rischio è una cosa difficile da identificare e di questi tempi si è passati da un 50
Mi auguro che da questa crisi possa sorgere una società più legata ai valori, anche per quanto riguarda i giovani. Per il mercato finanziario ci sarà un ritorno al tradizionale, le banche torneranno a fare le banche e non i casinò. Se vogliamo guardare questa crisi anche sotto una luce positiva, dobbiamo augurarci che essa possa dar vita a un nuovo modello di economia, altrimenti non ci sarà davvero una svolta. Lei cosa ne pensa? L’economia che verrà sarà diversa da quella attuale. Ci sarà un effetto benefico fondamentale e sarà quello di farci tornare tutti con i piedi per terra. Il nostro mondo aveva perso un po’ il senso del reale, vivevamo nettamente al di sopra delle nostre possibilità. Sicuramente nel prossimo futuro saremo meno ricchi, spenderemo di meno, taglieremo le spese concentrandole su quelle intelligenti e questo io lo ritengo un effetto positivo. Faccio un esempio senza che nessuno ne abbia a male: mi spiace per il mercato dell’auto, ma in famiglia 4 auto sono troppe. Occorre ridimensionarci in maniera intelligente e anche ecosostenibile. Se non avremo più 12 pullover credo che non ci sentiremo particolarmente impoveriti. Mi auguro che da questa crisi possa sorgere una società più legata ai valori, anche per quanto riguarda i giovani. Per il mercato finanziario ci sarà un ritorno al tradizionale, le banche torneranno a fare le banche e non i casinò. Anche qui ci saranno dei cadaveri e ovviamente è una cosa grave perché tocca anche i dipendenti, le famiglie, i fornitori. Non vorrei essere male interpretato o essere considerato troppo cinico, ma sono mali necessari in un’epoca di guerra qual è quella che stiamo vivendo. |
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, giuste o sbagliate, sono più potenti di quanto si creda. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto.. John Maynard Keynes
Roberto Ruozi – Viaggio nel mercato finanziario – Spirali
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La forza e la rinascita del tessuto
Monza e Brianza Un panorama imprenditoriale solido e strutturato, con tante aziende che hanno scritto la storia dell’economia italiana e tanti casi di successo. Attendendo l’imminente nascita della nuova provincia, il presidente della Camera di Commercio territoriale, Carlo Edoardo Valli disegna i tratti di questo piccolo e straordinario universo produttivo testo di Laura Di Teodoro
Un tessuto economico composto da poco più di 80 mila imprese con una media di quindici nuove realtà che nascono ogni giorno. Il territorio di Monza e Brianza rappresenta un terreno fertile per l’imprenditorialità nel settore industriale, artigianale, dei servizi e del commercio, una realtà che, a detta del presidente della Camera di Commercio di Monza e Brianza, “ha una propria dimensione culturale e storica” ed è formata da aziende sane “che non si sono lasciate corrompere da speculazioni finanziarie”. Per uscire dal momento critico l’obiettivo, per tutti, resta il miglioramento della qualità dei prodotti e dei servizi e uno sguardo più attento verso i mercati esteri. Quali sono i caratteri fondanti dell’identità economica di Monza e della Brianza? Come si inserisce nel contesto lombardo e nazionale? La Brianza è un territorio completo e compiuto, con una propria fisionomia economica fondata sull’imprenditorialità diff usa e sulla proprietà e gestione familiare delle ottantamila imprese che costituiscono il suo tessuto industriale, artigianale, dei servizi e del commercio. Ma anche con una propria dimensione culturale e storica che, per quanto riguarda in particolare la cultura d’impresa, la caratterizza come uno dei centri più attivi nella ricerca del design e dell’innovazione dei materiali e dei prodotti. Se i piedi dell’impresa sono saldamente piantati nel territorio, la testa è certamente nel mondo: lo provano l’altissima percentuale di 52
export e la presenza su tutti i mercati, compresi quelli di nuova industrializzazione. La nostra, è un’economia sempre in solida trasformazione, che spesso anticipa le dinamiche del mercato e i gusti dei consumatori. L’essere diventati una realtà a sé stante, staccata da Milano, quali tipi di vantaggi ha portato? Riconoscere un’identità amministrativa e culturale alla Brianza significa affermare la rilevanza di quest’area strategica per il sistema produttivo lombardo e nazionale. Direi che diventare una realtà a sé stante ma con relazioni forti, e mi riferisco al rapporto con Milano o con le altre Brianze, del comasco e del lecchese, è un successo, soprattutto in vista del federalismo fiscale, che potrà restituire al territorio i servizi e le infrastrutture che merita. Come stanno affrontando questa fase di crisi le imprese brianzole? Quali sono le principali criticità? Come sappiamo la crisi ha colpito anche la Brianza, d’altronde nel mondo attuale, estremamente globalizzato, quale realtà può esserne immune? Le imprese manifatturiere vedono incrementare la cassa integrazione e quelle artigiane faticano a mantenere la solidità raggiunta. Le difficoltà si avvertono su più fronti, dalla stretta nell’accesso al credito alla contrazione degli ordini, per non parlare dei consumi in calo. Sono tutti fattori che, presi congiuntamente, determinano una situazione di crisi che ci pre-
Realtà Monza e Brianza
Ritratto Carlo Edoardo Valli, dal 1977 al 30 Giugno 2008 è stato Presidente della Valli&Valli S.p.A., presente con la propria produzione su tutti i principali mercati internazionali. È stato presidente dell’Associazione Industriali di Monza e Brianza dal 1997 al 2002 e riconfermato per il biennio 2003/2004 fino al 2008. Dall’agosto 1997 al luglio 2007 è stato Consigliere della Camera Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano. Da Dicembre 1998 a Luglio 2007 Membro della Giunta Camera della Camera Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano.
È membro del Consiglio di Amministrazione di Fiera di Milano Spa, dal dicembre 2000 e dal novembre 2003 Vice Presidente Vicario di Fiera Milano S.p.A. Da maggio 2004 componente del Consiglio di Amministrazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Da aprile 2007 Consigliere di Amministrazione della Fondazione La Triennale di Milano Da luglio 2007 Presidente della Camera di Commercio Industria Artigianato Monza e Brianza. Dal 1° Luglio 2008 Membro del Consiglio di Amministrazione della Valli & Valli srl.
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La Camera di commercio di Monza e Brianza sta operando su due asset per sostenere le imprese in questo momento: il credito e l’innovazione. Finora sono stati messi a disposizione due milioni e mezzo di euro. Sul fronte del credito, insieme alle altre Camere di commercio lombarde, ad Unioncamere è stato creato un fondo di controgaranzia di oltre 35 milioni di euro per le piccole e medie imprese di tutti i settori della Lombardia
occupa. Ma in questo momento, le imprese della Brianza devono e possono fare appello alle grandi capacità di resistenza che già tante volte, in passato, hanno saputo mostrare. Noi ci troviamo in presenza di imprese sane che non si sono lasciate “corrompere” da speculazioni finanziare e che a denti stretti, con alcuni sacrifici condivisi, cercano continuamente nuove opportunità e nuovi mercati. Come si sta muovendo la Camera di commercio per dare sostegno alle imprese, soprattutto sul fronte del credito? La Camera di commercio di Monza e Brianza sta operando su due asset per sostenere le imprese in questo momento: il credito e l’innovazione. Finora abbiamo già messo complessivamente a disposizione due milioni e mezzo di euro. Sul fronte del credito, insieme alle altre Camere di commercio lombarde, ad Unioncamere abbiamo creato un fondo di controgaranzia di oltre 35 milioni di euro per le piccole e medie imprese di tutti i settori della Lombardia. Un’operazione a cui partecipa anche la Regione Lombardia con altri 23 milioni di euro. Il Fondo Confiducia servirà ad aumentare le garanzie delle PMI rispetto ai finanziamenti richiesti per la liquidità corrente. Inoltre in collaborazione con i consorzi di garanzia fidi del sistema associativo abbiamo rifinanziato il bando per l’abbattimento tassi per operazione di investimento e patrimonializzazione con uno stanziamento complessivo di oltre 700 mila euro. Quali sono le opportunità che questa situazione può creare per il vostro tessuto economico? Come coglierla da parte degli imprenditori? Le imprese hanno la possibilità e la capacità di uscire dalla crisi più forti e competitive, perché questo è il momento per creare quelle reti di competenze e di imprese che ci consentiranno di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi e di espanderci verso i mercati stranieri. Negli ultimi 5 anni le imprese di Monza e Brianza sono cresciute in maniera notevole. Nel solo 2007 si è parlato di una media di quindici nuove imprese nate ogni giorno. Com’è la situazione oggi? Nonostante la difficile congiuntura, nel 2008 si è assistito ad un aumento delle imprese del 3,4% con un saldo positivo di oltre 800 imprese. Ancora oggi in Brianza nascono quindici nuove imprese ogni giorno. Uno dei maggiori rischi oggi come oggi è la tendenza da parte degli imprenditori di spostare e delocalizzare la produzione all’estero. Come è la situazione brianzola? Mantenersi ad alti livelli di competitività e contemporaneamente conquistare nuovi mercati, soprattutto in questo periodo di crisi, è diventato più faticoso e oneroso per gli imprenditori brianzoli. La scelta della delocalizzazione della produzione non può esimere gli stessi imprenditori a continuare a credere in questo territorio, anche se penso sia necessario, oggi più che mai, fornire loro garanzie, sostegni concreti, insomma aiuti, che provengano dal sistema politico, dal mondo delle associazioni, e non da ultimo dal sistema bancario. 54
Realtà Monza e Brianza Su quali elementi si gioca l’importante partita della competitività? In estrema sintesi le chiavi di lettura per giocare a pieno la partita della competitività sono due: l’innovazione e l’internazionalizzazione. La competitività è per sua natura legata alla capacità di generare cambiamento, soluzioni nuove, servizi più efficienti. Capacità di innovare non solo i prodotti, ma anche i modelli gestionali, più adatti alle nuove esigenze del mondo. E quindi capacità di leggere, il cambiamento e anticiparlo. Le nostre imprese hanno già da tempo capito che per interpretare il mondo è necessario vivere in esso, esportare, internazionalizzarsi capire i diversi bisogni e fornire le giuste risposte. Si è parlato recentemente dell’istituzione di un albo per le imprese storiche di Monza e Brianza. In cosa consiste questo progetto? Quali le motivazioni di base? Le imprese sono all’origine della nostra identità, del nostro senso di appartenenza soprattutto in una realtà come quella della Brianza che si fonda sul lavoro e sull’operosità. Come non ricordare le aziende che hanno fatto la nostra storia. E siccome sono imprese che hanno saputo rimanere sul mercato cambiando, abbiamo, giustamente, voluto premiarle. Dal mese di marzo abbiamo aperto questo bando e ci auguriamo che possano aderire molte imprese che ancora non ne sono a conoscenza. Perché vede, questi sono i modelli imprenditoriali che bisogna capire e studiare. A giugno sarà ufficialmente operativa la nuova Provincia di Monza e Brianza. Cosa cambierà per il tessuto economico? Da giugno potrà iniziare una “rinascita” per la Brianza che finalmente potrà contare su amministratori dedicati che hanno il dovere di dotare quest’area dei servizi che merita e di tutte quelle infrastrutture indispensabili per il territorio e per l’impresa. |
Le idee ispirate dal coraggio sono come le pedine negli scacchi, possono essere mangiate ma anche dare avvio ad un gioco vincente Johann Wolfgang Göethe
Le imprese storiche Secondo uno studio della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati del Registro Imprese, tra le 80 mila imprese presenti nella zona, sono 599 le imprese storiche attive in Brianza: una ogni cento. I settori immobiliare, manifatturiero e del commercioregistrano il maggior numero di imprese storiche, mentre in minor numero sono le imprese agricole,gli alberghi e i ristoranti. In particolare, tra le imprese centenarie iscritte alla Camera di commercio di Monza e Brianza emergono: Banca di Credito Cooperativo di Carate Brianza - nata per iniziativa di Don Costante Mattavelli e di 28 lavoratori il 29 aprile 1903 con la denominazione di Cassa Rurale. Contribuì alla crescita dell’economia locale con una vincente combinazione di credito, consumo e investimento. Dagli anni settanta in poi furono inaugurate numerose fi liali in tutto il territorio della Brianza e nel 1993 assunse la denominazione di Banca di Credito Cooperativo accelerando il processo di espansione territoriale. Giacomo Garbagnati S.p.a. - Monza ha una grande tradizione nel trattamento dei tessuti: è nata nel 1907 e da allora si occupa del candeggio, della tintura e del finissaggio di articoli “nobili” per l’abbigliamento e per la biancheria della casa. Negli ultimi anni ha attuato una rivoluzione tecnologica, applicando una totale ristrutturazione degli impianti. Giorgio Jäneke – Veduggio con Colzano. Avviata nel 1830 a Milano da Giorgio Jäneke come impresa individuale per la fabbricazione di pettini, nel 1905 i figli rinnovano l’iscrizione alla Camera di Commercio sotto forma di società e, nel 1907, trasferiscono la fabbrica nell’attuale sede di Veduggio. L’azienda che produce pettini, spazzole, specchi, beauty cases e scatole per bagno si è evoluta nel tempo recependo i cambiamenti e adeguando tecnologie, materiali e design. Impresa Ing. Galbiati S.p.a.– Monza. Le origini, così come l’inizio delle attività, risalgono al 1889 e solo successivamente nel 1908 adottò l’attuale denominazione. Le tracce di questa impresa storica monzese sono disseminate sul territorio poiché questa impresa di costruzioni edilizie ha portato a compimento numerosi lavori in Brianza. Ma l’impresa Galbiati lavorò intensamente anche fuori Monza, per la ricostruzione di Milano e Genova a seguito della seconda Guerra mondiale. Rivolta Carmignani – Macherio. Fondata nel secolo XIX, l’impresa Rivolta Carmignani, specializzata nella fabbricazione e distribuzione di biancheria personalizzata per alberghi, ristoranti, enti pubblici, è oggi guidata dalla “quarta generazione”. Cooperativa di Consumo – Carate Brianza. Nata il 27 gennaio 1902 dalla volontà di 201 persone, la Società cooperativa di consumo di Carate Brianza perseguiva scopi mutualistici finalizzati all’acquisto e distribuzione di beni di consumo, all’assistenza e gestione di circoli culturali e ricreativi. La cooperativa ha avuto un ruolo determinante per lo sviluppo sociale ed economico del territorio ed oggi fanno parte della stessa cinque supermercati. Agricola Lazzatese Società Cooperativa – Lazzate. Fu fondata il 17 dicembre 1906 da una cinquantina di soci, con lo scopo sociale di aiutare i coltivatori di Lazzate nel coltivare la terra, allevare il bestiame e rivendere i prodotti locali con importanti iniziative a sostegno della comunità locale come “La mutua del bestiame”. Di recente, a seguito di una crisi del settore, la cooperativa ha optato per dare in affitto l’azienda che si è specializzata nell’ambito della vendita di prodotti agricoli per il giardinaggio.
www.mb.camcom.it www.aimb.it
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Lady Economy
Brava, coraggiosa e premiata
la lady della nautica al timone di Sessa Marine A capo di due aziende con oltre 500 dipendenti, nominata Cavaliere del Lavoro dal Presidente Napolitano, capace di investire anche nei momenti di crisi: l’avventura di Raffaella Radice, tra sogni futuri e memoria della tradizione testo di Laura Di Teodoro
Nell’anno del cinquantesimo anniversario della sua azienda, è stata nominata Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica e oggi continua a restare al timone dell’impresa costruita dal nonno nel 1948. Raffaella Radice, presidente di Sessa Marine, una delle griffe più conosciute della nautica made in Italy, porta avanti il sogno del proprio marchio e dei propri prodotti, puntando su investimenti, qualità e professionalità per uscire in piedi dai venti di crisi. A 25 anni si è trovata a capo di due aziende con più di 500 dipendenti. Come ha affrontato quella sfida importante? Fortunatamente ero giovane e avevo tutti gli entusiasmi, la forza e l’incoscienza di una ventenne. Sapevo fin da piccola che la Sessa Marine sarebbe stato il mio destino, è sempre stato il mio primo amore ma non era naturalmente previsto un ingresso così immediato. Il passaggio di testimone non è stato assolutamente traumatico. Mi ha sconvolto molto di più la morte di mio padre a cui ero legatissima. Come ha visto cambiare il mercato della nautica in questi anni? Tantissimo, soprattutto se parliamo del mercato della nautica di plastica. Questo tipo di produzione ha permesso di creare delle serie e aprire le porte a un nuovo concetto di nautica più popolare. Noi arriviamo dal settore della plastica e vetroresina e siamo entrati nella nautica credendo nella sua crescita a pensando che fosse un settore in grado di fare grandissimi numeri. Personalmente ci siamo indirizzati verso la nautica minore per fare industria: i primi anni abbiamo realizzato migliaia di barche piccole, investendo sul design e lavorando molto sulla struttura e questo è stato molto apprezzato. Con il passare degli anni la nautica ha perso quel suo essere popolare per due ragioni: le difficoltà legate ai posti barca e l’aumento dei costi. Inoltre questo tipo di lavorazione non crea una barriera all’entrata, in molti possono 57
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Da 50 anni Sessa Marine punta sulla ricerca, stile, design, cercando di far emergere sempre qualcosa di nuovo. L’utente a cui si rivolge una delle più importanti griffe della nautica made in Italy non è il grande lusso, ma a una categoria di persone che apprezza lo stile, la linea e cerchi qualcosa di più della barca
costruire barche, ciò che fa la differenza è la qualità. Il mercato, soprattutto quello italiano, si è quindi sminuzzato in tante iniziative locali e questo non ha permesso alle industrie di diventare importanti. Crescono solo quelle realtà che fanno imbarcazioni molto grandi e quindi dove si fanno investimenti. Così abbiamo deciso di puntare alla crescita, pur rimanendo su barche di serie. Solo ultimamente stiamo facendo barche sopra i 20 metri. Qual è il vostro target di riferimento? Noi facciamo barche per il ceto medio alto e non solo perché abbiamo anche imbarcazioni da 6-7 metri che sono molto apprezzate da chi ama il mare. Facciamo ricerca, stile, design e cerchiamo di far emergere qualcosa di nuovo. L’utente a cui ci rivolgiamo non è il grande lusso, ma una categoria di persone che apprezza lo stile, la linea e cerchi qualcosa di più della barca. Quanto il vostro mercato è rivolto all’Italia e quanto all’estero? Esportiamo per circa il 60, 70 per cento, soprattutto in Francia, Spagna e Croazia. Da poco c’è anche l’America che sta cominciando a funzionare. Avete concluso i lavori di ampliamento dello stabilimento di Cividate al Piano in provincia di Bergamo e raddoppiato gli impianti a Roccelletta di Borgia in provincia di Catanzaro e dall’ottobre 2006 siete presenti negli USA. Qual è il segreto di un successo di una crescita che dura nel tempo? Siamo cresciuti bene, nell’ordine del 20 per cento l’anno. Non abbiamo mai fatto acquisizioni e non ci siamo fatti acquisire, al contrario abbiamo pensato a come eravamo capaci
foto di gruppo della famiglia radice giunta alla terza generazione imprenditoriale. Al centro Raffaella e Roberto Radice, con i figli Massimo, riccardo e Francesca
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Il ritratto
di crescere noi. Il mercato in questo ci ha aiutato. Adesso dovremo affrontare anni di riposizionamento che non fanno male. In questi anni ha visto tantissimi yacht uscire dai suoi cantieri. Ce ne è uno in particolare che le è rimasto nel cuore? Quando si arriva alla mia età si guarda molto indietro. Se ho delle emozioni sono legate alla mia gioventù. Il “52” è una barca che mi piace molto oppure la Mambo, una tra le prime barche che abbiamo lanciato e hanno avuto successo anche a livello europeo. Uno dei punti forti è il legame forte con la famiglia. Lo dimostra il fatto che state vivendo la terza generazione e non si avvertono segnali di indebolimento... La forza della famiglia è importante anche se quando si arriva a una dimensione come la nostra bisogna avere l’umiltà di fare un passo indietro e affiancare manager a cui dare competenze e fiducia. Cosa ha significato per lei il riconoscimento ottenuto dalle mani del Presidente Napolitano di Cavaliere del Lavoro? È stato molto emozionante perché non me lo aspettavo e l’ho saputo proprio per caso. Un sabato pomeriggio, mentre ero a casa, mi ha chiamata un giornalista complimentandosi per il riconoscimento ottenuto. Non ne sapevo nulla e sono rimasta veramente entusiasta. Cosa pensa che l’abbia premiata? Mi ha premiato essere donna, lavorare in un settore che fa immagine, che da molto lavoro e che in questo momento piace. Inoltre penso sia stata riconosciuta la costanza
che ho dimostrato di avere in questi anni. Lei è cresciuta in un clima fortemente dominato dal lavoro, dal senso del dovere, dalla passione imprenditoriale. Pensa sia cambiato qualcosa oggi? come vede i giovani che si affacciano al mondo imprenditoriale? Il mondo dei giovani è diviso in due: da una parte ci sono ragazzi bravissimi, con tanta forza di volontà, che hanno scelto di essere i migliori mantenendo l’umiltà. Dall’altra parte ci sono giovani che non hanno capito che è il lavoro quello che conta, non i diritti. Insomma due modi diversi di vedere la vita. Il mondo della nautica è costellato da decine di fiere. Quale considerate essere la più importante? La Fiera di Genova sta diventando il più bel salone d’Europa. Gli unici limiti sono legati alla città per l’insufficienza di strutture e strade. Per quanto riguarda le altre manifestazioni, ogni anno partecipiamo a: Cannes che resta un buon salone. Seguono Barcellona, Parigi, Southampton, Londra, Düsseldorf e altre piccole realtà quale Napoli. Ci sono poi i numerosi saloni americani, per il momento noi ci concentriamo su Fort Lauderdale e Miami. Come reagirete a questa situazione di crisi? Stiamo andando avanti sul nostro programma di investimenti perché come dicevo prima è la novità quella che fa parlare, che tiene alta l’attenzione. Stiamo mettendocela tutta per uscire indenni da questa tempesta. |
Nata a Milano nel 1940, Raffaella cresce in un clima fortemente dominato dal lavoro, dal senso del dovere, dalla passione imprenditoriale del padre fondatore della SACI , l’azienda di famiglia che opera nel settore dello stampaggio di materie plastiche e produce resine per vernici. Nel 1958, il padre fonda una nuova società, la SESSA per la produzione di manufatti in resina rinforzata col vetro. Raffaella si appassiona a questo nuovo progetto tanto da abbandonare l’università per partecipare allo start up di questa nuova realtà, e si trasferisce a Sessa Aurunca, dove acquisisce una esperienza unica sul campo nella gestione d’impresa. Rientrata dopo qualche anno a Milano e sposatasi con Roberto Radice, Raffaella continua la sua attività in azienda fino a che, nel 1965, poco dopo la nascita del primogenito Massimo, la morte improvvisa del padre cambia la sua vita. A 25 anni, infatti, Raffaella è responsabile di due aziende con più di 500 dipendenti. Sono anni difficili che Raffaella e Roberto affrontano con coraggio e determinazione. Anni di scelte importanti come entrare nel settore nautico, che cambierà la connotazione industriale della società. Presidente di Sessa Marine dal 17 gennaio 1966, col passare degli anni mantiene il suo ruolo collaborando attivamente col marito e poi con i tre figli, che progressivamente fanno il loro ingresso in azienda. Oggi Raffaella, quale Presidente di Sessa Marine, svolge la funzione di responsabile amministrazione e finanza. In giugno Raffaella è stata nominata dal Presidente della Repubblica Cavaliere del Lavoro. Tale prestigioso riconoscimento premia il costante impegno di una vita dedicata all’azienda di famiglia.
Il vento e le onde sono sempre a favore dei navigatori più abili.. dward Gibbon
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marzo - aprile 2009
I nuovi orizzonti
di Fiera Milano International L’amministratore delegato, Sandro Bicocchi parla delle strategie per affrontare questo difficile 2009 anche sul fronte delle manifestazioni fieristiche: nuove opportunità per le imprese, investimenti confermati, attenzione al cliente e visione prospettica per essere pronti alla futura ripresa testo di Laura Di Teodoro
Consapevolezza delle proprie responsabilità, attenzione al cliente e capacità di rischiare. Seguendo questa triplice direttrice Sandro Bicocchi, amministratore delegato di Fiera Milano International ha costruito una carriera densa di successi e cambi di rotta perché, come dice lo stesso imprenditore, “per avere successo bisogna mettersi sempre in gioco e porsi sempre degli obiettivi”. Come si inserisce Fiera Milano International nel contesto economico lombardo e nazionale? Fiera Milano International è l’organizzazione fieristica più importante del Gruppo Fiera Milano. Tra i nostri marchi abbiamo Macef, Tutto Food e Miart, alcune tra le fiere più importanti. Stiamo inoltre lavorando a un importante progetto per l’integrazione e la realizzazione di un unico operatore. Abbiamo un fatturato di 53 milioni di euro, un organico di circa un centinaio di dipendenti e operiamo in un contesto come quello di Fiera Milano che resta il più grande quartiere fieristico d’Italia con alle spalle una società da 300 milioni di euro. A livello regionale abbiamo calcolato che un euro ricavato da Fiera Milano corrisponde ad altri 10 ricavati dall’indotto del sistema lombardo tra alberghi, servizi ecc. In un 2009 che si preannuncia essere critico e difficile per molte imprese, quali saranno le ripercussioni sul fronte Fiera? La prima manifestazione dell’anno, il Macef, ha fatto registrare una flessione tra l’8 e il 14%, un dato non troppo sconvolgente visti i tempi. È sicuramente meno di quanto ci aspettavamo anche 60
se le premesse non erano state sicuramente positive. Terminato il Macef di settembre infatti le adesioni per l’edizione di gennaio erano aumentate del 20 per cento rispetto al 2008, una percentuale arrivata al 50 per cento a fine settembre. Con il crollo delle borse, attorno al 10 ottobre molte aziende, circa il 70%, hanno fatto un passo indietro. Alla fine il fattore psicologico e il panico che iniziava a diffondersi ha annullato l’incremento portando a – 20% le adesioni. Nonostante questo per il 2009 abbiamo deciso di mantenere alta l’attenzione verso il cliente, offrendo alle imprese la possibilità di essere comunque presenti anche se con spazi ridotti. Per questo motivo abbiamo confermato tutti gli investimenti, prevedendo meno ricavi nell’ordine del 20%. La crisi prima o poi finirà e quando la bufera passerà noi saremo ancora in piedi insieme alle aziende che avremo mantenuto. Quali sono i fronti su cui avete deciso di muovervi? Su tre punti fondamentali: l’attenzione al cliente, la riduzione della marginalità e la sinergia con il pubblico. I margini sono diminuiti di circa un quinto e questo significa che sarà un 2009 di perdita ma per accelerare la ripresa le nostre attenzioni devono spostarsi dall’asse della marginalizzazione alla tutela e conservazione del cliente. Parallelamente tra settembre e dicembre 2008 abbiamo lavorato molto sull’attività con le Regioni e abbiamo creato una linea di piano che nel 2009 dovrà portare ricavi di circa 2 milioni di euro e per il 2010-2011 aumenti dal 3,5% fino 5,5%. Abbiamo già costruito importanti collaborazioni con la Campania e la Sar-
Fiere e imprese
uno scorcio architettonico della nuova fiera di Rho Milano
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marzo - aprile 2009
sandro bicocchi, amministratore delegato di fiera milano international
Nonostante i venti di crisi, Milano Fiera International ha deciso di mantenere alta l’attenzione verso il cliente, offrendo alle imprese la possibilità di essere comunque presenti anche se con spazi ridotti. Sono stati confermati tutti gli investimenti, prevedendo meno ricavi nell’ordine del 20% degna che ci permetteranno di realizzare road show territoriali. Se da una parte i margini sono diminuiti, grazie a queste duplici azioni il fatturato si è mantenuto più o meno stabile. Guardare alla ripresa significa guardare all’estero o restare in Italia? Diminuendo i metri quadrati destinati alle nostra aziende sono aumentate le aziende estere che si attestano oggi a circa il 23 per cento. Si tratta per lo più di realtà internazionali e quindi poco toccate dagli effetti della crisi. Sarà quindi indispensabile giocare sull’apertura al mondo. Di quali strumenti necessita un’impresa per mettere in atto un’adeguata politica di internazionalizzazione? Nessuno strumento. Prima di tutto l’imprenditore deve avere la testa e la giusta idea da rivolgere a un mercato globale. Deve essere in grado di trovare un partner a livello internazionale che gli possa garantire lo sviluppo. Senza un prodotto giusto è inutile spostarsi. 62
Quali sono i mercati migliori? Oggi come oggi investirei sul Messico. Il motivo? La ripresa ripartirà dagli Stati Uniti ma le barriere di accesso, già alte ora, si alzeranno ulteriormente. Il Messico è la piattaforma produttiva degli Stati Uniti ed è parte del Nafta (North American Free Trade Agreement). La classe dirigente messicana inoltre è notevole, efficiente, capace di cogliere subito le occasioni. Hanno la giusta mentalità. In tutto questo che fine fa la Cina invece? La Cina è il mio primo amore. Ho fatto il mio primo viaggio in Oriente nel 2001 quando già il business lo avevano fatto tutti. Il fenomeno Cina sicuramente non può dirsi finito ma temo sia diventato un qualcosa di completamente autarchico con una domanda e un mercato prevalentemente interni. Lei ha lavorato molto sia nelle istituzioni, che all’interno della realtà aziendale. Secondo la sua personale esperienza e quello che vede e vive quotidianamente, il
rapporto tra questi due mondi come sta cambiando, soprattutto alla luce del rapporto incrinato con le banche? I privati rappresentano la percentuale maggiore, il pubblico è quasi inesistente. Purtroppo nel settore pubblico manca quella meritocrazia che dovrebbe premiare chi produce e penalizzare chi lavora male. Io ho sempre lavorato nel privato perché lo ritengo un campo molto più compless e, competitivo dove conta soprattutto la capacità personale. Sono comunque d’accordo con quanto ha detto il Papa qualche settimana fa, sottolineando la necessità di una maggior collaborazione tra le istituzioni per uscire dalla crisi. Non solo, ha anche posto l’accento sull’emergenza educativa: i giovani infatti non sono più dediti a stili di vita sobri e non riescono ad approcciarsi alla realtà con valori veri. La crisi è figlia di questa emergenza. Manca l’attenzione ai valori veri e si predilige quasi sempre il potere. Una delle tematiche a lei più care è il Capitale Umano. Alla luce di questa sua ri-
Fiere e imprese
flessione come l’impresa dovrebbe investire in quel tipo di risorsa? Prima di tutto dividendo l’uomo dai risultati economici dell’azienda. Non si può sviluppare un gruppo di lavoro partendo da valori sbagliati. L’azienda è fatta per fare business ma il lavoro è il momento in cui l’uomo scopre il senso della sua vita e questo deve essere un passaggio cruciale nelle imprese. Qual è stato il primo passo che ha fatto per iniziare la sua carriera? Ho iniziato a lavorare mentre frequentavo l’Università, quando alcuni amici mi coinvolsero nell’organizzazione di una manifestazione che si chiamava “happening dei giovani”, per raccogliere le sponsorizzazioni delle aziende. In quell’occasione ho conosciuto una famiglia romana che due o tre anni dopo mi prese a lavorare nella sua azienda di Milano. Qual è stato il denominatore comune che le ha permesso di raggiungere traguardi importanti, nonostante la sua giovane età? Da una parte bisogna sicuramente avere un po’ di fortuna, dall’altra è importante avere la capacità di cogliere le occasione che si presentano davanti. Il vero successo, per qualsiasi persona, non sta tanto nel fare carriera o meno ma nel capire che la realtà ti chiama a una responsabilità. Personalmente vivo il lavoro mettendomi sempre in gioco. Non voglio fermarmi perché sono diventato amministratore delegato di Fiera Milano International. Si cammina e si va avanti per obiettivi, rischiando a volte ma è sempre meglio agire. Il suo prossimo obiettivo? Fare uscire bene la mia azienda dalla crisi. |
Sandro Bicocchi Nato a Colle Val d’Elsa (SI) nel 1970, è sposato ed ha 4 figli. Si laurea a pieni voti nel 1995 in Scienze dell’Informazione con una tesi sulla riorganizzazione delle attività aziendali mediante supporti di workflow management e mobile computing. Dopo la laurea entra in una società di marketing e diventa direttore della sede milanese. Nel 1998 fonda EUROMEDIA SpA (9,5 mln € di fatturato), società che guida fino al 2001 e che nel 2002 viene ceduta al Gruppo COS- FINSIEL. Dal dicembre 2003 è consigliere di amministrazione di FINSIEL SpA (800 mln € di fatturato), leader italiano del settore ICT con delega per il supporto al Presidente per le strategie commerciali. Dal 2000 è direttore generale della Compagnia delle Opere. Nel luglio 2004 viene eletto vicepresidente con delega all’internazionalizzazione. Si dimette nel luglio 2006. Nel luglio 2002 entra nel Consiglio della Camera di Commercio di Milano, divenendo vicepresidente di Promos azienda per l’Internazionalizzazione. Da giugno 2005 è membro del comitato strategico di consultazione permanente per la competitività della Regione Lombardia. Dal gennaio 2005 ricopre la carica di vicepresidente nella Fondazione Italia-Cina, la struttura guidata da Cesare Romiti che svolge attività di promozione e di sviluppo tra l’Italia e la Repubblica Popolare Cinese. Da luglio 2005 è amministratore delegato ITALIANLINK SpA, società di consulenza per l’internazionalizzazione delle PMI. Da maggio 2006 è consigliere di amministrazione della SIMEST SpA, società italiana per le imprese all’estero partecipata dal ministero per il commercio internazionale e dalle principali banche italiane su designazione della conferenza Stato-Regioni. Dal marzo 2007 è Presidente e Amministratore Delegato di Fiera Milano International.
Tessiamo noi stessi il nostro fato, buono o cattivo, e il lavoro fatto non si può più sfare. Nulla di ciò che facciamo vien mai - e lo si intenda in senso rigorosamente, scientificamente letterale - mai cancellato. William James www.fmi.it
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Business&Gentlemen
marzo - aprile 2009
La scommessa del Consorzio Valpadana
Il Dna del formaggio Imprese alimentari e innovazione, gli studi sul Provolone Dop condotti in collaborazione con il Parco Tecnologico di Lodi. Il presidente del Consorzio, Libero Stradiotti racconta il mondo della produzione del formaggio, il valore delle esportazioni e i piani di marketing a cura della redazione
Libero Stradiotti presidente del consorzio provolone valpadana dop
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Aziende alimentari Una buona dose di tradizione unita a un concentrato di qualità, ricerca e attenzione costante verso i mercati esteri. Questi gli ingredienti principali che hanno permesso la crescita e il consolidamento del Consorzio Provolone Valpadana Dop, sotto la guida dell’imprenditore agricolo Libero Stradiotti. Un Consorzio che prosegue lungo la strada dell’innovazione, della collaborazione, “garantendo elevati standard qualitativi ai propri prodotti” grazie a una serie di iniziative che vanno dalla ricerca sul Dna del formaggio alla chiavetta Usb per i ragazzi. Qual è la situazione attuale del settore latterio – caseario? Il settore sta attraversando una profonda crisi legata a fattori non solo europei ma anche mondiali. È stata sufficiente una maggior produzione di latte e latte in polvere da parte della Nuova Zelanda per ribaltare i prezzi di mercato di quasi tutti i prodotti del settore, dal latte ai formaggi. Chi ha subito maggiormente gli effetti della crisi sono state le DOP. Si vedano le situazioni e problematiche che si sono verificate nel Consorzio Parmigiano Reggiano e nel Grano Padano. Poi esiste una realtà fatta di alimenti contraffatti.... Gli scandali che sono emersi hanno portato alla luce un malcostume da parte di alcuni aziende che riciclano prodotti caseari destinati al consumo zootecnico. Poi c’è il discorso della contraffazione, per cui vengono prodotti dei similari delle DOP con latte non della zona tipica ma utilizzando paste fi late provenienti da altri Paesi o del latte in polvere per produrre formaggi. Punti forti sono qualità e diff usione del prodotto verso mercati nuovi. In un periodo come questo attraverso quali strumenti e metodologie è possibile perseguire questi obiettivi? Qualità significa non abbassare mai la guardia nel senso che le nostre aziende associate sono continuamente monitorate. Stiamo lavorando molto sulle due produzioni principali che sono il provolone dolce e quello piccante puntando molto sul gusto e sulla ricerca. Ultimamente stiamo lavorando su una ricerca sul siero innesto e la sua composizione che è basilare nella produzione del formaggio. Essendo un prodotto autoctono che viene dal territorio bisogna capire come creare eventualmente una banca di questo siero per assicurare la possibilità di reintegrare la qualità e tipicità del prodotto. Come Consorzio siete stati i primi a fare la ricerca del DNA sul formaggio. In cosa consiste? È stata una scommessa. L’idea è nata insieme alla piattaforma genomica del Parco Tecnologico di Lodi con cui è emerso che nulla era stato fatto a livello dei formaggi. La ricerca genomica e fenotipica del Dna del formaggio infatti sarebbe stata la soluzione ideale per differenziare il prodotto italiano da quello estero. Così abbiamo iniziato a lavorare con l’obiettivo di individuare una metodica volta alla caratterizzazione molecolare del Provolone Valpadana, per consentire di identificare la produzione, mettendo in luce eventuali frodi nell’uso della denominazione. Con l’aiuto di sistemi tecnologici innovativi si è voluto garantire la rintracciabilità di ciascun formaggio DOP, fornendo un profilo per ciascuna azienda parteci65
Business&Gentlemen
marzo - aprile 2009
pante. Il numero dei campioni (oltre 540) è stato stabilito considerando il minimo campionamento necessario per valutare tutte le variabili del caso e rendere significativi i risultati. Il prelievo dei campioni è stato effettuato ogni quattro mesi nell’arco di un anno, per valutare la variabilità stagionale. Libero Stradiotti Ad oggi il 10% del vostro formaggio viene esportato. Quale l’obiettivo per 2009? Per quanto riguarda l’estero abbiamo subìto un calo in virtù del momento di crisi. Nonostante ciò restiamo ancorati a mercati importanti quali la Spagna che ha dimostrato di apprezzare molto i nostri prodotti. All’ultimo Madrid Fusion abbiamo portato il meglio della nostra cucina, insieme a Gorgonzola e ParmigianoReggiano e devo dire che abbiamo registrato un buon successo. Nello stesso tempo abbiamo da poco presentato l’adesione a un progetto ministeriale della GEA per arrivare in mercati nuovi quali l’India e la Russia, con un gruppo di aziende di prodotti alimentari che operano sul mercato nazionale e internazionale. Tornando all’innovazione, è una strada che avete intrapreso anche sul fronte del marketing e della divulgazione, soprattutto verso i giovani. Abbiamo fatto molte operazioni e le rinnoviamo via via perché vogliamo svecchiare l’idea del Provolone come prodotto fine a se stesso. Facciamo in modo che i giovani abbiamo un approccio al Provolone sia nel momento della produzione che nella degustazione cercando di cogliere anche il loro giudizio. Dobbiamo ca-
dal 2001 presidente del Consorzio Provolone Valpadana Dop, nasce a Cremona nel 1952. E’ proprietario e allevatore /produttore di latte dell’azienda agricola Casalmalombra, nel territorio di Malagnino, nel Cremonese. Dal 1999 è presidente della Latteria Ca’ De’ Stefani di Cremona, società cooperativa costituitasi nel 1900 che trasforma circa 400.000 quintali di latte e produce 40.000 forme di grana padano e 15.000 quintali di Provolone Valpadana. Già Consigliere provinciale associazione sindacale agricola – Libera Associazione Agricoltori (aderente a Confagricoltura nazionale). Ricopre inoltre una serie di altri incarichi: è Consigliere regionale associazione cooperativa dal 1999 (Confcooperative settore agroalimentare); Consigliere provinciale di C.C.I. sezione di Cremona; Consigliere di due Consorzi di irrigazione della provincia di Cremona – Dugali e Civico Naviglio dal 1995; Consigliere nazionale Federazione Latterie (FIL IDF) dal 2003. Ha lavorato a diverse ricerche tra cui: “Aspetti produttivi e caratteristiche qualitative e organilettiche del Provolone Valpadana”, “Caratteristiche qualitative del caglio in pasta e influenza organolettica sul Provolone Valpadana”, “Provolone Valpadana, produzione senza l’ausilio di E239”, “Profilo sensoriale del Provolone Valpadana”, “Valorizzazione e caratterizzazione del Provolone Valpadana mediante metodiche molecolari innovative”.
Il momento dell’offerta percentualmente, per ogni singola azienda, incide sull’80% delle vendite, solo il 20% del prodotto è venduto a prezzo pieno. Per questo motivo il 2008 si è chiuso con un dato di marginalità sotto zero. Dobbiamo impegnarci per tutelare sia il prodotto, il consumatore che le nostre aziende 66
Aziende alimentari
pire su quale tipologia di prodotto cadono le scelte alimentari dei giovani. Cerchiamo di puntare molto anche sulla formazione e sull’educazione alimentare. Tra le ultime iniziative mi piace ricordare “USB ebook”, in collaborazione con Regione Veneto che nasce dalla volontà di proporre una raccolta di testi classici che spaziano dal romanzo di formazione ai fondamenti dell’epistemologia scientifica, dai classici della Grecia antica alle opere fondanti della cultura italiana ed europea contemporanea che sono state inserite in una chiavetta USB distribuita ai ragazzi. . Ci può riassumere la storia del provolone? Il Provolone nasce in Meridione, nella zona della Campania. Nel corso del XIX secolo, alcuni imprenditori decisero di spostarsi nelle province di Piacenza, Cremona e Brescia per l’abbondanza di latte presente. Le tre famiglie che si sono trasferite al Nord sono i Maggiotta, Carbonelli e Auricchio. In questo territorio straordinario, i formaggi a pasta fi lata, tradizionalmente di piccolo formato e di pronto consumo, trovano un’evoluzione nel Provolone, che assume formati assai diversificati (da pochi etti ad oltre un quintale). Possiamo così affermare che il Provolone è frutto dell’incontro tra la cultura casearia meridionale e l’ambiente padano. Con il passare degli anni la qualità è cresciuta differenziandosi
tra prodotto dolce e piccante. Quello più raffinato è il provolone piccante. E nella geografia dell’Italia il Provolone al 75% viene commercializzato al Sud che predilige il piccante. Nell’Italia settentrionale va per la maggiore il dolce, a parte città come Torino dove la componente dell’emigrazione ha inciso molto. Cosa significa essere a capo del Consorzio Provolone Valpadano? In questo periodo non c’è pace per nessun consorzio di tutela. Personalmente sto cercando di coinvolgere gli associati nell’individuazione di soluzioni che non fossero sempre quelle intermedie e nel rispetto del disciplinare. In sinergia con la base associativa, con il direttore Vittorio Emanuele Pisani ci siamo sempre posti obiettivi importanti e non solo legati al prodotto ma ad esempio alla cultura del cibo, la qualità, il riportare storicità e la conoscenza del prodotto pur svecchiandolo e dando dei segnali positivi. All’interno di questa crisi, secondo lei, il consumatore guarda ancora alla qualità o cerca prima di tutto il risparmio? Principalmente il problema è legato alla comunicazione perché in effetti non c’è una grossa differenza tra il prezzo del prodotto di qualità rispetto agli altri. Ad esempio, un Provolone DOP rispetto al provolone
generico registra una differenza minima. Spesso e volentieri le nostre DOP vengono utilizzate dalla grande distribuzione come specchietto per le allodole, come prodotto di qualità che viene messo sempre in offerta. Questo comporta un abbassamento dei prezzi a danno di chi produce. Il momento dell’offerta percentualmente, per ogni singola azienda, incide sull’80% delle vendite, solo il 20% del prodotto è venduto a prezzo pieno. Possiamo dire che il 2008 si è chiuso con un dato di marginalità sotto zero proprio perché non si riesce più a marginalizzare. Dobbiamo impegnarci per tutelare sia il prodotto, il consumatore che le nostre aziende. |
Nel mondo non ci sono mai state due opinioni uguali. non più di quanto ci siano mai stati due capelli o due grani identici: la qualità più universale è la diversità. Micheal De Montaigne
www.provolonevalpadana.it
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marzo - aprile 2009
Agenzie per il lavoro
la svolta di GiGroup Leader in Italia, oltre 132 mila persone avviate all’occupazione nel 2008 e un importante processo di internazionalizzazione. L’AD Stefano Colli-Lanzi, spiega l’evoluzione dell’agenzia che si affronta a gestire i processi di un anno difficile legato alla crisi delle imprese. Non manca però la fiducia: “Oggi in Italia per trovare un impiego basta un mese” testo di Desirèe Cividini
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Mondo dell’occupazione
250 fi liali presenti sul mercato nazionale, ben 132 mila persone avviate al lavoro nel 2008 e più di 1000 collaboratori in tutta Italia. I numeri di Gi Group raccontano la storia del successo di un’azienda cresciuta vertiginosamente nel giro di dieci anni, fi no a diventare la realtà che oggi conosciamo: un società che è riuscita a diventare leader in Italia nei servizi per lo sviluppo del mercato del lavoro. Al timone di questo grande impero, l’amministratore delegato Stefano Colli-Lanzi, che ha parlato delle sfide vinte e dei progetti futuri di un colosso multinazionale che, dopo aver messo radici in Europa, è approdato a nuovi lidi: dalla Cina al Brasile, fi no a fare rotta sull’India. Gi Group oggi è riconosciuta tra le agenzie leader per il lavoro in Italia con un fatturato 2007 pari a 670 milioni di euro. Cosa ha permesso all’azienda di crescere esponenzialmente fi no ad arrivare a posizionarsi ai vertici del settore? Per noi è stato decisivo il fatto di aver puntato sulla qualità e cioè l’aver da sempre fatto in modo che i servizi offerti dal nostro gruppo fossero realmente in grado di rispondere alle esigenze delle aziende e dei lavoratori. Ancora oggi la capacità
di porre al centro i bisogni dei nostri interlocutori, per cui il lavoro rappresenta un’esigenza primaria, continua ad essere premiata. Ma la capacità di soddisfare nel miglior modo possibile le richieste dei nostri clienti è strettamente legata alla qualità e alla professionalità che caratterizza la nostra squadra di collaboratori, più di 1000 quelli che operano in Italia. Dalla multinazionale abbiamo ereditato il modello organizzativo, un organizzazione che però concepiamo al servizio della persona e non il contrario. L’obiettivo centrale, come detto, rimane comunque l’essere in grado di soddisfare le esigenze specifiche sia delle imprese sia dei candidati, ponendosi come soggetto intermediario tra domanda e offerta. Il servizio che off rite quali vantaggi comporta per l’azienda? Quali invece quelli per il lavoratore? Il vantaggio per l’azienda consiste nell’avere di fronte un intermediario del lavoro: un interlocutore professionale che sa far incontrare domanda ed offerta. Un interlocutore che inquadra la realtà aziendale e che sa trovare le migliori persone per quell’azienda. Per il lavoratore il vantaggio deriva dal fatto che
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marzo - aprile 2009
Gi Group è leader italiano nei servizi dedicati allo sviluppo del mercato del lavoro, attivo nei campi della somministrazione a tempo determinato, nella ricerca e selezione di personale permanente, nella formazione, nell’outplacement, nell’executive search, nell’outsourcing e nei servizi di consulenza alle direzioni Hr. La storia di Gi Group inizia nel 1998 con Générale Industrielle, che eredita l’esperienza, il know how e le metodologie di lavoro da Générale Industrielle France. A fine 2004 Générale Industrielle acquisisce Worknet Spa e DBM Italia. Dal 2007 inizia il processo di internazionalizzazione, che vede Gi Group espandere la propria presenza sui mercati esteri, in particolare in Germania, Francia, Polonia, Cina, Hong Kong e Brasile. Oggi Gi Group è il primo gruppo italiano nei servizi dedicati allo sviluppo del mercato del lavoro
si affida ad un soggetto che lo aiuta nel proprio percorso professionale.
assunzioni da parte delle aziende saranno orientate verso il lavoro flessibile.
Con la nascita delle agenzie
Sono passati undici anni dalla nascita dell’agenzia. Quanto e come è cambiato il mercato del lavoro in Italia in questi anni e quali sono le prospettive di sviluppo future? In passato il ruolo di soggetti intermediari nel mercato del lavoro era affidato esclusivamente a soggetti pubblici che si sono rivelati pressoché inefficaci. Oggi con la nascita delle agenzie per il lavoro abbiamo assistito ad un cambiamento strutturale del mercato, che ha portato ad una diminuzione del tasso di disoccupazione che in Italia è uno dei più bassi del mondo: parliamo infatti di una percentuale del 6,7 per cento, destinata ad aumentare di due punti nei prossimi due anni. Una crescita decisamente contenuta se paragonata a quella prevista per altri Paesi europei come ad esempio la Spagna, dove si parla di un aumento dell’8 per cento della disoccupazione. Non dimentichiamo poi che abbiamo assistito anche ad una diminuzione dei tempi di ricerca: fi no a qualche anno fa per trovare un’occupazione servivano in media tra i sette e gli otto mesi, mentre oggi basta un mese.
Lasciamo per un attimo da parte il mercato italiano. Gi Group in questi anni ha “esportato” il lavoro interinale anche nel mercato estero, avviando un processo di internazionalizzazione di grandi dimensioni. Ad oggi Gi Group ha sviluppato 84 fi liali in Europa e 30 fi liali all’estero, tra cui anche in Brasile e in Cina, dove la sua agenzia, grazie all’entrata in vigore di una legge che regolamenta il lavoro a termine, ha siglato due joint venture. Attualmente dove si sta concentrando l’interesse del Gruppo? Gi Group opera già in diversi Paesi europei, tra cui la Spagna, la Germania e la Polonia. E’ stata recentemente chiusa un’acquisizione in Romania e stiamo trattando per un’operazione anche in altri Paesi dell’Est. Il 2009 per il gruppo rappresenta quindi un anno fondamentale per il consolidamento della nostra posizione in Europa. Ma tanti passi sono stati fatti anche fuori dai confi ni europei, arrivando in Cina, India e Brasile, tre mondi che possono vantare opportunità di impiego molto rilevanti. Il nostro obiettivo ora è quello di sviluppare programmi di investimento e sviluppo tali da poter creare entro i prossimi cinque anni una multinazionale del lavoro che possa arrivare a posizionarsi tra i primi dieci gruppi del settore nel mondo.
un cambiamento strutturale
Quali secondo lei saranno i settori più critici nel corso del 2009 e quali invece si prevede possano ancora off rire buone opportunità di lavoro? E’ un periodo difficile per tutti i settori, ma l’industria manifatturiera è senz’altro quella che maggiormente soff re questa crisi per via della diminuzione delle esportazioni. A subire con minore intensità gli effetti di questa congiuntura negativa è invece il settore dell’energia, che sta nascendo in questi ultimi anni. Quello che tuttavia ci auguriamo è che già nei prossimi mesi ci possa essere una ripresa dalla crisi, dalla quale alcuni settori usciranno rafforzati. Una cosa è certa: le prossime 70
Oltre ad essere professore di economia aziendale all’università Cattolica di Milano, lei ricopre la carica di vice presidente di Assolavoro, associazione che riunisce le agenzie per il lavoro che operano in Italia. Visto la condizione attuale del mercato del lavoro quali sono gli obiettivi prioritari dell’associazione? Oggi l’impegno di Assolavoro si concentra attorno a tre obiettivi principali: primo tra tutti la volontà di dare una mano
per il lavoro si è assistito ad del mercato, che ha portato ad una diminuzione del tasso di disoccupazione che in Italia è uno dei più bassi del mondo: parliamo infatti di una percentuale del 6,7 per cento, destinata ad aumentare di due punti nei prossimi due anni alle agenzie presenti sul territorio italiano a maturare la consapevolezza del loro ruolo da intermediari. Un proposito che non può prescindere dall’aiutare il lavoratore a capire qual è il suo ruolo e quali sono le opportunità che può cogliere. A questo poi si aggiunge il tentativo di fare in modo che le istituzioni riconoscano il ruolo delle agenzie del lavoro, destinate a diventare in futuro dei soggetti sempre più fondamentali per fare incontrare domanda e offerta. |
Il lavoro e l’applicazione continui sono il cibo del mio spirito. Quando comincerò a cercare il riposo, allora smetterò di vivere. Francesco Petrarca
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marzo - aprile 2009
Il marketing guarda sempre più al
Web 2.0
L’analisi di Franco Giacomazzi, docente al Politecnico di Milano e presidente dell’Associazione italiana Mktg. Nei prossimi anni sempre più aziende adotteranno strategie di comunicazione legate a internet 2.0 per incrementare le relazioni e sviluppare nuovi modelli di interazione a cura della redazione
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Marketing
Il futuro del marketing nel segno della tecnologia web 2.0, blog, wiki, RSS, forum e social network senza perdere di vista le esigenze del nuovo consumatore quali, la comunicazione, la rapidità di risposta e la creazione di contenuti. È quanto emerge dell’analisi di un settore in continuo cambiamento delineata da Franco Giacomazzi, professore di Marketing Industriale al Politecnico di Milano e presidente di Aism, Associazione italiana marketing. Cosa significa per un’impresa fare marketing oggi? Il marketing racchiude una filosofia e un corpo di conoscenze che orientano e supportano un’impresa nel pensiero e nell’azione, al fine di prevedere, individuare ed aff rontare i mercati con prodotti, servizi, idee che ne soddisfino le esigenze attuali o potenziali creando un vantaggio competitivo difendibile. Sul marketing molto si è detto a proposito e sproposito. Fare
marketing oggi richiede molta attenzione alla focalizzazione sul mercato target, soddisfacendo alcune esigenze del nuovo consumatore come comunicazione, rapidità di risposta, creazione di contenuti. Nel suo ultimo libro “Imprese 4.0”, ha cercato di fare un po’ ordine tra i diversi strumenti del web 2.0 a supporto di varie funzioni aziendali, proponendo un modello innovativo di business basato sul concetto di Relazione comunicativa d’impresa e su uno schema a quattro direzioni. In cosa consiste questa novità? Il libro si basa su un modello interpretativo dell’impresa, immaginata come sostenuta da tre “pilastri”: la Value Proposition (quale valore l’azienda offre), le Operations e la Relazione comunicativa, un processo atto a creare un legame relazionale tra l’azienda e qualunque suo interlocutore. A sua volta, - anche questo è un aspetto innovativo del libro - la Relazione 73
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Comunicativa si manifesta in quattro direzioni: dentro-fuori (rapporto impresa verso il mercato e gli stakeholder); fuori-dentro (market sensing); fuori-fuori (le relazioni che si instaurano tra attori esterni all’impresa e che la condizionano); dentro-dentro (le relazioni all’interno dell’impresa). In tal modo si è dato al manager ed al professional uno schema di riferimento espresso con linguaggio a lui familiare. Ad ogni direzione è destinato un capitolo, che illustra le funzioni principali ad essa associate ed i relativi strumenti, sia tradizionali che del nuovo web, con esempi, casi, raccomandazioni. Quali sono gli strumenti di cui si serve il marketing oggi? Sempre più tecnologie.... Secondo l’Osservatorio Enterprise 2.0 del Politecnico di Milano, nei prossimi due anni circa il 50% delle imprese adotterà strumenti in tecnologia web 2.0. Blog, wiki, RSS, forum, social network, finora considerate applicazioni “di nicchia” in azienda, che diventeranno sempre più le killer application dei sistemi di nuova generazione. Tra gli strumenti del web 2.0 alcuni sono destinati a migliorare l’efficienza, altri l’efficacia: tendono cioè a rinforzare la Relazione comunicativa d’impresa. La velocità di circolazione dell’informazione e la sua pervasività sono elementi distintivi potenti se utilizzati correttamente, ma un boomerang se gli strumenti sono adottati con superficialità e scarsa competenza. Che tipo di competenze deve avere un marketing manager che lavora in un contesto sempre più complesso e globale? Il nuovo Web ha forti implicazioni strategiche e organizzative a causa dell’esigenza di “attrezzarsi” prima culturalmente, poi tecnicamente e professionalmente. Si potrebbe obiettare che, in fondo, la vita è movimento, i cambiamenti ci sono sempre stati e ciò che si vede ora altro non è che la continuazione della lunga storia dell’umanità. C’è tuttavia una rilevante differenza rispetto al passato: la velocità di questi cambiamenti e la pervasività nel senso che è agevole scambiare informazioni tra ampie popolazioni ed avviare un rapporto bidirezionale secondo una logica virale e di coinvolgimento. L’attuale situazione richiede un approccio culturale nuovo e l’impiego di competenze particolari, ma non tutte le imprese 74
lo hanno ancora fatto. Il vero driver è la tecnologia turbinante, mentre il cambiamento organizzativo e professionale riesce a stare al passo con difficoltà. Quanto e come una piccola azienda riesce a sostenere il marketing? Quali possono essere le strategie? Una piccola impresa di certo può investire meno proporzionalmente, sul Marketing strategico. Tuttavia può ricorrere agli strumenti del nuovo Web illustrati nel libro “Impresa 4.0” edito da Financial Times, meno costosi di alcuni tradizionali. Il marketing è una “materia” che cresce e cambia nel tempo. La formazione diventa un elemento fondamentale. Quanto questo concetto si inserisce nelle realtà aziendali? Il tema della formazione è cruciale. È la mission di AISM, Associazione Italiana Marketing. Non tutte le imprese dedicano adeguata attenzione a questo aspetto. In particolare la professionalità legata all’impiego del Web 2.0 sono tutte da costruire. Oggi è più frequente trovare personale o troppo tecnico, o troppo orientato alla comunicazione tradizionale. È un messaggio anche per la scuola oltre che a favore dell’associazionismo professionale espresso da AISM Associazione Italiana Marketing. Nei sui libri parla anche di etica. Come l’etica deve entrare nel mondo del marketing? L’etica nel mondo di oggi non sempre è rispettata. Come in tutte le attività umane anche le azioni economiche e commerciali non sempre rispettano del tutto l’etica. Certa finanza ne è un esempio. Occorre, come peraltro ovunque, ristabilire la giusta scala di valori. Quanto questa crisi rischia di incidere sulle spese per il marketing? O al contrario il marketing diventa uno strumento indispensabile? In tempi di crisi il marketing non è di certo l’unica leva destinata ad attenuare la negatività della situazione: sarebbe, tuttavia, un errore considerare l’attività di marketing come semplice spesa da tagliare, anziché come investimento in ottica di medio periodo. |
Franco Giacomazzi è Professore di Marketing Industriale presso il Politecnico di Milano, (Dipartimento di Ingegneria Gestionale) e docente senior del MIP-Politecnico, dove è responsabile, tra l’altro, dell’Area Marketing del MEC (Master in Engineering and Contracting). Oltre all’attività universitaria - docenza, ricerca, e consulting - ricopre incarichi istituzionali e aziendali. Già Membro del Consiglio Generale di Fondazione Fiera Milano e della Camera di Commercio di Milano,è attualmente Membro di Giunta Assolombarda, Vicepresidente del Gruppo Terziario Industriale di Assolombarda, Presidente AISM (Associazione Italiana Marketing) e Consigliere di Amministrazione di BSB Logistica. Laureato in Ingegneria Industriale Meccanica con il massimo dei voti, fino al momento di essere chiamato al Politecnico ha insegnato all’Università di Bologna “Organizzazione della Produzione” ed “Economia e Organizzazione Aziendale”, oltre ad avere ricoperto incarichi in grandi imprese (Esso, Montedison) nelle aree Sviluppo Organizzativo e Sistemi Informativi, portando all’Università esperienza manageriale e professionale. Le principali aree di interesse attuale sono il Business to Business Marketing, anche nelle sue recenti articolazioni “web based”, il Relationship Marketing e l’Information Technology Strategy vista come componente irrinunciabile e collante nella gestione d’impresa e come paradigma di integrazione.
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La logistica di ultima
generazione Il caso Sogema che ha sviluppato competenze speciďŹ che nei settori Ict, fashion, gioielli, orologi e luxury. Tecnologie e servizi customizzati per puntare su soluzioni di valore aggiunto
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Soluzioni per le imprese Centralità delle relazioni personali ed attenzione al dettaglio sono i principali obiettivi di Sogema che proprio su queste basi ha sviluppato, in circa trent’anni di attività, la propria offerta di servizi logistici a valore aggiunto e si dedica costantemente ad arricchirla. Il portafoglio di soluzioni si articola in tre diverse aree operative: Warehousing, Co-packing e Servizi a valore aggiunto, Distribuzione. L’apporto di Sogema si sviluppa lungo l’intera Supply Chain rendendo la propria organizzazione complementare a quella del cliente. L’offerta non contempla modelli predefiniti o standardizzati anche a clienti appartenenti allo stesso settore. Ogni azienda ha, infatti, la propria organizzazione e la propria clientela che Sogema si impegna a conoscere e a soddisfare. In tal senso, la costruzione di una relazione diretta e solida basata sulla trasparenza dei processi risulta fondamentale: lo scopo è garantire ai clienti qualità, personalizzazione spinta e reattività nell’adeguare i processi ai mutamenti del mercato e ai cambiamenti di strategia del cliente stesso.
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La filosofia del Gruppo Dlogistic, di cui Sogema fa parte dall’anno 2000, le medie dimensioni dell’azienda (fatturato 30 milioni di euro e 70 dipendenti) e la snellezza dell’organizzazione, favoriscono un approccio dinamico allo sviluppo dei modelli. La multinazionale tedesca, infatti, non impone rigide procedure per non inficiare i requisiti di flessibilità e versatilità che un provider logistico deve necessariamente possedere ma, nello stesso tempo, conferisce a Sogema l’adeguata solidità per affrontare i progetti di più ampio respiro. Le scelte in materia di ICT sono orientate tanto al raggiungimento di elevati livelli di qualità del servizio quanto alla garanzia di tracciabilità dei processi offerti ai clienti. Sogema vanta, infatti, collaborazioni durature con realtà di primaria importanza operanti in settori merceologici differenti. Ha potuto, così, consolidare il proprio know-how nei seguenti campi: largo consumo, automotive, fashion (orologi, gioielli e accessori), Information Technology, elettronica di consumo ed elettrodomestici. Di ogni settore ha colto le peculiarità logistiche, mettendo a disposizione figure professionali specializzate. Un caso per tutti, che ben mette in luce le modalità con cui Sogema approccia nuovi progetti e nuove sfide, è quello del settore fashion. Nell’anno 2003 Sogema stipula un contratto di fornitura di servizi con il gruppo Binda iniziando così un percorso di specializzazione nella gestione logistica di orologi e gioielli. Nel 2006 inizia la collaborazione con Global Watch Industries e nel 2007 con Morellato&Sector, gestendo ad oggi più di 30 marchi di orologi e gioielli con il relativo materiale promozionale. La presenza nel settore si consolida estendendosi all’indotto, a società quali Brandart Image Packaging che progetta e distribuisce prodotti di Image Packaging e Visual Display per beni di lusso. Ad ogni cliente è riservato un reparto fisicamente delimitato, protetto da impianti e procedure dedicate che si integrano con il sistema di prevenzione furti e rapine dell’intero insediamento. I servizi erogati comprendono le tradizionali attività di ricevimento, deposito, allestimento ordini ma anche confezionamenti e personalizzazione dei prodotti svolti, adottando particolari accorgimenti per evitare danneggiamenti. I clienti possono, inoltre, usufruire dei vantaggi derivanti dal Magazzino Doganale per il quale Sogema ha ottenuto le necessarie autorizzazioni. Procedure operative e flussi informativi correlati si sono evoluti negli anni e tutt’oggi lo sforzo profuso nel reengineering degli stessi è costante. Il dinamismo tipico del settore, infatti, dovuto all’elevata stagionalità dei prodotti, alle campagne di marketing, alle acquisizioni di nuovi brand accresce la complessità intrinseca del servizio. Tutto ciò a testimonianza dell’apertura di Sogema a cogliere quotidianamente le sfide poste da questo settore tanto affascinante quanto esigente. |
Sogema SpA - tel. 0331 61371 www.sogema.it
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Mark Zuckerberg il fondatore di Facebook. Attualmente possiede circa il 30% della compagnia con un controvalore pari a 5 miliardi di dollari
Il 2008 è stato l’anno delle community, dei blog e dei social network, e primo su tutti in Italia è sicuramente Fabebook, che secondo Nielsen Online è al quinto posto nella classifica mondiale dei siti più visitati, al sesto in Italia. Il web 2.0 sta così assumendo una dimensione sociale importante di condivisione e non solo fruizione del web. Questo fenomeno emergente non è più da considerarsi solamente come tale, ma bensì come una realtà che sempre più si consolidata. I dati Nielsen di confronto tra navigatori totali italiani e navigatori web 2.0 italiani (Tabella 1) mostrano che i navigatori web 2.0 sono il 67% dei navigatori totali italiani. Dal giugno 2007 al giugno 2008 sono cresciuti del 21%, superiore alla crescita dei navigatori totali (+10%). Questo significa che l’uso di internet cresce, ma il web 2.0 aumenta a doppia velocità. I navigatori 2.0 passano il 36% di tempo in più sul mezzo, si connettono più frequentemente, e sono più dinamici visitando più pagine e domini. Questi primi dati portano a comprendere quanto fenomeno possa essere rilevante per le aziende in termini commerciali. Secondo le stime di eMarketer, infatti, nel 2007 la spesa per il social advertising è stata di 1,2 miliardi di dollari – su un totale “da record” di 21,4 miliardi di dollari per l’intero mercato della pubbli80
cità online – ma le nuove tendenze legate al consumo di massa dei social network dovrebbero produrre una crescita esponenziale. Secondo il rapporto, inoltre, nei prossimi anni assisteremo ad una invasione pubblicitaria che dai siti di social network passeranno a interessare tutte le diverse attività internet: siti di shopping online, di server email, motori di ricerca, ecc. Capitalizzare i social network, tuttavia, non è un business privo di scogli: per monetizzare le potenzialità del web 2.0 anche sotto il profilo di advertising e marketing sarà necessario mantenere alta l’attenzione sui livelli di privacy. Per eMarketer, comunque, da oggi al 2011 si avrà il definitivo assestamento di un nuovo scenario. I motivi del successo del social marketing Una recente indagine svolta da Metrix Lab nel 2008, su commissione di Microsoft Digital Advertising Solution (la concessionaria di pubblicità online di Microsoft), ha evidenziato quanto sia diffusa la pratica di segnalazione di brand o campagne pubblicitarie agli amici. In particolare: • I frequentatori di social network hanno fiducia nella loro comunità: il 64% di essi visita un sito web a seconda di quanto visto o letto sul sito di un amico;
Marketing on line
Fare business e pubblicità
su Facebook Il boom dei social network in Italia: fenomeno di massa ma anche utile strumento per avviare forme di comunicazione pubblicitaria. Gli ultimi sviluppi nel social marketing e alcuni approfondimenti sulle opportunità adv di Facebook
di Daniela Andreini Ricercatore in Marketing, Docente di Marketing e Commercio elettronico alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bergamo.
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La raccomandazione del gruppo sociale è fondamentale: il 23% dei frequentatori di siti di social network inserisce un commento riguardante un messaggio pubblicitario e il 25% segnala una campagna pubblicitaria agli altri; I frequentatori di siti di social network cercano nuove forme di interazione con i brand: il 43% degli utenti europei di questi siti visitano lo spazio personale di un brand; il 16% ha già instaurato un dialogo o inviato un messaggio al brand; Il potenziale pubblicitario nel social network è enorme: il 60% degli utenti europei di social network si dichiara disposto a inserire sulla propria pagina personale contenuti sponsorizzati e il 10% ha già impegnato il proprio spazio con un brand.
Da ciò risulta, quindi, quanto sia importante per le aziende, far leva sul potenziale della raccomandazione sociale; si devono innanzitutto individuare i sostenitori online dei loro brand e renderli destinatari primari di contenuti importanti e approfonditi, incoraggiandoli a consigliare il marchio ad un amico all’interno del social network. Le aziende devono cercare, rispettando la community in cui si inseriscono, di sviluppare contenuti interessati e pertinenti alle necessità dei consumatori, in modo poi che essi stessi inoltreranno tali contenuti ad altri amici, li commenteranno positivamente in pubblico o ne faranno oggetto di interazione diretta sul proprio sito. Bisogna, infine, sottolineare che le persone tramite i social network esprimono la propria individualità e sarebbe opportuno che anche i brand si comportassero in tal
modo. Cioè, il brand deve avere una propria voce, espressività e carattere; il social network può quindi essere utilizzato per esprimere un lato del brand che normalmente le persone non vedono e per incoraggiare gli altri partecipanti ad interagire con esso. Strumenti Pubblicitari di Facebook Facebook offre alle imprese tre principali modalità per fare pubblicità online: 1. Pagine Brandizzate: si possono creare pagine brandizzate su Facebook, a cui le persone possono aggiungersi come amici. La pagina può riguardare l’azienda, i prodotti, i brand, artigiani, artisti, ecc.. (è un profilo di Facebook differente da quello riferito alle persone fisiche). Questi spazi sono molto semplici da creare, da personalizzare, e soprattutto sono gratuite. 81
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Scalare le classifiche dei motori di ricerca?
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anno II - numero 5 | marzo - aprile 2009 | € 7,00
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Roberto Ruozi
La crisi e la fenice Nuovi modelli di società e di economia sorgeranno dalle ceneri di questo periodo così difficile
Distretti e reti
L’unione fa la forza Il primato della Lombardia
Credit crunch
L’anali dalla prospettiva di banche e imprese
Storie di successo Focus su: Nuncas, Antica Fratta, Bresciani
Giovani e imprese Una scommessa ancora tutta da vincere
Protagonisti
Raffaella Radice Carlo Edoardo Valli Sandro Bicocchi Libero Stradiotti Stefano Colli-Lanzi Franco Giacomazzi
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Roberto Ruozi fotografato da
Matteo Mottari