anno II - numero 6 | maggio - giugno 2009
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale 45% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB BERGAMO - COBALTO SRL In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di BERGAMO per la restituzione al mittente che si impegna al pagamento dei resi. www.businessgentlemen.it
anno II - numero 6 | maggio - giugno 2009 | € 7,00
Luca Tiraboschi
L’impresa della tv Con il direttore di Italia Uno alla scoperta dei meccanismi di un’azienda televisiva
Rinnovabili
Energie pulite Investire conviene
ICT
Sempre di più Enterprise 2.0
Storie di successo
Focus su: Diebold Dilà, Newsystem Johnny Lambs
Innovazione
Sono oltre 28mila in Lombardia le aziende hi-tech
Protagonisti
Alessandra Brambilla Roberto Monti, Attilio Martinetti Roberto Magri, Giovanna Ricuperati
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Legenda delle icone di lettura Business & Gentlemen ha studiato dei richiami grafici per aiutare la “navigazione” dei servizi e offrire informazioni aggiuntive. Innanzitutto ogni articolo presenta un’icona che ne identifica la tipologia di contenuto: Giornalistico: servizi, approfondimenti, interviste realizzate dai nostri giornalisti e dai collaboratori B&G. Tecnico-scientifico: studi e ricerche che hanno una connotazione tecnico-scientifica e che sono
In questo numero diamo ampio spazio al tema delle energie rinnovabili che possono rappresentare un importante investimento per le imprese. In tempi di crisi la sensibilità dell’opinione pubblica sulla questione dell’ambiente (basti pensare agli ecoincentivi nel settore auto) e l’attenzione degli imprenditori verso la cosiddetta economia verde sono notevolmente cresciute. Sempre più spesso si sottolinea il legame tra lo sforzo per uscire da questo periodo di stallo economico e la salvaguardia dell’ecosistema ormai compromesso da decenni di assoluta pirateria.
realizzati da esperti, docenti o studiosi. Divulgativo: notizie, curiosità, anteprime, focus di carattere divulgativo sui temi d’interesse generale: dalla moda ai motori, dall’arte al design Inoltre la lettura può riservare informazioni aggiuntive con le seguenti icone Immagini: didascalie e spiegazione del materiale iconografico Url: la segnalazione di siti e portali sul tema trattato Argomenti correlati: segnalazione di servizi B&G che trattano argomenti simili Citazione: un ipse dixit che impreziosisce il discorso trattato Bibliografia: la segnalazione bibliografica collegata all’argomento
La crescita sfrenata senza la minima considerazione degli effetti sul mondo che ci circonda è stata il denominatore comune degli ultimi decenni, anzi una bandiera da sventolare con arroganza da parte di alcune economie e di alcune multinazionali capaci di operare considerando il protocollo di Kyoto un peso e un’assurdità della società evoluta. Oggi c’è un clima diverso, proprio grazie alla crisi. E qualcuno guarda alla prospettiva di rilancio proprio lungo la green line. Insomma la svolta potrebbe arrivare proprio dallo sviluppo di un sistema produttivo che guardi alle problematiche ambientali come un occasione di business. Ovviamente queste strategie innovative e gli investimenti necessari per avviare dei processi di valore aggiunto legati all’ecosostenibile sono percorsi pensati a medio-lungo termine. Chi pensa e vuole ottenere tutto e subito pecca d’arroganza, ma anche di ipocrisia. Ma c’è un pericolo maggiore. C’è chi sottolinea che prima bisogna pensare a uscire dalla crisi continuando lungo la strada dell’economia tradizionale poco attenta ai problemi ambientali. C’è chi si preoccupa di ottenere subito i fatti, subito i risultati: si
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può cominciare a pensare all’ambiente anche a partire dal 2010. Continuiamo a inquinare ancora un po’ fino a quando non rimetteremo le aziende in carreggiata, allora ci sarà tempo per valutare i benefici dell’economia verde. Beh, allora, se questa è la rivoluzione del pensiero generata dalla crisi, rischiamo di finire in una crisi ancora peggiore. Bisogna avere coraggio di voltare pagina. La gravissima recessione di questi mesi deve servirci a cambiare le prospettive, a pensare fin da subito a un nuovo modo di agire, altrimenti a forza di scusanti finiremo a gambe all’aria. Le imprese devono cambiare rotta se vogliono costruire un terreno solido su cui avviare il proprio successo: le scelte dell’oggi, dell’immediatezza, quindi compresa la scarsa attenzione all’ambiente non devono più essere patrimonio dell’imprenditore illuminato. Uscire dalla crisi senza un progetto nuovo, ma cercando di arrabattarsi con i vecchi stratagemmi servirà solo ad allungare l’agonia.
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Sommario numero 6 | maggio -giugno 2009
10.
Editoriale La scelta corraggiosa di seguire la green line
14.
Hi-tech Sempre più l’era della Enterprise 2.0
18.
Energie Rinnovabili Quanto è vantaggioso investire nell’ecosostenibile
26.
Diebolod Leader nella produzione di sportelli bancomat
30.
Johnny Lambs Come costruire un marchio di successo
34.
Newsystem La nuova generazione di un’azienda innovativa
38.
Dilà L’impresa brianzola di porte sempre al passo con i tempi
42.
L’azienda Tv I meccanismi di un canale tv svelati da Luca Tiraboschi
48.
Lady economy La vice presidente di HP Alessandra Brambilla
52.
La rivoluzione IKEA
90.
Ce la spiega l’ad Roberto Monti
54.
Il ristrutturazione di una barca Made in Usa
94.
Roberto Magri Il nuovo Gentleman della nautica
62.
100. Misterioso Cile
Innovazione
Centinaia di viaggi in uno solo
106. Golf
Marketing L’arma vincente per combattere la crisi
72.
Il successo del circuito Pragma ADV
100. Il Dossier
Psicologia La nuova frontiera delle consulenze d’impresa
74.
Internet e imprese
Alla scoperta delle forme del tempo con Serafi no Consoli
126. Abstract
La “coda lunga” del business online
78.
Pillole di B&G dedicate al pubblico estero
Internazionalizzazione
128. Fiere
Gli effetti della crisi sull’economia russa
82.
BMW Z4 classe e potenza in libertà
Per la competitività e lo sviluppo delle imprese
66.
Miss Sally
Gli appuntamenti di maggio-giugno
Arte Quando la mostra diventa evento grazie a Linea d’Ombra
86.
Personaggi di stile La grande leggenda di Zino Davidoff
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maggio - giugno 2009
L’impresa, meglio se
2.0
Ict e Business
Calano gli investimenti nell’ICT (Information and Communication Technology) ma gli strumenti web 2.0 al servizio delle imprese guadagnano terreno. È quanto emerge dalla ricerca “L’Enterprise 2.0 al tempo della crisi: la concretezza di chi osa” realizzata dall’Osservatorio Enterprise 2.0 della School of Management del Politecnico di Milano. In un quadro generale di riduzione del budget per gli investimenti ICT nel prossimo triennio, quattro ambiti applicativi dell’Enterprise 2.0 risultano in controtendenza: Unified Communication & Collaboration (UC&C), Enterprise Content Management (ECM), Social Network & Community (SN&C) e Adaptive Enterprise Architecture (AEA). Le entità medie di investimento in questi ambiti non sono elevate rispetto al totale della spesa ICT (si va dai 100mila euro per iniziativa nel SN&C ai 600mila euro nell’AEA), ma i tassi di crescita attesi nei prossimi tre anni sono decisamente superiori a quelli del budget ITC complessivo: per UC&C ed ECM i Chief Information Officer prevedono aumenti intorno al 50%, mentre del 35% e del 25% per SN&C e AEA.
La ricerca della School of Management del Politecnico di Milano: la crisi costringe a ridurre gli investimenti nel Ict, eppure crescono gli strumenti web 2.0 legati alle aziende: dallo sviluppo dei contenuti alla gestione del patrimonio informativo
Tra i quattro ambiti, due risultano più maturi (Unified Communication & Collaboration ed Enterprise Content Management) sia nella percezione che nell’adozione all’interno delle imprese. Unified Communication & Collaboration (UC&C): rappresenta le iniziative a supporto della gestione di ogni tipo di comunicazione, interna ed esterna all’impresa, in modo unitario e indipendente dai mezzi adottati per veicolare i contenuti attraverso infrastrutture e strumenti integrati. Appena il 9% dei CIO intervistati risulta “scettico”, il 45% è di “pionieri” ritenendo da sempre strategiche queste azioni, il 46% si è “convertito” sull’importanza di tali strategie. Enterprise Content Management (ECM): include le attività a supporto della gestione del patrimonio informativo, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione, attraverso strumenti che migliorano l’accuratezza, l’accessibilità e l’integrità nella gestione di documenti e, più in generale, di contenuti. Il 12% di
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maggio - giugno 2009
I tassi di crescita per gli investimenti negli ambiti dell’Enterprise 2.0, attesi nei prossimi tre anni, sono decisamente superiori a quelli del budget ITC complessivo: per UC&C ed ECM i Chief Information Officer si prevedono aumenti intorno al 50%, mentre del 35% e del 25% per SN&C e AEA
CIO è scettico, il 51% è pioniere e il 37% è convertito. Social Network & Community (SN&C): comprende tutte quelle azioni che hanno come obiettivo la valorizzazione delle relazioni all’interno e all’esterno dell’impresa. Il 49% dei CIO sono ancora scettici, il 10% sono pionieri, ben il 41% si sono convertiti. Adaptive Enterprise Architecture (AEA): si intendono tutte quelle iniziative deputate a rispondere al bisogno di riconfigurare velocemente processi e ambienti di lavoro, rendendo il Sistema Informativo più flessibile. Ben il 35% dei CIO risulta scettico, solo il 24% è pioniere mentre i convertiti ammontano al 41%. La ricerca ha permesso di mappare anche il livello di adozione reale nelle organizzazioni: per l’Enterprise Content Management il 40% delle imprese è attualmente impegnato in uno sviluppo unificato o strategico, il 26% per Unified Communication & Collaboration, il 21% per Adaptive Enterprise Architecture e solo l’8% nel Social Network & Community. Nel complesso l’adozione nelle applicazioni dell’Enterprise 2.0 sono complete al 3%, composite (sviluppo elevato su almeno due ambiti) per il 21%, focalizzate (un solo ambito) nel 36% dei casi ed embrionali (per il 40%). Con questa seconda ricerca l’Osservatorio Enterprise 2.0 ha evidenziato come il fenomeno dell’Enterprise 2.0 stia profondamente mutando il modo di concepire i Sistemi Informativi: dall’essere fortemente incentrati sull’automazione e il supporto di processi strutturati, si stanno sempre più orientando a supportare processi che incorporano in misura crescente flussi di informazioni destrutturate. Nell’impossibilità di automatizzare o codificare queste attività, l’enfasi si è spostata progressivamente sull’individuo e sull’esigenza di migliorarne la capacità di utilizzare le risorse che l’azienda e l’ambiente esterno gli mettono a disposizione, creando così le migliori condizioni lavorative in ogni situazione e attraverso diversi mezzi e canali, anche in mobilità. Ma per sviluppare questo nuovo approccio al Sistema Informativo sono fondamentali sia la presenza sia il ruolo di un vero CIO. E che, in una visione di collaborazione integrata, la Direzione Sistemi Informativi sia supportata - avendo la forza di farsi catalizza16
tore e perno del cambiamento - dalla Direzione Risorse Umane e dalla Direzione Marketing e Commerciale. “Nello scenario di crisi attuale il fenomeno dell’Enterprise 2.0 appare come di fronte a un bivio: se aff rontato in modo superficiale o demagogico, verrà archiviato come una moda passeggera o al più accantonato come un ‘lusso’ posticipabile a tempi migliori - afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio - se, viceversa, verrà compreso in modo profondo e poi aff rontato con concretezza e pragmatismo, potrà portare da subito vantaggi concreti e, al tempo stesso, costruire le premesse per un processo di rinnovamento organizzativo che permetterà alle imprese più efficaci di differenziarsi ed essere protagoniste nel prossimo ciclo di crescita. Di qui l’attenzione che quest’anno abbiamo posto ad analizzare le iniziative concrete in atto e a valutarne gli impatti sull’organizzazione, affiancando alla visione dei responsabili dei progetti e dei CIO quella di altri attori emersi come fondamentali, i responsabili delle Direzioni Risorse Umane e Marketing e Commerciale e gli utenti stessi.”. “Grazie all’Enterprise 2.0 - conclude Stefano Mainetti anche lui Responsabile Scientifico dell’Osservatorio - le aziende più lungimiranti riusciranno a cogliere nella crisi un’opportunità, coniugando le esigenze contingenti con un percorso di cambiamento interno che non può essere proprio ora trascurato o frenato, ma che va anzi accelerato perché, come sottolineato dall’attuale Capo di Gabinetto della Casa Bianca Rahm Emanuel, ‘...una grave crisi non va mai sprecata...’”. |
La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, perciò l’altra metà è l’eterno e immutabile. Esiste una modernità per ogni pittore antico. C. Baudelaire
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marzo - aprile 2009
Investire nel
rinnovabile una scommessa vincente Dati alla mano, le imprese che scelgono di sfruttare le energie alternative ottengono benefici e riduzione dei costi. Ecco la ricerca del professor Alessandro Nova, del Dipartimento di Finanza della Bocconi
Gli investimenti in impianti a energie rinnovabili sono redditizi per le imprese, sia che esse siano fornitrici sia in qualità di utilizzatori diretti per i propri processi produttivi. È quanto emerge dalla ricerca “Investire in energie rinnovabili - La convenienza economica per le imprese”, coordinata da Alessandro Nova, professore del Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi. Il settore delle energie rinnovabili è in grande fermento soprattutto grazie al sistema di incentivazione della legislazione italiana che, spiega Nova, “prende in considerazione una serie di strumenti differenziati per ciascun tipo di fonte rinnovabile. Per il fotovoltaico ad esempio esiste il Conto Energia, per le altre fonti è usato un sistema che fa riferimento ai Certificati Verdi”. Perché un investimento di questo tipo risulta quindi estremamente appetibile sotto il profi lo del rendimento? Le risposte si trovano all’interno della ricerca dove sono snocciolati numeri, grazie alla quantificazione degli effetti economico-finanziari degli investimenti in energie rinnovabili sia nell’ipotesi di cessione dell’energia prodotta alla rete elettrica nazionale che in quella di un utilizzo nell’ambito dei processi produttivi delle imprese finanziatrici. È il caso, per esempio, di un impianto idroelettrico che, in grado di produrre 2 milioni di kWh l’anno e con una vita utile di 30 anni, è capace di assicurare un tasso interno di rendimento (l’indice che i ricercatori hanno posto come misura della profittabilità dell’investimento) superiore al costo del capitale investito, sia che l’energia sia completamente utilizzata per i processi produttivi industriali, sia che parte di essa (o al limite, tutta) sia venduta alla rete nazionale. In questo tipo di investimento, nel caso del 100% di autoconsumo, il tasso interno di rendimento raggiungerebbe il 18,3%, rispetto al 7,5% del costo del capitale, con una rilevante generazione di valore per gli investitori. Il periodo di rientro dell’investimento sarebbe di 8 anni nell’ipotesi di completo utilizzo dell’energia prodotta all’interno dei propri processi produttivi e si prolungherebbe di un solo anno se la meta’ dell’energia prodotta fosse venduta alla rete. Un investimento conveniente, dunque, che, dal punto di vista indu-
Energie rinnovabili
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Business&Gentlemen
maggio - giugno 2009
L’Italia è il secondo importatore al mondo di energia elettrica, ma non figura tra i primi 10 produttori, e il prezzo medio per kWh è tra i più alti in Europa. Siamo fortemente dipendenti dall’estero e dalla volatilità dei prezzi che si determina sul mercato mondiale. Investire nelle energie rinnovabili potrebbe significare limitare questa dipendenza striale “trae origine dal differenziale tra prezzo-costo dell’energia acquistata e costo di produzione dell’energia, integrato pero’ dagli incentivi economici che caratterizzano questi progetti - aggiunge Alessandro Nova -. Le iniziative legate a energie rinnovabili si confermano come investimenti estremamente interessanti sotto il profi lo dei rendimenti economici ma soprattutto caratterizzati da una rischiosità sostanzialmente contenuta, caratteristica sempre più rara nel panorama industriale contemporaneo”. L’attenzione per le produzioni pulite, infatti, rappresenta per il paese non soltanto un’opportunità: “L’Europa si è posta come obiettivo il raggiungimento del 20% di quote di mercato per le energie rinnovabili entro il 2020, si tratta dunque di un obbligo. Inoltre - aggiunge Nova -, tutta una se-
rie di condizioni spingono, nel nostro paese, verso gli investimenti in questo tipo di energie. L’Italia è il secondo importatore al mondo di energia elettrica, ma non figura tra i primi 10 produttori, e il prezzo medio per kWh è tra i più alti in Europa. Siamo fortemente dipendenti dall’estero e dalla volatilità dei prezzi che si determina sul mercato mondiale. Investire nelle energie rinnovabili potrebbe significare limitare questa dipendenza. Non solo: la riduzione del costo del kw per le imprese rappresenta un importantissimo elemento di competitività per il sistema, oggi imprescindibile, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica”. Infine, poichè la realizzazione di impianti idroelettrici, fotovoltaici, eolici o a biomasse è conveniente là dove ci sono industrie a grande assorbimento di energia, la ricerca delinea una mappatura
dei consumi energetici in Italia, data dal rapporto tra provincia e settore industriale di maggior sviluppo in quella determinata zona. Studio alla mano, Milano è quella che appare più volte (13), seguita da Torino (7), Bergamo, Brescia e Vicenza (6), Treviso e Varese (5), Modena (4). Otto province che da sole occupano 52 posizioni e il 62% del potenziale elettrico delle top 100. In tempi di grande attenzione per l’impatto che la produzione industriale ed energetica ha sull’ambiente e di grande dibattito sulla dipendenza italiana dall’estero per l’energia elettrica (l’Italia è il secondo importatore al mondo), cresce quindi l’attesa per le prospettive di sviluppo delle energie rinnovabili. |
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Fotovoltaico, un’opportunità per il rilancio L’intervista a Gianni Chianetta, presidente di Assosolare Una nuova opportunità di rilancio che passa dal fotovoltaico. A dirlo sono i numeri: nel corso del 2009 si prevedono installati ulteriori 500MW di potenza fotovoltaica, pari al doppio della potenza entrata in esercizio nello scorso anno ed entro il 2020, in Italia si potrebbe addirittura arrivare a 200mila posti nel settore. Numeri che arrivano direttamente da Gianni Chianetta, presidente di Assosolare, Associazione Nazionale dell’Industria Fotovoltaica, riconosciuta a livello istituzionale quale autorevole controparte nella discussione di tutti i provvedimenti in emanazione e rappresenta le esigenze della categoria del settore fotovoltaico nei confronti di tutti gli interlocutori. Il pacchetto clima-energia e gli obiettivi al 2020 sono un’occasione importante per una svolta energetica anche in Italia. Un’occasione che si sta cogliendo? Nelle scorse settimane è stato pubblicato in Gazzetta il pacchetto clima energia UE 2020. La direttiva sulle rinnovabili dovrà 20
essere applicata entro 18 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta e, comunque, i provvedimenti implicano una serie di adempimenti per i quali l’Italia ha già iniziato a muoversi. Nel caso delle rinnovabili il nostro Paese ha stabilito di ripartire l’obiettivo a livello regionale con un decreto del Ministero dello sviluppo economico da adottare entro giugno. Qual è lo stato di salute del settore fotovoltaico? L’Italia è uno dei paesi dove la crescita è stata particolarmente significativa nei primi mesi del 2009. A fine 2008 la potenza cumulata nel nostro paese era di 280MW, al 19 marzo 2009 è stata di 412MW, con un fatturato di 1 miliardo e 854 milioni di euro. Più 47% in due mesi e mezzo e, secondo gli ultimi dati del GSE, nel corso del 2009 si prevedono installati ulteriori 500MW di potenza fotovoltaica, pari al doppio della potenza entrata in esercizio nello scorso anno. Le domande di ammissione agli incentivi del Conto Energia, pervenute al GSE negli ultimi mesi evidenziano il
Energie rinnovabili
Investire nelle energie alternative: ecco i dati Impianto
Dimensione e vita utile
Investimento +totale costi annui
Tasso interno Tasso interno di rendimento di rendimento per 100% autoconsumo per 50% autoconsumo
Eolico
C.i.: 2.500 kw
4.300.000 + 190.000
19,4% P.r.i.: 8 anni
16,5% P.r.i.: 9 anni
1.800.000 + 85.000
18,3% P.r.i.: 8 anni
16,1% P.r.i.: 9 anni
5.000.000 + 55.000
8,8% P.r.i.: 17 anni
8,3% P.r.i.: 19 anni
6.180.000 + 1.700.000
28,2% P.r.i.: 6 anni
21,8%
6.164.000 + 6.225.400
37,4% P.r.i.: 4 anni
20,3%
P.r.i.: 6 anni
3.600.000 + 528.000
26,8% P.r.i.: 6 anni
22,2%
P.r.i.: 7 anni
P.a.: 2.000.000 kwh V.u.: 20 anni Idro-elettrico
C.i.: 315 kw P.a.: 2.000.250 kwh V.u.: 30 anni
Foto-voltaico
C.i.: 1000 kw P.a.: 1.300.000 kwh V.u.: 20 anni
Biomasse (cippato)
C.i.: 2.000 kw
P.r.i.: 7 anni
P.a.: 16.000.000 kwh V.u.: 15 anni Biomasse (oli vegetali) C.i.: 5.000 kw P.a.: 39.000.000 kwh V.u.: 15 anni Biomasse (biogas)
C.i.: 1.000 kw P.a.: 7.000.000 kwh V.u.: 15 anni
trend di crescita della potenza fotovoltaica: 40MW nel mese di gennaio 2009; 60MW a febbraio 2009 e, presumibilmente, oltre 80MW in tutto il mese di marzo. Ad oggi oltre 33.000 sono le domande di ammissione pervenute al GSE, per una potenza di circa 430MW. Per quanto riguarda gli incentivi il Gestore dei Servizi Elettrici ha già erogato, in totale, circa 100 milioni di euro. In Italia su 32,442 impianti connessi, il 93% è di taglia fino ai 20KW, il 5% da 20 a 50KW mentre solo il 2% è di taglia oltre i 50KW. Quali sono i principali vantaggi per un’azienda che vuole investire nell’energia solare? L’Italia, grazie al conto energia, rappresenta oggi uno dei mercati più interessanti e il fotovoltaico, a differenza di altri settori, non sta vivendo un momento di crisi ma anzi rappresenta una nuova opportunità. Basti pensare, ad esempio, al settore metalmeccanico dove carpentieri e componentisti oggi producono per l’industria del solare o a quello delle telecomunicazioni
dove tante competenze sono a disposizione della ricerca e dello sviluppo sulle nuove tecnologie. Rispetto a cinque anni fa il costo della produzione di energia da fonte solare fotovoltaica si è notevolmente ridotto e il trend futuro indica un raggiungimento della parità di costo con le fonti fossili in pochi anni. Quali sono i principali ostacoli per l’ulteriore sviluppo del settore? Non ultima, la nuova circolare dell’Agenzia del Territorio, la risoluzione del 6 novembre 2008 n.3, con cui l’Agenzia ha classificato gli impianti fotovoltaici come opifici, stabilendo così l’obbligo del pagamento dell’ICI. Assosolare, come già reso noto pubblicamente, ritiene che vi siano circostanziate ragioni per escludere l’applicazione dell’ICI ai pannelli fotovoltaici; in primo luogo perché i parchi non costituiscono un opificio in senso tecnico (categoria catastale D1), in assenza di una connessione strutturale tra i pannelli e il terreno. Il che dovrebbe avere un effetto di riduzione sostanziale della base imponibile
ICI. Un altro argomento oggetto di discussione riguarda la natura pubblica delle finalità del fotovoltaico, sancita per legge dal decreto legislativo n. 387/2003, unitamente alla peculiarità strutturale dei parchi (che insistono su terreni che mantengono la propria destinazione ed uso “agricolo”). A valle delle valutazioni tecniche, sul piano economico l’ICI rappresenterebbe un onere insostenibile per il settore, certamente di serio ostacolo per il suo sviluppo. Basti pensare che su un impianto da 8MWl’incidenza dell’ICI risulterebbe nell’ordine dei 140milioni di euro con un abbassamento del tasso di rendimento di circa il 5% all’anno. Le difficoltà di allacciamento alla rete e le lungaggini burocratiche sono gli altri problemi che affliggono il settore e ne ostacolano lo sviluppo. Da un confronto fatto dal National Network of PV Associations, fondato da Assosolare e dalla tedesca BSW Solar, in Italia sono necessari almeno nove mesi per installare e allacciare alla rete un piccolo impianto e, quasi un anno mezzo per uno di taglia grande. A Salerno, il proprietario di un tetto fotovoltaico, 21
Business&Gentlemen
maggio - giugno 2009
dopo aver ottenuto tutti i permessi, ha dovuto attendere 3 mesi perché il Comune chiedeva una valutazione sull’impatto acustico dell’impianto; a Brescia, dopo 16 mesi di procedure e permessi vari, un impianto da 200kW non è stato approvato perché l’ente parco locale ha dichiarato che poteva essere pericoloso per gli uccelli. In Spagna un piccolo impianto viene autorizzato in circa 18 mesi mentre uno grande in due anni. In Germania chi vuole dotarsi di un impianto fotovoltaico in casa deve fare una semplice richiesta al Comune con un’attesa dalle due settimane a un mese mentre, per uno grande, i tempi sono in media di quattro mesi. Una volta accolta la richiesta, l’operatore di rete locale è obbligato a connettere immediatamente l’impianto Esiste una stima su quante imprese operano nel settore del fotovoltaico? Secondo l’analisi condotta dall’Energy Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano le imprese di filiera operanti nel nostro Paese, tra italiane, estere ed estere con fi liali in Italia, sono circa 730. Qual’è il futuro del fotovoltaico in termini di indotto e forza lavoro? In Italia si potrebbe addirittura arrivare a 200mila posti di lavoro nel 2020. Cifra che potrebbe crescere ulteriormente puntando sullo sviluppo a livello locale di attività produttive legate al fotovoltaico, in particolare nel Sud Italia dove il sole non manca. Nonostante questa condizione privilegiata rischiamo però di perdere il treno. |
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Il caso Solarday L’azienda brianzola specializzata nelle tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare che raddoppierà la produzione nel 2009 passando a 200mila unità di moduli fotovoltaici Lo scorso anno il giro d’affari del fotovoltaico in Italia è stato di 800 milioni di euro, con una crescita del 500% rispetto all’anno precedente. La potenza installata è triplicata. Il numero di impianti installati è stato di circa 18mila, con una assoluta prevalenza di impianti di potenza inferiore a 20 kW. E il 2009? Nonostante i gravi problemi legati alla crisi economica e finanziaria, aziende, privati e istituzioni pubbliche continuano a investire sul fotovoltaico. Il settore è in crescita, lo confermano gli addetti ai lavori tra cui Carmelito Denaro, presidente di Solarday, azienda brianzola e realtà italiana di riferimento nel campo delle tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare, produce pannelli fotovoltaici che convertono la luce solare direttamente in energia elettrica L’obiettivo di Solarday, come conferma lo stesso presidente Denaro, è quello di raddoppiare la produzione, passando dal 100mila moduli fotovoltaici del 2008 alle 200mila unità per il 2009, segno di un vento di ottimismo che sta segnando questo primo semestre dell’anno. Il vostro settore sembra non sentire il vento della crisi. Avete chiuso un 2008 positivo e per il 2009 sono previste nuove assunzioni. Segno di un mercato in cre-
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Energie rinnovabili
scita..... Le aziende quindi investono nel fotovoltaico? Come annunciato anche dal presidente del Kyoto Club Italia, Gianni Silvestrini ‘’Nel 2010 l’Italia sarà il Paese leader del fotovoltaico’’, quindi se per investimenti si intende la realizzazione di impianti fotovoltaici, la risposta è già implicita. Ovviamente, non solo a seguito di queste previsioni, ma anche degli annunciati programmi a livello mondiale di incentivazione delle rinnovabili, l’industria italiana si sta muovendo in termini di produzione di materiali fotovoltaici. Solarday S.P.A. ha anticipato i tempi realizzando, sin dal 2006, uno stabilimento di produzione di moduli fotovoltaici a Mezzago vicino a Milano, con una capacità produttiva di 60MW per anno, classificandosi in breve tempo come maggiore produttore italiano. Quanti pannella solari avete prodotto nel solo 2008? previsione per il 2009? Il 2008 si è chiuso con una produzione di circa 100.000 moduli fotovoltaici. Per il 2009 le previsioni sono di raggiungere le 200.000 unità prodotte. Qual è l’investimento medio per un’azienda di piccola-media grandezza che vuole installare i pannelli solari? In quanti
anni rientra l’investimento? Non esiste un investimento medio. Esistono diverse tipologie di utenti: privati per uso domestico, industrie per autoconsumo dell’energia e investitori per grandi impianti su terreno per la vendita dell’energia. Ovviamente la taglia dell’impianto varia a seconda del singolo fabbisogno. È bene sottolineare che l’impianto si “autoripaga” tramite il “Conto Energia” con tempistiche che possono variare sia in funzione sia delle dimensioni dell’impianto che del posizionamento sul territorio da 7 a 12 anni. Tenuto conto che questi impianti possono essere finanziati da banche o società di leasing, l’investitore ottiene un vantaggio economico immediato dovuto alla compensazione dei consumi energetici con l’energia prodotta dall’impianto. Come vede il futuro di questo settore? In Italia, dai 340 megawatt installati nel 2008 si passerà ai circa 1.000 alla fine del 2009 e a 2.000 nell’anno 2010. Il conseguente ampliamento e sviluppo del settore produttivo e dell’indotto circa 70.000 mila nuovi posti di lavoro nel prossimo triennio. Questa cifra potrebbe quintuplicarsi qualora si realizzasse la fi liera completa (polysilicon, lingotti, wafer, celle e moduli) sul territorio italiano.Oltre ai paesi già atti-
vi nel settore (Germania, Spagna, Francia, Belgio, Repubblica Ceca) numerose nazioni (USA, Cina, Australia, Corea del Sud, Grecia, Slovenia, Tunisia, Marocco e molti altri) stanno dotandosi di leggi incentivanti a favore della produzione di energia da fonti rinnovabili per un nuovo modello di consumo energetico ed una sostanziale riduzione delle emissioni di CO2. Quando si parla di qualità per i pannelli fotovoltaici cosa si intende? In questo settore, più che in ogni altro, la qualità del prodotto è fondamentale. I moduli fotovoltaici in concreto devono produrre energia, e quindi soldi, per almeno 25 anni. Va da sé che solo moduli di elevata qualità provenienti da produttori qualificati possono garantire queste condizioni ed il “certo” ritorno dell’investimento. Solarday S.P.A. ha pertanto certificato non solo il prodotto secondo gli standard internazionali previsti, ma anche il proprio processo di produzione, a maggiore garanzia e tutela dei nostri clienti. |
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Diebold
150 anni di storia all’insegna della tecnologia L’azienda nata nella metà dell’Ottocento festeggia un anniversario importante e si conferma leader nel mercato degli sportelli ATM. Il vice presidente Danilo Rivalta ci racconta le novità in cantiere a cominciare dal nuovo payoff “Innovation Delivered” a cura della Redazione
Quando alla metà del 1800 Carl Diebold lasciò la Germania alla volta degli Stati Uniti, lo fece con la determinazione di mettere a frutto le proprie competenze di fabbro per costruire alcune delle casseforti più sicure d’America. Oggi, a distanza di 150 anni, Diebold, global leader nel settore dei sistemi integrati e servizi di sicurezza per il self-service finanziario, ha compiuto un lungo percorso, che l’ha vista trasformarsi da piccola realtà in azienda leader mondiale del settore. Il Gruppo può contare su un organico di oltre 17.000 dipendenti in più di 90 Paesi e sede principale a Canton, in Ohio (USA). Il fatturato realizzato da Diebold nel 2008 è stato di 3,17 miliardi di dollari. In Italia il Gruppo è presente con Diebold Italia S.p.A., dal 2000, con un totale di 160 dipendenti e una capillare rete di assistenza tecnica. La storia dell’azienda inizia nel 1859 con l’apertura da parte di Carl Diebold di una piccola azienda di casseforti a Cincinnati, in Ohio. Nel 1872 26
l’azienda si trasferisce a Canton, un’altra cittadina dell’Ohio, dove i più importanti uomini d’affari del luogo si adoperano per consentire la costruzione di un grande stabilimento produttivo. Nei cento anni successivi Diebold registra una crescita incessante della propria offerta di prodotti e soluzioni. Negli anni ‘30, il famigerato rapinatore di banche John Dillinger suggerisce a Diebold di creare un sistema di difesa per le filiali bancarie: un meccanismo capace di rilasciare gas lacrimogeno obbligando i malfattori a fuggire. Nel 1967 l’azienda entra nel mercato delle soluzioni per self-service finanziario, presentando un prototipo del primo sportello Bancomat (Automated Teller Machine, ATM). La prima vendita di questo prodotto avviene nel 1973 negli Stati Uniti, gettando le basi per quelli che sarebbero diventati i moderni sportelli Bancomat venduti in tutto il mondo. Il mercato mondiale di ATM, come afferma Danilo Rivalta, Vice Pre-
sident and General Manager EMEA di Diebold per l’Europa centrale e meridionale, è composto da una base installata di 1,8 milioni di ATM dei quali 1,3 milioni appartengono a istituzioni finanziarie (Banche, Poste, etc.). “Il resto – spiega Rivalta - appartiene ad aziende indipendenti (ISO, independent services organizations) o a retailers, intesi come singoli negozianti. In Italia esistono solo ATM del primo tipo, poiché non esiste una liberalizzazione del servizio di dispensazione di denaro contante. L’attuale base installata è di circa 45 mila ATM (40 mila bancomat, 5 mila postamat). Il mercato mondiale alimenta una domanda annua di circa 200.000 ATM, di cui 2/5 sono assorbiti dai mercati più saturi, quali Europa occidentale e Nord America, dove si riscontra una significativa richiesta di sostituzione di vecchie apparecchiature; tre quinti sono richiesti dall’esigenza di prima bancarizzazione dei mercati emergenti,
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Diebold, global leader nel settore dei sistemi integrati e servizi di sicurezza per il self-service finanziario, ha compiuto un lungo percorso, che l’ha vista trasformarsi da piccola realtà in azienda leader mondiale del settore. Il fatturato realizzato da Diebold nel 2008 è stato di 3,17 miliardi di dollari. In Italia il Gruppo Diebold è presente con Diebold Italia S.p.A., dal 2000, con un totale di 160 dipendenti e una capillare rete di assistenza tecnica 27
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Ritratto azienda Diebold, leader globale nelle soluzioni integrate per il self-service finanziario, per l’anno 2008 ha registrato il successo di vendite più rilevante nell’intera storia della società e l’utile d’esercizio su base non GAAP più elevato in 150 anni di attività, soprattutto nel quarto trimestre. Il fatturato di prodotti e servizi ha raggiunto i 3,17 miliardi di dollari, con un incremento dell’8% rispetto al 2007. Il 2008 è stato il primo anno in cui le vendite hanno superato la soglia dei 3 miliardi di dollari. Rispetto al totale, il fatturato delle soluzioni per il self-service finanziario nel 2008 ha raggiunto i 2.24 miliardi di dollari, con un incremento dell’8% rispetto al 2007, di cui 1.13 miliardi di dollari sono rappresentati da prodotti e 1.11 miliardi di dollari dai Servizi. Se a questo dato si somma anche il fatturato delle soluzioni per la sicurezza, si raggiungono i 3.015 miliardi di dollari. L’utile derivante dall’attività ordinaria è stato di 106,4 milioni di dollari, con un utile per azione di 1,60 dollari, o 2,69 dollari escludendo costi di ristrutturazione e spese straordinarie. Il margine lordo per il 2008 è stato del 25.1%, con un incremento del 2% rispetto all’anno precedente. La liquidità ha raggiunto i 223 milioni di dollari, con un aumento di ben il 109% rispetto al 2007. In un momento in cui molte aziende sono a corto di liquidità, forte è stato infatti l’impegno di Diebold per aumentare la liquidità disponibile in modo da essere in grado di fare fronte alle esigenze future. Il risultato è stato ottenuto grazie a un attento controllo sui costi delle trasferte, unitamente ad altre iniziative per la riduzione delle spese. “Questi risultati – spiega Danilo Rivalta, Vice President and General Manager Europa Centrale e Meridionale di Diebold - sono stati resi possibili dalla nostra capacità di reagire tempestivamente ai cambiamenti del mercato e delle esigenze dei clienti nel corso di un anno contrassegnato da estrema volatilità. Questa capacità di reazione sarà ancora più importante per centrare gli obiettivi stabiliti per il 2009. Inoltre, nel 2008 abbiamo introdotto dei miglioramenti nella supply chain, abbiamo migliorato l’efficienza produttiva e dato vita a piani a sostegno della qualità e della riduzione dei costi. Tutte iniziative che hanno permesso un aumento del margine operativo di 2 punti percentuali”.
in particolare BRIC. In Italia la domanda annua si attesta intorno a 5.000 ATM. I due quindi sono per nuove installazioni e per l’estensione dei servizi di automazione dei depositi; i tre quinti sono per sostituzione di vecchie apparecchiature”. Il futuro degli sportelli ATM sarà segnato da un’inevitabile evoluzione verso ventagli di offerte più ampie. “Con i nuovi sportelli ATM – prosegue Rivalta - è possibile non solo effettuare dei prelievi di contante, ma anche pagare le tasse e versare assegni o denaro. Questa è una realtà a cui stiamo già assistendo e la tendenza che si sta delineando anche per i prossimi anni. L’evoluzione degli sportelli ATM è inevitabile, perché deve far fronte alle mutate esigenze dei clienti, come il prelievo 24 ore su 24 o l’esigenza di poter fare interrogazioni bancarie in qualsiasi momento, nonché all’evoluzione degli utenti a cui le soluzioni sono destinate, come ad esempio giovani, immigrati e i fruitori del Web. Inoltre, Diebold è impegnata per incrementare ulteriormente l’accessibilità degli ATM anche alle persone diversamente abili, come già avviene grazie alle funzionalità per i non vedenti”. Le stesse banche stanno subendo una profonda trasformazione. Trasformazione che in altri Paesi ha già raggiunto livelli significativi e che in Italia sta iniziando in questi anni. La tendenza, infatti, è verso fi liali con Bancomat collocati in sale confortevoli, senza più code allo sportello. “Questo – prosegue Danilo Rivalta - non significa che il personale di banca non sarà più presente in fi liale, ma la figura dell’impiegato allo sportello inevitabilmente cambierà e si specializzerà, acquisendo una nuova professionalità e off rendo consulenza al cliente e nuovi servizi, mentre le attività “di routine” saranno attuabili automaticamente. La nuova fi liale non off re solamente nuove funzionalità, ma anche una maggiore sicurezza grazie al fatto di essere in un locale chiuso, non più esposti ad attacchi durante le operazioni al Bancomat. All’interno della fi liale è inoltre presente personale qualificato per dare supporto ai clienti nelle operazioni al Bancomat. Insomma, una fi liale automatizzata, confortevole, sicura, in grado di garantire 28
un incremento sensibile della soddisfazione del cliente”. Quest’anno Diebold celebra il 150° anniversario dalla fondazione. La ricorrenza sarà anche l’occasione per presentare la nuova strategia di brand e il nuovo pay-off “Innovation Delivered”. “Offriamo tecnologia e servizi innovativi che rendono le aziende più forti grazie a una perfetta combinazione: conoscenza approfondita del cliente, visione ispirata e collaborazione proattiva”: è questa la nuova missione aziendale, che riflette la fi losofia stessa del fondatore di Diebold. Diversi e numerosi i riconoscimenti ricevuti da Diebold in questi anni: nel 2001 è stata scelta come azienda fornitrice delle sofisticate casseforti preposte alla conservazione e alla tutela dei documenti originali della Costituzione americana, della Dichiarazione d’indipendenza e della Carta dei Diritti - note come Charters of Freedom - presso gli Archivi Nazionali di Washington, D.C.. Quest’anno è stata nominata per il terzo anno consecutivo tra le principali società di outsourcing del mondo dalla International Association of Outsourcing Professionals (IAOP). “I servizi di outsourcing proposti da Diebold – conclude Rivalta - off rono le competenze tecniche, gestionali e strategiche necessarie al funzionamento ottimale delle tecnologie e dei processi di base degli operatori del settore finanziario che, grazie a Diebold, possono concentrarsi sul servizio al cliente rafforzando i rapporti, ottimizzando le attività e riducendo i tempi di gestione, facendo leva su un unico punto di contatto. Integrando le più solide piattaforme hardware con i migliori servizi world-class, Diebold si occupa degli aggiornamenti infrastrutturali, delle questioni inerenti la conformità normativa e dell’ottimizzazione delle funzioni, oltre a tutti gli aspetti legati ai servizi di assistenza, ai servizi remoti e alla sicurezza”. | Il segreto degli affari è sapere qualcosa che nessun altro sa Aristotelis Sokratis Onassis www.diebold.com
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La linea di moda ispirata a Giovanni Agnelli, oggi guidata dall’imprenditore bresciano Federico Bani, punta sull’innovazione e su una strategia mirata di valorizzazione del brand. Dal 2007 al 2008 il fatturato è raddoppiato testo di Laura Di Teodoro
Come costruire un marchio di successo: il caso
Johnny Lambs
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Storie di successo
“La distribuzione di Johnny Lambs è concentrata in Italia. Sono aperte delle partnership con Austria, Spagna e Germania. Il nostro obiettivo, almeno per il 2010, è quello di concentrarsi sul territorio nazionale, cercando di radicarci nelle realtà in cui siamo presenti, investendo sul prodotto e selezionando bene la distribuzione. Vogliamo guardare alla qualità pur mantenendo dei prezzi giusti, soprattutto in questo periodo”
Una linea di abbigliamento sportiva ma chic; una moda inventata dai brokers newyorkesi, il cosiddetto “friday wear” e diventata in Italia “l’italian casual friday”, del marchio di moda italiano Johnny Lambs, ideato nel 1978 e ispirato a Giovanni Agnelli (da qui la traduzione in inglese Johnny Lambs). Sembra infatti che l’ Avvocato fosse amico di Giorgio Tocchi, lo stilista che creò questa linea di abbigliamento maschile. Il casual friday rappresenta un ironico vestire casual anche nelle occasioni tradizionalmente formali. Letteralmente è il “casual per il venerdì”. Nel 1980 il marchio approda al total-look uomo e nell’83 inizia la politica franchising, lanciando anche le collezioni donna e bambino. Nel ‘99, ha più di 300 punti vendita nel mondo, di cui 8 negozi monomarca in
Italia e 6 in Corea del Sud. All’inizio del nuovo secolo, il marchio è acquisito dalla Fin.Part. Dal 2002, dopo un momento di flessione, il marchio diventato storico in Italia, è passato a un gruppo di aziende del Nord-Est, guidate dall’imprenditore bresciano Federico Bani, titolare dei negozi di abbigliamento «Carnevali» e «Il Passatempo» A distanza di sette anni i prodotti Johnny Lambs sono presenti il 350 punti vendita in Italia e 250 oltreconfine; l’azienda conta un organico di dieci persone e un fatturato per il 2008 di 5,7 milioni di euro, il doppio rispetto al 2007 (2,7 milioni di euro). Il progetto di rilancio del marchio, iniziato nel 2003, numeri alla mano, sta dando i suoi frutti positivi: “Siamo partiti riposizionando il marchio in alcune regioni
del Centro-Nord testando quella che poteva essere la risposta – spiega Federico Bani. Ci siamo costruiti negli anni e oggi possiamo dire di essere arrivati a confezionare collezioni più complete. La collezione Primavera-Estate 2010 si preannuncia una collezione di svolta grazie a un nuovo ufficio stile: polo colorate, maglieria, camice, giubbetti uomo, pantaloni, sarà quanto presenteremo al prossimo Pitti Uomo”. La strada del rilancio ha portato al rinnovamento della divisone creativa con uno staff interno di designer e alla realizzazione del nuovo centro direzionale dello storico brand italiano, a Brescia. Si tratta di un prestigioso palazzo di vetro di sei piani, immerso nel quartiere propulsore dell’economia di Brescia. Al quarto piano dell’avveniristico edificio si trovano i 550 31
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metri quadri di uffici, rigorosamente inseriti in una cornice fresca e moderna, di cui 100 metri quadri sono stati dedicati allo showroom: sono presenti i colori distintivi dell’azienda, il rosso e il blu, accompagnati dal bianco. “L’ obiettivo – spiega Bani - è donare una nuova caratterizzazione visiva e funzionale agli spazi stessi per legarli fortemente ai contenuti espressivi dell’immagine dell’azienda. Proprio per questo motivo non può certamente mancare quello che per eccellenza è l’elemento caratterizzante del brand, ovvero l’agnello: simpatici e morbidi peluches fanno capolino tra i vari espositori che riprendono le forme del piccolo animale sottolineando ulteriormente quello che è un must nel concept dell’azienda, ovvero l’intento “seriamente ironico” di percepire l’eclettico mondo della moda”.
A distanza di sette anni i prodotti Il target di riferimento di Johnny Lambs resta medio-alto: “L’ obiettivo che ci siamo posti nel nostro percorso è di vestire l’uomo con un total look attento ai dettagli e di prestare un’attenzione particolare alla donna Johnny Lambs che ha mantenuto forti sinergie con il mood della collezione heritage maschile -. Il nostro target va dai 25 anni ai 45, ma sono soprattutto i giovani a farla da padrone”. Il marchio Johnny Lambs, già presente nelle competizioni di alto livello come regate e gare automobilistiche, è sponsor ufficiale nelle gare di golf. In collaborazione con Banca Akros si è pregiato di firmare il calendario delle più prestigiose gare di golf in Italia: Madonie, Barlassina, Olgiata Bari Alto. La distribuzione di Johnny Lambs è concentrata in Italia anche se spiega Bani - “sono aperte delle partnership con Austria, Spagna e Germania. Il nostro obiettivo, almeno per il 2010, è quello di concentrarsi sul territorio nazionale, cercando di radicarci nelle realtà in cui siamo presenti, investendo sul prodotto e selezionando bene la distribuzione. Vogliamo guardare alla qualità pur mantenendo dei prezzi giusti, soprattutto in questo periodo”. L’obiettivo per il 2010, - conclude Bani - è di aumentare la presenza nei punti vendita del 15% circa. | 32
Johnny Lambs sono presenti il 350 punti vendita in Italia e 250 oltreconfine; l’azienda conta un organico di dieci persone e un fatturato 2008 di 5,7 milioni di euro, il doppio rispetto al 2007 (2,7 milioni di euro)
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L’azienda bergamasca che si occupa di arredi su misura è approdata negli angoli più prestigiosi del mondo: dalla Scala ai super Yacht, dalle navi da crociera alle abitazioni di gran lusso. Il segreto: puntare sempre sulla qualità e su progettazioni esclusive. Storia di una falegnameria diventata azienda d’eccellenza e di un passaggio generazionale dal padre fondatore ai figli perfettamente riuscito testo di Desirèe Cividini
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La nuova generazione
di Newsystem
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“Anche quest’anno vogliamo confermare il fatturato del 2008, puntando però ad incrementare la parte produttiva dell’azienda, che ora guarda a nuovi mercati: dai Paesi dell’ex Unione Sovietica agli Emirati Arabi fino al Nord Africa. Inoltre, già da tempo stiamo lavorando per creare delle solide basi per operare in Romania”
Da una piccola falegnameria artigianale ad un’azienda che grazie ai suoi progetti è approdata negli angoli più prestigiosi del mondo: dalla Scala di Milano, sottoposta nel 2004 alla ristrutturazione, a yacht e abitazioni nelle zone più esclusive, dove il lusso è il protagonista indiscusso. Dietro al successo di Newsystem, azienda bergamasca che si occupa della realizzazione di arredi su misura, c’è una formula che è la stessa da ormai oltre trent’anni. Innovazione, qualità ed esclusività sono infatti le parole chiave su cui si basa la fi losofia dell’azienda, fondata nel 1978 da Bernardo Salvatoni. E, seppure oggi il testimone sia passato ai figli Luca, Federica e Monica e ad un quarto socio, Andrea Capelli, rimane invariata la volontà dell’azienda di soddisfare ogni tipo di esigenza del mercato. Proprio come accadeva anni e anni fa, quando nonno Carlo avviò la sua attività di vendita e produzione di mobili su misura, alla quale va il merito di essere riuscita negli anni ad inserirsi in mercati di nicchia: dall’allestimento per le navi da crociera, che nel 1993 è il mercato di riferimento dell’azienda, alla progettazione e realizzazione degli spazi per i super yacht. Insomma un legame quello con il mare che spinge la Newsystem, trasformata lo scorso anno in holding di famiglia, ad approdare sempre a nuovi lidi: dal 1991, infatti, la società bergamasca - che nel tempo ha allargato la propria rete di punti vendita nelle provincie di Bergamo, Brescia e Firenze, con notevoli risultati di penetrazione sul mercato - è affi liata al marchio “Divani & Divani” del gruppo Natuzzi. Poco meno della metà del fatturato della holding, che nel 2008 ha toccato i 14 milioni e 500 mila euro, è legata proprio a questa attività gestita da Monica Salvatoni. Per il resto l’azienda si concentra nella realizzazione di progetti su misura, riservati ad un mercato di nicchia, alla ricerca di soluzioni ricercate ed esclusive. “ Avvalendoci di un team di professionisti che affianca architetti, designer e progettisti – spiega Luca Salvatoni, responsabile dell’ attività produttiva – realizziamo progetti che vanno da abitazioni, yacht e navi da crociera per marchi di prim’ordine, a uffici e hotel di lusso dove viene curato ogni minimo particolare”. Oltre alla ristrutturazione della Scala, dove l’azienda (che nel 2004 ha partecipato come sponsor e fornitore) ha “firmato” la sala gialla e il camerino del maestro Riccardo Muti, la Newsystem, che si avvale anche di un team di tecnici preposti alla ricerca di materiali rari e pregiati, ha anche partecipato al restyling del Bonvecchiati Palace di Venezia, dove nel 2007 ha realizzato le prime venticinque suite. Ma non solo: “Dal 2004 – aggiunge Andrea Capelli, che cura i reparti e le attività di produzione – siamo fornitori e 36
Ritratto azienda
partner dei Cantieri San Lorenzo. I nostri punti di forza stanno sempre nella cura dei dettagli a livello artigianale per garantire un elevato standard di finitura e un servizio di assistenza al cliente prima, durante e soprattutto dopo la consegna dei manufatti e nell’esclusività, che deve essere garantita non solo nel design, ma anche nei materiali”. Sono proprio queste garanzie che hanno permesso alla società di conquistare mercati prestigiosi, dove la crisi sembra non aver fatto sentire i propri effetti: “Anzi – sottolinea l’amministratore delegato Federica Salvatoni – anche quest’anno vogliamo confermare il fatturato del 2008, puntando però ad incrementare la parte produttiva dell’azienda, che ora guarda a nuovi mercati: dai Paesi dell’ex Unione Sovietica agli Emirati Arabi fino al Nord Africa. Inoltre, già da tempo stiamo lavorando per creare delle solide basi per operare in Romania”. E anche per quanto riguarda la messa in cantiere di nuovi progetti l’azienda bergamasca punta in alto: “Per quanto riguarda il settore navale – prosegue l’ad – abbiamo acquisito la prima commessa diretta come fornitori per Fincantieri, uno dei più importanti complessi cantieristici navali d’Europa e del mondo: si tratta di un progetto molto importante, ma d’altra parte questa è da sempre la nostra mission: più ambiziosi sono i progetti che siamo chiamati a realizzare più possibilità abbiamo di dare sfogo alla nostra creatività”. |
L’avventura di Newsystem nasce nel 1976 quando Bernardo Salvatoni apre a Leffe, nella Bergamasca, Arredamenti 2000, un negozio di mobili di serie per dare vita all’attività di vendita e produzione di mobili del papà Carlo. Nel 1980 l’azienda, che nel frattempo ha accostato al negozio una falegnameria per rispondere alle esigenze di personalizzazione dei prodotti, si sposta a Gandino e nel 1985 assume il nome di Newsystem. L’esigenza di adeguare gli spazi alla cresciuta realtà produttiva e all’incremento del business, nel 2004 porta l’azienda a trasferirsi nella sede di Cazzano Sant’Andrea. Qui l’azienda, dove attualmente lavorano circa un’ottantina di persone, continua ad operare nella produzione di arredi su misura per una clientela principalmente di nicchia. La struttura si avvale di consulenze ad alto profilo specialistico: affronta lo studio del progetto dai concept drawings del progettista al disegno costruttivo, trasformando un’idea in realtà. L’ufficio tecnico-commerciale formula ed aggiorna preventivi analitici in base al progetto e alle eventuali varianti richieste. Emette ordini per materiali ed accessori, segue la produzione in officina valutando le necessità di cantiere, di montaggio e ottimizzando l’aspetto economico. Ogni fase di progettazione e produzione viene esaminata in coordinamento con i progettisti. Gli elementi vengono preventivamente assemblati e verificati prima della spedizione e del montaggio definitivo, l’allestimento viene curato sino nelle finiture in loco, realizzate da artigiani specializzati. Strutturata in due settori, produttivo e commerciale, Newsystem è presente in quattro provincie con diversi punti vendita propri per la commercializzazione come affiliato del marchio Divani&Divani di Natuzzi.
“Ciò che fai è importante, il design è parte integrante dell’azienda, il prodotto deve essere onesto, tu stesso devi decidere cosa vuoi fare, per il buon design c’è sempre mercato”. George Nelson www.newsystem.it
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DilĂ apre la porta del
successo
Uno dei marchi piÚ prestigiosi nella realizzazione di porte che ha contribuito a diffondere il Made in Italy in tutto il mondo. Il fondatore Mario Barzaghi spiega le principali strategie dell’azienda brianzola che punta sul design per restare sempre al passo con i tempi testo di Laura Di Teodoro
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Storie di successo
Unire la qualità dell’artigianato, quel marchio Made in italy sinonimo di garanzia e qualità, a innovazione e rispetto ambientale, senza dimenticare la ricerca e lo sviluppo e l’attenzione ai nuovi mercati. Con questo spirito Dilà, marchio di Effebiquattro, azienda brianzola nata come falegnameria, è cresciuta diventando oggi il primo produttore di porte in Italia e uno dei marchi che hanno contribuito a diffondere il Made in Italy in tutto il mondo. Dilà nasce come marchio nel 2000. Come spiega lo stesso fondatore, Mario Barzaghi, la parola d’ordine resta da sempre “la qualità”, come fi lo conduttore, come leva di sviluppo e come punto di partenza per ciascun progetto. “L’azienda Effebiquattro è nata nel 1975 come semplice falegnameria – spiega il Cavalier Barzaghi – e ha saputo crescere trovando un equilibrio autentico fra artigianato e industria, fra esperienza e progetto, fra natura e tecnologia, fra gusto italiano e international style”. Uno dei principali punti di forza è il fattore innovazione: “L’innovazione – prosegue il fondatore e amministratore delegato dell’azienda – è l’innovazione naturale soprattutto in un set-
tore come il nostro che coinvolge architettura e design. Siamo sempre molto attenti alle fiere, vedi il Salone del Mobile, dove si trovano le ultime novità in tema di finiture, design e prodotti. I nostri infatti sono veri e propri oggetti di design (ad oggi circa 500 modelli di porte tecnologicamente avanzate) che si prestano a essere personalizzati in ogni ambiente ad uso e gusto esclusivo dell’utente finale”. Ogni anno vengono prodotte nell’unica sede di Seregno più di 250 mila esemplari che il marchio Dilà contrassegna come “porte che sono una storia”, una storia di qualità e passione. “Il nostro target di riferimento – prosegue Barzaghi – è medio alto proprio perchè parliamo di prodotti di qualità”. Tra le particolarità dell’azienda anche l’attenzione ai temi ecologici e al risparmio energetico: “La nostra azienda è al cento per cento ecologica. Le vernici che utilizziamo sono completamente ecologiche e le fonoassorbenze di molti modelli permettono di ridure l’inquinamento acustico. È stato inoltre costruito da poco il nuovo impianto di produzione della sede di Seregno, prima linea in Italia a utilizzare tutti i passaggi all’acqua, con conseguen39
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Ogni anno vengono prodotte nell’unica sede di Seregno più di 250mila esemplari che il marchio Dilà contrassegna come “porte che sono una storia”, una storia di qualità e passione. Tra le particolarità dell’azienda anche l’attenzione ai temi ecologici e al risparmio energetico
Ritratto azienda
te impatto ambientale nullo”. All’interno dell’azienda un ampio spazio è dedicato alla ricerca dove lavorano tecnici e progettisti a tempo pieno. Tra le centinaia di brevetti depositati da Effebiquattro, una nota di rilievo meritano il telaio telescopico integrale TECO che unisce la praticità di montaggio alla pulizia delle forme e alla sicurezza e il sistema adottato per le porte pieghevoli ocn quattro diversi tipi di apertura tramieta piega delle ante. “Le porte Dilà si trovano in 300 rivenditori autorizzati in tutta Italia – spiega Mario Barzaghi -. Sul fronte estero, esportiamo circa il 30% della produzione soprattutto negli Stati Uniti (Miami, Chicago, Las Vegas), in Russia, in Grecia, in Svizzera e in Turchia”. Nel 2006 è stato aperto uno showroom Dilà a Mosca. Lo spazio espositivo si chiama Italon Duet e si trova in Leninskii prospekt, zona centrale della capitale nota per la concentrazione degli showroom dedicati all’arredamento di alto livello. Lo showroom conta circa 500 metri quadrati disposti su due livelli. All’interno sono esposti circa 150 modelli diversi di porte Dilà, prodotti per tutti i gusti e per tutte le tasche. Investire e guardare verso mercati nuovi restano due percorsi che l’azienda continua a percorrere, sopratutto in un momento di crisi globale quale quello che si sta attraversando: “Molti mercati stanno soff rendo, dall’America alla Russia – conclude Barzaghi. Per questo motivo noi stiamo cercando di trovare nuovi mercati che sapranno alzarsi subito dopo la crisi e manifesteranno esigenze reali”. | 40
Dilà è il marchio di Effebiquattro che riflette la trentennale esperienza dell’azienda e la sua passione per il legno in oltre 500 modelli di porte tecnologicamente avanzate e dal design moderno ed elegante. L’azienda conta un organico di 90 persone un fatturato di 26 milioni di euro. Le porte Dilà sono prodotte con materie prime rigorosamente selezionate e certificate dal marchio di qualità “Vero Legno”. Oggetti di design che si prestano a essere personalizzati in ogni ambiente ad uso e gusto esclusivo dell’utente finale. L’azienda Effebiquattro nasce nel 1975 a Seregno, cuore del distretto del mobile di design che ha contribuito a fare grande il Made in Italy in tutto il mondo. Ogni anno vengono prodotte oltre 250.000 porte, con un impianto che copre un’area di oltre 50.000 mq, dotato delle più recenti tecnologie di produzione e di smaltimento dei residui di lavorazione del legno, nel pieno rispetto delle norme per la tutela dell’ambiente. La particolare attenzione prestata negli anni allo sviluppo e all’ingegnerizzazione dei flussi produttivi ha consentito di raggiungere un’eccellente uniformità qualitativa sull’intera gamma prodotta, permettendo ad Effebiquattro non solo di ottenere le più significative certificazioni a livello mondiale, ma soprattutto di imporre al settore il proprio stile che coniuga design e qualità, mantenendo i massimi livelli di sicurezza. Tra le eccellenze dell’azienda, di rilievo è la fornitura delle porte Dilà per tutti gli accessi, dei palchi e del nuovo corpo del rinnovato Teatro alla Scala. È stato proprio l’architetto Mario Botta, incaricato del progetto del rinnovo del teatro milanese, a rivolgersi alla professionalità di Effebiquattro. L’azienda ha fornito inoltre 2.800 porte per il complesso residenziale Continium di Miami. Situato nella zona più esclusiva di Miami questo edificio è il fiore all’occhiello dei numerosi contract realizzati dall’azienda in America.
Se sei in viaggio, non preoccuparti della distanza, ma della meta... se ti siedi a un banchetto, non guardare alla quantità, ma alla qualità dei piatti che ti vengono serviti. Proverbio cinese www.effebiquattro.it
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Business&Gentlemen
maggio - giugno 2009
I meccanismi dell’Azienda Il direttore di Italia 1, Luca Tiraboschi ci mostra il mondo della televisione visto dall’interno. Per scoprire come funziona un canale tv: dal business alle strategie, dal target alle politiche del palinsesto testi di Mauro Milesi foto di Mattero Mottari
Per chi la guarda dal divano sembra tutto molto semplice. Telecomando alla mano basta scegliere un canale e dentro a quel canale il programma che vogliamo. Gesti quotidiani, meccanismi scontati: eppure dall’altra parte dello specchio c’è un mondo complesso, fatto di strategie, di scelte precise, di budget da rispettare e di coordinamento. Come funziona un canale televisivo? Ha gli stessi schemi di un’azienda normale? Anche la tv ha risentito della crisi? A queste ed altre domande ha risposto Luca Tiraboschi, direttore di Italia 1, che ci ha aperto le porte di una realtà come Mediaset per scoprire, tra fascino e routine, cosa c’è dentro la scatola della tv e come si struttura questo tipo di business. Cosa vuol dire fare il direttore di un canale tv? Questa è una domanda che mi fanno in molti perché da fuori è difficile capire cosa significhi davvero fare il direttore di una rete televisiva. Se dovessi fare un paragone calcistico, anche se è uno sport che non amo, direi che è un ruolo simile a quello del commissario tecnico della Nazionale. Bisogna avere conoscenze ed esperienze specifiche del proprio campo, sfruttare al meglio le risorse disponibili, essere buoni amministratori, avere capacità creative, dimostrare una certa quota di autorevolezza, ma anche essere buoni diplomatici. Questa è la mia visione, un ruolo che presuppone una miscela ampia di ingredienti. Basta tenere conto che un direttore di rete ha anche la responsabilità penale di ciò che va in onda, come il direttore di un giornale e questo aspetto ci porta a esercitare un controllo editoriale attento. Anche l’aspetto creativo delle produzioni deve naturalmente sottostare a questa responsabilità. Insomma un mestiere per il quale non c’è il libretto delle istruzioni: è una somma di caratteristiche che bisogna essere capaci di mettere in gioco, senza trascurare l’istinto. 42
Tv
Dietro le quinte
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Business&Gentlemen
maggio - giugno 2009
“Senza fare proclami, senza una chiassosa rivoluzione, ho cercato giorno dopo giorno di rompere questo steccato per mettere a punto una nuova concezione di pubblico giovane. Oggi la nostra è una visione molto più allargata, non potevamo stare chiusi in una scatola. E’ una questione sociale, perché il pubblico ha voglia di sentirsi giovane indipendentemente dalla carta d’identità. Noi abbiamo cercato di dare una certa coerenza nel corso di tutte le 24 ore di trasmissione quotidiana, una sorta di fil rouge che definisse un’ identità di rete”
Proviamo a confrontare un’azienda tradizionale con un canale tv: quali sono le principali voci per ricavi e spese? Un canale televisivo commerciale come nel caso di Mediaset è estremamente strutturato. Italia 1 ha circa un centinaio di dipendenti con una attività produttiva interna 24 ore su 24, ovviamente con “prodotti” che sono più teorici che materici, ma che si comportano e si sviluppano proprio come una categoria merceologica. Gli introiti principali derivano dalla pubblicità, visto che per l’utente finale è tutto gratuito. Le maggiori uscite riguardano la costruzione del palinsesto che è composto da varie aree. Particolarmente onerosi sono i costi per l’acquisizione dei diritti sportivi come nel caso del motomondiale, del tennis, del calcio. Anche realizzare programmi come 44
“La talpa” o “La pupa e il secchione” hanno costi di alta gamma. Eppure noi off riamo tutto questo gratuitamente. E’ possibile paragonare un canale tv a un prodotto? Direi che un canale tv è come una griffe di moda. Tutte le varie collezioni sono accomunate dal modo d’operare dello stilista. Quando si compra una marca si compra uno stile, qualcosa di cui conosciamo le caratteristiche distintive. Così è un canale: chi sceglie Italia 1 sa perfettamente cosa andrà a guardare perché il canale ha una sua caratterizzazione specifica. Qual è il vostro pubblico di riferimento? Il nostro pubblico di riferimento è, dal punto di vista formale, quello dei cosid-
detti giovani e va dai 4 ai 35 anni. Nella mia gestione ho cercato di forzare questo schema allargando il range in modo da poter abbracciare un pubblico più vasto ma che avesse attitudini giovanili, cercando di non far sentire fuori quota chi avesse un’età maggiore ma fosse interessato ai nostri contenuti. Senza fare proclami, senza una chiassosa rivoluzione, ho cercato giorno dopo giorno di rompere questo steccato per mettere a punto una nuova concezione di pubblico giovane. Oggi la nostra è una visione molto più allargata, non potevamo stare chiusi in una scatola. E’ una questione sociale perché il pubblico ha voglia di sentirsi giovane indipendentemente dalla carta d’identità. Noi abbiamo cercato di dare una certa coerenza nel corso di tutte le 24 ore di trasmissione quotidiana, una
Dietro le quinte sorta di fi l rouge che definisse una identità di rete. Questa è una cosa difficile da costruire e soprattutto difficile da mantenere. Il pubblico è infedele, si fa affascinare dalle novità, dalle possibilità che si trova attorno. Quando può scegliere è difficile da conquistare e trattenere a lungo. Noi cerchiamo di farlo, con i piedi per terra, ma con tante piccole e grandi novità che possano affascinare i nostri telespettatori. Qual è il rapporto di Italia 1 rispetto agli altri canali Mediaset? Mediaset da qualche anno opera un gioco di squadra molto orchestrato. Organizziamo periodicamente incontri anche lunghi e ruvidi, ma costruttivi, per dar vita in modo armonico ai palinsesti per evitare la concorrenza tra noi. Alla fine cerchiamo di mettere a fuoco un’idea condivisa e coordinata che è molto importante. Una strategia che tenta di presentare il complesso di reti Mediaset come una risposta organica alle aspettative del pubblico. Così i canali sono obbligati a rispettare delle caratteristiche definite, anche se ci sono delle eccezioni e a volte i prodotti di Italia 1 finiscono per irrobustire la programmazione di altri canali. Insomma cerchiamo di darci dei confini precisi perché la galassia Mediaset è diversa dalla galassia Rai dove questa suddivisione non c’è. Questo approccio è qualcosa di molto interessante nel nostro lavoro, perché genera confronto, presuppone coordinamento e una certa visione. Molto più facile fare il direttore di un canale a sé stante che farlo all’interno di un gruppo di reti, però è molto stimolante. Come si vive questo periodo di crisi nella prospettiva di un canale tv? Anche noi abbiamo risentito ovviamente della crisi. C’è un calo degli investimenti pubblicitari non tanto quantitativo, quanto ponderale riguardo i nuovi inserzionisti. Questo si riverbera su un’attività meno florida del palinsesto: il taglio dei costi è d’obbligo anche perché dobbiamo stare attenti a conservare il dividendo degli azionisti. Però la crisi ha anche un suo lato positivo, è utile per aguzzare l’ingegno, è una spinta per dar vita a cose nuove e belle con costi ridotti. Il digitale terreste, cosa rappresenta per il pubblico questa rivoluzione in corso? E’ un cambiamento tecnologico, che si innesta obbligatoriamente per legge nel tessuto della nostra nazione da sempre un po’ refrattaria a questi cambiamenti. Ma questa è una scommessa di qualità e quando arriverà su tutto il territorio darà vita a uno scenario di maggiore concorrenza, di maggiore offerta: compariranno dal nulla canali che ora sono visibili solo per chi li ha voluti. Quando tutto il sistema sarà operativo al 100 per cento dovremo studiare e analizzare la reazione. All’inizio ci sarà un po’ di confusione, poi prevarrà il prodotto. Noi siamo pronti a costruire qualcosa di nuovo e divertente. Con quale attenzione la tv generalista guarda a Sky? Il futuro sarà sempre di più on demand e pay per view? Il pacchetto Sky è l’esatto esempio di offerta che può piacere al pubblico di Italia 1. Un servizio che gode di una buona copertura stampa, che a volte lo rappresenta meglio di quanto lo sia davvero. Sky è una somma di canali e complessivamente raggiunge
un 7 percento di pubblico, ma se noi andiamo ad analizzare ogni singolo canale ci accorgiamo che i più visti viaggiano intorno allo 0,3 percento. Non è corretto paragonare Sky che è un contenitore di 100 piccole cose con un singolo canale come Italia 1 che da solo guadagna l’11 per cento di pubblico. Questo concetto non è stato ancora ben capito, di fatto non sono realtà paragonabili. Tv e internet: quali sfide possibili? Non amo molto internet, sono scettico, ritengo il web più un pericolo che un’opportunità. Certo ha delle potenzialità enormi ed è un meccanismo fantastico, però è poco controllabile, anche per l’utente che lo usa. Questo ragionamento vale soprattutto per i ragazzi e spesso i genitori non hanno strumenti sufficienti per operare un controllo. La televisione che si muove sul quel tipo di strumenti è molto lontana anche se ne sentiamo parlare molto: ci sono tante opinioni, ma si fa poco concretamente. Può darsi che mi sbagli, ma non vedo un grande sviluppo della televisione su internet. Auditel, vita o morte di un programma, è l’unico fattore discriminante? Ma qual è la sua attendibilità? Per una televisione commerciale che deve garantire visibilità ai suoi inserzionisti, questo è di fatto l’unico strumento di valutazione finale. Se un programma non ha pubblico, per noi è difficile non stopparlo. Bisogna mettere da parte l’ipocrisia e guardare in faccia le cose come stanno. Sull’attendibilità dell’Auditel, noi ovviamente ci crediamo, ci fidiamo: è uno strumento di lavoro con cui ci misuriamo tutti i giorni. 45
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Il digitale è una scommessa di qualità e quando arriverà su tutto il territorio darà vita a uno scenario di maggiore concorrenza, di maggiore offerta. Quando tutto il sistema sarà operativo al 100 percento dovremo studiare e analizzare la reazione. All’inizio ci sarà un po’ di confusione, poi prevarrà il prodotto
Lei è un bergamasco doc, quanto c’è di questa dimensione nel suo approccio al lavoro, nelle scelte che fa... Rispetto allo stereotipo del bergamasco io mi ci rivedo completamente. Quello che mi duole è constatare è il decadimento della città. Spiace vedere una perla come Bergamo progressivamente abbandonata a se stessa. Non è una metropoli, è una città piccola e dovrebbe essere facile da gestire. Dopo aver vissuto 10 anni a Milano ho deciso di tornare a Bergamo convinto di ritrovare uno spazio a misura d’uomo com’era in passato. Invece mi sono dovuto scontrare con una realtà in decadimento.
La carriera Luca Tiraboschi nasce a Bergamo il 22 luglio 1963. E’ laureato in Architettura con una tesi dedicata a “Dario Argento. L’estetica dell’assassino. Il ruolo dello spazio nel disegno cinematografico della Paura”. Nel 1991 è stato assunto a R.T.I. nell’area produzioni televisive. Passa successivamente a Canale 5 come delegato di rete. In seguito assume l’incarico di produttore e curatore firmando numerosi programmi di successo quali “Buona Domenica”, “Festivalbar”, “Beato tra le donne”, “Ciao Darwin”, “Premiata Teleditta”. Nell’aprile 2001 viene nominato Vice Direttore di Canale 5. Dal maggio 2002 è Direttore di Italia 1. Luca Tiraboschi è anche fumettista e romanziere. Per la sua vena fumettista ha creato il personaggio “Goccianera” (tradotto in molti paesi europei) e per il mercato americano nel 2006 esce con un nuovo eroe dal nome “Albert”. Mentre come scrittore nel 1998 pubblica il suo primo romanzo “L’Ospedale delle bambole”, un thriller mozzafiato incentrato sulle manie di un serial killer, che ha venduto oltre 5.000 copie e che sta per essere tradotto in molti paesi europei. Nel febbraio 2002 esce il suo secondo romanzo “Il sogno del pazzo” (Alfredo Guida Editore) e il suo terzo romanzo “Faccia di cuore” edito da Armando Curcio Editore, in distribuzione dal maggio 2006 è alla sua terza ristampa. 46
Parliamo del Tiraboschi scrittore. Tre libri di successo all’attivo: ci sono novità in programma? Quello della scrittura è quasi un secondo lavoro. Realizzare romanzi è faticoso e complicato, sempre difficile trovare lo slancio iniziale. Ora sto lavorando a una nuova idea, legata alla fantascienza: c’è già lo schema e spero di trovare la forza di avviare il meccanismo che poi mette in moto tutto per gettarmi a capofitto in questo progetto. |
Il diletto è sempre il fine di tutte le cose, l’utile non è che il mezzo. Quindi il piacevole è vicinissimo al fine delle cose umane, o quasi stesso con lui. Giacomo Leopardi
www.italia1.com www.auditel.it
Italian leadership
LÊinnovazione Fassi scende in campo con i campioni Fornitore Ufficiale A.C. Milan
Fornitore Ufficiale F.C. Internazionale
Fornitore Ufficiale Genoa C.F.C.
Il club più titolato al mondo
Campione d’Italia 2007/2008
Il primo club d’Italia: 1893
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Alessandra Brambilla, general manager Personal Systems Group di Hp in Italia
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Lady economy
I punti cardine dello
stile HP Ampia gamma di offerte, ampia copertura di mercato, scelte innovative e affidabilità: Alessandra Brambilla, general manager Personal Systems Group di Hp in Italia spiega le strategie che guidano il colosso dell’informatica. Senza tralasciare gli investimenti nella ricerca testo di Laura Di Teodoro
È entrata nel mondo di Hewlett Packard nel 1992. A distanza di 17 anni Alessandra Brambilla, General Manager Personal Systems Group di HP Italiana, ha mantenuto alta la passione e l’entusiasmo per il mondo della tecnologia e dell’informatica. E di fronte alla crisi dei mercati Alessandra Brambilla intravede opportunità e sfide che “l’Italia e le imprese non possono farsi scappare”. La società Sirmi ha assegnato anche nel 2008 la palma di leader del mercato italiano dei PC, sia notebook che desktop, ad HP. Cosa continua a premiarvi? Penso siano quattro i punti e gli approcci che ci hanno permesso di crescere e diventare la realtà IT più importante e grande a livello mondiale. Il primo è sicuramente la scelta che HP ha fatto nel voler tenere e costruire un’ampia gamma di offerte, cercando di rispondere alle varie esigenze della clientela. Il secondo punto è la copertura dei nostri prodotti, dalla piccola e media impresa fino alla grande distribuzione. Il terzo fattore è l’innovazione sui cui da sempre investiamo senza dimenticare la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico. L’ultimo gradino è l’affidabilità dei nostri prodotti, riconosciuta dallo stesso consumatore.
Il mercato dei Pc ha registrato una crescita del 6 per cento rispetto al 2007, con un incremento che ha riguardato soprattutto i netbook. Netbook che HP ha inserito anche nel business.....Come mai? Il netbook rappresenta il nuovo segmento di mercato soprattutto per chi è interessato da una forte mobilità e quindi cerca la connessione web ovunque si trovi. Non parliamo solo del segmento business, dei professionisti che necessitano di qualcosa di comfortable, ma anche dei giovani, degli studenti che hanno bisogno di comunicare. Per questo motivo abbiamo deciso di ampliare la nostra gamma di prodotti: al netbook 2133 seguirà il 2140, un prodotto in alluminio, solido. L’obiettivo di HP è quello di convincere chi vorrebbe dotarsi di un netbook a scegliere in49
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Complessivamente, HP investe circa 3,5 miliardi di dollari in attività di ricerca e sviluppo e realizza fino a 2 mila brevetti. Investe in tecnologie emergenti, quali la nanoelettronica, in soluzioni innovative per la qualità delle immagini e della stampa, nonché in prodotti e servizi che consentano alle imprese di automatizzare maggiormente le funzionalità IT
vece un vero e proprio ultraportatile con caratteristiche superiori, ideale per chi ha bisogno di un dispositivo estremamente compatto e maneggevole ma pretende comunque una configurazione capace di garantire buone prestazioni per un utilizzo molto versatile. Come e quanto la tecnologia può aiutare le imprese a superare la crisi? Penso che la crisi giocherà un ruolo importante soprattutto in Italia dove il tasso di penetrazione dell’IT è ancora basso, rispetto ad altri Paesi. Questa è un’occasione per fare investimenti strategici e tornare così ad essere competitivi sul mercato, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese. Per le grandi imprese invece sappiamo bene che l’IT è sempre stato un investimento importante. I ritardi sul fronte degli investimenti in questo settore riguardano sia le imprese che i consumatori, pensiamo che solo il 49% delle famiglie in Italia ha un PC. Non siamo un Paese così tecnologicamente alfabetizzato come il Nord Europa. Nonostante ciò esiste comunque una buona percentuale di persone educate e molto sofisticate nella scelta del proprio computer e della tecnologia da utilizzare e sono molte le aziende che hanno portato il web 2.0 all’interno della propria attività. Quali sono le particolarità dei vostri prodotti nell’ambito business? Quale il vostro target di riferimento e quali le diversità con gli altri marchi? Hp è un’azienda con un’ampia gamma di prodotti, dalla stampante ai servizi, fino ad arrivare ai personal computer e la relativa offerta differenziata. Per il settore della mobility stanno raccogliendo molti consen50
si i mininotebook, ottimi sul fronte del design, della connettività, della sicurezza del prodotto e pensati per durare nel tempo. Per quanto riguarda il target siamo un vendor che vuole essere leader a tutto campo, dal consumer all’enterprise passando per le Pmi. Abbiamo comunque una particolare focalizzazione sulla fascia medio-alta del mercato desktop e notebook, fascia nella quale, a nostro giudizio, si gioca la vera partita in termini di innovazione, qualità e valore. Quanto contano sviluppo e ricerca all’interno della realtà di Hewlett-Packard? Hp è una delle poche aziende di settore che continuano ad investire ingenti risorse nelle attività di ricerca e sviluppo. Complessivamente, HP investe circa 3,5 miliardi di dollari in attività di ricerca e sviluppo e realizza fino a 2mila brevetti. Investiamo in tecnologie emergenti, quali la nanoelettronica, in soluzioni innovative per la qualità delle immagini e della stampa, nonché in prodotti e servizi che consentano alle imprese di automatizzare maggiormente le funzionalità IT, al fine di ottenere più elevati livelli di efficienza, una maggiore flessibilità e un miglior ritorno sugli investimenti IT. Quali sono i principali benefici che le soluzioni Mobile e Wireless portano alle aziende? La mobilità è un beneficio per la produttività e permette di accedere ovunque e sempre. Permette di accedere con il Pc alle informazioni che servono e lavorare anche in viaggio, in mobilità rendendo il lavoro più flessibile. E questo può e deve essere un vantaggio soprattutto per il mondo femminile, vedi le mamme che hanno spesso problemi di tempo.
Lady economy
Carriera in sintesi
Sono ottimista perchè l’Italia può solo crescere sul fronte della tecnologia informatica. Spero che le aziende possano vedere chiara e netta questa
In qualità di Vice President e General Manager di HP Personal Systems Group, Alessandra Brambilla ha il compito di gestire il business e le attività di vendita dei prodotti e delle soluzioni HP per la mobility e il personal computing, presidiando tutti i segmenti di mercato e i diversi canali commerciali. All’interno della sua organizzazione risiede la responsabilità di coordinare le attività di vendita indiretta per l’intera offerta professionale di HP, gestire il canale e i rapporti con i partner. Alessandra Brambilla ha alle spalle una lunga carriera in HP, dove è entrata nel 1992 occupando varie posizioni in Italia e in EMEA nelle vendite, nel marketing e nel business development. Dal 1997 ha ricoperto con successo diversi ruoli manageriali a livello EMEA, occupandosi tra l’altro dell’implementazione europea di TopValue e di altri programmi di supply chain. E’ stata promossa Commercial Business Development Manager EMEA per server e client, passando poi al ruolo di SMB Marketing Manager EMEA e successivamente Direttore Sales & Marketing SMB EMEA. All’inizio del 2003 è stata nominata Direttore Sales & Services Partners EMEA e nel novembre dello stesso anno è rientrata in Italia in qualità di Direttore Commercial Channel & SMB di HP Italiana. Infine, ha assunto la carica di Direttore Solution Partners Organization, gestendo la vendita indiretta per tutta l’offerta di prodotti e servizi HP, nonché lo sviluppo del canale e la gestione dei rapporti con i partner. Alessandra Brambilla è nata a Bergamo nel 1967 ed è laureata in Ingegneria presso il Politecnico di Milano.
opportunità per migliorare e mi aspetto maggiori investimenti da parte delle imprese e dei consumer Come vede il futuro del mercato dei PC? È difficile fare previsioni. Sicuramente il primo semestre del 2009 si appresta a chiudere con forti rallentamenti. Oggi i risultati sono focalizzati nel mondo consumer e della mobilità. La ripresa potrebbe già registrarsi a partire da settembre. Sono ottimista perchè l’Italia può solo crescere sul fronte della tecnologia informatica. Spero che le aziende possano vedere chiara e netta questa opportunità per migliorare e mi aspetto maggiori investimenti da parte delle imprese e dei consumer. Grazie ai social network si assiste ad un avvicinamento verso il mondo del Pc che sta diventando a tutti gli effetti un oggetto di casa. Nei Paesi del Nord si contano addirittura 5 PC per abitazione, ciascuno ha un computer che diventa una sorta di estensione della propria vita.
Lei lavora in HP dal 1992. In cosa è maggiormente cambiata l’azienda in questi anni? Il mercato a cui HP si rivolgeva a inizio degli anni Novanta era sicuramente diverso. Era un mercato acerbo. A partire da quegli anni gli scenari sono cambiati e l’azienda ha portato a termine due importanti, Compaq e Eds, diventando così l’impresa IT più grande al mondo. Ogni giorno HP ha domande per un milione di prodotti in 170 Paesi. Sono cifre notevoli che ci hanno portato ad alzare l’attenzione sul fronte della logistica e del trasporto. Cosa sente di aver portato come valore aggiunto all’interno della realtà di HP? L’apertura verso nuove sfide e la capacità di vedere il cambiamento come un’oppor-
tunità. Ho introdotto l’innovazione come passione e non come un lavoro. Cosa l’appassiona maggiormente nel suo lavoro? Il settore stesso lo ritengo molto stimolante. Siamo attraversando una fase importante, cruciale, di veloce evoluzione dei mercati. È interessante lavorare qui perché le opportunità che la tecnologia porta con sé devono essere viste come occasione per rendere il mondo migliore. Mi ritengo fortunata perché lavoro in un bellissimo team e il successo è sicuramente il risultato di questo spirito di gruppo. | C’è vero progresso solo quando la tecnologia diventa per tutti. Henry Ford
www.hp.com
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maggio - giugno 2009
Da vent’anni in Italia
rivoluzione
la quotidiana targata IKEA
Il colosso svedese conosciuto in tutto il mondo è presente nel territorio nazionale dal 1989. Il business non riguarda solo le vendite consumer, ma anche la produzione: l’Italia è passata al terzo posto tra i fornitori del celebre marchio. L’amministratore delegato Roberto Monti ci disegna lo scenario in cui opera IKEA nel nostro Paese testo di Laura Di Teodoro
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Qualità a prezzi bassi, un binario su cui Ikea viaggia da circa cinquant’anni nel mondo e da venti in italia. L’azienda svedese, nata nel 1943 come semplice ditta di vendita per corrispondenza, è diventata oggi un’idea di arredamento e un nuovo modo di concepire e arredare la casa, nel rispetto dell’ambiente e a costi ridotti. Merito del successo del gruppo, oggi presente in Scandinavia, Svizzera, Europa, America e Asia con 300 negozi, come spiega l’amministratore delegato Ikea per l’Italia, Roberto Monti, va alla volontà di “creare una vita quotidiana migliore per la maggioranza delle persone”, alla base di ogni strategia commerciale.
di qualunque budget. La crescita di IKEA in Italia non si è realizzata solo sul mercato della distribuzione, ma anche, e soprattutto, nella produzione. L’Italia, infatti, è passata dal 7° al 3° posto tra i Paesi del mondo fornitori del gruppo IKEA. Mentre le vendite nei negozi fanno dell’Italia il 6° mercato al mondo, gli acquisti guadagnano il 3° posto. Ciò significa che IKEA acquista in Italia più di quanto vende. Questa crescita è legata innanzitutto alla capacità di industrializzazione dei nostri fornitori italiani che hanno saputo crescere nei volumi di produzione e sostenere le innovazioni nell’utilizzo dei materiali.
Lei lavora nella realtà IKEA dal 1990, prima in Svezia e adesso come amministratore delegato in Italia. Come descriverebbe la crescita e lo sviluppo di IKEA in questi vent’anni? IKEA festeggia nel 2009 i suoi vent’anni in Italia. Il concetto di arredamento e di retail di IKEA ha certamente influenzato la mentalità degli italiani nel concepire e vivere la propria casa: permettersi una casa funzionale e di buon design a portata
Come nasce IKEA? IKEA è l’acronimo delle iniziali del suo fondatore Ingvar Kamprad e di Elmtaryd e Agunnaryd, la fattoria e il villaggio svedese di nascita. IKEA nasce nel 1943 come ditta di vendita per corrispondenza di tanti piccoli articoli di uso quotidiano: penne, fiammiferi, orologi e persino bustine di semi e decorazioni natalizie. Poi l’assortimento si amplia e nel 1950 i mobili entrano a farne parte.
Grandi aziende
Business&Gentlemen
maggio - giugno 2009
Nello stesso anno Ingvar Kamprad realizza una pubblicazione dove, in 16 pagine, illustra il suo assortimento: è nato il primo catalogo IKEA. Nel 1953 la sede dell’azienda viene trasferita a Älmhult, un piccolo centro nel sud della Svezia, dove nel 1958 Ingvar Kamprad apre il suo primo negozio. E’ l’inizio di una fortunatissima attività, in cui IKEA si specializza gradualmente in mobili e complementi d’arredo sviluppando un proprio assortimento esclusivo. A partire dagli anni ’60, IKEA conosce un’espansione quasi senza limiti: dalla Scandinavia alla Svizzera, dall’Europa all’America, all’Asia. Quanti punti vendita conta oggi? Quanto l’organico, in Italia e nel mondo? Oggi sono oltre 300 i negozi IKEA in tutto il mondo, di cui 14 in Italia. I collaboratori IKEA nel mondo sono circa 127.000, mentre i collaboratori di IKEA in Italia sono circa 6.400, impiegati oltre che nella funzione Retail che si occupa della gestione dei punti vendita, anche nelle funzioni di Property (gestione immobiliare), Trading (acquisti da fornitori italiani) e Distribution (stoccaggio e distribuzione dei prodotti IKEA). Il risparmio, il low cost, è uno dei punti 54
forti di IKEA. Come è possibile coniugare il risparmio con la qualità? Il nostro assortimento è progettato da designer che lavorano per IKEA. Di un nuovo prodotto IKEA si stabilisce innanzitutto il prezzo; questo è il principio base per tutti i designer, che devono tener conto non solo della funzione e dell’estetica di un prodotto, ma anche del suo impatto ambientale e della possibilità di smontarlo e imballarlo in pacchi piatti: così anche i clienti saranno coinvolti nella realizzazione del prodotto, provvedendo a trasportarlo a casa ed a montarlo da soli, risparmiando sui costi e, quindi, sul prezzo d’acquisto. Ogni nuovo progetto è vagliato in base a criteri quali la quantità di materiali usati, l’impatto ambientale, le possibilità produttive e distributive; è quindi affidato a ditte esterne e in alcuni casi interne al gruppo, per la produzione. Il fornitore che produce per IKEA è quello che assicura il miglior livello qualitativo possibile al prezzo più conveniente. L’idea centrale è quella della qualità funzionale o della qualità giusta dove serve: il trattamento del piano di lavoro in cucina è costoso, perché deve resistere ad un uso intensivo. Al contrario, un trattamento altrettanto costoso sul ripiano di una libreria sarebbe un inutile spreco
per l’azienda e per il cliente. Inoltre, attraverso l’acquisto di grandi quantitativi di merce, IKEA riesce ad ottenere un’ulteriore riduzione del prezzo, senza per questo sacrificare la qualità dei prodotti. Per garantire un alto livello qualitativo, gli articoli IKEA sono inoltre sottoposti a diversi test: dalla simulazione dell’uso continuo e prolungato del prodotto in relazione alla sua funzione, alla resistenza a sostanze diverse (vino, colle, agenti chimici) e agli incidenti (tagli, bruciature, etc.), all’applicazione delle regole più restrittive per il contenuto di sostanze chimiche. I criteri di qualità stabiliti da IKEA sono severi e test rigorosi sono periodicamente ripetuti su alcuni esemplari di ogni tipo di prodotto, per assicurarsi della continuità del livello qualitativo. Qual è il valore aggiuntivo per il cliente oggi? Credo che il valore aggiunto per il cliente è, e sarà sempre di più in futuro, la valorizzazione della responsabilità dell’azienda. La crisi economica ha risvegliato la maggioranza delle persone che aspira a gestire il proprio potere d’acquisto con la dovuta consapevolezza e la necessaria determinazione, per garantirsi un futuro di benesse-
Grandi aziende re. Ne emerge la tendenza a premiare la qualità del consumo, il valore del benessere generale e l’importanza del futuro nella spinta allo sviluppo.
L’Italia è passata dal 7° al 3° posto tra i Paesi del mondo
Come si inseriscono le nuove tecnologie, internet, il web nella realtà IKEA? IKEA sta cercando di far evolvere la propria comunicazione in una direzione di maggior partnership anche con gli utenti internet. Questo approccio è coerente con la nostra fi losofia “Tu fai la tua parte. Noi la nostra. E insieme risparmiamo”. Nel tempo i clienti IKEA hanno decretato il successo del design democratico e si sono abituati ad assumere un ruolo attivo negli acquisti, condividendo l’impegno dell’azienda per un impatto sostenibile sull’ambiente. Ora grazie alle nuove tecnologie, gli utenti internet non solo hanno l’opportunità di avere accesso a tantissime informazioni relative ai nostri prodotti ed anche molte ispirazioni per l’arredamento della loro casa, ma anche l’opportunità di dire la loro attraverso diversi canali dedicati, quali ad esempio la nostra community e i social network, tramite i quali abbiamo recentemente lanciato una nuova campagna. Cosa contraddistingue il modo di arredare “italiano” rispetto alla Svezia o altri Paesi? Al giorno d’oggi credo sia azzardato fare generalizzazioni delimitate rispetto ai gusti in tema di arredamento. Parlando di casa, infatti, sono spesso presenti più similitudini che differenze: ecco perché il nostro assortimento di mobili funziona ovunque. Certo, ci sono ovviamente differenze di tradizioni e di modi di esprimersi nell’abitare: rispetto alla Svezia, che predilige una casa più dinamica, dove le diverse funzioni possono cambiare, sovrapporsi o sostituirsi nello stesso spazio, l’Italia privilegia un abitare più stabile, dove gli spazi e le funzioni sono definiti, delimitati e rimangono costanti nelle diverse aree.
fornitori del gruppo IKEA. Mentre le vendite nei negozi fanno dell’Italia il 6° mercato al mondo, gli acquisti guadagnano il 3° posto. Entro il 2009 saranno aperti 4 nuovi negozi a Rimini, Torino, Villesse e Salerno
In un contesto di crisi IKEA sta crescendo, investendo e contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro. Un esempio d’eccellenza per molti imprenditori quindi....quali percorsi si devono seguire per superare questa crisi? Credo che essenzialmente sia necessario ambire a risultati di lungo periodo e non di breve termine. Questa logica nel tempo ci ha premiato: ecco perché continuiamo ad investire sui prezzi bassi e sull’alta qualità esattamente come dieci anni fa ed anche in un periodo di crisi. Dobbiamo sì rimboccarci le maniche per migliorare l’efficienza economica, ma vogliamo contemporaneamente confermare tutti gli investimenti che abbiamo programmato sul lungo periodo. Allo stesso tempo continuiamo a sviluppare il rapporto con il cliente, così da coinvolgerlo, da farlo diventare parte del processo creativo e produttivo, comprendendo i suoi bisogni nel vivere quotidiano. Quali sono le principali strategie che il settore della distribuzione richiede? È importante non solo ricercare la novità, ma anche tenere alto il livello del servizio. E poi domandarsi: quali sono i fabbisogni che cambiano? La vitalità del punto di vendita è fondamentale per dare ispirazioni continue. In IKEA stiamo sviluppando una serie di alternative per rivolgerci ad un consumatore sempre più diversificato. Lei è amministratore delegato di IKEA. Quali sono le maggiori soddisfazioni che ha raccolto in questi anni? Sono molto felice dei risultati raggiunti dalla nostra organizzazione non solo da un punto di vista commerciale, ma anche nel campo delle risorse umane. Abbiamo aperto nuovi negozi, stiamo confermando tutti gli investimenti per il futuro: entro il 2009 apriremo 4 nuovi negozi a Rimini, Torino, Villesse e Salerno. Questi risultati sono frutto dell’impegno di tutti i collaboratori che sono stati capaci di integrare coerentemente nel loro lavoro quotidiano, la visione di IKEA di “creare una vita quotidiana migliore per la maggioranza delle persone”. Personalmente sono davvero orgoglioso di far parte di questo gruppo di inguaribili entusiasti. |
Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendolo. Aristotele
www.ikea.com/it
Profilo Roberto Monti è nato nel 1963 in Svezia e si è laureato nel 1990 in Relazioni Internazionali presso l’Università di Lund (Svezia), con stages presso l’Università degli Studi di Perugia (1987). La sua esperienza professionale è cominciata in IKEA Svezia dove è entrato nel 1990 come trainee, un anno dopo è stato trasferito in Italia, a supporto della prima fase di espansione. E’ stato Operations Manager presso il negozio di Brescia Roncadelle, di cui è diventato Store Manager nel 1995. Dal 1997 è stato Project Manager per la fase di costruzione del negozio di Genova, di cui è stato poi Store Manager fino al 2000. Dal 2000 al 2001 Roberto Monti ha lavorato in BAA MCArthurGlen, azienda leader nella costruzione e gestione Designer Factory Outlets, come direttore del centro di Serravalle Scrivia e con responsabilità legate all’espansione del concetto sul mercato nazionale. Nel 2002 è rientrato in IKEA Italia con il ruolo di Retail Manager, per poi ricoprire l’attuale carica di Amministratore Delegato. 55
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Il nuovo
gentleman della nautica
Roberto Magri, un grande avvocato penalista che sceglie di appendere la toga al chiodo e dedicarsi in un’impresa nel mondo della nautica. Dai processi sul terrorismo all’importazione di barche dagli Stati Uniti. La carriera e l’evoluzione di un gentiluomo che ha fatto le sue scelte mettendo sempre al primo posto la passione. E lo stile. testo di Mauro Milesi foto di Matteo Mottari Prima di tutto la passione. Forse sta tutta qui la cifra della carriera e della svolta di vita di Roberto Magri. Una svolta che lo ha portato dai banchi del tribunale al timone di un’azienda nautica d’eccellenza. Dopo uno straordinario passato da avvocato penalista - dal processo dei terroristi di Prima Linea al Mostro di Leffe, dalle grandi battaglie sulla tutela dei marchi al penale d’impresa - nel 2006, a sessant’anni, è arrivata la svolta imprenditoriale. Raggiunta la maturità professionale, ancora all’apice del successo, ha scelto di non aspettare il lento declino della routine dell’avvocato ormai affermato. Ha scelto la strada della passione, quella tracciata fi n dalla sua infanzia in Africa, dove ha cominciato a innamorarsi del mare e delle barche. A quei tempi nel porto di Tripoli teneva le scotte di piccole imbarcazioni a vela, oggi è importatore per l’Italia di un importante brand nautico statunitense e investe tempo e risorse in progetti di ricostruzione di imbarcazioni di prestigio. In mezzo a tutto questo una vita sempre piena di impegni: dalla cattedra di Procedura Penale all’università alla presidenza dell’organismo di vigilanza di Ubi Banca. A Business&Gentlemen ha raccontato la storia di questa sua evoluzione. Ancora in corso… Dalla toga al timone di un’impresa nautica. Da dove arriva questa svolta? Probabilmente nel mio Dna c’è qualche traccia dell’imprenditorialità che aveva mio padre. Di fatto ho respirato aria d’impresa fi n da bambino, però quella per la nautica è soprattutto una passione. Me ne sono innamorato fin da piccolo navigando con le prime barchette a vela nel porto di Tripoli. E proprio in quegli anni ricordo un segno del destino: a scuola ciascuno di noi aveva ricamato un disegno sul grembiule, il mio era una barca e lo stesso simbolo l’avevo sull’armadietto. Direi che il mio futuro era già segnato. Ma nel suo destino è arrivata anche l’avvocatura… L’Africa ai tempi della mia giovinezza era pervasa da un grande fermento di opere, per questo molti giovani sceglievano di laurearsi in ingegneria. Io non ho imboccato quella 56
Protagonisti
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Marboats oggi ha come core business principale la ristrutturazione di imbarcazioni, che è diversa dal restauro quale operazione conservativa. Ristrutturare una barca significa ripensarla completamente, conservando quegli elementi essenziali di unicità, ma dando vita a un progetto tutto nuovo. La ristrutturazione è un atto creativo, anche se uno degli aspetti fondamentali è la scelta della barca su cui avviare l’intervento. Noi puntiamo molto sulla creazione di oggetti unici, nessun altra barca sarà come quella che si sta ristrutturando strada perché ho avuto la fortuna di conoscere l’avvocato Antonio Rodari, un grande penalista che per me ha rappresentato una sorta di archetipo. Così mi sono convinto a iscrivermi a giurisprudenza e una volta laureato sono andato a far pratica proprio allo studio dell’avvocato Rodari. Da lì è cominciata la mia carriera che mi ha visto impegnato con consulenze e assistenze legali nell’ambito penalistico, con particolare attenzione al diritto penale dell’economia, nell’interesse di importanti aziende nazionali e multinazionali, della tutela dei marchi e della proprietà industriale Dopo tanti successi, nel 2006 arriva la scelta di lasciare… Le mie decisioni di appendere la toga “al chiodo” e di intraprendere un’attività imprenditoriale sono frutto di una convinzione maturata fin dagli albori della mia carriera di avvocato. 58
Ho un ricordo che mi è rimasto impresso per tutta la vita. Ero in tribunale per assistere a un processo e c’era un avvocato anziano che difendeva molto male, si notava la perdita di smalto anche se in passato a detta di tutti era stato un ottimo penalista. Mi sono sempre ripromesso di non fare quella fi ne, di lasciare quando ancora ero all’apice delle mie performance. E questa è una promessa che credo di aver mantenuto. Perché un’impresa nel campo della nautica? Come dicevo c’è sempre di mezzo la passione. Il mio desiderio di fare qualcosa di più nel mondo della nautica al di là dei miei interessi personali ha avuto una prima esperienza negli Anni Ottanta quando ho fondato una scuola per abilitare alla conduzione di imbarcazioni da diporto, a vela e motore. All’inizio degli Anni Novanta ho ricostituito la sezione della Lega Navale di Bergamo, di cui sono stato pre-
sidente per una decina d’anni. Ho cominciato a pensare a un’impresa in questo settore durante l’acquisto di un’imbarcazione: nel corso della trattativa ho conosciuto il rappresentante di un importante marchio di barche e con lui ho maturato l’idea di avviare una società per l’importazione di imbarcazioni da diporto dagli Stati Uniti. Marboats è nata così, anche se oggi ha come core business principale la ristrutturazione di imbarcazioni, che è diversa dal restauro quale operazione conservativa. Ristrutturare una barca significa ripensarla completamente, conservando quegli elementi essenziali di unicità, ma dando vita a un progetto tutto nuovo. La ristrutturazione è un atto creativo, anche se uno degli aspetti fondamentali è la scelta della barca su cui avviare l’intervento. Noi puntiamo molto sulla creazione di oggetti unici, nessun altra barca sarà come quella che si sta ristrutturando. Oggi nel settore nautico compaiono
Protagonisti costruttori come funghi, alcuni con validissimi progetti, altri invece destinati al naufragio. Gli insuccessi spesso arrivano perché manca un profondo approccio culturale. Bisogna avere la capacità di investire in ricerca e progettazione, purtroppo molto spesso i piccoli cantieri sono invenzioni del momento che non operano con una visione a lungo termine. Però in Italia ci sono delle eccellenze, anche in Lombardia esistono importanti cantieri conosciuti in tutto il mondo. La qualità e l’eccellenza si fanno sempre strada. E qual è la vostra strategia di comunicazione per sottolineare l’eccellenza? Guardi, per noi la strategia della comunicazione non può essere massificata. Dobbiamo metterci dalla parte del consumatore, cercando di spiegargli che noi puntiamo sulla qualità dei progetti, su imbarcazioni che possano essere gestite senza troppi affanni, su una semplificazione della strumentazione che sia al servizio del diportista. Insomma dobbiamo essere in grado di spiegare al nostro pubblico che prestiamo una particolare attenzione a tutti quei dettagli che nella vita in mare fanno davvero la differenza. Eppure non deve essere facile riuscire a distinguersi nel mondo della nautica. Vero. Ad esempio nell’automobilismo siamo tutti professori, è un argomento entrato nella vita comune: sappiamo tutto, conosciamo tutto, ci sono prezzi e caratteristiche conosciuti per ogni auto. Nel mondo delle imbarcazioni questo non esiste. E allora quando mi capita di sentire dire che una barca è migliore di un’altra, la mia sensibilità mi porta a fare lo stesso confronto sulle auto: ma come si può dire come un’automobile è migliore di un’altra? Tutto dipende dai criteri di valutazione, ogni auto ha le sue caratteristiche peculiari rispetto al segmento d’appartenenza, non si può fare un discorso in assoluto. Sarebbe stupido comprare una Ferrari per farci un rally nel deserto. Lo stesso assioma vale per la nautica: una barca va vista secondo le finalità del suo impiego, secondo le sue caratteristiche specifiche. A proposito di finalità d’impiego, in questi anni si è puntato molto sulle barche superveloci… Credo che il mondo vada verso un ridimensionamento benefico. Anche nella nautica si tornerà a imbarcazioni più a misura d’uomo e dell’ambiente. Su questo prendo come esempio la rincorsa alla velocità delle barche che si è vista in questi ultimi anni. A mio avviso una barca a motore deve avere una velocità media, né troppo bassa né eccessiva. Perché entrano in gioco tre componenti fondamentali per la vita in barca: la sicurezza, la velocità, il comfort. Non si possono mai avere tutte e tre contemporaneamente. Bisogna sempre rinunciare a uno di questi fattori e allora i preferisco scegliere il comfort e la sicurezza. Si parla sempre più di lusso, in tutti i settori. Quanto è luxury il mondo della nautica? Io credo che ci sia un equivoco di fondo: non è vero che il mondo della nautica è legato al lusso, è vero invece che il lusso si manifesta ovviamente anche nella nautica. Ma non è un elemento necessario. La vita in barca può anche essere economica, basti pensare all’universo delle imbarcazioni carrellabili, che rappresenta il modo di navigare della stragrande maggioranza degli appassionati. Ovviamente se pensiamo a un’imbarcazione intorno ai 20-24 metri che costa mediamente 2 milioni di euro, riteniamo sia un oggetto di lusso. Ma se oggi un’automobile medio-alta può costare tranquillamente 100 mila euro, allora la proporzione qual è? Il problema è che oggi in Italia abbiamo una visione distorta della navigazione, mentre nel Nord Europa è presente una nautica che 59
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potremmo definire più autentica, non legata al lusso, dove l’appassionato passa molto tempo in mare e vive ogni gesto in quella prospettiva. Da noi è più una questione di status symbol, ci si identifica più nel possesso che nell’utilizzo vero e proprio. Ma non è questa la fi losofia delle imbarcazioni che noi realizziamo. Proviamo a fare un confronto tra le aule di tribunale e la sua nuova attività professionale. Ci sono affi nità? Non mi è mai capitato di fare un paragone tra attività professionale e nautica. Posso evidenziare alcuni elementi che nel mio carattere possono trovare rispondenza in entrambi i mondi. Ad esempio, io ho sempre cercato di aff rontare i temi processuali con il massimo rigore, lo studio approfondito, facendo attenzione a tutti gli elementi in gioco. Nella nautica credo di avere lo stesso approccio. Mi piace controllare lo stato di navigazione in modo maniacale. In passato, quando si navigava spesso senza strumenti, facevo continuamente il punto sulla carta e riportavo le mie osservazioni. Questo mi ha permesso di evitare anche qualche piccola tragedia. Solo nautica o ci sono altre passioni nella sua vita? Adoro la caccia che è una delle mie grandi passioni. Ho tentato anche di giocare a golf con scarso successo. La verità è che sono un “ondivago”, mi piacciono troppe cose contemporaneamente, mentre il golf richiede una costanza notevole. Così ho abbandonato: preferisco fare le cose che mi riescono al meglio. E poi, lei è un “accademico” della cucina… Per quanto riguarda la cucina, io non credo di avere grandi meriti. Preferisco definirmi un grande assaggiatore; ci sono persone che hanno una preparazione e una abilità incredibili, per me è più che altro una passione. L’obiettivo dell’Accademia è la salvaguardia delle tradizioni tipiche della cucina italiana, oltre alla ricerca storica. Mi piace cercare di dare il mio contributo su questo fronte. Alla luce della sua importante carriera, quale consiglio si sente di dare ai più giovani per avere successo professionalmente? Vivo quotidianamente il rapporto con i giovani essendo professore universitario di Procedura Penale. Mi piace molto stare con loro perché la possibilità di trasmettere conoscenza ed esperienze ai giovani è molto appagante. Io non ho una ricetta speciale, però ritengo sia importante riuscire a fare ciò che ci piace di più o che ci dispiace meno. Fare qualcosa di piacevole è la forza per continuare nel corso del tempo, perché ci sono tante difficoltà da aff rontare ogni giorno: la vita è come il mare, dietro ogni onda può nascondersi un pericolo, quindi conta molto poter praticare un’attività che piace al di là di tutto il resto. In secondo luogo bisogna cercare di aff rontare i problemi con scientificità e metodo, al meglio delle nostre possibilità. Infine ci vuole una buona dose di fortuna, ma la fortuna va agevolata, perché è una mescolanza di occasioni e intuizioni. Bisogna essere sufficientemente pronti a cogliere il momento buono. | 60
La Carriera Nato a Tripoli nel 1945 da padre bergamasco, imprenditore nel settore edile, e da madre parmense, casalinga, frequenta i primi anni di liceo presso il “Liceo italiano all’estero Dante Alighieri” di Tripoli completando gli studi superiori in Italia dove la famiglia, nell’anno 1961 era rimpatriata. Si iscrive all’ Università degli studi di Milano ove consegue la laurea in giurisprudenza nell’anno accademico 1969-70. Inizia quindi la pratica professionale in Bergamo sotto la guida dell’Avvocato Antonio Rodari. Superato l’esame di stato inizia la libera professione e costituisce a Bergamo uno dei primi studi legali associati di cui cede le quote alla fine del 2006 dedicandosi esclusivamente all’insegnamento presso l’Università degli Studi di Bergamo ove è docente a contratto di diritto processuale penale avanzato. E’ stato membro del locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e, nell’anno 1989 è stato presidente della commissione per gli esami di avvocato presso la Corte d’Appello di Brescia. Nei primi anni ’90 ricostituisce a Bergamo la sezione della Lega Navale Italiana della quale è stato presidente per circa un decennio. La passione per il mondo della nautica si era già manifestata quando, a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 era stato, per alcuni anni, presidente della classe velica FJ, allora di interesse federale. E’ socio del Rotary Club di Bergamo Ovest dall’anno di fondazione di cui è stato presidente nell’anno sociale 1990-91. Dall’anno 1992 al 1996 è stato assistente del Governatore per il gruppo orobico. E’ stato capogruppo consiliare al Comune di Bergamo nella legislatura 1999-04. E’ presidente dell’organismo di vigilanza ex L.231 di UBI Banca.
E adesso so che bisogna alzare le vele e prendere i venti del destino ovunque spingano la barca. Dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio. E’ una barca che anela al mare, eppure lo teme. Edgard Lee Masters
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Senza
innovazione competitività addio Bisogna saper investire su soluzioni all’avanguardia non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche organizzativo e di sistema. Parola di Attilio Martinetti, direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’Innovazione e già direttore di Innovhub, l’Azienda speciale della Camera di commercio di Milano dedicata a questo tema testo di Laura Di Teodoro
Guardare e investire nell’innovazione per essere competitivi. Un’innovazione non solo tecnologica ma soprattutto organizzativa e di sistema, capace di puntare e investire prima di tutto sulle persone e sulla ricerca applicabile alle imprese, in tutti i settori. Alla base di tutto, sostiene Attilio Martinetti, da poco nominato direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’Innovazione e già direttore di Innovhub, l’Azienda speciale della Camera di Commercio di Milano per l’innovazione, è necessaria la condivisione e lo scambio di conoscenze e strumenti tra pubblico e privato, centri di ricerca, imprese e istituzioni. Dal suo osservatorio privilegiato, come definisce, nel suo insieme, l’innovazione? L’innovazione comprende tutto ciò che, attraverso un cambiamento da parte delle aziende e del contesto, consente di sviluppare la competitività. In un Paese come il nostro, caratterizzato da tante piccole e medie realtà imprenditoriali, l’innovazione passa attraverso l’innovazione organizzativa e metodologica, non tanto tecnologica. Non si tratta dell’aspetto povero dell’innovazione anzi. I nostri casi di maggior successo sono proprio frutto di una innovazione di questo tipo. Basti pensare alla moda, al fashion e al design. A livello mondiale, l’innovazione italiana è riconosciuta come vincente; prendo come riferimento una ricerca dell’Università di Harvard in cui si mette in evidenza che il 44% dei designer che operano per i principali brand riconosciuti come italiani, sono stranieri. Segno della presenza di una vera e propria “scuola italiana”. Le aziende italiane sanno investire in questo tipo di innovazione? Come dicevo prima le nostre aziende sono in maggioranza di piccole e medie
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Innovazione
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L’Agenzia per l’Innovazione è un luogo di confronto, scambio e condivisione, ponte tra pubblico e privato, tra territorio e funzione. L’obiettivo è quello di far convergere le tecnologie di certi settori su ambiti diversi. Ad esempio nel distretto della ceramica ci possono essere delle soluzioni anche per altri ambiti, arrivando così ad allargare il mercato dimensioni. A livello europeo lo sono il 95%. Purtroppo queste realtà sono spesso sottocapitalizzate e c’è una forte presenza del sistema artigiano: la Lombardia ha qualcosa come 780mila imprese di cui più di un terzo, 260mila artigiane. Di queste più del 30% è artigianato manufatturiero. A livello lombardo, due anni fa, abbiamo portato avanti una ricerca articolata, coinvolgendo 1.500 imprese che operano nei settori innovativi, edilizia compresa. È emerso che solo il 9% di imprese possono essere considerate “innovatrici”; il 21% è antropologicamente uguale alle prime ma investe in modo discontinuo. Ciò che spaventa è il 70% di aziende inerti, che non investono. Se a questo aggiungiamo che l’innovazione rappresenta una categoria dove il 30% le imprese ha un titolare che ha più di 55 anni, e circa il 30% di questi aspetta l’occasione meno svantaggiosa per chiudere, possiamo dire che la situazione non è delle migliori. L’impresa manca di quegli stimoli e vocazione all’innovazione e alla realizzazione dell’improbabile e al rischio. In un contesto di crisi e con tante realtà piccole, come l’innovazione può aiutare e quali canali sfruttare? Il primo investimento importante deve es64
sere fatto nelle persone. È l’unica strada che si può percorrere per poi investire in macchinari e strumentazioni. Come Agenzia come intervenite a supporto delle imprese? L’Agenzia per l’Innovazione è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e ha lo scopo di integrare il sistema della ricerca con quello produttivo attraverso l’individuazione, valorizzazione e diff usione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale. L’Agenzia è l’ente di riferimento per quanto riguarda la valutazione di progetti in particolare quelli relativi al bando sul made in Italy di Industria 2015. In pochi mesi questo bando ha raccolto 429 domande di consorzi di 15/20 imprese ciascuno che si candidano a sviluppare progetti di innovazione radicale. L’Agenzia inoltre fa da ponte fra il sistema della ricerca pubblica, non solo universitaria ma anche dei centri CNR e dell’Istituto Nazionale di Sanità, e il vasto mondo delle piccole e medie imprese. Penso l’Agenzia come un luogo di confronto, scambio e condivisione, ponte tra pubblico e privato, tra territorio e funzione, che mette a sistema i tre principali protagonisti dell’innovazione: i centri di ricerca, che producono idee e fanno innovazione, l’economia, che se ne alimenta, e le istituzioni, deputate a creare quel terreno fertile per la diff usione capillare di questa ricchezza. L’obiettivo è quello di far convergere le tecnologie di certi settori su ambiti diversi, ad esempio nel distretto della ceramica ci possono essere delle soluzioni anche per altri ambiti, arrivando così ad allargare il mercato. Ha toccato il tema “Università”. Come considera il ponte che unisce il mondo accademico con le realtà imprenditoriali? Ci sono progetti validi o c’è ancora molto da lavorare? Sicuramente, e non è un segreto, manca un ponte solido e resistente tra queste due realtà a causa di un numero esorbitante di facoltà, distribuite in modo difforme rispetto al reale bisogno
Innovazione di ricerca. Non mi rasserena il fatto che fino all’anno scorso le matricole in Scienze della Comunicazione siano state 58mila e di contro siano diminuite quelle nelle facoltà più tecniche che garantiscono una specializzazione maggiore e quindi uno sbocco lavorativo sicuro. Un altro problema è rappresentato dal capitolo “brevetti”: l’attuale riforma ha inserito nei parametri di maggiore o minore contrazione dei finanziamenti anche il parametro dei brevetti e questo ha portato a un aumento del numero dei brevetti che spesso non sono applicabili e cantierabili. Non solo, spesso il contesto non mette il ricercatore nelle condizioni di assumere quelle minime capacità imprenditoriali, cosa che invece succede ad esempio negli Stati Uniti. Tra i settori considerati innovativi compare sicuramente la “Green economy”. Come vede l’investimento delle imprese in questo settore? Sicuramente positivo considerando che circa 129mila imprese in Lombardia si occupano di edilizia e oggi più che mai parlare di edilizia sana ed ecologica è sinonimo di innovazione. Le Regioni inoltre si stanno dimostrando aperte a questo tipo di investimento. L’ecoedilizia inoltre si lega con la domotica come casa particolarmente amica dal punto di vista dei consumi energetici soprattuto in Paesi come il nostro con un clima continentale. Come vede lo scenario futuro? Con relativo ottimismo. Esiste un tessuto, seppure minimale, che si sta muovendo nella giusta direzione. Sto vedendo inoltre una buona capacità di adattamento alle difficoltà. Se vedo delle ombre, questo sono le incapacità di usare e sfruttare i nostri asset principali come leve di sviluppo. In Italia abbiamo il 60% del patrimonio artistico del mondo e beneficiamo di un clima favorevole, questi sono asset che a mio parere non sono valorizzati abbastanza. |
L’Agenzia per l’Innovazione L’Agenzia per l’Innovazione, istituita con la legge finanziaria del 2006, e sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, ha lo scopo di integrare il sistema della ricerca con quello produttivo attraverso l’individuazione, valorizzazione e diffusione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale. Tra i compiti della Agenzia, è previsto il supporto e l’istruttoria tecnico-scientifica nell’ambito della valutazione dei progetti di innovazione industriale (Industria 2015). Inoltre, una componente importante verrà rivestita dall’analisi delle previsioni tecnologiche a supporto degli investimenti nonché dalla diffusione e promozione della formazione di alto livello, in particolare verso i ruoli chiave dei processi di innovazione (ricercatori, manager specializzati, ecc.).
Ciò che spaventa è il 70% di aziende inerti, che non investono. Se a questo aggiungiamo che l’innovazione rappresenta una categoria dove il 30% delle imprese ha un titolare che ha più di 55 anni, e circa il 30% di questi aspetta l’occasione meno svantaggiosa per chiudere, possiamo dire che la situazione non è delle migliori
Innovazione in Lombardia Sono oltre 28 mila le imprese high tech lombarde, pari al 21,8% nazionale. Milano prima in Italia per numero di imprese con quasi 16 mila dedite ai settori più innovativi. Mentre l’import tecnologico lombardo, nel 2008, è pari al 58,6% di quello nazionale (17 miliardi), l’export il 36% per un importo di oltre 7 miliardi di euro. Per provincia le specializzazioni per Brescia in telecomunicazioni (8,7% delle sue attività high tech contro la media lombarda del 6,3%), Lodi in ricerca e sviluppo (3,1% contro 2,4%), Sondrio in apparecchi medicali e di precisione (27,9% contro 19,3%). Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati del registro delle imprese e Istat al 2008. La Lombardia inoltre si presenta come luogo di eccellenza per la ricerca in 7 settori su 11 analizzati: Oncologia, Biotecnologie, Chimica, Microtecnologie, Fisica dei Solidi, Telecomunicazioni e Chip, Energia. (fonte AIRI – IPI). Dagli ultimi dati ISTAT il Nord-ovest conferma il suo ruolo trainante con il 37,4% della spesa per R&S intra-muros e la spesa totale per R&S che resta fortemente concentrata in tre regioni – Piemonte, Lombardia e Lazio – che coprono il 60,9% della spesa per R&S delle imprese, il 62% di quella delle istituzioni pubbliche e il 30,9% della spesa delle università. Anche relativamente al settore delle imprese, la spesa per R&S risulta concentrata per oltre la metà (54,3%) nel Nord-ovest, con prevalenza in Lombardia e in Piemonte
Una volta colte le opportunità si moltiplicano. Sun Tzu
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Strategie vincenti
Marketing
l’arma VINCENTE per combattere la crisi Sempre più area strategica dell’azienda dove investire risorse, cervelli e strumenti. Altrimenti diventa difficile reggere il confronto con un mercato globale e in continua evoluzione. Parola di Giovanna Ricuperati, presidente di Multiconsult, a cui abbiamo chiesto di tracciare un quadro del rapporto, non sempre facile, tra marketing e imprese testi a cura di Desirèe Cividini
Il marketing come una sorta di ponte in grado di collegare le aziende con il mercato. Accorciando le distanze tra imprenditori e consumatori e dando l’opportunità di raccogliere indicazioni, tendenze ed evoluzioni da utilizzare come strumenti di orientamento utili all’azienda. Già, perché qualità e innovazione non bastano. Per affermarsi sul mercato bisogna prima di tutto conoscere e comunicare. Parola di Giovanna Ricuperati, presidente e amministratore delegato di Multiconsult, società bergamasca che da oltre quindici anni si occupa di fornire consulenza ad aziende ed enti pubblici negli ambiti del marketing, delle vendite e della comunicazione. Multiconsult da oltre quindici anni è specializzata nella consulenza di marketing, nello sviluppo di reti commerciali e nella gestione di eventi corporate. Quanto è cambiato in questi anni il rapporto tra imprese e marketing? L’evoluzione che ha interessato questo settore è stata piuttosto sensibile. Quindici anni fa si pensava al marketing come ad una sottofunzione dell’area commerciale, assimilandolo spesso alle attività di comunicazione o più strettamente al campo pubblicitario. Oggi, nonostante continui a restare un’area presidiata soprattutto nel mondo del b2c, il marketing incuriosisce anche le imprese che non si rivolgono al consumatore finale. La sua funzione, tuttavia, continua ad essere sottovalutata. Eppure il marketing ha delle enormi potenzialità, in quanto mette in contatto l’azienda con il mercato di riferimento, gettando le basi per definire la strategia aziendale e delineare offerta, prezzo e azioni di promozione. 67
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In un contesto in cui tutti i mezzi di comunicazione sono stati colpiti da una sorta di progresso regressivo, con investimenti sempre più ridotti all’osso, quanto può essere utile investire nel marketing? Non è un problema di utilità ma di necessità. Investire in marketing e in comunicazione non è una scelta, ma deve far parte delle politiche di base dell’azienda. Diverso è lavorare per scegliere quali strumenti di marketing e quali azioni strategiche mettere in campo. A volte, quando incontro imprenditori che mi mostrano con il giusto orgoglio e sod-
A volte, quando incontro imprenditori che mi mostrano con il giusto orgoglio e soddisfazione le proprie aziende, le macchine e gli impianti, chiedo loro: “Davvero interessante, ma dopo aver visto le macchine per produrre, adesso mi mostra le sue macchine per vendere?”. Ancora oggi sono in molti a reagire con stupore a questa domanda
Quanto è importante per un’azienda essere affiancati nell’odierno marketplace da una realtà come la vostra? In senso ancor più ampio bisognerebbe chiedersi quanto è importante per un’azienda operare avendo ben presente il proprio mercato di riferimento. Spesso si tende a concentrare la visione di un’azienda attorno alla produzione o alla finanza, ma senza un chiaro legame con il mercato tutto ciò è insufficiente. Un’azienda non può operare a prescindere dal mercato, considerandolo una variabile indipendente. Essere affiancati da una realtà esterna come la nostra, nello specifico, dà all’azienda la possibilità di disporre di un osservatorio indipendente. Un mio cliente un giorno mi ha detto una cosa che mi è piaciuta molto: “ Io non voglio che il vostro impegno per la mia azienda vada oltre al 15-20 per cento del vostro fatturato complessivo. Se così fosse perderei quel plus che deriva dalla visione a 360 gradi sul mondo e sul mercato, che puo’ essere garantita solo dall’agire in diversi mondi, dallo studiare le logiche di più settori, dal lavorare con prodotti e servizi diversificati nelle diverse aree del mondo”. Ecco perché la gestione del marketing in outsourcing puo’ essere una soluzione interessante, diventata nel tempo il nostro core business. 68
disfazione le proprie aziende, le macchine e gli impianti, chiedo loro: “Davvero interessante, ma dopo aver visto le macchine per produrre, adesso mi mostra le sue macchine per vendere?”. Ancora oggi sono in molti a reagire con stupore a questa domanda. Ma se non si pensa al marketing come ad un’area strategica dell’azienda, nella quale investire risorse, cervelli e strumenti, si rischia di non essere in grado di reggere il confronto con un mercato globale ed evoluto che agisce dalla base con questo orientamento. Scommettere sui piani marketing e sulle attività di vendita, quindi, può essere un modo efficace per rafforzare il proprio business e superare la tempesta economica. In che modo una specifica strategia di marketing può rivelarsi utile per contrastare gli effetti negativi di questa difficile fase? E’ proprio nei momenti di tempesta che è
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fondamentale disporre di strumenti per orientarsi. Essere un’azienda orientata al mercato e al marketing significa operare monitorando e tenendo sotto controllo le variabili che governano il proprio business. Per il top management significa effettuare le scelte strategiche di investimento e di sviluppo supportati da un sistema oggi chiamato di “business intelligence”, volto all’analisi di business e al supporto nel percorso di riposizionamento, alla comprensione di quali siano i canali distributivi da presidiare, alle politiche di prezzo, ai comportamenti dei competitor. Ma significa anche scegliere i mercati e i settori verso i quali rivolgere i propri sforzi e investimenti commerciali, pianificare gli strumenti di comunicazione e gli strumenti di promozione e le caratteristiche di prodotto/servizio. Da dove deve partire un’azienda per avviare una vera politica di trasformazione della comunicazione d’impresa? Da un’attenta comprensione del proprio cliente e del proprio mercato di riferimento, senza dimenticare una grande dose di pensiero creativo e di innovazione nell’approccio. La nostra campagna di qualche mese fa diceva “Piedi per terra e testa tra le nuvole” mentre da qualche mese dichiariamo in maniera forte il nostro amore per il marketing: “We love marketing”, che per noi significa unire creatività e passione per il proprio mestiere, senza perdere il senso di concretezza e sobrietà che caratterizza il nostro territorio e che, probabilmente, aiuterà il nostro sistema a reggere gli urti di un mercato globale in grave difficoltà. Ecco quindi da dove partire: pianificare, definire tattiche, stabilire ruoli e analizzare il feedbackNon si può più gestire la comunicazione alla giornata, passivamente. Ogni gesto e passo dell’azienda è già comunicazione. Si ha non solo il diritto ma soprattutto il dovere di comunicare.
Specialisti nel marketing Multiconsult opera dal 1994 a Bergamo fornendo consulenza ad aziende ed enti pubblici negli ambiti del marketing, delle vendite e della comunicazione. Nel 2008 l’azienda ha registrato un fatturato di circa 1,8 milioni di euro e per il 2009 dovrebbe andare ancora meglio, con una previsione di crescita del 20 per cento. Alla base dell’attività vi è la collaborazione con le aziende che vengono affiancate sia nella fase progettuale sia in quella più operativa di implementazione dei processi di marketing, di commercializzazione o di comunicazione. Ma la società guarda anche al futuro non solo in vista di un’espansione su nuovi territori con l’apertura di sedi in altre provincie lombarde e in altre regioni, ma anche in chiave Expo 2015: è in fase di definizione un progetto di valorizzazione del territorio elaborato con alcune associazioni di categoria. Si tratta di un format globale che presenta la regione bergamasca sfruttando la visibilità di grandi realtà industriali già presenti a livello internazionale, seguendo codici comunicativi e di relazione moderni, al fine di sfruttare al meglio i link che l’Expo 2015 potrà offrire.
Quali sono oggi gli strumenti più efficaci nel campo del marketing? Non esiste un elenco e nulla di più o meno efficace in senso assoluto. Credo che, però, sia sempre più importante scegliere modi nuovi per essere vicini al proprio pubblico, per parlare con chiarezza, cura e passione. Per fare ciò che io chiamo il marketing “direttissimo”: dico questa cosa a te, perché credo ti possa essere utile, ho capito come operi e penso di poterti offrire una giusta soluzione. In pratica un marketing senza eccessi ed esasperazioni, ma molto diretto. Gli strumenti si utilizzano e a volte si inventano, tagliandoli su misura per il tipo di interlocutore. Alla luce della particolare fase che sta attraversando la nostra economia, quanto e come sono destinate ad evolvere le strategie di marketing adottate dalle aziende? Moltissimo. Le aziende oggi sono confuse ma hanno voglia di osare. E’ questo il momento per sperimentare e superare le barriere precostituite, i timori del passato. Sa qual è la cosa che oggi le aziende ci chiedono più spesso? Di proporgli nuove idee, di cercare per loro nuove strade. Oggi sta emergendo quel coraggio e la voglia di innovare che abbiamo sempre cercato di perseguire nella nostra attività, premessa fondamentale per un approccio nuovo al futuro. Per citare Einstein “non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa”. | www.multi-consult.com
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chmond italia Richmond Italia
I nostri eventi
Le Conferenze
Gli incontri
Da oltre quindici anni Richmond Italia organizza business meeting con l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta. Nati a bordo di navi da crociera, i nostri eventi si svolgono oggi in prestigiose location a terra, che offrono un ambiente ideale per il lavoro di dirigenti di alto livello: una atmosfera distesa ma al tempo stesso concentrata sui contenuti, un modo di incontrare persone che ispira e fa nascere nuove visioni. Per molte aziende i nostri eventi rappresentano un momento di business importante: lo dimostra la forte richiesta di partecipazione, che spesso supera i posti disponibili.
Gli eventi si condensano in due giornate, nel corso delle quali i partecipanti hanno modo di: acquisire contenuti e idee attraverso conferenzee workshop confrontarsi con i colleghi del proprio settore conoscere progetti e proposte di potenziali fornitori. La formula dei nostri forum – in cui si fondono le energie di tre piani distinti: business, aggiornamento e networking – è un patrimonio originale a tutt’oggi insuperato. Senza contare che Richmond Italia è stata il precursore in Italia nell’utilizzo di agende appuntamenti personalizzate.
Il programma conferenze è disegnato per raccontare, provocare, far riflettere, stimolare nuove letture del mercato, dell’impresa e della società contemporanea. Vede la partecipazione di nomi dell’università e della ricerca accademica, così come di esperti, professionisti di successo e testimoni di mondi ed esperienze trasversali. I partecipanti prendono parte solo ai momenti che valutano realmente interessanti. Accanto alle sessioni plenarie, si svolgono seminari, workshop e gruppi di lavoro che vanno a fondo di temi specifici e che fanno leva sull’interazione fra relatori e partecipanti. Non mancano incontri riservati con consulenti, coach ed headhunter che stimolano la sfera individuale e la crescita professionale.
Gli incontri con gli exhibitor (società fornitrici di servizi e prodotti per il target di riferimento) sono una sorprendente fonte di informazioni sull’evoluzione del settore. E quasi sempre offrono risposte precise ed efficaci a necessità specifiche dell’azienda. Ogni invitato indica le società exhibitor che vuole siano inserite in agenda, in appuntamenti di 30 minuti. Nonostante il programma tenga tutti molto occupati, resta il tempo per incontrare anche colleghi e relatori.
I nostri eventi
Human Resourcesforum
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Il consulente
psicologo In tempi di crisi crescono gli interventi dei “medici dell’anima” nel mondo delle aziende. Gli imprenditori scoprono un nuovo partner utile per fare business, ma soprattutto per migliorare la qualità della vita all’interno dell’impresa
Basta con gli strizzacervelli alla Woody Allen. Ora i “medici dell’anima” lasciano i lettini degli studi di psicologia per trasferirsi nelle aziende. Non solo per farle funzionare meglio, ma anche per andare in soccorso dei dipendenti colpiti dalla crisi della recessione. Un tendenza questa che interessa buona parte delle aziende del Belpaese e che sta facendo registrare un boom soprattutto in Lombardia, dove la carriera da psicologo attira sempre più giovani. Basti pensare che gli psicologi iscritti all’Ordine regionale aumentano al ritmo del dieci per cento l’anno. Dal 1998 al 2008 sono passati da 4.661 a 11.613, facendo registrare un’impennata del centocinquanta per cento. Dato significativo è che gli psicologi iscritti sono per l’ottanta per cento donne, con punte del novantuno per cento fra i giovani fino a ventinove anni. Gli psicologi con meno di quarantacinque anni sono il sessantasette per cento del totale. Si tratta quindi di una professione, almeno in Lombardia, sempre più numerosa, giovane e al femminile. E se un esperto su tre è dedito alla libera professione, i restanti due terzi intercettano bisogni non solo individuali, ma collettivi. Anche in organizzazioni e imprese, pubbliche o private. Di questi il quarantaquattro per cento, circa 4.500, off re prestazioni alle organizzazioni e il diciannove per cento, circa duemila, lo fa come attività principale. In totale, emerge quindi dall’indagine, in regione seimila aziende o enti (più o meno il venti per cento) hanno già chiesto aiuto agli psicologi o sono pronti a farlo. E se per ora il ricorso allo psicologo è più consistente nel settore pubblico, la richiesta è soprattutto privata. Non è difficile prevedere, quindi, che in futuro gli psicologi per le organizzazioni “opereranno in prevalenza nelle imprese private, specie come consulenti”, come reso noto da Gfk Eurisko, che ha recentemente condotto un’indagine sull’argomento. Dallo studio effettuato, che ha preso in considerazione un campione rappresentativo delle imprese lombarde con almeno venti addetti, emerge che circa quattromila aziende (il quattordici per cento) hanno impiegato psicologi nell’ultimo anno, e che circa mille hanno chiesto loro prestazioni mirate al funzionamento organizzativo. Una “realtà consistente”, dunque, destinata a crescere in futuro: altre duemila imprese, infatti, si sono dette pronte a ricorrere allo psicologo, lasciando 72
Dallo studio effettuato, che ha preso in considerazione un campione rappresentativo delle imprese lombarde con almeno venti addetti, emerge che circa quattromila aziende (il quattordici per cento) hanno impiegato psicologi nell’ultimo anno
Psicologia e lavoro
prevedere un potenziale di mercato pari a circa il cinquanta per cento del mercato attuale, come confermato da Claudio Bosio, che ha diretto l’èquipe di ricerca: “La situazione delle professioni psicologiche in Lombardia – ha sottolineato lo studioso mostra segni consistenti di vitalità e dinamismo. Alla costruzione di un buon futuro delle professioni psicologiche possono dare un contributo gli impieghi in ambito organizzativo finalizzati al buon funzionamento delle aziende produttrici di beni e di servizi. Si tratta già oggi di una realtà consistente e destinata a crescere nel prossimo futuro se le aziende avranno sempre più occasione di sperimentare direttamente le prestazioni degli psicologi. Tale esperienza, infatti, riscuote in genere ampia soddisfazione presso gli utenti e consente di esplicitare in concreto tutto quello che gli
psicologi possono fare per il buon funzionamento di un’organizzazione”. Nella crescita di queste figure all’interno dell’azienda la crisi sta senz’altro giocando un ruolo cruciale in quanto – come spiegato dal Enrico Molinari, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia e docente di Psicologia clinica all’Università Cattolica “in una fase congiunturale estremamente negativa per l’economia mondiale e, quindi, anche per l’occupazione, il fattore umano diventa cruciale per le organizzazioni lavorative di ogni tipo. Gli aspetti legati alla sicurezza e alla qualità del lavoro, al benessere individuale e collettivo, nonché all’attenzione per i servizi alla persona, assumono importanza strategica nel rapporto tra gli imprenditori e i loro collaboratori e, in definitiva, per il buon andamento dell’impresa”. E ha aggiunto: “Gli psicologi che già
lavorano nelle organizzazioni di ogni tipo, intese come enti, aziende, società private e pubbliche nonché imprese multinazionali possono contribuire in misura notevole al miglioramento di questi fattori, considerando che proprio in un momento di crisi la nostra storia professionale ci porta a dire che là dove c’è il malessere, là c’è anche il rimedio. Siamo quindi pronti ad affiancare gli imprenditori, proponendo soluzioni che possiamo elaborare insieme, portando il nostro contributo originale ed innovativo”. | Il lavoro è la cura suprema di tutte le miserie e i mali che hanno mai afflitto l’umanità. Thomas Carlyle
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La
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Coda lunga del business online
Con l’uso di internet è possibile sfruttare meglio le potenzialità offerte dalle nicchie di mercato che hanno costi troppo alti di gestione per le imprese tradizionali. Oggi è possibile ampliare l’offerta a disposizione dei clienti senza avviare investimenti importanti proprio grazie all’uso del web di Daniela Andreini Ricercatore in Marketing, e Commercio elettronico alla Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bergamo
L’espressione coda lunga, in inglese “The Long Tail”, è stato coniato per la prima volta da Chris Anderson in un articolo dell’ottobre 2004 su Wired Magazine al fine di descrivere alcuni modelli commerciali online come Amazon.com e Ecast. L’idea dell’autore nasce durante un’intervista con Robbie Vann-Adib CEO di Ecast (un jukebox virtuale che negli USA offre più di 150.000 brani musicali online). Alla domanda “Fra i primi 10.000 titoli, quanti in percentuale sono i brani venduti almeno una volta al mese in qualsiasi media store online (iTunes, Netflix, Amazon, ecc..)?” La risposta che si aspettava l’intervistatore, come siamo abituati a pensare, era intorno al 20%, secondo il principio di Pareto1. Questa regola, infatti, dichiara che in ogni universo o campo il 20% degli elementi, ossia poche cose importanti, influenzano l’80% dei risultati. Essa è parsa valida in moltissimi campi, ad esempio, analizzando il portafogli clienti si scopre che il 20% dei clienti produce l’80% del fatturato aziendale o che l’80% delle vendite deriva dai primi 20 prodotti, ecc… Nel mondo discografico addirittura, solo il 10% dei brani diventa poi un “hit” di successo. La risposta di Vann-Adib, invece, fu sconvolgente: il 99% dei primi 10.000 brani di Ecast era richiesto almeno una volta al mese. Ogni mese migliaia di persone acquistavano brani che difficilmente potevano ottenere in altri canali commerciali e la maggior parte dei ricavi aziendali non derivava dai primi 2.000 titoli, bensì dai restanti 8.000. La distribuzione delle vendite in questo caso ha un andamento come indicato dal grafico 1. 74
Grafico n°1: La coda lunga di Chris Anderson
Fonte: Chris Anderson (2004) Il grafico illustra la curva di domanda di prodotti (per esempio libri), in cui i più popolari sono posizionati nella parte rossa della curva e meritano pertanto di essere messi in vetrina e stoccati in magazzino dalle librerie tradizionali. L’area gialla della curva, invece, rappresenta i titoli meno popolari e quindi meno profittevoli per le librerie tradizionali, perché i costi di stoccaggio e di gestione sarebbero troppo onerosi rispetto alla domanda relativa. Il grafico suggerisce che le nuove tecnologie permettono di raggiungere la Coda Lunga della domanda, che racchiude prodotti o mercati di nicchia. Quest’ultima rappresenta quella parte di domanda che le imprese tradizionali non riescono a soddisfare a causa degli alti costi di contatto offerta e mantenimento. Con l’avvento di Internet la coda lunga è diventata economicamente
Internet e business
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importante: con le nuove tecnologie è possibile abbattere i costi fissi di raggiungimento, gestione e mantenimento di nicchie di mercato prima commercialmente poco convenienti. Infatti, grazie alla digitalizzazione dei prodotti e allo stoccaggio virtuale dei beni e servizi, le aziende possono offrire una vasta quantità di prodotti online, soddisfacendo così anche i clienti più esigenti. I media tradizionali sono da sempre concentrati sui contenuti più popolari e di massa, Internet invece consente di raggiungere a bassi costi nicchie di mercato più ampie, attraverso: • il web 2.0 e la pubblicazione partecipativa da parte degli utenti; • i motori di ricerca che rendono più facile la ricerca di contenuti di nicchia; • RSS che rende più facile la lettura di contenuti provenienti da siti di nicchia; • La pubblicità contestuale self-service che rende più economico per gli editori supportare il proprio business online con la pubblicità.
La Coda Lunga influenza tutti tre i canali di comunicazione. I motori di ricerca permettono agli utenti di trovare online anche le informazioni più peculiari, questo significa che il modo ottimale per scalare il posizionamento online è investire su chiave articolate e su prodotti di nicchia
Questi fattori hanno portato alla proliferazione di siti internet focalizzati in contenuti, prodotti e servizi molto specifici. Per usare la frase di Jeff Jarvis2: il mercato di massa sta morendo sul potenziale guadagno della “massa di nicchie”. Sembra quindi che il “mercato di massa sta morendo” insieme a tutte le aziende che si focalizzano sui prodotti, servizi e contenuti maggiormente popolari.
i margini di vendita per le trattative in internet che funzionano in modo differente offline. Ad esempio, la stampa dei volumi su domanda, grazie alle nuove tecnologie, può abbattere i costi di produzione a 3$ al pezzo per un massimo di stampa di 1.000 copie. Numeri impensabile per la stampa tradizionale.
Questo cosa significa per le imprese tradizionali? • Le implicazioni per le imprese tradizionali che possiedono un sito internet si possono riassumere in: • catalogo prodotti online: il calcolo della domanda potenziale online non segue più le regole tradizionali. Mostrare online solo i prodotti più venduti o più popolari non è una strategia vincente, perché non coglie le due forti opportunità della rete. Da una parte, online non ci sono costi di stoccaggio e questo permette di poter mettere in catalogo migliaia di beni non ancora in possesso dall’azienda venditrice. Inoltre, in internet sono i potenziali clienti che ricercano l’impresa e l’offerta online, e non viceversa, con un notevole abbattimento di costi di comunicazione. Online, quindi, il catalogo virtuale si trasforma in molteplici siti internet (o mini siti internet) con contenuti specifici per clienti di nicchia. In questo modo, la gestione dell’offerta commerciale online può diventare dispersiva, ma grazie alla tecnologia RSS o di software automatici, i costi di coordinazione sono drasticamente abbattuti. Questo incoraggia la diversificazione di prodotto e la competitività online. In internet, la diversificazione di prodotto rende efficace la comunicazione aziendale e il posizionamento competitivo. L’unico vincolo è la capacità dell’impresa di aiutare i consumatori a trovare, valutare e comprare tra la grande quantità di prodotti offerti. •
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politiche di prezzo: in internet si possono ridurre i costi di acquisizione del cliente, di stoccaggio virtuale dei prodotti, di comunicazione online, ecc… Essi, infatti, sono mediamente inferiori a quelli offline. Questo è particolarmente vero per i prodotti digitalizzabili come per esempio i software, i servizi, ebook, musica, ecc… Ma anche per i prodotti fisici, ci possono essere abbattimenti di costo sulla gestione del cliente online, sul magazzino virtuale ed il just in time. Gli abbattimenti nei costi devono però rispecchiarsi in una diminuzione del prezzo dei prodotti e dei servizi. Online il prezzo è una leva competitiva molto potente e deve essere utilizzata sapientemente dalle aziende, riformulando
farsi trovare online: online la comunicazione pubblicitaria si sviluppa principalmente attraverso i motori di ricerca, la pubblicità online ed il “passa parola”. La Coda Lunga influenza tutti tre i canali di comunicazione. I motori di ricerca permettono agli utenti di trovare online anche le informazioni più peculiari, questo significa che il modo ottimale per scalare il posizionamento online è investire su chiave articolate e su prodotti di nicchia. Ogni pagina del sito web aziendale può possedere così una “parola chiave” di nicchia. La pubblicità attraverso banner e link, invece, non si potrà più solo limitare ai siti più popolari, ma la pubblicità online ha più efficacia se studiata e distribuita con particolare attenzione sui siti internet a contenuti specifici. Infine, il “passa parola” online ha un fortissimo potere moltiplicativo. Dare la possibilità agli utenti di lasciare feedback sui prodotti, consigli e opinioni, permette al proprio sito internet di auto-rinnovarsi nei contenuti.
La “Coda Lunga” Internet sembra quindi aver superato la Legge di Pareto, trovando fondamento e applicazione nella ricerca e nella sperimentazione. Sta diventando comune nel business online e nel mercato dei media (ad es. i canali tematici della televisione via cavo), ma è di particolare rilievo anche per la micro-finanza, il social networking, i modelli di business e il marketing (marketing virale). |
1 Pareto nel 1906 scoprì che il 20% della popolazione italiana possedeva l’80% della ricchezza del Paese. Questa regola, nota come la “ legge del 80/20 di Pareto “ è stata applicata a vari ambiti economici, informatici e umanistici. 2 Jeff Jarvis è un giornalista americano creatore del popolare weblog BuzzMachine
Anderson, C. (2006), The Long Tail, Wired Magazine, 12-10. Brynjolfsson, E.; Hu Y.; and Smith, M.D. (2006) , From niches to riches: Anatomy of the long tail. Sloan Management Review, 47 (4), 67–71.
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Gli effetti della crisi
economia russa
sull’
Un’attenta analisi sul panorama produttivo e fi nanziario di una delle grandi economie mondiali che potrebbe affrontare un 2009 in crescita (ridotta) a dispetto della grave situazione internazionale A cura dell’Ufficio Promos di Mosca in collaborazione con il Centro Studi DIRITTO & ECONOMIA IN RUSSIA E NELLA CSI
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Tra le grandi economie mondiali emergenti, la Russia è da oltre sette anni al terzo posto come dinamica di sviluppo, dopo Cina e India. Nel 2006 il Pil russo è aumentato del 7,4%, nel 2007 dell’8,1 percento. E nella prima metà del 2008, rispetto alla prima metà del 2007, la crescita è stata del 7,5 percento. A partire dall’autunno 2008, la crisi mondiale ha incominciato a farsi sentire anche in Russia, facendo in primo luogo crollare la Borsa (anche se ha un’incidenza sull’economia reale molto minore che in Occidente), per poi riflettersi sulla produzione industriale. In seguito al calo di Borsa e alla fuga di capitali nel luglioagosto 2008 per la crisi nel Caucaso, Standard & Poors il 19 settembre riduceva il rating sovrano della Russia da “positivo” a “stabile”, e poi a “negativo”, l’8 dicembre 2008. Anche Fitch Ratings, il 4 febbraio 2009, ha abbassato il rating russo a BBB. Dal 5,4% a metà anno, la produzione è scesa al 4,9% nei primi dieci mesi, al 3,7% a fine novembre, e al 2,1% a fine anno. La caduta produttiva è stata particolarmente vistosa a novembre, con un calo di oltre il 10% su ottobre e di quasi il 9% rispetto al novembre 2007. Grazie al buon andamento dei primi 7-9 mesi, il Pil russo è comunque riuscito a terminare il 2008 con
Soluzioni Internazionalizzazione per le imprese
un aumento del 5,6% comunque inferiore alle previsioni del 6-6,5% del tardo autunno. La Russia, che mantiene il terzo posto del mondo in termini di riserve valutarie, (erano di 427 miliardi di dollari al 1 gennaio 2009, poi scesi a 382 miliardi fino al 20 febbraio), rimane in buona posizione per fronteggiare la crisi economica e finanziare i settori dell’economia maggiormente in difficoltà. Per un bilancio dell’impatto della crisi sull’industria russa si dovranno attendere i dati del primo trimestre 2009. Nel mese di gennaio varie tra le più grandi aziende russe hanno prolungato le vacanze dei dipendenti. L’industria automobilistica, in particolare il Vaz di Togliatti, ha in pratica fermato le linee di produzione per quasi tutto mese. In altri settori si è avuta una ripresa effettiva di produzione, come il 13% nella metallurgia (e ci si attende un’ulteriore crescita del 30-40% nei mesi di febbraio-marzo, rispetto ai livelli del 2008). Egualmente in ripresa si presentano i settori della chimica e dei fertilizzanti. Anche l’agricoltura registra un +2,6%. Il commercio al minuto, pur in un mese di pausa come gennaio, è comunque riuscito a crescere del 2,4% secondo il Rosstat, e del 5,8% secondo la Banca Centrale. L’industria russa sembra aver già scontato in buona parte nei mesi di novembre e dicembre, anche sul piano psicologico, gli effetti
maggiormente negativi della crisi, ed ha continuato tale adattamento anche in febbraio, in termini di riduzione di personale, tagli delle spese non strettamente necessarie, rinvio di piani di investimento, diminuzione delle scorte a magazzino, etc. A queste tendenze si stanno accompagnando i primi effetti positivi della svalutazione di fatto del rublo di circa il 30% sul paniere dollaro-euro da ottobre 2008 a oggi, e l’imminente revisione del bilancio statale, già anticipata nella sua versione finale il 26 febbraio dal ministro delle Finanze. Il progetto di bilancio prevede un calo del Pil del 2,2% nel 2009 e di oltre il 7% della produzione industriale, con un prezzo medio del petrolio di 41 dollari al barile (rispetto ai 50 dollari e 95 dollari delle prime due successive bozze di bilancio dell’ultimo trimestre 2008), un’inflazione del 13-14%, un tasso di disoccupazione dell’8%, un tasso di cambio medio annuo rublo/dollaro del 35,1 percento. Alcuni economisti ritengono però che se il governo riuscisse effettivamente ad attuare nei prossimi mesi le annunciate misure di stimolo anti-crisi (investimenti nella logisticainfrastrutture, edilizia, agricoltura, difesa, sostegno sociale alla popolazione), il Pil russo potrebbe addirittura crescere del 2-3% entro fine 2009. Nel 2006 il valor del mercato dei beni di consumo in Russia era di 331,9 miliar-
Si prevede un calo del Pil del 2,2% nel 2009 e di oltre il 7% della produzione industriale, con un prezzo medio del petrolio di 41 dollari al barile (rispetto ai 50 dollari e 95 dollari delle prime due successive bozze di bilancio dell’ultimo trimestre 2008), un’inflazione del 13-14%, un tasso di disoccupazione dell’8%, un tasso di cambio medio annuo rublo/dollaro del 35,1 percento
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di di dollari; nel 2007 ha raggiunto i 421,8 miliardi di dollari; nel 2008 ha superato i 558 miliardi di dollari (al cambio medio dell’anno). La crisi provocherà un rallentamento temporaneo dello sviluppo del potere di acquisto della popolazione russa, anche se sarà limitato alla fascia media e media-inferiore, e dovrebbe venir superato già nel 2010.
impegni all’esportazione, ma anche della domanda interna, rischia in futuro un deficit energetico, qualora non investa in tempi adeguati, sia nella prospezione, sia nello sviluppo dei suoi grandi nuovi giacimenti, che si trovano però in regioni climaticamente difficili e quasi prive delle infrastrutture necessarie.
Trend principali settori nel 2008 Nel 2008 rispetto al 2007, la produzione industriale è aumentata del 2,1% a causa del brusco rallentamento nel quarto trimestre. Al suo interno l’industria manifatturiera ha avuto un aumento del 3,2 percento. Il maggiore aumento lo si è avuto nella produzione di materie plastiche (+12,5%), di mezzi di trasporto (+9,5%), in quella di macchinari e impianti (+4,0%), nella produzione del carbon coke e di prodotti petrolchimici (+2,7). Inferiore alla media, ma comunque in aumento è la produzione di pelletteria e calzature (+1,7%), il settore lavorazione del legno e prodotti del legno (+1,4%) e la produzione alimentare (+1,1%). In negativo l’industria metallurgica (-0,2%), quella chimica (-4,2%) e il tessile e abbigliamento (-4,5%). La produzione di elettrotecnica, elettronica e ottica ha segnato il maggior calo rispetto al 2008, -7,9 percento.
Interscambio commerciale Nel 2008 l’interscambio complessivo è salito a 734,991 miliardi di dollari (+33,2%).
L’estrazione e lavorazione di materie prime ha un andamento sempre più ridotto e nel 2008 è aumentata solo dello 0,2%, mentre la produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua è salita da -0,2% nel 2007 a +1,4 percento.
Il commercio Italia – Russia Le relazioni commerciali tra Italia e Russia sono particolarmente intense. • Nel 2005 le esportazioni italiane in Russia sono cresciute del 22,4% arrivando a 6.075 milioni di euro. L’import ha registrato un aumento del 20,5% arrivando a 11.704 milioni di euro. • Nel 2006 l’export italiano è aumentato del 25,7% rispetto al 2005,
La Russia, pur rimanendo il maggior produttore mondiale di gas naturale e ai primi posti come produttore di petrolio, tenendo conto dei suoi 80
• • •
Esportazioni: 468,073 miliardi di dollari (+33%) Importazioni: 266,918 miliardi di dollari (+33,6%) Saldo attivo: 201,155 miliardi di dollari.
Specie dopo il 2005, il boom economico-industriale e dei consumi ha provocato una forte crescita delle importazioni di macchine e impianti per l’ammodernamento produttivo, nonché di beni di consumo di qualità per l’aumento del potere di acquisto della classe media, mentre le produzione interna russa non riusciva a soddisfare la domanda crescente.
Nel 2008 rispetto al 2007, la produzione industriale è aumentata del 2,1% a causa del brusco rallentamento nel quarto trimestre. Al suo interno l’industria manifatturiera ha avuto un aumento del 3,2 percento. Il maggiore aumento lo si è avuto nella produzione di materie plastiche (+12,5%), di mezzi di trasporto (+9,5%), in quella di macchinari e impianti (+4,0%), nella produzione del carbon coke e di prodotti petrolchimici (+2,7). Inferiore alla media, ma comunque in aumento è la produzione di pelletteria e calzature (+1,7%), il settore lavorazione del legno e prodotti del legno (+1,4%) e la produzione alimentare (+1,1%)
italiane in Russia nel 2008 continuano ad averla i prodotti della industria manifatturiera (10.365 milioni di euro): • 30,9% macchine e apparecchi meccanici • 15,8% prodotti della industria tessile e abbigliamento • 8,0% per i mobili • 7,5% cuoio e prodotti in cuoio • 7,0% metalli e prodotti in metallo.
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raggiungendo i 7.639 milioni di euro. L’import è cresciuto del 16,1%, specie per la dipendenza energetica dell’Italia, fino a 13.591 milioni di euro. Nel 2007 l’export italiano è ancora aumentato rispetto al 2006 del 25,3%, raggiungendo 9.577 milioni di euro. L’import è salito a 14.354 milioni di euro (+5,6%). Nel 2008 le esportazioni italiane in Russia sono aumentate del 9,3% (contro il 25,3% del 2007) arrivando a 10.470 milioni di euro. Le importazioni italiane, soprattutto di energia russa, sono cresciute del 12%, arrivando a 16.085 milioni di euro.
Per quanto riguarda la struttura delle nostre esportazioni, la prevalenza va sempre ai macchinari e impianti, seguiti dai mobili e poi dall’abbigliamento, mentre le esportazioni di prodotti alimentari, in primo luogo vini, occupano una quota ancora relativamente modesta, e suscettibile di notevoli miglioramenti, peraltro già parzialmente in corso. La maggiore incidenza sulle esportazioni
Sesta è la voce apparecchi elettrici di precisione con 652,045 milioni di euro e una incidenza del 6,2 percento. La settima voce sono i mezzi di trasporto con 587,2 milioni di euro e una incidenza del 5,6%, vengono poi i prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali con 531,7 milioni di euro e una incidenza del 5,1 percento. I prodotti alimentari, compresi tabacco e bevande con 352,9 milioni di euro e una incidenza del 3,4% sono al nono posto. Gli alimentari sono seguiti dai prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi con 317,9 milioni di euro e il 3,0% del totale. Undicesima voce è quella di articoli in gomma e materie plastiche con 231,4 milioni di euro e un incidenza pari al 2,2 percento. Seguono carta e prodotti di carta, stampa ed editoria con 143,0 milioni di euro (1,4%), legno e prodotti in legno (esclusi i mobili) con 97,2 milioni di euro e una incidenza dello 0,9 percento. I prodotti agricoli con 94,3 milioni di euro hanno anche essi una incidenza dello 0,9% e sono la quattordicesima voce; quindicesima sono i prodotti petroliferi raffinati con 24,4 milioni di euro e lo 0,2% del totale.
Sulle importazioni italiane, pari nel 2008 a 16.085 milioni di euro, la maggiore incidenza, 71,2%, continuano ad averla i minerali energetici con 11.452 milioni di euro. Vengono poi i prodotti della industria manifatturiera con 4.449 milioni di euro (27,7%); all’interno di questa voce i metalli e prodotti in metallo con 2.123 milioni di euro hanno una incidenza sul totale pari al 13,2%, mentre i prodotti petroliferi raffinati con 1.606 milioni di euro ne hanno una del 10,0 percento. Gli investimenti stranieri complessivi: • nel 2006 crescono del 2,7%, fino a 55,1 miliardi di dollari • nel 2007 sono più che raddoppiati rispetto al 2006 e hanno raggiunto i 120,9 miliardi di dollari • nel 2008 arrivano a 103,7 miliardi, diminuendo del 14,2% rispetto al 2007. La tendenza alla crescita degli investimenti, malgrado il significativo calo nel 2008, è destinata comunque a riprendere in una prospettiva di fine 2009-2010, una volta superata la crisi. L’entità degli investimenti esteri è infatti ancora relativamente modesta in rapporto al vero potenziale e agli obiettivi di crescita dell’economia russa. |
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