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Segnali dal clima

Rosso come la neve

Le alghe abbondano anche sulla neve e sui ghiacciai, dove possono produrre effetti cromatici sorprendenti. Un progetto francese si ripromette di svelarne i segreti

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a cura di Mario Vianelli

Accade sempre più spesso che la neve non sia bianca, e non soltanto per il pulviscolo sahariano che raggiunge le Alpi spingendosi talvolta ancora più a nord. La “neve rossa” che l’estate scorsa ha occupato i titoli dei media, e che anche quest’anno ha fatto la sua comparsa in molte località, è provocata da “fioriture” algali che si sviluppano in condizioni ambientali a dir poco difficili: sembra impossibile che vi siano organismi che sopportano di vivere sul ghiaccio e sulla neve, esposti agli sbalzi termici e all’estrema insolazione. Eppure ci sono e prosperano. La neve rossa è conosciuta fin dall’antichità, ma le prime segnalazioni moderne risalgono al 1818, quando la spedizione polare guidata da John Ross si imbatté, lungo le coste nord occidentali della Groenlandia, in lingue nevose vistosamente colorate di un’inquietante tonalità sanguigna. Erano anni di grandi esplorazioni, la ricerca del passaggio a nord ovest catturava l’attenzione del pubblico e le notizie da terre remote e sconosciute comparivano sulle prime pagine dei giornali. Il Times riportò che «Sir John Ross non ha visto cadere la neve rossa; ma ne vide larghi tratti sparsi. Il colore dei campi di neve non era uniforme; ma, al contrario, c’erano macchie o striature più o meno rosse e di varie profondità di tinta. Il liquore, o neve sciolta, è di un rosso così scuro da somigliare al vino porto rosso. Si afferma che il liquore deposita un sedimento; e che la domanda non ha risposta, se quel sedimento è di natura animale o vegetale”. Campioni vennero analizzati da diversi scienziati, con risultati discordanti; soltanto Robert Brown, lo scopritore del moto browniano, ebbe la felice intuizione di trovarsi in presenza di una proliferazione di alghe unicellulari, ipotesi pienamente accettata soltanto un secolo dopo. La descrizione della specie, chiamata Chlamydomonas nivalis, era però soltanto il primo passo verso la sua conoscenza, anche per la sua notevole variabilità e per la difficoltà di studiarne in natura il ciclo vitale. Ulteriori ricerche hanno evidenziato che il colore, cangiante dal verde pallido al rosso intenso, è determinato dalla concentrazione di carotenoidi, pigmenti che la cellula produce come difesa dall’irraggiamento ultravioletto. E proprio sugli effetti della colorazione si concentrano gli studi più recenti: la neve “colorata” ha infatti un’albedo minore di quella bianca, quindi assorbe maggiormente la radiazione solare e contribuisce a fondere la neve, si stima attorno al 13-17% in più nell’arco della stagione estiva. Per colmare le numerose lacune nel campo delle microalghe alpine è stato avviato nel 2017 il progetto “AlpAlga”: biologi, ecologi e glaciologi di diverse istituzioni francesi consorziati per studiare i campioni raccolti in diversi siti delle Alpi francesi fra i 1000 e i 3200 metri. Grazie al sequenziamento genetico sarà possibile comprendere la varietà dei microorganismi nivali, ancora in gran parte sconosciuti, e la loro importanza nell’ecosistema alpino, dove occupano il primo anello della catena trofica creando materia organica dalla CO2 atmosferica. E studiando negli anni lo sviluppo delle fioriture sarà forse possibile capire la reale portata del meccanismo innescato dai cambiamenti climatici in atto: una maggiore concentrazione di CO2 e alte temperature favoriscono infatti la proliferazione algale che a sua volta aumenta lo scioglimento della neve, in un circolo che è soltanto uno dei tanti sintomi delle trasformazioni che stiamo vivendo.

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