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Segnali dal clima | La seconda vita della Grande Muraglia Verde

Nuovi stanziamenti di fondi garantiscono lo sviluppo del gigantesco progetto di rinverdimento del Sahel

Abituati come siamo al quotidiano bombardamento di notizie allarmanti riguardanti l’ambiente e il clima, tendiamo a trascurare l’importanza delle “buone notizie” che per fortuna ci sono. È il caso della Grande Muraglia Verde, il colossale progetto di rinverdimento che una volta ultimato attraverserà tutto il Sahel dal Senegal a Gibuti, interessando direttamente 11 Paesi. Lanciata nel 2007 su iniziativa dell’Unione Africana, l’opera originaria si proponeva di creare una fascia di vegetazione a sud del Sahara, ma sta rapidamente evolvendo verso un programma integrato e multidisciplinare di sviluppo delle zone rurali e di rafforzamento degli ecosistemi, trasformazione che sarà sicuramente aiutata dalla Great Green Wall Accelerator Initiative, un recente finanziamento di 14,3 miliardi di dollari stanziati da donatori internazionali come l’Unione Europea, la Banca Mondiale e diverse agenzie dell’Onu. La Grande Muraglia Verde è la più vasta opera di ripristino ambientale che sia mai stata tentata e il suo valore trascende quello dei benefici materiali che ne deriveranno. Sul sito ufficiale dell’iniziativa (greatgreenwall.org) si legge: «La Grande Muraglia Verde non è solo per il Sahel. È un simbolo globale per l’umanità che supera la sua più grande minaccia, il nostro ambiente mutevole. Ci dimostra che se possiamo lavorare con la natura, anche in posti impegnativi come il Sahel, possiamo superare le avversità e costruire un mondo migliore per le generazioni future». Il Sahel è una regione molto povera e colpita da ricorrenti siccità che alterano il ciclo delle già scarse piogge; nella seconda metà del secolo scorso il protrarsi di periodi siccitosi portò a un rapido dissesto ambientale, con l’avvio di processi di desertificazione che parevano inarrestabili. La popolazione, quasi ovunque scarsa ma in rapido aumento, è suddivisa fra etnie pastorali nomadi e agricoltori sedentari, spesso in conflitto fra loro ma ugualmente sensibili ai cambiamenti ambientali, ed è soggetta a una precarietà alimentare endemica, con annate di penuria e vere e proprie carestie. La creazione di una barriera arborea non ha perciò soltanto lo scopo di arginare l’“avanzata” del deserto e di indurre un aumento della piovosità su scala locale, ma anche di fornire posti di lavoro, legname, foraggio e terreni coltivabili, cercando, in ultima analisi, di fornire maggiore sicurezza ambientale e alimentare e di limitare l’emigrazione. Per raggiungere tali scopi il progetto iniziale di rimboschire una striscia continua lunga 8.000 chilometri per 15 di larghezza si va modificando in un mosaico discontinuo con maggiore densità attorno ai villaggi e nelle zone più fertili e popolate. Si è infatti riscontrato che in tal modo, coinvolgendo le popolazioni nella difesa e nella cura delle piante, i risultati sono più sicuri e persistenti; nelle regioni più remote e ostili, dove manca una sorveglianza efficace, il tasso di sopravvivenza degli alberi è appena del 20% anche utilizzando varietà di acacie particolarmente rustiche e resistenti all'aridità. Nonostante gli sforzi e gli innegabili successi locali, la Grande Muraglia Verde avanza lentamente e attualmente può dirsi realizzata in appena il 15% della superficie preventivata, con i migliori risultati ottenuti in Nigeria e in Etiopia, rispettivamente con 5 e 15 milioni di ettari rinverditi. I fondi stanziati con Great Green Wall Accelerator Initiative dovranno essere impiegati entro il 2025 e, sicuramente, contribuiranno al progredire dei lavori verso l’ambizioso traguardo dei 100 milioni di ettari ripristinati con la creazione di 10 milioni di posti di lavoro.

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