
4 minute read
Peak&tip
Comunità sorgive
di Luca Calzolari*
Advertisement
Afine ottobre a Ostana, in Valle Po, al cospetto del Re di Pietra, erano in tanti. Tra i convenuti, c’erano ‘i Rais’ di Dossena in Val Brembana. La loro è una delle tante belle storie che la montagna sa regalarci. Vale la pena di raccontarla. In paese mancava uno spazio dove i giovani potessero stare insieme e fare festa. Un gruppo di ragazzi e ragazze poco più che maggiorenni e particolarmente sensibili alla questione presero in mano la situazione: crearono un gruppo giovani e iniziarono a organizzare feste. Poi scoprirono che a Dossena, oltre che fare feste, volevano anche viverci. E così una sera del 2016 in piedi davanti al piazzale della chiesa decisero che era giunto il momento di fare un passo in avanti. È lì, su quel piazzale, che nacque “i Raìs”, che in dialetto bergamasco significa ‘le radici’, quelle che - scrivono sul sito - “ci hanno permesso di diventare chi siamo”. La cooperativa - dieci giovani dell’età media di 22 anni - per prima cosa aprì un pub, e nel tempo arrivò a occuparsi del verde pubblico, del servizio mensa nelle scuole e di una trattoria. Un’altra storia interessante è quella degli Antagonisti di Melle, un paesino di 280 anime in Val Varaita (CN). Qualche anno addietro gli Antagonisti, due persone con lo stesso sogno, hanno sfidato la convinzione che fosse impossibile fare impresa in un paesino della valle. Si sono rimboccati le maniche e hanno creato un birrificio e un ostello, in cui oggi lavorano diverse ragazze e ragazzi. La Cascina Barbàn, è un progetto contadino di due famiglie, che si definisce «un tentativo, un collettivo». Hanno recuperato una cascina in una borgata in pietra del 1700, abbandonata da tempo. La cascina si trova in un pianoro dell’Alta Val Borbera. E lì oggi producono vino. Scegliere di vivere e lavorare in montagna – afferma Maurizio Carucci – significa «essere nel luogo giusto per ridisegnare le proprie priorità». All’incontro piemontese c’erano pure i Briganti di Cerreto, storica cooperativa di comunità dell’Appennino reggiano, i Borghi Sparsi di Serra Riccò in Liguria e, per quanto riguarda il Piemonte, la Valle dell’Eco di Paesana, la cooperativa agricola il Frutto permesso di Bibiana, la Cooperativa sociale Franco Centro di Mondovì, e Borgata Parloup di Rittana, in Valle Stura. E poi, va da sé, c’erano i padroni di casa. «È stato un primo passo per mettere insieme esperienze diverse e distanti, ma tutte convinte che là dove c’è un “limite” le energie si uniscono per provare a innescare un cambiamento», afferma Federico Bernini di Viso a Viso, la cooperativa di Ostana organizzatrice con Confcooperative di Cuneo di questo incontro-confronto tra cooperative e imprese di comunità, significativamente intitolato Convers.azioni. Una due-giorni in cui abbiamo ascoltato il racconto in prima persona di tante esperienze di cooperazione comunitaria. Realtà fatte principalmente di giovani che hanno deciso di vivere e fare impresa in montagna. È stata una specie di immersione in un pezzo di avvenire delle Terre alte. Sì, avvenire. Perché se qualcosa è chiaro, è proprio che tutte queste esperienze sono partite da una volontà di vita che si è trasformata in un progetto socioculturale e d’impresa che guarda al lungo periodo. E quindi si tratta di futuro progettato. Che, per essere realizzato, raccontano i protagonisti, ha avuto bisogno di una dose di iniziale follia e di un po’ di audacia. E il successo di queste esperienze di cooperazione comunitaria è maggiore quando a comprenderne la portata sono sindaci lungimiranti che poi le supportano con convinzione. E lì, sotto il Monviso, di questi sindaci ne abbiamo incontrati tre: Fabio Bonzi di Dossena, Angela Negri di Serra Riccò e la prima cittadina del piccolo borgo della Valle Po, Silvia Rovere. L’occasione non è servita solo per riconoscersi e condividere gioie e successi, a Ostana si è fatto sul serio. Non ci si è nascosti difficoltà e insuccessi. Qualcuno ha messo sul tavolo la situazione difficile in cui oggi si dibatte, con la disillusione di non avere trovato nel proprio territorio il sostegno immaginato; qualcun altro ha raccontato delle difficoltà di relazione con i paesani, dovute a punti di vista differenti, che talvolta si sono trasformate in temporanee battute d’arresto del progetto comunitario. Difficoltà che fanno parte di ogni comunità viva. Insomma si è discusso di montagna e di vita concreta, con la consapevolezza che si cresce solo se lo si fa insieme. Che bello. Da un’intervista su Robinson di Repubblica, prendo a prestito una suggestione racchiusa nel titolo (e nelle parole) di un saggio della filosofa Adriana Cavarero: quella di “democrazia sorgiva” che “rende bene il suo aspetto generativo” e “privilegia il confronto e la comprensione”. E allora costruire spazi di relazione e di cooperazione di comunità in montagna è dare corso a un’idea di una nuova “democrazia sorgiva”. È un pensiero che spiega bene un processo in cui le persone contano dove «le biografie individuali diventano comuni» e si «possono desiderare i luoghi come si vorrebbe che fossero» e, soprattutto «si può osare il costruirli», come ha sottolineato Giovanni Teneggi, direttore di Confcooperative di Reggio Emilia e anima culturale della cooperazione di comunità, nel suo intervento a chiusura della due-giorni ostanese. E così, da queste e altre esperienze di cooperazione comunitaria, le comunità residuali possono trasformarsi in comunità sorgive.
* Direttore Montagne360