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Geodiversità | Quella roccia che suona

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La Selva del Lamone è impostata su un’enorme distesa di blocchi di lava. Qui, infatti, le colate laviche provenienti dal vicino vulcano di Latera hanno subìto un fenomeno di fratturazione, creando un paesaggio suggestivo con dossi e depressioni. La Rosa Crepante è la più grande e meglio conservata tra queste forme

testo e foto di Diego Mantero, Dario Mancinella e Maurizio Testardi*

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La Riserva Naturale Regionale Selva del Lamone, estesa per oltre 2000 ettari, tutela gran parte di una foresta planiziale tra le meglio conservate in ambito medio tirrenico. Istituita con Legge Regionale n. 45 del 1994, l’area protetta occupa una porzione dell’estremo Nord-Ovest del Lazio: un lembo dell’alta Tuscia nel comune di Farnese, ai confini con la Toscana nonché parte di quella regione definibile geograficamente come Maremma Tosco-Laziale, di particolare pregio naturalistico e paesaggistico. La storia della Selva del Lamone si compenetra con la storia dell’uomo, degli usi del suolo, delle vicende che si sono succedute in questo territorio aspro e difficile, sin dalla preistoria e fino ai giorni nostri.

LA FRATTURAZIONE E IL PAESAGGIO

L’intera Selva del Lamone è impostata su di un plateau lavico leggermente inclinato e originato dal vulcano di Latera, centro eruttivo ed effusivo posto sul margine occidentale del Distretto vulcanico Vulsino. La fase a cui viene ricondotta la maggior parte delle lave del Lamone risale al periodo finale dell’attività di Latera, compreso tra i 158mila e i 145mila anni fa, quando un’imponente attività effusiva determinò la fuoriuscita di una colata lavica spessa localmente oltre quaranta metri. Dal punto di vista della sua composizione chimica, questa lava è detta dai geologi “fonolite tefritica”, a indicare una roccia povera in silice e che, quando viene spezzata con un colpo di martello, emette un rumore netto (fonolite appunto: roccia che suona).

La lava del Lamone ha però dato luogo a un fenomeno particolare: tutte le colate laviche, infatti, terminata l’attività eruttiva che le ha emesse, iniziano a raffreddarsi lentamente, contraendosi (cioè diminuendo di volume) e di conseguenza fratturandosi in più punti. Nelle lave del Lamone il processo di contrazione da raffreddamento è stato estremo e la colata si è fratturata in maniera pervasiva. Si sono quindi creati numerosissimi massi che, erosi dagli agenti atmosferici, hanno originato l’attuale paesaggio: un’enorme distesa di massi irregolari coperti di muschio sulla quale si è impostata un’estesa foresta. Le difficili condizioni del suolo, la cui scarsità non permette agli alberi di svilupparsi pienamente, conferiscono alla Selva del Lamone un particolare fascino che ne ha determinato nei secoli anche la salvezza. I territori circostanti, infatti, sono stati estesamente disboscati e adibiti ad uso agricolo. Il Lamone invece, completamente roccioso e impossibile da coltivare, è rimasto intatto fino ai nostri giorni.

il Fiume Olpeta, tributario del Fiora, si genera dal lago di Mezzano e scorre sulle lave più antiche della zona

MURCE E PILE, OVVERO VUOTI E PIENI

Nella selva, però, sono presenti altri due fenomeni molto particolari, che nel dialetto locale vengono indicati col nome di “murce” e “pile”. Le murce si originano da lave viscose che, una volta eruttate, invece di scorrere formano delle collinette dette “domi” le quali, fratturandosi per contrazione da raffreddamento secondo il processo descritto in precedenza, originano degli enormi cumuli di massi. Le pile, invece, sono delle depressioni del terreno, anch’esse ricoperte di massi e originate molto probabilmente dal crollo di cavità sotterranee. Tali cavità sono quasi certamente costituite da grotte di scorrimento lavico, ampliate dalle acque di deflusso del sottosuolo. Del resto, la presenza diffusa nel sottosuolo della Selva di cavità sotterranee è testimoniata dalla colata di Voltamacine. In quest’area del Lamone, infatti, in corrispondenza di forti piogge o immediatamente dopo di esse, si ascolta un continuo rumore di massi che rotolano, anche se in superficie non si nota alcun movimento. Il rotolamento è reale, ma avviene sottoterra in cavità di scorrimento lavico a opera delle acque di deflusso. La “pila” più grande e più bella della Selva del Lamone è la Rosa Crepante: un’enorme depressione imbutiforme che si sviluppa in una radura, ricoperta di massi e circondata dalla foresta. Per le sue caratteristiche, nel passato è stata rifugio dei briganti che imperversavano nell’alta Tuscia e che spesso si nascondevano nei solitari anfratti della selva. La Rosa Crepante costituisce la meta dell’escursione proposta, ma certamente non l’unico motivo di interesse geologico, naturalistico e storico di questo isolato e affascinante pezzetto d’Italia.

SCHEDA

Nome geosito: Depressione vulcanica della Rosa Crepante

Regione: Lazio

Descrizione: depressione imbutiforme dovuta probabilmente al collasso di un tubo di lava sottostante e ricoperta di massi originati da contrazione pervasiva per raffreddamento della colata.

Tematica scientifica: vulcanologia, geomorfologia

Accessibilità: da Farnese si percorre la strada verso Pitigliano e, dopo circa 3 km, si svolta a destra raggiungendo l’ingresso n. 5 della Riserva Naturale Regionale Selva del Lamone: “Campo della Villa”. Dopo altri 2 km circa di strada si raggiunge la radura di Roppozzo dove, al bordo della staccionata, si parcheggia l’automobile. Si percorre a piedi il sentiero n. 4 che conduce al sito di Rosa crepante, indicato da un cartello apposito. Lo stesso sentiero, poi, prosegue descrivendo un anello che riconduce alla strada interna principale passando dal Lacione della Mignattara.

Link: www.parchilazio.it/Selvadellamone

la sorgente mineralizzata nella Valle dell’Olpeta; il colore arancione è dovuto alla deposizione di ossidi di ferro e manganese

IL BRIGANTAGGIO

Il passaggio dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia fu, come noto, un periodo estremamente dinamico, problematico e traumatico. L’area della selva, per la posizione di confine, per la configurazione selvaggia dei luoghi e per la bassa demografia ben si prestava a dar rifugio a bande più o meno organizzate che operavano nella maremma Tosco - Laziale. Il Lamone, proprio per la sostanziale impraticabilità, divenne un luogo preferenziale in particolare per una banda capeggiata da Domenico Biagini detto “il Curato” e da Domenico Tiburzi noto con più appellativi, come “Domenichino” o il più eloquente “Livellatore”. Dal 1867 al 1896, anno in cui venne ucciso dai carabinieri in località Casale Le Forane, presso Capalbio, Tiburzi e la sua banda spadroneggiarono nell’area, caratterizzandosi per l’ambiguità delle gesta tipica di questo periodo di riassestamento politico e sociale. Azioni alla Robin Hood, infatti, si associarono a comportamenti di vero e proprio banditismo come estorsioni, omicidi e abigeato, in un crescendo estremamente violento durante un periodo di drammatiche sperequazioni economiche tra latifondisti, mezzadri, braccianti e mandriani.

sistema difensivo costituito da muraglione a secco e aggere dell’insediamento fortificato Tardo Etrusco di Rofalco

UNA VISITA AL LAMONE

Visitare la Riserva Naturale Regionale Selva del Lamone rappresenta un’esperienza unica per il paesaggio assolutamente peculiare; per comprendere e conoscere al meglio la biodiversità, la geologia, il paesaggio storico con i siti archeologici e i luoghi della memoria legati alle vicende del brigantaggio e agli episodi della Seconda guerra mondiale, consigliamo di rivolgersi al personale guardiaparco dell’area protetta, che fornirà tutte le indicazioni utili alla visita, offrendo eventualmente un servizio di visite guidate. La sede della Riserva si trova in Località Bottino snc, 01010 Farnese (VT); tel. 0761 458861; e-mail: rnSelvalamone@regione.lazio.it.

* Regione Lazio – Dir. Reg. Ambiente – Area Geodiversità e Monumenti Naturali

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