Montagne360 | Febbraio 2022

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GEODIVERSITÀ

Quella roccia che suona La Selva del Lamone è impostata su un’enorme distesa di blocchi di lava. Qui, infatti, le colate laviche provenienti dal vicino vulcano di Latera hanno subìto un fenomeno di fratturazione, creando un paesaggio suggestivo con dossi e depressioni. La Rosa Crepante è la più grande e meglio conservata tra queste forme testo e foto di Diego Mantero, Dario Mancinella e Maurizio Testardi*

L

a Riserva Naturale Regionale Selva del Lamone, estesa per oltre 2000 ettari, tutela gran parte di una foresta planiziale tra le meglio conservate in ambito medio tirrenico. Istituita con Legge Regionale n. 45 del 1994, l’area protetta occupa una porzione dell’estremo Nord-Ovest del Lazio: un lembo dell’alta Tuscia nel comune di Farnese, ai confini con la Toscana nonché parte di quella regione definibile geograficamente come Maremma Tosco-Laziale, di particolare pregio naturalistico e paesaggistico. La storia della Selva del Lamone si compenetra con la storia dell’uomo, degli usi del suolo, delle vicende che si sono succedute in questo territorio aspro e difficile, sin dalla preistoria e fino ai giorni nostri.

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LA FRATTURAZIONE E IL PAESAGGIO L’intera Selva del Lamone è impostata su di un plateau lavico leggermente inclinato e originato dal vulcano di Latera, centro eruttivo ed effusivo posto sul margine occidentale del Distretto vulcanico Vulsino. La fase a cui viene ricondotta la maggior parte delle lave del Lamone risale al periodo finale dell’attività di Latera, compreso tra i 158mila e i 145mila anni fa, quando un’imponente attività effusiva determinò la fuoriuscita di una colata lavica spessa localmente oltre quaranta metri. Dal punto di vista della sua composizione chimica, questa lava è detta dai geologi “fonolite tefritica”, a indicare una roccia povera in silice e che, quando viene spezzata con un colpo di martello, emette un rumore netto (fonolite appunto: roccia che suona).


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