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Storie di montagna | Piccoli grani crescono
Nel cuore dell’Alto Mugello, in Toscana, la riscoperta e la rivisitazione di un antico cereale come il farro ha stimolato l’agricoltura del territorio
di Ciro Gardi (foto Poggio del Farro)
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Pressapoco a metà strada tra Bologna e Firenze, sulla statale della Futa, si trova il Covigliaio, una frazione del Comune di Firenzuola che, come molte altre località dell’Appennino, sta vivendo un parziale recupero della frequentazione turistica, lontanissimo tuttavia dai fasti dei decenni passati. E nell’alta Valle del Santerno, all’ombra di Monte Beni e del Sasso di Castro, è interessante comprendere il piccolo “miracolo economico” determinato dalla riscoperta di un antico cereale: il farro.
LA RINASCITA DI UN CEREALE ANTICO
Il farro è stato una delle prime colture addomesticate dall’uomo ed è il progenitore del frumento. La sua origine risiede nelle aree corrispondenti all’attuale Turchia e al Medio-Oriente, dove fu coltivato per la prima volta 14mila anni prima di Cristo. Vengono riconosciuti tre tipi di farro: il farro piccolo (Triticum monococcum), il medio (Triticum dicoccum) e il grande (Triticum spelta). Questo antenato dei nostri attuali “grani” (tenero e duro), cedette progressivamente terreno al frumento tenero (Triticum aestivum), e continuò a essere coltivato solo in aree marginali, prevalentemente montane, e su superfici più ridotte. In Italia, la Garfagnana ha costituito per molto tempo uno dei nuclei di conservazione di questo cereale, arrivando a costituire una denominazione di origine. Prima che la zuppa di farro divenisse un’abitudine salutista, reperibile sugli scaffali di tutti i supermercati, questo piatto delizioso è stata una delle specialità della Garfagnana, e più in generale, della Lucchesia. Il farro è un cereale rustico che ben si adatta ai terreni argillosi e ricchi di scheletro come quelli di questa parte dell’Appennino e, non richiedendo diserbo o input elevati, si presta alla coltivazione biologica.
LA TRADIZIONE DIVENTA IMPRESA
Spesso le buone idee nascono dalle situazioni più imprevedibili. È questo il caso dell’idea generatrice di quello che diventerà il Poggio del Farro, nato dalle conversazioni tra due buoni amici: Piero Galeotti e Narciso Latini. Agricoltore nell’Alto Mugello il primo e famoso cuoco e ristoratore di Firenze il secondo. Il Galeotti, che era anche presidente della Cooperativa Agricola di Firenzuola, riforniva di carne il Latini e alle volte si tratteneva per pranzare e scambiare quattro chiacchiere con l’amico fiorentino. Il Latini, che tra i piatti fissi del menù aveva ribollita, pappa al pomodoro e zuppa di farro, chiede al Galeotti perchè non provasse a coltivare il farro, in modo da poter rifornire il ristorante. Questa idea resta impressa nella mente di Piero Galeotti, che nel 1999 realizza il primo raccolto. All’inizio furono 2000 quintali di farro, lavorati in azienda e venduti in sacchetti da 500 grammi di cereale decorticato. Nel frattempo Federico, il figlio di Piero, da poco laureato in agraria, si trova proiettato in un sistema in cui deve curare i contatti con i responsabili degli acquisti delle catene della grande distribuzione. Già, perchè 2000 quintali sono comunque una quantità importante, che non può essere assorbita da uno o pochi ristoranti. All’inizio fu una catena di distribuzione che ben presto propose all’azienda di affiancare altri prodotti al farro. Ma la determinazione di Federico era quella di puntare tutto su questo antico cereale, poco conosciuto dal pubblico, differenziando la gamma di prodotti. L’intuizione si dimostra vincente, la gamma di prodotti a base di farro viene ampliata e in poco tempo il Poggio del Farro diventa l’azienda di riferimento per la produzione e commercializzazione di alimenti derivati da questo cereale. Attualmente la produzione si attesta su 40.000 quintali, prodotti su una superficie di 1700 ettari distribuiti tra Alto Mugello, Appennino Tosco-Emiliano e altre aree della Toscana. Sono più di 60 i prodotti a base di farro realizzati e commercializzati dall’azienda di Galeotti.
LA VITALITÀ RURALE DELL’APPENNINO
Questo è un esempio davvero virtuoso, una dimostrazione di come la “buona imprenditoria” possa essere un catalizzatore di sviluppo e, in questo caso, di sviluppo pienamente sostenibile, anche per le aree montane del nostro paese. Il Poggio del Farro oltre a dare lavoro direttamente a venti persone, ha rinnovato e stimolato la produzione agricola in molte aree appenniniche e dell’Italia interna. E, anche per l’approvvigionamento di alcune delle materie prime che integrano il farro nei diversi prodotti, l’azienda cerca di privilegiare le produzioni del territorio. Questo territorio, il Comune di Firenzuola (piccolo comune di 4500 abitanti che fa parte della Città metropolitana di Firenze), è caratterizzato da una notevole “vitalità rurale”. Storie analoghe a questa, ma anche di persone che hanno deciso di lasciare la città e trasferirsi qui per diventare imprenditori agricoli, sono frequenti. Gli esempi vanno dall’apicoltura alla produzione di formaggi vaccini, di pecora e di capra, dal pane e prodotti da forno al castagno e prodotti derivati. Le ragioni sono da ricercare nell’integrità del territorio, nella capacità di conciliare la tutela dell’ambiente con il mantenimento di attività economiche, anche se su questo equilibrio incombono alcune minacce, rappresentate da scelte apparentemente incomprensibili, come quella di localizzare o riattivare una discarica in una delle valli più incontaminate di questa parte di Appennino.