Massimo Cremagnani
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ManifestoAmplificatodell’ArteDigitaleFigurativa
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Intro
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Prequel
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Manifesto dell’Arte Digitale [SPECCHIO]
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Revelation
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Poster, Chiave di lettura & Postilla
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Manifesto Amplificato dell’Arte Digitale Figurativa
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Assunto - La Formula Definitiva
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Dell’Arte: Il Potere del Virtuale
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Dell’Arte: L’unicità del Riproducibile
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Dell’Arte: L’Esigenza del Bello Artistico
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Dell’Artista: La Pratica dell’Alchimia
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Dell’Artista: La Metafisica dell’Iter Creativo
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Dell’Artista: La Perpetuazione della Ricerca
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Dell’Intorno: La Presa di Contemporaneità
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Dell’Intorno: La Negazione della Superficialità
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Dell’Intorno: Il Rifiuto della Simulazione
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In Fede...
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Nota Biografica
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Il caos ha bisogno di regole. È consuetudine che le Avanguardie Artistiche si presentino al mondo tramite una più o meno complessa chiave di lettura, un documento di identificazione in cui siano enunciati senza fronzoli lo spirito, le motivazioni, l’atteggiamento e gli obiettivi preposti. Questo documento è definito “Manifesto”. Il manifestismo, se mi è permessa questa definizione, è parte delle avanguardie quanto le loro opere e il loro spirito. Ne racchiude il lato comunicativo, diretto ma più descrittivo rispetto all’opera figurativa o poetica (oppure, nuovamente, multimediale), mantenendo gli ideali nella forma e nell’intenzione. Un Manifesto è un po’ come un canovaccio redatto con stile autoreferenziale, uno spunto generale per chi segue attivamente o passivamente i princìpi del movimento. Ma è anche un fulcro ideologico per chi ha iniziato o intende continuare la ricerca in questione. Talvolta è una sintesi, più spesso apre le porte a diversi approfondimenti.
Filippo Tommaso Marinetti, autore dei più noti Manifesti del Futurismo, in un ritratto a punta secca virtuale del XXI secolo. Per gentile concessione dell’autore.
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La necessità di redigere un Manifesto nasce da un’insicurezza motivata, dall’autocritica di superiorità che caratterizza, tra gli altri, i pionieri dell’estetica e i liberi pensatori. Avere un’intuizione innovativa non è cosa di tutti i giorni, e ancor più difficile è metterla in pratica. Prima di questo sussistono innumerevoli dubbi, variabili e verifiche. L’estrema complessità della sperimentazione richiede una precisa analisi speculativa, continua e sempre dinamica. Serve quindi, in un certo momento, un punto fermo su cui poter riflettere e al quale riferirsi, limitando al minimo vaghe interpretazioni e voli pindarici degli autori (prima) e dei fruitori (dopo). La stesura di un manifesto è un atto creativo di grande potenza. La sua gestazione spesso consente maggiori approfondimenti rispetto allo slancio filosofico e creativo di un’opera d’arte come comunemente la si intende. Anche se molti manifesti sembrano scritti d’impulso, carichi di energia cinetica ed emozionale, essi sono in realtà l’estremizzazione di un ricco background, di idee forgiate e macinate dietro le quinte per lungo tempo prima di essere messe a fuoco. L’aggressività, la prepotenza del Manifesto è implicito nel manifestarsi, con uno stile che significa: “Ora sono pronto: ascoltami!”. La sua pubblicazione, oltre a inseguire notorietà e prestigio, favorisce le possibilità di confronto, di riscontro e, come riflesso, di evoluzione. Anzi, ritengo che il suo scopo principale sia proprio quest’ultimo.
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Da cent’anni a questa parte, quando una filosofia raggiunge un’espressività, nasce un manifesto. La nascita di strumenti creativi digitali, la loro evoluzione e la loro diffusione a livello globale hanno stimolato gli Artisti in diversi momenti e in differenti situazioni. Il fenomeno di portata internazionale ha visto - e vede tuttora - molteplici interpreti, e più volte sono stati espressi i dogmi di un’Arte legata ai computer. Pare che, già nel 1995, Lello Masucci abbia pubblicato su Internet un Manifesto dell’Arte Digitale, ottenendo riscontri internazionali; ma di questo manifesto non v’è più traccia, almeno sulla rete. Un Manifesto Digitalista venne quindi promosso da Lorenzo Paolini nel 1997, sottoscritto da diversi Artisti tra cui Larry Gartel e Bert Monroy. Il testo chiaro e conciso ribadiva con solennità retorica la necessità della componente umana nella creazione digitale. Anche questo trattato sembra caduto nel dimenticatoio.
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Lorenzo Paolini Terzo Millennio, 1997 http://www.lorenzopaolini.it/manifesto.html
J.D. Jarvis e Myriam Lozada Carnival, nd http://www.dunkingbirdproductions.com
Altri tentativi sono stati perpetrati da J.D. Jarvis e Myriam Lozada, da Demetrios Vakras, da Gerald O’Connel (per la Web Art), da Kerry Mitchell (Fractal Art), da Pelle Ehn (Digital Bauhaus) e così via. Io stesso nel ’98, inconsapevole dei miei precursori, scrissi una breve lirica satirica, intitolandola con sordida ambiguità Manifesto dell’Arte Digitale. La formula scelta, caratterizzata da una struttura poetica e dal tono sarcastico, voleva stimolare attraverso l’ironia l’amor proprio degli Artisti Digitali, sedicenti o meno, di galleristi e curatori, esperti o meno, e di collezionisti e spettatori, coscienziosi o meno. Questa mia prima dissertazione è riprodotta in forma integrale nelle pagine seguenti, con l’aggiunta di una piccola postilla.
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Nota dell’Autore: Il sottotitolo “specchio” e l’incessante ripetersi di questo termine all’interno del Manifesto sottolineano l’assoluta necessità di riflettere prima di definire qualcosa “un’opera d’arte”. Specchio è inoltre il confronto con sé stessi, con la propria Opera come parte di sé e con punti di vista esterni purché mirati e coerenti. La storia ha purtroppo dimostrato che l’allegoria era troppo sottile per sortire l’effetto desiderato.
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Siete abituati male. Molto male. Vi illudete che il mondo sia semplicemente quello che vi facciamo vedere: alla televisione; sulle riviste; nelle opere d’arte. (specchio) E noi siamo stanchi: siamo stanchi di lanciarci in ricerche formali sempre più raffinate; stanchi di dover trovare sempre qualcosa di nuovo e di originale; stanchi di non essere apprezzati per i nostri sforzi, se non superficialmente. (specchio) Per secoli abbiamo tentato di aprirvi gli occhi sul mondo e su voi stessi, di farvi vedere più in là; ma a voi questo non interessa più, al giorno d’oggi è così evidente: preferite facili risposte alle domande che vorremmo vi poneste. (specchio) Siamo così stanchi che abbiamo scelto anche noi una risposta facile: ci siamo dati al digitale. (specchio) Cosa importa se la definizione non è la stessa di una fotografia. Se le idee sono quelle vecchie a cui non avete mai badato, leggermente aggiornate alle vostre consuetudini visive. Se la materia non c’è più. Se il gesto viene meccanizzato. Se lasciamo che un macchinario svolga il nostro lavoro. (specchio) Scommetto che molti di voi non se ne sono accorti, e che agli altri non importa. Neanche a noi; tanto ormai lavoriamo nell’immateriale, nel virtuale. Ci siamo rifugiati in un mondo che non potete toccare, perché non esiste. (specchio) Voi credete di vederci, su di uno schermo o sulla carta. Ma quella è solo un’interpretazione di quello che facciamo, di quello che siamo nella nostra realtà virtuale, fatta apposta per voi che non potete (volete) capire.
E’ bello: non dobbiamo più sforzarci di riportare i nostri sogni o le nostre sensazioni al vostro livello: ci pensa il computer. Non dobbiamo più trovare una forma comunemente accettabile per le nostre idee: le filtra il computer. Non ci dobbiamo più sporcare di colore o intossicare coi solventi. E soprattutto, non abbiamo più paura di sbagliare, possiamo farlo tutte le volte che vogliamo, con il computer. Voi non lo saprete mai. (specchio) Sì, noi ci stiamo abituando bene. Abbiamo trovato questo specchietto per le allodole e lo abbiamo trasformato nella nostra arma vincente. Un artista digitale è sicuramente all’avanguardia, è il nuovo pensiero, è il futuro. (specchio) “Quando tutto sarà informatizzato (presto, molto presto, forse ieri) potremo godere appieno solo di opere virtuali, meglio pensarci da adesso, incominciare ad adeguarsi”. Peccato che alcuni artisti operino attraverso il computer da più di vent’anni, senza che ve ne siate accorti. (specchio) Noi vi illudiamo di poter fare il nostro stesso lavoro, con il vostro computer; noi vi illudiamo che il vostro computer possa fare il nostro stesso lavoro. E per darvi una mano (e avere più tempo libero) spesso lavoriamo superficialmente, al di sotto delle capacità nostre e della nostra attrezzatura. (specchio) Consciamente non ve ne accorgete, ma nel vostro intimo vi sentite più vicini all’arte; così vicini da voler provare voi stessi l’ebbrezza della creazione andando così di fotocopia in fotocopia fino al totale annullamento delle sfumature. Massimo Cremagnani, 1998
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Computerarte?
Sognare su basi solide Sebbene diversi tra loro per ispirazione e contenuti, questi tre movimenti avevano in comune la negazione del didascalismo statico, ovvero la semplice rappresentazione del mondo in cui viviamo. E, pur mantenendo una chiave di lettura apparentemente accessibile a tutti, evidenziavano problematiche e simbologie molto più profonde. Nonostante queste apparenti complicazioni, però, tutti questi gruppi avevano una storia: un passato a cui attingere e sulle cui basi fondare una propria ideolo-
gia; un presente sociale e artistico in cui agire nel modo più attivo per proporre un futuro migliore e attinente alle proprie idee. Insomma usavano l’espressione artistica (non solo figurativa, ma anche letteraria, musicale, eccetera) come strumento di stimolazione cerebrale verso un mondo apparentemente addormentato. Oggi confondiamo invece questa stimolazione, l’abbiamo resa passiva: lasciamo fin troppo spesso che lo strumento tecnologico sproni il nostro cervello, senza accorgerci di essere così manipolati e rinchiusi in una scatola ben più piccola dell’immaginario umano. Una scatola come la televisione, o il computer.
Manifesto dell’arte digitale Lo specchio digitale Siete abituati male. Molto male. Vi illudete che il mondo sia semplicemente quello che vi facciamo vedere: alla televisione; sulle riviste; nelle opere d’arte. (SPECCHIO) E noi siamo stanchi: siamo stanchi di lanciarci in ricerche formali sempre più raffinate; stanchi di dover trovare sempre qualcosa di nuovo e di originale; stanchi di non essere apprezzati per i nostri sforzi, se non superficialmente. (SPECCHIO) Per secoli abbiamo tentato di aprirvi gli occhi sul mondo e su voi stessi, di farvi vedere più in là; ma a voi questo non interessa più, al giorno d’oggi è così evidente: preferite facili risposte alle domande che vorremmo vi poneste. (SPECCHIO) Siamo così stanchi che abbiamo scelto anche noi una risposta facile: ci siamo dati al digitale. (SPECCHIO) Cosa importa se la definizione non è la stessa di una fotografia. Se le idee sono quelle vecchie a cui non avete mai badato, leggermente aggiornate alle vostre consuetudini visive.
Se la materia non c’è più. Se il gesto viene meccanizzato. Se lasciamo che un macchinario svolga il nostro lavoro. (SPECCHIO) Scommetto che molti di voi non se ne sono accorti, e che agli altri non importa. Neanche a noi; tanto ormai lavoriamo nell’immateriale, nel virtuale. Ci siamo rifugiati in un mondo che non potete toccare, perché non esiste. (SPECCHIO) Voi credete di vederci, su di uno schermo o sulla carta. Ma quella è solo un’interpretazione di quello che facciamo, di quello che siamo nella nostra realtà virtuale, fatta apposta per voi che non potete (volete) capire. (SPECCHIO) È bello: non dobbiamo più sforzarci di riportare i nostri sogni o le nostre sensazioni al vostro livello: ci pensa il computer. Non dobbiamo più trovare una forma comunemente accettabile per le nostre idee: le filtra il computer. Non ci dobbiamo più sporcare di colore o intossicare coi solventi. E soprattutto, non abbiamo più paura di sbagliare, possiamo farlo tutte le volte che vogliamo, con il computer; voi non lo saprete mai.
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(SPECCHIO) Sì, noi ci stiamo abituando bene. Abbiamo trovato questo specchietto per le allodole e lo abbiamo trasformato nella nostra arma vincente: un artista digitale è sicuramente all’avanguardia, è il nuovo pensiero, è il futuro; (SPECCHIO) “quando tutto sarà informatizzato (presto, molto presto, forse ieri), potremo godere appieno solo di opere virtuali, meglio pensarci da adesso, incominciare ad adeguarsi”. Peccato che alcuni artisti operino attraverso il computer da più di vent’anni, senza che ve ne siate accorti. (SPECCHIO) Noi vi illudiamo di poter fare il nostro stesso lavoro, con il vostro computer; noi vi illudiamo che il vostro computer possa fare il nostro stesso lavoro. E per darvi una mano (e avere più tempo libero) spesso lavoriamo superficialmente, al di sotto delle capacità nostre e della nostra attrezzatura; (SPECCHIO) consciamente non ve ne accorgete, ma nel vostro intimo vi sentite più vicini all’arte, così vicini da voler provare voi stessi l’ebbrezza della creazione andando così di fotocopia in fotocopia fino al totale annullamento delle sfumature. Massimo Cremagnani, 1998
marzo/aprile 1999
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Computer Graphics & Publishing
Computerarte? ■ di Massimo Cremagnani (prometeo@galactica.it)
O
ggi si sente spesso affermare che “è già stato detto tutto”, e dietro questa scusante si trascura l’importanza dell’originalità, mentre si ripropongono idee vecchie, adattate con una sorta di restyling ai tempi e alle occasioni in cui verranno presentate. Premettendo che qualunque concetto o idea valida, ri-
Fin troppo spesso gli artisti digitali non fanno i conti coi loro predecessori. Ispirazione, omaggio o semplicemente plagio? visitata in momenti diversi, produce impressioni diverse, sia nell’autore, sia nel fruitore; che un’evoluzione tecnica e/o tecnologica porta inevitabilmente a riprendere temi già trattati, sia come complemento alla precedente ricerca, sia per la necessità di avere un punto di riferimento nell’evoluzione espressiva; che alcune tematiche e alcune simbologie sono così geneticamente radicate nella nostra cultura che non si può fare a meno di parlarne… Premesso questo, capita sovente che sedicenti artisti cerchino deliberatamente di spacciare per proprie creature lavori visibilmente ispirati ad altri autori, appro-
René Magritte R ené Magritte, 1898 - 1967, belga, visionario. Tutto il suo lavoro era basato sugli sconvolgimenti dei rapporti relazionali: un oggetto e le sue proprietà fisiche, due situazioni unite assurdamente in un unico contesto, stravolgimenti e aberrazioni delle regole prospettiche. I suoi dipinti ritraevano soggetti normalissimi in situazioni impossibili. E proprio questa sua dote di mescolatore concettuale istruisce e ispira oggi fotomontatori e fotocollagisti digitali, il cui lavoro è enormemente facilitato dalla sempre più vasta reperibilità d’immagini originali e dagli specifici software di montaggio. Molti ritengono la tecnica pittorica di Magritte superficiale e infantile,ma fu proprio questa sua didascalità nella figurazione, questo suo illustrazionismo marcato a sottolineare l’instabilità del reale rappresentato nelle sue opere.Certamente lavorare con immagini iperrealistiche,di qualità fotografica,comporta un differente approccio al risultante emotivo del lavoro finale. Forse per questo oggi è molto facile imbattersi in eccessivi effetti speciali, che con la loro appariscenza tendono a offuscare il significato simbolico dell’idea. ■ fittando della buona fede e dell’ignoranza degli spettatori e varcando quella sottile linea che divide il citazionismo dal plagio. Questo fenomeno non è una novità, e non solo nel
Mi dipingo a mano o al computer? L a creazione della donna. Il potere dell’artista. Lo stesso concetto, per quanto simile nell’esposizione, se esaminato in periodi diversi porta a conclusioni diverse. Una donna negli anni ’20 aveva bisogno di un uomo per essere completa (o completata),o almeno così voleva una società più maschilista e fallocratica.L’artista (maschio,come furono quasi tutti gli artisti fino agli anni ’60) crea,contemporaneamente con devozione e distacco,la sua donna.Oggi,grazie all’emancipazione, alla rivoluzione sessuale e ai computer, una donna può benissimo dipingersi da sola, indipendente ma comunque sospettosa dell’uomoartista che, non inquadrato, la ritrae da dietro l’obiettivo, subdolamente. Nel primo caso, la donna non è neanche più soggetto della composizione, ma oggetto incompleto in attesa di essere definito, con lo sguardo nel vuoto, completamente apatico; le manca la personalità, l’anima. Nel secondo lavoro, invece, possiamo riconoscere chiaramente la determinazione della ragazza, i cui dettagli ancora mancanti sono irrilevanti per il proprio essere, tanto quanto la mancanza di biancheria. ■
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� René Magritte, “Il tentativo dell’impossibile”, 1928
� Ernst Nusterer, “Titolo sconosciuto”, anni ’90
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Computer Graphics & Publishing
Il Manifesto era inserito a compendio dell’articolo sui cloni del surrealismo, nella rubrica “ComputerArte?” (da me ideata (e gestita per due anni sulla defunta rivista Computer Graphics & Publishing, IHT)
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Ognuno di questi Manifesti - soprattutto il mio - rappresentava uno sfogo giustificato ma anche fine a sé stesso, senza approfondire un valore storico e formale, senza dichiarare un’identità artistica e cronologica, senza ammettere o indagare un’estetica poliedrica e in continuo sviluppo. L’espressione tradotta in parole di una ricerca condivisa era, nella sua approssimazione, troppo poco incisiva, dettagliata o esplicita per spiegare, informare e convincere. Noi Artisti, forse troppo concentrati sulle recenti scoperte, avremmo anche dovuto tenere in considerazione un forte fattore di disturbo: l’invasione informatica. Questo moderno vaso di Pandora ha contribuito a rendere inefficaci i nostri propositi illudendo, confondendo, logorando le buone intenzioni di artieri e accoliti, sommergendoci di non-arte. Il proliferare del pensiero comune, espresso sul Web da chiunque avesse una tastiera al posto della cultura, ha suicidato la nuova esperienza con la massificazione. Come sintomo, molti degli Artisti precedentemente citati come probabili precursori, ricercatori e innovatori, oggi come oggi hanno abbandonato il digitale, oppure si presentano come illustratori, fotografi, grafici pubblicitari cavalcando l’onda della comunicazione didascalica.
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Bert Monroy Come to Florida, 1997 http://www.bertmonroy.com
Un chiaro processo deduttivo mi ha quindi portato alla seguente antinomica conclusione: la nostra avanguardia si è dimostrata obsoleta. Il concetto di Manifesto, funzionale nel tempo in cui solo chi aveva realmente qualcosa da dire veniva pubblicato – e letto – è finito. Le parole hanno un peso diverso, soffocate dal rumore di fondo e da mercanti da trivio che strillano le contestabili doti delle proprie improvvisazioni. Oggi il concetto di Manifesto deve essere rivisto in chiave ancor più contemporanea, adeguandosi a un mondo dove normative e certificazioni hanno più autorevolezza rispetto a concetti su cui è necessario ragionare. Ho intrapreso quindi una nuova formula, più disciplinare e pragmatica, cercando di mantenere lo stile coerente e indipendentista tipico dell’Arte. Il risultato è il Manifesto Amplificato protagonista di questo volume. Ora ve la presento.
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Il Manifesto rinasce nell’anno 2005 come base per un codice deontologico coerente e qualificante, un punto di partenza per tornare a capire cosa è Arte (Digitale). O, meglio, cosa può non esserlo. A differenza degli onorevoli predecessori, diviene più spiegazione che definizione, più indagine che rivelazione, più ricerca che risultato, rimanendo aperto ad approfondimenti ed estensioni. L’aggressività lascia il posto all’autocritica, senza imporre alcunché. Lascio questo atteggiamento a politici, ecclesiasti e operatori commerciali, con o senza la mia approvazione. In questo nuovo Manifesto le affermazioni lasciano il posto a constatazioni e descrizioni. Lo spirito intraprendente e dinamico è sottinteso nel riconoscimento e nella coerente approvazione di uno status di fatto, per divenire in seguito liberamente interpretabile, integrabile e perfezionabile in modo soggettivo. Esattamente come un’opera d’Arte. L’importante è Essere in Mostra con sincerità e competenza sviluppando un’Arte realmente contemporanea, circondato da avversari abili e stimolanti, da opere stuzzicanti, piacevoli, uniche e, soprattutto, da estimatori coscienti.
Il caos ha bisogno di regole, così da poterle infrangere.
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Il Manifesto Amplificato dell’Arte Digitale Figurativa si sviluppa in un decalogo. È introdotto da una dichiarazione plenaria definita Assunto, seguita da tre sottoinsiemi di argomentazioni: Dell’Arte, Dell’Artista e Dell’Intorno. Ogni argomentazione presenta a sua volta tre voci capillari di approfondimento. Ogni voce è composta da un titolo riassuntivo e una descrizione esplicita. La prima stesura del Manifesto Amplificato comprendeva esclusivamente questo decalogo: essenziale, schematico e diretto. Cominciai a diffonderlo stampandolo in diversi formati, dalla cartolina (santino, bugiardino) al poster 35x50, locandina dei tempi presenti. Sembrava una buona idea, ma sorse qualche piccolo problema... Non poche persone mi hanno rinfacciato il linguaggio ermetico, aulico e anche un po’ pedante con cui ho redatto il Manifesto. Lo ammetto, mi sono lasciato trasportare dall’entusiasmo miscelando terminologie tipiche dei più estremi trattati di estetica, neologismi legati al digital imaging e qualche arcaismo. Lo scopo era (è) quello di sottolineare simbolicamente la profondità culturale dell’idea che ne sta alla base, impedendo un’interpretazione didascalica e piatta. Forse ho un po’ esagerato, sfornando un testo più ostico che illuminante, almeno alla prima lettura. Nelle pubblicazioni successive l’ho dotato di ulteriori ampliamenti, per renderlo comprensibile a un maggior numero di lettori, soprattutto quando Luca Magnoni, ai tempi editor della rivista Computer Arts, mi propose di pubblicare il Manifesto solo a condizione che lo rendessi più accessibile.
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Assunto La Formula Definitiva
Dell’Arte il potere del virtuale L’Unicità del Riproducibile L’Esigenza del Bello Artistico
Dell’Artista La Pratica dell’Alchimia La Metafisica dell’Iter Creativo La Perpetuazione della Ricerca
Dell’Intorno La Presa di Contemporaneità La Negazione della Superficialità Il Rifiuto della Simulazione
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Scrissi quindi una versione commentata, in cui ogni punto del Manifesto era corredato da una spiegazione più ampia, con esempi teorici e aneddoti personali. Questa per diverso tempo è stata la forma più diffusa del Manifesto: un vero e proprio poster esageratamente testuale, corredato da note introduttive ed esplicative: una per l’Assunto, una per ogni argomentazione, più una conclusiva. Alla fine, la rivista Computer Arts pubblicò il Manifesto in cinque puntate, tra l’aprile e l’agosto del 2005. Il testo era ulteriormente arricchito da diversi approfondimenti, inerenti la mia ricerca quanto il panorama artistico storico digitale globale. Questo libro, versione 2.2, è per ora l’ultimo compendio al Manifesto. Ho deciso di smembrare ulteriormente la struttura, equipaggiando ogni singolo tema di nuovi contributi per una migliore comprensione. Mi auguro di essere giunto al corretto equilibrio tra ciò che avevo in mente - e sostengo tuttora - e a una sua comprensibile traduzione nel linguaggio degli uomini.
Buona lettura.
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Un suggerimento che elargisco spesso insieme a una copia del Manifesto è quello di appenderla in bagno, di fronte alla tazza. Credo che una frase per volta, nel momento di massima concentrazione, privacy e libertà sia il metodo più consono per assorbirne l’essenza e comprenderne la profondità. In caso contrario, può sempre essere utile come stimolante. Puoi scaricare la versione “poster” del Manifesto Amplificato dell’Arte Digitale Figurativa dalla sezione Manifesto di capitolouno.com
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e ora...
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ManifestoAmplificatodell’ArteDigitaleFigurativa
nel senso che “definisce�
Con Arte Digitale Figurativa intendiamo quelle opere statiche, dinamiche o interattive che presuppongano la necessitĂ di strumenti digitali per la propria realizzazione, ove altri metodi non porterebbero un simile o altrettanto efficace effetto estetico.
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Il primo punto del Manifesto è dedicato alla definizione di Opera d’Arte Digitale Figurativa. È assolutamente necessario dare una definizione, in quanto la leggenda per cui “con un computer tutti possono essere artisti” è purtroppo ormai radicata nella credenza comune, popolare e non. L’influenza di oniriche promozioni commerciali, la spettacolarità di effetti ormai obsoleti, la praticità dell’automatismo virtuale in vece di esperienza, allenamento e impegno fanno gola a tutti. E il mondo dell’Arte ne soffre, invaso da una dilettantesca imprecisione semantica e semiotica. Gli elementi della figurazione - colore, segno, prospettiva, dettaglio, tratto, dimensione e via dicendo, ma anche soggetto, ambientazione, concetto, simbologia, illusione... - sono il più delle volte trascurati. Sto parlando di conoscere veramente la tecnica produttiva e riproduttiva prima di metterla in atto. Di rispettarne le caratteristiche nella composizione e nell’esposizione. Di sentire il gusto della creazione, un termine ormai sottovalutato, come sinonimo di originalità. Di apprezzare l’evoluzione tecnologica e le scoperte estetiche in quanto stimoli per l’innovazione, e non per la clonazione. La scelta per un Artista nell’utilizzare strumenti digitali per le proprie creazioni deve essere motivata sì da un’affinità, ma i risultati, le Opere, devono staccarsi dal contesto concettuale e formale delle altre tecniche per conquistare una meritata identità. La stampa digitale, nel dettaglio, è da molti confusa con la “fotocopia”, vuoi per l’affinità meccanica, vuoi per l’idea di riproducibilità dell’immagine digitale. L’onorevole parentela è intesa in senso negativo, così come una fotocopia è vista come “copia di qualità inferiore rispetto all’originale”. L’Opera stampata merita invece tutta l’attenzione e la ricerca necessarie ad esprimere l’idea figurativa, catturando la percezione del fruitore ad ogni livello percettivo come un buon quadro o una buona fotografia. Senza questi accorgimenti, non facciamo altro che dare ragione al superficiale giudizio
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La manipolazione di luci, tonalità e contrasti permette di evidenziare il “bello dentro”, una visione data dalla tecnologia ma interpretata dal’Uomo.
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appena accennato, sminuendo tanto la nostra attività creativa quanto il valore tecnico-espressivo della tecnica e dello stile digitali. Riguardo poi al termine Figurativa, voglio precisare che non è stato introdotto per escludere le immagini astratte, bensì per coinvolgere tutte le formule espressive basate sulle immagini. Questo dettaglio è un piccolo escamotage per mantenere i presupposti del Manifesto aperti anche ad altre forme d’Arte realizzate al computer senza però sviscerarne i dettagli: la musica, l’installazione multimediale, la poetica di programmazione e così via. Non tratto in prima persona questi argomenti per mancanza di esperienza diretta, ma resto convinto del loro valore potenziale e delle analogie con la figurazione per quanto riguarda i rispettivi criteri di valutazione e identificazione: originalità, estreme possibilità di approfondimento, qualità formale ed estetica tra l’idea iniziale e l’esecuzione pratica. L’ultimo criterio fondamentale per l’identificazione dell’Arte Digitale riguarda la necessità di utilizzare strumenti digitali nella realizzazione dell’opera. Spesso purtroppo ci si affida al computer per pigrizia nella tempistica di lavorazione o, peggio, di elaborazione. L’approccio casuale, applicato al computer, prima o poi darà un risultato particolare, piacevole, apparentemente valido; un po’ come le famose diecimila scimmie con diecimila macchine da scrivere. Il computer, riassunto nel processo noto come “copia-e-incolla”, è spesso utilizzato per rimaneggiare idee del passato, già realizzate con tecniche e strumenti tradizionali ma impoverite dalla mancanza di quel pathos che le caratterizzava nella fase creativa e nell’aspetto finale dell’opera. La complicità tra la componente umana e lo strumento diviene invece un punto fermo per l’affermazione stilistica e personale, là dove l’autore elegge consapevolmente il computer a catalizzatore della propria idea espressiva, per diverse motivazioni analizzate più approfonditamente nei punti successivi.
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che logora chi non ce l’ha
Nel computer non esiste nulla, quindi si può fare di tutto.
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Dell’Arte: i seguenti tre punti del Manifesto sono dedicati all’identità dell’Arte Digitale Figurativa, purtroppo più volte confusa con forme espressive inferiori e dilettantesche, se non con una “semplice” tecnica alla portata di tutti. Il concetto di “virtuale”, termine di cui si è impropriamente abusato per definire la simulazione, viene qui rivisto come legame con l’immaginazione umana. L’impalpabilità dei pensieri è pari a quella di ogni creazione digitale, godibile solamente attraverso l’apparato informatico almeno per quanto riguarda la fase creativa. La creazione di forme, l’applicazione del colore, la modifica dei tratti sono solo un passaggio di bit, un intangibile calcolo in codice binario al quale viene data una maschera da indossare dietro al cristallo del monitor. Questo vincolo diviene per l’Arte sinonimo di assoluta libertà, almeno in tutta la gestazione dell’opera. L’atto artistico può essere definito principalmente elaborazione dell’immagine, con un legame alla fantasia e uno all’attività pratica della creazione. Ma voglio includere in questa analogia anche la memoria, come raccolta e gestione di formule visive ed elementi figurativi, il ragionamento in cui si intrecciano i dati assimilati alla ricerca di una nuova chiave di interpretazione e la meditazione come astrazione dai vincoli materiali delle tecniche tradizionali. Agire in virtuale è, in sostanza, mediazione del processo mentale. La materializzazione definitiva, che nelle altre tecniche espressive come la pittura o la scultura costituisce l’elemento dominante, può essere qui esclusa, o almeno declassata a favore dell’indipendenza creativa. In questa prima fase di gestazione dell’opera (seconda, se andiamo a considerare un’ispirazione pregressa) possiamo evitare di preoccuparci della manifesta realizzabilità, della materializzazione del concetto figurativo (anche se, come vedremo più avanti, a un certo punto la materia avrà il suo peso).
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La fusione di una texture naturale come la pelle e una astratta, per quanto realizzata tramite una macchina, può mantenere spontaneità e grazia.
Il virtuale permette di eludere i limiti della fisica nella raffigurazione quanto quelli economico/ pratici della messa in opera. Certamente si può essere condizionati da altri fattori: il tempo esecutivo, le risorse tecnologiche o la padronanza degli strumenti. Si tratta però di difficoltà momentanee, con una soluzione evidente e che non possono impedire in assoluto lo svolgersi del processo creativo. L’astrazione metafisica dell’operazione digitale, la sua non-esistenza sul piano materiale è quindi da considerare come un enorme vantaggio (insieme ad altri che vedremo più avanti) per la libera espressione, di cui diviene un pragmatico rappresentante. La fase successiva, ovvero la presentazione tangibile dell’operato, si riallaccia con maggiore affinità ai più consueti problemi espositivi e comunicativi, dividendosi tra i metodi classici (materializzazione) e quelli intrinsecamente innovativi, cioè legati all’essenza tecnologica del digitale: riproduzione su schermo, diffusione cross-media, interattività, multimedialità e così via.
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distinguere per distinguersi
L’Arte Digitale Figurativa sfrutta la forza della riproducibilità a fini divulgativi, purché le riproduzioni in oggetto seguano pedissequamente i criteri qualitativi dell’opera unica.
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Affrontiamo ora una tematica su cui si sono sviluppate diverse scuole di pensiero. La riproducibilità, spesso demonizzata più per questioni economiche che estetiche, viene in questa sede accettata come valore positivo e caratteristica propria dell’Arte Digitale. La riproducibilità è un elemento intrinseco dell’opera di tiratura, come già accade da secoli per ogni tecnica calcografica e per la fotografia. Si può, al limite, distinguere tra le scelte estetiche e quelle commerciali, ovvero tra l’uso di una particolare tecnica perché espressamente congeniale all’artista e/o al singolo progetto artistico, oppure optare per una maggiore diffusione dell’opera così da poterla vendere a un prezzo inferiore di quello dell’opera singola, con tutti i benefici che il mass-marketing ci insegna. In quest’ultimo caso possono anche rientrare i casi di riproduzione declassata come i “cloni” di opere pittoriche (litografie, serigrafie, poster), mera operazione di cassetta dal dubbio valore artistico, anche se apprezzabile dal punto di vista divulgativo. Il nostro caso è sicuramente più vicino alla prima opzione, legata alla consapevolezza dell’Artista: qui parliamo di riproducibilità come elemento inscindibile dell’opera digitale, una riproducibilità estrema, se si considera l’invulnerabilità dell’originale rispetto, ad esempio, a una lastra di zinco. L’opera digitale può essere riprodotta all’infinito, sempre uguale, purché gli strumenti (e i supporti) di riproduzione rimangano invariati. Cosa che, per nostra fortuna, non accade, lasciandoci il piacevole senso di evoluzione continua (che in termini tecnici viene brutalmente e impropriamente definito aggiornamento). L’evoluzione tecnologica rivede a brevissimo termine ogni suo aspetto, mutando non solo i sistemi di riproduzione ma anche il modo in cui le riproduzioni stesse vengono percepite dal pubblico.
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La sovrapposizione di elementi grafici e pittorici in un’unica immagine può simboleggiare concettualmente la fusione tra uomo e tecnologia.
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Una formula espressiva, un concetto di qualità formale, uno stile, un livello comunicativo può passare da ideale a obsoleto nel giro di pochissimo tempo, sempre per via della facile diffusione, lecita o illecita che sia. Possiamo quindi immaginare come la riproduzione perpetua perda il suo senso, e necessiti di un’oculata scelta evolutiva o comunicativa dell’artista. Un sapiente uso della riproducibilità, intesa come intervento attivo dell’Artista, aggiunge valore e identità all’opera, tanto quanto l’atto superficiale può sminuirne l’essenza. Approvare la diffusione dell’Opera Digitale significa vederla emergere dal mare di produzioni pseudo-artistiche che ci invade in ogni ambiente. Grazie ai servocomandi digitali stiamo raggiungendo il massimo qualunquismo dell’espressività e per questo, ora più che mai, l’Artista deve distinguersi nel confuso oceano delle immagini e della comunicazione. Una volta, la calcografia d’Artista veniva definita anche stampa originale, come a sottolineare che ogni altra pubblicazione non fosse in net ta relazione con l’idea primaria dell’Autore. Oggi questa certificazione viene data da marchi o contratti il cui valore è spesso impersonale, tecnico, fiscale. L’Artista Digitale, più di ogni altro Artista, deve riprendere le redini delle proprie creature seguendone, dopo la nascita, anche la crescita e lo sviluppo: la presentazione stampata e virtuale, la diffusione, l’opinione che ne viene data o che si può percepire da un confronto con il mondo dell’Arte, dell’Immagine e della Cultura in generale. La cosa bella è che, a prescindere delle più approfondite ricerche individuali da parte degli Artisti più coscienziosi, molti degli strumenti nozionistici e pratici per mettere in pratica quanto sopra sono universalmente disponibili, spesso a titolo gratuito, nella più contemporanea e malgestita formula di comunicazione: il Web.
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mai troppo per essere vero
L’Arte Digitale Figurativa rappresenta l’attuale evoluzione delle Belle Arti tutte, allacciandosi al concetto di bellezza estetica come interpretazione estrema dei concetti e nesso imprescindibile con l’ideale.
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Come incentivo al valore storico di un’identità dell’Arte Digitale, viene qui sottolineata la responsabilità nell’accuratezza del messaggio e il valore estetico di una buona realizzazione. Il concetto di bellezza viene esteso dalla ricerca stilistica alla cultura iconografica, così che gli elementi visivi possano essere reinterpretati e non ripetuti. La simbologia visiva ruota sempre intorno agli stessi elementi (forma, luce, colore, contrasto...) e a una ricca gamma di simbologie, il cui impatto cambia però in relazione al momento storico e al contesto. Questo comporta un’analisi della contemporaneità nei canoni di interpretazione, per individuare i valori espressivi più efficaci della storia umana ed enfatizzarli con composizioni o stili adeguati alla percezione del momento. Con l’invenzione della fotografia, i pittori iniziarono a studiare la luce in maniera diversa, insolita, scientifica, anomala. Con la diffusione dei mezzi di locomozione nacque il culto della velocità e del dinamismo. Con l’avvento del cinema, si cominciò a raffigurare la quarta dimensione (più altre). Cosa può dare quindi l’informatica alla figurazione? Nascono in continuazione nuove linee espressive, ma bisogna tenere conto della loro provenienza perché siano un’evoluzione. Nascono nuove interpretazioni di argomenti storici, visti e presentati in ottiche differenti. Nascono nuovi parametri di valutazione stilistica e tecnica, ma spesso si considera superficialmente l’appariscenza piuttosto che la raffinatezza, il costrutto, l’indagine formale, compromettendo il più delle volte il valore del messaggio. Qualcuno di cui non faccio il nome (ma lo conosciamo tutti), un centinaio di anni fa iniziò a provocare il mondo dell’Arte detronizzando il valore estetico dell’Opera e mettendo al suo posto il concetto, l’idea espressiva. Un’azione artistica più che lecita, se non fosse stata (ed è tuttora) fraintesa, ripetuta fino allo sfinimento e sfruttata vigliaccamente da chi non conosce l’estetica o non la sa rappresentare.
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I grafismi artificiosi dell’interpretazione digitale possono, piÚ o meno involontariamente, riprendere elementi naturali nascosti.
Opere obiettivamente brutte (e prive di comunicatività per i più) sono state criticate e derise, all’interno di famosi musei e manifestazioni artistiche tra le più rinomate. Non è questione di gusti, ognuno ha diritto di tenersi stretti i propri. Parliamo di quadri dipinti male, di assoluta misconoscenza dei colori e dei supporti, dell’anatomia e della prospettiva. Parliamo di solidi platonici spacciati per sculture, architetture, oggetti. Parliamo di cose che fanno pensare solo a degli espedienti per nascondere pigrizia fisica e mentale, mancanza d’estro e/o di capacità realizzativa. Un po’ come una delle accuse principali rivolte agli utenti di computer... Ritornando ai punti precedenti del Manifesto, e anticipando i seguenti, sappiamo che non è così, che il computer non è solo una stampella. Quindi non facciamoci dare dello zoppo inutilmente. Sappiamo che questo freddo strumento, questo elettrodomestico che vive di porno e di pseudocontatti a distanza può dare molto, a noi e a chi gode del nostro operato. Il Bello è dentro al computer, nell’innovazione grafica e in quella dei processi logici che opera e che invita a manifestare, in formule nuove tanto quanto nell’evoluzione di quelle più antiche. Il valore archetipico di bellezza è un invitante nesso tra la purezza dell’ispirazione e la realizzazione vera e propria, ma anche tra chi crea l’opera e chi la osserva. Un bel tratto è un valore universale, così come un bel colore, un bel soggetto, una bella composizione. Più approfonditamente, si apprezzeranno un buon uso dello strumento, una dinamica emotiva o un richiamo percettivo. È una questione di rispetto per l’idea e per lo spettatore, le cui emozioni vanno stimolate e non aggredite.
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ritorno a un’Arte dimenticata
L’Artista Digitale si pone come catalizzatore tra cultura e miopia, tra passato e presente, tra istinto e pragmatismo onde mediare l’impatto autocratico delle tecnologie nell’immaginifico umano.
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L’Artista è una figura unica nel panorama sociale, un ‘diverso’ che sente la necessità di esprimere la propria interpretazione delle cose. Quello che spesso sfugge è la responsabilità di questo comportamento, sia nei confronti dell’Arte, sia verso il proprio pubblico. L’Artista influenza ciò che lo circonda esasperandolo, criticandolo e idealizzandolo, prevedendone gli sviluppi o l’entropia. L’Artista che sceglie lo strumento digitale assume implicitamente il compito di svelare una nuova faccia dell’informatica, serva e padrona negli ultimi decenni di ogni stile di vita. Affrontandola direttamente, fondendosi con essa in un unico canale espressivo, l’Artista incarna contemporaneamente il ruolo di mediatore e quello di esploratore. La ricerca può portare a innovative figurazioni, esperienze visive che si sviluppano durante la creazione con la complicità dello strumento. Questa esperienza, lo storico dell’atto creativo, è una componente fondamentale dell’opera finale che nell’opera finale deve trasparire. Trasmettendo l’energia della gestazione, l’artista può insinuare simbolicamente il valore costruttivo del mezzo digitale, esplicandone l’elevato potenziale nascosto. Il riferimento simbolico di un Artista Digitale inizia quindi con l’essere Digitale, intervenendo su strumenti apparentemente alla portata di tutti ma utilizzandoli oltre la norma e con criterio di causa. L’Artista è il pilota di rally di fronte all’impiegato con l’utilitaria: impegnato in un effimera competizione con sé stesso, affiancato da una tecnologia complice, ispirato dal percorso medesimo più che dal raggiungimento del traguardo. Il suo ruolo non è direttamente pratico, ma d’ispirazione riflessiva. Mostrare queste differenze è da sempre parte del gioco dell’Arte ma, per funzionare, il linguaggio utilizzato deve mostrare un legame tangibile con lo spettatore, arricchito dai giusti virtuosismi.
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La deformità geometrica dell’eleborazione digitale, opportunamente manipolata, può creare un maggiore senso di alienazione e quindi simbolismo.
E lo spettatore possiede una memoria genetica, ricca di tecniche, di stili, di simboli. Per non perdere questa possibilità di comunicare all’inconscio, ma neanche perdere quel medesimo retaggio di esperienze mentre creiamo, cerchiamo di ricordarne il valore celebrandolo con il privilegio dell’evoluzione. La maggior parte dei software è (o comunque è nato per essere) un’emulazione di qualcosa di reale: Word una macchina da scrivere. Photoshop un laboratorio fotografico. Molti tipi di stampanti riprendono i sistemi di stampa tradizionali, talvolta anche nella forma. Stampiamo una foto, un quadro con l’intenzione di appenderlo in una cornice. Ma cosa c’è di diverso tra una Olivetti M1 e un word processor? Tra un’ombra inserita col mouse e una creata con delle maschere in camera oscura? Tra l’inchiostro serigrafico e il toner delle stampanti laser? Tutti sono strumenti. Tutti interagiscono con noi per dare vita alla nostra visione. Sono complici della creazione, e rimarranno incastonati nell’opera. Questa traccia, quest’energia, positiva o negativa, appare evidentemente a chi la sa cercare. Ma talvolta è bene esagerare un po’, portare sotto i riflettori con orgoglio le caratteristiche salienti del digitale: un nuovo stile.
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oltre la quarta dimensione
La metodica creativa implicita dell’Arte Digitale Figurativa comporta in maniera unica e innovativa processi mentali non lineari da parte dell’Artista, evidenti nelle continue evoluzioni e reinterpretazioni delle simbologie trattate.
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Per sincronizzarsi creativamente con lo strumento digitale, astratto rispetto a quelli tradizionali, l’Artista Digitale assume un nuovo metodo creativo in cui le regole costruttive vengono modificate e, in alcuni casi, ampliate. Là dove un pittore immaginava, schizzava, dipingeva progressivamente dallo sfondo verso il più delicato dettaglio, l’Ar tista Digitale può af frontare un’idea da molteplici punti di vista contemporaneamente, agendo indistintamente su composizione, dettaglio, figurazione e cromia. Può creare versioni alternative di uno stesso lavoro grazie a sviluppi paralleli e varianti immediate. Può tornare sui suoi passi e ottimizzare all’infinito, senza necessariamente ricominciare da zero. Può anticipare dettagli normalmente relegati agli stadi finali dell’azione creativa e, viceversa, riprendere quelli iniziali a lavoro ultimato. Queste operazioni permettono di incrementare notevolmente la ricerca compositiva, allargandone il raggio d’azione all’infinito. L’esplorazione continua, l’aggiustamento del tiro consente una più rapida crescita espressiva dell’autore, ora in grado di confrontare le variabili della propria ispirazione in tempo quasi reale. Con il computer prima e con Internet poi, il caos e l’ordine hanno assunto una nuova identità: tutto è disponibile, a portata di mano: immagini, informazioni, contatti, confronti. Quanto può influire questo sull’ispirazione di un Artista, sul suo ragionamento creativo? Il bagaglio culturale e la disponibilità di strumenti può crescere così velocemente da far mutare un’idea infinite volte durante la sua materializzazione, contraddicendola e reinventandola in continuazione.
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Il pixel, elemento primario dell’immagine digitale, può crescere fino a diventare elemento figurativo e compositivo, rimando macroscopico ad alcune tecniche tradizionali.
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La convinzione di poter terminare un’Opera può anche volatilizzarsi, portando l’Artista a un bivio: definire impeccabilmente un concetto o uno stile, oppure indagare le infinite sfaccettature di un solo protagonista, di un pensiero specifico. In entrambi i casi le possibilità sono evidentemente maggiori rispetto all’uso di tecniche tradizionali, caratteristica questa che dovrebbe determinare una particolare prerogativa dell’Artista Digitale. Un atteggiamento di ricerca così espanso non comporta naturalmente la perdita dello slancio creativo o del dinamismo, poiché queste doti, come in ogni altra disciplina, rappresentano una fase differente dell’atto creativo consentita dalla padronanza e dalla dimestichezza con lo strumento. La rapidità di esecuzione si raggiunge con un allenamento mentale e fisico, oltremodo stimolato dalla continua evoluzione di questi strumenti. I tempi creativi, a dire il vero, subiscono anche in questo caso una forte turbolenza. Azioni rapide e dinamiche possono, a seconda degli strumenti, apparire lente e tediose nella loro versione virtuale. Altri processi più raffinati, che richiedono precisione e pazienza, possono essere tranquillamente demandati alla potenza di calcolo del processore e alla sua meticolosità. L’atto Artistico rimane, come è sempre stato, un gesto catartico che all’interpretazione della realtà unisce una profonda azione introspettiva. Come Artisti Digitali vivremo sempre l’opera finita nella consapevolezza di uno sviluppo ulteriore, una evolutiva incompletezza vista nell’eterno divenire come stimolo a fare di più.
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chi si ferma è perduto
L’impegno e la passione dell’Artista Digitale abbracciano la ricerca di nuove formule compositive, stilistiche e comunicative legate alla contemporaneità tecnologica ed espressiva, vertendo in ogni modo alla ricerca continua della massima interpretazione dell’ideale con detti strumenti, utilizzandoli oltre i limiti del consueto.
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Se il metodo digitale fornisce un aiuto pratico alla ricerca stilistica ed emozionale, dobbiamo ancora ricordare che in ambito virtuale tutto è possibile. La metafisica dell’ispirazione può espandersi così in ogni direzione, trattenuta solo e in parte dall’aspetto “reale” della comunicazione artistica. Questo metodo creativo acquista ancor più valore se viene rapportato alla ricerca di una figurazione contemporanea: quante forme e stili sono già onnipresenti (seppur con minor audacia del passato) per l’abuso quotidiano dello strumento digitale? Questo abuso svilisce, lo abbiamo già detto. Possiamo ignorarlo, fingendo di essere su un altro pianeta? Sbagliato. Possiamo analizzarne le caratteristiche per eluderle, andare oltre, visto che esse stesse già rappresentano - a loro inapprezzabile maniera - la realtà. Gli strumenti digitali, più di tanti altri strumenti e similmente a ogni elettrodomestico, pretendono di essere utilizzati da chiunque. Per questo motivo nascono con una maschera, definita interfaccia, che ci permette di fare “delle cose”. Dietro questa maschera c’è molto di più: dietro i software ci sono formule matematiche, emulazioni della natura, codici, leggi, categorie. Dietro l’hardware c’è la tecnologia, la fisica, la tangibilità. Facendo solo qualche piccolo passo verso l’interno, possiamo trovare la novità. Il segreto. L’illuminazione. Per poi scoprire, subito dopo, quanto essa sia già noiosa e obsoleta. Almeno se facciamo un po’ di sincera autocritica.
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I materiali virtuali che compongono l’immagine possono illudere percettivamente lo spettatore, restando implicitamente ancorati ad un’unica stesura.
Allora facciamo qualche altro passettino. Indaghiamo, sperimentiamo, riscontriamo. Interpretiamo. C’è un’attitudine particolare, che io definisco “il genio dell’ignoranza”. È un po’ come la fortuna del principiante, ma più complessa: da una conoscenza assolutamente basilare nascono intuizioni inaspettate, somme di concetti irrazionalmente posizionati che portano a un risultato coerente. Faccio un esempio: non conosciamo l’algoritmo di variazione del colore quando applichiamo un filtro su un’immagine, ma, seguendo l’istinto, raggiungiamo un risultato soddisfacente. Per arrivare all’ideale, però, l’istinto non è sempre sufficiente, né la fortuna. Ce ne rendiamo conto non appena scopriamo un segreto, un meccanismo trascurato dal libretto delle istruzioni forse perchè non previsto. Il vasto mondo del digitale, con i suoi meccanismi e le sue emulazioni, comincia a rasentare la realtà per il numero di possibili variabili. E non è forse questa l’illuminazione? Razionalizzando processi misteriosi, attingendo ai pochi punti di contatto reale che abbiamo con il digitale, possiamo aprire nuove conoscenze, tramutarle in immagini e mostrarle al mondo, invece di fotocopiarlo.
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una missione possibile
L’Arte Digitale Figurativa ha il compito di rispecchiare, migliorandola, l’estetica invasiva del metodo informatico per la comunicazione.
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Con Intorno intendiamo ciò che circonda i protagonisti dell’Arte: gli Artisti e le loro Opere. Intorno ci sono gli estimatori e gli approfittatori, i mercanti e i fornitori. Ma soprattutto ci sono gli spettatori, un termine forse improprio ma che può tranquillamente essere sostituito con chiunque. Nell’era digitale, la diffusione di immagini e di cultura in generale è alla portata di tutti. Sebbene molti, anche apertamente, non prestino una grande attenzione all’Arte come normalmente viene intesa, ne sono comunque investiti di riflesso. La ricchezza individuale dell’Arte è legata a doppio filo con l’intera esperienza umana. In senso lato, possiamo affermare che in origine ne trae ispirazione e, una volta maturata, finisce con influenzarla. L’oggetto computer è l’evidente punto di unione tra l’Arte Digitale e l’invasione informatica riscontrabile in ogni ambito, professionale e domestico, elemento dominante della nostra era. Il riflesso dell’Arte sul mondo è quindi un elemento di grande responsabilità per l’Artista, che con la propria opera mostra aspetti eclettici e informali di questa tecnologia, alterandone l’aspetto globalizzante o, concettualmente, portandolo all’esasperazione per protesta. L’analogia più evidente si rivolge alla grafica di comunicazione, che condivide strumenti e stili ma, troppo spesso, si limita a messaggi didascalici e diretti. In questo modo nega, per principio, una libera interpretazione allo spettatore ma anche al suo creatore, complice di un livellamento dell’esperienza mediatica. L’avere di fronte ogni giorno in ogni momento immagini pubblicitarie mediocri abbassa inconsciamente il criterio di giudizio dello spettatore, che si abitua a un turbinio visivo sicuramente più vario di un tempo, ma confuso e ripetitivo. Il gusto si affloscia, e l’appena poco più che mediocre suscita emozione. Una piccola piccola emozione che, nel grigiore, fa da placebo, evitando lo sforzo di cercare di più.
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L’unione di forme oniriche e tratti euclidei può aumentare la sensazione di caos controllato, dando allo spettatore maggiore libertà di interpretazione.
Mica come un tempo, quando gli eventi Artistici erano l’unico diversivo e venivano accolti con foga, respirati fino in fondo prima di essere metabolizzati e, nel migliore dei casi, comunque frequente, suscitare emozioni. Grandi Emozioni. Positive o negative, ma grandi. L’arte si è fatta soffiare il trono dall’intrattenimento, che però utilizza i suoi stessi strumenti. Ritengo quindi la partita ancora aperta (non una guerra, perchè le due realtà - Arte e intrattenimento - possano anche convivere, se non addirittura allearsi.
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mantieni il controllo
L’Arte Digitale affida i virtuosismi dell’immaginifico umano alla caratteristica accuratezza dello strumento informatico là dove la simbiosi tra i due fattori porti a qualità di rappresentazione e singolarità dello stile.
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Intorno all’Artista Digitale ci sono anche i suoi strumenti. Sono nati per aiutare l’uomo, per fare le cose evitando uno dei problemi irrisolvibili della natura: l’errore umano. La velocità, la memoria, la versatilità degli strumenti informatici sono elementi che non varrebbero nulla senza la precisione. I computer sono molto precisi: per le dimensioni, per i colori (anche se talvolta fanno fatica a spiegarsi tra loro), per il tempo, per le forme. In alcuni ambiti la precisione è necessaria, come in architettura o in medicina. Nell’Arte è una scelta, una possibilità di effettuare quel qualcosa esattamente come lo si desidera. Se si ha chiaro cosa si ha in testa, abbiamo la pietra filosofale. A volte però è difficile lasciare uscire l’ispirazione in maniera così lineare, in modo che comunichi agli strumenti cosa fare. La precisione, però, sta anche nel mezzo, aiutandoci a individuare quei piccolissimi tasselli che dal primo approccio ci porteranno nella giusta direzione, Quando penso a questa minuziosa ricerca mi viene in mente il paradosso di Zenone, ma credo capiti a molti Artisti quindi procediamo. Come già accennato, i piccoli tasselli possono essere salvati in tutta la loro integrità in una memoria sicura. Possono essere confrontati tra loro. Possono essere riveduti e corretti all’infinito, con uno sforzo nettamente inferiore rispetto al passato. Questa evoluzione frattale del metodo di ricerca artistica può, per logica deduttiva, dare origine a infinite combinazioni, le più pregiate delle quali potranno tramutarsi in stile. Ora, per stile si può intendere la formula che caratterizza un gruppo di Artisti, spesso collegati da una comune ricerca, oppure la peculiarità espressiva di un unico individuo. Se le possibilità di affinamento della ricerca sono così tante, sarebbe più corretto credere che ogni singolo Artista Digitale sia potenzialmente in grado di avere un proprio stile, originale e inconfondibile.
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Il gioco tra regolare e irregolare può aggiungere profondità all’immagine, senza per questo essere piattamente attribuito alla figura d’ispirazione.
La similarità tra i prodotti della figurazione digitale può essere causata da due principali fattori: l’imitazione e la superficialità. Dell’imitazione parleremo al prossimo punto, ma la superficialità è esattamente l’opposto del criterio di precisione di cui si parlava prima. Come può coesistere un’uso impreciso di uno strumento preciso? Semplicemente, ancora una volta, per un errore umano. L’errore di accontentarsi, di fermarsi al primo livello, di non voler dedicare energie a cercare il pelo nell’uovo. Quel pelo solletica e infastidisce anche se non si sa perché, anche se è sopportabile, ma non è cosa buona. Non è corretto nei confronti di noi stessi, che meritiamo il libero sfogo della fantasia e non una sua controfigura. E non è corretto neanche nei confronti degli spettatori che, si sa, vogliono sempre di più. Dove si trova quindi questo pelo? Pensiamo un momento ad un’immagine digitale: è composta di pixel. Pallini colorati. Centinaia, migliaia, miliardi di pallini colorati che possiamo riverniciare e spostare a piacere. Tutti insieme, a gruppi oppure uno alla volta. Questa è precisione. Un’immagine vettoriale? Coordinate e formule matematiche dai decimali potenzialmente infiniti. La stampa? Microscopiche goccioline di colore che si affiancano, si sovrappongono, penetrano tra le fibre di un supporto o si adagiano mollemente su un altro. E così via. Credo che la possibilità di trovare uno stile unico esista.
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una scelta coerente
Sebbene gli strumenti digitali nascano per simulare gli strumenti e le tecniche classiche, o la realtà stessa, consideriamo Opera d’Arte Digitale Figurativa quell’opera che, nell’interpretazione dell’artista, rifugga il concetto di simulazione, emulazione e copia, ovvero la semplice attuazione con mezzi informatici di quanto possibile esprimere o realizzare in metodi canonici.
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L’avevo promesso, qui si parla di imitazione. E se ne parla male. L’imitazione tra gli Artisti è sempre esistita, creando anche qualche diatriba e alcuni falsi storici. Ma la componente umana ha sempre influito sull’operato, creando quelle piccole differenze che permettevano di distinguere le mele dalle pere. Tranne forse nel cubismo, ma non vorrei andare fuori tema. Gli strumenti digitali, proprio per la precisione di cui sopra, possono influenzare notevolmente il risultato finale, cospargendo di anonimato uno sforzo creativo. Va da sé che scopiazzare è sì molto più facile con il computer, ma anche molto più evidente. Se all’opinione dell’esperto aggiungiamo la facile reperibilità delle immagini e delle informazioni da parte di chiunque, colui che copia, imita, clona ha un altissima percentuale di probabilità di essere scoperto, e di fare una figura barbina. Questa non vuole essere una minaccia, almeno non apertamente, ma una constatazione obiettiva. C’è poi un’altra interpretazione dell’imitazione, quella che riporta gli strumenti informatici alle loro origini, al loro significato recondito: versione virtuale di strumenti reali. Abbiamo visto in diverse occasioni come il computer possa fare meglio dell’uomo o di altri strumenti, là dove “meglio” è inteso come “differente con carattere positivo”. Non c’è alcuna ragione, quindi, di fermarsi all’imitazione. Un’immagine con effetto acquerello non è un acquerello. E anche se la differenza è inidentificabile, non c’è alcuna ragione per non dipingere direttamente un acquerello, con pennelli, acqua e colori. A pensarci bene, non ritengo nemmeno giusto un effetto fotocopia.
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Nell’interpretazione artistica, con un giusto equilibrio,l’elemento naturale può essere artificializzato, e quello sintetico apparire come spontaneo.
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Essere Artista Digitale deve essere una scelta precisa, dettata dalla complicità con lo strumento. Ogni tentativo di risolvere i problemi con le tecniche tradizionali, e non mi riferisco solo a una plateale incapacità ma anche a problemi di spazio, movimento, salute o quant’altro, non può che avere un’accezione negativa. È come salire su un’auto sportiva e fare brum brum a motore spento. La figurazione digitale è una delle poche nuove frontiere espressive che ci rimangono, non possiamo sprecarle per rivisitare tecniche e stili già visti, studiati, assimilati e digeriti. Ne risentirebbe l’originalità dell’Opera e quella dell’Artista, mentre il già confuso concetto di Arte Digitale perderebbe quei piccoli frammenti di identità che faticosamente inizia a collezionare. E con questo vado a concludere, riassumendo brevemente i princìpi dell’Arte più contemporanea che ci sia. Per l’Artista dovrebbe essere una necessità quanto un piacere intraprendere una ricerca per il raggiungimento di un proprio stile, un linguaggio che unisca la specificità del messaggio figurato al proprio approfondimento tecnico, ribadendo l’importanza del dettaglio simbolico di fronte a un’iconografia sfocata e ritrita. E sebbene uno dei pregi maggiori della computergrafica, merito anche della sua origine, sia dovuto al potere di simulazione di eventi o tecniche reali, resta implicito come il vero potere di quest’Arte sia andare oltre. Proporre visioni ed evoluzioni visive di carattere innovativo, soddisfa non solo l’ispirazione dell’Artista, ma è anche uno stimolo universale per chi ne gode i frutti.
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Al fine dei punti precedenti pratichiamo, richiediamo, stimoliamo e promuoviamo la piena padronanza degli strumenti e delle tecniche in questione, sia per la fase creativa quanto per quella espositiva. Tale padronanza si rende necessaria a livello tecnico qualitativo per la finalità espressiva dell’idea dell’opera, per la tutela e l’esaltazione dell’originalità stilistica e per il mantenimento della componente umana nell’opera stessa e nella sua interpretazione. Finché essere individui diventerà il nuovo standard.
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È d’uso concludere un Manifesto con una sorta di ‘giuramento’, un’approvazione dei princìpi citati che, in più occasioni storiche, viene controfirmato dagli aderenti al movimento in questione. Tuttavia non è mia intenzione vincolare Artisti ed estimatori con un codice limitativo, poiché l’evoluzione artistica non può permettersi alcun freno. Questo epilogo vuole quindi essere un piccolo riassunto delle intenzioni espresse, ricordando la semplice coerenza di una dignità umana e professionale applicata alla responsabilità dell’espressione artistica. In un mondo in cui è facile cadere nei cliché, soprattutto utilizzando strumenti che dei cliché fanno la loro forza produttiva, ritengo fondamentale celebrare il valore dell’intelletto e della maestria, magari inducendo il lettore a immedesimarsi con un impegno personale. Insisto sulla padronanza tecnica per un ritorno al piacere estetico e formale, che nell’arte ha la sua espressione più pura ma che spero si estenda a ogni aspetto della vita quotidiana, soggiogando il comune senso dell’accontentarci. Mi impunto sulla componente umana facendo leva sull’orgoglio personale, che nell’Artista è spesso definito egocentrismo, come punto focale di una necessaria diversificazione di pensiero. E concludo con un ambiguo aforisma, ben conscio del fatto che quando si avvererà potremo divertirci a cominciare con nuove ideologie.
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Massimo Cremagnani vive e lavora a Milano. Parte della sua ricerca è stata a lungo pubblicata dalle riviste Computer Graphics & Publishing, Graph Creative, Fotocomputer, Graphicus, Computer Arts e Italia Grafica. Tra le sue collaborazioni professionali, ricordiamo le aziende Chanel, Natuzzi, Tetrapak e McDonald’s. Attualmente è consulente per la stampa digitale artistica e di grande formato.
La ricerca artistica di Massimo Cremagnani, dopo anni di studio sulle tecniche più classiche della pittura e delle arti figurative, indaga ormai da tempo sulla coerenza e sulle peculiarità dell’espressività digitale, nel tentativo di conferire a quest’ultima una valida identità espressiva. Affascinato dai concetti inseparabili di evoluzione umana e tecnologica, l’artista gioca con una raffinata elaborazione estrema di immagini casuali o ricercate, considerando le piene potenzialità – spesso considerate improprie – dei sistemi informatici, dall’acquisizione alla realizzazione, all’esposizione. Consapevole dell’incessante progresso tecnologico legato a questa forma d’arte, racchiude le sue esperienze sotto il marchio “capitolouno”, almeno fino a quando considererà questa linea espressiva ancora in fase embrionale e di studio. Il primo passo significativo viene fatto nel 1998 con la concretizzazione dell’Homo Sapiens Marsupialis – ovvero Nudo con le mani in tasca – in cui, attraverso un fotoritocco iperrealistico e lo studio del metacomportamento, cerca di comprendere se Madre Natura sia ancora in grado di stare al passo con i ritmi del progresso umano. Le opere, proposte prima al Palazzo della Permanente di Milano, vengono poi richieste dalla Galleria Art Kiosk di Bruxelles, per una collettiva cui partecipavano artisti del calibro di Orlan e Dinos e Jake Chapman. La noia imposta dalla stereotipizzazione forzata, di una comunicazione globale impreparata e ineducativa porta Cremagnani verso una ricerca etica della professionalità dell’artista. Le ricerche sul ribaltamento dell’iter creativo, sulla conoscenza approfondita dei (sempre) nuovi strumenti e sull’evoluzione della percettività si pongono come elementi complementari di uno stile unico ma in continuo sviluppo, e di una nuova estetica.
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L’impatto visivo di forme e colori può essere violento ed esplicito ad una certa distanza e dimensione, e morbidamente soffuso ad un’altra.
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Le sperimentazioni sull’acquisizione, sul segno dato da algoritmi di elaborazione come dai differenti sistemi di stampa o di esposizione, sulle nuove cromatologie sono confermate dalle numerose opere della serie DEE, in cui misteriose figure femminili – eterne protagoniste del lavoro dell’artista – vengono stravolte da una pittura surreale fondata su una particolareggiatura digitalmente fiamminga, quasi barocca. Il quadro si compone così in differenti livelli percettivi, in cui figurazione, astrazione, sensazione cromatica e compositiva convivono e si rincorrono al ritmo dello spettatore. Negli ultimi tempi, le energie dell’artista sono rivolte allo studio di metodi concettuali di interpretazione digitale della mente e del corpo umano, e alle possibilità avanzate della stampa come connubio tra idea, forma, tecnologie di stampa, inchiostri, supporti e ambiente. Attualmente opera come consulente in teoria e produzione dell’Arte Digitale, soluzioni grafiche a valore aggiunto e in stampa digitale per la comunicazione.
Per maggiori informazioni: www.capitolouno.com
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Manifesto Amplificato dell’Arte Digitale Figurativa - Versione 2.2.1 Versione 1:
Manifesto dell’Arte Digitale, 1998
Versione 2:
Manifesto Amplificato dell’Arte digitale Figurativa, 2005
2.1:
Aggiunta di note esplicative per ogni sezione, 2005
2.2:
Ulteriori approfondimenti sui singoli punti, 2008/2009
“Manifesto Amplificato dell’Arte Digitale Figurativa” © Massimo Cremagnani 2004, 2005, 2009. Testo distribuito con licenza Creative Commons - Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 Unported. È consentito l’uso e la diffusione a scopo didattico o informativo. Vietato lo sfruttamento commerciale senza il consenso scritto dell’autore Per maggiori informazioni: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0 Tutte le opere riprodotte sono © dei rispettivi autori, indicati nelle didascalie. Ove non specificato, l’autore è Massimo Cremagnani.
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Si legge in un’ora, si capisce in un’era. Massimo Cremagnani, cent’anni dopo il Manifesto del Futurismo