La sicurezza sociale non dovrebbe dipendere dalla nazionalità

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«Se gli stranieri percepiscono aiuti sociali mettono a repentaglio il loro diritto di soggiorno e quindi la loro permanenza in Svizzera. Per paura di essere allontanati, rinunciano al diritto a tali prestazioni e vivono quindi al di sotto del minimo esistenziale.»

Documento di posizione di Caritas «Statuto di dimora e garanzia della sussistenza»

La sicurezza sociale non dovrebbe dipendere dalla nazionalità


Gli stranieri mandano avanti l’economia svizzera In breve: Il mercato del lavoro svizzero è praticamente impensabile senza gli stranieri. Molti di loro lavorano tuttavia in condizioni molto precarie. Vivono come lavoratori poveri o poco al di sopra della soglia di povertà. Per loro è pertanto di centrale importanza disporre di una sicurezza sociale in situazioni di emergenza, ad esempio dopo la perdita del posto di lavoro. In realtà, questa sicurezza viene loro negata. Se gli stranieri percepiscono aiuti sociali mettono a repentaglio il loro diritto di soggiorno e quindi la loro permanenza in Svizzera. Per paura di essere allontanati, rinunciano al diritto a tali prestazioni e vivono quindi al di sotto del minimo esistenziale. Al fine di garantire il diritto di sostegno in caso di emergenza e di evitare il crearsi di situazioni precarie, Caritas chiede di abolire il legame giuridico tra statuto di dimora e garanzia della sussistenza.

Un terzo dei lavoratori sul mercato del lavoro svizzero non possiede la nazionalità elvetica. C’è chi guadagna bene, ma un numero superiore alla media percepisce uno stipendio basso e lavora in condizioni incerte. Quasi la metà dei circa 150 000 lavoratori poveri sono infatti stranieri. Chi non ha la cittadinanza svizzera è due volte più a rischio di povertà di chi la possiede. Lavorano in settori quali la gastronomia, l’alberghiero o le pulizie. Nella gastronomia, ad esempio, il 44% dei dipendenti non sono svizzeri. Questo è quanto emerge dalle cifre dell’Ufficio federale di statistica. Gli stranieri mandano avanti l’economia e la Svizzera. Pagando le imposte e i contributi sociali contribuiscono al finanziamento dello Stato sociale. Per loro il rischio di essere colpiti da disoccupazione strutturale è tuttavia più elevato che per gli svizzeri. Se perdono il posto di lavoro, in un mercato altamente competitivo per loro è tutt’altro che facile imporsi sugli altri concorrenti. Con l’avanzare della digitalizzazione il mercato del lavoro si sta inoltre rivoluzionando e la pressione sulle forze lavoro scarsamente qualificate è già di per sé grande. Sarebbe pertanto importante puntare sulla formazione continua e sul perfezionamento per contenere il rischio di dipendere dagli

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aiuti sociali. Ma anche in questo ambito esistono grandi disparità. Secondo le cifre dell’Ufficio federale di statistica un numero superiore alla media di stranieri e lavoratori poco qualificati non può seguire un perfezionamento benché lo voglia. Questo è dovuto alle scarse possibilità finanziarie, alla bassa conciliabilità di famiglia e lavoro e al carente sostegno da parte dei datori di lavoro. Le persone che lavorano nelle fasce salariali inferiori riescono a malapena a cavarsela. Poiché non riescono praticamente a mettere da parte nulla, nel caso del bisogno dipendono da una buona sicurezza sociale e, in particolare, dagli aiuti sociali come ultima rete di salvataggio. Ma in questo ambito gli stranieri devono affrontare ulteriori ostacoli. Negli ultimi anni il Parlamento ha deciso di creare un legame giuridico tra statuto di dimora e assistenza sociale. Molte persone interessate rinunciano pertanto a richiedere aiuto, perché temono conseguenze negative sul loro statuto di dimora. Sono interessati dalla problematica anche i lavoratori poveri il cui salario non basta per garantire la sussistenza e che quindi devono far ricorso agli aiuti integrativi dell’assistenza sociale. La crisi del coronavirus non ha fatto che inasprire questa situazione, rendendola ancora più evidente. Molti stranieri si sono rivolti a Caritas e ad altre organizzazioni umanitarie benché avessero diritto a un aiuto sociale pubblico. La Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale COSAS ha pubblicato una raccomandazione nella primavera del 2020: gli aiuti sociali erogati a causa della pandemia non dovrebbero ripercuotersi sul permesso di dimora. Questo è quanto è stato nuovamente confermato anche dal Consiglio federale a gennaio 2021. L’esecuzione della legislazione sugli stranieri compete tuttavia ai Cantoni. Molti di questi non hanno dato conferma vincolante in merito e hanno, semmai, divulgato l’informazione soltanto vari mesi dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria. A fronte di questa incertezza permanente, molti interessati rinunciano nel contesto della crisi attuale ad annunciarsi all’assistenza sociale. Vivono pertanto in povertà, al di sotto del minimo esistenziale, per paura di dover lasciare la Svizzera, benché avrebbero diritto a ricevere sostegno. Questa situazione di precarietà rischia così di consolidarsi, come temono anche molti servizi sociali e la COSAS.


La legge federale stabilisce questo legame rischioso In Svizzera, chi si trova in difficoltà finanziarie ha diritto a ricevere il sostegno indispensabile per poter condurre una vita dignitosa. Questo è quanto specificato nella Costituzione federale che vale per tutti, indipendentemente dalle origini. Il diritto all’aiuto viene tuttavia limitato dalla legislazione sugli stranieri, ossia nella legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI), e quindi disciplinato a livello federale. Il legame tra diritto degli stranieri e aiuti sociali esiste già da molto tempo in Svizzera. Con l’aumentare della povertà negli ultimi anni e l’inasprimento della LStrI entrato in vigore nel 2019 ora diventano sempre più evidenti le conseguenze negative. Nella revisione della LStrI i criteri d’integrazione nel quadro della proroga dei permessi di dimora e permessi di domicilio acquisiscono sempre maggiore importanza. Criteri d’integrazione sono la partecipazione alla vita economica o l’acquisizione di una formazione, le competenze linguistiche, il rispetto della sicurezza e dell’ordine pubblico nonché dei valori della Costituzione federale. I Cantoni possono inoltre stipulare accordi d’integrazione con persone di Stati terzi e prolungare il permesso di dimora soltanto qualora vengano soddisfatti. Almeno la legge stabilisce anche che bisogna tenere conto della situazione personale degli interessati e di eventuali infermità o malattie. La revisione del 2019 ha avuto ripercussioni particolarmente gravi soprattutto per le persone con un permesso di domicilio C. Prima gli stranieri che hanno soggiornato ininterrottamente e ordinariamente in Svizzera da oltre 15 anni non potevano perdere il loro statuto di dimora se richiedevano l’aiuto sociale. Questo aspetto temporale è stato tuttavia soppresso con la revisione della legge.

E come se non bastasse, sono già in vista nuove disposizioni severe. Il Consiglio federale ha incaricato la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) di limitare ulteriormente l’erogazione di aiuti sociali a persone di Stati terzi. È infatti previsto che in caso di assistenza sociale possa essere revocato più facilmente il loro permesso di dimora. Il problema è che due terzi delle persone provenienti da Stati terzi sono fuggite maggiormente da Paesi in cui è in corso una guerra civile. Poiché un rientro è inconcepibile, le condizioni di vita di queste persone in Svizzera diventano sempre più precarie e il ricongiungimento familiare viene ostacolato. Anche la proposta di versare alle persone da Stati terzi un minimo vitale più basso nell’ambito degli aiuti sociali nei primi tre anni in cui soggiornano in Svizzera è causa di ulteriore precarizzazione. In questo modo vengono minati i correnti sforzi nella promozione dell’integrazione che dovrebbero rendere le persone meno dipendenti dall’assistenza sociale. Questo si evidenzia già nelle persone ammesse provvisoriamente per le quali i Cantoni dal 2019 in fondo ricevono già più mezzi finanziari nell’ambito dell’Agenda Integrazione Svizzera. Al contempo, queste persone ricevono tuttavia un minimo esistenziale più basso e non possono ad esempio permettersi il biglietto per andare al corso di tedesco con i mezzi pubblici. Sembra che si voglia seguire il paradosso in cui si «pretende senza promuovere». Al momento è già stata attuata la pratica secondo cui in futuro la proroga dei permessi di dimora di cittadini di Stati terzi che causano «notevoli spese di aiuto sociale» dovrà essere approvata dalla SEM. Così facendo, formulando requisiti in materia di statuto di dimora, la Confederazione invade una competenza finora chiaramente cantonale per quanto riguarda il diritto al minimo vitale nell’ambito dell’aiuto sociale. Sono infatti i Cantoni e i Comuni a pagare queste spese e quindi a farsi carico delle conseguenze finanziarie della loro pratica in materia di permessi.

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Ripercussioni concrete dell’aiuto sociale sullo statuto di dimora Il collegamento tra aiuto sociale e statuto di dimora per i cittadini di Stati membri dell’UE e dell’AELS è molto diverso da quello per i cittadini di Stati terzi. I lavoratori della zona UE /AELS in Svizzera hanno diritto all’aiuto sociale se non perdono il posto nel primo anno o non disdicono autonomamente il rapporto di lavoro. Il loro diritto di soggiorno si estingue però sei mesi dopo il termine dell’attività lavorativa o con il versamento di un’indennità di disoccupazione. Se quindi perdono il lavoro e non riescono subito a trovare un posto nuovo, corrono il rischio di essere allontanati dalla Svizzera. Qualora svolgessero invece un lavoro non considerato minore (v. riquadro pagina 6) e vivessero comunque al di sotto del minimo esistenziale, possono percepire aiuti sociali integrativi senza dover temere di perdere il loro permesso di dimora. In fondo, le persone da Stati terzi avrebbero lo stesso diritto all’aiuto sociale. Se tuttavia ne usufruiscono può essere revocato il loro permesso di dimora (permesso B). Questo è quanto è disciplinato a livello nazionale nella legge federale sugli stranieri e la loro integrazione. In questo ambito i Cantoni hanno un ampio spazio di manovra per l’attuazione. Non vi è infatti nessuna regolamentazione unitaria su cosa rientri tra i costi dell’aiuto sociale. Alcuni Cantoni includono anche i costi per le misure di protezione dei minori che fanno poi subito lievitare l’importo. La decisione di revocare il permesso di dimora deve però «essere adeguata alle circostanze» e dipende da molti fattori. Vengono considerati l’integrazione, un eventuale indebitamento, gli sforzi della persona interessata a trovare un posto di lavoro e le previsioni in merito a quanto tempo la persona dipenderà dagli aiuti sociali. Oltre a tutto ciò si dovrebbe tuttavia valutare anche la situazione personale, più concretamente quella familiare, le condizioni di salute e la praticabilità del rientro in patria.

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Dalla revisione della LStrI 2019 i permessi C (permesso di domicilio) possono essere declassati a permessi B (permesso di dimora) oppure essere revocati del tutto soltanto sulla base del fatto che la persona «dipende dall’aiuto sociale in maniera durevole e considerevole» (v. riquadro pagina 6). L’inasprimento della legge ha fatto in modo che anche gli stranieri residenti in Svizzera da oltre 15 anni possono perdere il loro permesso di domicilio a causa dell’aiuto sociale. Fino ad ora si rischiava di perderlo dopo 15 anni soltanto se si metteva a repentaglio la sicurezza pubblica o si veniva condannato a pene detentive di lunga durata. Le persone che per anni hanno sempre lavorato ora possono essere allontanate dalla Svizzera dopo aver perso il lavoro, aver tentato invano di trovare un posto nuovo e aver percepito aiuti sociali. Questo è fonte di grandi incertezze per molti senza passaporto svizzero, persino per gli stranieri di seconda generazione che sono nati in Svizzera. I cittadini di Stati terzi che non guadagnano abbastanza per sfamare la propria famiglia rischiano l’allontanamento. Così i lavoratori poveri vengono puniti perché non riescono a sbarcare il lunario nonostante abbiano un lavoro. In questo modo la povertà viene considerata un reato. Il fatto di percepire aiuti sociali costituisce un ostacolo anche per ricevere la cittadinanza svizzera. In tutta la Svizzera è praticamente impossibile richiedere la cittadinanza nei tre anni successivi al versamento di aiuti sociali. In molti Cantoni i tempi di attesa sono ancora più lunghi. I Cantoni Berna, Grigioni e Argovia hanno ad esempio fissato per legge che le persone richiedenti la naturalizzazione che negli ultimi dieci anni prima dell’inoltro della domanda o nel corso della procedura di naturalizzazione hanno percepito aiuti sociali, non possono acquisire la cittadinanza svizzera a meno che gli aiuti sociali non vengano interamente rimborsati. Per molte persone che lavorano nelle fasce salariali inferiori è tuttavia praticamente impossibile saldare i debiti con l’aiuto sociale, perché vivono già con il minimo esistenziale e il loro stipendio basta a malapena a coprire le spese correnti. Vengono pertanto privati per anni della possibilità di ricevere il passaporto svizzero benché lavorino e siano ben integrate.


Attuazione restrittiva della legge nei Cantoni Anche se la Confederazione stabilisce che l’aiuto sociale comporta la revoca del permesso di dimora e di domicilio, lascia ai Cantoni ampio spazio di manovra per quanto riguarda l’attuazione concreta. La previsione in merito al tempo in cui una persona continuerà a dipendere dagli aiuti sociali è il criterio più applicato. Si distingue tra versamento dell’aiuto sociale con colpa personale e senza colpa personale; soltanto la riscossione dell’aiuto sociale per colpa personale dovrebbe però ripercuotersi sul permesso di dimora. Secondo le esperienze fatte nella pratica, l’interpretazione di aiuto sociale con colpa personale è diventata sempre più restrittiva negli ultimi anni. Le autorità competenti nel settore della migrazione si rifanno in questi casi spesso a stime che contraddicono quelle dei servizi sociali. I servizi sociali tentano, a lungo termine, di reinserire gli stranieri disoccupati nel mercato del lavoro offrendo loro programmi di lavoro e corsi adeguati. Spesso le autorità competenti nel settore della migrazione ritengono questi sforzi insufficienti e partono pertanto dal presupposto di un aiuto sociale con colpa personale. Così facendo, le autorità in questione e i Comuni trascurano la realtà sul mercato del lavoro. Non riconoscono che proprio per i lavoratori più anziani e con problemi di salute o per i genitori single è molto difficile trovare una nuova occupazione. Benché le persone in cerca di lavoro perdano il posto senza colpa e facciano di tutto per tornare a lavorare, possono comunque essere allontanate dalla Svizzera. Anche la prassi dell’Assicurazione per l’invalidità (AI) gioca un ruolo fondamentale. In occasione di varie riforme, dal 2004 sono stati inaspriti i criteri per l’erogazione di prestazioni dell’AI. Oggi viene concessa soltanto la metà delle rendite AI del 2003. Secondo uno studio dell’Ufficio BASS condotto nel 2020 su incarico della Confederazione, dopo la soppressione della rendita finiscono così più persone nel vortice dell’aiuto sociale. Vi sono pertanto sempre più persone troppo sane

per l’AI, ma troppo malate per il mercato del lavoro. Di conseguenza dipendono poi dall’aiuto sociale. Il risanamento delle finanze dell’AI è quindi avvenuto a spese dell’aiuto sociale, e soprattutto degli interessati. Questa situazione è particolarmente problematica per le persone senza passaporto svizzero. Spesso i servizi sociali riconoscono i loro problemi di salute e tentano di reinserire man mano i soggetti nel mercato del lavoro. Le autorità competenti nel settore della migrazione invece si basano sulla decisione negativa dell’AI e li considerano pienamente abili al lavoro. Può trattarsi ad esempio di qualcuno che per anni ha fatto lavori pesanti in cantiere e poi non è più in grado di svolgere il suo lavoro per problemi di salute. Anche le persone con problemi di salute rischiano così l’allontanamento dalla Svizzera. Per gli interessati è molto difficile attingere a informazioni affidabili e vincolanti delle autorità in materia. Anche se queste ultime richiamano gli stranieri minacciandoli di dover lasciare il Paese, spesso si esprimono in modo poco concreto. Li esortano semplicemente a staccarsi dall’aiuto sociale. Non menzionano però che, per essere ritenuti sufficienti i loro sforzi, devono scrivere una marea di lettere di candidatura e frequentare un corso di tedesco attestato con tanto di certificato. E questo è importantissimo per la decisione di revoca del permesso di dimora. Anche su richiesta, le autorità forniscono soltanto scarse informazioni. Proprio perché le autorità competenti nel settore della migrazione e i servizi sociali valutano diversamente gli sforzi profusi dai soggetti in questione, sarebbe essenziale puntare su un’informazione trasparente in merito ai requisiti precisi.

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Vivere sotto la soglia del minimo vitale con conseguenze fatali Non tutti coloro che avrebbero diritto all’aiuto sociale, lo richiedono. Come si evince da un’analisi dei dati fiscali del Canton Berna condotta dalla Scuola universitaria professionale di Berna nel 2020, circa un terzo degli aventi diritto non percepiscono aiuti sociali. Le persone interessate non conoscono i propri diritti, si vergognano a dover chiedere sostegno allo Stato, temono di essere stigmatizzate o hanno paura di dover restituire gli importi percepiti. Ma molti rinunciano agli aiuti sociali anche perché temono di perdere il loro permesso di dimora. Soprattutto le persone che vivono da tempo in Svizzera o hanno figli, vogliono evitare a tutti i costi un allontanamento. Oppure non vogliono giocarsi la possibilità di richiedere un permesso di domicilio o il passaporto svizzero in un prossimo futuro. Rinunciano a richiedere l’aiuto sociale e vivono in povertà, al di sotto del minimo esistenziale. Una vita così comporta tuttavia grandi rinunce materiali, costante insicurezza e spesso anche rinuncia a prestazioni mediche come ad esempio cure dentistiche. Questo si ripercuote sulla salute psichica e fisica, come lo evidenzia uno studio condotto a Ginevra nel 2019 sulla rinuncia agli aiuti. Mentre rispetto all’intera popolazione, poco più del 30% ha vissuto episodi di depressione o ansia, tra le persone che rinunciano all’aiuto sociale questa percentuale sale all’80%. E mentre il 40% dell’intera popolazione non soffre di nessun disturbo di salute, la percentuale scende all’11% tra i soggetti con aiuto sociale. Due terzi degli interessati riferiscono di dolori cronici. La rinuncia alle prestazioni assistenziali e la conseguente precarietà comportano pertanto un peggioramento dello stato di salute degli interessati. Per loro diventa quindi anche più difficile riuscire ad andare avanti. Molti lavoratori con permesso di dimora incerto svolgono lavori fisici molto pesanti. Non possono permettersi di mancare sul lavoro per motivi di salute. E, non soltanto per motivi finanziari, ma anche perché svolgono un lavoro a richiesta, rinunciano a consultare un medico. D’altra parte, le condizioni lavorative precarie e la conseguente insicurezza finanziaria sono il motivo principale dei problemi di salute in questo campo. Così si rischia di cadere in una spirale negativa. La minaccia della perdita del permesso di dimora priva le persone di ogni prospettiva. Per essere finanziariamente indipendenti, permangono in rapporti di lavoro spesso precari e lavorano a stipendi troppo bassi. Se perdono il posto di lavoro cercano di cavarsela svolgendo lavori saltuari. Non possono permettersi né perfezionamenti né riqualificazioni professionali, anche se potrebbero tornare finanziariamente utili a lungo andare. Sono pertanto intrappolati nella fascia salariale bassa e hanno poche prospettive di migliorare la loro situazione finanziaria.

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Alcuni che rinunciano alle prestazioni assistenziali s’indebitano. Le persone con uno statuto di dimora incerto non vogliono percepire aiuti sociali per paura di perdere il permesso di dimora e così non riescono più a pagare puntualmente le proprie fatture. Sono soprattutto i premi della cassa malati ad essere spesso pagati con ritardo, con conseguenze fatali. Il ripetuto mancato pagamento delle fatture è considerato «inosservanza dell’ordine pubblico» e può comportare a sua volta la perdita del permesso di dimora.

Disposizioni legali con ampio margine d’interpretazione Secondo la legge federale sugli stranieri e la loro integrazione (LStrI) chi dipende in maniera «durevole e considerevole» dall’aiuto sociale può subire delle conseguenze in materia di diritto di soggiorno. Il Tribunale federale ha poi definito come segue questi termini alquanto vaghi: è considerato «durevole» l’aiuto sociale che si protrae da almeno tre anni e «considerevole» un versamento di 50 000 franchi nel caso di un permesso di dimora e di 80 000 franchi nel caso di un permesso di domicilio. L’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea è entrato in vigore nel 2002 e prevede che i cittadini provenienti dall’UE /AELS sono equiparati se dispongono di «qualità di lavoratori». Questo presuppone l’esercizio di un lavoro «non minore» fissato a 12 ore settimanali dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, e poi confermato dal Tribunale federale anche per la prassi in Svizzera. I concetti di aiuto sociale «con colpa personale» e «senza colpa personale» non sono riportati nella LStrI. In giurisprudenza vengono tuttavia utilizzati quando si tratta di decidere se una revoca o un declassamento di uno statuto di dimora è da considerare «adeguato alle circostanze» come specificato nella LStrI. Siccome questi termini non possono essere verificati in base a chiari criteri, lasciano molto margine discrezionale e sono fonte di grandi incertezze tra i soggetti interessati.


Richieste di Caritas Svizzera L’emergenza coronavirus ha reso ancora più evidente quanto sia fragile la garanzia della sussistenza per molte persone in Svizzera e quanti vivono soltanto poco al di sopra del minimo esistenziale. Soprattutto per i lavoratori senza passaporto svizzero che non sono in grado di mantenersi a causa di uno stipendio troppo esiguo o che perdono persino il posto di lavoro, il diritto all’aiuto in situazioni di bisogno non è garantito. Se percepiscono prestazioni assistenziali rischiano di perdere il loro statuto di dimora. Molti rinunciano pertanto al sostegno cadendo così tra le maglie del sistema e vivendo al di sotto della soglia di povertà. Caritas Svizzera ritiene che sia una situazione insostenibile e avanza pertanto le seguenti richieste.

1) Eliminare il collegamento tra statuto di dimora e aiuto sociale Il collegamento tra statuto di dimora e aiuto sociale compromette il diritto al sostegno in caso di bisogno e fa aumentare la povertà in Svizzera. I soggetti in condizioni lavorative precarie vivono così in uno stato di costante incertezza, poiché sanno di rischiare di perdere il loro statuto di dimora in Svizzera se perdono il posto di lavoro. Questo grava anche sulla loro salute, sono infatti costantemente messi sotto pressione. Per Caritas è evidente: chi ha lavorato in Svizzera ha diritto a ricevere sostegno in caso di bisogno senza dover temere conseguenze negative a livello finanziario. Caritas Svizzera esige pertanto che l’aiuto sociale non si ripercuota sullo statuto di dimora, a meno che non sia stato causato o non venga protratto volontariamente. La legge sugli stranieri e la loro integrazione deve essere adeguata a livello federale.

2) I Cantoni devono sfruttare lo spazio di manovra e fornire informazioni trasparenti Finché il collegamento tra statuto di dimora e aiuto sociale rimane disciplinato per legge, ai Cantoni viene attribuita un’importanza centrale nella messa in pratica. In questo senso godono di un certo spazio di manovra e attualmente interpretano la legge in maniera molto restrittiva. Caritas Svizzera chiede che i Cantoni tengano più in considerazione le situazioni individuali degli interessati. La decisione di revocare un permesso di dimora non può dipendere soltanto dalle previsioni dell’aiuto sociale. In futuro, alla salute e all’integrazione sociale deve essere attribuito maggior peso. Per gli interessati è inoltre essenziale che l’ufficio di migrazione fornisca informazioni chiare, trasparenti e vincolanti in merito ai requisiti necessari per non perdere lo statuto di dimora.

3) C onsolidare la prevenzione della povertà I lavoratori che possono seguire perfezionamenti e riqualificazioni professionali, sono meno a rischio di disoccupazione. Hanno inoltre più possibilità di trovare un nuovo posto di lavoro. Questo vale soprattutto per i lavoratori senza formazione post-obbligatoria il cui lavoro è soggetto a rapide mutazioni a causa della digitalizzazione. Lo Stato e l’economia devono fare in modo che anche queste persone possano seguire perfezionamenti o corsi di riqualificazione professionali. Gli stranieri che hanno lavorato in Svizzera devono poter ricevere il sostegno necessario per stare al passo con i requisiti posti sul mercato del lavoro. Dopo una gravidanza, un infortunio o una malattia serve maggiore sostegno per il reinserimento nel mondo del lavoro.

Giugno 2021 Autori: Martin Jucker e Marianne Hochuli, settore Studi scientifici e-mail: mhochuli@caritas.ch, telefono 041 419 23 20 Il presente documento di posizione può essere scaricato su www.caritas.ch/documenti-di-posizione

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