«In futuro la Svizzera deve pertanto riconoscere la sua responsabilità globale e divenire parte della soluzione nella lotta contro la crisi climatica. A tale scopo è tenuta a garantire la giustizia climatica a livello nazionale e nei confronti dei Paesi più poveri e più esposti ai cambiamenti climatici nel sud del mondo.»
Documento di posizione giustizia climatica
Garantire una giustizia climatica
In sintesi: Per chi vive nei Paesi in via di sviluppo la crisi climatica appartiene già oggi all’amara realtà. Qui i più colpiti sono i poveri, spesso donne e bambini, piccoli agricoltori, popoli indigeni nonché le persone che vivono nelle baraccopoli o su isole lentamente sommerse dal mare. Le popolazioni indigenti che subiscono maggiormente gli effetti del riscaldamento globale sono quelle che meno hanno contribuito a creare il fenomeno. Non dispongono infatti delle capacità e dei mezzi necessari per proteggersi da periodi di siccità, alluvioni e uragani, né possono ricorrere ad aiuti sociali, prestazioni assicurative o altri indennizzi. Rispetto al resto del mondo e soprattutto rispetto ai Paesi in via di sviluppo, la Svizzera ha un’impronta climatica pro capite enorme. Altrettanto grande è quindi la sua responsabilità a contenere il cambiamento climatico globale e a gestire le conseguenze negative del riscaldamento ambientale. Serve giustizia climatica: a livello nazionale, la Svizzera deve promuovere il cambiamento sociale e ambientale dell’economia e della società nonché ridurre l’impatto climatico entro il 2040. Allo stesso tempo deve aumentare il sostegno (finanziario) alle popolazioni più povere affinché anche loro riescano a mettere in atto la trasformazione necessaria e possano adeguarsi meglio agli effetti devastanti del riscaldamento ambientale. Più sarà stretta la cooperazione tra le Nazioni nel limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 gradi, più riusciranno a gestire le conseguenze del fenomeno.
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La terra si sta riscaldando Il riscaldamento globale causato dall’uomo sta avanzando inarrestabile. Se nei prossimi anni non ci sarà un’inversione di tendenza, il clima rischia di diventare incontrollabile. Questo è quanto teme il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (ONU). I dati sui cambiamenti climatici sono allarmanti. Da vari studi emerge che gli oceani diventano sempre più acidi, la calotta glaciale si sta sciogliendo, il livello del mare continua a salire e il permafrost si sta scongelando liberando il gas metano alquanto nocivo per il clima. Periodi di siccità e uragani sono fenomeni sempre più frequenti dagli effetti estremi. Varietà di piante e animali vanno estinguendosi e vi sono sempre meno superfici agricole. Nonostante vi sia urgentemente bisogno di reagire, non si delinea nessun cambiamento sociale ed ecologico nell’economia e nella società. L’abbandono dei combustibili fossili come carbone, petrolio e gas (decarbonizzazione) ad alta intensità di CO2 avanza troppo lentamente. Al contempo mancano importanti investimenti in energie rinnovabili e tecnologie a bassa emissione. Il passaggio alla mobilità rispettosa dell’ambiente e all’agricoltura ecologica, alla creazione di catene di valore sostenibili e di abitazioni a emissioni zero, a un consumo più moderato e a uno stile di vita semplice è ancora troppo poco percepibile, almeno in Svizzera.
Il mondo non sta seguendo la rotta In un prossimo futuro sarà decisivo l’ammontare del riscaldamento globale. Qualora la temperatura continuasse a salire, si raggiungeranno inevitabilmente livelli critici da cui scaturiranno processi irreversibili: la corrente del Golfo potrebbe cessare e causare fenomeni climatici estremi anche in Europa. Il ghiaccio della Groenlandia potrebbe sciogliersi e far salire ulteriormente il livello del mare. Le foreste pluviali abbattute e arse potrebbero perdere la loro funzione di magazzino di CO2 e di «polmone verde» della terra. Devastanti ondate di calore e periodi di siccità potrebbero inoltre rendere inabitabili grandi aree nel Sud del mondo. Per scongiurare queste minacce, la comunità internazionale nel 2015 ha stretto un accordo sul clima a Parigi volto a fermare i cambiamenti climatici (cfr. riquadro). Secondo il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) già un aumento della temperatura globale di oltre 1,5 gradi comporterebbe costosi danni climatici e costringerebbe
molte persone alla fuga nei Paesi in via di sviluppo. Se la temperatura salisse di oltre 2 gradi, questo comprometterebbe l’esistenza dell’umanità e della natura. Tanto più preoccupante è constatare che secondo gli sviluppi attuali il mondo si sta dirigendo verso un riscaldamento di oltre 3 gradi entro la fine del XXI secolo. E, anche se gli Stati riuscissero a rispettare entro il 2030 gli impegni sul clima fissati con l’ONU, la temperatura globale si riscalderebbe comunque dai 2,3 ai 2,6 gradi. Anche la Svizzera è completamente fuori rotta: non solo ha mancato i propri obiettivi climatici per il 2020, ma ha anche presentato all’ONU proposte insufficienti per riuscire a rispettare l’Accordo di Parigi fino al 2030. Ormai è evidente: la comunità internazionale, e con essa la Svizzera, deve decisamente recuperare in tema di protezione del clima.
L’Accordo di Parigi sul clima e l’Agenda 2030 Da decenni la comunità internazionale sta cercando di gestire il problema dei cambiamenti climatici. Nel 2015 sono stati registrati i primi progressi: con l’Accordo di Parigi sul clima tutti i Paesi in seno all’ONU si sono impegnati a limitare il riscaldamento globale al di sotto della soglia di 2 gradi centigradi, fissando il tetto massimo dell’aumento a 1,5 gradi. Rispetto al periodo preindustriale, la temperatura sulla terra si è già riscaldata di 1,2 gradi. Altro obiettivo dell’Accordo di Parigi è concentrare i flussi finanziari statali e privati sullo sviluppo a bassa emissione di gas serra. La comunità internazionale resta ferma nella sua decisione secondo cui le Nazioni più ricche debbano mobilitare almeno 100 miliardi di dollari USA all’anno per il «finanziamento internazionale per il clima». Questo consente di investire in progetti di protezione del clima e in misure di adeguamento agli effetti negativi del riscaldamento globale nei Paesi in via di sviluppo. Già nel 1992 era stato concordato che detti fondi avrebbero dovuto essere corrisposti in aggiunta al finanziamento allo sviluppo, cosa che purtroppo (al momento) non avviene. La protezione del clima e le misure di adeguamento costituiscono parte integrante dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile. Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU del 2015 valgono per tutti gli Stati (quindi anche per la Svizzera) e prevedono un catalogo globale volto a ridurre la povertà e la fame, a migliorare l’istruzione e la salute, a promuovere la pace e la democrazia e ad adottare un’economia sostenibile a vantaggio di tutti a livello mondiale.
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Paesi in via di sviluppo nella crisi climatica Le conseguenze negative dei cambiamenti climatici risultano sempre più evidenti in tutto il mondo. In Europa e in Svizzera forti piogge e inondazioni sono sempre più frequenti. Nell’area mediterranea si diffonde invece sempre più la siccità. In Australia imperversano gli incendi, mentre negli Stati Uniti tempeste tropicali e uragani causano ingenti danni. Effetti molto più gravi si abbattono sui Paesi nel Sud del mondo: lunghi periodi di siccità e ondate di caldo letali in Africa sono la causa di grosse perdite sul raccolto, grande fame ed emergenza. Se la siccità è poi seguita da piogge torrenziali con conseguenti allagamenti, questo comporta notevoli difficoltà per l’agricoltura. La frequenza di periodi di siccità e piogge torrenziali continua ad aumentare anche in Asia meridionale e sudorientale come pure nel continente sudamericano. A causa dei cambiamenti climatici, secondo l’ONU anche il numero di catastrofi naturali è raddoppiato se si paragona il 2000 con i 20 anni precedenti. Le catastrofi dovute al clima, quali inondazioni e siccità, incendi e ondate di calore, fanno sì che i più indigenti perdano il loro raccolto, la loro base esistenziale, la loro abitazione. Sempre più spesso scuole, centri sanitari e importanti infrastrutture devono essere riparati o ricostruiti. Nelle regioni ripetutamente colpite da catastrofi naturali vivono anche molte persone che soffrono la fame. Qui mancano semplicemente le risorse e i risparmi necessari per superare queste situazioni. Secondo le stime del Programma alimentare mondiale dell’ONU (WFP), la fame nel mondo, in particolare la denutrizione dei bambini, aumenterà del 20 percento entro il 2050. E questo soltanto a causa dei cambiamenti climatici. In molte zone le condizioni di vita cambiano tanto da rendere impossibile sopravvivere nella propria patria. Sempre a più persone non rimane altro che lasciare il proprio Paese di origine. L’ONU teme che entro il 2050 vi saranno più di 200 milioni di sfollati a seguito del riscaldamento globale, cifra che metterebbe in ombra qualsiasi movimento migratorio finora vissuto.
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L’Africa particolarmente colpita Nei Paesi dell’Africa in cui Caritas Svizzera presta da decenni aiuti umanitari e collabora allo sviluppo sostenibile, l’80 percento della popolazione lavora nell’agricoltura. Considerato che questo settore deve cavarsela completamente senza irrigazione, è importantissimo poter contare su precipitazioni affidabili. Questo dato di fatto rende la popolazione particolarmente sensibile ai cambiamenti climatici. Nella regione del Sahel si registrano sempre più spesso periodi di siccità. In Paesi come Mali, Niger, Ciad e Burkina Faso il rendimento dei pochi terreni fertili è sempre più scarso. Carestia e disperazione, violenza e sfollamento ne sono le conseguenze. Nel sud-est africano si alternano periodi di siccità e violenti piogge, con gravi ripercussioni sull’agricoltura di sussistenza quale base per la sicurezza alimentare. Mentre tra il 2016 e il 2018 vi è stato un periodo di estrema siccità, nel 2019 i Paesi come Malawi, Mozambico e Zimbabwe sono stati colpiti da due gravi cicloni che hanno lasciato una scia di devastazione e miseria.
La grande responsabilità climatica della Svizzera La distribuzione di ricchezza materiale, consumo energetico ed emissioni di gas serra nel mondo è tutt’altro che equa. La Svizzera è una delle Nazioni più ricche. Il nostro stile di vita richiede ingenti risorse e quantità di energia. Di conseguenza, gli Svizzeri producono in media molti gas serra e contribuiscono pertanto al cambiamento climatico globale. Mentre negli ultimi trent’anni la Svizzera è riuscita a ridurre del 14 percento i gas serra e quindi a rimpicciolire la propria impronta ambientale a livello nazionale, all’estero diventa sempre più grande. Questo è dovuto al fatto che il nostro standard di vita si basa in gran parte su importazioni convenienti da altri Paesi. La Svizzera causa così «emissioni grigie» nocive per il clima oltre i propri confini nazionali. Nel frattempo la maggior parte dell’inquinamento svizzero viene prodotto oltre frontiera. Perché la Svizzera ha esternalizzato da tempo ormai le industrie ad alta intensità energetica e di materie prime e importa capi d’abbigliamento e apparecchi elettronici da Paesi più poveri con salari esigui e cattive condizioni di lavoro. Perché ci disfiamo in modo poco trasparente delle nostre auto malmesse spedendole nelle città sovraffollate in Libia, Togo, Benin e Nigeria. Perché voliamo spesso e perché il nostro consumo di carne comporta una produzione di foraggio nei Paesi in via di sviluppo dannosa per il clima.
• Secondo l’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), con 14 tonnellate di CO2 equivalente pro capite, l’impronta ecologica della Svizzera in termini di gas serra è nettamente superiore alla media europea. • L’impronta della Svizzera corrisponde a più del doppio dell’impronta media mondiale di 6 tonnellate di CO2 equivalente pro capite. • La maggior parte degli Stati africani emettono all’anno meno di 1 tonnellata di gas serra pro capite. • Con le sue elevate emissioni pro capite, la Svizzera supera notevolmente il limite planetario massimo di 0,6 tonnellate di CO2 equivalente pro capite.
Contributo alle emissioni pro capite dannose per il clima 16 14
14
12 10 8 6
6 4
Senza dimenticare il mercato finanziario elvetico: banche e assicurazioni, casse pensioni e investitori privati continuano a puntare miliardi sull’estrazione di carbone dal futuro incerto e sull’industria petrolifera devastante. Se la Svizzera vuole raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi, anche il mercato finanziario locale deve iniziare a fornire il suo contributo, visto che i finanziamenti di oggi determinano l’economia di domani.
La Svizzera rientra tra i Paesi più nocivi per il clima Tutto sommato, l’impronta climatica della Svizzera non tende a rimpicciolirsi, anzi, diventa sempre più grande. In un’ottica globale, per quanto riguarda le emissioni di CO2 pro capite, la Svizzera rientra tra i Paesi più nocivi per il clima, preceduta soltanto da Stati come gli USA e il Canada, gli Stati del Golfo e l’Australia, Singapore o Hong Kong. Particolarmente drammatico è il raffronto con i Paesi dell’Africa subsahariana:
2
0,5
0,6
Paesi subsahariani
Limite planetario
0 Svizzera
Media mondiale
Cifre in tonnellate di CO2 equivalente all’anno pro capite. Fonte: Ufficio federale dell’ambiente (UFAM), valore approssimativo per Paesi africani subsahariani.
Nel raffronto mondiale e, in particolare, rispetto ai Paesi in via di sviluppo più poveri, la Svizzera emette molti gas serra. Ecco perché è chiamata a contribuire in misura considerevole al contenimento del cambiamento climatico globale e alla gestione degli effetti devastanti dovuti al riscaldamento ambientale. La Svizzera è quindi parte del problema climatico mondiale. In futuro deve pertanto riconoscere la sua responsabilità globale e divenire parte della soluzione nella lotta contro la crisi climatica. A tale scopo è tenuta a garantire la giustizia climatica a livello nazionale e nei confronti dei Paesi più poveri e più esposti ai cambiamenti climatici nel sud del mondo.
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Giustizia climatica Tra il 1990 e il 2015 le emissioni nocive per il clima si sono raddoppiate a livello mondiale. Secondo un rapporto dell’Oxfam (2020), l’aumento è da ricondurre principalmente al 10 percento dei Paesi più ricchi e non alla «classe media» globale, come spesso si presume o si afferma. All’1 percento più ricco dell’umanità si ascrive il 15 percento, ai più poveri invece soltanto il 7 percento delle emissioni mondiali di CO2 tra il 1990 e il 2015. Il riscaldamento globale è causato in minima misura dalle popolazioni più indigenti, anche se poi sono queste ultime a essere maggiormente esposte alle conseguenze. Non dispongono infatti delle capacità e dei mezzi necessari per proteggersi dai danni climatici, né possono ricorrere ad aiuti sociali statali o a prestazioni assicurative. Il cambiamento climatico crea una situazione di squilibrio: mentre gli uni ne sono responsabili, gli altri ne subiscono le conseguenze. Da qui nasce il concetto di giustizia climatica. Essa riunisce gli sforzi nella protezione climatica mondiale al concetto di giustizia a livello nazionale e fra i Paesi del nord e del sud.
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Creare un clima di giustizia Da anni ormai Caritas Svizzera, insieme ad altre organizzazioni per lo sviluppo, sta lottando per una più giustizia climatica: le Nazioni più abbienti come la Svizzera devono assumersi molta più responsabilità rispetto ai Paesi in via di sviluppo che contribuiscono in minima misura al riscaldamento globale. Le persone ricche e privilegiate che lasciano una grande impronta ambientale devono assumersi maggiori responsabilità a favore dei più poveri indifesi e particolarmente esposti alla crisi climatica. La questione del clima è una questione di giustizia. Se attraverso le nostre emissioni di CO2 riscaldiamo la terra, facciamo precipitare ulteriormente nella fame e nella povertà le persone che vivono nei Paesi del sud. Le cose devono cambiare. Sostenere in modo appropriato i Paesi in via di sviluppo, ridurre i propri gas serra e adottare un comportamento e un’economia carbon neutral è fattibile. È soltanto una questione di disponibilità sociale e di volontà politica.
È ora di agire – in Svizzera e nel resto del mondo Se i Paesi in via di sviluppo causassero tanti gas serra come la Svizzera, la terra si ritroverebbe presto in preda a un collasso. La giustizia climatica non può pertanto significare che tutti gli Stati del mondo debbano avere il diritto di produrre la stessa quantità di gas serra come attualmente i Paesi industrializzati. Questo non sarebbe assolutamente conciliabile con la limitazione del riscaldamento ambientale a meno di 2 gradi, tanto meno a 1,5 gradi. Il riscaldamento globale può essere frenato soltanto se i Paesi riescono – insieme – a non rilasciare praticamente più gas serra nell’atmosfera. Per rispettare il limite di 1,5 gradi fissato a Parigi, nei prossimi 30 anni, entro una sola generazione, tutti gli Stati dovranno rinunciare in modo coerente e duraturo allo sfruttamento e all’utilizzo di energie fossili dannose per il clima. Se proteggiamo il clima e cambiamo il nostro comportamento, facciamo ancora in tempo a frenare l’aumento della temperatura e a contenerne gli effetti devastanti. Anziché puntare su appelli volontari servono tuttavia misure concrete, chiare regolamentazioni e incentivi mirati – nel traffico stradale e aereo, nell’agricoltura e nell’alimentazione, nei settori Edifici, Industria nonché Mercato finanziario, dove i crediti e gli investimenti nocivi per il clima devono appartenere al passato. La crisi climatica richiede un cambiamento fondamentale in tutti gli ambiti della vita sociale, politica ed economica. Ed è ovvio che proteggere il clima sia costoso. Ma se non lo proteggiamo, a lungo andare ci costerà ancora di più. Se non interveniamo, i costi per affrontare le conseguenze negative non saranno più prevedibili, senza pensare all’emergenza delle persone colpite difficilmente quantificabile. La Svizzera deve agire su due fronti:
La Svizzera si impegna a livello nazionale per raggiungere un livello di emissioni neutrale.
La Svizzera sostiene i Paesi più poveri affinché possano svilupparsi producendo poche emissioni e adeguarsi agli effetti negativi del riscaldamento globale.
La Svizzera agisce sul piano nazionale La Svizzera persegue un’economia sociale ed ecologica e punta sulle energie rinnovabili e sull’efficienza delle risorse. Preserva la propria prosperità adottando un approccio socialmente equo, economicamente compatibile e con emissioni neutrali. Nel 2019 il Consiglio federale ha stabilito l’obiettivo di emissioni nette pari a zero: entro il 2050 la Svizzera non dovrebbe pertanto più emettere gas serra. Con le «Prospettive energetiche 2050+» nell’autunno 2020 l’Ufficio federale dell’energia ha illustrato come la Svizzera può raggiungere un livello di emissioni neutrale: le energie rinnovabili devono essere notevolmente potenziate, in particolare l’energia idroelettrica, fotovoltaica, eolica e da biomassa. I prezzi di benzina e Diesel, cherosene e gasolio non posso più essere tenuti artificialmente bassi. Mentre deve essere ridotto il consumo di energia, va aumentata l’efficienza energetica. Investire in energie rinnovabili e tecnologie sostenibili vale la pena sotto vari aspetti: come prima cosa, si possono ridurre danni incombenti per miliardi di franchi. Qualora il riscaldamento globale proseguisse inarrestabilmente, anche la Svizzera dovrebbe infatti far fronte a ingenti costi. In secondo luogo, la Svizzera può ridurre la sua dipendenza dai Paesi produttori di petrolio per l’approvvigionamento energetico. Soltanto negli ultimi 10 anni sono stati spesi all’estero 80 miliardi di franchi per energie fossili. Terzo, il passaggio alle energie rinnovabili consente di creare buoni posti di lavoro locali nel settore dell’ambiente e del cleantech. A fine gennaio 2021 il Consiglio federale ha pubblicato la «Strategia climatica a lungo termine della Svizzera». Essa contiene obiettivi per i settori Edifici, Industria, Agricoltura e alimentazione, Trasporti e aviazione nonché Mercato finanziario. Secondo il Consiglio federale il passaggio alle emissioni nette pari a zero avverrà in modo socialmente ed economicamente equo. La strategia non lascia dubbi: i costi sociali ed economici di un cambiamento climatico incontrollato superano di gran lunga i costi delle misure di protezione del clima. È quindi giunto il tempo di reagire.
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La strategia riconosce del resto anche la grande impronta ambientale della Svizzera poiché tiene conto delle «emissioni grigie» risultanti dall’importazione di generi alimentari e beni di consumo all’estero. Il principio del Consiglio federale secondo cui in futuro vadano ridotte le emissioni lungo l’intera catena di valore è giusto e lodabile. È perciò ancor più deludente che l’obiettivo di emissioni nette pari a zero del Consiglio federale voglia nuovamente tenere conto solo delle emissioni causate dalla Svizzera all’interno dei confini nazionali. La strategia non specifica inoltre a quanto debba ammontare la riduzione delle emissioni all’estero per raggiungere l’obiettivo di emissioni nette pari a zero in Svizzera. Il Consiglio federale e la politica pensano di compensare gran parte dei gas serra risparmiando sulle emissioni nei Paesi in via di sviluppo attraverso finanziamenti in appositi progetti. Se grazie al sostegno elvetico le vecchie stufe in Perù e nel Ghana venissero sostituite con modelli nuovi, la riduzione di emissioni registrata andrebbe a favore della Svizzera. Il fatto che la Confederazione sostenga la riduzione di emissioni in Paesi meno abbienti mediante finanziamenti e trasferimenti di conoscenze è positivo e favorevole al clima globale. Nei Paesi in via di sviluppo questo aiuta la diffusione di tecnologie e procedure povere di emissioni. Tuttavia non esima la Svizzera dalla responsabilità di raggiungere un livello di emissioni neutrale entro il 2050. Le riduzioni ottenute nei Paesi più poveri con l’aiuto della Svizzera dovrebbero essere promosse ma non computate all’inventario nazionale dei gas serra della Svizzera. Anziché puntare troppo su compensazioni all’estero e soluzioni tecniche, bisogna ambire soprattutto a cambiamenti sistemici radicali per disaccoppiare la ricchezza e la distruzione ambientale. A tale scopo servono incentivi mirati e regolamentazioni politiche per una maggiore sostenibilità. Devono essere promosse catene di valore socialmente ed ecologicamente responsabili, un’economia circolare efficiente in termini di risorse, una mobilità e consumi rispettosi del clima e un’agricoltura e un’alimentazione sostenibile.
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La Svizzera sostiene i Paesi più poveri La Svizzera aiuta i Paesi in via di sviluppo a puntare su uno sviluppo sostenibile e povero di emissioni. In questo contesto bisogna garantire che i Paesi del sud non debbano rinunciare al loro diritto a una prosperità equivalente. Con l’Accordo di Parigi sul clima, i Paesi in via di sviluppo come il Mali e i Paesi industrializzati come la Svizzera si sono impegnati analogamente a ridurre le emissioni rilevanti per il clima, a investire in energie rinnovabili e a promuovere infrastrutture resistenti a tutela della popolazione. Per riuscire in questo intento, i Paesi più poveri e più esposti ai cambiamenti climatici nel Sud del mondo dipendono dall’aiuto dei Paesi più ricchi. In qualità di Paese industrializzato, la Svizzera si è impegnata a effettuare nuovi investimenti aggiuntivi nella protezione del clima (mitigazione) e in misure di adeguamento nei Paesi in via di sviluppo. Già nel 2009 la comunità internazionale ha stabilito in seno all’ONU che i Paesi industrializzati debbano prestare un finanziamento internazionale per il clima ai Paesi in via di sviluppo pari a complessivamente 100 miliardi di dollari USA all’anno, in funzione del loro prodotto economico e della loro responsabilità climatica. Per quanto riguarda la mitigazione, vengono promosse la forestazione, le energie rinnovabili e le catene di valore pulite all’estero. In ambito di adeguamenti vengono sostenuti la produzione di sementi resistenti alla siccità e il ricorso a metodi di irrigazione a basso consumo idrico nell’agricoltura nonché costruiti argini litorali e serbatoi d’acqua affinché le persone siano più protette dalle inondazioni e possano affrontare meglio i periodi di siccità. Chi vive nei Paesi in via di sviluppo non ha sempre la possibilità di adeguarsi alle condizioni climatiche altalenanti. Ecco perché i negoziati internazionali sul clima si concentrano sempre di più sul concetto di danni e perdite. Vale a dire che i Paesi industrializzati come la Svizzera, ma anche i gruppi energetici e le aziende con emissioni nocive per il clima, devono risarcire in misura appropriata, secondo il principio di «chi inquina paga», le persone colpite nonché aiutarle a gestire i danni causati da catastrofi naturali e a compensare la perdita delle basi esistenziali.
Fornire sostegno alla parte più povera e a rischio della popolazione nel superare la crisi climatica non è come promuovere la democrazia e la parità dei sessi o le opportunità d’istruzione e l’accesso alle prestazioni sanitarie. Il sostegno a favore del finanziamento internazionale del clima nonché dei danni e delle perdite può integrare ma mai sostituire a lungo termine la collaborazione allo sviluppo nella lotta contro la povertà, le disparità e la fame. Oltre ai nuovi impegni resi necessari dalla crisi climatica, la Svizzera è pertanto tuttora chiamata a una collaborazione internazionale appropriata ed efficiente. Per il resto vale ciò che la comunità internazionale ha già deciso 50 anni fa in seno all’ONU: i Paesi industrializzati forniscono aiuti allo sviluppo pari allo 0,7 percento del loro prodotto economico (reddito nazionale lordo, RNL). La Svizzera è tuttavia molto lontana da questo valore target. Per questo motivo, con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e con l’Accordo di Parigi sul clima, si è impegnata a fornire aiuti finanziari e tecnici ai Paesi in via di sviluppo. Infatti è anche nell’interesse della Svizzera che il mondo si sviluppi in modo pacifico e sostenibile e che si riesca a contrastare l’imminente caos climatico nei Paesi del sud.
Caritas Svizzera sostiene le misure climatiche nei Paesi in via di sviluppo La crisi climatica peggiora gli ostacoli allo sviluppo esistenti e rende ancora più vulnerabili le persone già bisognose. Mette inoltre in difficoltà milioni di persone in tutto il mondo privandole della base esistenziale e costringendole alla fuga. Caritas aiuta le persone colpite ad affrontare meglio il riscaldamento globale. Nelle regioni in cui le piogge sono rare oppure brevi e intense, Caritas aiuta a raccogliere il bene prezioso in bacini di contenimento o cisterne. Dal momento che i periodi di siccità si fanno più lunghi o piove a intervalli irregolari, Caritas promuove la produzione di sementi resistenti alla siccità e un’agricoltura adeguata al clima. Sostiene anche le misure volte a migliorare l’efficienza energetica e a promuovere l’uso di energia rinnovabile. Le stufe a legna a basso consumo aiutano a ridurre le spese per i più poveri e a migliorare il loro stato di salute. Così facendo è altresì possibile contrastare la deforestazione. Caritas fornisce supporto anche in caso di catastrofi dovute al clima come gravi siccità e uragani. Allo stesso tempo vengono intrapresi sforzi per contenere le conseguenze delle catastrofi con misure preventive. Da un lato si tratta di migliorare la gestione di risorse naturali come foreste, acqua e pascoli. Dall’altro le autorità locali e la popolazione sapranno reagire più rapidamente e in maniera appropriata a un evento naturale. In Svizzera Caritas si impegna a favore di una politica climatica efficace e ambiziosa, socialmente equa, che punta a un atteggiamento rispettoso del clima in Svizzera e nei confronti dei Paesi in via di sviluppo.
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Richieste Caritas Svizzera si impegna per un cambiamento socialmente equo, ecologicamente sostenibile ed economicamente duraturo come previsto nell’Agenda 2030 dell’ONU. Affinché vi sia maggiore giustizia climatica nei confronti dei Paesi più poveri, Caritas avanza richieste alla politica, al Consiglio federale e all’Amministrazione pubblica. • Il Consiglio federale si impegna a favore di una rapida e completa decarbonizzazione dell’economia e della società elvetica. Caritas si aspetta che, dal 2030 in poi, la Svizzera non faccia più circolare combustibili fossili. Tra il 2040 e al più tardi il 2050 la Svizzera deve aver raggiunto il livello di emissioni zero, conformemente all’obiettivo dell’Accordo di Parigi, e aver limitato il riscaldamento globale ad al massimo 1,5 gradi. Soltanto così possono essere contenuti gli effetti peggiori per il clima nel mondo e in Svizzera. • Gran parte dell’impronta ambientale svizzera è da ascrivere alle «emissioni grigie» all’estero. La Confederazione deve tenerne conto, riconoscere l’effettiva responsabilità climatica della Svizzera – e fornire un rispettivo contributo al finanziamento internazionale del clima. In aggiunta ai fondi della collaborazione allo sviluppo pubblica, Caritas si aspetta che il Consiglio federale raddoppi almeno fino a un 1 miliardo di franchi all’anno i fondi per il clima per i Paesi in via di sviluppo. In questo modo la Svizzera soddisfa il bisogno di sostegno in ambito climatico dei Paesi più poveri e più esposti. A tale scopo, la Confederazione è chiamata a generare degli introiti riscossi secondo il principio di «chi inquina paga» tramite strumenti adeguati alle condizioni sociali. • Già oggi milioni di persone nel Sud del mondo soffrono dei danni climatici inevitabili e dei loro effetti sociali che compromettono anche l’esistenza (danni e perdite). Caritas prevede pertanto che la Svizzera versi, oltre al finanziamento internazionale del clima, anche dei contributi d’indennizzo ai Paesi in via di sviluppo – per raccolti scarsi e carestie dovute ai cambiamenti climatici, per edifici e infrastrutture distrutte in seguito a inondazioni e uragani nonché per perdite di terreni causati dal clima, sia sotto forma di desertificazione, erosione del suolo o perdita di vegetazione.
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• La trasparenza dei costi e la giustizia secondo il principio di «chi inquina paga» sono degli elementi centrali per una politica climatica efficace ed equa. Caritas si aspetta che la Confederazione disciplini le azioni economiche di aziende e privati così da premiare un comportamento ecologico e sociale e sancire quello che nuoce all’ambiente e viola i diritti dell’uomo. La Confederazione fa in modo che gli imminenti investimenti pubblici e i programmi di sostegno del Covid-19 vengano effettuati in maniera ecologica ed ecocompatibile. I flussi finanziari delle banche e della Banca nazionale svizzera (BNS) devono essere indirizzati in modo coerente ai settori con livelli di CO2 neutrali. • La Svizzera persegue una politica climatica estera globale incentrata sulla giustizia climatica e sulla lotta alla povertà. Caritas si aspetta che tutti gli uffici federali rilevanti si assumano le proprie responsabilità – in particolare il Dipartimento federale dell’economia e il Dipartimento federale delle finanze, perché la piazza finanziaria della Svizzera, con le sue attività d’investimento e la concessione di crediti, dispone di enormi leve in ambito climatico. Nelle organizzazioni multilaterali e in occasione di incontri bilaterali con altri governi, la Confederazione deve impegnarsi a favore di obiettivi di ampia portata per la protezione del clima e di generosi finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo.
Maggio 2020 Autore: Patrik Berlinger, ufficio Politica di sviluppo, e-mail: pberlinger@caritas.ch, telefono 041 419 23 95 Il presente documento di posizione può essere scaricato su www.caritas.ch/documenti-di-posizione
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