L’Isola di Ercole Antonietta Boninu
Alle osservazioni dello studioso Alberto Ferrero della Marmora riportate nel Voyage en Sardaigne, che intorno alla metà del 1800, durante l’attività di rilevazione, è rimasto bloccato nell’Isola per avverse condizioni meteorologiche, a quelle degli storiografi successivi che hanno ricomposto il quadro delle vicende susseguitesi fino al Decreto del 28 novembre 1997, istitutivo del Parco dell’Asinara, non sono seguite indagini mirate ad individuare, analizzare, documentare le più antiche testimonianze della presenza dell’uomo nell’Isola dell’Asinara. Le operazioni proprie di un censimento sono programmate e devono tradursi in un progetto specifico, finalizzato a riconoscere le tracce, i materiali, i segni, per giungere alla comprensione di tutti gli elementi deducibili, ed elaborare misure di salvaguardia, indirizzi di ricerca, anche nell’ambito del Piano Urbanistico Comunale e del Piano Paesaggistico Regionale. La posizione geografica, la geomorfologia, l’esposizione ai venti, non sempre propizi per l’arrivo e la partenza, condizionano i movimenti, ma in percentuale ridotta rispetto alle favorevoli condizioni strategiche che hanno avvantaggiato la partecipazione dell’Isola agli eventi antropici, economici, culturali, sociali del Golfo dell’Asinara e della Sardegna. L’articolazione, in un arco disposto a formare un braccio sollevato e ripiegato, in prosecuzione naturale del Capo Falcone, e l’Isola Piana, con i quali e dai quali si congiunge e si distacca, assumendo aspetto e struttura, si rivela al navigante in un crescendo di sorpresa, a rimarcare il sinus, golfo, e animo di una terra ancora non pienamente scoperta, ma che ha accolto, accoglie ed elabora elementi e relazioni. Nell’Isola madre il popolamento umano è attestato nei terrazzi fluviali dell’Anglona fin dal Paleolitico Inferiore, nel Pleistocene Medio, 400/500 mila anni fa; del Paleolitico Medio non si conoscono manufatti e/o giacimenti; le indagini paleontologiche nelle grotte della valle di Lanaitto, lungo il corso del Cedrino, conducono i materiali al Paleolitico Superiore nella fase del Pleistocene Superiore, 20 mila anni fa circa. Ancora per il successivo Mesolitico si ha una lacuna della conoscenza, mentre per il periodo del Neolitico più antico l’entroterra dell’Iglesiente, il golfo di Alghero e l’arco retrostante hanno restituito eloquenti testimonianze di prodotti, ceramica decorata, strumenti litici di ossidiana e di selce. Le grotte di Su Carroppu di Sirri, Carbonia, di Filiestru, di Bonu Ighinu, di Sa Ucca ’e su Tintirriolu di Mara, Grotta Verde di Alghero, con i manufatti e le stratigrafie, attestano presenze significative dal VI al IV millennio a.C. con confronti tipologici nell’area franco-iberica e della penisola italiana. I movimenti dei gruppi umani che si sono spostati da Nord e da Est per la Sardegna “hanno saltato” l’Asinara perché esterna ai passaggi propizi per una popolazione ridotta di numero? Oppure la registrazione attuale di dati in negativo è il risultato dello stato delle conoscenze, da indirizzare verso un doveroso approfondimento?
Gli specialisti dovranno prestare intelletto per formulare e circoscrivere l’entità del quesito. Di contro è sicuro e riscontrabile il soggiorno dell’uomo sull’Isola almeno dal IV millennio a.C.; la domus de janas di Campu Perdu lo attesta con documento fortemente espressivo. L’ipogeo è molto simile alle tombe a domus de janas presenti nella Nurra centrale ed occidentale ricavate nei banchi di roccia naturale, sviluppate in una serie di ambienti, talvolta in numero considerevole, e risalenti alla metà del IV millennio a.C., utilizzate anche nelle epoche successive fino all’Età del Bronzo, con adattamenti, rifacimenti ed ampliamenti. La domus de janas di Campu Perdu presenta una planimetria di tipo centripeto articolata su cinque ambienti, che conservano tratti del pavimento, soffitti piani con inclinazioni verso l’ingresso e pareti rettilinee nelle due celle secondarie affiancate, e curve nella cella centrale. Nell’ambiente centrale sono evidenti tracce di una colonna, e si aprono i portelli per le celle secondarie: tre a sinistra dell’ingresso, di cui la seconda e la terza disposte parallelamente tra di loro con ingresso separato dalla prima; una quarta celletta secondaria si apre a destra dell’ingresso della cella centrale. I portelli e i pavimenti sono in parte danneggiati per la lunga frequentazione nel corso dei millenni e secoli anche per usi improprî come riparo di animali selvatici, deposito di foraggio, laboratorio per gli uomini con accensione di fuochi e adattamenti funzionali. Dell’utilizzo in età storica, probabilmente tardoantica paleocristiana, resta una croce incisa all’esterno, al di sopra del portello di accesso. Il rilievo di arenaria che accoglie la domus presenta, a Sud-Ovest di questa, anche un riparo naturale che può aver svolto funzioni simili sia per la vita dell’uomo che per la deposizione dei defunti. L’ininterrotto uso in tutte le epoche, anche recenti, non ha permesso la conservazione di consistenti lembi di stratigrafia intatta, che merita comunque una approfondita verifica. La pulizia effettuata alla fine degli anni Novanta ha curato un decespugliamento all’esterno e l’eliminazione di resti di oggetti contemporanei all’interno, mirato alla esecuzione della documentazione fotografica. Ancorché non si conoscano e non si riscontrino elementi decorativi nelle pareti, nei soffitti e nei portelli, e neppure si abbiano dati stratigrafici, l’attribuzione dell’ipogeo all’uomo del Neolitico Recente per l’impianto appare inequivocabile. Ma l’uomo che ha costruito la domus per affidare i proprî cari all’aldilà in una tomba monumentale, cui prestare rispetto ed attenzione, dove viveva, dove aveva edificato il villaggio, dove coltivava le terre ed allevava gli animali? Sicuramente a breve distanza dall’ipogeo, ad Ovest e a Sud; la geomorfologia e la pedologia offrono condizioni favorevoli per le colture e per gli allevamenti. La struttura delle capanne, semplici, con basamento in pietra, con copertura straminea, o
Ingresso della domus de janas. Nelle pagine seguenti Interno dell’ipogeo suddiviso in diversi ambienti.
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Area della domus in località Campu Perdu.
entro recinti recuperati direttamente sul piano della roccia, ha subito le sorti simili a quelle degli altri siti, ove le tracce degli abitati si deducono dai manufatti litici e ceramici che si conservano nelle aree di pertinenza. I frammenti degli strumenti e le schegge di ossidiana rinvenuti a Campu Perdu, nell’areale genericamente denominato La Reale, sono documenti inconfutabili, che attestano la presenza dell’uomo nel tratto della pianura estesa a Sud e a Sud-Ovest della Punta Antoniera, che si eleva per m 245 sul livello del mare. Non è da escludere che ad un insediamento stabile sia stato preferito un villaggio stagionale, che si allestiva per alcune parti dell’anno; ci si spostava poi nell’Isola madre per alcuni mesi con gli armenti ed i prodotti dell’agricoltura, e si riprendeva l’anno successivo, anche con la riserva di ossidiana che veniva lavorata direttamente sull’Isola per le necessità della caccia, della pesca e della vita quotidiana. Affatto dissimili dovevano essere gli insediamenti neolitici di Fornelli e delle colline retrostanti Cala d’Oliva, comprese tra Azza d’Elighe, Punta Maestra Serre e Punta Ruja, in una serie di dolci e graduali rilievi fino alla quota media di m 300 s.l.m., ove i naturali festoni di granito hanno favorito ripari e capanne per gli armenti e per gli uomini. Le genti dell’Età Neolitica, dell’Età Eneolitica e del Bronzo hanno scelto le aree che hanno sempre offerto possibilità di approdo sicuro, risorse idriche, risorse arboree, risorse alimentari, in un equilibrio che ha sempre rispettato l’ambiente e oggi restano solamente manufatti piccoli, minuti, ma preziosi per ricostruire le logiche e la diacronia della loro presenza. A tutti i visitatori dell’Isola si rivolge l’appello per un rispetto integrale che salvaguardi le tracce materiali, poiché la vul30
nerabilità è direttamente proporzionale all’importanza del dato, che è notevolissima, se si intende preservare l’Isola e consegnarla alle generazione future, senza sottrazioni, né depauperamenti, né cancellazioni. Soltanto su tali basi la ricerca archeologica potrà garantire ancora nuove scoperte. L’appello è moralmente obbligato e ancora più accorato, nell’ottica di reali ed effettivi esiti, poiché non può essere trascurata neanche una minuta traccia, per l’Età Nuragica. Finora si dispone di oggetti di bronzo di numero esiguo, un bracciale con verga semplice, e una figura di bue stante; entrambi ritrovamenti privi di contesto, ed il secondo non verificabile per le circostanze e la località. La figurina, della lunghezza massima di cm 11, ben si colloca nella produzione simile di esemplari come quelli da ‘Untana ‘e Deu di Lula, da Santa Vittoria di Serri, da Abini di Teti, e per gli aspetti morfologici nella identificata Razza Sarda dei Bovini. L’analisi della densità, particolarmente alta, e dell’ubicazione dei nuraghi lungo la linea di costa del golfo dell’Asinara, non può non comprendere l’Isola stessa in un ruolo strategico per la collettività nuragica, organizzata con federazione interessata anche alle acque del golfo per la pesca, per i commerci e per le ulteriori tappe di partenza. Le popolazioni nuragiche hanno probabilmente adottato il concetto di Parco ante litteram per una terra e per un mare altamente importanti, e naturalmente sovraordinati, in quanto eminente forza, nei confronti dei singoli cantoni e villaggi, per assolvere funzioni strategiche per tutti gli abitanti che là ancoravano le proprie imbarcazioni per spostarsi ancora e per riportare in terra ferma i prodotti di scambio, a
garanzia di un interesse superiore che la stessa geografia ha predisposto. È ovvio che si avanzano ipotesi con l’obiettivo di contribuire a richiamare l’attenzione sulle modifiche dei luoghi, anche superficiali, circoscritte, ridotte e necessarie per le esigenze del recupero e della valorizzazione dell’Isola. Per le successive fasi storiche le complesse vicende della navigazione dei popoli da Est verso Ovest nel teatro del Mediterraneo, quale arena per misurare le forze della città, per impiantare emporî ad opera di madrepatrie, che hanno mirato alla fondazione di colonie per assicurare nuove terre, materie prime, metalli e più ampi mercati alle produzioni artigianali ed artistiche, si intrecciano con i miti condotti, assimilati e tramandati con figure di eroi, che con vesti e imprese da semidei hanno guidato, anticipato e interpretato l’azione dell’uomo nel mare degli scambi commerciali e culturali. Eracle, il figlio di Alchmena e di Zeus, il sommo fra gli dei, nacque a Tebe. Eracle, prima ancora della sua nascita, venne perseguitato da Hera, che gli scarica l’ira implacabile del tradimento, anche perché il Fato gli predice grandi fortune. Le imprese leggendarie di Eracle, che fu il più grande eroe greco, cominciarono fin da quando era bambino. In culla strozzò i due mostruosi serpenti mandati da Hera per soffocarlo. Da giovinetto imparò l’uso dell’arco, nel quale divenne insuperabile, e a seguire apprese l’arte di combattere a mano armata, oltre alla medicina e alla chirurgia. Quando la fama della forza e della destrezza cominciò a correre per il mondo, il fratello Euristeo, temendo di essere da lui spodestato, e cedendo alla ripetute insistenze dell’irata Hera, gli impose, a nome di Zeus, di compiere le famose dodici fatiche. La
prima prova fu la lotta con il leone di Nemèa, mostro nato da Tifone e da Echidna, e che non poteva essere ucciso con le armi avendo la pelle invulnerabile. Per avere ragione su di lui, l’eroe lo costrinse a rifugiarsi nella tana, dopo averlo inutilmente colpito con le frecce e stordito con i formidabili colpi della sua clava; ivi lo soffocò con la stretta delle sue braccia d’acciaio. Poi, scuoiatolo, della pelle si fece una veste e della testa un elmo. La seconda fatica consistè nell’uccisione dell’Idra di Lerna, dalle sette o nove teste, una delle quali immortale, mentre le altre rinascevano appena recise. Il terribile cinghiale di Erimanto, che devastava l’Elide e l’Arcadia, offerse ad Eracle la terza prova della sua forza. La quarta fatica fu la cattura della Cerva di Cerinèa, che aveva i piedi di rame e le corna d’oro, sacra ad Artemide. La quinta fu costituita dallo sterminio degli uccelli Stinfalidi, che avevano artigli, becco ed ali di bronzo, e penne dello stesso metallo, di cui essi si servivano, lanciandole, come frecce. La sesta fu la conquista del Cinto di Ippolita, regina delle Amazzoni, alla quale era stato donato dal dio Ares. La settima fatica prende il nome dalle stalle di Augìa re degli Epèi che le affidò ad Eracle per ripulirle dello stabbio e del letame che vi si era accumulato da trent’anni. L’ottava fatica è data dalla cattura del Toro di Creta. La nona è articolata tra Creta e Micene con la cattura del toro ferocissimo e l’uccisione di Diomede, re dei Bistoni, che fece divorare dalle sue stesse feroci cavalle. La decima, che interessa l’Occidente, è la conquista dei Buoi di Gerione, che era figlio di Crisaore e di Calliroe, il quale aveva tre corpi e possedeva un ricco armento custodito da un drago dalle sette teste e da un cane bicipite; Eracle, per impadronirsi 31
Bronzetto di bovino di Età Nuragica rinvenuto all’Asinara.
dell’armento, dovette affrontare e uccidere Gerione e i suoi custodi. L’impegno si spostò in Italia ove condusse i buoi conquistati, si fermò presso Pallante, figlio di Evandro, e venne derubato di quattro coppie delle sue più belle giovenche dal gigante Caco. Ma Eracle lo sorprese nel suo speco e, dopo una violenta lotta, lo strozzò, recuperando le giovenche rubate. L’undicesima fatica fu costituita dalla conquista dei Pomi aurei delle Esperidi, custoditi dal drago Ladone e da Atlante. Con la dodicesima ed ultima fatica Eracle scese all’Inferno e trasse incatenato il tricipite cane Cerbero, che Euristeo gli impose di riportare all’Inferno. La leggenda attribuisce ad Eracle altre numerose e svariate imprese, compresa la lotta contro i Centauri. Nella statuaria e nelle pitture Eracle è raffigurato seminudo, o avvolto nella pelle del leone Nemeo, leontè, una mano appoggiata alla clava, il capo coronato di foglie di pioppo bianco, del quale aveva coperta la testa quando discese all’Inferno, e le foglie si annerirono nella pagina esterna alla testa dell’eroe. Nel Museo Nazionale di Napoli è esposta una statua colossale, il c.d. Ercole Farnese, di m 3,17, rinvenuta a Roma nelle Terme di Caracalla sotto il Pontificato di Paolo III Farnese. È la copia della famosa statua di bronzo, opera di Lisippo, realizzata da un copista ateniese, Glykon, il cui nome è inciso alla base. Si racconta che Lisippo, celebre scultore greco di Sicione del IV sec. a.C., sia stato il primo a modellare il gesso sul corpo vivente di Eracle. Il mito greco di Eracle rivive in gran parte nel dio fenicio e punico Melqart, e nel dio italico e romano Ercole. Il nome attribuito all’Isola dell’Asinara da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia nel I sec. d.C., Herculis Insula, con estensione anche all’Isola Piana, viene ripreso e confermato successivamente. Il geografo alessandrino Tolomeo nel II sec. d.C. nell’elencare le isole che stanno intorno alla Sardegna, riporta Heraklèous nésos, Isola di Eracle e denomina l’Isola Piana Diabatè nésos, l’isola del passaggio. Anche nella Tabula Peutingeriana, la più antica rappresentazione cartografica della Sardegna finora nota, il cui originale è del IV sec. d.C. l’Asinara è denominata Insula Herculis. Il nesonimo riconduce con formula univoca al mito di Ercole, che nasce in Grecia, si estende nell’Egeo e nel Mediterraneo, è fatto proprio dai popoli navigatori, mercanti, espan32
sionisti. Le fonti letterarie fissano la tradizione orale e registrano una denominazione più antica. Ma perché proprio l’Asinara è nota come isola di Ercole? Il mito, come tutti i miti, si libera della leggenda, del racconto, e ripone nella figura dell’Eracle – Melqart – Ercole le attese, le aspirazioni e le mire delle nuove terre dei popoli del Mediterraneo, in una dinamica economica e culturale che localizza nell’Asinara una meta per crearne ancora nuove, per aspirare alla conquista e alla scoperta, per superare le prove, per misurarsi con nuove e più grandi sfide, per stimolare l’ingegno, per affrontare nuove fatiche. L’Asinara dunque è meta, è approdo, è partenza, è la summa tra il noto e l’ignoto, è relazione, e in quanto tale incontro, confronto, sviluppo degli embrioni di idee, è il concetto stesso di eroe, di colui che conquista e che supera nuove prove. A fronte di tanto significato e di tanta eredità culturale oggi non si riscontrano evidenti monumenti; sono consistenti ed eloquenti le tracce di strutture, di prodotti importati e risorse scavate, utilizzate ed esportate, ma l’Isola non è mai appartenuta ad un gruppo umano stanziale, non è mai stata esclusiva proprietà di una città, ma è un insieme terra-mare, disponibile per i naviganti sia d’Oriente che di Occidente, accoglie e trasmette, riceve e rimanda, è l’Isola d’Occidente, ma è anche l’Isola d’Oriente, è mito e realtà, è superficie e scrigno, è un unicum di passato, presente e futuro. Per i secoli di Età Romana la città di Turris Libisonis, ubicata nel golfo, e dotata di porto e di collegamenti interni viarî, costituiva il centro commerciale, politico, culturale del Nord Sardegna. Gli intensi traffici commerciali nelle rotte del Mediterraneo sono stati veicoli per scambio di materie prime, di prodotti industriali, artistici e artigianali, che consolidano il ruolo della città anche con gli apporti culturali che trasmette nell’Isola. La via marittima e fluviale assicura il transito delle merci da e per Roma, da e per i porti del Tirreno, della Gallia, della Penisola Iberica, dell’Africa Proconsolare. Per la città e lo scalo turritano l’Isola dell’Asinara costituiva base e passaggio, con approdi che permettevano un ininterrotto rapporto per smistare le merci e per la sicurezza ad ampio raggio. Non è escluso che i funzionari, procuratores, addetti al funzionamento ed all’attività della ripa fossero responsabili del transito e delle spedizioni dei prodotti, con relativa riscossione dei dazî doganali, anche degli approdi di Fornelli, Cala Reale, Cala d’Oliva. Il patrimonio epigrafico di Turris Libisonis, unito ai dati archeologici, è fonte importantissima di informazioni e attesta il ruolo della città strutturato nella dinamica amministrativa, economica, politica e culturale di un centro inserito a pieno titolo fra i porti principali. All’alto livello architettonico degli edifici pubblici, arricchiti di pavimenti musivi e di affreschi parietali, della colonia turritana, non corrisponde nell’Asinara altrettanto investimento, nonostante la presenza di abitati diffusi sia accertata. I documenti materiali, in prevalenza ceramici, recuperati nell’area di Fornelli, a Punta Barbarossa, a Cala S. Andrea, a Punta Marcutza, a Cala Reale, nell’entroterra di Cala d’Oliva, a Punta Sabina, a Casa dei Ponzesi, a Funtana Eligheddu e a Il Pecorile, Elighe Mannu, Punta Cornetta, sono ascrivibili a piatti e coppe, a vasellame da mensa e da cucina, a contenitori per la conservazione e per il trasporto. Una recente verifica di scavo archeologico attorno all’edificio della Stazione Sanitaria di Cala Reale ha documentato un insediamento esteso dalla linea di costa fino alle prime colline, e compreso tra la metà del I sec. a.C. e la fine del IV - inizî V sec. d.C.
I materiali rivelano un esteso abitato, dotato di approdo e di risorse per prodotti di qualità, e attivo senza interruzioni, in coerenza speculare con quanto accertato per la città di Turris Libisonis. La presenza dell’uomo nell’Isola riflette le vicende riscontrabili nella terraferma e rivela una ininterrotta e attiva partecipazione agli intensi scambi e rapporti commerciali nel Mediterraneo con ruoli, da indagare ulteriormente per le varie fasi, indubbiamente rilevanti, e percepibili anche nella persistenza del mito e nell’eloquente nesonimo, quale elemento di valore incondizionato negli approdi, e non solo nel mare di Sardegna, dalla quale si propende quale avamposto, e alla quale rimanda, in virtù della indissolubile connessione, pregevoli fermenti di cultura. Asinara – Ercole – Sardegna costituiscono un’unità d’insieme geografico e storico, che ha registrato eventi, che determina interesse, che pone quesiti, che provoca indagini e che richiama impegno, anche per scavare e ricomporre gli elementi ereditati dal mito.
L’esame delle attestazioni relative al mito di Ercole nella Sardegna restituisce un quadro di ampia diffusione sia lungo la costa, Olbia, Pheronia-Posada, Villasimius, Castiadas, Cagliari, Bithia, Sulci, Tharros, Sinis-San Salvatore, Turris Libisonis, sia all’interno, Antas-Fluminimaggiore, Ogryle-Padria, Ossi, Ploaghe, Bisarcio, Lanusei, Biora-Serri, Baracci-Nurri, sulla Giara di Gùzzini, nonostante non si disponga di eclatanti e numerose rappresentazioni. Tale fatto, unito ai toponimi, a Sud con l’Herculis portus, localizzato ad Est di Bithia verso Nora, nei pressi di Cala d’Ostia, e a Nord con Herculis insula, individuerebbe un’eredità del culto di Heracles, dio forte che va alla conquista dell’Occidente, in una terra che partecipa tutta con la tradizione della divinità e affida ai toponimi degli estremi, meridionale e settentrionale, il messaggio del confine verso l’Occidente noto, e di passaggio verso un Occidente nuovo, che è compreso anche nel Parco, istituito per l’Isola, e attivo per valorizzarne il pregio naturale, storico ed ambientale, e per consolidare i rapporti con l’Isola madre.
BIBLIOGRAFIA AA.VV., Asinara, storia, natura, mare e tutela dell’ambiente, a cura di A. COSSU, V. GAZALE, X. MONBAILLIU, A. TORRE, Sassari 1993. AA.VV., L’Isola dell’Asinara, l’ambiente, la Storia, il Parco, a cura di M. GUTIERREZ, A. MATTONE, F. VALSECCHI, Nuoro 1998. A. BONINU, M. LE GLAY, A. MASTINO, Turris Libisonis colonia Iulia, Sassari 1984.
A. BONINU, L’Isola dell’Asinara nella storia, in Il Comune ed i Parchi Naturali Regionali e Nazionali. Convegno Internazionale Porto Torres 1-4 settembre 1984, a cura di G. MISCALI, X. MONBAILLIU, A. TORRE, Alghero 1988, pp. 127-130. A. SARI, L’Isola che c’è - Asinara - Storia dell’ultimo paradiso, in Almanacco Gallurese, 2007-2008, pp. 238-242. 33
Ricerche di archeologia subacquea Gabriella Gasperetti
Introduzione La ricerca archeologica subacquea all’Asinara iniziò nel 1995, quando la Direzione del Penitenziario segnalò alla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari e Nuoro la presenza di reperti archeologici sul fondale davanti al molo di Cala Reale. Le prime indagini, eseguite quella stessa estate, rivelarono una notevole quantità di materiali, soprattutto anfore, sparsi sul fondo marino a circa 5 metri di profondità. Data la vicinanza al molo d’attracco, il sito archeologico sommerso era stato in parte scoperto dalle manovre della motonave Camogli, in servizio tra l’Isola e Porto Torres per le esigenze del Carcere. Dopo il primo intervento, sono state condotte tre campagne di scavo, documentazione e recupero dei materiali archeologici, che hanno rivelato la natura, la consistenza, la datazione del deposito archeologico, ancora in buona parte conservato sul posto. L’Asinara, all’estremità nord-occidentale della Sardegna, vive da sempre una dicotomia nel rapporto con il Golfo a cui dà il nome e, soprattutto, con i navigatori che lo hanno attraversato sin dalla preistoria. Da una parte, le sue coste ricche di ripari ed insenature sono un buon rifugio, d’altro canto le condizioni di mare e di vento, soggette a cambiamenti repentini, sono un ostacolo reale, tuttora sentito, per i rapporti con la terraferma e per la navigazione. L’Isola è comunque un riferimento di fondamentale importanza per la sua posizione geografica, unico baluardo a protezione della costa dai venti di Nord-Ovest. Tuttavia le sue coste sono piene di insidie; la principale riguarda la tentazione per i naviganti che entrano nel Golfo da Ovest di evitare il periplo dell’Isola, affrontando invece lo Stretto di Fornelli. Qui, solo uno angusto canale consente il passaggio; ai lati, secche e scogliere affioranti
hanno provocato nel tempo danni e naufragi delle imbarcazioni, testimoniati, per l’antichità, dai numerosi ceppi d’ancora recuperati proprio nello Stretto, tracce di tentativi, probabilmente inutili, di impedire alle navi di infrangersi sugli scogli. Inoltre, le coste del cosiddetto “mare di fuori” sono per lo più aspre e inaccessibili, anche attorno alle poche cale dove eventualmente cercare rifugio; il fondale, come accade per miglia lungo le coste occidentali della Sardegna, precipita verso profondità notevoli a brevissima distanza dalla costa. Una volta doppiata Punta dello Scorno, la situazione migliora, ma la più grande insenatura del “mare di dentro”, la Reale, riserva l’insidia di scogli sommersi, oggi segnalati da un fanale, ma non visibili, soprattutto con mare calmo, per gli antichi naviganti. Queste condizioni, viste dall’archeologo subacqueo, comportano varî problemi per la ricerca: lungo le coste occidentali la profondità del fondale e l’esposizione a sfavorevoli condizioni meteo-marine rendono complesse le operazioni di documentazione e recupero dei materiali archeologici. La ricerca stessa dei siti archeologici sommersi deve fare uso di attrezzature che non prevedano la presenza di operatori in acqua, come i ROV (Remotely Operated Vehicle), usati da tempo nelle ricerche sottomarine per scopi militari e civili e, relativamente di recente, per la ricerca archeologica, con notevole successo. I fondali ad inabissamento graduale delle coste orientali e le condizioni meteo-marine, in genere più favorevoli, consentono in alcuni casi, come a Cala Reale, la realizzazione di campagne di scavo anche di lunga durata. Tuttavia, per le ricognizioni subacquee, le dense praterie di posidonia oceanica costituiscono un ostacolo alla visibilità del fondo marino a partire da 7-8 metri di profondità e costringono il ricercatore, anche in questo caso, all’impiego di attrezzature specialistiche, con notevole impe-
Golfo dell’Asinara, particolare di un carico di anfore a – 200 metri circa di profondità; tipo Almagro 51 C, produzione iberica, IV-V secolo d.C. Porto Torres, Antiquarium Turritano. Ceppi d’ancora in piombo recuperati lungo la costa. Sullo sfondo, modello di ancora con fusto e marre in legno. Golfo dell’Asinara, ROV Pluto UX e Pluto 1000 in ricognizione su un carico di anfore della prima età imperiale ad oltre 300 metri di profondità; tipi Beltràn II A e Dressel 17, provenienti dalla regione della Betica, nel Sud della Penisola Iberica.
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Isola Asinara, Cala Reale, campagna di scavo anno 2002. Fotopiano di un settore centrale dello scavo, come appariva dopo l’asportazione del sedimento; le catenarie in ferro sono moderne, i cartellini con numeri romani si riferiscono ai tipi di anfore riconoscibili.
gno di risorse. Cosicché la maggior parte di segnalazioni e di ritrovamenti proviene da eventi occasionali, come recuperi di pescatori, immersioni sportive, ricognizioni subacquee condotte per scopi diversi dalla ricerca archeologica. In ogni caso, data la particolare natura del deposito archeologico subacqueo, in buona parte dei casi creatosi in un momento preciso e drammatico, quello del naufragio, e generalmente non disturbato dalle successive vicende umane, anche la più esigua ed episodica segnalazione contribuisce in maniera sostanziale ad ampliare il quadro delle conoscenze su traffici, rotte, merci, mercati, genti che nel tempo hanno percorso il Mediterraneo. Le campagne di scavo e le ricognizioni subacquee condotte negli anni recenti nel Golfo dell’Asinara hanno fornito dati e materiali essenzialmente relativi ad epoca romana repubblicana ed imperiale, alla tarda antichità, al periodo basso medievale e post-medievale. Oltre Cala Reale, sono stati perlustrati in ricognizioni dirette vari tratti delle coste, soprattutto quelle orientali: Cala Barbarossa, Punta Li Giorri, Punta Galetta, Cala Scombro di dentro, Cala Marcutza, Trabuccato, Cala Barche Napoletane, Cala d’Oliva, Cala dei Ponzesi-Punta Sabina; lungo le coste occidentali, Porto Mannu dei Fornelli, Cala Scombro di fuori, Punta Nave, Cala Tappo. Lo scavo di Cala Reale I primi sondaggi di scavo condotti negli anni ’90 dal Centro di Ricerche Archeosub Sassari Alghero (CRASA) con la supervisione della Soprintendenza e con la direzione scientifica di Pier Giorgio Spanu hanno rivelato l’importanza del giacimento archeologico e la sua grande rilevanza quantitativa. Nel 2001 è stato eseguito dalla Soprintendenza un ulteriore scavo d’urgenza, a causa della presenza sul fondale di reperti sparsi e soggetti a possibili danni e furti. A seguito della concessione di fondi dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per il prosieguo delle indagini, nel 2002 chi scrive ha diretto una campagna di scavo, durata dal 31 luglio al 9 settembre, con la collaborazione del personale interno, di un’impresa specializzata, di giovani archeologi subacquei e con l’assistenza logistica della Guardia Costiera Ausiliaria di Stintino e degli Enti presenti nell’Isola. La notevole estensione dell’area archeologica, superiore a quella visibile in superficie, ha comportato la realizzazione di una quadrettatura, orientata a Nord, da 10 quadrati di m 4 ciascuno per lato, la quale ha compreso al suo interno quella realizzata per i primi interventi, di m 2 di lato. Lo scavo, esteso su una superficie totale di circa 250 mq, ha interessato una serie di settori particolarmente significativi per valutare l’estensione del deposito, l’eventuale presenza di resti della nave, le modalità di inabissamento del carico. La documentazione è stata eseguita mediante il montaggio sul fondale di un’impalcatura mobile per le riprese fotogrammetriche, data l’impossibilità, per la densità dei materiali, di eseguire il rilievo diretto di ogni elemento. Questo è stato realizzato per singoli oggetti, quali brocchette e piatti della dotazione di bordo, ritrovati in pochi esemplari e in precarie condizioni, quindi bisognosi di un rilievo accurato prima del prelievo dal fondo. Al termine dell’intervento, sullo scavo è stato steso un doppio strato di rete di plastica a maglia stretta, del tipo frangivento, fermato con pietre e
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sacchi di sabbia a sua volta coperto con uno spesso strato di sabbia; dalla copertura emergevano i picchetti in ferro dei vertici dei quadrati. Delle centinaia di anfore si sono recuperati solo gli esemplari integri, mentre i frammenti sono stati lasciati sul fondo, al margine esterno dell’area archeologica, all’interno di casse di plastica, in via temporanea ed in considerazione del fatto che il sito si trova all’interno dell’area marina protetta dell’Isola Asinara, ad accesso controllato. A seguito dell’istituzione del servizio di linea Porto Torres-Asinara Cala Reale sarà individuata la definitiva sistemazione dell’area archeologica sommersa, per garantire sia la tutela, sia la fruizione, sulla scorta di positive esperienze in corso nella Penisola Italiana, ad esempio a Baia (Bacoli, Napoli), dove è stato istituito con D.M. 7 agosto 2002, emanato di concerto tra il Ministero dell’Ambiente e il MiBAC, il primo parco archeologico sommerso d’Italia. Sulla natura e sulla composizione del deposito archeologico di Cala Reale, le conclusioni che si possono trarre ad oggi sono le seguenti: si tratta di un carico omogeneo di anfore per salsa di pesce (garum) e/o per pesce sotto sale, trasportato su una nave oneraria di discrete dimensioni, proveniente dalle coste sud-occidentali della Penisola Iberica, l’antica Lusitania, e probabilmente destinato al porto di Ostia. La nave, nel tentativo di raggiungere lo scalo intermedio di Turris Libisonis, a causa di avversità, forse l’impatto con gli “Scoglietti” davanti a Cala Reale, deve avere tentato di approdare, ma potrebbe essersi rovesciata per via dei marosi e, di conseguenza, distrutta. Questa considerazione scaturisce dall’osservazione della giacitura delle anfore, caotica anche negli strati inferiori, e dal fatto che non sia stato ritrovato, eccetto qualche chiodo di bronzo, alcun elemento dell’opera viva, generalmente conservato sotto il carico nel caso di inabissamento graduale, anche a bassa profondità. Un’altra circostanza è emersa dallo scavo: verso il centro dell’area, i reperti si diradavano per poi mancare del tutto; proseguendo oltre, si è constatato che il carico era ancora cospicuo attorno a quella che si è rivelata una vera e propria fossa di spoliazione, segno del recupero di parte delle anfore in tempi non ben definibili, ma forse non lontani da oggi. Non tutte le anfore di Cala Reale contenevano il carico trasportato a fini commerciali; alcune venivano imbarcate per servire agli usi di bordo e si distinguono per la diversa forma, per la scarsa quantità (solo alcuni esemplari su un totale di centinaia) e, in alcuni casi, anche per una diversa provenienza; sono, questi, i frammenti di anfore di produzione africana, che forse contenevano olio, o il piccolo dolio, anch’esso verosimilmente per olio, ritrovato quasi integro e recuperato nel 2001. Ancora per gli usi di bordo sono le lucerne per l’illuminazione, anch’esse in pochi esemplari e prevalentemente di produzione nord-africana, le brocchette, il vasellame da mensa. Gli scavi recenti non hanno chiarito la funzione delle tessere di mosaico in pasta vitrea verde-azzurro recuperate nei primi interventi; resta il dubbio se fossero trasportate sfuse, se fossero montate su un supporto a comporre il disegno centrale di un mosaico, l’emblema, secondo un commercio ormai acclarato anche dai ritrovamenti sommersi, oppure se, eventualmente, potessero far parte della decorazione della nave, quale rivestimento, ad esempio, di una piccola edicola votiva, sicuramente presente per augurare una navigazione propizia. Le anfore di Cala Reale sono state suddivise in quattro tipi da Pier Giorgio Spanu. Le indagini recenti hanno rivelato una ulteriore variante, rappre-
Indice
7 Presentazione, di Luciano Mura 9 Presentazione, di Pietro Deidda 11 Presentazione, di Alessandra Giudici 13 Presentazione, di Aldo Cosentino 15 Presentazione, di Alessandro De Martini 17 Presentazione, di Antonio Diana 21 Prefazione, di Carlo Forteleoni e Vittorio Gazale 27 L’ISOLA DI ERCOLE, di Antonietta Boninu 35 RICERCHE DI ARCHEOLOGIA SUBACQUEA, di Gabriella Gasperetti 43 IL PERIODO MEDIOEVALE, di Angelo Castellaccio 55 L’ETÀ MODERNA E CONTEMPORANEA, di Giuseppe Doneddu 67 IL CARCERE, I FARI E LA STAZIONE SANITARIA, di Francesco Massidda 83 LA NASCITA DEL PARCO: CRONACA DI PICCOLI E GRANDI AVVENIMENTI, di Vittorio Gazale 93 UN TORMENTATO ED AFFASCINANTE PERCORSO, di Carlo Forteleoni 111 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO, di Alberto Marini 117 UN’AREA CHIAVE DELLA GEOLOGIA ERCINICA DELLA SARDEGNA, di Giacomo Oggiano 129 ASPETTI FLORISTICI E VEGETAZIONALI, di Emanuele Bocchieri e Rossella Filigheddu 153 LA FAUNA, di Xaver Monbailliu e Antonio Torre 179 L’AMBIENTE MARINO, di Andrea Cossu e Vittorio Gazale 207 LE AREE AGRICOLE, di Antonello Falqui e Maria Rita Virdis 221 LE AREE URBANE E L’INSEDIAMENTO UMANO, di Pierpaolo Congiatu 237 TURISMO SOSTENIBILE NEL PARCO NAZIONALE DELL’ASINARA, di Gianfranco Atzeni e Marco Vannini 19