Indice
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Prefazione, di Giovanni Maria Enrico Giovannelli Coniugare sviluppo e conservazione, di Settimo Nizzi Naturale eccellenza, di Aldo Cosentino Programmare dal basso, di Alessandro De Martini Introduzione, di Augusto Navone
Spazio e tempo, 13 17 I NOMI DEI LUOGHI, di Egidio Trainito 27 INDIZI DALL’ANTICHITÀ, di Egidio Trainito 39 TEMPI MODERNI, di Egidio Trainito 51 61 75 93 105 111 115
Nature at work: La natura al lavoro..., 49 LE ROCCE RACCONTANO, di Egidio Trainito IL PAESAGGIO, di Egidio Trainito PAESAGGI VEGETALI, di Rossella Filigheddu, Emanuele Farris, Egidio Trainito LA FAUNA TERRESTRE, di Egidio Trainito LE ORIGINI DEL PAESAGGIO SOMMERSO, di Paolo Orrù POLMONE VERDE, di Giulia Ceccherelli, Pier Augusto Panzalis IL MOSAICO SOMMERSO, di Egidio Trainito
133 145 167 175 193 209 223 231 249
Working in nature... al lavoro per la natura, 131 MONITORAGGIO E GESTIONE DEI LITORALI, di Paolo E. Orrù, Giacomo Deiana, Enrico Paliaga, Giuseppe Puliga CLASSIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI SOMMERSI E CARTOGRAFIA TEMATICA, di Carlo Nike Bianchi, Carla Morri, Augusto Navone EFFETTO RISERVA, di Paolo Guidetti, Simona Bussotti, Pier Augusto Panzalis, Maura Baroli, Ivan Guala, Stefania Coppa, Augusto Navone VALUTAZIONE DELLA VEGETAZIONE, di Emmanuele Farris, Giulia Ceccherelli GESTIONE DELLA FAUNA, di Giovanna Spano, Giulia Ceccherelli, Egidio Trainito, Alberto Fozzi, Francesca Magnone GESTIONE DELLE ATTIVITÀ, di Giovanna Spano, Simone Bava, Augusto Navone, Pier Augusto Panzalis, Egidio Trainito GESTIONE DELLE EMERGENZE, di Gianmario Pitzianti, Pier Augusto Panzalis, Augusto Navone PER UNA STRATEGIA SOCIO-ECONOMICA, di Silvia Del Principe, Federico Niccolini VERSO UNA VISION SAGGIA DELLO SVILUPPO, di Silvia Del Principe, Federico Niccolini, Augusto Navone Il Piano di Gestione, 255
257 SINTESI DEL PIANO DI GESTIONE, di Augusto Navone 273 Bibliografia 283 Appendici 11
Spazio e tempo
Pagine precedenti. Tavolara, la spiaggia di Cala Levante a Spalmatore di Fuori, oggi compresa nel perimetro militare. Nell’inserto. In un’immagine datata intorno al 1950, lo storico fanalista di Punta Timone, Bachisio Chinelli, classe 1906, cerca di persuadere una foca monaca a liberare l’arenile di Cala di Levante. In questa pagina, un’antica rappresentazione cartografica nella quale appare Tavolara con il nome di Hermaea Insula.
I nomi dei luoghi Egidio Trainito
Da Isola di Hermes a Tavolara Oggi è Tavolara. Ma lo è solo da un paio di secoli e anche tutte le altre piccole isole comprese nel perimetro dell’Area Marina Protetta, a partire da Molara, hanno cambiato nome nel corso della storia. Non si sono persi i nomi, ma la loro origine è quasi sempre immersa nella nebbia del passato e spesso solo congetture portano a ricostruirne una plausibile. Per gli antichi Tavolara era l’isola di Hermes: lo è nella geografia di Tolomeo e nella Tabula Peutingeriana, opera alto medievale che riproduce una cartografia dell’impero romano di epoca augustea. Il nome di Hermaea insula rimane anche in alcune carte del XVI e XVII secolo che si rifanno alle fonti classiche di epoca imperiale. Solo nel XIII secolo, quando il territorio di Olbia ricade sotto l’influenza pisana, appare il nome Taulara: di lì attraverso i secoli diventa di volta in volta Taolara, Tallara, Tauolara, Taulara, Tolata, Tolaro, Taulato, Taulada e infine Tavolara. In questo percorso attraverso gli scritti e le antiche cartografie compare anche un’altra radice che sembra ricondurre alla medesima isola: nel XV secolo appare Toraio, poi Torairo e Toraira nel XVI, per poi estinguersi, forse per dissimilazione della r in l, così comune in Gallura, come suggeriscono gli studi di fonetica. Ma, se il percorso è sufficientemente delineato, il significato delle parole che hanno portato a Tavolara è in buona parte congetturale. Alcuni identificano nel nome un rapporto con la forma: allungata, con la sommità pianeggiante (?!), come una tavola. Secondo altri, simile nella sua struttura al rilievo tra i solchi di un campo appena arato, tàula in gallurese. Molara Altrettanto incerta è l’origine del nome dell’altra grande isola compresa nel perimetro dell’AMP: Molara. Alcuni semplicemente lo fanno derivare dalla sua forma rotondeggiante simile a una mola, altri propendono per una derivazione da mora, come frutto del rovo o del gelso. Prima di divenire Molara, a partire dal XIII secolo era stata Morara, Morala, Murala, Moraira, Morana, Murara e Mitrara. Se in questa sequenza ci sono i prodromi del nome attuale, con la già citata dissimilazione della r in l, altri nomi hanno matrici completamente diverse. Salzais seu Molaria insula scriveva nel 1579 M.A. Camos, nella sua relazione al Re di Spagna sulle difese costiere della Sardegna, e il canale che separa Molara dall’isola maggiore viene ancora nel secolo scorso chiamato il “mare di Salzai”. Dionigi Panedda, nel suo ponderoso studio sui nomi geografici del territorio di Olbia, ricorda come ancora a Monte Petrosu, località che fronteggia Molara, si usi l’imprecazione gallurese “Ancu ti ci làmpini da Taulàra a Salciai!”: che ti scaraventino da Tavolara a Salzai! C’è ancora un altro nome con il quale è stata identificata Molara: insula Bucina, l’isola dove fu esiliato Papa Ponziano nel 237 d.C. Vittorio Angius nel 1840, nel Dizionario geografico storico statistico commerciale
degli stati di S.M. il Re di Sardegna, così riportava la vicenda: «Con qual nome si appellasse dagli antichi, noi l’impariamo da Papa Damaso, il quale chiamò Bucciana, e meglio forse Buccinaria, l’isoletta propinqua alla Sardegna, dove esulò il santo pontefice Ponziano con Ippolito, già che la tradizione de’ sardi nelle prossime regioni riguarda la Molara o Salzai, come un luogo sacro per l’ospizio del santo martire. Tal nome secondo che abbiam notato nella Bibl. Sarda, le verrebbe da Buccinum specie minore di conchiglia marina, che aderisce alle pietre, e raccogliesi sugli scogli, dalla quale gli antichi traevano quel sugo di porpora, che dicean pelagio, a tingere le vesti. La porpora sarda era molto stimata da’ romani». Ma sia il nome, sia l’attribuzione a Molara non hanno altre basi se non il collegamento con l’esistenza sull’isola dei ruderi di una piccola chiesa intitolata a San Ponziano e circondata dai resti di quelle che dovevano essere cumbessias, cioè alloggi per i fedeli durante le celebrazioni della festa del santo. Anche l’attribuzione di questi ruderi al borgo medievale di Gurguray non sembra essere sostenuta da prove sufficienti. I ruderi di epoca altomedievale a loro volta danno il nome alla piccola baia antistante, Cala di Chiesa. Ancora una volta i nomi però si incrociano e Cala di Chiesa, o Cala Chiesa, risulta anche essere chiamata Cala numero tre (Cala numeru tres). Sempre a Molara ci sono anche Cala numeru duos e Cala numer’unu: la prima da identificare con la rada nei pressi di Punta dell’Aia (traduzione impropria di Punt’e s’ae, poiché il significato letterale è Punta del rapace). La seconda, corrisponde a Cala Spagnola, l’attuale approdo sull’isola. Ma anche su queste corrispondenze vi sono opinioni diverse. Nessun dubbio invece sui nomi numerici dei due isolotti che si trovano sulla rotta che da Porto San Paolo porta a Tavolara: Isola Cavalli e Isola Piana sono diventate in epoca molto recente Prima e Seconda Isola. Tornando a Cala Chiesa, il canonico Spano nel 1874 riporta questa cronaca: «Nello scorcio dello scorso secolo un tal Giov. Francesco Decandia, pastore di Terranova, di soprannome Parrigiatu, col suo figlio che pascolava il suo branco di vacche, scoperse una galeotta Tunisina nella cala detta di Chiesa, con 20 Turchi: li attaccò di soppiatto e messo in luogo sicuro col figlio che caricava gli schioppi ne ammazzò 17, di modo che i tre che restarono esterrefatti misero la vela e si scapparono con precipitanza». Un avvenimento simile probabilmente è la matrice dei nomi di un’altra località sulla costa orientale dell’Isola: Cala dell’Attacco, dove sfocia il Fosso dei Morti (noto anche come lu Riu di li Molti). Cala dell’Attacco è riportata nella cartografia ufficiale moderna, ma è conosciuta anche come Cala di lu Ghiaioni. Altre località sono note con più nomi, come Punta Arresto che corrisponde a Punta o Pizzo Falcone.
In alto, rappresentazione di Tavolara tratta da Itinerario dell’Isola di Sardegna di Alberto Della Marmora. In basso, Vienna, Biblioteca Nazionale Austriaca: particolare della Tabula Peutingeriana, copia dell’XIXII secolo di una carta itineraria romana risalente al III-IV secolo d.C. La Sardegna è rappresentata di traverso tra il golfo ligure e il Nordafrica con la forma di un piede umano. (Tratto da A. Mastino, La voce degli antichi, in Nur. La misteriosa civiltà dei Sardi, Milano 1980).
Porto San Paolo Se Molara riporta a San Ponziano, un santo ben più illustre dà il nome, 15
conosciuto fin dal XIII secolo, alla località di Porto San Paolo che fa comune con Loiri e assieme a Olbia e San Teodoro costituisce l’Ente Gestore dell’AMP. La tradizione vuole che l’apostolo Paolo in uno dei suoi viaggi apostolici fosse costretto da una tempesta a cercare riparo proprio nella rada di Porto San Paolo. Altro indizio è la presenza a Punta di La Tanchitta, una porzione del più vasto promontorio di Punta La Greca, dei resti delle fondamenta di una costruzione che potrebbe essere una chiesa intitolata al santo. Ma anche in questo caso non si va oltre le ipotesi. Punta La Greca, più che fare riferimento al vento di grecale, sembra essere riferita alla martire Greca o Grega o Rega, il cui culto è diffuso nella Sardegna meridionale. Punta La Greca a sud-ovest reca una profonda insenatura oggi nota come Cala Finanza dove sorge un porticciolo turistico. Sui fondali di questa stretta cala poco profonda si trovano tracce di approdi che risalgono ininterrottamente fino all’età romana e il nome moderno sembra sia da riferire al fatto che quando ancora si andava solamente a vela, avvenendo in quella cala il carico e lo scarico delle merci, lì sostava spesso una bilancella della Guardia di Finanza. Da Capo Ceraso a Molarotto Il limitare settentrionale dell’Area Protetta è segnato dal promontorio di Capo Ceraso di fronte al quale sorgono isolette e scogli affioranti dal mare. Il nome del promontorio sembra essere di origine campana, probabilmente ponzese, e derivare da ceraso marino, con cui in quella regione si indica il corbezzolo, abbondante tra gli arbusti del Capo. L’isolotto che lo fronteggia in gallurese è chiamato L’isolottu ‘e Capu Chiriasa, ma nella cartografia ufficiale ha il nome di Isola di Barca Sconcia. Il nome moderno fa riferimento ad un naufragio, dove sconcia significa rovinata, distrutta. Fatto sta che sul fondo, alla base delle rocce emerse, si ritrovano resti di numerosi affondamenti e che, nella sua Relazione sull’Isola di Sardegna del 1828, il capitano William Henry Smyth, così narra: «... bisogna fare attenzione nel periplo di Capo Ceraso, perché ci sono pericolose rocce affioranti: durante i nostri rilievi un brigantino urtò contro di esse a causa di un vento forte e affondò così rapidamente che se non ci fossero state lì accanto due delle nostre imbarcazioni che accorsero tempestivamente a salvare l'equipaggio e i passeggeri, ormai arrampicati sui pennoni più alti, sarebbero tutti annegati». Chissà, forse fu proprio questo episodio a dare il nome moderno all’isolotto. W.H.Smyth nel 1823 era al comando della nave HMS Adventure inviata per tracciare la cartografia delle coste della Sardegna per conto del Regno d’Inghilterra. La sovrapposizione di nomi storico-tradizionali con nomi più o meno moderni continua lungo la costa di Capo Ceraso, dove la piccola baia di S’Ena ‘e s’appara è diventata la Spiaggia del Dottore. Seguendo la costa, l’insenatura di Porto Spurlatta dove sorge un porticciolo turistico è oggi chiamata La Corallina, per trasposizione e italianizzazione del nome del promontorio poco distante che originariamente era chiamato la Curaddina, forse per il colore rosso del granito. Scendendo verso sud l’isolotto che fronteggia Punta Don Diego ha nella cartografia ufficiale due nomi che si alternano, Isola Rossa e Reulino. Mentre il primo è riferito al colore del granito, il secondo è di origine ignota. Di origine turistica è il nome del versante occidentale di Montepedrosu (Monti Pitrosu): i Sassi Piatti. Scendendo verso San Teodoro altre denominazioni turistiche si sovrappongono ai nomi storici: così Brandinchi, che identifica sia l’intera rada compresa tra Punta di Tamarigio e Punta Sabatino, sia la spiaggia a nordovest della rada, viene spacciata per Tahiti. Mentre Punta di l’àldia (signi16
Nella pagina a fronte La rada di Cala Chiesa sull’isola di Molara: a sinistra, in prossimità di un piccolo prato da pascolo, nascosti dalla vegetazione, si intravedono i ruderi delle costruzioni che circondano i resti della piccola chiesa di San Ponziano. La chiesa di San Ponziano ha ancora in piedi l’abside e le mura laterali fin quasi al tetto: il resto dell’edificio è crollato, così come le altre costruzioni che sorgono nei pressi, probabilmente adibite ad ospitare i pellegrini nei giorni della festa patronale. In questa pagina Lo scoglio di Molarotto è interamente granitico e ospita pochissimi tratti di suolo sul quale cresce vegetazione nitrofila. Circondato da scogli e secche, l’isolotto si eleva dalla superficie del mare fino a 51 m, ha un perimetro di circa 981 m e una superficie di 2,7 ha. È il punto più remoto dell’AMP poiché dista dalla costa più vicina oltre 5 km: è interamente circondato da una delle due Zone A a protezione integrale.
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Punta La Greca, in territorio di Porto San Paolo, circondata da scogli e secche. Sullo sfondo Tavolara con la penisola di Spalmatore di Terra, che si protende verso occidente, e a sinistra i due isolotti Verde e Topi. Nella pagina a fronte Il versante orientale di Gala Girgolu che si raccorda con la Punta di Monte Petrosu è caratterizzato da un perimetro molto frastagliato, irto di scogli affioranti, con il granito che si alterna a piccolissime cale sabbiose e la vegetazione che scende a ridosso del mare. Le forme del granito, particolarmente levigate, sono all’origine del nome moderno del tratto terminale di questa costa, Sassi Piatti. Poco discosta si osserva l’Isola Cana, anch’essa levigata e bassa, completamente priva di vegetazione. L’isola si solleva di appena 6 m dalla superficie del mare, ha un perimetro di 327 m e una superficie di poco più di mezzo ettaro. Sullo sfondo, Tavolara comincia a offrire alla vista il versante di sud-est con la ripida falesia di calcare bianco. Sulla destra si intravedono lo scoglio del Fico e Molara.
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Dalla cresta di Tavolara guardando verso la Sardegna si osserva la penisola di Spalmatore di Terra, la zona di più facile accesso all’Isola. Qui sorgono le uniche costruzioni civili dell’Isola e vi sono i moli di attracco. Già in questa immagine si può osservare la differenza tra il calcare delle parti alte e il granito di Spalmatore. Sulla penisola si allunga la spiaggia, mentre sulla destra si osserva il ciottoloso arenile di Cala Tramontana.
fica punta della vedetta) è diventata nell’accezione turistica Puntaldìa. Risalendo verso Tavolara tra Molara e Molarotto spuntano da un ampio bassofondo i tre rilievi granitici degli scogli dei Tre fratelli: il nome è la traduzione del gallurese Li Tre Frateddi. Ma essi hanno un nome più antico, I Cervi, spesso storpiato in I Cerri anche nella cartografia ufficiale. Anche il nome di Molarotto ha un campionario di accezioni: nel XIII secolo era Maredava, per divenire poi Marudano nel XV, Tauladotto e Tavoladetto nel XVIII, evolvendosi in Tavoladoto, Tauladetto o addirittura Campion de Taulare nel XIX secolo. Ma già allora compare il nome attuale che si consolida definitivamente nel secolo scorso. Tavolara tra cartografia ufficiale e nomi d’uso Ritornando a Tavolara, ai pochi toponimi della cartografia ufficiale si aggiunge una minuziosa attribuzione di nomi locali, stratificati nel tempo dalla piccola comunità che visse stabilmente sull’isola per oltre 200 anni, fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso e ulteriormente arricchiti dai nuovi usi legati soprattutto allo sviluppo turistico. Anche per Tavolara non mancano località controverse e una pluralità di nomi per il medesimo luogo. A nord-ovest dello Spalmatore di Terra, la lunga e stretta penisola che si protende verso la Sardegna (chiamata anche Coda di Terra), si trovano quelli che i tavolaresi hanno sempre chiamato Isolotti di Tramontana. Ebbene, nella cartografia ufficiale dell’Istituto Idrografico delle Marina essi prendono il nome di Isolotto di Spalmatore, il più occidentale, e Isolotto Verde. Nella carta IGM del 1907 diventano rispettivamente Isolotto della Punta e Isolotto Verde, mentre dal 1962 essi sono Isolotto dei Porri e Isolotto dei Topi. Nell’uso comune essi vengono attualmente chiamati rispettivamente Isolotto Verde e Isolotto dei Topi. Dunque sembrano coincidere i due nomi Isolotto dei Porri con Verde e ciò corrisponde alla maggiore copertura di vegetazione che contraddistingue il più occidentale dei due. La piccola comunità tavolarese, che raggiunse con il censimento del 1952 una popolazione di 61 residenti, a lungo praticò un’economia di sussistenza e, oltre alla pastorizia e alla pesca, alcune coltivazioni venivano praticate nelle poche zone di terreno idoneo. Così in vari punti dell’isola erano distribuiti piccoli appezzamenti, chiamati orti. Uno era situato sullo Spalmatore di Terra, in una zona ricca d’acqua dove oggi crescono i tamerici, ed era chiamato li Puzzoni (i grandi pozzi). Sul versante di tramontana, un altro orto era in località La Carrubba, in quel tratto di falsopiano che oggi sta tra la strada militare e la breve falesia argillosa. A Cala di Levante di Punta Timone, al termine della spiaggia dove si osserva una ripida falesia di terriccio (una ribba in tavolarese), sul piccolo pianoro c’era l’orto di chi viveva in quella zona. Sul fronte di libeccio dell’Isola, dove sono distribuiti numerosi i forni per la calce (Li Furri di Scirocco), indicati da una grande quercia, c’erano gli Orti di Scirocco, così chiamati perché la direzione della costa è verso sud-est. La maggior parte di questi toponimi ha un’origine linguistica maddalenina: Li Cantunacci è uno di questi e indica un tratto di pendio con fitta vegetazione cosparso di grandi blocchi calcarei chiari e squadrati a tramontana dell’isola. Questo nome è stato utilizzato in modo improprio in recenti pubblicazioni per indicare il tratto di riva scoscesa immediatamente a nord-est della Cala di Tramontana. Sempre sul versante di tramontana si sviluppava un sentiero impervio e ricco di saliscendi che veniva utilizzato per spostarsi tra i due estremi
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dell’Isola. Esso era tracciato per lo più lungo la riva, ma un altro percorso, al di sopra della scarpata che per buona parte caratterizza il litorale, percorreva il falsopiano fino al punto dove il terreno pianeggiante (o quasi) lasciava il posto a ripidi contrafforti rocciosi. Quel punto era chiamato le Ultime Terre. La montagna veniva praticata in tutta la sua estensione per recuperare il bestiame che pascolava brado. Così vi erano sentieri che dal livello del mare salivano fino in cresta: la Scala di Passo Malo (Passu Malu) saliva in corrispondenza dell’omonima punta, così chiamata perché il sentiero che percorre la cresta si restringe al punto da consentire un pericoloso passaggio su una strettoia di roccia con lo strapiombo da entrambi i lati. La ricerca dell’acqua Per chi viveva sull’Isola l’acqua era un bene prezioso e i tavolaresi conoscevano ogni punto dal quale fosse possibile attingere acqua. La più rinomata era la fonte situata a tramontana, poco prima della Cala di Ponente di Punta Timone: è La Minerale. Gustavo Strafforello nella sua Geografia dell’Italia - Sardegna - La provincia di Sassari alla fine dell’Ottocento, del 1895, così la descrive: «Nell’isoletta di Tavolara, dalla parte che corrisponde al golfo di Terranova, scaturisce, dagli strati calcarei di uno scoglio enorme, un’acqua purgativa, ma poco nota ed adoperata dagli abitanti dei dintorni per bevanda». A tramontana dopo le Ultime Terre la scarpata di terra e ciottoli che scende ripida sul mare subisce processi erosivi dovuti all’acqua, al vento e anche alle onde durante le mareggiate: si sono formati degli ingrottamenti strapiombanti, dai quali un tempo sgorgava acqua dolce, chiamati Li Magazzeni. Sempre a tramontana dell’Isola, subito prima del cartello giallo che indica l’inizio della zona militare, in una piccola rientranza si trova la Grotta Rosa e immediatamente dopo risalendo verso Punta Timone la roccia si fa scura e la località perciò prende il nome di La Rocca Niedda (la rocca nera). Poco più avanti, al livello del mare appare il granito rossastro e, dal punto di contatto con la frana di calcare soprastante, vi è una fuoriuscita d’acqua dove i tavolaresi andavano a riprendersi le capre che vi sostavano per abbeverarsi e a cacciare i piccioni attratti dall’acqua dolce. Anche nelle zone alte della montagna bisognava conoscere dove trovare acqua per non soccombere all’arsura estiva. Sul versante meridionale dell’isola i tavolaresi conoscevano numerose cavità dove si raccoglieva l’acqua e un canale che scende dalla cresta nei pressi di Tegghja Liscia era chiamato Li Eareddi (le piccole acque). Tegghja Liscia è nome di origine maddalenina, dove tegghja, dal significato originale di lastra di pietra, indica in questo caso il ripido spiovente roccioso particolarmente liscio e privo di asperità. Da ricordare che la stessa località ha anche la versione dei pescatori ponzesi: ‘A Taglia Liscia. Anche sul versante rivolto a libeccio, dove erano ubicati i forni per la calce (Li Furri di Scirocco), vi era una fonte (La Fontana di Scirocco) che originariamente sgorgava da sotto un masso e in epoca recente è stata circoscritta con un paramento in pietra murata.
Sulla cresta di Tavolara nei pressi della Punta di Passu Malu vi è il punto più difficile della traversata in quota, dove le pareti scendono a strapiombo su entrambi i lati della sottile lama di roccia su cui si cammina. Nei pressi di Cala di Ponente a Spalmatore di Fuori si trova la Fonte della Minerale: è la risorgiva d’acqua dolce più ricca dell’Isola e viene citata anche dai cronisti dell’Ottocento per la qualità delle sue acque. Raggiungerla da Cala di Ponente non è semplice perché il sentiero percorre la costa con continui saliscendi. Il grande arco sul versante est di Tavolara è il risultato del crollo della volta di un’enorme cavità: nella foto è visto non dal mare, ma dalla mulattiera che porta al Vecchio Faro. Da questa angolazione appare più appropriato l’altro nome con il quale è conosciuto, Il Ponte.
Le grotte Anche le grotte hanno ciascuna un nome: a tramontana, la Grotta Rosa, solo in parte sommersa, ha questo nome per la copertura di alghe rosse calcaree che si osserva appena sotto il pelo dell’acqua nella zona più interna dove arriva pochissima luce. Sul versante meridionale di Punta Timone, proprio sotto la massicciata che porta alla galleria più esterna della base militare c’è la Grotta del Fischietto: formata da massi accatastati, 21
Speleologi del Gruppo Speleologico Sassarese scendono nella Grotta dei Fiori d’Arancio lungo il versante nord-ovest di Tavolara. La grotta ha un ampio ingresso che si sviluppa in un pozzo profondo circa 12 m al termine del quale vi è una sala di circa 50 m2. Un altro pozzo porta a 21 m di profondità in un’altra sala di circa 70 m2, dove vi sono abbondanti concrezioni e drappeggi di calcite. La grotta è ricca di resti ossei di diversi tipi di animali. Il piccolo tabernacolo collocato nei pressi di Punta La Mandria ricorda dello scampato pericolo di un pescatore durante una tempesta e risale all’Ottocento. Contiene un’immagine della Madonna ed è stato nel tempo restaurato dai tavolaresi che ne hanno evitato il degrado.
deve il suo nome al sibilo che nelle giornate di mare grosso viene generato dall’aria che fuoriesce a pressione dalla cavità semisommersa sotto la spinta delle onde. A levante di Punta Timone si apre la Cala di Levante, chiamata anche Cala del Faro, e sul versante che guarda a tramontana, prima di Punta di La Tanca che chiude la baia, c’è la Grotta delle Colombe, con l’ingresso in parte celato dalla vegetazione. Punta di La Tanca prende il nome dal pendio, chiamato La Tanca, ricoperto da fitto bosco che si distende tra la punta e il grande arco di roccia contiguo. L’Arco veniva anche chiamato Il Ponte ed è ciò che rimane di un’enorme cavità della quale è crollata la volta. Un centinaio di metri verso sud, sotto la verticale del Vecchio Faro oggi in disuso, si apre l’antro della Grotta del Papa, della quale avremo modo di parlare più avanti. Sul versante meridionale in corrispondenza di Passu Malu a livello del mare vi è la Grotta del Bue Marino (A grotta du Boiu Marinu), più conosciuta con l’accezione moderna di Grotta della Ghigliottina. Il nome più antico deriva dal fatto che i tavolaresi all’uscita della grotta avvistavano spesso gruppi di foche monache. Il più recente fa riferimento alla forma di un masso incombente all’ingresso della cavità che sembra la lama di una ghigliottina. Proseguendo a meridione, si incontra sulla falesia una cavità non molto profonda ma che si eleva in altezza e da ciò le deriva il nome di La Cattedrale. La punta, doppiata la quale ci si dirige verso la spiaggia di Spalmatore di Terra, è chiamata Punta La Mandria o La Mandra (in gallurese il recinto per il bestiame): un centinaio di metri più in alto, in corrispondenza di un paio di spuntoni di bianco calcare, si trova il Riparo della Mandria, una cavità di cui avremo modo di parlare più avanti. Anche nelle zone alte della montagna le grotte sono innumerevoli, dovute al carsismo, tipico delle rocce calcaree: sulla verticale di Tegghja Liscia, alla base dell’ultimo salto di roccia prima della cresta, si possono osservare due grandi aperture, una circolare e una triangolare. Sono Li Cannoneddi, probabilmente per similitudine con Punta del Cannone, la vetta dell’Isola. L’origine di questo nome è così spiegata da Alberto Della Marmora nel suo Itinerario dell’Isola di Sardegna del 1868: «... aggiungerò che non ostante la mia abitudine di salire i monti, ho rinunziato d’arrivare alla punta che si dice bocca del cannone ch’è una spaccatura naturale, avendo la forma d’una feritoja, ed è per questa ragione che io non ho potuto misurare la cima di Tavolara coll’aiuto del mio barometro». Infine, va ricordata una grotta non facile da raggiungere sul versante di tramontana, celata dalla vegetazione che ricopre il declivio che sovrasta l’attuale strada militare, poco prima dell’ingresso della galleria. È chiamata la Grotta dei Fiori d’Arancio e l’origine del suo nome viene descritta così nella cronaca che Mario Simula pubblicò nel 1959 sull’Eco del Regionale descrivendo la spedizione speleologica sull’Isola di padre Furreddu dell’anno precedente: «Al pomeriggio il vento è ancora fresco e il mare scoppia e frange contro la scogliera: guadagniamo tempo visitando la montagna. Il custode dell'isola Giovanni Piredda ci accompagna all'ingresso di una voragine che conosce egli solo, e che ha scoperto per caso anni fa cercando una capra dispersa fra quegli impervi dirupi. Difatti dovemmo sudare ben bene per portare fin lassù il nostro materiale da pozzo. In compenso la voragine si rivela inaspettatamente ricca e viene battezzata da P. Furreddu: “Grotta dei Fiori d’Arancio” per il colore dominante delle sue concrezioni. II nome è riuscito simpatico anche ai padroni dell’isola ed è rimasto». Una montagna impervia Le zone più impervie della montagna sono individuate con la parola resca,
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precipizio in maddalenino: così La Resca dei Bersagli è la parete a tramontana sottostante alle costruzioni in muratura fatte erigere nell’Ottocento dalla Marina Inglese per le esercitazioni di tiro sulla linea di cresta a levante di Passu Malu. La Resca di Li Becchi (il precipizio dei becchi) si trova invece sul versante meridionale sopra la falesia tra la costa del Carabottino (U carabuttinu) e il Magronagghju. Il primo è un termine maddalenino che indica il portello del gavone di prua di un’imbarcazione o per estensione la stiva di prua ed è probabilmente da riferire alla presenza di alcune grotte lungo questo tratto di costa. Il Magronagghju, letteralmente, significa marangonaio, cioè luogo dove sostano i marangoni ed è una lunga franata a livello del mare dove ancora oggi nidificano i marangoni dal ciuffo. Anche sulla esatta posizione del Carabottino vi sono diverse versioni: con lo stesso nome viene anche indicata solo una piccola porzione di quel tratto di costa dove, dopo uno spigolo strapiombante, la parete ha un rientro e dove si colloca un sito d’immersione subacquea che si snoda attorno a due grotte in bassofondo, una delle quali, passante, fa pensare ad una stiva. Tra questa piccola ansa e il Magronagghju in parete si osserva una concrezione di travertino formata nel tempo da una fuoriuscita d’acqua oggi inattiva: è chiamata la Cascata. La Resca d’Angelo è un’altra zona a precipizio immediatamente sopra la falesia a strapiombo sul mare, subito dopo il Magronagghju, dove la roccia forma una cavità a V con la parete alta strapiombante. Tracce votive Ritornando verso lo Spalmatore di Terra, superata Punta La Mandria, sulla scarpata che scende verso il mare si nota una piccola edicola bianca: è La Madonnina. La sua posa risale all’Ottocento, quando la barca a vela di Cicciotto Maddaloni, pescatore terranovese, mentre rientrava a Tavolara con una tempesta di maestrale veniva rovesciata da un colpo di vento. Lui e il figlio rimasero attaccati allo scafo mentre il vento li portava verso il largo. Scesa la notte, il vento cambiò direzione e li portò a incagliarsi sugli scogli dove oggi c’è il piccolo tabernacolo bianco. Il pescatore che per tutto il tempo aveva pregato la Madonna, ritenendo di aver ricevuto una grazia, costruì l’edicola votiva, che ancora oggi viene tenuta in buone condizioni dai vecchi abitanti dell’isola. Ma sono comparse opere votive anche recentemente. Una Madonnina bianca è stata posta poco prima di Punta La Mandria, alta sulla parete, mentre un’altra è ancorata sulla sommità dello scoglio del Fico nei pressi di Molara. Un’altra ancora è stata posata sul fondo nei pressi di Punta Molara e alla base della Secca del Papa, di fronte all’omonima punta di Tavolara, c’è una lapide con il nome di chi l’ha posta ma non quello di colui a cui è stata dedicata: una singolare dimenticanza! La Punta del Papa chiude la falesia meridionale prima dell’omonima baia che porta verso Punta Timone. Alcune fonti la riportano come Il Manaco, o addirittura come Isola Cappuccina: il nome attuale viene dall’alto monolito che ricorda una figura con un mantello e un copricapo appuntito, un papa con in testa la tiara appunto. È probabile che sia un nome di origine ponzese, considerato il fatto che sull’Isola di Ponza vi è un toponimo identico, assegnato ad un promontorio con caratteristiche morfologiche analoghe. Nomi antichi e nomi moderni Lungo la spiaggia di Spalmatore di Terra vi sono due caseggiati e in corrispondenza di quello più occidentale vi è la località Li Petri Rossi, dal colore
delle rocce di granito che affiorano sul litorale. Al termine del cordone sabbioso, la costa si alza e sembra inghiottire la spiaggia: deriva da questo il nome della località, Lu Saccu. Sulle carte nautiche non è riportato il toponimo, ma vi è l’indicazione “Tombe”, da non confondere con il piccolo Cimitero dei Re: qui furono ritrovate alcune sepolture di epoca ignota. Questo excursus tra i nomi ha cercato di mostrare come nel tempo si siano stratificate istanze provenienti da diversi tipi di fruitori e come spesso la cartografia ufficiale si discosti dalla tradizione o effettui aggiustamenti linguistici che a volte stravolgono l’origine dei nomi. Nuovi nomi sorgono in continuazione, dettati da nuove esigenze di identificazione di zone spesso puntiformi. Derivano da questa necessità i nomi coniati negli ultimi vent’anni ad uso di un’attività turistica che precedentemente non esisteva. Sono i nomi dei siti d’immersione subacquea: essi in larga parte riprendono nomi storici o tradizionali, ma alcuni sono stati coniati ex novo per l’esigenza di identificare aree molto piccole. Così l’Archetto fa riferimento ad un’arco di roccia sulla parete poco ad est di Punta La Mandria. Cala Cicale individua un tratto di fondale poco discosto, dove in primavera sono abbondanti le magnose o cicale di mare. L’Occhio di Dio identifica un altro sito interpretando liberamente una caratteristica spac-
catura triangolare della falesia all’interno della quale è collocato un sasso di forma rotondeggiante. Più ad est in corrispondenza del segnale a terra dell’inizio della Zona A di protezione Integrale è collocato il sito Il Grottone, il cui nome deriva dall’ampia cavità sommersa, punto focale del percorso subacqueo. Anche i pescatori professionali contribuiscono alla toponomastica come si è già largamente osservato nelle note precedenti. Essi, come gli operatori del turismo subacqueo, usando mire a terra, spesso individuano i punti dove gettare le reti e così anche in mezzo al mare si genera una toponomastica marina che il più delle volte si collega con punti notevoli a terra, come le Secche del Fico, o Le Secche della Mandria. A volte però i nomi hanno una loro autonomia come la Vangata Longa, fuori Molarotto, o la Secca di Mezzo Canale, tra Tavolara e l’Isola Piana, o La Chiana di lu Chilielzu, che usa come mira di orientamento il grande gelso che cresce sulla spiaggia di Spalmatore di Terra. Così, naturalmente, si crea una continuità tra le terre e i fondali marini anche nella toponomastica, contribuendo anche da questo versante a quel processo di unificazione concettuale di un territorio di enorme pregio al quale già cooperano la geologia e le politiche di conservazione.
Oltre alla toponomastica ufficiale, vi è un ampio uso di nomi tradizionali per indicare quasi tutti i punti notevoli dell’Isola di Tavolara: va notato il fatto che sia nella toponomastica ufficiale, sia nella tradizione di chi ha abitato sull’isola vi sono molte discrepanze e che sussistono problemi di trascrizione dei nomi tradizionali, in parte di origine maddalenina, in parte olbiese.
Punta Timone Grotta del Fischietto Spalmatore di Fuori Cala di Ponente Fonte della Minerale Scoglio del Cannone La Rocca Niedda Grotta Rosa
Isolotto Verde
Strade romane
Spalmatore di Terra
Punta Spalmatore
Cala Tramontana
Li Eareddi
Li Cantonacci La Carrubba Punta Cannone 565 m Punta di Lucca
Forni di Li Petri Scirocco Punta della Rossi Lu Saccu Scala Fontana di Passetto Riparo della Scirocco La Madonnina Mandria
Punta del Papa
Grotta della Ghigliottina o del Bue Marino
Ultime Terre
Isolotto dei Topi
Grotta del Papa
Scoglietto
Punta di Passu Malu 561 m
Li Magazzeni
La Buccaredda Punta Castellaccio Monte 510 m del Papa
Resca di Li Becchi Carabottino Li Canaleddi Cascata Magronagghju Resca d’Angelo
La Runcunata Li Tinti Bianchi
Grotta delle Colombe Punta di La Tanca Cala di Levante La Tanca Arco
Grottone
Tegghja Liscia Occhio di Dio Cala Cicale
Li Fichi Dindi Cattedrale Archetto
Punta La Mandria 23
Punta Timone è l’estremità nordorientale di Tavolara: essa è compresa nel perimetro militare e ospita il faro attuale. Sul punto più alto della penisola sorge uno dei piloni dell’antenna della base radio insediata sull’istmo, mentre gli altri sono collocati a Monte del Papa e a Punta Castellaccio. L’accesso a questa parte dell’isola, contiguo alla zona A di Punta del Papa, è interdetto.
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Nella pagina a fronte La sommità di Tavolara è quasi tutta al di sopra della quota dei 500 m di altezza ed è percorribile con una certa facilità, presentando solo pochi punti esposti, come l’attraversamento di Passu Malu. Tavolara raggiunge la massima altezza a Punta Cannone a 565 m, ha un perimetro costiero di circa 20 km e una superfice complessiva di 594 ha: l’Isola dista 1,9 km dal punto più vicino della costa sarda.
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