CittĂ di Barletta
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta a cura di Cinzia Dicorato
Con la riapertura della Chiesa di Santa Maria degli Angeli, oggi l’Amministrazione comunale riconsegna con soddisfazione alla città di Barletta un prezioso edificio storico e religioso a lungo rimasto chiuso e inutilizzato. Per anni luogo di culto delle comunità greche ortodosse e punto di riferimento culturale in una città crocevia di culture; per altrettanti lunghissimi anni luogo abbandonato all’incuria e al degrado. Nel 2003 l’edificio riapre, recuperato grazie ad un attento e scrupoloso restauro per offrire a tutti i cittadini, giovani e meno giovani, la memoria del culto, della tradizione e della cultura greca in una città da sempre generosa con tutti. Con l’augurio che la fruizione al pubblico completi positivamente il valore e il significato della Chiesa, l’Amministrazione desidera ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile il recupero di questo capolavoro artistico.
Francesco Salerno
Sindaco della Città di Barletta
Dopo un lungo e faticoso lavoro di restauro - architettonico prima e artistico dopo - riapre finalmente la Chiesa di Santa Maria degli Angeli. A lungo la Chiesa è stata luogo di abbandono e di oblio; è stata rimossa con fatica da questo stato di degrado, grazie all’interessamento e alla sollecitudine verso le molteplici manifestazioni culturali da parte degli organi amministrativi. L’edificio, infatti, ha prima subito le operazioni di restauro strutturale, in seguito i lavori più lunghi e delicati di restauro artistico dei beni contenuti al suo interno; su tutti, la straordinaria iconostasi che oggi ritorna all’antico splendore all’interno del suo naturale contenitore. Da oggi dunque è possibile ammirare, come raramente avviene, un’opera d’arte integrale, completa di tutta la sua ricchezza storica, artistica, sociale e religiosa. Un grazie a tutti i collaboratori. Raffaele Montenegro Dirigente del Settore Cultura della Città di Barletta
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
CITTĂ€ DI BARLETTA
SOPRINTENDENZA AI BENI ARTISTICI DI PUGLIA
CATALOGO
CHIESA GRECA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
Sindaco
Soprintendente
A cura di
Allestimenti
Francesco Salerno
Salvatore Abita
Cinzia Dicorato
RB PROGETTI Snc - Monopoli
MUTEC MUSEO PINACOTECA COMUNALE DI BARLETTA
DIREZIONE DEI LAVORI DELLA SOPRINTENDENZA
Direttore
Fabrizio Vona
Raffele Montenegro
Antonella Dimarzo
Saggi di
Cooperativa SETTERUE - Barletta
Danila A. R. Fiorella Luigi N. Dibenedetto Cinzia Dicorato Antonella Dimarzo Schede tecniche a cura di Cinzia Dicorato (C.D.) Luigi N. Dibenedetto (L.D.) Schede tecniche sul restauro del corredo tessile Gabriella Bozzi (G.B)
LABORATORIO DI RESTAURO DEL MUTEC Direzione Cinzia Dicorato Operatori Sara Fiore
Fotografie
Ruggiero Tanzi
Archivio fotografico della Soprintendenza ai Beni Artistici di Puglia
Sandro Zagaria
Foto Rudy - Barletta
Rita Peric
Segreteria organizzativa
Collaborazione di
Mariangela Canale
Graziana Galli
Elena Alicino Angelica Malizia
Consulenza da parte della Chiesa greca-ortodossa Padre Nicola Madara Cattedrale San Giorgio dei Greci di Venezia Progetto grafico e immagine Carlo Petrafesa Stampa Editrice Rotas - Barletta
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Ringraziamenti Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dei lavori di restauro e alla realizzazione del catalogo in particolare la dottoressa Antonella Simonetti della Soprintendenza di Bari.
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
Sommario
LA COMUNITÀ GRECA DI BARLETTA
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Danila A. R. Fiorella
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Luigi N. Dibenedetto
LA CHIESA E L’ICONOSTASI
“SANTA MARIA DEGLI ANGELI” DI BARLETTA la presenza di una comunità di rito greco-ortodosso nella straordinaria testimonianza dell’iconostasi e della sua chiesa.
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Cinzia Dicorato
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CATALOGO
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Cinzia Dicorato
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Luigi N. Dibenedetto
IL RESTAURO DELL’ICONOSTASI E DEGLI ARREDI
I PARAMENTI SACRI NELLA LITURGIA BIZANTINA
MANUFATTI TESSILI CONSIDERAZIONI SU CONSERVAZIONE E RESTAURO
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Antonella Dimarzo
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IL RESTAURO DEI MANUFATTI TESSILI
Gabriella Bozzi
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
LA COMUNITÀ GRECA DI BARLETTA
Danila A. R. Fiorella
L
e grandi opere d’arte non nascono per caso. Gli ultimi indirizzi di ricerca in campo storico-artistico hanno ben chiarito che dietro una certa produzione esiste un complesso sistema di fattori, che hanno concorso alla realizzazione di quell’opera, mobile o immobile, in un determinato momento, in una determinata città e in un ambito sociale ben preciso. Per questo motivo non è possibile comprendere appieno la bellezza e l’importanza dell’Iconostasi della chiesa di Santa Maria degli Angeli, se non la si inserisce nella storia della città di Barletta agli inizi del Cinquecento, sicuramente uno dei suoi periodi di maggiore vivacità economica e culturale.1 Il mar Adriatico non ha mai diviso le terre che su di esso si affacciano. Al contrario tracce del suo attraversamento sono state trovate in ogni epoca storica, sin dall’antichità. La Puglia, inoltre, anche per motivi politici ha sempre mantenuti ben saldi i suoi legami con la sponda dalmata e greco-albanese. Soprattutto nel corso del XV secolo, i sovrani Aragonesi strinsero alleanze salde con i signori della sponda opposta, con lo scambio reciproco di materiali e uomini a seconda delle situazioni. E’ fondamentale ricordare che per un intero anno (1460-61) Ferrante d’Aragona affidò a Giorgio Castriota Scanderbeg il comando della città di Barletta, nella quale era stato incoronato poco tempo prima, durante la prima rivolta dei Baroni.2 Questa politica di apertura verso i Balcani fu mantenuta da Carlo V, che, una volta conseguito il pieno controllo del Mezzogiorno d’Italia, offrì il suo appoggio alle popolazioni greco-albanesi in fuga di fronte al dilagare della potenza turca in tutte le terre ex-bizantine. Fu così che il Viceregno spagnolo (cioè tutta l’Italia meridionale) divenne la meta principale di un esodo le cui dimensioni restano a tutt’oggi ancora inesplorate e che ebbe per protagonisti gruppi organizzati di popolazione, genericamente chiamati dalle fonti “greci” o “albanesi”.3 A Barletta, che come città di mare aveva sempre contato al suo interno numerose presenze straniere, si formò una vera e propria colonia, originaria della città di Corone, nel Peloponneso meridionale. Questa, insieme con la gemella città di Modone, aveva rappresentato per tutto il basso Medioevo uno dei centri marittimi di maggiore prestigio di tutta la Grecia, al punto che le città venivano chiamate nei documenti della Serenissima repubblica di Venezia “i due occhi della Repubblica”, perché davanti alle loro coste dovevano passare tutte le navi da e per il Mediterraneo Orientale e Costantinopoli.4 Conquistata dai Turchi nel 1532, Corone si svuotò dei suoi abitanti, i quali, raccontano le cronache, abbandonarono la loro terra su duecento navi spagnole. A loro, e solo a loro, Carlo V riconobbe una serie di privilegi ed esenzioni fiscali, trasformandoli in una sorta di “rifugiati politici”, condizione che li favorì molto nelle nuove terre, dove trovarono ospitalità e prosperità.5 Questa sorte non toccò a tutti gli albanesi che in quegli anni emigrarono in Italia,
1 Una trattazione specifica sulla storia della comunità Coronea di Barletta è stata oggetto della mia tesi di laurea (A. A. 1992-93, Università degli Studi di Bari, Corso di Laurea in Lettere), di cui un ampio articolo è stato pubblicato sulla rivista “Nicolaus” (FIORELLA DANILA A.R., La Comunità greca di Barletta, a. XX, n. 2, 1993). Tale studio è stato da me successivamente ampliato e integrato all’intero Mezzogiorno nell’ambito di un progetto del C.N.R., che è stato pubblicato da uno dei Comuni coinvolti nell’esodo albanese nel 1998. FIORELLA DANILA A. R., L’Albania d’Italia, ed. Cannarsa, Vasto 1998. Al di là di citazioni nelle opere di studiosi locali, non esistono studi storici sistematici sulla comunità greca di Barletta precedenti il mio lavoro di ricerca. 2 La storia dei rapporti tra la Monarchia Aragonese e l’eroe albanese è abbastanza documentata dalle fonti dell’epoca ed è stata successivamente ripresa da storici del XIX e XX secolo a testimonianza degli antichi legami che uniscono l’Italia all’Albania. Meno ricordato è sicuramente l’episodio della presenza di Scanderbeg a Barletta, dalla quale controllava l’intero territorio nord barese. CERONE F., La politica orientale di Alfonso Albanesi, Roma 1967. 3 DORSA V., Su gli Albanesi. Ricerche e pensieri di V. Dorsa, Napoli 1847; TAIANI F., Le Istorie Albanesi, Salerno 1886, rist. Cosenza 1959; SERRA A., I profughi d’Albania verso l’Italia ospitale (ricerche storiche delle immigrazioni in Italia nei secoli XIV-XVII), Castrovillari 1947. 4 CESSI R., Storia della Repubblica di Venezia, Milano-Messina, 1944; NICOL D.M., Venezia e Bisanzio, Milano 1992 (tit. originale Byzanthium and Venice, Cambridge 1988), p.370.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta LA COMUNITÀ GRECA DI BARLETTA
ma generalmente lo stato e le popolazioni locali furono molto accomodanti, guardando di buon occhio questa gente fiera e diversa che sapeva lavorare senza lamentarsi. Il primo documento che cita un esule di Corone dimorante a Barletta, risale addirittura al 1536.6 Da questa data e per circa un secolo i documenti diventano sempre più numerosi, tanto da permettere una ricostruzione abbastanza precisa della struttura interna della comunità tra il XVI e il XVII secolo. Un dato fondamentale è la presenza nella città pugliese dell’arcivescovo di Corone, frate Benedetto, il maggiore esponente religioso di tutta la nazione greco-coronea dell’Italia meridionale. Frate Benedetto non parlava italiano e comunicava attraverso un interprete, che era a volte un parente, a volte un altro membro del clero coroneo; le sue proprietà erano notevoli e per gestirle si serviva di banchieri genovesi a Napoli.7 Il frate Benedetto non viene più menzionato dopo il 1553, e questo potrebbe significare che la sua morte sia avvenuta intorno a questa data. Il suo posto fu preso, all’interno della comunità, da Manobio Trasichei, vicario generale dei chierici coronensi. I Coronei di Barletta divennero ben presto degli abili uomini di affari, realizzando notevoli profitti attraverso un’oculata diversificazione delle loro attività. Il gruppo egemone era formato da alcune famiglie, tra cui emerge quella dei Draguleo, che gestì per i primi 40 anni di vita barlettana tutti i rapporti tra la comunità e le autorità del Viceregno.8 Furono i tre fratelli Draguleo (Antonio, Andrea e Nicola) a fungere da rappresentanti legali degli altri esuli presso la Regia Camera della Sommaria di Napoli, presso la quale erano depositati i 5000 ducati concessi da Carlo V nel 1534 e che dovevano essere divisi tra tutti i Coronei del Viceregno, in base probabilmente al nucleo familiare e alla condizione sociale; infatti nei documenti si usa la formula “singulas pecunias”, cioè una sorta di riscossione personale e non forfettaria. I Draguleo dovevano essere ben noti a Napoli, dove possedevano una casa, venivano ricevuti spesso dal Viceré, don Pedro di Toledo, ed erano decisamente ricchi; il nobile Andrea era, inoltre, un esperto argentiere, con una sua bottega.9 L’artigianato risulta essere una delle attività favorite dai Coronei, che probabilmente intendevano così continuare usanze della loro patria d’origine.10 Le notizie che si traggono dalla documentazione sono molto interessanti perché offrono un vero e proprio spaccato di vita quotidiana e ci informano su alcune pratiche particolari, come la identificazione personale dei greci, la cui descrizione veniva conservata presso un notaio napoletano. Tale documento risulta davvero particolare perché apre inaspettati spiragli di luce su volti e persone altrimenti sconosciuti. Solo per citarne alcuni si dice che Antonio Draguleo ha gli occhi chiari, suo fratello Andrea ha gli occhi chiari, la barba castana, una cicatrice sulla mano destra ed una sulla sinistra sotto il pollice.11 I Coronei cercarono di ricostituire a Barletta parte della ricchezza abbandonata a Corone e così si inserirono pienamente nel ciclo produttivo della città, comprando vigneti, seminativi, commerciando in cavalli e
5 RODOTÀ P.P., Dell’origine, progresso e stato presente del Rito greco in Italia osservato da Greci, monaci basiliani e Albanesi, edito a Roma nel 1763, vol. III, pag. 56. 6
Codice Diplomatico Barlettano, a cura di S. SANTERAMO e C.E. BORGIA, Fasano 1988, vol.V, doc. n.279, p. 154.
7
S. SANTERAMO e C.E. BORGIA, Codice op. cit., vol. VII, doc. nn. 757-758, pp. 434-35, n. 826, pp. 468-469.
La famiglia dei Draguleo viene citata in oltre venti documenti tra il 1549 e il 1562, ne ricordo uno in particolare nel quale Nicola e Andrea vengono accusati di un omicidio a Napoli ma prontamente scagionati da numerose testimonianze a loro favore. S. SANTERAMO e C.E. BORGIA, Codice op. cit., vol. VII, doc. n. 636, pag. 378; FIORELLA, La Comunità op. cit., pag. 196. 8
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S. SANTERAMO e C.E. BORGIA, Codice op. cit., VII, doc. n. 480, pag. 307.
Corone e Modone erano antichi porti commerciali, citati già nei documenti bizantini dell’XI secolo, e quindi dovevano possedere una ricca varietà di attività artigianali al servizio dei viaggiatori e dei mercanti di passaggio. S. SANTERAMO e C.E. BORGIA, Codice op. cit. VII, doc. n. 819, pag. 466-67.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta LA COMUNITÀ GRECA DI BARLETTA
sarde salate e anche fabbricando mattoni per l’edilizia. E’ interessante notare che essi cercarono di acquisire terre e proprietà per lo più confinanti tra di loro, quasi a voler ulteriormente definire la loro specificità di Comunità, con un’identità propria e riconoscibile. I rapporti con la popolazione locale furono sempre buoni, non sono attestate dispute o accuse, al contrario numerosi sono i documenti che testimoniano gli ottimi affari reciproci. Purtroppo la loro esistenza sembra davvero essere stata spazzata via da quell’evento tragico e cruento che devastò l’intera Italia meridionale a metà del Seicento: la peste, tanto che nel giro di pochissimi anni le tracce documentarie della ricca comunità barlettana scompaiono del tutto proprio dopo quel tragico 1656. Anche a Barletta, come nelle altre città in cui si fermarono, il centro della vita della comunità era la chiesa. Probabilmente appena arrivati essi usufruirono della piccola chiesa di San Giorgio, risalente alla fine del XII secolo, ma quando il loro numero divenne maggiore, questa si dimostrò eccessivamente piccola e così furono costretti a cercarne un’altra.12 Non ci è dato sapere in che anno entrarono in possesso della chiesa di Santa Maria degli Angeli e neppure se questa era del tutto costruita o solo in parte,13 ma resta il fatto che verso il 1553 essa doveva essere già di proprietà dei Coronei, sede dei loro riti e delle loro transazioni d’affari, oltre che luogo di sepoltura dei loro defunti. A questa data, infatti, risale un documento che descrive la cerimonia nuziale tra Michele Agristi e Maria de Pigliora, voluto dai genitori dei due giovani, Stamato Agristi e Manobio Trasichei, consorte della nobile Pigliora. Non deve meravigliare che il vicario dei chierici coronensi fosse sposato, essendo il matrimonio ancora oggi concesso ai preti di rito greco-ortodosso. Fu Stamato che, “ad faciem Ecclesie Sacerdotali benedictione interveniente”, secondo l’uso, il costume e la consuetudine dei nobili coronensi, prese e accettò per nuora e moglie di suo figlio Michele, Maria, che gli era stata consegnata dalle mani di suo padre Manobio.14 Nel 1660 la chiesa passò alla giurisdizione del capitolo della cattedrale, che ne mantenne il controllo sino agli inizi del secolo XVIII, quando fu concessa alle Gesuitelle che vi costruirono accanto un monastero e un conservatorio per le fanciulle povere.15 Nel 1772 le Gesuitelle furono costrette a lasciare il Regno insieme ai loro confratelli e allora la chiesa tornò alla Cattedrale, ma in città si era riformata una nuova colonia di greci, questa volta provenienti per lo più da Giannina in Epiro, che nel 1789 ne richiesero il possesso. I primi documenti sono citati dal Vista e risalgono al 1742.16 Sono per lo più atti matrimoniali di membri della comunità, che praticano il rito greco cattolico e sono assistiti da loro prelati. Il 7 luglio 1789,17 ormai ricca e ben inserita in città, la nuova comunità greca ottiene 600 ducati e la proprietà della chiesa di Santa Maria degli Angeli e degli edifici del conservatorio; accanto ebbero poi il permesso di costruire il loro cimitero. Nel 1842, però,
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RUSSO R., Le cento chiese di Barletta, I, Barletta 1997, pp. 461-62.
Il Codice Diplomatico Barlettano conserva l’atto di fondazione di una chiesa con il nome di Santa Maria degli Angeli, risalente al 1398, ma dopo questa data essa non viene più citata. Sembra plausibile che la chiesa “di Angelillo”, questo il nome del fondatore, sia stata costruita ma non completata e adibita al culto, in tal modo, quando giunsero i Coronei, essi la adattarono alle loro esigenze; vol. IV, doc. n. 23, p.16.
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S. SANTERAMO e C.E. BORGIA, Codice op. cit., VII, doc. n. 93, pag. 109.
15
RUSSO R., Le cento op. cit., II, pp. 193-197.
16
VISTA F.S., Note storiche sulla città di Barletta, Barletta 1907 (rist. Bologna 1978), vol. II, fasc. VII, pp. 97-99.
17
LOFFREDO S., Storia della città di Barletta, Barletta 1893 (rist. Bologna 1970), vol. II, doc. n. LI, pag. 544.
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VISTA, Note op. cit., pag. 103.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta LA COMUNITÀ GRECA DI BARLETTA
l’intendente Edoardo Winspeare fece passare, con la forza, la chiesa al rito latino, affidandola a due preti venuti da fuori. I greci, non avendo più un posto dove celebrare, furono costretti a farlo di nascosto: tutto ciò fu così tragico che il papasso Neofito Biante, nato ad Arcista in Epiro, ne morì di dolore il 10 febbraio 1845. Egli dovette essere sepolto in un nuovo cimitero fuori Barletta, accanto a quello cattolico, perché non era possibile usare quello della chiesa.18 Il 14 febbraio 1861 la comunità riuscì a tornare in possesso della chiesa, ma anche questa volta senza grande fortuna. Nel giro di pochi decenni molti greci passarono al cattolicesimo e scomparvero tutti i papassi. L’integrazione della comunità settecentesca di Giannina si era ormai compiuta, l’ultimo barlume di diversità, quello religioso, andava affievolendosi e con esso anche il ricordo delle proprie radici. Nel nostro secolo infine la chiesa fu ceduta dagli ultimi rappresentanti greci al Comune di Barletta, che l’ha restaurata.19 La storia della comunità coronea di Barletta è solo una fra le tante che ebbero per protagonisti gli esuli greco-albanesi tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età Moderna. Essi trovarono rifugio in Italia meridionale consapevoli che, tra tutte, questa era la terra più vicina sia geograficamente sia culturalmente. Una terra ospitale. Per oltre 100 anni i Coronei abitarono a Barletta, vi lavorarono, si sposarono, morirono senza immaginare certamente che pochi mesi sarebbero bastati a cancellarne l’esistenza e il ricordo. Sono passati molti secoli da allora ma credo che noi oggi dobbiamo un tributo alla loro memoria, perché la loro ricchezza, la loro cultura, la loro intelligenza fu sicuramente alla base della straordinaria opera d’arte che è l’Iconostasi della chiesa di Santa Maria degli Angeli. Per i Coronei essa fu la realizzazione della loro identità religiosa e culturale nella città che li aveva accolti, privi di tutto e certi di non poter più tornare indietro, per noi è la testimonianza di un passato di cui andare fieri e che non dobbiamo dimenticare.
19 L’interessamento più che decennale dell’Archeoclub d’Italia per la riscoperta storica e artistica della chiesa (in particolare gli eventi culturali del marzo 1995) e per la sua fruizione, ha stimolato l’attenzione delle istituzioni e della stessa cittadinanza verso il recupero totale dello stesso bene.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
LA CHIESA E L’ICONOSTASI
Luigi N. Dibenedetto
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a Puglia ha vissuto con particolare intensità i rapporti col mondo bizantino che si erano venuti intessendo in tutta l’Europa dal sec. XII al sec. XV a livelli diversi e molteplici, favoriti dalle relazioni diplomatiche tra le case imperiali, dalle crociate e dal conseguente aprirsi di rotte e colonie commerciali, ed anche dalle missioni francescane e domenicane. “Grazie al moltiplicarsi di contatti in tutti i campi l’Oriente diventa in Europa, soprattutto in Italia, uno degli strumenti essenziali di rinnovamento e di allargamento di orizzonti”.1 L’inesauribile vitalità della civiltà bizantina, che aveva trasmesso alla nascente civiltà europea l’eredità del mondo antico, non investe solo la storia dell’impero bizantino fino alla caduta, ma anche quella che N. Iorga definisce “la più grande Costantinopoli”, che si venne costituendo dopo la conquista dei Turchi nel sec. XV. “Bisanzio, con tutto ciò che rappresentava come complesso di istituzioni, come sistema politico, come formazione religiosa, come tipo di civiltà comprendente l’eredità intellettuale ellenica, il diritto romano, la religione ortodossa e tutto ciò che essa promuoveva e conservava in arte, non scomparve”.2 Per capire la natura profonda del fenomeno che sta alla base della notevole produzione artistica che si ebbe dopo la caduta di Costantinopoli, bisogna ricordare che già durante la graduale conquista da parte dei Turchi dei territori dell’Impero, ma soprattutto dopo il 1453 a causa dell’esodo di numerosi nobili, letterati ed artisti verso altri paesi greci e soprattutto verso Creta, nuovi centri culturali sorsero, tra i quali il più importante fu proprio quello artistico di Creta.3 Il trasferimento degli artisti da una zona all’altra facilitò il mantenimento dei legami alla tradizione e il crearsi di una certa uniformità di gusto. Il nuovo ideale estetico dell’ellenismo, che si forma dopo il 1453, troverà la sua piena realizzazione nella prima metà del sec. XVI nell’arte creata dai pittori cretesi Theophane Bathas, Antoine e Zorzi. Grazie a questi maestri e ai loro allievi, che si dispersero in tutta la Grecia e negli altri paesi ortodossi, la pittura greca conobbe nuovi vertici di creatività.4 Questa scuola si caratterizza da un lato perché fortemente radicata nelle tradizioni ellenistiche della pittura bizantina attraverso i modelli immediatamente vicini, quelli cioè delle composizioni che appartengono all’arte dei Paleologi; dall’altra perché il vigoroso talento dei fondatori inserisce, nello stile legato alla tradizione antica, nuovi elementi creando così le premesse di una nuova tradizione per la pittura di icone. Venezia rappresenta un centro importante dell’ellenismo della diaspora che accoglie un gran numero di pittori non tutti cretesi, ma che, avendo una grande padronanza della loro arte, vengono accomunati agli stessi poiché in effetti il loro lavoro artistico rispetta gli identici canoni della maniera dei Cretesi. Gli “ateliers” greci di Venezia forniscono un gran numero di icone di stile cretese puro che si ritrovano ancora in Italia .5 La produzione dei pittori cretesi della prima generazione dopo la caduta di Costantinopoli appare in un certo senso incoerente, eclettica nelle citazioni di culture distanti tra loro; ciò si giustifica se si considera la
1 Guglielmo Cavallo: “La circolazione della cultura tra Oriente ed Occidente”; in Giovanni Morello, a cura di: “Splendori di Bisanzio - Testimonianze e riflessi d’arte e cultura bizantina nelle chiese d’Italia”; catalogo della mostra; Milano, 1990; pag. 52. 2
Nicolas Iorga: “Byzance après Byzance - Continuation de l’histoire de la vie byzantine”; Bucharest, 1935 (Nuova ed. 1971); pag. 7.
Sulla diffusione dell’arte delle icone cfr. G. Alibegasvili, M. Alpatov, G. Babic, M. Chatzidakis, T. Voinescu, A. Volskaja, K. Weitzmann: “The icons”; Lubiana, 1981; (Ed. it. Milano, 1983). 3
4 Cfr. Manolis Chatzidakis: “Contribution à l’etude de la peinture postbyzantine”; in “L’hellénisme contemporain. Le cinqcentiène anniversaire de la prise de Costantinople”; 29 Mai 1953. - M. Chatzidakis: “O Zographos Euphrosynos” (Résumé: “Le peintre Euphrosinos”); in “Kritika Chronika”, X; Héraclion, 1956. - M. Chatzidakis: “Les débuts de l’école crétois et la question de l’école dite italogrecque”; in “Mnimosynon Sophias Antoniadi”; Venice, 1964. - M. Chatzidakis: “Recherches sur le peintre Théophane le crétois”; in “Dumbarton Oaks Papers”; Nos. 23 and 24; Washington, 1969-1970. - Tutti i saggi sono raccolti in “Etudes sur la peinture postbyzantine”; Varioum Reprints; London, 1976.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta LA CHIESA E L’ICONOSTASI
situazione storica del momento, caratterizzata oltre che dalla ovvia instabilità politica ed economica, anche dal fatto che quel mondo si trova in una posizione ambigua tra l’attaccamento ad una religione tradizionale ferma al Medioevo bizantino, che costituisce l’unico legame forte di continuità col periodo precedente e i tempi moderni dominati dall’ambiente culturale veneziano. Ci sarebbe da meravigliarsi se le espressioni artistiche di quel particolare momento storico non fossero caratterizzate da un tale eclettismo. Da questo clima i pittori della generazione successiva, quali N. Ritzos e A. Bitzamanos, riceveranno idee e moduli già più o meno fissati che trasmetteranno sotto forma di norme alla pittura del resto del sec. XVI. Nelle opere veneto-cretesi si riconoscono sia la luce bizantina che, provenendo da un punto posto all’infinito, avvolge tutta l’immagine e vi si riflette come emanasse dall’interno dell’immagine stessa, sia la luce veneta che rende la voluminosità della forma per mezzo del colore. Nelle stesse opere “il colore è sempre distribuito in modo ritmico entro le immagini od i gruppi di esse, come nel mondo bizantino” ,6 mentre la scelta delle tonalità risente della lezione dell’arte veneta. La possibilità per gli artisti cretesi di venire in contatto con opere del livello di quelle di Bellini, Tiziano, Tintoretto, non poteva non influenzare la loro opera in qualche modo; il che risulta particolarmente evidente in M. Damaskinos e in G. Klotzas. “L’arte di raccontare e di drammatizzare con il pennello, la ricerca psicologica dei personaggi, tutto ciò è ispirato dalla pittura italiana del loro tempo”.7 Pur conservandosi fedeli all’arte bizantina, gli artisti del tempo si rivelano attenti alla modernità, rispondendo anche ai gusti della committenza costituita da un pubblico molto vario dal punto di vista della provenienza geografica, della tradizione religiosa e dello stato sociale. “Segno che gli arrivi di icone in alcuni casi non dovettero essere fortuiti, ma frutto di una scelta ben precisa”8 sono le due icone del Pantocrator e dell’Hodighitria dell’iconostasi della chiesa di Santa Maria degli Angeli dei Greci a Barletta “copia” delle due icone principali poste ai lati delle porte regali dell’iconostasi della chiesa di S. Giorgio dei Greci di Venezia e opera di Thomàs Bathàs, un artista cretese che si rivela un fine iconografo capace di interpretazioni personali del tema teologico raffigurato. Copie, infatti, non nel senso letterale del termine, ma di una precisa volontà dei committenti di ottenere opere d’arte di alta qualità, i cui prototipi dovevano essere opere importanti dal punto di vista cultuale e notevoli dal punto di vista artistico. È infatti indicativo che la comunità greca di Barletta abbia voluto riprodotti per la propria iconostasi i modelli teologici dell’Hodighitria e del Pantocrator della chiesa veneziana ed abbia scelto per eseguire le icone un artista vincitore di un concorso presso la comunità greca di Venezia. La chiesa di S. Maria degli Angeli è inserita in un plesso che comprende anche abitazioni civili. L’interno è
5 Sulla scuola cretese, oltre gli studi di M. Chatzidakis, cfr. anche Sergio Bettini: “La pittura di icone cretese-veneziana e i madonneri”; Padova, 1933. Victor Lazaref: “Saggi sulla pittura veneziana dei secc. XIII - XIV, la maniera greca e il problema della scuola cretese”, I e II; in “Arte Veneta”; anno XIX, 1965 e anno XX, 1966. 6 Patrizia Angiolini Martinelli: “Le Icone della Collezione Classenze di Ravenna”; Bologna, 1982; pag. 21. Cfr. anche Patrizia Angiolini Martinelli: “Icone postbizantine in Italia settentrionale”; in “Milion” (1); Studi e Ricerche di arte bizantina; Atti della Giornata di Studio; Roma, 4.12.1986; Biblioteca di Storia Patria; Roma, 1988. 7
Manolis Chatzidakis: “Icones de St. Georges des Grecs de la Collection de l’Institut”; Institut Hellenique; Venice, 1962; pag. XLV.
8 Clara Gelao: “Tra Creta e Venezia - Le icone dal XV al XVIII secolo”; in Pina Belli D’Elia, a cura di: “Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al Settecento”; Catalogo della Mostra; Milano, 1988; pag.352. Cfr. anche Clara Gelao: “La pittura cretese in Puglia e i suoi riflessi sulla pittura locale tra la seconda metà del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento”; in Raffaella Cassano, Rosa Lorusso Romito, Marisa Milella, a cura di: “Andar per mare - Puglia e Mediterraneo tra mito e storia”; catalogo della mostra; Bari, 1998.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta LA CHIESA E L’ICONOSTASI
formato da un’aula rettangolare; il pavimento è a mattonelle in maiolica di scuola napoletana.9 L’elemento più interessante della chiesa è l’Iconostasi oltre la quale è il presbiterio con l’altare in marmo e la nicchia con l’altare della prothesis. L’Iconostasi è una specie di schermo che isola il “santuario”, il luogo cioè della presenza del sacro che, in quanto tale, è distinto rispetto alla chiesa stessa. Il ruolo dell’Iconostasi è quello di delimitare lo spazio sacro e di mettere il fedele in contatto con esso; una barriera che dà accesso, per mezzo dei suoi Santi, al mondo dell’invisibile, al mistero dell’Incarnazione, vissuto attraverso la “divina liturgia”. Già nel sec. III le chiese bizantine presentavano una divisione tra la navata e il santuario; questa era costituita da transenne in legno (oppure da colonne) sormontate da un architrave. Tale divisione scompare in Occidente all’inizio del Medioevo, mentre si va sempre meglio caratterizzando nelle chiese di rito bizantino-greco. Ben presto vi compaiono la Madre di Dio, Angeli e Santi attorno alla figura centrale del Salvatore o della Croce. Col tempo l’anima dell’iconostasi diviene la triplice rappresentazione di Cristo affiancato dalla Madonna e da S. Giovanni Battista chiamata “Deesis” che significa “intercessione”. Al centro dell’iconostasi si trovano le “porte regali” o “porte sante” riservate esclusivamente ai membri del clero e soltanto dopo che questi hanno indossato le vesti liturgiche; esse sono fiancheggiate da due porte minori, dette “del Nord” (Prothesis) e “del Sud” (Diakonikon).10 Fra le “porte sante” e le porte minori si trovano di norma le icone di Cristo (a destra) e della Madre di Dio (a sinistra). Nel registro immediatamente superiore a quello delle porte si trovano in genere le “Dodici Feste”, raffigurazioni di dodici fra le più importanti festività della liturgia bizantina. L’iconostasi della chiesa di S. Maria degli Angeli dei Greci è una delle due sole presenti in Puglia. Rispetto all’altra, quella della chiesa di S. Nicolò dei Greci a Lecce - svolta su due soli registri sormontati dall’ “ancora” e completata entro il secondo quarto del sec. XIX - la nostra presenta una maggiore monumentalità e ci trasmette la suggestione di una profonda emozione di fronte all’armonioso insieme di colori e allo splendore della luce riflessa nell’oro delle sue tavole. L’Iconostasi è sopraelevata su quattro gradini che si allargano al centro in corrispondenza delle “porte regali” ed è composta di quattro registri, sormontati dall’ “ancora”.11 L’unica tavola firmata è quella dell’Hodighitria: TOMIOU MPA - QA CEIR (mano di Thomàs Bathàs); M. Chatzidakis ha attribuito allo stesso autore anche quella del Pantocrator .12 L’artista, nato a Creta nel 1554, si stabilì in seguito a Corfù dove rimase sino alla fine del 1587 (o inizi 1588), ma già dal 1581 era membro della confraternita di S. Giorgio dei Greci a Venezia, dove si trasferì definitivamente, morendovi nel 1599.13 Documentati sono alcuni importanti particolari della sua vita pri-
9 Andrebbe confrontato, oltre che con la produzione di tal genere, in particolare con altri pavimenti barlettani: quello della chiesa del Carmine e quelli frammentari della chiesa di S. Gaetano, di S. Andrea e del Purgatorio.
Le porte laterali sono indicate con i punti cardinali perché da sempre le chiese di rito greco hanno l’abside posta ad Est, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione architettonica e/o urbanistica. Il nome indicato tra parentesi é significativo della funzione che esse svolgono durante la liturgia.
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Per il contesto artistico in cui si inseriscono le icone della chiesa di Santa Maria degli Angeli cfr. “Icone di Puglia …”, op. cit. - “Andar per mare …”, op. cit. - Maria Stella Calò: “La pittura del Cinquecento e del primo Seicento in Terra di Bari”; pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari, n. 8; Bari, 1969.
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Cfr. M. Chatzidakis: “Icones de St. Georges …”, op. cit. - M. Chatzidakis: “Eikònes toù Pàtmou” (Icone di Patmos), Banca Popolare della Grecia, Atene, 1977 - M. Chatzidakis: “Tò èrgo toù Thoma Bathà e Mpathà e Divota maniera greca” (L’opera di Thomàs Vathàs o Bathàs e la Divota maniera greca), in Thesaurìsmata, 14, 1977. In quest’ultimo articolo M. Chatzidakis attribuisce il Cristo di Santa Maria degli Angeli in Barletta a T. Bathàs (dove è accertata la sua presenza) in base anche all’affinità con le altre opere certe dell’artista.
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vata e artistica nella città lagunare. Nel 1589 il suo disegno per il mosaico raffigurante Cristo Pantocrator nella conca absidale della Chiesa di S. Giorgio dei Greci, fu scelto a preferenza degli altri due presentati da Iacopo Palma il Giovane e dal Pugnaletto. Altro episodio importante che conferma la sua fama e la sua bravura nel rendere vivi e palpitanti di una sensibilità moderna i soggetti, senza allontanarsi per questo dal filone della tradizione bizantina, è l’incarico ricevuto nel 1594 di rifare la Madonna Nicopeia della Basilica veneziana di S. Marco. Thomàs Bathàs mostra una straordinaria capacità di rendere le “copie” con uno stile pittorico personale, attraverso un uso sapiente della linea e del colore che danno una luce particolare alle sue opere. Quasi tutte le altre tavole dell’iconostasi (che si allontanano nettamente dal prezioso calligrafismo di T. Bathàs) portano sul retro - in rosso o in nero - il simbolo della Croce con le lettere IS CS - NIKA Gesù Cristo vince.14 L’attribuzione delle singole tavole si presenta, però, problematica, per una serie di considerazioni: 1) il fatto che certamente vi hanno lavorato più mani. Pur mostrando diversi caratteri comuni (la pennellata delle vesti, il disegno dei volti maschili e femminili, l’uso costante di alcuni colori) nella pittura delle icone si possono distinguere almeno tre livelli di capacità pittorica: da un uso corretto della prospettiva accompagnato dalla impostazione proporzionata dei corpi, si passa ad un disegno che mostra incertezze nella configurazione dello spazio, mentre alcune tavole sono di fattura decisamente mediocre.15 2) L’icona centrale della Deesis, il Cristo in trono fra le potenze, si distacca nettamente da tutte le altre per l’accuratezza del disegno (volto, mani, piedi, impostazione del corpo) e si collega come modello iconografico - ma non per la qualità pittorica - a due opere veneziane legate a T. Bathàs.16 3) I troni degli Apostoli ed Evangelisti richiamano i modi delle incisioni italiane dei sec. XV-XVI, come si ritrovano in alcune icone postbizantine dei sec. XVI-XVII17 anche se i volti e i panneggi dei personaggi si apparentano a quelli delle icone delle feste. Allo stato attuale delle indagini, mancando documenti d’archivio, si può a ragione ipotizzare che a parte le icone di T. Bathàs, tutte le altre, così come la struttura stessa dell’iconostasi, debbano riferirisi alla ristrutturazione della chiesa avvenuta alla fine del sec. XVIII ad opera della comunità proveniente da Jannina.18 Nell’insieme delle icone realizzate in quest’epoca è possibile individuare l’opera di quattro artisti: un maestro greco, che chiameremo maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli, autore del Cristo della Deesis e della maggior parte dei Santi in trono e delle feste; un artista molto vicino al primo, ma meno dotato, che chiameremo secondo maestro delle dodici feste; un artista greco differente dal secondo maestro e che opera poco più avanti nel tempo, che chiameremo maestro di S. Spiridione, cui vanno attribuite appunto le due
Per i dati biografici su Thomàs Bathàs cfr. M. Kazanaki: “Eidéseis ghià tò zogràpho Thòma Mpathà (1554 - 1599) apò tò notariakò archeìo tés Kérkuras” (Testimonzianze sul pittore Thomàs Bathàs 1554 - 1599 dall’Archivio notarile di Corfù), in “Deltìon tés Ionìou Akademìas” (Bollettino dell’Accademia Ionica), 1, 1977, p. 124-138; M. Cattapan: “Nuovi documenti riguardanti pittori cretesi dal 1300 al 1500”, in “Pepràgmena toù B’ Diéthnous krekretologhikoù sunedrioù, tòmos G’, tméma mesaionologhikòn” (Atti del II Convegno internazionale cretese, t. 3, settore medievale), Atene 1968, p. 29-46; M. Cattapan: “Nuovi elenchi e documenti dei pittori in Creta dal 1300 al 1500”, in “Thesaurìsmata”, 9, 1972, p. 202-235; M. I. Manoussakas: “Ellenes zogràphoi en Benetìa méle tés Ellenikés Adelphòtetos katà tòn IC aiòna”, (Pittori greci a Venezia membri della Confraternita dei greci nel XVI secolo), in “Mnemòsunon Sophìas Antoniàde” (in ricordo di Sofia Antoniadi), Venezia, 1974, p. 212-226. 13
C. Gelao, riferendosi alle icone dell’iconostasi di S. Niccolò di Lecce di cui due firmate e datate da Demetrio Bogdano e altre recanti sul retro il simbolo descritto nel testo, ritiene che quest’ultimo sia “la sua tipica <sigla>” (C. Gelao: “Tra Creta e …”, op. cit., pag. 159). Demetrio Bogdano, nato a Corfù nel 1752, nel 1775 è parroco della chiesa leccese, come sigla in basso a sinistra sull’icona di S. Spiridione in Trono. Come pittore si mostra fedele alla tradizione iconografica di matrice bizantina che ripropone in maniera schematica, concedendo poco o nulla all’occidentalizzazione delle forme; sottolinea piuttosto l’aspetto decorativo. L’attribuzione del simbolo della Croce accompagnato dalle lettere greche “Gesù Cristo vince”, a D. Bogdano andrebbe ulteriormente verificata sia nelle motivazioni che nell’analisi della grafia stessa del simbolo nelle icone leccesi, in quanto in sé e per sé esso è attestato già in antico e si ritrova, per lo meno dal sec. XVIII in poi, sul retro di molte icone dell’area ortodossa (anche in Russia, con la grafia mutata: NHKA).
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porte diaconali; infine un artista locale, decisamente più modesto degli altri, la cui attività va leggermente spostata verso gli inizi del sec. XIX, autore tra l’altro delle porte regali.19 È evidente che l’opera pittorica della chiesa di Santa Maria degli Angeli dei Greci si inserisce negli ampi orizzonti artistici e culturali dell’arte postbizantina e si collega strettamente alle vicende del territorio di cui fa parte. Il monumento si impone quale testimonianza alta e unica di tal genere; il suo recupero è un passo importante e fondamentale verso la sua fruizione da parte di studiosi, ma anche cittadini e turisti che possano godere della bellezza e dell’incanto di questo scrigno mistico.
Si vedano ad esempio, in ordine alla distinzione fatta nel testo, le icone della Presentazione al Tempio, della Circoncisione e dell’Annunciazione, in particolare la resa del pavimento, identico nel richiamo delle mattonelle rosa e ocra, quanto mai diverso nell’esecuzione prospettica del disegno.
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A T. Bathàs si deve l’ideazione del Cristo della Deesis realizzato a mosaico da Giovanni Antonio Marini e Alvise Gaetano nell’abside del Sancta Sanctorum della chiesa di S. Giorgio a Venezia negli ultimi anni del 1500. M. Chatzidakis ha messo in relazione questa immagine con l’icona di Cristo in trono posta sul lato nord della stessa chiesa, attribuendola a T. Bathàs. Cfr. M. Chatzidakis: “Icones de St. Georges …”, op. cit. - M. Chatzidakis: “Eikònes toù Pàtmou”, op. cit. - M. Chatzidakis: “Tò èrgo toù Thoma Bathà e Mpathà e Divota maniera greca”, op. cit. - cfr. anche Maria Cristina Bandera Viani: “Venezia - Museo delle icone bizantine e postbizantine e chiesa di S. Giorgio dei Greci”, Bologna, 1988.
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A dimostrazione della tendenza di disegnare i troni richiamando i modi dell’incisione italiana citiamo due icone: quella di S. Nicola in trono di Francesco Sarakenopoulos conservata nella pinacoteca nazionale di Bologna e riferibile alla fine del XVI sec. e quella di S. Giovanni teologo in trono di Demetrio Ateniese conservata nel museo provinciale di Lecce e databile a metà del sec. XVII. Va sottolineato che questi troni non richiamano minimamente il puro intrecciarsi di linee che in genere caratterizza le immagini della seconda metà del sec. XVIII come dimostra lo stesso D. Bogdano nell’icona leccese di S. Spiridione.
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L’attribuzione anche solo di parte delle tavole a Demetrio Bogdano e/o alla sua bottega, risulta difficile, oltre che per le differenze interne alle tavole stesse, anche perché, sulla base del confronto delle sole riproduzioni fotografiche, le icone barlettane non sembrano riprendere gli stilemi pittorici di quelle leccesi. Per una conferma sarebbe necessario uno studio comparato della materia pittorica. L’unico motivo a favore di una tale attribuzione risulta l’affermazione di C. Gelao che legge il simbolo della Croce quale sigla di D. Bogdano, ma alla luce delle osservazioni fatte, l’attribuzione non può essere validamente sostenuta.
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Non esiste una letteratura critica sull’iconostasi di Santa Maria degli Angeli che vada al di là della figura di T. Bathàs. Questo è, perciò, il primo tentativo di analisi e attribuzione delle tavole del sec. XVIII. Spero di avere, in seguito, la possibilità di sviluppare più ampiamente le considerazioni appena accennate (alcuni spunti sono stati inseriti nelle schede delle singole icone).
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la presenza di una comunità di rito greco-ortodosso nella straordinaria testimonianza dell’iconostasi e della sua chiesa Cinzia Dicorato
L
a storia di questa chiesa1 è strettamente legata alla sua comunità alla sua fortuna e sfortuna, fin dal tempo in cui questa comunità greca-ortodossa si stabilisce a Barletta, alla metà del XVI secolo, in seguito alla diaspora provocata dalla invasione di Corone (città a sud del Peloponneso) ad opera dei Turchi. Il bisogno di culto da parte della colonia, insediatasi ormai stabilmente nella nostra città, si espresse nell’uso di una prima chiesa intitolata a San Giorgio e successivamente in quella di Santa Maria degli Angeli. Un primo accenno su questa chiesa lo troviamo in un documento del “Codice diplomatico barlettano” che risale all’ 11.2.1398, in questo documento un tale Angelillo Trapperius Di Berteraymo richiede all’Arcivescovo di Trani il permesso di poter costruire una cappella “sub vocabulo Sante Marie de Angelis” con annesso un ospedale per i poveri2. La chiesa fu luogo di culto per la colonia dalla sua fondazione al 1656, dal 1789 al 1842 e dal 1861 agli inizi del XX secolo. Nel 1656 la grave pestilenza, che decimò buona parte della popolazione barlettana, falciò quasi l’intera comunità e questa circostanza determinò la scomparsa della colonia greca per oltre un secolo. In questo lungo periodo la chiesa fu usata dal clero secolare e posta alle dipendenze del capitolo della Cattedrale. Dal 1722 al 1772 la chiesa insieme alle fabbriche adiacenti divenne sede del convento delle Gesuitelle fino al momento della soppressione dell’ordine dei Gesuiti dal Regno di Napoli. Nel 1772 la comunità greca che si era ripopolata e ricostituita, ad opera questa volta di un gruppo proveniente dalla città di Giannina, fece richiesta presso la Regia Camera di rientrare in possesso della chiesa. E la comunità riuscì ad ottenerla il 7 luglio del 1789 dopo l’accordo raggiunto che vide il versamento di 600 ducati a titolo di transizione.3 Per l’occasione la comunità fece stampare una xilografia a commemorazione dell’importante avvenimento (stampa 1). Questo fino al 1842 quando due preti greci di rito cattolico con l’aiuto delle autorità locali se ne impadronirono, in questo periodo i greci-ortodossi furono costretti a celebrare i loro riti Stampa n. 1
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Un rilevante apporto alla configurazione generale del saggio è stato offerto dal confronto con le ricerche di Luigi N. Dibenedetto e di Danila A. R. Fiorella.
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SANTERAMO S. Codice diplomatico barlettano, IV vol., Barletta 1963/
Comm. Loffredo – Storia di Barletta, documento LI, pag. 544: “ Ho riferito al Re la rappresentanza della Camera abbreviata degli 11 del prossimo passato giugno relativo al giudizio di revindicatoria in tentato dalla Nazione Greca esistente in Barletta, di quella chiesa di Santa Maria degli Angeli, conservatorio e giardino, che dopo l’epoca della espulsione dei Gesuiti sono stati posseduti dall‘Aziena di educazione. Ed avendo S.M. risoluto che si accetti a titolo di transazione l’offerta fatta di ducati 600, ma con l’espressa condizione che restino cedute in beneficio del fisco tutte le ragioni che potesse mai avere la Nazione Greca sopra altri corpi, nomi di debitori o altra non espresso nella stipula della transazione lo partecipo di Real nome a V. S. Ill.ma per intelligenza della Camera abbreviata e per l’adempimento. Palazzo 7 luglio 1789. – Il Marchese Caracciolo – Signor Marchese Cavalcanti – Gabriele Giannocchi, Segretario.”
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CASSANDRO A., Santa Maria degli Angeli. Parrocchia dei greci, pag. 12 - Barletta 1973.
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VIVOLI G., Annali di Livorno, Livorno 1846, IV, p. 728: “ Relativamente alla facoltà conceduto poi ai Greci di rito non unito di potersi erigere una chiesa
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di nascosto a causa del clima di intolleranza che regnava nel mondo cattolico locale e solo dopo vent’anni poterono recuperare la chiesa . La città che aveva mostrato sempre grande disponibilità verso la comunità greca in questa occasione dimostrò solidarietà e simpatia anche nei confronti dei riti e delle celebrazioni dei quali hanno mantenuto vivo ricordo per lungo tempo.4 La chiesa di Santa Maria degli Angeli è una classico esempio di chiesa greca-ortodossa della diaspora, dove non è possibile riconoscere modelli o affinità alle chiese greche-ortodosse della madre patria. Questi modelli nascono dalla contaminazione, dai rapporti e dai contatti con i modelli occidentali dei paesi e delle città dove queste comunità sono costrette ad insediarsi e stabilirsi. A volte alle comunità greche-ortodosse, che si insediavano nelle nostre città, si chiedeva di adattare edifici preesistenti, costruiti per altri scopi, per insediarvi i loro luoghi di culto. Come nel caso della distrutta chiesa della S.S. Trinità di Livorno dove i greci nel 1757, ottenuta l’autorizzazione al culto da parte del Gran Duca di Toscana, scelsero la sala detta “della pallacorda piccola” ubicata al pianterreno di un edificio per fondare la loro chiesa.5 Questi adattamenti, che coinvolgevano relativamente la divisione dello spazio interno ma riguardavano soprattutto l’architettura complessiva, hanno dato luogo ai modelli che troviamo presenti nelle chiese greche- ortodosse nel nostro paese. La chiesa è costruita al livello di un primo piano (m. 2,10 sopra il livello stradale) all’ingresso principale si accede mediante una scalinata costituita da due rampe opposte che terminano con un piccolo pianerottolo. La facciata è semplice priva di interesse architettonico e si sviluppa sul lato lungo della sua pianta. Grafico n. 1 La porta d’ingresso è sormontata da due mezzi archetti e un ovale posto al centro dove in passato era visibile un piccolo dipinto murale raffigurante l’agnello simbolo cristologico. L’ interno è costituito da un’aula rettangolare orientata verso est-ovest, con uno splendido pavimento in maiolica policroma nei colori dell’ocra e dell’azzurro a finto mosaico con l’omphalos centrale che riprende il motivo ornamentale del rosone posto al centro dell’arco superiore delle porte del Bema. La copertura è a capriate, nascoste da una controsoffittatura in cannicciato stuccato ed intonacato. Lo spazio di una chiesa greco-ortodossa è uno spazio organizzato in funzione liturgica, dove il tempio nella sua totalità diviene l’immagine plastica del cielo divino sulla terra. La chiesa si sviluppa in un’unica navata e troviamo addossati ai lati lunghi delle pareti una serie di stalli, ascrivibili tra il XVIII e XIX sec., realizzati in legno di pioppo con perni in legno tornito nella parte alta di ogni stallo. Sulla parete più corta affrontata all’altare è posto un altro gruppo di stalli con i tre sedili centrali che mostrano una maggiore finitura e sono sormontati da un baldacchino, rifinito lungo
entro la città, abbiamo noi in copia il relativo Rescritto con le condizioni cui era la facoltà medesima alligata “ivi” S.M. Imperiale a forma dei privilegi del Granduca Ferdinando I del dì 10 giugno 1593 , accorda in Livorno ai Greci di comunione diversa dalla greco – romana la libertà di esercitarla con queste condizioni: che fabbrichino una chiesa dove congregarsi a loro spese; che questa abbia due porte, una sulla strada pubblica senza verun segno sacro, né iscrizione, ed uniforme in tutto e per tutto a quelle delle altre case, e l’altra interna, su la quale sarà loro permesso d’apporvi ciò che distingue le altre chiese; che non abbia Campana al pubblico, né altri instrumenti equivalenti per convocare il popolo; che sia sempre sotto l’immediata Regia protezione, e non governa immunità né locale, né personale, né reale:”. 6 DELL’AGATA POPOVA D. “ Il Templon bizantino e la sua trasformazione in iconostasi”; in Catalogo della mostra “ Le Iconostasi di Livorno” a cura di G. Passarelli, Pacini editore; Livorno 2001. 7 GELAO C. “ Tra Creta e Venezia – Le icone dal XV al XVIII secolo”; in Catalogo della mostra “ Icone di Puglia e Basilicata- dal medioevo al settecento” a cura di P. Belli D’Elia, ed.Mazzotta; Milano 1988 .
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta “SANTA MARIA DEGLI ANGELI” DI BARLETTA
il perimetro superiore da una cornice a modanatura semplice in argento meccato. Gli stalli, chiamati “stassidia”, servivano per i fedeli di sesso maschile che appendevano il cappello e si appoggiavano durante lo svolgimento del rito liturgico , i tre sedili centrali erano riservati alle autorità religiose. Al di sopra del nartece, piccolo spazio delimitato da un bussolone in legno rustico, è posizionato il matroneo o ghinekonitis (gineceo) riservato ai fedeli di sesso femminile. Questo affrontato all’iconostasi è costituito da una grata in legno e da una balaustra sormontata da un cornicione in argento meccato, anch’esso ascrivibile tra il XVIII e il XIX sec. Coevo al matroneo e agli stalli è il pulpito, realizzato in legno di pioppo e posto sulla parete sinistra al di sopra della fila di stalli. Di forma semicircolare ha un dossale sempre in legno sul quale è dipinta una raffigurazione di “Cristo sommo sacerdote” con il tipico copricapo da vescovo e la mano benedicente alla greca. Il grafico n. 1 riporta la suddivisione della spazio interno della chiesa:
A) Santuarium o Ieròn: con gli altari della Prothesis, del Bema e del Diakonikon; B) Iconostasi; elevata su quattro registri C) Navata o naòs: con gli stalli, il pulpito e il matroneo.
La navata è divisa dalla zona dell’altare che costituisce il santuarium “ieron” dall’iconostasi. L’iconostasi nelle chiese ortodosse è una parete che divide la zona dello ieron con l’altare del “ Bema” riservata al prete, da quella destinata ai fedeli e funge da tramite tra il mondo terreno e quello spirituale. Secondo approfonditi studi portati avanti da Doriana Dell’Agata Popova6 la paratia lignea o in muratura che costituisce l’iconostasi è una soluzione architettonica relativamente recente, ed è il risultato di un lungo processo di trasformazione che parte dal sancta sanctorum del tempio ebraico in epoca precristiana per giungere al templum bizantino. In epoca paleocristiana, in oriente come in occidente, lo spazio del presbiterio o del bema era diviso dalla navata tramite una muratura bassa o, in alcuni casi, alta sul tipo del “Frons Scenae” del teatro antico. Per diverso tempo i due modelli hanno convissuto ma mentre in occidente prevalse il modello basso in muratura con cancello centrale in oriente si affermò come unico modello il divisorio alto. Verso la metà del XVI sec. in epoca postbizantina si trasformerà , con l’impiego prevalente del legno, in iconostasi acquistando autonomia rispetto allo spazio architettonico, configurandosi in una parete articolata orizzontalmente in tre zone principali: base, epistilio e Kapitela comprendente anche il coronamento. La base corrisponde al primo registro detto despotico dove sono poste le tavole principali o despotiche dell’iconostasi, nell’epistilio sono poste quasi sempre le tavole del dodekaorton o del dodekapostolon. Il kapitela è costituito quasi sempre dalla Deesis che termina con la croce come coronamento che simbolizza il Golgota. L’iconostasi nella chiesa greca-ortodossa riveste un’importanza fondamentale nello svolgimento del rito, dove è fortemente sentita l’inviolabilità del luogo sacro, luogo esclusivamente riservato al celebrante. Il fulcro dell’iconostasi è costituito dalla “DEESIS”, che attraverso le raffigurazioni del Cristo, della Madonna e del San Giovanni Battista, assume il significato di intercessione tra il popolo dei fedeli 19
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta “SANTA MARIA DEGLI ANGELI” DI BARLETTA
Grafico n. 2
Sec. XVI
Sec. XVIII
Sec. XVIII - XIX
e Dio. La stessa funzione di divisione tra la zona sacra e quella riservata ai fedeli hanno le porte regali o porte del “Bema” riservate solo al clero che vi accede solo dopo aver indossato le vesti liturgiche. Ai lati sono collocate due porte minori dette “Porta della prothesis” a nord e “Porta del diakonikòn” a sud si trovano solitamente affiancate le tavole che quasi sempre raffigurano il “Cristo Pantocrator”, e la “Madonna”. Nell’Iconostasi ruolo altrettanto fondamentale rivestono le tavole raffiguranti le dodici feste della liturgia ortodossa Dodekaorton, quasi sempre collocate nel peristilio. L’iconostasi della chiesa dei Greci di Barletta è un esempio pregevole nel suo genere e può essere considerata per la sua monumentalità una delle più interessanti tra quelle che sono state realizzate in Italia. L’imponente struttura lignea, all’interno della quale sono inserite le icone , ha un’altezza di circa m. 10 e un’estensione di m. 6; sopraelevata su quattro scalini che si allargano al centro in corrispondenza delle porte centrali. Nel primo registro detto Despotico sono collocate le tre porte che mettono in comunicazione il santuarium “ieròn” con la navata “naòs”. Al centro la porta regale detta anche la Porta bella (orèa pìli) che da l’accesso all’altare del “Bema” con la raffigurazione dei Santi corifei (principi degli apostoli) San Pietro e San Paolo, ai lati di questa si trovano le tavole despotiche dipinte da Thomas Bathas (1554 - 1599) raffiguranti “Cristo Pantocrator” e la “Madonna Odighitria” che sovrastano le due tavole sulle quali sono dipinte le scene evangeliche della “Adorazione dei Magi” e “l’Incontro di Gesù con il centurione a Cafarnao”. Sulle porte laterali che corrispondono alla porta nord della pròthesis e alla porta sud del diakonikon sono rispettivamente raffigurati “San Basilio” e “San Spiridione”. Nell’epistilio troviamo sia la fila di icone del Dodekaeorton cioè delle dodici feste liturgiche con: l’Annunciazione, la Natività, la Circoncisione, la Presentazione al tempio, il Battesimo di Cristo, la Trasfigurazione sul monte Tabor, la Resurrezione di Lazzaro, l’Ingresso a Gerusalemme, la Crocifissione, la Resurrezione, l’Ascensione e la Pentecoste; che il Dodekapostolon con: San Tommaso, San Giacomo, San Luca, San Simone, Sant’Andrea, San Pietro, San Paolo, San Giovanni, San Matteo, San Bartolomeo, San Marco e San Filippo. Nell’ultimo registro quello del Kapitèla troviamo la “Deesis” del tipo “Trimorphon”costituita da una tavola centrale raffigurante il “Cristo in trono” affiancato lateralmente dalla Madonna e da San Giovanni Battista. Il gruppo della Deesis è affiancato da due raffigurazioni della passione: il calvario e la crocifissione e si completa con la Croce del Golgota dove la base di connessione assume la forma di un’ancora con le due unghie laterali nelle quali sono poste due tavolette raffiguranti la Madonna e San Giovanni evangelista. La croce-ancora reca dipinti nel fuso Gesù crocefisso e nelle quattro estremità trilobate i quattro evangelisti. Possiamo ricondurre la realizzazione e ampliamento dello stato attuale della iconostasi alla seconda 20
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta “SANTA MARIA DEGLI ANGELI” DI BARLETTA
Grafico n. 3
Thomàs Bathàs tavole: 31, 32 Maestro dell’Iconostasi tavole: 1, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 20, 22, 25, 28. Maestro di S. Spiridione tavole: 2, 3, 30, 35, 38, 39. Secondo Maestro delle dodici feste tavole: 11, 12, 19, 21, 23, 26, 27, 29. Artista locale tavole: 2, 16, 32, 33, 34, 35.
metà del ‘700 quando la comunità ripopolatasi ritorna in possesso della chiesa sempre a questo periodo sono ascrivibili tutti gli arredi della chiesa. seguendo il grafico n. 2 possiamo individuare tre epoche di costruzione diverse dell’iconostasi direttamente legate alla storia della comunità greca. Le tavole più antiche sono anche le più importanti dal punto di vista artistico, queste tavole raffiguranti il Cristo “Pantocrator” e la “Madonna Odighitria”, sono commissionate dalla comunità greca di Barletta a Thomàs Bathàs per essere poste come tavole “despotiche” lateralmente alle porte regali quel Thomàs Bathàs che ritroviamo a Venezia come membro della confraternita di San Giorgio dei Greci a Venezia nel 1581 e che per la chiesa di San Giorgio realizza i disegni per il mosaico absidale del “Pantocrator”. Questo testimonia il periodo di massima fortuna della comunità che commissiona le tavole per l’ iconostasi della propria chiesa ad un artista di fama. Nel 1789 quando la comunità ripopolatasi riottiene la chiesa fa costruire l’intera iconostasi e alla realizzazione di questa ci lavorano più (preti) pittori. Un unico maestro dipinge la maggior parte delle icone, che individuiamo come il “Maestro dell’iconostasi di Santa Maria degli Angeli” e accanto a lui si riconoscono almeno altre tre mani. Nel grafico n. 3 è riportata la suddivisione delle opere secondo questa ipotesi. Le tavole degli apostoli e quelle delle dodici feste trovano una loro attribuzione da parte di Clara Gelao a Demetrio Bogdano,7 prete pittore di origine corfiota che si trasferisce a Lecce durante la seconda metà del ‘700 dove dipinge buona parte delle tavole dell’iconostasi di San Niccolò dei Greci. Attribuzione che solo attraverso un’attenta analisi ed una diretta comparazione si potrà dare per certa. Al momento si può ascrivere stilisticamente l’opera nell’ambito di quella scuola ionica che si forma nelle isole di Zante e Corfù, dove buona parte degli artisti greci furono costretti a trasferirsi dopo la caduta di Creta in mano ai turchi (1665), avviando un processo di occidentalizzazione di questa pittura. Alla prima metà del XIX secolo possiamo ascrivere la porta regale e le tavole collocate ai lati di questa, che raffigurano “l’adorazione dei Magi” e “l’incontro di Gesù con il centurione a Cafarnao”. Si differenziano da tutte le altre icone sia per la diversa fattura pittorica che per la diversa essenza legnosa, infatti, mentre tutta l’iconostasi è stata realizzata in legno di pioppo queste ultime tavole e la porta sono in abete. La zona dello Ieròn è costituita dall’altare del “Bema” e dall’altare della “Prothesis”, in questo caso manca l’altare del “Diakonikon” al posto del quale è stata ricavata una porta di accesso nei locali retrostanti che portano alla torretta delle campane. L’altare del Bema è costituito da una mensa in pietra al di sopra del quale è posto un baldacchino di legno policromo dipinto a finto marmo con le cornici in argento meccato e quattro pilastrini sormontati 21
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta “SANTA MARIA DEGLI ANGELI” DI BARLETTA
da un’imponente cupola quadrangolare che termina con un globo crociato, al di sotto del quale è collocato uno splendido “artophorion” (ciborio). Questo in argento meccato si presenta come una struttura architettonica a base trapezoidale con paraste, cornici mistilinee a modanatura semplice e una cupoletta sempre a base trapezoidale che termina con una croce, adornata perimetralmente da una baluastrina ad elementi torniti. L’artophorion manca dello sportellino centrale e presenta ai lati due pannelli dipinti raffiguranti a destra S. Basilio Magno e a sinistra S. Giovanni Crisostomo. Della medesima fattura della struttura lignea portante dell’iconostasi è ascrivibile al XVIII secolo e può essere attribuito al maestro dell’iconostasi. La Prothesis, piccolo altare che serve per la preparazione del pane e del vino necessari durante l’eucaristia, è ricavato in una nicchia nel muro decorata da un pregevolissimo dipinto murale che raffigura il Cristo in pietà. Il piccolo affresco databile intorno alla fine del XVI secolo raffigura il Cristo posto sul sepolcro con gli occhi chiusi in una posizione rigorosamente frontale ed un’espressione ieratica individuabile nell’iconografia dell’Akrytapinosis cioè il Cristo dell’estrema umiltà. La cura del disegnato e la delicatezza della materia pittorica ci rimandano ad un buon maestro di ambito cretese sia per la conoscenza del modello iconografico che per il modo di trattare la materia. Modello in uso fino alla prima metà del XVII e che in seguito scompare dalla tradizione iconografica bizantina, questa individuazione ci permette di ipotizzare la committenza alla prima comunità greca-ortodossa. Il lungo e accurato restauro ha ridato nuova vita alla chiesa e in particolare alle opere che essa contiene. Uno dei recuperi più interessanti è il baldacchino processionale, quattro colonnine tortili sormontati da capitelli di stile composito a loro volta sormontati ai quattro lati da archi a tutto sesto e completati in alto da archetti mistilinei che formano una cupola di estrema leggerezza. Perimetralmente agli archi un motivo ornamentale a griglia decorate con palmette verdi e pendaglietti che richiama nel disegno lo stesso motivo ornamentale del baldacchino dell’ambone. Il baldacchino è posato su una pedana di legno policromo a finto marmo che richiama la decorazione della struttura portante dell’iconostasi. L’arredo di legno di pioppo e argento meccato estremamente raffinato e di gusto orientaleggiante era usato durante i riti della Settimana Santa per l’esposizione dell’Epitafios, cioè la raffigurazione del Cristo deposto che quasi sempre era costituito da un drappo finemente ricamato. Sempre legato ai riti della Settimana Santa è il bel Crocefisso di legno sagomato, dipinto finemente e di estrema qualità pittorica. Quasi sicuramente era posto durante il resto dell’anno liturgico nella zona retrostante l’altare del Bema e portato in processione in questo periodo. Tutte queste opere costituiscono la straordinaria testimonianza della comunità greca barlettana nelle sue lunghe e alterne vicende e vanno a sommarsi al già ricco patrimonio che la nostra città possiede.
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Il Catalogo
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CORONAMENTO DELL’ICONOSTASI
Maestro dell’Iconostasi di S. Maria degli Angeli “Croce” (fuso) sec. XVIII Artista locale “Madonna e San Giovanni” (unghie ) fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Le tre icone, poste a coronamento dell’Iconostasi, sono inserite su di un basamento. L’insieme presenta la forma di un’ancora. La forma dell’ancora ricorda che la nostra salvezza è “ancorata” nel mistero redentivo della Passione, Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, mistero principale della fede cristiana e culmine teologico dell’iconostasi. L’icona, infatti, è al tempo stesso raffigurazione del divino e proclamazione vivente del valore della materia: essa, quale creatura di Dio, è anche manifestazione di Dio. Perciò ogni icona evoca il mistero dell’Incarnazione, non in teoria, ma in pratica, perché afferma che l’uomo ha la possibilità di esprimere Dio ed è in possesso di un linguaggio per testimoniare la propria fede. Contribuiscono alla ricca simbologia di questa icona la forma stessa della tavola, che disegna, sovrapponendole, le lettere I e X (Jesus Cristós - Gesù Cristo) e la presenza della Madre di Dio e del discepolo amato da Gesù - Giovanni - testimoni del momento supremo del dono che Gesù fa della Sua Vita per aprire agli uomini le porte della salvezza: il dolore si legge nei gesti composti che richiamano, nella mano protesa, l’atteggiamento tipico dell’intercessione. Nelle terminazioni trilobate dei bracci della Croce sono raffigurati i quattro Evangelisti; nel Crocifisso, che costituisce il “fuso” dell’ancora, si riconosce l’opera della mano più esperta fra gli artisti del sec. XVIII (vedi in particolare la lumeggiatura delle membra di Gesù Cristo); le tavolette con Maria e S. Giovanni Apostolo - le “unghie” dell’ancora - si devono, invece, per il loro disegno sommario e goffo, all’autore che imita con molta difficoltà i modelli della tradizione bizantina. L. D.
OGGETTO SOGGETTO
Dipinto su tavola
AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli e Artista locale
“Cristo crocefisso e i quattro evangelisti” “Madonna e San Giovanni”
Tempera all’uovo e legno intagliato e dorato ad oro zecchino Pioppo XVIII sec. circa Cm. 83 x 103 - Unghie cm. 00 x 00 - Connessioni 00 x 00 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Coronamento dell’Iconostasi In alto nell’ultimo registro detto Kapitela C.D.
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CRISTO RE DELL’UNIVERSO DEL TRITTICO DELLA DEESIS
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
Una variante dell’icona del Pantocrator, ma con particolari ben precisi che la individuano, è il Cristo in trono fra le potenze nella raffigurazione della Deesis, nella quale tutte le figure convergono verso quella centrale del Cristo. Il Signore, seduto su di un trono, è vestito di luce ed è inserito in un quadrato a sua volta inserito in un cerchio, simboli dell’eternità e del cielo. Spesso la scena è racchiusa da un ulteriore quadrato con agli angoli i simboli dei quattro Evangelisti. Nella Chiesa ortodossa si stabilisce un rapporto stretto fra le icone e la liturgia, in quanto questa viene celebrata nelle icone che entrano a far parte dei segni sacramentali della vita della Chiesa. Il Cristo della Deesis è il centro e il motivo della preghiera stessa di tutta la chiesa. Scrive Giovanni Paolo II nella “Duodecimum saeculum”: le chiese orientali “hanno considerato la venerazione dell’icona come parte integrante della liturgia, a somiglianza della celebrazione della Parola. L’ostensione di una icona dipinta permette a quelli che la contemplano di accostarsi ai misteri della salvezza mediante la vista”. Fra quelle riferibili al sec. XVIII l’icona del Cristo della Deesis della chiesa barlettana è quella che mostra una più elevata qualità artistica soprattutto per la resa perfetta delle mani e dei piedi e per il carattere fortemente espressivo del volto. Abbiamo accennato nel saggio introduttivo alle problematiche legate a quest’icona dove la stesura del colore e il disegno dei volti dei serafini che reggono il Pantocrator seduto e benedicente contrastano in qualche modo con l’armoniosa impostazione del corpo di Gesù perfettamente leggibile attraverso il panneggio. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Tempera all’uovo e doratura
Cristo Pantocrator Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli
Pioppo XVIII sec. Cm. 57 x 78,5 Chiesa greca
“Santa Maria degli Angeli”
Iconostasi Icona centrale della “Deesis” registro superiore detto Kapitela C.D.
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MARIA DEL TRITTICO DELLA DEESIS
Maestro di S. Spiridione - fine sec. XVIII, inizio sec. XIX
L’Haghiosoritissa è l’unica icona in cui la Vergine Maria viene ritratta da sola senza la presenza del Bambino, ma è sempre Cristo il riferimento dell’azione teologica: infatti per una volta la Madre abbandona il suo ruolo di Theotokos per farsi tutta dalla parte dell’umanità ed intercedere presso il Figlio. L’immagine diffusa anche in area latina, presso gli Ortodossi si trova quasi sempre collegata, come nel nostro caso, alla rappresentazione della Deesis: Cristo in trono fra la Vergine e S. Giovanni Battista, il Prodromos. Il termine deesis significa intercessione (dal greco deomai); la raffigurazione di Giovanni Battista nello stesso atteggiamento di Maria è legata alla dottrina dell’intercessione dei Santi e degli angeli promulgata nel Concilio di Nicea del 787. “Nelle Deesis il carattere simbolico è evidente: Maria e Giovanni Battista intercedenti ai lati di Cristo rappresentano l’umanità; ma a quel carattere se ne aggiunge un altro, astratto, che deriva dall’avere arbitrariamente scelto come rappresentanti dell’intercessione la Vergine e Giovanni, non legati nell’immagine da nessun rapporto all’infuori di quello di essere investiti da una intenzionalità precisa” (M. Andaloro: “Note sui temi iconografici della Deesis e della Haghiosoritissa” in Rinasa n.17, 1970, pag. 93). Nella nostra icona, mentre il volto e le mani mostrano una notevole qualità del disegno, il panneggio appesantisce la figura e la rende simile ad una sagoma ritagliata. Ci troviamo di fronte all’opera di un artista che, pur ricopiando rigidamente i modelli della tradizione bizantina, rivela una certa capacità pittorica. La punzonatura dell’aureola, tecnicamente perfetta, ripete lo stesso motivo floreale di quella di S. Giovanni Battista della Deesis e delle icone di S. Nicola e di S. Giovanni Battista con la sua testa. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA
Dipinto su tavola
DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Fine sec. XVIII, inizio sec. XIX
Haghiosoritissa - Madonna della Deesis Maestro di S. Spiridione Tempera all’uovo e doratura Pioppo
Cm. 47 x 75 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Prima icona a sinistra della “Deesis” registro superiore detto Kapitela C.D.
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S. GIOVANNI BATTISTA DEL TRITTICO DELLA DEESIS
Maestro di S. Spiridione - fine sec. XVIII, inizio sec. XIX
Il trittico della Deesis traduce visivamente la preghiera di intercessione celebrata all’interno della liturgia eucaristica nei riti bizantini. È anche annuncio della seconda venuta di Cristo che nella storia è stato precorso da Giovanni Battista e accolto da Maria. Pavel Evdokìmov interpreta la scena come la realizzazione delle nozze messianiche dove Maria è la Madre e la Sposa e Giovanni l’amico dello sposo. S. Giovanni Battista, il Prodromos (precursore), è l’ultimo profeta dell’Antico Testamento e il primo Santo del Nuovo; la sua vita e la sua missione ci vengono raccontati in particolare nel Vangelo di S. Luca. La rappresentazione, in generale, dei Santi è rappresentazione dell’uomo trasfigurato; infatti lo stato di trasfigurazione è l’unico presente nell’iconografia sacra ed anche se questo limita fortemente il suo ambito espressivo, ha una sua ragion d’essere. Nella tradizione ortodossa Giovanni viene raffigurato con le ali, quale angelo del deserto, per la sua vita di penitenza nelle zone aride al di là del fiume Giordano, mentre predicava la conversione del cuore. Anche la folta capigliatura e la barba incolta ricordano la sua permanenza nel deserto. Il bastone terminante a forma di croce che Giovanni stringe nella mano destra ha una doppia valenza: ricorda i tratti salienti della sua vita e lo individua come l’annunciatore del piano di salvezza che si realizza con la venuta del Signore; a sigillo di questa missione si verifica l’evento più importante della vita del Battista: nelle acque del Giordano Gesù gli ordina di imporgli il Battesimo. La figura risulta ben disegnata e proporzionata, particolare cura si nota nella resa dei lineamenti del volto e della capigliatura. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Giovanni Battista del trittico della Deesis Maestro di S. Spiridione Tempera all’uovo e doratura Pioppo Fine sec. XVIII, inizio sec. XIX Cm. 47,5 x 75 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Terza icona a destra della “Deesis” registro superiore detto Kapitela C.D.
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S. TOMMASO APOSTOLO IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
Le dodici tavole con gli Apostoli e gli Evangelisti, che si collegano strettamente al registro superiore della Deesis (infatti i Santi sono rivolti sei a destra e sei a sinistra), vanno riferite ad un artista cretese di notevole abilità nel trattare la linea e il colore e perfettamente padrone dei moduli e delle tecniche della tradizione bizantina. Le figure sono sedute su dei troni che le avvolgono completamente e che rimandano apertamente alle opere degli incisori italiani. L’icona dei Santi è un invito a venerare gli archetipi, le persone viventi che con la loro vita hanno testimoniato il mistero della fede; l’immagine impressa nell’icona sintetizza l’intera celebrazione: la Parola, le preghiere e i canti propri della festa. Essa è “segno” del Santo, figura visibile dell’opera del Divino Iconografo, lo Spirito Santo, che ha impresso nel volto del Santo la luce del volto di Cristo. S. Tommaso è ricordato soprattutto per l’episodio della sua incredulità circa l’apparizione fisica di Gesù dopo la Risurrezione. La tradizione vuole si sia spinto fino in India nella sua opera missionaria. Avrebbe subito il martirio a Calamina, località vicina all’odierna Madras, nel cui territorio sorge quella che ancor oggi viene detta la “gran montagna di Tommaso”. Fino al sec. XIII è stato raffigurato in giovane età e senza barba; talvolta gli è accanto una squadra, per una leggenda che lo indica geometra alla corte del re indiano Gundafaro. Altra leggenda che lo riguarda racconta della consegna nelle sue mani della cintola della Madonna. Nell’icona di S. Maria degli Angeli è ritratto giovane, il corpo girato verso sinistra; ha in mano il rotolo delle scritture; l’aureola che circonda il suo volto reca una punzonatura a motivo floreale identica a quella degli altri Apostoli ed Evangelisti. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Tommaso apostolo in trono Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con doratura e argentatura Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Prima icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio
C.D.
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S. GIACOMO APOSTOLO IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
Nelle icone lo spazio è “occupato” ed è uno spazio non fisico, ma simbolico. Il contorno (la sagoma) di ogni cosa è ben disegnato; la porzione di spazio che occupa ogni immagine è la sua forma precisa e non casuale, netta, con contorni semplici. È proprio della luce rendere netti i contorni, mentre è dell’ombra offuscarli; così già la sola silhouette è espressione della presenza della “Verità”. Le sagome sono leggere, toccano appena la base; le figure, intere o a mezzo busto, sono larghe in basso e poi s’innalzano, solide come montagne o piramidi, ma sempre senza peso. L’impostazione ieratica delle immagini è celebrazione del memoriale di persone ed eventi: non una semplice memoria, ma una parola viva che ci comunica il mistero vivente di persone viventi. L’icona del Santo si fa mediatrice fra la sua presenza reale e la preghiera dei fedeli. Fratello di Giovanni, Giacomo era figlio di Zebedeo: insieme avevano ricevuto il soprannome di “Boanerghes”, figli del tuono; viene detto il maggiore per distinguerlo dall’altro Apostolo con lo stesso nome. Fu il primo dei Dodici a subire il martirio (Att. 12,2); secondo la tradizione le sue spoglie nel 70 sarebbero state traslate da Gerusalemme sul monte Sinai, nell’odierno monastero di S. Caterina, da dove nel sec. VIII raggiunsero la Spagna dove fu eretta una chiesa trasformata nei secoli nell’attuale famosa basilica di S. Jacopo de Compostela. In Occidente, col passare dei secoli, nell’iconografia agli attributi di Apostolo si sostituiscono quelli del pellegrino, di cui S. Giacomo è protettore; al rito dell’investitura del pellegrino è legata la conchiglia che anche scientificamente ha preso il nome di “conchiglia di S. Giacomo”. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Tempera all’uovo con doratura e argentatura
San Giacomo Apostolo in trono Maestro dell’Iconostasi di S. Maria degli Angeli
Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Seconda icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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S. ANDREA APOSTOLO IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
L’icona, segno sacramentale per la Chiese ortodosse, nella liturgia bizantina partecipa dell’espressione del mistero che viene celebrato. Mostra che il cielo è presente sulla terra, che i fedeli sono in piena comunione con i Santi di cui ricorre la festa, resi presenti attraverso l’icona. Le assemblee riunite per la divina liturgia sono immagine dell’assemblea dei Santi e strettamente in comunione con essa: questa presenza del cielo sulla terra viene sottolineata dal rito dell’incensazione delle icone. Andrea col fratello minore Simone, ribattezzato da Gesù Pietro, era pescatore a Cafarnao, sul lago di Genesaret. Seguace di Giovanni Battista, divenne il primo discepolo del Signore e fu lui a condurre il fratello alla sequela del Cristo. La sua passio racconta che si stabilì a Patrasso, in Grecia, dove subì il martirio intorno al ‘60, crocifisso su una croce sghemba, detta da allora croce di Sant’Andrea. È raffigurato avanti negli anni, con barba e capelli arruffati e con un ciuffo al centro della fronte che ricorda la forza dello Spirito del Signore che accende e trasfigura il volto. Nei Santi in genere, pur nella generale sobrietà, la capigliatura è resa sempre con accuratezza, con ciocche ben ordinate e scandite in ritmi e sequenze armoniche; unitamente alla forma della barba, essa serve a caratterizzare il Santo. In particolare ciò è vero per l’Apostolo Andrea: proprio la presenza del disordine esprime un carattere precipuo. Rappresentato sempre col rotolo o col libro in Oriente, nell’iconografia occidentale si arricchisce dei simboli della croce sghemba, della corda, della rete da pescatore e del pesce; in questa tavola stringe nella sinistra una croce astile. La figura è in posizione centrale, raccolta anche nel gesto della benedizione; il panneggio che sottolinea tutta la figura, coglie un quasi impercettibile moto verso sinistra che si rivela chiaramente nel volto e nello sguardo. L. D.
OGGETTO SOGGETTO
Dipinto su tavola
AUTORE / ATTRIBUZIONE
Maestro dell’Iconostasi di S. Maria degli Angeli
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA
Tempera all’uovo con doratura e argentatura
Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
TIPO DI COLLOCAZIONE
Iconostasi
UBICAZIONE
Terza icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio
S. Andrea Apostolo in trono
Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45
C.D.
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S. LUCA EVANGELISTA IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
Luca esercitava la professione medica ad Antiochia (odierna Siria); fattosi cristiano nel 50/51 divenne discepolo di Paolo e rimase con lui per circa diciassette anni. Dopo il martirio di Paolo pare si sia trasferito nel Peloponneso dove avrebbe scritto il Vangelo e gli Atti degli Apostoli. Secondo la tradizione le sue spoglie furono traslate nel sec. IV nella chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli. L’Evangelista Luca viene ritratto sempre con un rotolo - nelle immagini più antiche - o con un libro; questo è chiuso e mostra la Croce impressa sulla copertina, oppure aperto, con frasi tratte dal suo Vangelo. Spesso è accompagnato dal toro, l’animale del tetramorfo dell’Apocalisse di Daniele (Dn. 7,1ss) col quale viene simboleggiato. In alcune icone, care alla tradizione orientale è raffigurato nell’atto di dipingere il ritratto della Madre di Dio, secondo una tradizione che lo vuole iconografo e primo ad aver raffigurato Maria. Nella nostra tavola è rivolto verso sinistra e il manto avvolge completamente la figura, sottolineando con le sue pieghe la forma delle membra. L’ampio trono su cui siede, di forma identica agli altri undici, è composto da una pedana su cui è impostato il sedile; vi è poggiato sopra un cuscino cilindrico di un serico colore verde, terminante in due calotte dorate chiuse da una nappa anch’essa dorata. Dietro il cuscino si innalza l’alta spalliera a forma di esedra, segnata all’estremità da due pilastrini con capitelli che sorreggono la cornice superiore coronata da due angeli sul cui petto si incrociano le braccia. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA
Tempera all’uovo con doratura e argentatura
TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
S. Luca Evangelista in trono Maestro dell’Iconostasi di S. Maria degli Angeli
Pioppo XVIII secolo Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Quarta icona del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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S. SIMONE APOSTOLO IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
Di Simone, chiamato nei Vangeli lo zelota - a motivo della comunità cui apparteneva prima della sua chiamata - non si sa nulla di certo; persino sulle modalità del suo martirio le leggende sono diverse e non concordanti tra loro. Mentre in Oriente è raffigurato col rotolo o col libro, attributi principali del suo essere Apostolo, in Occidente è presentato con gli strumenti del martirio, la sega, la lancia, la clava, la spada o la freccia a seconda del prevalere di una leggenda sull’altra. Nella nostra icona il volto di S. Simone è particolarmente espressivo e curato nel disegno arricchito da un sottile gioco di lumeggiature. Nell’arte bizantina non è mai il ritratto di un volto di questa terra, ma attinge la sua struttura dalla struttura dell’essere. È costruito come un’architettura con le volte delle sopracciglia, la colonna del naso, diritto e lungo, la cupola della testa a forma perfetta di sfera. L’occhio è l’elemento principale poiché l’iconografia è un mondo di visione. Esso è reso con una essenzialità stupefacente: dei semplici tratti leggermente tesi come un arco o morbidi come un’onda che disegnano due ellissi. Anche la bocca è resa con un grafismo semplice: sempre chiusa nel silenzio, è immagine dello stato d’impassibilità e di calma di chi ha superato le passioni. Nell’iconostasi di S. Maria degli Angeli è rivolto verso sinistra ed ha anch’egli in mano, come gli altri Apostoli in trono, il rotolo delle scritture che si ispira all’iconografia paleocristiana della scena della “Traditio Legis” in cui Cristo consegna a Pietro – e con lui agli Apostoli e alla Chiesa intera – un rotolo, segno del mandato per la missione di evangelizzatori del mondo. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Simone Apostolo in trono Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con doratura e argentatura Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Quinta icona da sinistra del Dodekapostolon del registro mediano dell’Epistilio C.D.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
S. PIETRO APOSTOLO IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Sec. XVIII
S. Pietro è l’ultimo dei Santi rivolti verso sinistra e sembra fissare S. Paolo, il primo dei sei che guardano verso destra, ma sappiamo che il loro centro visivo è il Pantocrator. S. Pietro e S. Paolo, infatti, aprono la schiera dei Santi che si situano ai lati del trittico della Deesis quasi nella totalità del mondo ortodosso, almeno a partire dal sec. XVI; vengono spesso preceduti, soprattutto nelle chiese russe, rispettivamente dagli Arcangeli Michele e Gabriele. In una sua omelia S. Agostino d’Ippona riflette: “Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Il beato Pietro, il primo degli Apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: <E io ti dico: Tu sei Pietro> - Mt. 16,16” (Disc. 295). La letteratura apocrifa ha tramandato la notizia di due scritti attribuiti all’Apostolo: il Vangelo secondo Pietro dei Nazarei e quello dei Doceti della Cilicia di cui si hanno alcuni frammenti. Pietro è anche protagonista dell’episodio descritto dal racconto della Dormizione della Santa Madre di Dio che ha influenzato tutta l’iconografia della festa; un certo Jefonia vuole rovesciare il feretro della Madonna, ma un angelo gli tronca le mani; poiché riconosce il proprio peccato Pietro gli dice: “In nome di Colui che è stato da Lei generato, si riattacchino le mani che sono state tagliate via da te!”. Nell’icona di S. Maria degli Angeli, la figura è imponente, dal volto severo; le chiavi sono tenute in primo piano dalla mano sinistra con un gesto elegante che richiama quello della benedizione. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Pietro Apostolo in trono Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con doratura e argentatura Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Sesta icona da sinistra del Dodekapostolon del registro mediano dell’Epistilio C.D.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
S. PAOLO IN TRONO
Secondo maestro delle dodici feste - sec. XVIII
Nella nostra icona S. Paolo tiene in mano il rotolo delle scritture in quanto la sua presenza all’interno della Deesis si deve alla sua qualità di Apostolo delle genti. S. Paolo stesso, nella lettera ai Galati, raccontando la sua conversione, spiega come ha iniziato la sua missione direttamente per mandato del Signore: “Fratelli, quando Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la Sua grazia si compiacque di rivelare a me il Suo Figlio perché io Lo annunciassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano Apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa” (Gal. 1,15). Insieme con S. Giovanni è l’unico altro dei Santi in trono a reggere un libro aperto; vi si legge un passo tratto dalla prima Lettera ai Corinti: “Oùtos emàs loghizéstho ànthropos òs uperétas Christoù” (1Cor. 4,1 ogni uomo ci consideri come ministri di Cristo). La figura è come pervasa da un moto che si legge nell’andamento del panneggio; i piedi, appena poggiati con la punta al suolo, proiettano un’ombra profonda sulla pedana. Il libro è retto con forza dalla mano sinistra, mentre la destra sembra seguire, indicandole, le parole del testo. Nel volto, in questa icona ancora giovanile, una lunga e folta barba bruna contrasta con il capo calvo; la fronte alta e corrugata e lo sguardo profondo rivelano la concentrazione del pensiero. Nonostante la sua caratterizzazione psicologica, la figura si inserisce in modo incerto nello spazio, suggerendo la mano del secondo maestro. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE
Dipinto su tavola
UBICAZIONE
Settima icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio
S. Paolo in trono Secondo maestro delle dodici feste Tempera all’uovo con doratura e artgentatura Pioppo XVIII secolo Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi
C.D.
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S. GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA IN TRONO
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
Apostolo ed Evangelista, S. Giovanni è fratello di Giacomo il maggiore; entrambi erano proprietari di barche e pescatori loro stessi prima della chiamata. È il “discepolo che Gesù amava”, missionario attivo e fondatore di molte delle prime comunità cristiane, soprattutto in Asia Minore. Le tradizioni più antiche della chiesa lo dicono stabilitosi ad Efeso intorno al 69, esiliato nel 95 sull’isola di Patmos, dove avrebbe scritto l’Apocalisse, e morto molto anziano ad Efeso intorno al 101. Se non autore di prima mano di tutto il Vangelo che porta il suo nome, dell’Apocalisse e delle Lettere a lui riferite, di certo questi scritti trasmettono il suo pensiero teologico e le riflessioni delle comunità giovannee. Il simbolo attribuito a S. Giovanni è l’aquila; in alcune raffigurazioni la testa d’aquila è posta sul corpo dell’Evangelista intento a scrivere. Nell’iconografia orientale è preferibilmente ritratto in età avanzata, mentre quella occidentale prevalentemente si ispira al Giovanni giovane; oltre che presso lo scrittoio, intento a redigere il Vangelo è spesso ritratto seduto su un isola mentre scrive l’Apocalisse. Nella serie dei Santi in trono della nostra iconostasi è l’unico Evangelista a reggere il libro aperto, sul quale si legge l’incipit del suo Vangelo: “En arché én o Lògos, kaì o Lògos én pròs tòn Theòn” (Gv. 1,1 In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio). Il corpo appare ruotato verso destra e il panneggio disegna, con qualche imprecisione, la posizione delle membra. La tunica, eccessivamente ripiegata sull’avambraccio destro, non mostra la banda dorata presente in tutte le icone, eccettuate, oltre questa, quelle di S. Filippo e di S. Simone. Il capo, sproporzionato nella sua grandezza, e la fronte spaziosa, che vogliono certo simboleggiare la forza e la profondità del pensiero di Giovanni, individuato nelle icone come “il Teologo”, indicano comunque la mano del secondo maestro. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO
Tempera all’uovo con doratura e argentatura
PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
S. Giovanni Apostolo ed Evangelista in trono Secondo maestro delle dodici feste
Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45
Iconostasi Ottava icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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S. BARTOLOMEO APOSTOLO IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
S. Bartolomeo è così chiamato solo nell’elenco degli Apostoli; il suo nome era forse Natanaele. Bartolomeo significa “figlio del solco” cioè agricoltore e probabilmente ricorda l’attività della sua famiglia. Fu presentato a Gesù da Filippo; la sua passio racconta della sua missione in Armenia, India e Mesopotamia, dove si diffuse la sua fama di guaritore. Le fonti non sono concordi sul suo martirio, ma l’iconografia lo ritrae spesso col coltello con cui sarebbe stato scorticato vivo. Nell’icona di S. Maria degli Angeli ha in mano il rotolo che lo caratterizza come Apostolo. Nelle raffigurazioni appare con barba nera e ricciuta, talvolta piuttosto corta, oppure biondo e con barba lunga. In quest’icona una cura particolare è dedicata al disegno e alla posizione delle mani. Le mani, insieme con il volto e i piedi, sono le sole parti del corpo scoperte; esse sono atteggiate in pose semplici ma solenni che esprimono l’imperturbabilità propria del Santo e trasmettono a chi contempla l’icona la calma e la potenza di azione di lui; le mani, se stringono qualcosa, è come se lo facessero senza sforzo. Il trono, su cui è assiso con compostezza e dignità S. Bartolomeo, identico a quello degli altri undici Santi, è riccamente decorato da motivi vegetali. Ai lati del sedile due ampie volute imitano gli accartocciamenti delle foglie. I pannelli del sedile e della spalliera presentano un motivo punteggiato, simile a piccoli fiori, come nell’icona di S. Andrea o in quella di S. Matteo. I pilastri laterali della spalliera sono arricchiti da due volute che si ripiegano all’interno in foglie d’acanto; anche i capitelli presentano un motivo a piccole foglie. Persino i due esseri alati che coronano lateralmente il trono hanno la parte inferiore del corpo costituita da un motivo a foglie. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Bartolomeo Apostolo in trono Maestro dell’Iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera su tavola con dorature e argentature Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Nona icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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S. MATTEO APOSTOLO ED EVANGELISTA IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
Prima della chiamata il suo nome era Levi e lavorava come esattore delle tasse; era perciò un pubblicano, cioè un pubblico peccatore. Divenuto Apostolo cambiò il nome in Matteo che vuol dire “dono di Dio”. La tradizione racconta della sua missione in Egitto e in Etiopia, ma i racconti non concordano sui modi della sua morte. Autore del Vangelo che porta il suo nome, è ritratto in questa icona con l’attributo degli Evangelisti: il libro chiuso segnato da una croce dorata in coperta. Il simbolo di S. Matteo è l’angelo, o più propriamente l’essere alato col volto d’uomo che spesso accompagna le sue raffigurazioni. Viene ritratto avanti negli anni e con la barba. Poiché prevale la sua funzione di Evangelista difficilmente sono raffigurati gli strumenti del suo martirio, diversi tra l’altro a seconda delle fonti. S. Matteo, nella nostra icona, è ritratto in posizione frontale con una leggera rotazione del torso verso destra; la mano è raccolta sul petto nel gesto tipico della benedizione “alla greca”. È una delle figure meglio disegnate: le pieghe della tunica e del mantello seguono con precisione l’anatomia del corpo. Appare evidente l’incapacità di far combaciare la posizione dei piedi con il disegno della pedana del trono, particolare comune a tutte le dodici icone, in un certo senso voluto ad indicare la leggerezza dei corpi trasfigurati dei Santi. I colori sono sobri: azzurra la tunica, appena un accenno alla banda dorata sulla spalla destra; un lembo fuoriesce in basso dal mantello marrò riccamente piegato. Le vesti sono sottolineate da una fitta rete di lumeggiature. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Matteo Apostolo ed Evangelista in trono Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con dorature e argentature Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Decima icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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S. MARCO EVANGELISTA IN TRONO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
L’Evangelista Marco era probabilmente nativo di Gerusalemme; di certo, ragazzino, poté assistere alla cattura di Gesù nell’orto degli ulivi, come lui stesso racconta nel suo Vangelo: scappò via nudo lasciando nelle mani dell’aggressore il lenzuolo con cui era coperto (Mc. 14,31-32); episodio insignificante all’interno del racconto della Passione, ma fondamentale per la conversione di Marco al Cristianesimo. Discepolo di Pietro, di certo egli seguì nel 44 Paolo e Barnaba ad Antiochia e nell’Asia Minore. La tradizione colloca il suo martirio ad Alessandria nel 67. Come tutti gli Evangelisti è ritratto con un libro; nell’icona di S. Maria degli Angeli il libro è chiuso e sulla coperta è incisa la Croce. Più frequentemente degli altri Evangelisti è colto nell’atto di scrivere su di un libro aperto; gli sta accanto il leone, che funge da suo messaggero; il riferimento è sempre al testo del profeta Daniele. Molte sono le raffigurazioni del suo martirio, della sua sepoltura e del trafugamento delle sue spoglie, trasferite a Venezia. Contrariamente all’atteggiamento raccolto di S. Matteo, la figura di S. Marco si estende nello spazio del trono con la posizione allargata delle ginocchia, ma soprattutto col gesto del braccio teso nella benedizione. Il corpo, leggermente volto verso destra, si inclina appena verso il basso. Lo sguardo profondo e gli occhi assorti conferiscono al volto un’espressione pensosa; la bocca è appena accennata. La barba e i capelli, ricci e composti, delineano l’arco del capo. I colori sono vivaci: rossa la tunica e azzurro intenso il mantello, caratterizzati da pieghe profonde e ritornanti lungo tutta la persona. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA
Dipinto su tavola S. Marco Evangelista in trono Maestro dell’Iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con dorature e argentature Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE Undicesima icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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S. FILIPPO APOSTOLO IN TRONO
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
Le vesti hanno un ruolo molto grande nella raffigurazione dei Santi. Il vestito è un simbolo efficacissimo degli attributi della persona. Il panneggio segue con assoluta sobrietà l’anatomia del corpo e partecipa al dinamismo della persona, sottolineando gesti, movimenti interiori ed esteriori, ritmando l’irraggiarsi di linee di forza. In questa icona tutta la figura di S. Filippo è descritta dall’atteggiarsi della tunica e del mantello che seguono e disegnano minuziosamente le linee delle membra. Un ampio lembo del mantello pende sul davanti del sedile del trono cosicché la figura, nel suo insieme, riempie lo spazio del trono. Il corpo è completamente rivolto verso destra; le mani sono raccolte in grembo e quella destra stringe il rotolo. Il piede sinistro è palesemente sproporzionato e mostra una torsione innaturale. I pannelli del sedile e della spalliera imitano le lastre marmoree con venature, come si vede anche nelle icone di S. Luca, S. Simone e in altre. Anche in questa icona le imperfezioni nel disegno della figura suggeriscono l’opera del secondo maestro. Di S. Filippo i Vangeli ci raccontano molto poco: era pescatore, amico di Andrea e fu chiamato direttamente dal Signore Gesù. Anche i racconti sulla sua missione e sul suo martirio sono avari di notizie, avrebbe predicato in Frigia e in Asia Minore e sarebbe morto tra atroci tormenti. È raffigurato in giovanissima età; nella nostra icona è infatti il più giovane nella serie dei Santi in trono; spesso in Occidente regge una croce o un pastorale o è accompagnato dagli attributi del suo martirio, una pietra o una spada. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA
Tempera all’uovo con dorature e argentature
S. Filippo Apostolo in trono Secondo maestro delle dodici feste
Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “ Santa Maria degli Angeli”
TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE Dodicesima icona da sinistra del Dodekapostolon nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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ANNUNCIAZIONE
Artista locale - fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Le tavole delle dodici feste risentono fortemente dell’influenza occidentale non solo nell’iconografia, ma anche per il trattamento dei volumi, dei paesaggi e soprattutto delle architetture che rimandano alla pittura italiana, veneziana in particolare. Se si volge uno sguardo sulle raffigurazioni presenti nelle icone, le diverse versioni dei fatti ispirati ai Vangeli presentano solo poche ed impercettibili varianti. Molte formule iconografiche delle immagini narrative bizantine, grazie alla stabilità del loro schema semplice ed armonioso, hanno conosciuto un successo universale e duraturo. Le prime attestazioni della celebrazione liturgica della festa dell’Annunciazione risalgono in Oriente al sec. VI; papa Sergio I (687-701) la introdusse a Roma, caratterizzandola con una solenne processione alla basilica di S. Maria Maggiore. L’iconografia si ispira al racconto del Vangelo di Luca e a quello apocrifo del “Protovangelo di Giacomo”. Il gesto dell’angelo non è un invito teso a destare l’attenzione di Maria, ma quello della benedizione, proprio della tradizione bizantina. Si sa che il modo di porre le dita della mano “alla greca” è differente dal gesto dei latini ed è ricco di significati simbolici: l’indice, il medio e il mignolo, tenuti aperti, indicano il mistero della Trinità; il pollice e l’anulare, uniti fra loro, il mistero delle due nature, divina ed umana, di Gesù Cristo. Il nostro artista sembra ripetere stancamente dei modelli, senza possedere l’adeguata cultura per farlo; di scorcio in basso a sinistra è goffamente disegnato un pavimento a mattonelle ocra e rosa che appaiono ritte, senza alcun accenno di prospettiva, maldestra citazione dell’identico particolare dell’icona della Presentazione al Tempio. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA
Dipinto su tavola
TIPO DI COLLOCAZIONE
Iconostasi
UBICAZIONE
Prima icona da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio
L’Annunciazione Artista locale Tempera all’uovo con doratura Pioppo Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
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NATIVITÀ
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
Come per i testi scritti possiamo parlare di generi letterari, studiando le icone è possibile individuare tre generi: il modello panegirico, il modello epico, il modello del trattato teologico. Il modello epico è il più vicino alla verità storica: esso racconta, in ordine cronologico e dettagliatamente, sia un avvenimento biblico, sia la vita di un Santo; le scene sono disposte intorno all’immagine principale, che è il tema centrale intorno al quale esse si sviluppano, più spesso sono trattate nello stile continuo, cioè si trovano all’interno dell’icona e si concatenano senza interruzione. L’icona della Natività è composta secondo questo modello. Fatta questa osservazione, bisogna, però, tenere conto della tendenza degli iconografi bizantini del Medioevo: essi sono indifferenti al tempo e allo spazio reali e li sopprimono decisamente presentando la scena come uno svolgimento unico e continuato di personaggi e di atti. Una tale unità irrazionale assicurava in maniera definitiva la presenza ideale nella celebrazione del mistero che si è attuato negli avvenimenti sacri. Al centro dell’icona si apre un antro che è più della semplice grotta: il suo profondo buio ci mostra le viscere della montagna e ci ricorda la vittoria di Cristo sugli inferi. Nelle immagini bizantine la Madre di Dio è posta fuori della grotta, tradizionalmente in posizione distesa; a partire dalla fine del sec. XVI, Ella è spesso inginocchiata insieme con S. Giuseppe, soprattutto per l’influenza che ebbero sull’arte i testi mistici di S. Brigida e dello pseudo-Bonaventura. La nube che in alto si ritira verso il cielo è una citazione dal testo apocrifo del “Protovangelo di Giacomo”; la stella ricorda il canto del libro del profeta Isaia: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene a te la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is. 60,1;3). Come in tutte le icone di carattere storico, anche nella nostra icona sono descritti insieme più episodi: in alto a sinistra la gloria degli angeli e in alto a destra l’annuncio ai pastori. La tecnica pittorica è piuttosto debole; il disegno e la punzonatura delle aureole sono imprecisi. Le figure meglio riuscite (nella resa dei volti e dei panneggi) risultano quelle di S. Giuseppe e dei due pastori in piedi a sinistra. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE
Tempera su tavola
UBICAZIONE
“La Natività” Secondo maestro delle dodici feste
Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Seconda icona da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano del dell’Epistilio C.D.
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CIRCONCISIONE
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
La presenza dell’icona della Circoncisione - scena raramente raffigurata - indica una particolare attenzione al mistero dell’Incarnazione del Signore. In effetti su quattordici icone che rappresentano scene evangeliche, ben cinque riguardano l’inizio della vita di Gesù: Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi, Circoncisione e Presentazione al Tempio; la comunità greco-ortodossa stabilitasi in Barletta alla fine del sec. XVIII nutriva probabilmente una particolare devozione ai misteri dell’infanzia di Cristo. Dei quattro Evangelisti solo Luca fa menzione della Circoncisione: “quando furono passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della Madre” (Lc. 2,21). Si distacca dal racconto evangelico la versione dell’apocrifo “Vangelo dell’infanzia Arabo Siriaco” dal quale prende origine la leggenda della reliquia del “santo prepuzio” poiché racconta di una vecchia ebrea che conserva il pezzetto di pelle in un’ampolla di olio di nardo. L’icona riprende, impoverendolo notevolmente, lo schema dell’icona che la segue nell’ordine delle feste; in particolare il motivo del pavimento e degli scalini, identico a quello della scena della Presentazione, è reso con imperizia. Si può supporre che l’artista, pur non pienamente padrone dei mezzi espressivi, non sia lo stesso dell’icona dell’Annunciazione, per una migliore grafia del disegno. Al lato dell’altare Simeone stringe con la destra il coltello per il sacro rito; un altro sacerdote lo assiste reggendo il libro delle preghiere. Il Bimbo Gesù è posto nudo su un lenzuolino al centro dell’altare, i cui piedi si intravedono al di sotto del telo bianco che lo ricopre; Maria e Giuseppe stanno in piedi sulla destra della scena. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Circoncisione AUTORE / ATTRIBUZIONE Secondo maestro delle dodici feste MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Tempera all’uovo con doratura Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Terza tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio
C.D.
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PRESENTAZIONE AL TEMPIO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
È importante sottolineare tre concezioni tipiche della riflessione teologica bizantina; prima: quella gerarchica del mondo che trova una sua esplicitazione anche nel modo di disporre le raffigurazioni all’interno della Chiesa-edificio, luogo dove la manifestazione di Dio è realtà piena; seconda: la convinzione che le immagini non devono propriamente insegnare nulla al cristiano, quanto piuttosto devono aiutarlo a contemplare i misteri salvifici della vita del Signore che culminano nel dono della partecipazione al Santo Corpo e Sangue di Cristo; terza: la consapevolezza del mistero dell’Incarnazione per cui la materia sensibile, che dà corpo all’immagine, può diventare manifestazione della realtà spirituale. Da questo deriva la preferenza di una iconografia epifanica, nello stesso tempo contemplativa e simbolica. Per la prima volta nel sec. IV si ha notizia della festa della Presentazione al Tempio del Signore dal “Diario di Viaggio” di Egeria, pellegrina in Terrasanta; la celebrazione si svolgeva a Gerusalemme nella chiesa dell’Anastasis. L’icona coglie il momento dell’incontro fra il Bimbo Gesù e l’anziano Simeone secondo il racconto del Vangelo di Luca. L’iconografia bizantina della scena presenta una sola significativa variante nell’atteggiamento del vecchio sacerdote che sta per ricevere il Bambino dalle braccia di Maria o lo tiene già in braccio, come nell’icona di S. Maria degli Angeli. L’edificio sullo sfondo con la cupola sotto cui è posto l’altare indica la sacralità della scena che si svolge nel Tempio del Signore. Maria è inginocchiata, alle sue spalle Giuseppe reca in mano l’offerta; all’estrema destra si impone la figura della profetessa Anna. All’interno della valutazione artistica delle tavole dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli databili al sec. XVIII, questa icona assume un carattere indicativo: l’artista dimostra una resa prospettica, un senso delle proporzioni e un uso del colore che lo rendono capace di muoversi agilmente tra la tradizione bizantina e le influenze occidentali ed è sicuramente di modello agli altri, di mano più incerta, come si nota dall’imitazione che questi fanno del particolare del pavimento. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE
Dipinto su tavola
UBICAZIONE
Quarta tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio
Presentazione al tempio Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con doratura Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi
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BATTESIMO NEL GIORDANO
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
Come la Chiesa si assume il compito dell’interpretazione della Parola, così vigila sulla stesura delle icone che devono risultare conformi alla Parola annunciata. L’immagine sacra è “dettata” dalla verità della Parola ed è perciò “canonica”, cioè autentica: solo così può compiere la sua missione di evangelizzazione e trasmettere la verità degli episodi che hanno scritto la storia della salvezza. È importante sottolineare che l’iconografia bizantina comprende una scelta di temi ben delineata. Sono presenti , infatti, soltanto le epifanie cioè gli episodi in cui Cristo si manifesta direttamente e chiaramente come Signore e Salvatore. Epifania o Teofania è infatti per le chiese ortodosse il nome di questa festa: il Signore Gesù si manifesta pubblicamente e riceve l’investitura dall’alto, dal Padre. Tra l’altro in origine le tre feste del Natale, della visita dei Magi e del Battesimo si celebravano in Oriente lo stesso giorno col nome appunto di “Epifania del Signore”. La liturgia, concentrata sul mistero del Battesimo, si caratterizza per il rito della benedizione delle acque che avviene tramite l’immersione della Croce in un corso d’acqua o in una fontana e l’invocazione dello Spirito Santo. L’icona si mostra divisa in due parti, come spaccata da un baratro, simboleggiando la distanza tra Dio e l’uomo creata dal peccato. Gesù, in piedi al centro, è l’elemento nuovo che riappacifica l’uomo con Dio: l’episodio storico trascende la realtà sensibile e si pone quale simbolo eterno dell’annuncio della presenza tra noi dell’infinito amore misericordioso di Dio. Giovanni Battista rappresenta l’intera umanità destinataria dell’incontro fra Dio e l’uomo in Gesù ed è nello stesso tempo testimone dell’evento. Gli Angeli inginocchiati sulla parte destra dell’immagine attestano il riconoscimento di Gesù vero Dio e vero uomo. Al di là delle citazioni simboliche della liturgia bizantina, l’impostazione generale della nostra icona si stacca dall’iconografia orientale per citare l’arte italiana; l’artista mostra abilità nel disegno dei corpi e nell’uso delle lumeggiature, vedi in particolare i volti e le membra nude del Cristo. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola Battesimo nel Giordano Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con dorature Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Quinta tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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TRASFIGURAZIONE
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
Poiché l’icona fa parte dei segni sacramentali della Chiesa e dipende dalla sua autorità, l’iconografo è un ministro che si pone al servizio della fede e dei fedeli cui deve trasmettere il messaggio teologico. La Chiesa orientale considera lo Spirito Santo “Divino Iconografo” ed invoca la sua benedizione sull’iconografo perché possa compiere la sua missione di evangelizzatore. Egli accetta dalla tradizione della Chiesa i canoni e i moduli iconografici, mentre offre la propria capacità artistica: esercita così il suo ministero spirituale “scrivendo” l’icona, facendo scaturire la luce dai volti di Gesù Cristo, di Maria, dei Santi. Questa capacità di mostrare la luce del mistero ha fatto da sempre considerare l’iconografo partecipe della luce taborica della Trasfigurazione, che sprigionatasi dal volto di Cristo ha avvolto gli Apostoli e li ha resi capaci di contemplare la Sua gloria. Per questo la prima icona che un iconografo orientale dipinge, quasi battesimo del suo ministero, è quella della Trasfigurazione del Signore. Nell’Oriente ortodosso la festa della Metamorfosis (Trasfigurazione del Signore) è segno della realtà umana divinizzata, trasformata dalla luce del Cristo. La celebrazione liturgica è attestata già nel sec. IV e pare abbia avuto origine dalla festa di dedicazione delle basiliche del monte Tabor. Le raffigurazioni si basano strettamente sul racconto evangelico e le varianti riguardano solo l’impianto scenico e il posto in esso occupato dai personaggi. Al di sopra della cima di una montagna Cristo è in piedi al centro della nostra icona, circondato da un’aureola di luce, all’interno delle nubi. Ai suoi lati stanno il profeta Elia e Mosè che si riconosce per la fiammella sul capo e le tavole della Legge che tiene con la mano sinistra. In basso, prostrati, i discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni. L’artista, pur abile nell’impostazione scenica dell’immagine e nel tratteggio di alcuni personaggi (vedi la figura di Pietro sulla sinistra) scade notevolmente in alcuni particolari come la goffa posizione di Elia o l’innaturale disegno del braccio destro di Giacomo che nell’icona occupa lo spazio in basso a destra. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola Trasfigurazione Secondo maestro delle dodici feste Tempera all’uovo con doratura Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Sesta tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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RISURREZIONE DI LAZZARO
Artista locale - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Le icone sono strettamente collegate al canto liturgico, di cui costituiscono il commento pittorico, esplicitato nella minuziosa varietà dei dettagli; il senso dei particolari di tante icone può essere spiegato solo col riferimento alla liturgia delle feste che si celebrano lungo l’arco dell’anno. Perciò le icone oltre a renderci presente l’evento evangelico, sono specchio dell’insegnamento liturgico della Chiesa; il simbolismo vissuto nella liturgia diviene immagine visibile per mezzo del simbolismo pittorico. Nell’apocrifo “Vangelo di Nicodemo” si racconta con dovizia di particolari la discesa agli inferi del Signore Gesù Cristo: l’attesa delle anime, gli ordini di Satana perché l’Inferno (che appare personificato) si prepari a trattenere il Cristo e quello che l’Inferno stesso risponde a Satana. All’interno del dialogo fra i due, l’Inferno dice: “poco tempo fa io ho divorato un morto, di nome Lazzaro, ma poco dopo qualcuno dei viventi, con la forza della sola parola, l’ha strappato dalle mie viscere. Penso che sia proprio quello (Gesù) di cui tu parli. Se dunque noi lo accoglieremo qui, temo che correremo il rischio di perdere anche tutti gli altri”. Anche nella nostra icona la scena si ispira al racconto evangelico e riprende il momento in cui Lazzaro viene fuori dalla tomba scoperchiata, richiamato in vita da Cristo, il cui braccio teso, con l’indice della mano puntato verso il risuscitato, è segno dell’ordine impartito. Maria Maddalena è inginocchiata ai suoi piedi, mentre gli Apostoli Lo seguono; primo fra tutti è riconoscibile Simon Pietro. L’artista, che rivela in complesso una certa imperizia, disegna la scena in maniera sommaria; i personaggi sono tratteggiati goffamente. Si tratta di un dipinto devozionale che si ispira ai modelli tradizionali, non tradotti, però, in materia viva. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Risurrezione di Lazzaro AUTORE / ATTRIBUZIONE Artista locale MATERIALI / TECNICHE Tempera all’uovo con doratura ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE / EPOCA Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 35,5 x 45 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Iconostasi Decima tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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INGRESSO A GERUSALEMME
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
Nella decorazione dei luoghi santi in Palestina furono creati nuovi schemi pittorici: l’iconografia dei cicli raffigurati traduceva in immagine il mistero della vita di Cristo che i cristiani di Palestina, insieme con i pellegrini, celebravano nella liturgia. Il problema era quindi quello di collegare immagine e liturgia, di far vedere e contemplare al cristiano il mistero della vita di Cristo che veniva celebrato nella fede. Gli schemi iconografici palestinesi ebbero una rapida diffusione grazie ai ricordi che i pellegrini portavano con sé (ampolle d’argento o di terracotta); inoltre la tradizione liturgica palestinese della Laura di S. Saba fu raccolta e sviluppata nel monastero di Studion a Bisanzio. La celebrazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme anche nella Chiesa primitiva avveniva la domenica prima di Pasqua, come attesta Egeria nel suo “diario di viaggio” in cui racconta il suo pellegrinaggio nella terra di Gesù negli anni 381-384. Nel sec. VI la solennità era diffusa in quasi tutte le chiese orientali, mentre in Occidente è attestata per la prima volta nel sec. VII da Isidoro di Siviglia. La nostra immaginazione, su un piano ideale, si conforma agli schemi creati dai bizantini per molte scene evangeliche. Lungo tutto il Medioevo i modelli greci dell’iconografia storica cristiana sono stati accolti e ripetuti dai pittori di tutto il bacino del Mediterraneo. Le prime raffigurazioni dell’evento, riferibili al sec. IV, mostrano Gesù a cavallo di un asino e davanti a Lui alcuni personaggi stendono mantelli e agitano rami d’ulivo. L’iconografia della scena è rimasta nei secoli pressoché invariata poiché basata unicamente sul racconto evangelico. Impostata in maniera corretta, la nostra icona mostra un disegno attento ai particolari, vedi le fronde degli alberi o i ciuffi d’erba sulla strada. Cristo, seduto sull’asina e benedicente, è al centro della scena quale Re dell’universo; è vestito di tunica rossa ed è avvolto di un manto blu le cui pieghe sottolineano i movimenti del corpo. Le ricche lumeggiature delle vesti e dei volti indicano la mano esperta dell’artista, certamente di origine greca, che si dimostra il più dotato all’interno dell’iconostasi del sec. XVIII. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola Ingresso a Gerusalemme Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli Tempera all’uovo con dorature Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Ottava tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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CROCIFISSIONE
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
Negli atti del secondo Concilio di Nicea (787) si dice: “Ciò che le parole annunciano all’orecchio, la pittura su un’icona lo mostra silenziosamente agli occhi”. Le icone illustrano la realtà storica dei misteri celebrati nella liturgia e rivelano la presenza della realtà invisibile. Le diverse icone sottolineano la centralità del mistero della salvezza, per questo sono incentrate sulla figura di Cristo, affiancato prima di tutto dalla Madre, la Theotokos, e dai Santi, figure modellate sul Cristo stesso dal Divino Iconografo. La ricchezza delle feste dell’anno liturgico accompagna la spiegazione dei misteri della fede, dando particolare rilievo alla rivelazione in Gesù Cristo: dalla Nascita, alla Teofania (Battesimo), alla Metamorfosis (Trasfigurazione). Naturalmente anche per la Chiesa orientale centro della vita liturgica sono le celebrazioni legate alla Passione, Morte e Risurrezione del Signore, che iniziano con il sabato di Lazzaro e si concludono con la Pentecoste. Particolarmente ricche sono l’iconografia e l’innografia del Triduo Pasquale di cui fa parte la memoria della Crocifissione. Nell’icona di S. Maria degli Angeli, sullo sfondo delle mura di Gerusalemme, si erge al centro la Croce di Cristo. Egli appare sofferente, coperto solo dal perizoma. La spiritualità della Passione e l’umiliazione della croce sono rese con notevole efficacia; l’ispirazione si rifà alla riflessione e all’iconografia occidentale più che a quella orientale, la quale, anche nel Cristo crocifisso riesce a far trasparire la Sua regalità universale. Come abbiamo avuto modo di vedere in altre icone, questo artista non abbandona mai completamente l’impostazione della scena suggerita dalla tradizione bizantina: infatti sulla sinistra appare il gruppo delle pie donne che sorreggono la Madre affranta; nella destra sono ritratti Giovanni e il centurione. L’inconsueta posizione sulla croce dei due ladroni trova riscontro nella contemporanea tavola, dal medesimo soggetto, dell’iconostasi della chiesa di S. Niccolò a Lecce che mostra, invece, un’ispirazione chiaramente occidentale. Come al solito il nostro artista, mentre disegna con cura alcuni personaggi (vedi il corpo di Cristo in croce), ne abbozza piuttosto goffamente altri (vedi il gruppo della Madre e S. Giovanni). L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola Crocifissione Secondo maestro delle dodici feste Tempera all’uovo con doratura Pioppo XVIII sec. Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Nona tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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RISURREZIONE
Secondo maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
Le Chiese Orientali raffigurano l’evento della Risurrezione del Signore con la sua discesa agli inferi (l’Anastasis), talvolta affiancata - e più raramente sostituita - dalla scena delle mirrofore, le donne che, recatesi al sepolcro, lo trovano vuoto. Il motivo di questa scelta da parte dell’Ortodossia si deve alla sottolineatura, rispetto al dato storico, della valenza teologica della vittoria sulla morte e della liberazione dalla schiavitù del peccato. Cristo, scendendo agli inferi e porgendo la mano ad Adamo, libera tutte le anime dei giusti e perciò stesso l’umanità intera. L’icona di S. Maria degli Angeli non rispetta l’iconografia orientale, ma, subendo fortemente l’influsso dell’arte italiana dei sec. XV-XVI, raffigura la Risurrezione nel modo a noi usuale: Cristo si innalza fuori della tomba scoperchiata; i soldati sono dipinti in basso variamente atteggiati: proteggendosi con lo scudo, o nell’atto di fuga; uno ancora dormiente. Gesù Cristo è vestito secondo le modalità occidentali e non con l’abito sacerdotale delle Anastasis bizantine; anche il labaro con la bandiera è un’invenzione dell’arte europea; in Oriente, quando è presente, ripete la croce astile ortodossa, terminante con il doppio braccio. Nella nostra icona la disposizione delle figure, le armature dei soldati e lo stesso intenso colorismo rimandano all’arte veneta, in particolare al Tintoretto, frequentemente citato nei suoi modi pittorici dagli artisti cretesi, o più in generale tardobizantini operanti nel bacino dell’Adriatico. L’icona fa parte del gruppo ascrivibile all’artista che, pur spaziando con una certa agilità fra moduli bizantini e suggestioni dall’arte italiana, scade di tono in alcuni particolari (vedi il disegno dei soldati). L’analogia con la tavola della Risurrezione di scuola veneta del sec. XVI conservata in Barletta nella chiesa di S. Andrea, dimostra come lo schema iconografico della scena formatosi nell’arte italiana dei sec. XV-XVI, diviene patrimonio comune degli artisti ed è ripreso con poche varianti. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Resurrezione AUTORE / ATTRIBUZIONE Secondo maestro delle dodici feste MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Tempera all’uovo con doratura Pioppo XVIII sec. circa Cm. 35,5 x 45 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Decima tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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ASCENSIONE
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
Nel diario di Egeria si trova l’attestazione più antica della celebrazione della festa dell’Ascensione del Signore: “nel quarantesimo giorno dopo la Pasqua, che è giovedì, a cominciare dal giorno prima, vale a dire dal mercoledì dopo l’ora sesta, tutti vanno a Betlemme per celebrare la vigilia”. All’epoca, nel sec. IV, la festa era celebrata unitamente a quella della Pentecoste, a seconda delle chiese, nel quarantesimo o nel cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. Solo fra il sec. V e il sec. VI le due feste vengono distinte in maniera netta, ciascuna con un proprio rito. Le immagini più antiche risalgono al sec. III e raffigurano Gesù che sale sulle nubi, spesso attrattovi dalla mano di Dio. Nel sec. VI la scena si configura su un doppio registro: in alto il Cristo fra le nubi circondato dagli Angeli, in basso gli Apostoli e Maria, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli. La posizione assunta da Gesù Cristo, in trono nell’atteggiamento del Pantocrator fra le potenze, richiama più la sua venuta escatologica, che la sua ascesa al cielo. Il suo volto, di un rosso intenso, richiama il fuoco, la luce che illumina il mondo; anche il colore delle vesti sottolinea la sua regalità: Egli siede sulle nubi quale Re dell’Universo. Nell’iconografia tradizionale bizantina la Madre di Dio occupa il centro del registro inferiore; nella nostra icona, a seguito dell’influenza dello schema compositivo della scena nell’arte italiana, Ella occupa un posto di secondo piano. L’artista si mostra padrone della sua arte; tratteggia con cura la figura dei personaggi attraverso la ricchezza delle pieghe delle vesti che conferiscono ai corpi una loro consistenza reale. Con particolare perizia sono disegnati, nei volti come nel panneggio e nelle ali, i due angeli che reggono il clipeo in cui è assiso Cristo Gesù, la cui resa iconografica richiama l’icona del Cristo fra le potenze del trittico della Deesis. La vivacità dei colori fa da contrappunto all’atmosfera ieratica della scena. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Ascensione AUTORE / ATTRIBUZIONE Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli MATERIALI/TECNICHE Tempera all’uovo con doratura ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE /EPOCA XVIII sec. circa DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 35,5 x 45 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE Undicesima tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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DISCESA DELLO SPIRITO SANTO
Secondo Maestro delle dodici feste - Sec. XVIII
La liturgia bizantina celebra nella preghiera, nei canti, nelle azioni, il mistero rivelato dalla Parola, dall’Eucarestia e dall’Icona; tutti e tre questi elementi consentono la piena partecipazione dell’uomo credente al memoriale della salvezza annunciato dalla Parola, reso visibile dalle icone, partecipato con la preghiera e con i canti, trasmesso da Cristo con la forza dello Spirito nell’Eucarestia. La raffigurazione della Discesa dello Spirito Santo o Pentecoste mostra nei secoli e nelle diverse aree geografiche una sola significativa variante: la presenza o meno della Madre di Dio. L’inserimento della scena all’interno di un’architettura ricorda che l’evento si è svolto, come vuole la tradizione, nella camera dell’Ultima Cena, dove gli Apostoli si riunivano per pregare. Nell’icona di S. Maria degli Angeli i presenti sono disposti a semicerchio, seduti su di una scalinata emisferica che richiama il synthronon di alcune chiese bizantine, ovvero il seggio vescovile che, unito ad una serie di altri sedili e di scalini destinati al clero, occupa lo spazio dell’abside centrale. Al centro in basso, all’interno di un arco oscuro, compare una figura di anziano coronato: in origine indicava i popoli sotto il governo dell’imperatore, e perciò, per antonomasia, il mondo intero. La sua iconografia ricorda quella del re Davide poiché rappresenta anche tutti i giusti vissuti prima della nascita di Gesù. Nella nostra icona la figura è accompagnata da una scritta che la individua come il profeta Gioele: la seconda lettura del vespro di Pentecoste è tratta dal suo libro e annuncia l’effusione dello Spirito sulle genti, come ricorda espressamente Pietro nel racconto degli Atti. Il secondo maestro delle dodici feste, pur mostrando una certa abilità, non rivela una piena padronanza della materia pittorica e, soprattutto, del disegno; gli Apostoli, in particolare quelli alla sinistra di chi guarda, sembrano fluttuare instabili nello spazio, quasi che le loro teste fossero attratte da una calamita. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Pentecoste AUTORE / ATTRIBUZIONE Secondo maestro delle dodici feste MATERIALI / TECNICHE Tempera all’uovo con doratura ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE / EPOCA XVIII sec. circa DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 35,5 x 45 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE Dodicesima tavola da sinistra del Dodekaorton nel registro mediano dell’Epistilio C.D.
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HODIGHITRIA
Thomàs Bathàs (1554 - 1599)
La Vergine indossa un maphorion rosso cupo e regge il bambino raffigurato in posizione frontale; negli angoli superiori della tavola gli Arcangeli Michele e Gabriele svolgono rotoli con dei versetti del salmo XLIV; l’icona è firmata in basso a destra da Thomàs Bathàs (1554-1599). Il ritmo, scandito magistralmente dall’articolarsi delle figure che trasmettono un senso di profonda riverenza per la compostezza degli atteggiamenti, ricorda l’icona realizzata intorno al 1574 da Michael Damaskinos per la chiesa di S. Giorgio dei Greci di Venezia. Lo stile pittorico di Thomàs Bathàs è però più dolce e sfumato rispetto a quello di Damaskinos. Entrambe le icone si rifanno, soprattutto per le caratteristiche del volto della Vergine, ad un’altra immagine conservata nella chiesa greca di Venezia, la Vergine Hodighitria detta Krypti proveniente da Costantinopoli e databile alla fine del sec. XIV. Alla stessa tipologia appartiene l’attuale icona dell’Hodighitria dell’iconostasi della chiesa veneziana, copia devozionale del sec. XVIII che dimostra la continuità della presenza di questo preciso modello teologico nella medesima collocazione. La contemporanea icona maggiore dell’iconostasi della chiesa leccese di S. Niccolò, di medesimo soggetto, ma con un’interpretazione più rigida del modello iconografico, dimostra la persistenza del tema, perlomeno lungo le coste adriatiche, e crea uno stretto nesso fra la comunità barlettana e quella leccese. Il tipo della Madre di Dio “Hodighitria” appare a Costantinopoli all’epoca di Giustiniano (527-565), agli inizi dell’arte bizantina ed occupa un posto privilegiato fra le rappresentazioni di Maria perché ricapitola in sé tutti i rapporti artistici che uniscono le due parti del mondo cristiano: Oriente ed Occidente. La tradizione vuole che l’Hodighitria derivi dal ritratto che S. Luca ha fatto della Madre di Dio; il termine significa “Colei che indica la Via” in quanto la Vergine è raffigurata con una mano tesa verso il Bambino Gesù, “Via, Verità, e Vita”. Le diverse icone mostrano la Vergine in posizioni differenti: in piedi, seduta, o a mezzo busto; Ella sorregge il Bambino sul braccio destro o sul sinistro mentre tende la mano libera verso lo Stesso in un gesto che indica e che riceve; il Bambino tiene nella mano sinistra una pergamena e con la destra benedice. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Hodighitria AUTORE / ATTRIBUZIONE Thomàs Bathàs (1554 - 1599) MATERIALI/TECNICHE Tempera all’uovo con doratura ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE /EPOCA XVI sec. DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 110 x 86 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE Icona a sinistra delle porte del Bema nel primo registro detto despotico C.D.
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PANTOCRATOR
Thomàs Bathàs (1554 - 1599)
Il Pantocrator è stato attribuito a T. Bathàs da M. Chatzidakis; il Cristo indossa tunica rosso scuro e himation bluastro con una fitta crisografia; un lieve movimento del busto verso sinistra rompe la rigida frontalità dell’immagine. Questa tavola si rapporta in maniera più diretta al modello del Cristo Pantocrator dell’iconostasi della chiesa di S. Giorgio a Venezia, un’icona di arte costantinopolitana databile alla prima metà del sec. XIV, ma il tipo cui si rifanno entrambe le icone, di Barletta e di Venezia, va ricercato in origine nell’icona del Cristo Benefattore di Costantinopoli, conosciuta attraverso la replica ad affresco del 1259, conservata a Bojana. Rispetto al prototipo le forme sono meno monumentali e risulta accentuata la componente psicologica del Cristo, trasmessa nel volto, velato di tristezza. Ai lati della figura centrale sono incolonnati i busti di sedici Santi che risultano decisamente variati rispetto all’icona veneziana e disegnati con estrema cura. Raffigurano gli Apostoli compreso S. Paolo, e gli Evangelisti; S. Luca, S. Marco, S. Giovanni e S. Matteo reggono un libro aperto su cui sono scritte le parole iniziali dei loro rispettivi Vangeli. Una curiosità è costituita dalla denominazione di alcuni Apostoli; la tradizione ha fissato due Apostoli di nome Giacomo, il Maggiore e il Minore, e, fra i dodici, Simone e Giuda Taddeo; nella nostra tavola abbiamo sei Santi individuati rispettivamente come Giacomo, Giacomo fratello del Signore, Giacomo di Alfeo, Simone, Taddeo e Simone Giuda. Le prime realizzazioni dell’icona del Pantocrator si fanno risalire a dopo il concilio di Nicea del 325 nel quale si conferma la consustanzialità del Figlio col Padre. Della stessa natura di Dio Padre, Dio Figlio si è però incarnato rinnovando l’immagine dell’uomo sfigurata dal peccato di Adamo e mostrandoci l’immagine perfetta del Padre nella figura del Servo di Dio, cantato da Isaia, come ci trasmette l’iconografia bizantina di Cristo. Questo substrato teologico è espresso appieno nell’opera del nostro artista, padrone della sua arte, capace di tradurre i modelli dell’iconografia bizantina in uno stile pittorico proprio. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO Pantocrator AUTORE / ATTRIBUZIONE Thomàs Bathàs MATERIALI / TECNICHE Tempera all’uovo con doratura ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE /EPOCA Sec. 1554 - 1599 DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 110 x 87 PROVENIENZA Chiesa greca “ Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Iconostasi Icona a destra delle porte del Bema primo detto Despotico C.D.
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ADORAZIONE DEI MAGI
Artista locale - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Dalla struttura dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli si staccano facilmente tutte le singole icone. Nelle chiese ortodosse esiste la figura delle “icone portatili” che poste sugli analoj (leggii) vengono offerte alla venerazione dei fedeli: il rito prevede l’incensazione, il bacio e la processione. In genere nelle chiese ortodosse la maggior parte delle icone portatili sono appese alle pareti delle navate; nella chiesa di Barletta, data l’esiguità dello spazio, sono concentrate nell’iconostasi. Le icone del Pantocrator e della Madre di Dio vengono sempre proposte alla venerazione sugli analoj, essendo non solo le icone principali dell’iconostasi, ma anche della stessa chiesa; non a caso l’Hodighitria di Thomàs Bathàs è coronata in alto da due angeli secondo la dedicazione della chiesa di S. Maria degli Angeli. La presenza di una raffigurazione isolata dell’Adorazione dei Magi, non inserita, cioè, nel contesto dell’icona della Natività, oltre ad indicare una tendenza avvertibile nelle opere postbizantine a partire dal sec. XVII, è sicuramente indice di una particolare devozione all’evento evangelico. Un carattere fortemente devozionale mostra, infatti, questa icona in cui, a parte la figura di S. Giuseppe, tutto è disegnato con goffagine; l’imperizia dell’artista si rivela con particolare evidenza nella mano destra e nel collo di Maria. L’icona dell’Adorazione dei Magi, come tutte quelle più modeste dell’iconostasi, si nobilita per essere inserita in un contesto artistico solenne e, ancor più, all’interno di un programma teologico dalla profonda valenza simbolica, elementi che conferiscono al monumento un’altissima suggestione emotiva. L. D.
OGGETTO SOGGETTO
Dipinto su tavola
AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI / TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Artista locale
Adorazione dei Magi
Tempera all’uovo con dorature Abete Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 87 x 73 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Sotto la tavola dell’Hodighjtria a sinistra delle porte del Bema nel primo registro detto Despotico C.D.
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INCONTRO FRA GESÙ E IL CENTURIONE A CAFARNAO
Artista locale - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
A seconda delle diverse circostanze, tutte le icone possono essere esposte alla venerazione sugli analoj, anzi la consuetudine vuole che ogni giorno dell’anno veda proposta una particolare icona. Quella più frequentemente presente sui leggii è l’icona dell’Anastasis (Risurrezione), scelta in particolare per le domeniche e per tutto il tempo pasquale. Nella prima domenica di quaresima, per la festa dell’Ortodossia, tutte le icone si portano in processione in ricordo della fine dell’iconoclastia. Data l’esiguità dello spazio a disposizione, la struttura dell’iconostasi della chiesa di Barletta è costituita solo da una griglia cui “appendere” il maggior numero possibile di icone; questo elemento risulta un carattere precipuo della chiesa di S. Maria degli Angeli e rende l’iconostasi un tappeto di luce e di colore. Nella stessa epoca, nella chiesa di S. Niccolò a Lecce, pur presentandosi identici problemi di spazio, la struttura architettonica dell’iconostasi è preponderante sulla presenza pittorica costituita dalle icone; ciò dimostra che certe scelte non sono soltanto artistiche, ma riflettono le esigenze celebrative della committenza. Come per l’Adorazione dei Magi, anche per l’icona dell’incontro fra Gesù e il centurione a Cafarnao si deve ritenere che la scelta sia caduta su un soggetto particolarmente caro alla comunità di Jannina, data anche la rarità di questa raffigurazione in ambito bizantino, in particolare isolata da un contesto narrativo e su un’icona. La scelta rimane però fedele ai canoni della tradizione ortodossa che raffigurano solo le manifestazioni della potenza salvifica di Cristo: infatti il centurione, pagano, si inginocchia davanti al Signore dell’universo. Pur dovendosi attribuire alla stessa mano inesperta, rispetto all’icona dell’Adorazione dei Magi, in questa si coglie una maggiore attenzione al disegno dei volti e all’impostazione dei corpi, evidente soprattutto nella figura del centurione inginocchiato. L.D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola Incontro fra Gesù e il centurione a Cafarnao Artista locale Tempera all’uovo con dorature abete Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 87 x 73 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Sotto la tavola del Pantocrator a destra delle porte del Bema nel primo registro detto Despotico C.D.
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S. PIETRO: ANTA SINISTRA DELLE PORTE REGALI
Artista locale - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Le “Porte Regali”, poste al centro dell’iconostasi, sono il punto di riferimento principale per lo svolgimento della liturgia; sono riservate esclusivamente al passaggio del celebrante principale; dalle porte regali si legge il Vangelo e si predica l’omelia. Davanti alle porte regali il diacono canta le intercessioni e sempre da esse esce il celebrante per proclamare l’Anafora, inizio della grande preghiera eucaristica; davanti ad esse viene distribuita la Comunione. Sono chiamate anche “Porte del Paradiso”. Nella raffigurazione dell’anta sinistra, delle porte di S. Maria degli Angeli di chiaro sapore occidentale, le chiavi che giacciono ai piedi di S. Pietro ricordano prevalentemente la funzione di custode del Paradiso sulla base della frase evangelica: “A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt. 16,29). Essendo celebrazione del mistero della salvezza, la liturgia è contemporaneamente espressione del visibile e dell’invisibile, di ciò che è detto ad alta voce e di ciò che è taciuto, del gesto e dell’immagine. Se i ministri ed i fedeli che insieme concelebrano sono icone viventi di Cristo, espressione nella Chiesa di ciò che è visibile, i segni sacramentali, e fra questi le icone, rendono percepibile il rapporto con la chiesa celeste, con la comunione dei Santi, testimoni presenti insieme con noi, per tramite dell’immagine dipinta, all’azione liturgica. Nonostante la fattura devozionale dell’icona, ascrivibile all’artista locale che si mostra palesemente poco padrone del pennello, l’icona rende abbastanza efficacemente questa funzione fondamentale della liturgia ortodossa: S. Pietro rappresenta, come successore di Cristo, tutta la chiesa. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Pietro Artista locale Tempera all’uovo Abete Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 53 x 128 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Anta sinistra della porta del Bema C.D.
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S. PAOLO: ANTA DESTRA DELLE PORTE REGALI
Artista locale - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
S. Pietro e S. Paolo, principi degli Apostoli, sono, soprattutto nella tradizione occidentale, preposti all’accoglienza e al giudizio delle anime. Qui S. Paolo è ritratto con il libro che lo individua come Apostolo ed è riconoscibile perché contrapposto a S. Pietro. Quasi sempre è raffigurato anche con la spada che fa riferimento al suo martirio: fu decapitato essendo cittadino romano, la morte in croce era infatti riservata solo agli schiavi e agli stranieri. Anche Paolo è presente nel racconto apocrifo della Dormizione della Madre di Dio e viene raffigurato con gli altri Apostoli nelle icone che celebrano il mistero della morte di Maria, come anche nelle opere d’arte occidentali (valga per tutte il grandioso gruppo scultoreo in terracotta dell’oratorio di S. Maria della Vite a Bologna, opera della prima metà del 1500 di Alfonso Lombardi). Nell’iconostasi di S. Maria degli Angeli S. Paolo è raffigurato, oltre che fra le icone dei Santi in trono, anche sull’anta destra delle porte regali; davanti ad esse sosta la processione con il libro dei Vangeli, detta piccolo ingresso, per la liturgia della Parola; dalle porte regali entra nel Santuario la processione con i Santi doni, detta grande ingresso, per la liturgia eucaristica, durante la quale si canta il Cherubikon. Entrambe le due processioni principali della liturgia bizantina escono dalla porta del nord o della prothesis. Nella nostra icona S. Paolo, in piedi, è rivolto verso S. Pietro, in quanto entrambi indicano idealmente il punto focale della Liturgia: il Tabernacolo con le Sacre Specie, posto sull’altare centrale alle spalle delle porte. Il fondo dipinto a nuvole è allietato dalla presenza di cherubini, come nell’anta su cui è raffigurato S. Pietro, con la quale questa tavola condivide la fattura devozionale e la mano incerta di un artista modesto. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Dipinto su tavola S. Paolo Artista locale Tempera all’uovo Pioppo Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 53 x 128 Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” Iconostasi Anta destra della porta del Bema C.D.
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S. SPIRIDIONE DELLA PORTA DEL DIAKONICON
Maestro di S. Spiridione - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
L’icona costituisce una delle due porte diaconali o di servizio alla liturgia dalle quali entrano ed escono dal Santuario i vari ministri; precisamente quella detta del sud o diakonikon. Il curioso copricapo che il Santo vescovo Spiridione indossa è un berretto da pastore e ricorda la sua attività prima che venisse eletto alla cattedra della città di Trimithonte nell’isola di Cipro; di sicuro partecipò nel 325 al Concilio di Nicea. Nei vescovi il vestito annulla quasi completamente la persona: è infatti proprio del presbitero vivere ed operare non in nome di se stesso, ma appunto come un investito, un consacrato. La gamma ricchissima dei colori delle vesti suggerisce una materia divenuta luce, similmente ai mosaici dove le pietre sono frammenti di luce. In mano stringe un libro che mostra sulla coperta la scena della Crocifissione: è resa imitando lo sbalzo in metallo attraverso l’uso di un blu-argento per la parte centrale, mentre la cornice ricorda un lavoro in oro. Il culto di S. Spiridione si diffuse subito dopo la sua morte e nello stesso sec. IV era venerato in tutta la Grecia. Patrono di Corfù, è raffigurato molto spesso nelle chiese ortodosse; in Occidente la sua presenza è legata quasi esclusivamente a tangenze col culto greco-ortodosso. L’artista dedica una cura particolare alla stesura grafica dell’immagine e alla resa dei particolari (vedi ad esempio il volto e la coperta dell’evangelario). La sua cultura si radica nella tradizione bizantina e poco o nulla concede alle influenze occidentali. A motivo di ciò va distinto dal maestro greco dell’iconostasi e dal secondo maestro delle dodici feste. S. Spiridione indossa gli attributi tipici della dignità vescovile: l’omoforion, cioè la stola vescovile rigirata sulla spalla sinistra e l’epitrachilion, la stola sacerdotale che pende fino a terra. Nascosto dietro la gamba destra appare l’epigonation, il sopraginocchio che indossano gli ecclesiastici di ordine superiore come simbolo della borsa delle elemosine. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto su tavola
MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO PROVENIENZA
Tempera all’uovo con dorature e argentature
Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
TIPO DI COLLOCAZIONE
Iconostasi
UBICAZIONE
Porta sud o porta del Diakonicon nel primo registro detto Despotico
S. Spiridione Maestro di S. Spiridione
Pioppo Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 83 x 207
C.D.
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S. NICOLA
Maestro di S. Spiridione - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Intorno al 300 Nicola, ancora giovane, fu eletto vescovo di Mira in Licia (attuale Dembre in Turchia); nel 325 è presente al Concilio di Nicea; la tradizione vuole sia morto un 6 dicembre fra il 345 e il 351. Il suo culto si diffuse prima nelle province orientali, poi tra gli slavi; in Russia, la fama del suo potere taumaturgico fa sì che, già nel sec. XI, a pochi decenni dalla conversione di quella regione al Cristianesimo, il suo culto fosse largamente diffuso. In Occidente la storia del culto di S. Nicola è legata soprattutto al trafugamento delle sue spoglie nel 1087, trasferite da Mira a Bari, dove fu eretta la famosa basilica. È d’obbligo ricordare che il modernissimo babbo natale - poco meno di un secolo - si riallaccia alle leggende legate a questo grande Santo. Nella nostra icona S. Nicola indossa l’abito vescovile ed ha in mano un libro reso con le stesse caratteristiche pittoriche dell’icona di S. Spiridione: si tratta dell’evangelario che per tradizione nella Chiesa ortodossa porta scolpita sulla faccia anteriore la scena della Risurrezione. La posizione frontale e la luminosità dello sguardo reso con occhi particolarmente grandi e sottolineati dalla luce delle lumeggiature, rendono l’accoglienza che il Santo offre al fedele dal profondo: ci si sente guardati prima che sia lo spettatore a fissare lo sguardo. La presenza dei Santi attraverso le icone è prima ancora della nostra presa di coscienza: coloro che cantano incessantemente la gloria di Dio sono sempre attenti alla Chiesa in cammino; questo senso di comunione è sottolineato dall’atmosfera di luce che l’oro e i colori vivaci contribuiscono a creare. Pur impostata secondo un rigido schema bizantino, l’icona di S. Nicola è l’unica di quelle attribuibili al maestro di S. Spiridione che presenta una qualche influenza dell’arte occidentale, almeno a livello di suggestioni; la coperta dell’evangelario, infatti, raffigura la Risurrezione secondo l’iconografia occidentale e non l’Anastasis secondo quella orientale; mancano anche ai lati dell’icona, in alto, le figure in piccolo di Cristo con il libro del Vangelo e di Maria con l’omoforion, sempre presenti nella tradizione bizantina delle icone di S. Nicola a ricordo di un episodio della sua vita quando, privato ingiustamente dell’autorità vescovile, vi viene reintegrato direttamente da Gesù e da Sua Madre. L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO S. Nicola AUTORE / ATTRIBUZIONE Maestro di S. Spiridione MATERIALI / TECNICHE Tempera all’uovo con dorature, argentature e l’aureola punzonata con motivi vegetali ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE /EPOCA Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 77,3 x 104,7 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE Sulla parete a destra dell’iconostasi C.D.
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S. GIOVANNI BATTISTA
Maestro di S. Spiridione - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Nelle icone e negli affreschi dell’arte bizantina sono raffigurati esseri umani, perché il regno di Dio è un regno costituito da persone; nella pittura sacra non troveremo altro che superfici coperte da volti e persone. Le immagini che riempiono lo spazio sono un simbolo dell’irradiarsi di una presenza luminosa; la materia è spiritualizzata, ha perso il suo aspetto corruttibile, bruto, è divenuta incorruttibile. Mentre la tradizione occidentale tende a trasmetterci l’orrore delle varie fasi del martirio di S. Giovanni Battista, quella ortodossa ci mostra lo stesso Giovanni con in mano (o accanto) il piatto con la sua testa. Il racconto di un evento può quindi essere espresso attraverso la sua rappresentazione simbolica, invece che nel dispiegarsi della vicenda. Secondo il racconto evangelico l’ordine di decapitarlo fu dato da Erode che non volle venire meno alla promessa fatta a Salomè di concederle qualsiasi cosa avesse chiesto: ed ella chiese la testa di Giovanni su un piatto d’argento. Nella nostra icona la figura ieratica del Santo riceve vigore ed espressività da quell’abbondare di luce che emana oltre che dal fondo e dalle aureole, dai due volti di S. Giovanni. Questi è raffigurato come angelo del deserto, con le ali che lo distinguono in tal senso; in basso a destra è posto, senza che si veda un piano di appoggio, il piatto con la testa decapitata. Entrambi i volti del Santo sono circondati da un’ampia aureola decorata con una punzonatura a motivo floreale. Le mani reggono un cartiglio; il corpo è ruotato verso sinistra; in alto a destra, dal cielo, si protende la mano di Dio che richiama l’episodio evangelico del Battesimo. Per la notevole grafia dell’opera pittorica, la tavola è ascrivibile al maestro di S. Spiridione presente nell’iconostasi con le due tavole laterali del trittico della Deesis, le due porte diaconali con S. Basilio e S. Spiridione e le due icone che le affiancano sul muro con S. Nicola e S. Giovanni Battista L. D.
OGGETTO Dipinto su tavola SOGGETTO S. Giovanni Battista AUTORE / ATTRIBUZIONE Maestro di S. Spiridione MATERIALI/TECNICHE Tempera all’uovo con doratura, argentatura e le aureole punzonate con motivi vegetali ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE /EPOCA Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 76,5 x 104,6 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Iconostasi UBICAZIONE
Sulla parete a sinistra dell’iconostasi C.D.
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BALDACCHINO
Manufatto in legno stuccato e dipinto - Sec. XVIII
L’altare centrale, in pietra, riprende la tipologia degli altari paleocristiani, secondo la tradizione ortodossa, con la mensa retta da un rocco di colonna; al di sopra si erge un baldacchino in legno stuccato e dipinto a finto marmo: è formato da quattro pilastrini che reggono l’ombrella trapezoidale. Un’alta base - racchiusa da cornici dorate e sulla quale è disegnato un rettengolo nero-azzurro inquadrato di bianco - regge il pilastro, anch’esso incorniciato d’oro, con le facce dipinte di rosa cangiante. I capitelli mostrano una fascia d’azzurro e modanature dorate. I peducci che reggono la cornice su cui è poggiata l’ombrella - modanati sulla faccia centrale - sono decorati da riquadri nero-azzurro circondati di bianco come anche l’ombrella, coronata da una sfera sulla quale si erge una croce a quattro bracci, modanata. Il baldacchino sottolinea la sacralità del luogo: il Sancta Sanctorum che conserva e protegge Gesù Cristo vivo e vero. Questo luogo sacro è oggetto di particolare attenzione da parte della tradizione bizantina, che lo nasconde agli sguardi e nello stesso tempo lo rivela attraverso le porte regali, le porte belle, porte del Paradiso. Verso di esso si dirige la Grande Entrata, la processione solenne che porta sull’altare centrale i vasi sacri: il diskos (patena) con il pane, coperto dal diskokalymna, un tessuto spesso ricamato con il Cristo bambino giacente sulla patena, e il poterion (calice) coperto dal deuteron kalymna; entrambe sono protetti dall’ aìr, il grande velo eucaristico, sempre di stoffa preziosa, sulla quale talvolta è raffigurata la Deposizione di Cristo nel sepolcro. Le offerte verranno deposte sulla mensa perché il celebrante consacri il Pane e il Vino trasformandoli in Corpo e Sangue di Cristo. L. D.
OGGETTO Baldacchino processionale AUTORE / ATTRIBUZIONE Anonimo greco MATERIALI / TECNICHE Legno intagliato, argentato meccato e lacca verde ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE /EPOCA XVIII sec. DIMENSIONI DELL’OPERA Cm. 103 x 148 x h. 256 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
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ARTOPHORION (CIBORIO)
Maestro dell’iconostasi di S. Maria degli Angeli - Sec. XVIII
All’interno del baldacchino posto sull’altare è alloggiato il tabernacolo, anch’esso in legno, con un’estesa doratura; la parte inferiore (a tronco di piramide irregolare con la base verso la parete di fondo) riprende lo stile di un tempio classico sul modello dei tabernacoli del sec. XVI: i pilastri angolari reggono una trabeazione su cui poggia una balconata a colonnine; a copertura è posta una cupola trapezoidale della stessa forma di quella del baldacchino. Manca lo sportello centrale; sono presenti ai lati due pannelli dipinti: a destra è raffigurato S. Basilio Magno, a sinistra S. Giovanni Crisostomo. Basilio nasce a Cesarea intorno al 330; riceve il Battesimo nel 356 e l’ordinazione sacerdotale nel 364 per mano del vescovo Eusebio di cui diviene successore alla cattedra della Chiesa di Cesarea nel 370: per questo è ritratto sempre in abiti vescovili, al più indossati sopra la veste monacale, in ricordo della regola dei monaci basiliani da lui scritta insieme con Gegorio il teologo (per i latini: di Nazianzo il giovane). È uno dei più grandi Padri della Chiesa per la ricchezza delle riflessioni teologiche contenute nei suoi scritti. Morì il 1° gennaio del 379. Giovanni nacque ad Antiochia nella seconda metà degli anni ‘40 del sec. IV; ricevette il Battesimo nel 372. Fattosi eremita, dovette abbandonare la vita ascetica a causa di una grave malattia; ordinato sacerdote nel 386, cominciò la sua intensa attività di predicatore: a motivo della sua trascinante eloquenza gli fu dato il soprannome di “Crisostomo” (bocca d’oro). Nominato patriarca di Costantinopoli nel 397, entrò in conflitto con l’imperatrice Eudossia a causa dei suoi richiami contro lo sfarzo della corte; esiliato una prima ed una seconda volta, fu costretto nel 407 ad un ulteriore cambio di sede: a causa del lungo viaggio e della salute malferma si ammalò gravemente e morì il 14 settembre dello stesso anno. Nell’iconografia bizantina è ritratto con l’abito vescovile e regge quasi sempre l’evangelario. Nel tabernacolo di S. Maria degli Angeli le due figure di Santi sono disegnate molto accuratamente; espressivi i volti, sottolineati dalle lumeggiature; le pieghe delle vesti seguono le linee del corpo, proporzionato e armonico. Tutto questo suggerisce un’attribuzione al maestro greco dell’iconostasi; pur essendo un’opera minore è da ritenere che la sua importanza artistica le derivi dalla fondamentale funzione liturgica. Possiamo ipotizzare che nello sportello mancante fosse raffigurato Gregorio il teologo; infatti Giovanni, Basilio e Gregorio sono chiamati: megaloi didascaloi i tre grandi maestri o (con...) gerarchi e insieme sono rappresentati su diverse icone con abiti vescovili; si riconoscono dalle caratteristiche del volto e dalle siverse forma della barba. L. D. OGGETTO Artophorion (Ciborio) AUTORE / ATTRIBUZIONE Maestro dell’Iconostasi di Santa Maria degli Angeli MATERIALI / TECNICHE Legno intagliato e dorato in oro zecchino e tempera all’uovo. ESSENZA LEGNOSA Pioppo DATAZIONE / EPOCA Sec. XVIII DIMENSIONI DELL’OPERA Cm. 52 x 82 h. 116 PROVENIENZA Chiesa greca “ Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Sanctuarium o Ieròn UBICAZIONE Sotto il baldacchino del Bema
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CRISTO IN PIETÀ: AFFRESCO DEL MENSA DELLA PROTHESIS
Maestro del Cristo in pietà - Fine sec. XVI
Il tema della “pietà”, estraneo alla tradizione culturale bizantina, così come alla sua iconografia, entra a far parte del patrimonio degli artisti postbizantini nel sec. XVI. Si rivela molto caro in particolare ai pittori cretesi, ed è spesso da questi trattato con chiari riferimenti all’arte gotica italiana. Il motivo è tutto teologico, legato alla profonda meditazione dell’Oriente sulla natura divina di Gesù Cristo, Re dell’universo anche nel momento della massima umiliazione della morte: infatti Egli è già vincitore della stessa, anzi è attraverso la morte che è divenuto il Salvatore del mondo. La potente influenza dell’arte italiana, che predilige la riflessione e la raffigurazione del Cristo umiliato e sofferente, fa penetrare il tema fra gli artisti greci, anche e soprattutto in ottemperanza ad esigenze legate alla committenza occidentale. Ma il forte radicamento degli iconografi nella riflessione teologica orientale fa sì che verso la fine dello stesso secolo si crei la raffigurazione del Cristo in pietà; rispetto al tema della pietà, quello del Cristo in pietà raffigurato solo, stante, mentre fuoriesce per tre quarti dal sepolcro, deriva direttamente dalla tradizione iconografica bizantina, in quanto la posizione ieratica e solenne del Cristo, ritto sul sepolcro, riafferma la sua regalità: pur nel rigore della morte, con gli occhi chiusi, l’impostazione iconografica della figura richiama chiaramente quella assunta nell’evento della Risurrezione. Per la tradizione bizantina è una variante della raffigurazione del Nymphios, lo Sposo della Chiesa che va incontro al martirio. Nella chiesa di S. Maria degli Angeli un Cristo in pietà adorna la calotta dell’altare della prothesis dove, durante lo svolgimento della Divina Liturgia, si adempie il rito della Proskomidìa (preparazione delle offerte - il pane e il vino). La delicatezza della materia pittorica, la cura con cui è disegnato il volto del Cristo, l’esatta impostazione della figura, fanno pensare ad un maestro cretese che possiede una padronanza dei mezzi tecnici ed una capacità d’espressione tale da rendere singolare la raffigurazione; pur inserendosi pienamente nella tradizione bizantina, il nostro artista non cita pedissequamente il modello, ma lo arricchisce di un carattere proprio. A queste considerazioni di ordine interno va aggiunta la nota che il periodo di maggiore popolarità del tema del Cristo in pietà si situa fra la seconda metà del sec. XVI e la prima metà del sec. XVII. Rapportando il discorso alla storia della chiesa di S. Maria degli Angeli, possiamo a ragione datare l’affresco alla fine del sec. XVI. L. D.
OGGETTO SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE
Dipinto murale “Akrytaoinosis” Cristo in pietà Maestro del Cristo in pietà
MATERIALI / TECNICHE Tempera e mezzo fresco DATAZIONE / EPOCA Sec. XVI DIMENSIONI DEL DIPINTO Cm. 160 x 106 PROVENIENZA Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli” TIPO DI COLLOCAZIONE Sanctuarium o Ieròn UBICAZIONE
Altare della Prothesis C.D.
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CROCIFISSO
Maestro di S. Spiridione - Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX
Questo particolare crocifisso in cui la sagoma del Cristo è facilmente staccabile dal supporto della croce, sfilando i tre chiodi infissi nelle due mani e nei piedi, è appositamente predisposto per l’ufficio della Santa Passione. La croce viene solennemente introdotta dal canto: “Oggi è appeso al legno Colui che ha appeso la terra sulle acque; oggi il Re degli angeli è cinto di una corona di spine; oggi è avvolto di finta porpora Colui che avvolge il cielo di nubi; riceve uno schiaffo, Colui che nel Giordano ha liberato Adamo; è inchiodato con chiodi lo Sposo della Chiesa; è trafitto da una lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo, o Cristo, i tuoi patimenti! Mostraci anche la Tua gloriosa Risurrezione”. In seguito il Crocifisso viene deposto dalla croce, avvolto in un sudario bianco e adagiato ai piedi dell’altare. Nel Crocifisso di S. Maria degli Angeli il corpo di Cristo è disegnato con eleganza: alla posizione reclinata verso sinistra del capo fa da contrappunto lo spostamento dell’anca verso destra, in modo da tracciare lungo la direttrice una leggera esse chiamata dai Bizantini “curva del dolore”. Il colore vivace del perizoma contrasta con i toni smorzati della carnagione sulla quale risalta la lunga traccia di sangue che fuoriesce dalla ferita del costato. Il volto, i cui tratti sono fortemente sottolineati dalle lumeggiature, nell’abbandono della morte conserva tutta la forza della sua regalità. L’attribuzione al maestro di S. Spiridione viene suggerita sia dal disegno, vedi in particolare le lumeggiature, che dall’uso dei colori, come l’arancio oro venato di rosso del perizoma, ma soprattutto il blu argento della corona di spine che richiama gli evangelari di S. Nicola e di S. Spiridione. L. D.
OGGETTO
Dipinto su tavola
SOGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DEL DIPINTO
Crocefisso
PROVENIENZA
Chiesa greca “Santa Maria degli Angeli”
TIPO DI COLLOCAZIONE UBICAZIONE
Presbiterio
Maestro di S. Spiridione Tempera all’uovo con doratura Pioppo e abete Fine sec. XVIII, inizi sec. XIX Cm. 102 x 250
Sulla parete retrostante l’altare del Bema
C.D.
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BALDACCHINO PROCESSIONALE - TAPHOS
Manufatto in legno dorato - Sec. XVIII
Quattro colonnine tortili con capitelli corinzi riccamente intagliati reggono quattro archi a tutto sesto decorati da foglie e da palmette trilobate cui sono appese piccole nappe in legno; dalla sommità dei capitelli partono anche quattro volute che si uniscono al centro in alto, quasi come un’aerea cupola; il colore predominante è l’oro, con tocchi di verde. Questo singolare e sontuoso baldacchino alloggia l’Epitaphios, durante il rito della sepoltura che si svolge nell’annuale celebrazione della Passione il giorno del Santo e Grande Venerdì. L’Epitaphios è il più noto e il più venerato fra i drappi liturgici della tradizione bizantina: è ricamato o dipinto con la scena della Deposizione nel Sepolcro, arricchita, anche figurativamente, di una simbologia che chiama a raccolta angeli e santi, testimoni dell’evento salvifico: dopo essersi fatto dono sull’altare della Croce, nel silenzio della tomba, Cristo scende agli inferi per porgere la mano ad Adamo e con lui all’intera umanità, passata e futura. Le donne sono incaricate di preparare il taphos, il baldacchino; esse simboleggiano le discepole del Signore che prepararono il Suo corpo per la sepoltura. Vengono intrecciate corone di fiori e disposti aromi profumati. All’uscita dell’Epitaphios si canta: “Quando dal legno Giuseppe d’Arimatea depose morto Te, la vita di tutti, allora, o Cristo, egli Ti avvolse con mirra in un lenzuolo: l’amore lo spingeva a baciare, con cuore e labbra, il Tuo corpo immacolato; ma, trattenendosi per il timore, con gioia a Te gridava: Gloria alla Tua condiscendenza, o amico degli uomini”. Più avanti nel rito, intonando: “Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi”, si compie una grande processione, spesso anche fuori della chiesa. Un’altra sosta prevede che il celebrante sparga alloro per tutta la chiesa. Fino alla celebrazione della Risurrezione l’Epitaphios è oggetto di venerazione e di continuo omaggio di fiori e profumi. L. D.
OGGETTO AUTORE / ATTRIBUZIONE MATERIALI/TECNICHE ESSENZA LEGNOSA DATAZIONE /EPOCA DIMENSIONI DELL’OPERA . PROVENIENZA
Baldacchino processionale Anonimo greco Legno intagliato, argento meccato e lacca verde. Pioppo Sec. XVIII Cm 101 x 100 Chiesa greca “ Santa Maria degli Angeli” C.D.
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Il Restauro
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta
IL RESTAURO DELL’ICONOSTASI E DEGLI ARREDI
Cinzia Dicorato
STATO DI CONSERVAZIONE
Il comune di Barletta è diventato manutentore della chiesa di Santa Maria degli Angeli dei Greci grazie alla volontà dei fratelli Giallocosta eredi della comunità, quando hanno trasferito il possesso di questa nel 1985 per consentire il suo recupero e permetterne la fruibilità. Prima di dare l’avvio ai lavori di restauro architettonico la Soprintendenza ai Beni Culturali di Bari aveva provveduto al trasferimento delle tavole nel museo. Le icone che presentavano problemi urgenti erano state velinate, alcune totalmente e altre parzialmente, per consentire un trasporto meno traumatico e per impedire un ulteriore aggravio del degrado. Le cause del degrado di queste opere sono da ricercare nelle ultime vicende della chiesa che partono dal momento in cui, estinta la comunità, questa ormai in dissuso aveva subito lo sfondamento del tetto, per cui l’iconostasi era stata lasciata in balia della pioggia, del guano dei piccioni e dell’incuria provocata dall’abbandono. L’iconostasi: l’imponente struttura lignea ad un primo sguardo si presentava in condizioni discrete, ma ad un esame più attento si evidenziavano problemi più grossi: l’attacco da parte degli insetti xilofagi diffuso su tutto il (foto n. 1) manufatto con un maggior danneggiamento da parte di questi nella zona sinistra, in corrispondenza dello sfondamento del tetto, causando una maggiore erosione del legno e producendo una lacuna nella zona in basso a sinistra (foto n. 1); la pellicola pittorica con numerosi sollevamenti e cadute della policromia diffuse su quasi tutta la superficie (foto n. 2); le diverse lacune del legno, l’ossidazione e alterazione della mecca; lo sporco da nerofumo; la polvere e il sudiciume diffuso in particolar modo nella parte retrostante (foto n. 3). Le tavole - Per quanto riguarda lo stato di conservazione delle icone queste si sono suddivise in ben cinque gruppi secondo il livello del loro degrado e a questo proposito si riporta un grafico (n. 4) con la mappatura per meglio comprenderne le condizioni: Gruppo a) - a questo gruppo appartengono le tavole che nel grafico sono contrassegnate con i numeri 5-6-17-18 che presentavano un attacco da parte degli insetti xilofagi estremamente avanzato queste velinate totalmente avevano una pellicola pittorica estremamente compromessa cadute di colore, sollevamenti e angoli lacunosi. Sempre a questo gruppo appartiene la tavola n. 29 che corrisponde alla porta nord e raffigura San Basilio. (foto n. 2)
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta IL RESTAURO DELL’ICONOSTASI E DEGLI ARREDI
Grafico n. 4
Gruppo A 6, 7, 18, 19, 30. Gruppo B 31, 34, 35, 38, 39.
Gruppo C 2, 3, 4, 5, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29.
Gruppo D 32, 33, 36, 37.
Questa tavola si presentava come la più degradata il tarlo aveva reso il legno fragile e la pellicola pittorica lacunosa ed estremamente sollevata oltre ad una preparazione fragile e decoesa. Le diverse parti della intelaiatura, a causa dei danni provocati dall’azione dei tarli, si sono staccati e disarticolati. Sul pannello in basso nella parte centrale, per effetto della fragilità del legno, si è creata una lacuna con i margini deformati. Gruppo b) - a questo gruppo appartengono le tavole che nel grafico sono segnate con il numero 30 - 31 - 32 - 36 - 35 e precisamente le tavole della “Madonna Odighitria”, del “ Cristo Pantocrator”, la porta est raffigurante San Spiridione e le due tavole di San Nicola e San Giovanni poste sulle pareti laterali dell’iconostasi e la Croce dell’ancora contrassegnata con il n. 39. Dall’attenta analisi del supporto di queste tavole sono emersi diversi tipi di degrado a livello strutturale. Il legno sottoposto nel tempo a variazioni termoigrometriche aveva provocato dilatamenti delle tavole, il conseguente assestamento naturale del legno aveva prodotto sul retro di queste delle fessurazioni che seguivano l’andatura della fibra mentre sul davanti si erano create delle fenditure in corrispondenza delle linee di giunzione delle assi. Anche su queste tavole l’azione dei tarli era andata piuttosto a fondo, in particolare in corrispondenza delle fessure e fenditure, erano presenti inoltre sollevamenti, cadute di colore e lacune sia al livello della preparazione che al livello del supporto. La preparazione si presentava arida e decoesa e la vecchia vernice ossidata e alterata. Gruppo c) - a questo gruppo appartengono la maggior parte delle tavole e precisamente: n. 1a - 1b - 2 - 3 - 4 - 7 fino alla n. 16 e quelle che vanno dal n. 19 al n. 28. Queste tavole non presentavano grossi problemi di degrado fatta eccezione per un attacco di insetti xilofagi di media entità, alcune piccole fessure presenti sul retro, l’ossidazione della vernice e lo sporco generico. Gruppo d) - a questo gruppo appartengono le ta(foto n. 3) vole che corrispondono ai numeri 33 - 34 - 37 - 38, che si riferiscono alle tavole più recenti quelle realizzate in legno di abete che raffigurano “l’adorazione dei Magi”, “l’incontro di Cristo con il centurione a Cafarnao” e le porte centrali dette porte regali con “
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta IL RESTAURO DELL’ICONOSTASI E DEGLI ARREDI
San Pietro” e “ San Paolo”. Queste erano in condizioni discrete il tarlo non aveva provocato grossi danni, l’unico problema rilevabile era la presenza di sollevamenti e cadute provocate dalla testa dei chiodi sul davanti del dipinto, l’ossidazione della vernice e lo sporco generico. Gli arredi: Sanctuarium: Il ciborio - tabernacolo: questo era estremamante sporco, la piccola balaustra posta lungo la base della cupola
(foto n. 4)
(foto n. 5)
era stata rimossa e spezzata in tre parti, alcuni pezzi torniti erano mancanti così come alcuni elementi che costituiscono la croce posta in cima alla cupola. Sulla base molto sporca di polvere, sudiciume e guano di piccioni si era rillevata la presenza di insetti xilofagi attivi. Baldacchino: si presentava con due dei pilastrini di sostegno spezzati, oltre che sporco e tarlato. La cupola era anch’essa molto sporca, tarlata e ricoperta da incrostazioni e da guano di piccioni, con buona parte della policromia lacunosa (foto n. 4) . L’altare della prothesis: l’affresco gli strati di intonaco era discretamente ancorati fatta eccezione per alcuni piccoli distacchi localizzati nella zona inferiore in particolare in corrispontenza delle lacune al livello dello strato di intonachino. La presenza di sporco causato dal nero fumo delle candele lo rendeva piuttosto illegibile, estremamente abraso sempre nella zona inferiore era attraversato al centro in tutta la sua lunghezza da una stuccatura in malta cementizia (foto n. 5) . L’ambone: nonostante fosse stato interamente restaurato qualche anno fà si era rilevata la presenza di tarli ancora attivi. Il matroneo: anche per il matroneo la situazione era la stessa dell’ambone, sottoposto a restauro completo alcuni anni fa si era rilevata la presenza di insetti xilofagi e la zona sottostante della soppalcatura che corrisponde all’ingresso era stata lasciata sporca e grezza. Gli stassidia o stalli: restaurati anche questi al tempo in cui erano stati effettuati i lavori per il matroneo e l’ambone presentavano ancora una notevole attività dei tarli tanto che uno dei sedili si era frantumato (foto n. 6), inoltre il legno era arido e privo di film protettivo con la finitura disomogenea e 112
La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta IL RESTAURO DELL’ICONOSTASI E DEGLI ARREDI
le cornici che erano state integrate in occasione di questo intervento erano state lasciate in legno grezzo. Arredi: sempre al gruppo degli arredi appartengono una serie di quattro candelabri, una pedana in legno policromo a finto marmo un piccolo baldacchino in argento meccato, un cassettone da sacrestia, un leggio grande con piedistallo ed un leggio piccolo (foto n.7). I quattro candelabri interamente ridipinti di nero erano decurtati in più punti e uno di questi era spezzato a metà. Il baldacchino e la pedana dell’epitaffio: erano in-
(foto n. 6)
(foto n. 7)
teramente smontati e ridotti a pezzi oltre che sporchi e ridipinti. Il cassettone: risultava sporco con alcuni pezzi mancanti. IL RESTAURO I lavori di restauro di tutti gli arredi della chiesa dei Greci sono stati lunghi e laboriosi durati quattro anni e hanno dato luogo ad un cantiere scuola che è servito a formare un equipe di lavoro affiatata e competente. Tutte le opere mobili quali: icone, ciborio, baldacchini, candelabri, leggii, eccetera sono state smontate e trasportate al castello dove sono state restaurate in un laboratorio attrezzato nel museo-pinacoteca. Mentre per le opere fisse in sito quali: la macchina lignea di sostegno dell’ iconostasi, il coro, l’affreschino della prothesis e il cassettone da sacrestia si è trasformata la chiesa in un cantiere laboratorio per eseguire tutte le operazioni di restauro necessarie. Iconostasi: In primis si è eseguita una attenta pulizia della struttura lignea e degli altri manufatti con un potente aspiratore pennelli, bisturi ed altro per eliminare polvere, sporcizia, guano di piccioni e si è proceduto con il risanamento ambientale attraverso la disinfestazione di tutti i manufatti lignei presenti (coro ligneo, cantoria, pulpito, sanctuarium, cassettone, leggii, etc.) nella chiesa. Si è trattato ogni manu-
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fatto ligneo presente, dalle opere citate agli infissi, le finestre, gli stipiti, le porte e la balaustra delle scale che portano al matroneo con una sostanza a base di permetrina utilizzando tutte le possibili metodologie: dalle iniezioni del prodotto nei fori dei tarli; alla penetrazione lenta attraverso apparecchi per flebo e con impregnazione attraverso spennellature più volte ripetute. Terminate queste operazioni si è provveduto a sigillare i manufatti.
(foto n. 8)
(foto n. 9)
L’operazione di disinfestazione si è ripetuta più volte e stagionalmente nel corso di questi anni. All’intervento di disinfestazione si è proceduto con il consolidamento eseguendolo con particolare attenzione, anche in questo caso si sono usate diverse metodologie di applicazione del consolidante intervenendo con iniezioni nei fori, penetrazione lenta con apparecchi per flebo, impregnazione attraverso spennellature eccetera e il consolidante usato, Paraloid B72, è stato disciolto in cellosolve a diverse percentuali partendo da una percentuale bassa come il 3% o 4% per raggiungere percentuali più alte come il 20% massimo il 25%. Si è scelto il cellosolve come veicolante del Paraloid, dopo diversi saggi, perché ad alte percentuali non lasciava quell’antiestetico effetto lucido che di solito altri solventi producono ed inoltre non creava alterazioni nel colore del legno. Nel caso delle tavole maggiormente danneggiate, oltre alle metodologie suddette, si è intervenuti anche ad immersione attraverso l’uso di vasche con il consolidante, immergendo la tavola dal retro con il verso dipinto in alto, facendo penetrare il liquido per risalita capillare. L’operazione di consolidamento è stata più volte ripetuta finché non si sono ottenuti risultati soddisfacenti. Le operazioni di pulitura sono state lunghe e meticolose, si è operato con estrema cautela ed in modo diversificato, sulle zone policrome delle tavole si è proceduto con la D.A.N. che ha dato ottimi risultati sullo sporco generico ed in particolare sul nerofumo oltre che sulle vecchie vernici ingiallite; sui fondi oro si è usata una mista di alcool e trementina, al contrario sulle tavole di Bathàs che avevano il fondo oro ridipinto totalmente con porporina si è intervenuti con una pulitura meccanica eseguita interamente a 114
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bisturi con l’ausilio del microscopio. La macchina lignea che ha delle zone policrome a finto marmo dipinte a tempera a base di caseina, si è messa a punto una pulitura con una mista di etil-lattato e dimetilfofossido, allo stesso modo sono state pulite le cornici ornamentali in argento meccato facendo attenzione a mantenere la mecca originale là dove era possibile. L’intervento di restauro strutturale ha interessato tutte quelle zone che presentavano lacune da integrare fenditure fessurazioni eccetera. Andando nel dettaglio si è proceduto sulla struttura portante dell’iconostasi ancorando e consolidando prima il lato sinistro in basso realizzando l’inserto nell’asse confinante con la muratura (foto n. 8), successivamente aprendo le testate delle travi orizzontali di sostegno della macchina risanandole e consolidandole con paraloid B72 dato ad impregnazione e richiudendo la muratura. Le tavole che presentavano fenditure e fessurazioni si sono risarcite dal retro con piccoli inserti a cuneo lunghi mediamente 4 o 5 cm. Inserendoli lungo tutta la fenditura (foto n. 9). Sulle tavole che erano state velinate parzialmente o totalmente per problemi di sollevamento della superficie pittorica e che presentavano (foto n. 10) notevoli crettature e scodelle di colore piuttosto accentuate o bolle di sollevamento di colore, si è proceduto iniettando colletta negli strati distaccati sia al livello della pellicola pittorica che al livello degli strati di preparazione. Questi sono stati abbassati e fatti aderire mediante l’uso del termocauterio caldo con una temperatura più o meno costante. Nei casi in cui mancava il supporto ligneo perché frantumato a causa dell’azione estrema dei tarli, si è iniettato un
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impasto di polvere fine di legno e colla risanando il supporto e procedendo con la riadesione della pellicola pittorica sempre con colletta e termocauterio (foto n. 10). Terminata questa operazione si è proceduto con la rimozione di tutte le veline di protezione e quindi con la pulitura. Le operazioni finali hanno interessato la ricostruzione di tutte le lacune con stuccature a base di gesso e colletta di coniglio. Anche le integrazioni pittoriche sono state effettuate in maniera diversificata. Le piccole lacune sono state realizzate a corpo e per le grandi lacune si è usata la tecnica del tratteggio o rigatino selezionando i colori, nel caso dei fondi oro si è usata la selezione ad oro infine come protettivo si è usata una resina chetonica tipo Lukas sprüthfilm glass e mat date alternativamente per ottenere un effetto equilibrato e naturale senza alterazioni ottiche ed estetiche. Gli arredi: Sugli arredi si è effettuato un lavoro di vero e proprio recupero. Questi che si presentavano in pessimo stato totalmente smontati, frammentari e lacunosi sono stati interamenti ricomposti e ricostruiti mediante un eccezionale lavoro di ebanisteria che ha ricostruito parti man(foto n. 11) canti ed incastri distrutti. Per la pulitura e la ricostruzione della policromia si è proceduto come per il resto della iconostasi. Gli stalli o stassidia: dopo aver preventivamente disinfestato a più riprese il legno questo è stato reidratato con olio rosso. Il sedile che si era frantumato è stato risarcito e gli stalli sono stati più volte ripassati con gommalacca a pennello con una certa insistenza sulle parti integrate per ottenere una finitura più equilibrata. Le cornici integrate, che erano state lasciate nel precedente restauro in legno a vista, sono state ingessate, rasate, applicato il bolo e brunite per essere argentate e meccate cercando di ottenere un
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effetto omogeneo ed equilibrato rispetto alle zone originali. La finitura è stata completata con cera naturale. L’ambone e matroneo: rivista e ripassata la disinfestazione più volte su entrambe le opere, sono state anche rifinite con cera naturale. La parte sottostante il matroneo è stata consolidata, mordenzata e rifinita a gommalacca e cera. Ciborio: tabernacolo e Baldacchino: le prime operazioni effettuate su questo arredo sono state la disinfestazione e il consolidamento, dopo di che si è proceduto con il risarcimento strutturale attraverso la reintegrazione delle parti mancanti e il rimontaggio dei pilastrini. La pulitura è stata eseguita con le stesse modalità adoperate per la macchina dell’iconostasi. Stuccate e rasate tutte le lacune della policromia si è provveduto ad integrarle con colori ad acquerello usando la tecnica del rigatino. Il baldacchino dell’epitaffio: questo piccolo baldacchino veniva usato durante i riti della settimana Santa per l’esposizione dell’epitaffio che corrisponde ad un lenzuolo con la raffigurazione del Cristo deposto. In questo caso si è trattato di un vero e proprio recupero, ricostruito, ricomposto è stato pulito, stuccato e la doratura è stata reintegrata con colori ad acquerello usando la tecnica del tratteggio attraverso la selezione cromatica del colore oro (foto n. 11). L’affresco: Il piccolo affresco che adorna l’altare della “Prothesis” raffigurante “Il Cristo in pietà” è stato consolidato con iniezioni di primal e tufina per i grandi distacchi, presenti soprattutto lungo il bordo inferiore, primal diluito in acqua al 30% o 40 % nelle zone di distacco dello strato d’intonachino superficiale 117
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che investivano la maggior parte della superficie pittorica. La pulitura è stata effettuata con carbonato di ammonio disciolto in acqua demineralizzata a basse percentuali , applicato con carbossilmetilcellulosa interponendo sulla superficie del dipinto carta giapponese. La vecchia stuccatura fatta con cemento che attraversava la crepa centrale è stata eliminata e sostituita con una stuccatura meno invasiva realizzata con una maltina a base di calce pura idrata aggiunta a tufina setacciata finemente, polvere di marmo e sabbia di fiume finissima. Così per le piccole crepe e per la lacuna del bordo inferiore e del lato sinistro eseguita leggermente sottolivello. L’integrazione pittorica eseguita con colori ad acquerello e come protettivo finale si è usato il Gelowal.
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I Paramenti Sacri
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I PARAMENTI SACRI NELLA LITURGIA BIZANTINA
Luigi N. Dibenedetto
I
n origine l’aggettivo bizantino si applicava a tutta l’area geografica facente parte dell’impero di Costantinopoli o, in senso più ampio, posta sotto la sua influenza culturale. Nell’ambito religioso, nel quale rientra essenzialmente il nostro discorso, uno degli aspetti in cui maggiormente si rivela la ricchezza della cultura bizantina è la liturgia che attinge ai testi dei Padri greci come a quelli dei siriani e degli alessandrini, diffusa dai monaci che fondarono monasteri fin nel cuore dell’Occidente1. Oggi per Liturgia Bizantina si intende più strettamente il complesso dei testi e delle tradizioni cultuali delle Chiese Ortodosse individuate dai sette Concili Ecumenici che le stesse riconoscono come validi2 . Molto in breve, il libro fondamentale per la conoscenza dei testi e dello sviluppo storico della liturgia bizantina è il Typikon, che riporta le regole di tutte le celebrazioni (dal punto di vista storico sarebbe più esatto usare il plurale Typikai, in riferimento alle varie tradizioni). Ad esso si accompagnano lo Ieratikòn (o Liturghikon) per le celebrazioni eucaristiche e l’Euchologhion per l’amministrazione dei sacramenti. Le parti ordinarie di tutte le celebrazioni sono contenute nel Salterio per vespri e mattutino e nell’Orologhion, che riassume il contenuto dei libri specifici: il Paraklitikì (o Octoichos, dagli otto toni della musica bizantina) con l’ordinario dell’ufficio settimanale; il Triodion con l’ufficio della Grande Quaresima e il Pentekostarion col proprio del tempo di Pasqua; infine il Mineo con le feste dell’anno divise nei dodici mesi al quale si affianca il Sinassario che raccoglie le vite dei Santi. Le letture bibliche sono riportate nell’Evangelario e nell’Apostolos3 . Attraverso questo elenco si coglie la complessa struttura delle celebrazioni, ricche di simbologie e ordinate secondo una rigida gerarchia, espressione di una religiosità profondamente teologica. Fondata su un unico credo e perciò nella sostanza non dissimile da quella romana, la liturgia bizantina si connota precipuamente per la ieraticità e la sontuosità dei riti e degli arredi, e la bellezza dei testi e della musica come anche di tutto quello che sia attinente alla Sacra Celebrazione. Tutto ciò è considerato, infatti, una sintesi teologica di ineguagliabile valore. Anche se, in particolare noi, abitanti delle sponde dell’Adriatico, siamo abituati alla presenza di segni appartenenti alla cultura bizantina in senso lato (mi riferisco soprattutto alla diffusione delle icone) è ancora forte il rischio di riportare tutto ai nostri schemi culturali e, purtroppo, oggi fortemente inquinati dal consumismo, senza entrare, anche solo in punta di piedi, nel profondo mistero della concezione orientale della vita e della religione. Dice bene Maria Gallo: “Un contatto serio con la liturgia della Chiesa d’Oriente può rappresentare per il cristiano occidentale di oggi un incontro decisivo per la sua vita, un urto con un mondo profondamente diverso, non solo da quello della sua esperienza più immediata e diretta, quale potrebbe essere quello dei luoghi comuni, delle idee correnti, delle mode teologiche e spirituali; ma anche
1 Un ringraziamento particolare sento il dovere di rivolgere a don Luigi Spadaro, parroco di S. Andrea in Barletta, e a don Ignazio Ceffalia, diacono dell’Eparchia greco-cattolica di Piana degli Albanesi, per la disponibilità e la guida di cui mi sono giovato nella ricerca condotta per la stesura del presente testo. 2
Cfr. D. Gelsi: “Orientali, Liturgie”, in D. Sartone e A. M. Triacca, a cura di: “Nuovo Dizionario di Liturgia”, Torino, 1984, pag. 993 -1007.
Oltre a D. Gelsi, op. cit. cfr. anche M. Gallo: “Liturgia Orientale della Settimana Santa”, Roma, 1974. Fondamentale il testo in italiano della Liturgia Bizantina: “Anthologhion di tutto l’anno”, traduzione dal greco di M. B. Artioli, Roma, 2000. Per il vespro e il mattutino esisteva già un’agile opuscolo: “La Grande Veglia Bizantina”, traduzione e note a cura di S. Parenti, Padova, 1984. 3
4
M. Gallo, op. cit., pag. 7.
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da quello, più profondo e ben altrimenti valido, delle sue radici, e cioè della nostra tradizione occidentale, anch’essa certo ricchissima e poggiata sul fondamento di grandi santi e dottori, ma profondamente diversa”4 . Quello che forse più colpisce la sensibilità occidentale è il profondo ottimismo che pervade tutti i testi della liturgia bizantina: traspare anche nei riti del Giovedì e del Venerdì Santo, legati alla Passione e Morte di Gesù, perché vissuti nella certezza della Risurrezione e nel costante ricordo che quella sofferenza e quella morte si sono concluse con una vittoria. Altro aspetto che subito appare è la ricchezza e la cura degli atti che richiamano un cerimoniale d’altri tempi, il legame originario appunto con la corte imperiale di Costantinopoli. Anche il linguaggio è profondamente radicato nella più antica tradizione della cultura greca. Il simbolismo pervade ogni piccolo gesto ed investe della sua valenza anche gli oggetti e i paramenti; Dio, infatti, “soggetto assoluto delle parole e azioni liturgiche. . . rimane, al di là di tutte le teofanie liturgiche, un mistero impenetrabile, tremendo e fascinoso, però la vita liturgica della Chiesa permette di conquistare il senso della trasfigurazione delle cose, la comunione con Cristo come Kyrios”5 . La partecipazione ad un rito bizantino anche per chi fosse abituato alla solennità delle cerimonie del rito romano - che non mancano certo di un loro fascino esclusivo - permette di sperimentare altre sensazioni di spiritualità e di contatto col divino. La prima chiesa cristiana non adottò nelle celebrazioni l’uso di arredi o di vesti particolari, ma venivano adoperati gli oggetti della vita comune, sicuramente per evitare qualsiasi fraintendimento con gli usi sia della religione ebraica che, soprattutto, del paganesimo. Già nel sec. IV inizia una prima distinzione per i vasi eucaristici, ma ancora nel sec. V le vesti dei ministri sono quelle comuni con esclusione degli abiti militari e di lavoro. In seguito le influenze culturali delle aree geografiche in cui si diffuse il Cristianesimo favorirono il crearsi di diverse tipologie confluite in Occidente negli arredi del rito romano, la cui storia è fortemente segnata dai gusti artistici dei vari secoli. In Oriente le tradizioni sono rimaste distinte anche sul piano degli arredi liturgici, diversi per i Copti da quegli degli Armeni. Anche la liturgia bizantina ha sviluppato una tipologia di arredi e di vesti propria, adottata dalla Chiesa Russa, che va a pieno titolo considerata figlia di Costantinopoli. I tessuti vengono usati sia per alcuni arredi liturgici che, naturalmente, per le vesti dei ministri6 ; le stoffe del corredo di S. Maria degli Angeli sono tutte pregiate e lavorate a mano, come anche i galloni e le nappe che le ornano. Le tinte sono in genere chiare; il fondo è arricchito talvolta con broccati dai colori vivaci e/o d’oro. La liturgia bizantina destina una particolare attenzione solo ai rossi: quelli più chiari sono usati nelle celebrazioni penitenziali, mentre quelli più scuri nel periodo della quaresima. Fra gli arredi particolare significato riveste l’antiminsion. Come per la Chiesa Romana, anche
5
D. Gelsi, op. cit., pag. 1001-1002.
Per la descrizione dei paramenti sacri e delle vesti liturgiche oltre i testi già citati possono essere consultati i vari cataloghi di opere d’arte e manufatti di tradizione orientale (in primis greci e russi, ma anche cretesi e ciproti e dell’area dei Balcani); in particolare, per la cura delle descrizioni C. Piovano, a cura di: “Arte e Sacro Mistero - Tesori del Museo Russo di San Pietroburgo”, Milano, 2000, soprattutto il “Glossario” di J. Lindsay Opie, pag. 238-242. 6
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per le Chiese Orientali il sigillo della consacrazione dell’altare è costituito dalle reliquie dei Santi, poste all’interno della mensa. Esigenze particolari favorirono la nascita dell’altare portatile, in Oriente chiamato antiminsion, termine che indicava anche un tessuto consacrato entro cui erano cucite le reliquie e che veniva posto su un altare temporaneo. A partire dal sec. XII l’antiminsion è solo il drappo che si pone sull’altare fra la prima e la seconda tovaglia. Nel periodo posbizantino passa a svolgere la funzione di corporale: su di esso si depongono i sacri vasi preparati per la Consacrazione del Pane e del Vino, che diverranno Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. I vasi sacri che contengono le Specie Eucaristiche sono coperti da tre veli: due più piccoli, chiamati diskokalymna e deuteron kalymna, di eguali dimensioni, posti a protezione del diskos (patena) e del poterion (calice); uno più grande, detto aìr, messo al di sopra di entrambi. A partire dalla fine del sec. XII sui kalymna e sull’aìr compaiono le prime raffigurazioni, che risultano particolarmente ricche e variate durante il sec. XIV. Già il patriarca S. Germano nel sec. VIII interpreta il velo della patena quale sudario del Corpo di Cristo in riferimento alla Grande Entrata della Divina Liturgia con cui le offerte preparate col rito della proskomidìa sull’mensa della prothesis sono portate in processione sull’altare principale per la consacrazione. Tale interpretazione simbolica sarà costantemente ripresa dai commentari liturgici che fanno riferimento anche alla figura della pietra che ricopriva il sepolcro di Cristo. Fra i paramenti restaurati di S. Maria degli Angeli ci sono due kalimna e due aìr. Dei due kalimna - entrambi decorati al centro di un gallone in forma di croce e agli angoli da nappe - quello più antico, in taffetas broccato, è stato datato al sec. XVII; l’altro, in lampasso di seta broccato, al sec. XVIII e fa parte dello stesso corredo di uno dei due aìr, anch’esso ornato con nappe e con una croce al centro. L’altro aìr, che non presenta alcuna applicazione, è un taffetas di seta broccato, tessuto francese di fattura pregiata del sec. XVII, con broccature colorate e d’oro e foderato di seta moire. Un altro drappo liturgico che riveste una funzione importante è la podea, posta sotto l’icona; l’uso di orlare di stoffa le icone è attestato già nel sec. XII: i testi dell’epoca parlano di venerazione della podea. In seguito le orlature sono divenute un panno a sé stante, usato in particolre per l’ostensione delle icone. Fra i paramenti liturgici in stoffa quello che riceve una venerazione del tutto particolare è l’epitaphios, la Sindone per i Bizantini, velo sul quale è ricamata la deposizione di Cristo nel sepolcro, oggetto di una speciale devozione durante le celebrazioni della Passione e Morte del Signore, dopo le quali viene deposto sull’altare per tutto il tempo di Pasqua. La versione attuale dell’iconografia della scena si è codificata nel corso del sec. XIV ed è in stretto legame con la simbologia dell’aìr. Concludiamo con un accenno alle principali vesti liturgiche dei ministri. Il celebrante indossa lo sticharion, (camice), ai cui polsi sono applicate le epimanikìa, o soprammaniche, che simboleggiano le corde con cui il Signore Gesù fu legato alla colonna, come riferisce Teodoro Balsamone (sec. XII); in quell’epoca erano riservate solo ai vescovi, mentre in seguito verranno indossate anche dai presbiteri e dai diaconi, solo che questi ultimi le portano sotto e non sopra il camice. Fra le vesti liturgiche di S. Maria degli Angeli sono state restaurate due epimanikìa che fanno parte dello stesso corredo del kalimna e dell’aìr del sec. XVIII; all’interno di una delle due è stato trovato un frammento di un tessuto più antico, un raso broccato rosso databile fra il sec. XVII e il sec. XVIII. L’epitrachilion è la stola sacerdotale, indossata sopra lo sticharion, ornata da sette croci e abbottonata sul davanti. Il significato simbolico più comune è legato alla Passione del Signore. Alla fine del sec. XIV Nicola Cabas nella sua “Spiegazione dei paramenti sacri” fa riferimento alla grazia che promana da colui che ha messo la sua vita totalmente nella mani del Cristo, grazia che discende dal collo secondo la nota figura del salmo 133. Dei due epitrachilion restaurati di S. Maria degli Angeli, quello più antico, datato al sec. XVI, è in prezioso velluto di seta ad inferriata rosso cremisi, tipico del Rinascimento; è orlato da due 122
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galloni in seta e termina in basso con quattro nappe; le croci applicate sono dello stesso gallone dell’orlo. L’altro è in damasco di seta rosso ed è databile al sec. XVIII. Completa il vestiario del presbitero il phelonion, una casula più corta sul davanti per consentire un agevole movimento delle braccia. Anche per il simbolismo di questa veste i commentari liturgici fanno riferimento alla Passione. Quello restaurato di S. Maria degli Angeli, databile al sec. XVII, è in damasco di seta rosso cremisi, ricavato da un unico taglio di seta, orlato da galloni, con una grande croce applicata sul retro all’altezza delle spalle. Il vescovo indossa anch’egli sticharion, epimanichìa e epitrachìlion, in origine indossava, anche il phelonion, sostituito verso la fine del sec. XVII dal saccos (simile alla dalmatica); sul saccos porta l’omophorion, la stola vescovile avvolta intorno al collo che ricorda la funzione di Cristo Buon Pastore. Altra insegna sua propria è l’epigonation, una stoffa su supporto rigido romboidale che in forma di borsa e legato al cingolo, pende sul ginocchio destro; l’interpretazione simbolica più comune fa riferimento alla borsa delle elemosine, ma Teodoro Balsamone - sec. XII - lo paragona al panno con cui Cristo asciugò i piedi agli Apostoli nell’Ultima Cena. Non si è potuto fare a meno, per completezza e precisione del discorso, di soffermarsi su alcune elencazioni, esclusivamente didascaliche, usando una terminologia propria. Esse costituiscono un indispensabile punto di riferimento per completare il quadro del patrimonio di beni artistici e cultuali della nostra chiesa e diventa facile immaginare lo splendore delle cerimonie che vi si celebravano. È da sperare che ciò susciti il desiderio di approfondire ulteriormente la conoscenza di riti gemelli che, pur ancorati a canoni rigidamente fissati nel tempo e, perciò, poco propensi a quel dinamismo moderno che oggi caratterizza il rito romano, hanno ancora da dire molto sulla “bellezza”, perché ad essa si ispirano, oltre che, naturalmente, ad una fede profonda nella Redenzione.
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MANUFATTI TESSILI CONSIDERAZIONI SU CONSERVAZIONE E RESTAURO
Antonella Dimarzo
I
manufatti tessili, di varia tipologia, ritrovati nella chiesa greca di S. Maria degli Angeli di Barletta, in pessimo stato conservativo, inducono ad alcune osservazioni. I tessili ancora oggi, nonostante si sia registrato negli ultimi decenni un interesse più sistematico, non godono della giusta attenzione e sovente sono sottoposti a stress di vario tipo che ne compromettono la conservazione. Si tratta di manufatti complessi, ottenuti da fibre naturali quali cotone, lino, canapa, lana, seta. Molto spesso sono polimaterici: nell’ambito dei paramenti liturgici convivono filati di origine animale, vegetale e di tipo metallico. Non è raro trovare carte o pezzi di altri tessili per dare volume a ricami. Naturalmente la varietà tipologica di tali elementi porta il tessuto ad avere reazioni individuali e diverse, in relazione agli agenti esterni che interagiscono tra loro. Posto che si tratta di fibre tessili è naturale che, ragioni intrinseche alla propria natura, conducano ad un inevitabile degrado, la cui maggiore o minore incidenza è dovuta al modo in cui, attraverso i secoli, sono stati utilizzati e conservati. Spesso l’usura o il cambio delle fogge, piviali trasformati in pianete o tonacelle in nuovi paramenti, hanno contribuito al degrado. Una delle cause maggiori di degrado è l’umidità, da cui conseguono l’alterazione dei colori, lo sbiadimento delle fibre e l’attacco di microrganismi quali muffe e batteri, che proliferano in condizioni di sporco umido. L’umidità provoca inoltre un rigonfiamento delle fibre e l’eventuale perdita della stessa, un restringimento, con la conseguente tensione sulle fibre. Sappiamo bene peraltro quanto sia deleterio un ambiente umido, o comunque un’importante variazione climatica, per qualunque tipo di manufatto, non necessariamente tessile. Altro elemento a cui prestare la massima attenzione è la luce. Le fibre naturali, animali o vegetali, sono tutte sensibili alla luce con il conseguente ed inevitabile scolorimento dei colori e disidratazione delle fibre. Tanto vale e per la luce naturale che per quella artificiale, anche se particolarmente dannosa risulta essere la luce del giorno, a causa della elevata presenza di raggi ultravioletti. Il danno grave della luce che provoca scolorimento, può diventare preoccupante nella fase successiva, cioè nel caso in cui si giunga alla rottura della fibra. Anche la qualità del supporto può contribuire a sbiadire i colori di un tessuto. Se il supporto assorbe energia radiante, subisce un mutamento strutturale che interferisce sull’intensità dei colori del tessuto. Bisognerà pertanto prendere una serie di precauzioni, talvolta piuttosto semplici, per proteggere i manufatti. In fase espositiva si potrà pensare ad interruttori di luce a tempo o a semplici tendine poste davanti alle vetrine, da spostare solo per il tempo necessario alla visione dell’oggetto da parte dello spettatore. Nelle sale espositive potrà essere utile schermare le finestre con tende o filtri speciali, e comunque buona norma risulta anche essere l’alternanza tra gli oggetti esposti e quelli in deposito. E’ naturale infine che si dovrà tener conto della distanza che deve intercorrere tra il manufatto e la sorgente luminosa. Va prestata attenzione particolare anche alla polvere che, insieme ai vari agenti inquinanti di natura acida che ad essa si accompagnano, è origine di danneggiamenti meccanici sui filati degradati e causa di reazioni chimiche a livello molecolare di fibre e coloranti. La polvere, i grassi, le particelle di carbonio presenti nell’atmosfera oggi più che nel passato, si depositano sulla superficie dei manufatti creando processi di deterioramento che, se non tempestivamente arginati, portano ad un grave e talvolta irreversibile degrado. Da un punto di vista estetico inoltre, i tessuti si presentano offuscati da un velo grigio che rende opachi i colori ed ottunde la lucentezza e la morbidezza dei materiali. I già citati microrganismi, in modo particolare le muffe, insieme agli organismi di origine animale, quali topi e diverse specie di insetti, provocano danni chimici e meccanici. Macchie o depositi di elementi di natura organica sui tessuti, possono portare 124
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al proliferare di colonie di parassiti e diventare un vero pericolo per la sopravvivenza dei manufatti. A tutto questo vanno aggiunti i non poco numerosi danni prodotti dall’uomo: non consapevolezza della preziosità di tale patrimonio, con conseguente scarso rispetto ed attenzione, usi impropri a cui taluni capi sono stati destinati nel corso dei secoli e maldestri, quanto inopportuni, interventi di cosiddetto restauro hanno fatto il resto. Talvolta i tessuti sono stati utilizzati, seppure in condizioni conservative già precarie, apportando su di essi pesanti manomissioni allo scopo di conservare solo le parti più intatte degli oggetti e addirittura eliminando quelle maggiormente danneggiate. In casi come questo sono stati effettuati grossolani rammendi, eseguiti con filati di colore e consistenza diversissimi dall’originale che, al di là del pessimo impatto visivo, creano tensioni alla zona circostante. Un cenno inoltre va fatto ai numerosissimi interventi di cosiddetto “riporto” di cui, quasi nessuna collezione presente nelle sacrestie delle chiese, è esente. Si tratta di un intervento arbitrario e drastico, purtroppo ancora in uso, teso a riportare il ricamo su un supporto diverso dall’originale. Il ricamo o parti di tessuto decorato, vengono ritagliati da fondi deteriorati (quasi sempre recuperabili), per cucirli su nuovi supporti di stoffa. E’ evidente quanto tale intervento distruttivo ed ovviamente non reversibile, comporti un totale stravolgimento degli oggetti, privandoli per sempre della propria matericità e della propria contestualizzazione cronologica. Le considerazioni fatte fin qui portano, come logica conseguenza, l’importanza di una corretta conservazione di tali manufatti, atta alla prevenzione del loro decadimento materico o, quantomeno, alla limitazione dei processi di degrado nel caso di manufatti già compromessi. Si dovranno pertanto conservare tali oggetti in ambienti con una umidità dell’aria intorno al 50 % ed una temperatura intorno ai 18-20°C, senza alterazioni di rilievo. La protezione dalla luce e dalla polvere potrà essere garantita ponendo gli oggetti all’interno di armadi o cassettiere in legno, possibilmente adagiati in piano e ricoperti con carta velina non acida. Se appesi, dovranno essere posti su supporti debitamente imbottiti con materiali opportuni, quale cotone bianco disapprettato. Bisognerà sempre verificare le chiusure degli armadi apponendo filtri antipolvere. Come è ovvio una buona conservazione potrà consentire interventi di restauro meno frequenti e meno costosi. In ogni caso, come sempre prima di affrontare un intervento di restauro, prescindendo dalla tipologia del manufatto, l’oggetto dovrà essere attentamente esaminato dallo storico dell’arte e dal restauratore, perché il lavoro da intraprendere deve tener conto della materia del manufatto e delle cause che hanno portato al degrado. Nello specifico, dopo un attento esame diagnostico, trattandosi di oggetti d’uso, si dovrà valutare se il ma-
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nufatto avrà una destinazione museale o, qualora le condizioni conservative lo consentano, potrà, duranti particolari festività e con le dovute cautele, essere utilizzato. Si valuterà la dimensione del manufatto, il tipo di sporco (polvere di superficie, gore provocate dall’acqua, tracce di traspirazione negli abiti, depositi di colle vegetali e animali), l’estensione del degrado, la quantità e consistenza delle riparazioni e dei rammendi. Di conseguenza, ci si limiterà ad accurati interventi di pulitura, tesi a liberare i tessuti da sostanze e depositi che possano danneggiarli, evitando l’operazione del lavaggio in acqua. Tale intervento va valutato in base all’esito dei tests di scoloritura dei colori, alle fibre costitutive del manufatto, alla presenza di ricami ed in relazione allo stato di conservazione generale dell’oggetto. Qualora tale operazione venga ritenuta possibile, si utilizzeranno sapone neutro, acqua distillata e temperatura non superiore ai 40°C, per immersione, senza strofinare. L’asciugatura dovrà essere effettuata rispettando la forma dei capi e l’ortogonalità delle fibre, senza l’ausilio di fonti di calore e senza esporli direttamente al sole. In alternativa a questa operazione, si potrà effettuare una pulitura a secco. Anche relativamente all’intervento di consolidamento, si dovrà fare quanto è necessario, ma esclusivamente l’indispensabile, dopo aver stabilito il tipo di consolidamento più opportuno. Un intervento corretto di restauro deve limitarsi a fermare il degrado, migliorando l’aspetto estetico dei paramenti, attraverso interventi reversibili. Non è pensabile ripristinare l’antico splendore di un oggetto, perché ciò comporterebbe interventi più invasivi e puliture più drastiche. Piuttosto che sottoporre gli oggetti a stress futuri è più opportuno porre attenzione alle condizioni conservative degli oggetti già restaurati, in modo da evitare il ripetersi di quelle situazioni sfavorevoli che hanno portato gli oggetti al degrado. Conviene pertanto, in conclusione, intervenire sull’ambiente scongiurando luce, umidità, polvere, errato immagazzinaggio, per intervenire il meno possibile e conservare i manufatti il più a lungo possibile.
Laboratorio restauro tessili dell’Abbazia Benedettina “Mater Eclesiae” Isola San Giulio (a cura di) - Per una buona conservazione dei manufatti tessili. Isola San Giulio-Orta (Novara), 1998. R. Pavoni (a cura di) - Il restauro dei manufatti tessili: aggiornamenti. Appunti del Museo Bagatti Valsecchi. Milano, 1999. R. Varoli Piazza - Manufatti tessili in Edifici storici di culto, decorazioni, arredi. Guida alla manutenzione a cura di G. Basile Roma, 1999. R. Varoli Piazza - Indicazioni di conservazione e restauro di manufatti tessili antichi in Magnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meridionale a cura di G. Cantelli. Caltanissetta Museo Diocesano 12 dic. 1998 – 28 febbr. 1999. Palermo, 2000.
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Il Restauro dei Manufatti Tessili
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RESTAURO DI DIECI MANUFATTI DELLA COLLEZIONE TESSILE Gabriella Bozzi
Il difficile e articolato restauro dei dieci manufatti della ampia collezione tessile ritrovata nella Chiesa di S.Maria dei Greci, è stato svolto secondo il seguente schema:
1)
Fotografie e catalogazione dei manufatti.
2)
Rilievi e grafici delle tecniche di cucitura, delle caratteristiche stilistiche e sartoriali prima del restauro.
3)
Scucitura dove possibile e necessario degli elementi decorativi (nappe e galloni) delle fodere e interfodere presenti.
4) Accurata micro e macroaspirazione dalle stratificazioni di polvere delle sezioni interne ed esterne, dritti e rovesci e di tutte le parti che compongono i manufatti. 5)
Prelievo di piccole porzioni di trame e orditi dei colori presenti nelle tessiture per verificare la solidità delle tinture.
Smacchiatura localizzata tramite solventi delle macchie o incrostazioni più tenaci.
6)
7)
Pulitura a tampone, per immersione o vaporizzazione calda o fredda, effettuata con acqua demineralizzata, detergente neutro, e alcool di tutti i tagli di stoffa. Le zone più danneggiate ed infragilite sono state preventivamente protette con reti di tulle a maglia media o larga.
8) Pulitura di tutti i galloni e nappe, tramite vaporizzazioni, tamponi, impacchi, immersioni, vaporizzazioni effettuate con acqua deminerallizata, alcool detergente neutro, solventi.
9)
Rimessa in forma o riposizionamento di tutti i pezzi e degli elementi decorativi.
10) Consolidamento e integrazione delle lacune a cucito e con inserti di tessuti di seta tinti nei colori adeguati. 11) Riassemblaggio dei vari pezzi ottenuto tramite nuove cuciture attenendosi scrupolosamente alle documentazioni fotografiche, ai rilievi e alle tracce delle antiche cuciture.
12) Vaporizzazione estetica finale.
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ELENCO DEI PEZZI RESTURATI 1) EPITRACHILION - STOLA DI VELLUTO CON NAPPE cm. 134 x 34,5 (escluso nappe) Velluto di seta ad inferriata Sec. XVI 2) KALIMNA - VELO DA CALICE CON NAPPE cm. 30 x 30 (escluso nappe) Lampasso di seta broccato Sec. XVIII
3) AIR - VELO CON NAPPE cm. 55,5 x 64.5 (escluso nappe) Lampasso di seta broccato Sec. XVIII
4) EPIMANIKIA - FRAMMENTO DI SOPRAMMANICA cm. 15,2 x 28 Raso broccato Sec. XVII - XVIII 5/6) EPIMANIKIA - COPPIA DI SOPRAMMANICA cm. 18 x 30 Lampasso broccato Sec. XVIII 7) KALIMNA - VELO DA CALICE cm. 29,5 x 34,5 (escluso nappe) Taffetas broccato Sec. XVII 8) EPITRACHILION - STOLA DAMASCO ROSSA cm. 131 x 31 (escluso nappe) Damasco di seta Sec. XVIII 9) PHELONION - PIANETA A CAMPANA O CASULA cm. 128 x 220 (circonferenza totale) Damasco di seta Sec. XVII 10) AIR - VELO cm. 58 x 51 Taffetas broccato Sec. XVIII
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EPITRACHILION Stola di velluto con nappe - velluto si seta ad inferiata Sec. XVI (prima del restauro)
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KALIMNA Velo da Calice con nappe - Lampasso di seta e broccato
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AIR Velo con nappe - Lompasso di seta broccato Sec. XVIII (durante il restauro)
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EPIMANIKIA Frammento di sovrammanica - raso broccato Sec. XVII - XVIII circa
EPIMANIKIA Coppia di sovrammanica - campasso broccato Sec. XVIII
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KALIMNA Velo da Calice - Taffetas broccato Sec. XVIII
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EPITRACHILION Stola di damasco rossa - damasco di seta Sec. XVIII
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EPITRACHILION
Stola di velluto ad inferriata cm. 134 x 34,5 (escluse nappine) Sec. XVI
STATO DI CONSERVAZIONE La stola, composta da undici frammenti di velluto uniti fra di loro tramite cuciture, rifinita da due galloni di seta e da quattro nappine, è foderata all’interno con una tela di cotone misto lino in colore naturale. A seguito dello stato di abbandono e incuria, il manufatto versava in pessimo stato di conservazione. Su tutta la superficie del dritto e del rovescio erano presenti uno strato grigio di polvere incrostata, abrasioni, caduta di ordito di pelo, piccole incrostazioni di cera, sgranature e indebolimenti della tessitura di fondo, tagli, grinze e pieghe un pò dappertutto, numerose lacune, piccoli fori prodotti dall’azione di insetti xilofagi, graffi e incisioni. I galloni di seta apparivano con sgranature dell’intreccio tessile, sfilacciature, uno strato grigio di polvere inglobata, evidenti deformazioni. Le nappine erano completamente stropicciate, deformate, ingarbugliate e sporche. Una lacuna era stata rattoppata malamente tramite rozza cucitura con un piccolo inserto di velluto ritagliato dalla stessa stoffa di origine. INTERVENTO DI RESTAURO Dopo aver accuratamente rilevato le caratteristiche sartoriali del manufatto e la tecnica di cucitura, si è passati alla completa scucitura dei galloni, della fodera delle quattro nappine e della toppa presente. Poi è stata eseguita una prima aspirazione controllata del velluto, della fodera, e dei galloni e delle nappe seguita da altre microaspirazioni approfondite e accurate di tutte le parti. Con l’aiuto di un bisturi a lama intercambiabile, termocauterio e carta assorbente si sono asportate le piccole incrostazioni di cera. In zone assolutamente non importanti del tessuto, dei galloni e delle nappe, si sono prelevate piccole porzioni di fibre per eseguire un test di verifica della stabilità del colore propedeutico alla fase di pulitura. La pulitura della fodera e del velluto è stata effettuata tramite vaporizzazione a freddo, del recto e del verso dei tessuti scegliendo di procedere, sopratutto per il velluto, a più riprese, per dare tempo alle fibre di assorbire gradualmente umidità al fine di restituire un pò di corpo e volume alle numerose zone schiacciate. I galloni sono stati puliti a tampone con acqua demineralizzata ed alcool etilico al 10-15%. Le nappine prima vaporizzate e poi messe in ordine “pettinandole”, sono state consolidate con una leggera impregnazione a pennello di carbossimetilcellulosa sciolta in acqua demineralizzata al 2-3%. Il velluto, la fodera e i galloni ancora umidi sono poi stati riposizionati al fine di ridurre le deformazioni. Concluse queste fasi, si è passati al consolidamento del tessuto originale su nuovo supporto tramite punto posato, cucito con un filato di seta tinto in colore adeguato. Le zone sgranate e quelle in cui, caduto l’ordito di pelo e l’ordito del raso di fondo, affioravano le trame gialle, sono state meticolosamente ricomposte tramite leggera trazione controllata e poi consolidate. L’integrazione delle lacune è stata effettuata sovrapponendo a dritto filo più strati di sottile crepeline di seta tinte in tonalità differenti. La sovrapposizione delle sete agisce sia otticamente, come una vera e propria selezione cromatica, che fisicamente dando più corpo e sostegno alle zone del tessuto che, privato delle trame e orditi, è effettivamente più debole. Seguendo scrupolosamente i rilievi, i grafici, e le fotografie precedenti il restauro, il manufatto è stato riassemblato tramite cuciture nascoste. Infine è stata effettuata la rifinitura estetica tramite vaporizzazione fredda estetica. G.B.
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EPITRACHILION Stola di velluto ad inferiata Sec. XVI
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PHELONION
Casula in damasco di seta cm. 128 x 220 (circonferenza totale) Sec. XVII
STATO DI CONSERVAZIONE Al momento del ritrovamento il manufatto era in pessimo stato di conservazione. Composto da otto pezzi ricavati da un unico taglio di seta, assemblati tramite cuciture, rifinito da galloni di argento filato dorato su accia di seta gialla. Tutta la superficie era ricoperta da uno strato grigio di polvere inglobata nell’intreccio della tessitura. Questo sporco aderiva al tessuto per elettrostaticità e per mezzo di un film oleoso formatosi in seguito alle diverse manipolazioni subite nonché al totale abbandono per lunghissimo tempo. La quantità di polvere e sporco era tale da costituire una importante fonte di degrado per la seta e per le fibre metalliche stesse che apparivano molto inaridite, irrigidite e fragili. Un pò dovunque erano evidenti schizzi e incrostazioni bianche e aloni giallastri, piccole macchie di inchiostro, una grossa incrostazione a gora di colore bruno nella zona delle spalle, grinze e deformazioni degli intrecci. Inoltre una grossa lacuna in basso anteriormente e una più piccola posteriormente causate dalla azione dei topi, deturpavano in maniera vistosa l’ andamento del modulo decorativo della tessitura. All’interno la fodera presentava aloni untuosi di sporco in pò dovunque. Molto evidente appariva una larga macchia bruna in corrispondenza della grossa incrostazione sulle spalle. In basso una grossa lacuna anche sulla fodera coincidente con quella del damasco. I galloni erano molto sporchi, ingrigiti e opachi. In alcune parti erano presenti sfilacciature e sgranature della fine tessitura. INTERVENTO DI RESTAURO Dopo i consueti ed accurati rilievi dei dati sartoriali, la scucitura della fodera e dei galloni, la prima operazione è consistita in una accurata aspirazione controllata del manufatto e della fodera effettuata più volte, sia all’interno che all’esterno dei tessuti. La preparazione alla pulitura è avvenuta con le stesse modalità seguite per il velluto. Verificata la solidità del colore, in considerazione delle avanzate condizioni del degrado, si è scelto di immergere completamente il manufatto in acqua demineralizzata e detergente neutro. Dopo una immersione in sola acqua demineralizzata e dopo 10 minuti l’inserimento del detergente si è passati al lavaggio eseguito con pennelli di martora e spugnature secondo il senso della trama davanti e dietro. E’ stato poi eseguito il risciacquo con acqua demineralizzata ripetuto fino alla completa eliminazione del detergente. E’ stata poi assorbita l’ acqua in eccesso tramite panno-carta. Il tessuto bagnato è stato poi riposizionato su carta a quadretti per eliminare le deformazioni. Il tessuto a fine trattamento è apparso nettamente migliorato sia dal punto di vista fisico che estetico. Restituendo ortogonalità all’intreccio il decoro è più leggibile, le fibre hanno riacquistato lucentezza e morbidezza. La fodera è stata invece pulita a tampone con acqua demineralizzata e detergente neutro e con alcool etilico. Sulla grossa macchia bruna dopo i ripetuti trattamenti localizzati si è scelto di non intervenire ulteriormente per non indebolire oltremodo il tessuto già molto infragilito. I galloni di argento dorato sono stati attentamente puliti a tampone con piccole ripetute imbibizioni e impacchi di acqua demineralizzata e alcool al 5/10%. L’ integrazione delle grosse e piccole lacune è stata eseguita sul damasco sovrapponendo a dritto filo e cucendo a punto posato tre strati di crepeline di colori differenti al fine di ottenere un leggero sottotono cangiante che ben si adegua all’ effetto lucido-opaco tipico del damasco, e sulla fodera con una tela di cotone batista tinta nel colore più vicino all’ originale e cucita sempre con il punto posato. Grazie all’ aiuto dei grafici e delle fotografie prima del restauro il manufatto è stato poi riassemblato seguendo le tracce delle antiche cuciture e rimesso in forma secondo le caratteristiche sartoriali originali. G.B. 138
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PHELONION Casula in damasco di seta - Sec. XVIII
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AIR
Velo in taffetas di seta broccato Cm. 58 x 51 Sec. XVIII
STATO DI CONSERVAZIONE Il raffinato tessuto confezionato in un unico pezzo non presenta alcuna rifinitura decorativa (galloni). Al rovescio è presente una raffinata fodera di seta moire. Al momento del ritrovamento il degrado era piuttosto allarmante: tutta la superficie del tessuto anteriore era molto irrigidita da uno strato di polvere inglobata negli intrecci sia del fondo che delle broccature colorate e di quelle d’oro. Vi erano numerosissime stropicciature, grinze e pieghe secche accumulatesi nel corso del tempo trascorso e nella totale incuria. Vi erano inoltre numerose abrasioni degli effetti di controfondo e sfilacciature delle anime di seta gialla delle broccature d’oro che in alcuni casi erano sfilate e sollevate. Il modulo decorativo era deformato e il tessuto aveva perso ortogonalità. La bellezza delle raffinate e delicate cromie, era inoltre compromessa dalla presenza di due grandi macchie gialle untuose penetrate e assorbite completamente dalle fibre di seta. Il manufatto era stato inoltre rimpicciolito da due pieghe cucite di circa cm. 3 sui lati più corti superiore e inferiore. Erano presenti tagli e lacune nel senso delle trame con aggrovigliamenti e sfilacciature delle fibre. Alcune broccature di seta colorata erano schiacciate e sbiadite. La fodera presentava lo stesso allarmante stato di degrado: poco leggibile l’ effetto moire, deformazioni su tutta la superficie, opacità della fibra serica.
INTERVENTO DI RESTAURO Dopo aver scucito i due tessuti e aver guadagnato i cm. ripiegati si è provveduto, a più riprese, alla rimozione meccanica tramite pennelli di martora, delle incrostazioni di polvere e alla aspirazione scrupolosissima del dritto e del rovescio dei due manufatti. Sono stati effettuati i test di solubilità dei colori presenti sul tessuto broccato e dopo aver ripetutamente trattato localmente le vistose macchie, si è scelto di effettuare la pulitura del manufatto tramite immersione in acqua demineralizzata e detergente neutro. La fodera di seta moire è stata ripetutamente ed attentamente vaporizzata a freddo su carta assorbente, nell’intento di alleggerire la vistosa macchia untuosa. Questa delicatissima fase è stata molto controllata perchè l’effetto moire tende, se bagnato, a dileguarsi. Accertata l’impossibilità di asportare completamente le macchie senza compromettere ulteriormente la solidità dei tessuti, si è deciso di fermare la pulitura ad un livello conservativo ed estetico accettabile. I due tessuti sono poi stati riposizionati. L’integrazione delle lacune è avvenuta tramite cucitura di inserti di crepeline di seta adeguatamente tinto, e i consolidamenti sono stati eseguiti a punto posato eseguito con filato di seta sottilissimo. Infine si è proceduto al riassemblaggio delle due parti tramite piccole cuciture e alla vaporizzazione fredda, estetica finale. G.B.
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La Chiesa Greca di Santa Maria degli Angeli a Barletta IL RESTAURO DEI MANUFATTI TESSILI
AIR Velo in Taffetas di seta broccato Sec. XVIII
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Progetto grafico: Carlo Petrafesa Finito di stampare nel mese di aprile 2003 presso Editrice Rota, Barletta (BA) Euro 25,00