BOLLETTINO
cosa si muove in CasaPound Italia
luglio
NUMERO
7
2013
ITALIA
RICORDATI DI ROMA UNA NAZIONE CHE CERCAVA NEL PASSATO CONFERMA E ISPIRAZIONE PER IL FUTURO ORA SI SCOPRE AL CAPOLINEA
- Di che è fatta l’italianità? - L’italianità è marmo che vince la palude La palude. Era chiamato così, ai tempi della Rivoluzione francese, il centro del nuovo assetto politico post-rivoluzionario. Ovvero il segmento degli opportunisti, degli ignavi, dei vili, degli indecisi. La palude è, in effetti, il luogo in cui non è possibile la decisione. Sulla palude non si può edificare, nessun eroe fondatore può tracciare il solco primigenio e dare origine ad una nuova civiltà. Nella palude si affonda, perché è il luogo dell’informe, della mancanza di solidità, è ristagnare venefico di acquitrini melmosi che non hanno la durezza e la fecondità della terra né l’inquietante e grandiosa profondità del mare. La palude può però essere vinta dal lavoro e dalla volontà umana che, annientandola, edificano un mondo propriamente umano. Può essere redenta allorché lascia il posto al marmo. L’enorme, enigmatico monolito nero che fa la sua comparsa nel bellissimo incipit di 2001: A space odyssey mette bene in evidenza questo carattere “puramente umano”. Il monolito, squadrato, geometrico, ieratico si distingue immediatamente da tutto ciò che si trova intorno ad esso, dal paesaggio pietroso e desertico, ma anche dalle stesse scimmie, ancora semplicemente e totalmente immerse nella natura. Il monolito è opera umana e forse proprio in virtù di questa sua non-naturalità esso è in grado di trasformare per sempre l’esperienza del mondo propria delle scimmie, che da quel momento scoprono lo strumento-arma e tutto ciò che ne consegue: la tecnica, la caccia, il dominio, la potenza. «Il tempio, in quanto opera, dispone e raccoglie intorno a sé l’unità di quelle vie e di quei rapporti in cui nascita e morte, infelicità e fortuna, vittoria e sconfitta, sopravvivenza e rovina delineano la forma e il corso dell’essere umano nel suo destino […]. Eretto, l’edificio riposa sul suo basamento di roccia […]. Stando lì, l’opera tiene testa alla bufera che la investe, rivelandone la potenza. Lo splendore e la luminosità della pietra, che essa sembra ricevere in dono dal sole, fanno apparire la luce del giorno, l’immensità del cielo, l’oscurità della notte». Componendo questa evocativa descrizione, Martin Heidegger ci catapulta nel cuore di una civiltà, quella ellenica, che della luminosità e della durezza fece la sua ragion d’essere. Lo stesso termine “marmo”, del resto, deriva dal greco marmaros, con il significato di “pietra splendente”. La Grecia antica era in effetti ricca di cave di marmo, con numerose varietà pregiate di marmi bianchi (pentelico, tasio, nassio, pario). In quella terra, nel momento aurorale della civiltà euro-
pea, il marmo è lo sfondo a partire da cui si stagliano gli ierogrammi che danno corpo ad un linguaggio che dice di bellezza, disciplina, sapienza e gioventù. Un linguaggio che riecheggerà, non con intenzioni innocenti, in pieno Novecento nella luminosa evocazione del Dorische Welt compiuta da Benn. Quando dall’Ellade l’uso del marmo si trasferisce a Roma, esso va ad alimentare una cultura “monumentale”. “Monumento” deriva dal latino monère, “ricordare”. Cultura monumentale è quindi l’anelito tragico e grandioso di una civiltà che osa sfidare l’eternità, autocomprendendosi in un sogno imperiale di sovrumana grandezza. Questo sforzo grandioso, inconcepibile in ogni orizzonte piccolo-individualista, narcisista, umanistico e “democratico”, non è altro che l’estensione al livello dell’impresa collettiva di quell’etica dell’onore che prescriva come sommo bene la “gloria-che-non-muore”. È per questo che si fondano le città, si tracciano i solchi e si creano le civiltà: non per un borghese e burocratico “contratto sociale”, ma per darsi un destino. O, come dice la Bibbia quando lancia le sue
invettive contro l’avventura storica dell’uomo: per farsi
un nome. Ma l’impresa imperiale non può che essere un’avventura collettiva. Roma, quindi, è sempre e comunque res publica. «Repubblica / la cosa di tutti / fa pensare a marmo e acquedotti / a città romane / costruite da gente inventiva e capace / di ispirazione / una cosa da tutti», canta SFS. E non è forse un caso che quando la regista statunitense Julie Taymor vorrà ambientare, al di là di ogni tentazione di mimetismo realista, il Titus Andronicus di Shakespeare, non troverà altra ambientazione possibile che nell’architettura realmente “tragica”, perché ispirata a tragica grandezza, dell’Eur romano. Ne uscirà fuori quel gioiello incompreso che è Titus. L’Eur, in effetti, non è altro che la pietrificazione di un’idea. Il 21 aprile 1922, pochi mesi prima della presa della capitale, Mussolini dichiarava: «La Roma che noi onoriamo non è soltanto la Roma dei monumenti e dei ruderi, la Roma delle gloriose rovine ma soprattutto la Roma che noi vagheggiamo e prepariamo è un’altra: non si tratta di pietre insigni ma di anime vive, non è contemplazione nostalgica del passato, ma dura preparazione dell’avvenire».
Concetti analoghi venivano espressi dall’architetto fascista Enrico Del Debbio:
«Vorremo noi creare con forme nostre e sincere allo scopo, al tempo, al materiale, la Roma moderna […]. L’arte non è copia cristallizzata ma nuova creazione». L’immagine del mondo neo-romana scolpita nell’Eur, colpisce in effetti l’osservatore, soprattutto in confronto all’assenza di immagine dell’architettura “democratica”. Fanno riflettere, a tal proposito le osservazioni che Ugo Ojetti, giornalista e critico d’arte, annota nel suo diario dopo aver ascoltato dalla bocca del Duce i futuri progetti del fascismo per Roma: «Tra cinque, tra dieci, tra quindici anni […]. I ministri di una volta non potevano dire nemmeno tra un mese», scrive. C’è, in quei marmi bianchi squadrati, in quello forme “doriche”, un progettualità epocale sconosciuta alla posterità antifascista. Come osserva lo storico Emilio Gentile: «Il fascismo ebbe il culto della monumentalità come espressione collettiva di una civiltà che vuole lasciare la sua impronta nella storia sfidando il tempo, conferendole per questo un significato simbolico e sacrale». Cosa che comporterà la massima costernazione dello storico dell’arte francese Louis Gillet che, in visita alla Mostra della Rivoluzione, esclamerà, non senza una certa nostalgia per il paese della pizza e del mandolino: «E’ questa ancora Italia? E’ questa la terra dei sorrisi, del sole e della bellezza?». È la vecchia nostalgia per l’Italia serva ma simpatica, per il chiaro di luna e la torre di Pisa, con «gente in costume da bagno e occhiali di plastica, gente che si abboffa di pasta ma poi fa ginnastica, che vuole bene alla mamma e quando segna la nazionale va in crisi mistica», come canta ancora SFS. Ma ha ragione Gillet. Quella cui lui aveva avuto la fortuna di assistere era un’altra Italia e un’altra Roma. Era la Roma nuova così descritta dal senatore Vittorio Cini: «Chi venendo da Roma o dal mare si affaccerà dalla via dell’Impero […] vedrà aprirsi, fra candidi marmi e travertini dorati, la città nuova, viva d’acque e di verde; una città degna di stare accanto all’antica, ma con questo i più: che essa, nella sua cornice di severa e potente architettura, sarà atta ad accogliere la multianime, dinamica vita d’oggi e di domani». Come marmo che vince la palude. A.SCIANCA.
GIACOMO
BO
NI
CasaPound Italia ha reso oggi omaggio, presso la sua tomba sul colle Palatino, alla figura di Giacomo Boni, l’archeologo – morto il 10 luglio 1925 – a cui si devono gran parte delle scoperte archeologiche visitate ogni anno da migliaia di turisti nel foro romano. Oggi sconosciuto ai più, Boni è stato una personalità straordinaria che ha saputo unire in sé la precisione dello studioso e l’ispirazione del vate. Chi lo ha conosciuto lo ha descritto come una figura che ricordava i veggenti dell’antichità ed è del resto noto che la scoperta del lapis niger sia avvenuta dopo che Boni ne aveva avuto la rivelazione in sogno. Questa sensibilità lo portò ad individuare nel fascismo il soggetto politico destinato a far rivivere il fuoco sacro di Roma, dopo che già in passato Boni aveva abbracciato la causa inter-
ventista. Fu proprio lui a ricevere il compito di definire la forma definitiva e ufficiale del fascio da imprimere sulle nuove monete da due lire, missione che egli portò a termine dopo studi accuratissimi e per i quali non volle ricevere compenso. Più volte inviò a Mussolini dei rami augurali di lauro, in ricordo dei soldati romani che tramite questa pianta sacra santificavano anche le azioni più terribili commesse in guerra. Nel suo ultimo discorso in Senato, dove era entrato in riconoscimento dei suoi meriti culturali, citò la Bhagavad Gita, il testo sacro dell’epica guerriera indoaria. Conobbe anche Ezra Pound. Per volere di Benito Mussolini e dietro proposta di Gabriele D’Annunzio è oggi l’unico italiano seppellito sul colle Palatino.
AD
SUDAF
D
FRICA
Sol.Id. in Sud Africa: Al via la missione dei volontari europei nella terra dei Boeri. Pretoria, 22 luglio - “Il lavoro svolto in tutta Europa grazie alla solidarietà dei nostri associati e simpatizzanti e grazie all’attività dei nostri volontari ha permesso oggi di essere qui in Sud Africa per portare il nostro aiuto direttamente dove è più necessario. Le donazioni e i fondi raccolti serviranno per ristrutturare le aule e la mensa sociale della scuola di Kleinfontein”. A dichiararlo è Guido Bruno, volontario italiano di Sol.Id. da qualche giorno sbarcato in Sudafrica per coordinare la parte culminante del progetto della associazione di volontariato e solidarietà europea. La delegazione passerà una settimana nella città di Kleinfontein per incontrare la comunità locale e le istituzioni Boere, come i dirigenti della Oranjekas, la banca cooperativa boera. Poi proseguirà il tour nel paese africano da sempre caratterizzato da profonde contraddizioni. “Abbiamo deciso di affiancare le istituzioni boere come il consiglio Boero-Afrikaner, H.N.P., per aiutare questa che ad oggi è la vera minoranza discriminata del Sudafrica – dichiara il responsabile del progetto Ruben Rosiers - Siamo orgogliosi che il nostro progetto abbia trovato grande appoggio e solidarietà in Europa, dove riporteremo la testimonianza di questa missione".
’ GIU LE MANI DA
FINMECCANICA
La nomina a presidente di De Gennaro, appare come il primo passo verso svendita di finmeccanica, tassello fondamentale del piĂš ampio progetto di svendita del paese.
“Da tempo sosteniamo che uno degli obiettivi di chi ha voluto imporci governi tecnici e larghe intese sia la svendita e lo smembramento dei gioielli industriali e energetici dell’Italia: ebbene, la nomina di Gianni De Gennaro a capo di Finmeccanica è l’allarmante conferma che i nostri timori erano fondati”. Così CasaPound Italia commenta la nomina dell’ex capo della polizia a presidente della più importante azienda italiana nel settore della Difesa. “Anche simbolicamente – spiega Cpi – il ricordo dei fatti della Diaz sembra inquietante: De Gennaro, oggi come allora, è l’uomo che entra in scena nei momenti in cui la politica fa un passo indietro. Stavolta si tratta di smantellare, magari tramite una finta moralizzazione, la spina dorsale economico-industriale della nazione. Non a caso molti analisti prevedono a breve una svendita di asset come Ansaldo Energia o Selex e un generale ridimensionamento di tutta Finmeccanica in generale”. Del resto, per CasaPound, “il profilo di De Gennaro parla chiaro e la sua vicinanza agli ambienti politici che contano è nota: fra i suoi sponsor diversi giornali hanno indicato Massimo D’Alema, Gianni Letta e Giorgio Napolitano. Ma l’ex capo della polizia è anche un nome caro agli Stati Uniti: unico non americano ad aver ricevuto la massima onorificenza dell’Fbi, De Gennaro vanta buone relazioni oltreoceano da una trentina d’anni. Quanto peseranno questi rapporti sull’uomo che avrà in mano gran parte della nostra residua indipendenza energetica e industriale che da tempo sembra fare molta gola proprio a Washington?”. Cpi, infine, pone dei dubbi sulla modalità in cui è avvenuta la nomina: “Che senso ha – si chiede il movimento di via Napoleone III – pagare due società di consulenza, Spencer Stuart Italia e Korn Ferry Intl, ovviamente americane, per valutare i nomi più adatti al ruolo se poi si sceglie una personalità completamente digiuna di qualsivoglia competenza nel settore? Quanto sono costate quelle consulenze ai contribuenti? Hanno valutato i curricula o hanno svolto altri tipi di ragionamenti, magari pro domo sua? Stupisce, infine, la facilità con cui è stata aggirata la legge Frattini sul conflitto d’interessi che a prima vista sembrava escludere De Gennaro, ex sottosegretario nel governo Monti con delega sui servizi segreti, dalla lista dei papabili. Eppure, in un paese malato di burocrazia, è bastato dare un’interpretazione meno letterale della legge per passarvi sopra allegramente. Segno che le spinte per la nomina di De Gennaro erano troppo forti, il che non è un buon segno per l’Italia”.
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Johann Wolfgang von Goethe | uomo universale
“Roma è la capitale del mondo” *