DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016
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ANNO XV - N° 38 - DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016
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Il denaro divide, non può unire: il fallimento occidentale
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CIRO TROISE
Il denaro divide, non può unire: il fallimento occidentale
Le guerre diventano missioni di pace, i licenziamenti esuberi, l’assenza totale della programmazione del futuro nella vita di un giovane l’hanno definita flessibilità. E’ un vecchio vizio del sistema occidentale quello di manipolare il lessico per raccontare un mondo che non esiste, per coprire le difficoltà con la riproduzione più moderna dell’ottimismo stile famiglia del Mulino Bianco. La più grande deformazione lessicale riguarda la parola più diffusa del modello occidentale: crisi. Non è così, questo termine fa pensare ad una “malattia” congiunturale, risolvibile con qualche taglio alla spesa pubblica e la riduzione dei diritti sociali, sempre più un ricordo delle generazioni precedenti per tante fasce deboli della società in cui viviamo. Vi immaginate se i media occidentali, invece di usare la parola crisi, parlassero di fallimento? La consapevolezza di vivere in un sistema che ha finito la sua corsa, perdendo la sua battaglia storica,
economica e culturale, che conseguenze genererebbe nell’esistenza quotidiana e nell’approccio di tanti cittadini? La Brexit e l’elezione di Trump negli Stati Uniti d’America a distanza di pochi mesi rappresentano una lezione per il materialismo occidentale, la scuola di pensiero per cui tutto è riassumibile nei titoli in Borsa, nella forza da considerare ai cambi di valuta. E’ vero, il fallimento è anche economico, basta considerare la differenza in termini di condizioni di vita tra padri e figli in quello che per anni è stato presentato come il modello del benessere.
La sfida, però, è culturale ed è lì che l’Occidente ha drammaticamente perso. L’errore è concettuale, l’unità, la condivisione, l’aggregazione, oltre allo scopo militare, ha aggiunto solo quello economico, l’idea fallace per cui il denaro possa unire. E’ la storia della comunità che insegna che ciò non può reggere, le sperequazioni sociali si sono diffuse quando sono stati abbandonati gli antichi sistemi come quello del baratto. Il disastro Unione Europea si riassume nel fatto che si tratta di un’aggregazione esclusivamente monetaria che ha considerato la realizzazione della Costituzione una questione di secondo piano, per non parlare della necessità d’avvicinare ed equiparare i modelli sociali. I sistemi di potere sono stati impostati sullo sviluppo dell’unità economica, spostando i centri decisionali dalle Nazioni all’Unione Europea, al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Centrale Europea. continua a pag.4
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4 SEGUE da pag. 3
Il terrore che è giunto nelle nostre città, l’idea di dover blindare ogni attimo della vita è da ricondurre alla perdita di solidità inseguendo il mito per cui, dopo la fine delle ideologie, poteva essere il denaro il collante che tenesse unito l’Occidente, che aveva costruito il suo successo sull’idea della tutela della libertà individuale al cospetto dei totalitarismi del Novecento. Il denaro non può unire, divide sempre, in ogni contesto. L’idea dello Stato Islamico risponde ad una logica opposta a quella occidentale, unisce con l’ideologia, il Califfato ha costruito la sua potenza spingendo la popolazione sotto il profilo dei valori, nell’estremismo religioso, nel concetto drammatico della guerra per affermare la propria idea di società. Il nemico, sostenuto in tante scelte di politica
estera nefaste del mondo occidentale, che mette in ansia il diritto ad un’esistenza libera e serena di milioni di persone, si è sviluppato in una profonda e intensa aggregazione ideologica. Potremmo definirla la reazione all’assunto per cui dopo la caduta del muro di Berlino era finito il tempo delle ideologie e tutto andava tranquillamente configurato nel dominio assoluto del capitalismo occidentale. I risultati di questo fallimento culturale sono il bisogno intimo di ritornare alla comunità, l’isolazionismo, la xenofobia, la guerra sociale tra i più deboli che si alimenta in forme diversi nei vari contesti nazionali. La gente non crede più al sistema e lo manifesta nei modi più disparati: l’astensionismo, il rifiuto della politica, il supporto all’uscita dall’Unione Europea, il “ritorno” al protezionismo, il desiderio di strategie
sempre più securitarie nelle proprie città. Il cittadino occidentale ha perso certezze e speranze dal punto di vista economico ma soprattutto non ha nulla più in cui credere, costruisce la propria vita nella vacua aspettativa di guadagnare di più come mezzo per arrivare alla felicità individuale. E’ l’esasperazione dell’individualismo contro l’annullamento della persona che decide di sacrificare anche la propria vita per i valori ultraterreni affidando la propria esistenza alla ricompensa da ottenere da Allah. Chiamatelo fallimento, non crisi, ripartiamo da zero senza luoghi comuni, adattando anche le divisioni storiche e politiche del Novecento al mondo in cui viviamo, alle macerie di un’epoca che si riassume nell’illusione che il denaro potesse unire una società impoverita nell’ambito della competizione internazionale.
SABRINA CIANI
QUANDO LA MANO CHIRURGICA E’ GENTILE L’affidabilità degli impianti, la richiesta sempre più frequente di inserire protesi, la ripresa della funzionalità post intervento, sono solo alcune delle motivazioni che favoriscono l’aumento di interventi in chirurgia ortopedica. Qualsiasi trattamento venga effettuato, non si può prescindere da un rapporto chiaro con il paziente, che deve essere informato prima di ogni procedura, e quali sono le aspettative e i risultati a lui riservati. Diffidare delle informazioni che si ricavano dalla navigazione in internet, spesso fuorviante e confusionaria. È bene affidarsi a chirurghi che abbiano esperienza, professionalità, che dichiarino il numero degli interventi, affinchè la scelta sia consapevole e maturata per una conseguente e migliore qualità della vita. Ne parliamo con il dott. Antonio Piscopo, direttore del reparto di Ortopedia dell’Ospedale Sacro Cuore di Gesù, Fatebenefratelli di Benevento. Cosa dice sempre ai suoi pazienti prima dell’operazione? I miei pazienti sono prevalentemente pazienti chirurgici. Effettuo circa 1600 interventi l’anno, è un numero esorbitante. Il 70% sono correzioni, reinterventi, il 2030% sono pazienti di primo approccio. Esistono due tipologie di pazienti: quello equilibrato normalmente che non si lascia sopraffare dalla tensione e quello normale che in preda all’ansia ingestibile, manifesta tutta la sua perplessità, e che si augura di uscire vivo dalla sala
operatoria. Perché non va trascurato un elemento fondamentale in sala operatoria: l’imprevedibilità, elemento che sfugge al calcolo. Il paziente che all’improvviso ha un arresto cardiaco intra operatorio per esempio, da qui la paura e le difficili conseguenze. Cosa dico ai miei pazienti? Bè semplicemente rispondo che non si può vivere rinunciando a vivere e che l’intervento è necessario per la propria autonomia e benessere. Necessita realizzare che l’intervento è fondamentale e non ci si può esimere dal farlo. Sicuramente il medico chirurgo deve ispirare fiducia così il paziente si affida. Intervento e fiducia, questa la dicotomia per abbattere la paura. Crede che oggi l’ortopedia in Italia sia all’avanguardia?
Sono stato universitario per 23 anni, poi un giorno il direttore mi sollecita ed esorta ad andare via, in quanto soggetto ‘scomodo’ e posso dire che quando ho iniziato la carriera 30 anni fa subito dopo la laurea, purtroppo da allora è iniziata la fine delle università in Italia, e non alludo solo alle discipline mediche, ma a tutti gli indirizzi di studio. Sono iniziati i percorsi preferenziali, le lobby, i posti assegnati , i raccomandati politici, ecc. L’ortopedia, allo stato attuale, come tutte le scienze è ancora all’avanguardia perché sostenuta da quella fascia di professionisti corrispondenti all’età tra i 55 e i 65 anni, i vecchi acculturati che mantengono ancora un ottimo livello sanitario in Italia. Il problema sarà tra 10 anni quando questa fascia andrà scemando e tutta la scienza in Italia, compresa quella medica, sarà dominata da i post 30 anni di cui parlavo prima. Parliamo di avanguardia europea, mondiale e i risultati adesso si vedono prepotentemente. Tra 10 anni, caput! Ritiene fondamentale la fisioterapia nel post operatorio? Un buon intervento e una buona fisioterapia realizzano un ottimo risultato, un pessimo intervento sposato con un’ottima fisioterapia, sempre un pessimo risultato si avrà. La base di partenza è l’intervento eseguito perfettamente. Un buon intervento, pessima fisioterapia si avrà un risultato mediocre. La fisioterapia in ambito ortopedico è tutto. Quando si procede con un intervento d’anca, il
DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016 paziente deve riabilitare. Se mettiamo una buona protesi d’anca o una buona protesi di ginocchio e il paziente non muove, il risultato sarà scadente. Se una protesi è impiantata bene, la sua rotazione di movimento sarà a 360° e il paziente sarà contento e soddisfatto. Una buona protesi di ginocchio tecnicamente applicata bene e non fa niente, e ha un range di mobilità di 50° tale che non può né salire né scendere le scale, è ovvio che ci sarà insoddisfazione. Nel cattivo risultato però bisogna distinguere bene realmente il risultato chirurgico scadente da una fisioterapia scadente. Se l’intervento è stato fatto male, inutile che il medico cerchi di giustificarsi e aggrapparsi agli specchi. Quali sono gli interventi maggiormente effettuati nella sua unità operativa? Bè, darò un dato inaspettato. Fortunatamente nell’ortopedia non esiste la frase “ verba volant, scripta manent”. La branca ortopedica è una branca tecnologica, ogni intervento che si fa, o una protesi d’anca o uno di ginocchio, o metti una vite; le ditte che distribuiscono questi device, hanno elenco di chi utilizza 500 protesi, di chi mette 100 placche, chi 300 device per il ginocchio ecc. Non è come in chirurgia ad esempio che il chirurgo dice. “oggi ho operato 5 colon, ma dove risulta, dove sta scritto? Questo non era tracciabile fino a 15-20 anni fa. Ora quando si esegue un intervento, il tutto arriva imbustato, con nr. di matricola, produzione, tutto siglato per cui c’è la tracciabilità di tutto ciò che viene utilizzato per l’intervento. Zimmer, Johnson &Johnson, sono solo alcuni dei colossi internazionali che si usano come marche di materiali. Il reparto di Ortopedia del Fatebenefratelli di Benevento, vanta il maggior numero di revisione d’impianti protesici in Italia per anno. Negli ultimi 10 anni ho realizzato 1650 interventi di revisione tra anca e ginocchio (togliere la vecchia e mettere la nuova); l’impianto vecchio è fallito o per vecchiaia, usura o per infezione perché mal fatto. Si eseguono anche numerosi interventi di
5 traumatologia , chirurgia della mano, di miscellanea (la cosiddetta cipolla al piede ad esempio). Ma il gran numero è incentrato sulla chirurgia dell’anca e del ginocchio, sostituzione impianto protesico o per usura dell’impianto o per fallimento precoce dello stesso. Non vi è durata illimitata delle protesi. Il materiale usato segue il movimento come se fosse naturale e quindi va soggetto ad usura (strofinamento, attrito, tribologia); questi materiali sfregano quindi l’uno con l’altro creando detriti. Nel giro di un certo numero di anni, la protesi che sta nell’osso cementato o non si allenta oppure inizia a muoversi, fa male e va sostituita. E’ ovvio che c’è differenza se la protesi viene impiantata in un soggetto di 30 anni che ha una sua attività, un soggetto che lavora, che fa attività sportiva, per cui il dinamismo è diverso rispetto ad una protesi impiantata in un soggetto settantenne, anni che gli consentono di “usurare” poco la protesi. Sicuramente oggi le richieste di migliorare la qualità della propria vita sono in continuo aumento e quindi di fronte alla richiesta di una ragazzina di 20 anni sofferente e col dolore alle gambe per displasia, non posso in qualità di medico coscienzioso non proporle l’intervento. I risultati rispetto ad anni fa sulla protesizzazione sono sempre più incoraggianti per gli esiti brillanti raggiunti. Dottore, qual’è il suo concetto di tecnica chirurgica mini-invasiva e dove viene più applicata? Intorno al 2000 un chirurgo americano, un bel giorno si alzò e esordì dicendo che avrebbe dovuto mettere una protesi d’anca attraverso un piccolo accesso di soli 10 cm. Anni addietro per poter mettere una protesi d’anca si faceva incisione di 20 cm. Da questo chirurgo è nata la fattività della tecnica, il concetto di mini-invasività in chirurgia ortopedica. A cosa si è pensato mettendo in pratica questo concetto? Che si otteneva una migliore cosmesi, un danno estetico meno visibile, un minore sanguinamento, un minore dolore post-
operatorio; dei risultati migliori anche nell’ottica del recupero e ottimizzazione dell’intervento stesso. Cosa ha provocato però? Un po’ di problemi…il 75% della chirurgia protesica nel mondo viene eseguita da chirurghi che non ne fanno più di 25-30 per anno. L’altro 20-30% viene eseguita da chirurghi che ne fanno oltre 250 l’anno. Cosa significa questo stacco? Significa che il chirurgo che fa 25 impianti protesici l’anno e un altro che sta sempre in learning curve (curva di apprendimento) e poi chiede pure approccio mini-invasivo, su 25 interventi fa 24 danni, disastri. Tant’è vero che tutte le mie revisioni negli ultimi anni, sono revisioni dove il picco delle cause eziologiche sono da mal posizionamento dell’impianto. Cos’è la chirurgia protesica? Significa fare un accesso quanto basta, necessario per mettere un impianto protesico alla perfezione. Bisogna essere puliti nel trattare i tessuti, svelti, saper fare l’emostasi e soprattutto la gentilezza nel trattare i tessuti. La mini-invasività in chirurgia ortopedica e in tutta la chirurgia, (quando si lavora con la carne umana), si deve avere la gentilezza chirurgica nella mani, bisogna fare un taglio chirurgico il giusto che basta per eseguire alla perfezione l’intervento. Non si può mettere un cotile (parte aceta bolare della protesi) senza vederlo. Lo si deve esporre bene, nella sua interezza, in una posizione tridimensionale. Se non si ha la giusta visibilità, perché in un campo pieno di sangue, lo si posiziona male e quale mini-invasività si è fatta? Per cui si, all’effettuazione di accessi ridotti, ma sempre se questo permette di eseguire quell’intervento correttamente. La mini-invasività è qualcosa di riconducibile al solo chirurgo permettendogli una ricerca ad esempio di strade alternative e di non passare attraverso dei piani anatomici muscolari ma attraverso delle trans muscolari. Ma ripeto, tutto è nelle mani del chirurgo.
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La battaglia strenua per ottenere diritti e garanzie sembra dare i primi frutti Per circa due mesi gli OSSOperatori Socio Sanitari – hanno protestato mattina e sera, in cerca dei loro diritti, davanti la sede del Comune di Casoria. Questi uomini e donne con famiglie a carico, infatti, non percepiscono lo stipendio da Giugno 2016. Tutti sono titolari di un contratto con il Consorzio Sinergia e più precisamente con la Società Cooperativa Sociale a Responsabilità Limitata, “Garden 2”. Questa Società risultò vincitrice dell’appalto pubblico per “l’ Assistenza domiciliare Integrata e Sociale a favore di persone Disabili”, che comprende prestazioni ed attività di assistenza socio-sanitaria-materiale, a favore di tale fascia svantaggiata residente nei comuni afferenti all’Ambito territoriale n.18 (Casoria, Arzano e Casavatore). Terminato il periodo di erogazione dei servizi, però, l’appalto è stato prorogato per ben quattro volte, in attesa della nomina di un vincitore per il nuovo appalto pubblico, indetto per l’anno 2016/17. Gli OSS, tutti con contratti a tempo indeterminato a 18 ore settimanali minime, hanno dunque continuato a svolgere il loro lavoro con dedizione. Il Comune, tuttavia, dichiara di non avere fondi disponibili per poter pagare la Società, la quale, a sua volta, quindi non retribuisce i lavoratori. Qualche settimana fa finalmente la Società ha ricevuto una certificazione dal Comune, il quale farebbe da garante, affinché la Cooperativa possa richiedere un prestito bancario per risolvere la situazione. I lavoratori stanno affrontando, tuttavia, nuove difficoltà. Il vincitore del nuovo appalto, il Consorzio Italia, che non ha ancora ricevuto il verbale di consegna,
L’instancabile protesta degli Operatori Socio Sanitari
infatti, non avrebbe voluto riconfermare i precedenti Operatori. In un incontro tra l’Amministrazione Comunale, la Cooperativa “Garden 2”, il Consorzio Italia e le OO.SS. della Uil Fpl Napoli e Campania e la Fp Cgil Napoli, però, si è deciso che gli Operatori della vecchia società vincitrice sarebbero stati assorbiti dalla nuova (solo se qualificati), lasciando tutto invariato. Ma l’incubo non sembra finire. Lo scorso lunedì, infatti, sono cominciati gli incontri tra i lavoratori e i rappresentanti
del Consorzio Italia per definire le condizioni contrattuali. Il Consorzio avrebbe proposto contratti a prestazione transitori, nell’intenzione di valutare gli Operatori e successivamente proporre contratti definitivi. I lavoratori si sono ovviamente rifiutati di firmare, essendo questa soluzione priva di garanzie: non sarebbero stati, infatti, definiti tempi legali né tipologie di contratto definitivo. Le ore lavorative, inoltre, sarebbero state drasticamente tagliate (anche solo 10 ore settimanali), a scapito di dipendenti e utenti del servizio. Gli Operatori Socio Sanitari continuano, dunque, la loro strenua battaglia. Alcuni di essi sono addirittura in attesa di ricevere il pagamento di 5 settimane di lavoro svolte nel lontano 2011, tra la scadenza di un appalto e l’inizio di un altro. Da tempo, inoltre, stanno richiedendo che sia posta la massima attenzione nel redigere il prossimo capitolato d’appalto, affinché sia specificato il “passaggio di cantiere” (peraltro già previsto dall’art.37 del CCNL Cooperative Sociali), garanzia di continuità lavorativa per coloro già impegnati nell’Assistenza domiciliare. Alcuni dei lavoratori, appartenenti alla cosiddetta “lista storica”, infine, lavorano dal 2000, passando di cooperativa in cooperativa ad ogni appalto. La loro richiesta, dopo 16 anni di servizi, è quella di ottenere quanto meno contratti parttime a tempo indeterminato a 24 ore, gli unici che potrebbero permettergli di versare contributi sufficienti a percepire una pensione minima. A quanto pare, nel Belpaese i contratti a tempo indeterminato full-time restano un sogno… chissà se potrà mai realizzarsi. Noi ce lo auguriamo!
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DOMENICA BORRIELLO
SCUGNIZZERIA FANTASTICA E DOVE TROVARLA C’era una volta la “Scugnizzeria”, l’ambizioso progetto con cui Aurelio De Laurentiis voleva dar vita ad una generazione di talenti “Made in Naples” in pieno stile Barcellona. Il desiderio del patron azzurro, tuttavia, non sembra essersi compiuto nel corso di questi anni, anche perché l’unico calciatore frutto del vivaio azzurro ad aver lasciato un segno indelebile con la maglia del Napoli è Lorenzo Insigne. A questo punto immagino un inedito Aurelio De Laurentiis nei panni di Newt Scamander, il protagonista del film prequel di Harry Potter che sta sbancando i botteghini del mondo intero, in un curioso remake della pellicola campione di incassi: “Scugnizzeria fantastica e dove trovarla” PANORAMICA DEL SETTORE GIOVANILE – Nel campionato “Primavera” gli azzurri occupano la quinta piazza in classifica con 15 punti, frutto di 5 vittorie in 8 partite. Nell’ultimo turno i partenopei hanno inflitto un rotondo 3-1 ai padroni di casa del Perugia, mandando a segno anche Negro, il talento azzurro che molti addetti ai lavori avrebbero voluto vedere in prima squadra per sopperire, in questo periodo pre-calciomercato, all’assenza di Arkadiusz Milik. Non male la situazione per l’Under 17 che è terza con 19 punti in 11 partite, alle spalle di Palermo e Roma. Decisamente più florida la situazione dell’Under 16 che è seconda dopo aver maturato 27 punti in 11 partite e insegue la capolista Roma, distante soltanto due lunghezze. Per dirla tutta, non se la cava male nemmeno l’Under 15, terza con 21 punti in 11 partite. Volendo dipingere un quadro generale della situazione attuale del settore giovanile, attraverso i risultati delle sue formazione più importanti, la situazione sembra essere abbastanza positiva. Da non dimenticare, d’altronde, l’impegno degli azzurrini in UEFA Youth League dove hanno ancora tutte le carte in regola per qualificarsi come seconda forza del girone, già vinto dalla formazione giovanile della Dinamo Kiev, ed accedere ai play-off. E POI... - E poi, come si diceva in apertura, l’unico calciatore del vivaio ad aver lasciato un segno indelebile è stato Lorenzo Insigne. Il calciatore di Frattamaggiore, città in cui gli azzurrini giocano le gare interne di Youth League, andò in prestito all’età di 19 anni alla Cavese. Ma fu nella stagione 2010-2011 che tutti si accorsero del gioiello frutto del vivaio azzurro grazie ad una formidabile annata giocata in Puglia tra le fila del Foggia. Poi a Pescara ancora Zeman e Insigne spiccò il volo verso Napoli, accompagnato nella sua esperienza abruzzese da altri talenti del calcio nostrano quali Ciro Immobile e Marco Verratti. Potevano essere entrambi del Napoli, ma così non è stato. Eppure dal vivaio azzurro sono usciti altri nomi di cui si era parlato e su cui in molti avevano puntato: penso a Raffaele Maiello, paragonato da molti a Marek Hamsik. Il calciatore nativo di Afragola ha disputato, oltre Napoli, più di qualche buona stagione con la maglia del Crotone ed è stato anche convocato dall’Italia Under 19, prima, e dall’Italia Under 20 poi. Oggi, a 25 anni compiuti, è nel roster a disposizione di mister
Martusciello ad Empoli. Un altro nome delle giovanili azzurre che molti ricorderanno certamente è quello di Jacopo Dezi, anch’egli protagonista a Crotone proprio come Maiello. Nella stagione scorsa ha giocato un ottimo finale di stagione con la maglia del Bari e nella sua personale bacheca può vantare una medaglia d’oro, vinta da capitano, con l’Italia alle Universiadi del 2015. Ma nonostante questi ottimi numeri e qualche convocazione nell’Under 21, anche per lui non è mai arrivato il grande salto, così come per tanti altri. Una lista lunga che va da Camillo Ciano, oggi al Cesena, a Luigi Sepe. Quest’ultimo è un portiere del Napoli adesso, ma le opportunità che gli sono state date corrispondono ad un numero decisamente emblematico: zero. IL PROBLEMA – Qual è il problema? La mancanza di talenti o la mancanza di opportunità? Se Sinisa Mihajlovic non avesse avuto un pizzico di coraggio nel spodestare un veterano come Diego Lopez, reduce da ottime stagioni con la maglia del Real Madrid, per affidare la porta del Milan ad un “bambino” come “Gigio” Donnarumma, ora non staremmo parlando del baby prodigio, probabile futuro di Buffon in Nazionale. Ma possiamo utilizzare anche un esempio “casalingo”, ovvero quello di Lorenzo Insigne. Se il calciatore di Frattamaggiore non avesse incrociato Zemanlandia e la risonanza mediatica del miracolo di bellezza chiamato Pescara, Lorenzo Insigne oggi sarebbe titolare del Napoli? La controprova, nel calcio e nella vita, non esiste. Ma credo che sia abbastanza evidente il fatto che qui da noi vi sia un’assenza totale di coraggio nel fare certe scelte. Opportunità e coraggio sono le parole chiave che non hanno mai fatto decollare la “Scugnizzeria”. In situazioni di emergenza preferiamo, certe volte, adattare qualcuno dei titolari in una pozione non sua e non puntare su qualcuno che abbiamo in casa, nel settore giovanile. Prima si parlava di Negro: perché no? Perché non provarci? Un altro dei problemi è, probabilmente, la carenza di investimenti concreti, che poi era uno dei cavalli di battaglia di Rafael Benitez che avrebbe voluto un’attenzione maggiore sulla “cantera”: in molti ricorderanno lo spagnolo che a Dimaro parlò di una “Primavera” ad immagine e somiglianza della prima squadra, con lo stesso modulo. Qualcuno potrebbe puntare anche il dito contro il sistema italiano: è vero, in parte il nostro sistema non permette la valorizzazione del talento nostrano. Ma è anche vero, e di questo ne va dato atto, che ci sono tanti club italiani che fanno del settore giovanile un fiore all’occhiello. La meravigliosa Atalanta sta raccogliendo lentamente i frutti del suo lavoro e la cosa bella è che è solo una delle tante realtà italiane che lavorano bene. “L’erba del vicino è sempre più verde” e quindi ci affascina la realtà spagnola della seconda squadra che gioca in Serie B, ad esempio. Però, nonostante tutto, anche da noi c’è chi lavora bene nel settore. Caro Newt Scamander (ops, volevo dire Aurelio De Laurentiis), ora sai che la Scugnizzeria c’è e sai pure dove trovarla.
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Marica De Martino
Maria Francesca Imbaldi: “Lo sport è una palestra di vita”
Lavoro, sacrificio e dedizione portano al successo, nella ginnastica però, tutto questo a volte non basta; lo spiega una campionessa di ginnastica artistica, Maria Francesca Imbaldi che attualmente allena nella palestra Quasar di Casoria, con grande disponibilità ci ha concesso un’intervista. Com’è nata la sua passione per questo tipo di ginnastica? Praticamente ci sono nata in palestra; i miei genitori 40 anni fa aprirono questo centro. Lei è una campionessa di ginnastica artistica. Ci parli di questo sport. Sono un ex ginnasta agonistica, ma ora non gareggio più allenando le mie figlie insieme ad altri bambini delle squadre di serie B e C. Personalmente la ginnastica è lo sport piu completo in assoluto fa bene indipendentemente dalle gare, attraverso cui i bambini instaurano nuove amicizie e crescono in un gruppo con dei valori. Rispetto agli altri sport si inizia presto già all’età di 8 anni i bambini hanno un percorso alle spalle, è molto precoce. E’ uno sport che dal punto di vista motorio e relazionale, fa bene. Abbiamo anche bambini con difficoltà ed è aperto a maschi e femmine. Ha partecipato a quali gare? Ho partecipato alla serie B e C e quella che una volta era l’alta specializzazione ovvero gli attuali campionati di categoria. Ci parli della sua attività e della palestra Quasar. Com’è
nata? Svolge anche altri tipi di ginnastica? Abbiamo due aree: una dove svolgiamo la ginnastica artistica che è l’attività principale e poi una area dedicata agli adulti con: feet cross, un fitness rivisitato con corpo libero, corsi musicali con crazy step e funzional. Le attività le svolgiamo io e il mio compagno dividendoci nella giornata inoltre abbiamo la sala attrezzi, zumba, karate, pilates, ginnastica artistica maschile e corsi di hip hop. Quali sono i pro e i contro di questo sport? E’ uno sport che fa bene dal punto di vista fisico perchè crea una struttuta muscolare prevenendo la: scoliosi, cifosi infatti svolgiamo esercizi di respirazione e postura; ed inoltre anche schemi motori in cui s’insegna ai bambini a muoversi nello spazio come correre, saltare, salire sulla trave e sulle parallele. Si lavora a livello fisico e psicologico; questi sono i “pro”, i “contro” e che non tutti possono ambire al settore agonistico poichè ci sono doti e caratteristiche fisiche richieste come: la forza, la resistenza, la mobilità che non tutti tengono. Non è uno sport in cui c’è bisogno della massa. Una sua considerazione sullo sport Penso sia fondamentale. Si hanno dei benefici fisici prevenendo tante patologie. Per i giovani è fondamentale avere punti di riferimento in una società; le generazioni di oggi non sono molto seguite soprattutto nella nostra città. Lo sport aiuta a comunicare.
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PAOLA CONSOLETTI La storia del calcio ha origini molto lontane, sin dai tempi degli antichi Greci e Romani, che svolgevano entrambi però, uno sport violento, privi di fair play, un insieme tra calcio e rugby, solo molto tempo dopo, per la precisione nel 1863, in Inghilterra, il calcio prese le fisionomie di quella che è attualmente questa disciplina, grazie alla scissione tra le regole usate per il rugby, come giocare con le mani ed il contatto fisico, e quelle usate per il calcio, denominato Football (piede-palla). In questo modo fu scritto un regolamento in cui si definivano le regole di gioco, il numero dei giocatori, e si decise che un solo giocatore avrebbe potuto usare le mani durante un match, nacque in questo modo il ruolo del Portiere di calcio, un ruolo particolare, in quanto molto diverso da quello degli altri componenti della squadra. In Italia, dai primi anni del ‘900 ad oggi, un gran numero di forti portieri ha giocato nelle squadre di serie A, ed ha contribuito alle tante vittorie dei propri Club, a livello nazionale ed internazionale. Le ottime scuole che sono nate nel nostro Paese, hanno perfezionato in modo rapido le lacune, che i primi portieri avevano, riguardanti la posizione, le uscite, la presa e il tuffo. Il ruolo del Portiere, è da sempre definito come lo “spericolato” della squadra, in quanto senza paura, deve essere pronto ad affrontare gli avversari che si presentano all’interno della sua area di porta. Rapidità, giusta posizione, e una buona tecnica, unite ad una spiccata personalità, sono le caratteristiche principali necessarie per diventare numeri uno. Tra i tanti e numerosi Numeri Uno, possiamo citarne solo alcuni, partendo da quelli più anziani ad oggi che hanno lasciato e lasciano ancora il segno: Combi, Zoff, Albertosi, Tacconi, Zenga, Castellini, Iezzo, Zamora, Navas, Neuer, Buffon, Reina, Donnarumma e molti
IL PORTIERE... PRIMO UOMO NEL CALCIO
altri. Numerosi Portieri affermano che, giocando in porta avvertono un piccolo vuoto attorno a loro, a volte si ha la sensazione di essere marginali, rispetto al ruolo della squadra. Ancora oggi infatti la figura del Numero Uno, nonostante abbia raggiunto maggiore popolarità, grazie alla personalità ed alla simpatia di alcuni, famosi in tutto il mondo, resta comunque un ruolo difficile, in quanto è necessario, soprattutto per i ragazzi alle prime armi, acquisire quella tecnica di base che nel Portiere è molto vasta, così come ampia è la scelta di abilità motorie e coordinative da abbinare al gesto tecnico per la riuscita della
“parata”. Un buon Portiere oggi, deve essere anche un bravo calciatore, la “tecnica dei piedi” è fondamentale, ed è importante che i Portieri lavorino insieme al gruppo squadra su questo tipo di tecnica. Un Portiere moderno, deve essere al passo tatticamente e lavorare su tutti i tipi di tecnica, deve essere consapevole di poter anche leggere le situazioni di gara che si presentano sul terreno di gioco. Per diventare Numeri Uno servono notevoli capacità, il ruolo del Primo Uomo, non è solo quello di motivare i compagni di squadra e di rappresentare l’ultima linea di difesa durante le partite, ma è anche colui che fa partire il gioco nel modo migliore ed interrompe le azioni che possono diventare pericolose. Per giocare esattamente 90 minuti, è necessario avere una buona condizione fisica e grande forza mentale; il Portiere rappresenta molte volte la differenza tra la vittoria e la sconfitta, ma è la forza integrante della squadra. “Difendere la porta, è come difendere la cosa più cara che si possiede, ma soprattutto, mai nessuno potrà capire la sensazione che si prova tra i due pali, è un’esperienza unica, personale, solo da Numeri Uno.”
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12 CASORIA & l’editoriale di Nando Troise
I RIFIUTI E LA GESTIONE DI CASORIA AMBIENTE HANNO FATTO ESPLODERE LE POLEMICHE
Casoria, paese di Santi, Poeti e Navigatori, è anche terra di grossi polemisti e “complicatori – degli – affari – semplici”. Ci siamo lasciati alle spalle una settimana di fuoco, ma le polemiche sono già diventate violente. Andare sui rifiuti con molto anticipo oppure subito dopo la morte di Stefano Basile e le interdittive scaturite? Portare all’attenzione del Sindaco i tantissimi problemi che affliggono questa Città? Qui si inseriscono i pareri di tanti, anche di chi ha solo sentito dire: discettano tutti. Anche senza capirne più di tanto. Sulla sconfitta elettorale di Casillo e Santillo, invece, tutti i più grossi “competenti” si sono lanciati a pesce. Dicendo anche cose amenissime. Ci pare che interessantissimo sia considerare come si cerca sempre di annullare la “nostra” personalità parlando solo ed esclusivamente degli accordi politici, dei “tavoli interpartitici”, del referendum del 4 dicembre, del partito democratico, della coalizione di centrosinistra,
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dell’assenza congenita del centro destra, senza mai, invece, discutere, tentare di risolvere qualcuno dei problemi da affrontare. L’elenco lo abbiamo fornito alle Amministrazioni elette dal popolo ed anche alle Commissioni Straordinarie. Siamo partiti spesso dal funzionamento della macchina comunale perché è l’entità erogatrice di servizi, l’altra è l’Asl, e polmone finanziario della Città. Invece di valorizzare le risorse umane, le intelligenze che dipendono dall’Ente Pubblico, si è cercato e si cerca di esternalizzare quanto più possibile mortificando i pubblici dipendenti. Piano piano, in questi ultimi dieci anni si è privatizzato tutto. Al suo personale è rimasto ben poco. La programmazione e la gestione dati curata da anni da Interdata; la Ripartizione Nettezza Urbana ed Ecologia diventata società mista pubblico privata Casoria Ambiente spa; il servizio Acquedotto passato alla Ottogas; la riscossione tributi all’Equitalia, la manutenzione
e riscossione canoni del Parco dei Pini alla Società Gestione Integrata, la pulizia degli uffici comunali alla SAM, la piscina del Centro Polisportivo data in gestione prima alla Delphinia e da questo anno all’Alba Oriens e sicuramente avremo dimenticato qualcosa. Poche se non nulle le attenuanti per l’Avv. Fuccio: è il primo Sindaco negli ultimi trenta anni a non avere e a non subire il peso politico di Tommaso Casillo. La nomina “politica” a Vicepresidente del Consiglio Regionale ha soddisfatto le ambizioni elettoralistiche riuscendo ad arrivare nei banchi del Consiglio Regionale prendendo i voti in molti Comuni della Provincia di Napoli. Pasquale Fuccio e le liste che lo hanno sostenuto, vincendo le elezioni amministrative, sono riusciti ad impossessarsi della gestione della cosa pubblica. Il Consiglio Comunale è tornato. La speranza è riposta in loro. La Città spera!
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Nando Troise
Divagazioni di mezza settimana sul tema “il calcio di ieri, quello di oggi: gli allenatori e De Laurentiis Si era ragazzini, c’erano delle spianate, c’era un pallone, una palla, anzi, di buona gomma, Super Santos, quattro soldi, il marchio triangolare, tonda tonda e soda, la stringevi in una mano come dovrebbe essere per i seni di una bella donna; e c’era il padroncino della palla, guarda caso sempre il più scarso, vocina stridente, lacerante. Tutta la strada (oggi si chiama Viale Olimpico); sei contro sei, tre corner un penalty. Prima di giocare si percorrevano anche due o tre giretti di spiazza, una mezza dozzina di flessioni e una cinquantina di sbruffate. Naturalmente il preambolo di lieve sapore picaresco e nel ricordo infantile di Cenzino, Ciruzzo, Emiddio, Ettore, Gino, Federico, Peppe, Luciano, Maurino cannellino, vuole essere il
riconoscimento delle tante virtù e benemerenze del calcio di oggi e dei suoi allenatori. Gasperini, ad esempio, che cervellone, l’Einstein della pelota, trasuda materia grigia, la spalma sulle colonne dei maggiori quotidiani. Allegri guadagna scudetti a cappellate, li onora, trova ispirazione, affoga i malumori e riprende allegria, moltiplica Higuain per tre e quattordici, cospicuo diviene il diametro, proficuo l’ennesimo titolo, quotabile anche alla Borsa di Milano. E Paulo Sousa dove si mette? Non una sera a cena ma per un paio di anni a Firenze dove tra Baglini, barbaglini e bagliori rinfoltisce il capello sicché l’aggrotta e parrà sapiente. Commovente la sorte di Del Neri che va, viene, se ne va, torna, un jet
man dalle molte e svelte vite di allenatore provvisorio. Giampaolo sta a sé, giocatorino così così, tecnico disincantato, un giovane etrusco beat, l’occhio sveglio e assaporante sulle fesserie sentenziate dagli altri, bombardate: Giampaolo balza in groppa alla sua Sampdoria sbrigliata, sbarca sulla luna, dopo aver battuto il Sassuolo. L’elenco degli strameritevoli, di coloro che del calcio stanno facendo scienza
e stregoneria potrebbe continuare all’infinito, chiosato di facezie e punteggiato di stupori per come la fauna dei calciofili nutre e gonfia? Sta caterva di gasteropodi, li spinge al sommo degli interessi e della considerazione, gli tributa onori, non si lascerà attendere – contateci – “il telegramma”. Però, ora, chiamiamolo presidente, compiaciamoci con il nostro De Laurentiis.
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CARMEN PALUMBO
LA PASSIONE E LE DIFFICOLTA’ DI UN GIORNALISTA: PARLA CLAUDIO CIOTOLA, COMPONENTE DELL’ODG
Come nasce il suo desiderio di essere un giornalista e in che modo ha coltivato negli anni questa sua passione? Il mio desiderio di essere un giornalista, nasce un po’ di anni fa, correva l’anno 1999 e iniziai a scrivere per il quotidiano l’Avanti. Mi occupavo per la maggior parte della pagina politica, quella che poi è stata ed è ancora oggi la mia passione. Negli anni è cresciuta sempre più forte questo desiderio, che ti prende sempre più, dedichi con piacere il tempo della tua giornata a coltivare e scrivere notizie. Oggi e’ molto complicato fare di una passione anche la propria professione. Lei quali difficolta’ ha riscontrato nell’ intraprendere questa carriera? Avendo già una professione, il giornalismo per me era un hobby, che man mano è diventato un lavoro e prevalente rispetto alla mia principale attività. Le difficoltà di questa professione sono tantissime, ma con tanta buona volontà e voglia di fare, se ne riescono a superare molte. Quando e come e’ nata l’idea del quotidiano on-line Osservatorio flegreo? L’idea dell’osservatorio flegreo è nata un po’ di anni fa, precisamente nel 2005, la prima edizione mensile in forma cartacea. Articolato su 22 pagine cosi divise: una pagina nazionale, una pagina regionale, quattro pagine dedicate alla città di Napoli, otto pagine alle municipalità e il resto allo sport. Come giudica il rapporto tra giornalismo su carta e giornalismo on-line? I mercati cambiano, le idee restano, questo è il mio pensiero, ma bisogna
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adeguarsi, quindi siamo passati dalla stampa mensile su carta a quotidiano on-line. Il rapporto non lo posso giudicare, devo solo prendere atto che i tempi cambiano e bisogna adeguarsi. Da componete dell’esecutivo nazionale dell’ordine dei giornalisti, mi sono battuto in questi anni del mio mandato, per una legge sull’editoria che conceda contributi alle piccole realtà come il suo giornale, che grazie al lavoro brillante del suo direttore Nando Troise riesce a portare avanti una bellissima attività giornalistica. Mi sono indignato e come componente dell’ esecutivo mi sono battuto affinché non venisse approvata una legge cosi vergognosa sull’equo compenso, che ritengo un’offesa per tutta la categoria. Le spiego i motivi della nostra indignazione di fronte alla legge sull’equo compenso: le sembra un equo
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compenso poco piu’ di 400,00 euro di retribuzione mensile per un giornalista, non riesco ancora a spiegarmi come si possa vivere con questa piccola miseria, alla fine ma forse di equo non ha perfettamente nulla. Essendo anche un componente dell’Odg, cosa consiglierebbe ai giovani che desiderano intraprendere la carriera di giornalista? Consiglio ai giovani e meno giovani che hanno voglia di intraprendere questa meravigliosa professione, di non dimenticare mai che siamo chiamati sempre a dire la verità tenendo sempre in mente le 5 w per scrivere un articolo. Who? («Chi?») What? («Cosa?») When? («Quando?») Where? («Dove?») Why? («Perché?»)
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ANTONIO VALENTI
Claudio Scotti ci parla di calcio e prevenzione e oltre dei danni diabetici Le voci di dentro, quel miscuglio di passato e ricordi che, poi, esplodono improvvisi ad una voce, ad un suono, ad un’immagine o altro. Completa il pensiero Claudio Scotti ex calciatore e dottore in Scienze Motorie e Fisioterapia. “Ad un odore, appena avverto l’odore dell’olio di canfora mi tornano in mente gli spogliatoi e il mondo del calcio in cui ho vissuto tanti anni meravigliosi” Che cosa è il calcio per lei? “Il lavoro più bello del mondo, al mondo del calcio devo tantissimo sia da un punto di vista materiale che formativo, è una scuola di vita perché già in partenza una scuola calcio è un ambiente misto dove impari a conoscere e a relazionarti con ragazzini di tutte le classi sociali, impari le regole, il rispetto. Anche là, ovviamente, non mancano gli aspetti negativi costituiti da personaggi tutt’altro che trasparenti”. Claudio Scotti, atto primo: una vita nel calcio a partire dal Napoli, dai ragazzini alla Primavera alla panchina anche se gli è mancata la soddisfazione dell’esordio in prima squadra ed ha coronato altrove la sua carriera calcistica: un tour sempre ricco di soddisfazioni in tante squadre tra cui Paganese, Casertana, Ischia, Siracusa, Campobasso, per finire alla Caivanese. Un mondo di ricordi. “Tutti belli, nel Napoli sono stato dal 1973 al 1984 e con Piero Santin, era il Napoli di Rudy Krol, stavo per esordire in prima squadra, poi passai alla Paganese e man mano tante squadre. La soddisfazione più bella è stata la promozione dalla C2 alla C1 nel 1987 ad Ischia: il presidente era Roberto Fiore e l’allenatore Rosario Rivellino , alla dirigenza Enrico Scotti. Infine lasciai nel 1995, l’ultimo anno lo feci con la Caivanese” Con la stessa squadra una breve esperienza in panchina alle giovanili prima e alla prima squadra poi. Sul punto della ripartenza, l’abbandono. Come mai? “Per certe cose occorre tanto tempo a disposizione, queste cose si fanno bene o non si fanno proprio. A me piaceva allenare le giovanili e seguivo i ragazzi in toto non solo sotto l’aspetto tecnico, mi interessavo dei loro problemi, degli studi, mi relazionavo con le famiglie per meglio seguirli e aiutarli, mi interessava che comprendessero i valori dello sport e del calcio in generale. Marginalmente e indirettamente, mi è capitato a volte di parlare con Gianluca Grava responsabile tecnico del settore giovanile del Napoli che, tra mille difficoltà, cerca di dare un’impronta al settore” Cosa pensa da ex addetto ai lavori del settore giovanile del Napoli? “Molto da cambiare, non ci sono strutture adeguate, i fondi
sono pochi, occorrerebbero anche più istruttori con migliori retribuzioni rispetto a quelle attuali” Claudio Scotti: atto secondo scena prima. Il postcalcio “In verità lasciai un avvenire da allenatore per una precisa scelta di vita su cui già mi ero indirizzato. Sono dottore in Scienze Motorie e Dottore in Fisioterapia specializzato nella riabilitazione dell’amputato. Attualmente sono responsabile di questo settore presso l’Ortopedia Ruggiero di Cardito: una media azienda con 30 addetti e diversi point. Ovviamente ci interessiamo delle diverse branche dell’Ortopedia” Anche nel settore ortopedia non manca il turismo ospedaliero “Purtroppo no, anche se negli ultimi tempi appare in una fase regressiva perché molti hanno capito che, come in altri settori della medicina non è che gli altri specialisti siano più bravi dei nostri, molto spesso è vero il contrario, e Budrio e la Rizzoli, in campo ortopedico, fanno interventi qualitativamente non superiori ai nostri. Non vale la pena sostenere costi elevatissimi specialmente ora che la Regione non rimborsa più le spese accessorie, come l’alloggio, non indifferenti” La Campania, però, è maglia nera, con largo “vantaggio”, nelle amputazioni di piedi e spesso di intere gambe per colpa del diabete. Qualcosa non torna. “Delle amputazioni si potrebbero evitare il 70 e l’80 per cento con la prevenzioni che oggi è molto carente a tutti i livelli : è scarsa e manca la comunicazione tra tutti gli addetti ai lavori. Si spende poco ma è un finto risparmio perché poi bisogna intervenire sugli effetti connessi e sono costi altissimi. Il paziente è poco informato, occorre una maggiore collaborazione e continuità operativa tra gli addetti” Ortopedia Ruggiero come si muove su questa linea? “Occorre operare per progetti che io realizzo e la Ruggiero mi segue sempre in questo. Organizziamo Convegni ai quali partecipano i maggiori addetti della varie branche per scambiarci informazioni ed esperienze e cercare insieme le soluzioni migliori. “Io apro sempre i convegni con una slide con le parole” equipe multidisciplinare” : il lavoro di gruppo di varie discipline che è la sola strada che possa garantire il recupero motorio protesico dei soggetti operati. L’amputazione non è che l’inizio di un percorso lungo e difficile che coinvolge la volontà di recupero del soggetto e i tanti addetti delle discipline coinvolte che debbono collaborare e indirizzare l’amputato allo specialista dello step successivo e così via, è un lavoro che deve partire subito”
DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016 Le conseguenze dei ritardi di questo lavoro sugli amputati? “L’impossibilità di intervenire: se un amputato resta inoperoso su una sedia a rotelle per oltre otto mesi prende la forma della carrozzella e non lo recuperi più; inutile anche la pura e semplice prescrizione di una protesi che da sola serve a poco o a niente” Potrebbe essere più chiaro per i soggetti interessati? “Una protesi non è come un paio di scarpe che pensi di mettere in un angolo e, quando ti serve, indossi. Per indossare correttamente e utilizzare una protesi occorrono mesi di duro impegno del soggetto interessato e di esperti
17 di varie discipline che operano con step successivi e collegati tra loro ed è un lavoro imprescindibile per chi è soggetto ad un’amputazione. Anche in questo caso i costi in termini medici e sociali sono ben differenti tra i soggetti colpiti” Le differenze sono notevoli? “Lo scenario di due realtà completamente diverse: ho visto gente che è ritornata alle normali attività lavorative ed anche a fare sport e quindi socialmente recuperata e gente inoperosa destinata a una vita su una sedia a rotelle con tante conseguenze, tra cui vascolari e piaghe da decubito, che rendono dura e difficile la loro esistenza definitivamente e costringono lo Stato ad assisterli con costi elevati per sempre”
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La serie A commentata da Claudia Salzano
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il dottore Commercialista Claudia Salzano, figura con una certa esperienza nel mondo del calcio. Si è discusso di temi concernenti lo sport più amato dagli italiani. Essendo molto legata al mondo del calcio, ci piacerebbe commentare con lei la situazione attuale del campionato in corso. Partirei, se lei è d’accordo, dal Napoli. “Trovo il campionato italiano sempre molto avvincente, nonostante negli ultimi anni sia sempre la solita Juventus a vincere il campionato. Per ciò che concerne il Napoli, trovo soddisfacente la campagna acquisti svolta dalla Società e condivido assolutamente la linea “giustificativa” da Mister Sarri, il quale afferma di aver bisogno di tempo perché ha una squadra giovane. Detto ciò sono convinta che se Milik non si fosse infortunato, il Napoli attualmente non sarebbe in sesta posizione. Mi sorprende, inoltre, l’andamento dell’Atalanta che sicuramente avrà a mio modesto avviso una battuta da arresto. Altra sorpresa è l’Inter, che ha un organico tecnicamente molto valido, ma le scelte sbagliate dell’allenatore hanno condizionato pesantemente il cammino in campionato”. Cosa suggerirebbe al Napoli per riguadagnare terreno, e raggiungere l’obiettivo minimo che è la Champions? “Il Napoli avrebbe dovuto comprare un altro attaccante che potesse adattarsi al modulo di Sarri. Gabbiadini, è un giocatore tecnicamente valido, ma non riesce ad esprimersi al meglio come prima punta. Credo che a gennaio sia necessario un intervento sia in attacco che in difesa. Penso infatti che il reparto
difensivo abbia risentito la mancanza di Albiol”. Secondo lei, la Juventus può dirsi già vincitrice del sesto scudetto consecutivo, o c’è un avversario degno che possa metterla in difficoltà? “La Juventus ha veramente, a mio parere, “due” avversarie di altissimo livello tecnico, ma riesce ad esprimersi bene solo in Italia. Sono convinta comunque che Napoli, Inter e aggiungerei anche la Roma, possano rendergli la vita più difficile”. In prospettiva, quali sono i calciatori che l’hanno colpita in modo positivo, e chi invece in modo negativo. “La mia attenzione si concentra sopratutto sui giovani talenti “sconosciuti”. Ma, guardando al campionato Italiano mi piacciono molto Belotti e Diawara, e il talento Donnarumma, anche se non credo sia paragonabile a Buffon alla stessa età. In chiave negativa mi è dispiaciuto moltissimo per Simone Scuffett”. Quale calciatore, infine, di fama mondiale le piacerebbe assistere sia dal punto di vista sportivo, sia che dal punto di vista della personalità? “Ovviamente mi piacerebbe seguire un portiere, e nella fattispecie Reina. Le spiego: il portiere è il ruolo più complicato del gioco del calcio dal punto di vista psicologico, le parlo anche da madre di un giovane portiere, mio figlio infatti gioca nell’ under 17 della Salernitana, e le posso assicurare che il portiere “soffre” già durante gli allenamenti, e un suo errore è fatale. Nonostante tutto credo che proprio lo spirito di sacrificio e di abnegazione porta a sviluppare una maggiore personalità nei portieri, che nei diversi ruoli”.
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“ALLE RADICI DEL FEMMINICIDIO” La violenza inferta dagli uomini alle donne in quanto donne è un affronto inaccettabile alla civiltà, è un insulto gravissimo che dovrebbe scuotere tutto il genere umano. La parola alla Dottoressa Flora Beneduce. Da cosa nasce la violenza sulle donne e quali sono gli strumenti per contrastarla? La violenza contro le donne è l’espressione del desiderio di controllo, di dominio e di possesso degli uomini sulle donne, solitamente del partner, anche quando la relazione si è conclusa. Rispetto al passato, molte donne riescono a uscire da relazioni violente in tempo, anche con l’aiuto di amici, di centri antiviolenza, di operatori specializzati che sono anche nei pronto soccorsi, e anche delle forze dell’ordine. Non sempre, però, le vittime di violenza, soprattutto del proprio partner, riescono ad uscire dall’isolamento. Alla violenza fisica e sessuale si affianca la violenza psicologica, che annienta, che allontana dagli affetti e dalla vita sociale e rende le donne impaurite di affrontare la situazione. La convenzione di Istanbul è fondamentale per mettere in atto politiche attive di prevenzione, coerenti e coordinate, per evitare lo spreco di energie e di risorse. L’azione delle istituzioni deve essere forte a tutti i livelli: dal governo centrale alle amministrazioni locali. E va fatta un’opera di sensibilizzazione e di coinvolgimento della pubblica opinione e delle imprese, utilizzando modalità innovative, che in altri contesti europei hanno ottenuto risultati soddisfacenti. Il problema della violenza ci impegna tutti per la sua soluzione. Dobbiamo sentirci tutti responsabili in prima persona. La violenza contro le donne non è un fatto privato. È un problema, innanzitutto, di educazione alle relazioni. I ragazzi e le ragazze devono imparare a gestire i rapporti tra i sessi all’insegna del rispetto e della valorizzazione di ciascuno. La scuola deve fare la sua parte, in questa grande battaglia culturale. Come si può prevenire la violenza sulle donne? Di fronte ad una chiara emergenza – e tale va considerata – occorre ripensare la prevenzione e mettere in piedi iniziative efficaci che aiutino le potenziali vittime a sviluppare una consapevolezza del rischio. Che aiutino le potenziali vittime a comprendere quando è il momento di
chiedere aiuto, che sappiano leggere e interpretarne i segnali. Occorre dunque una maggiore sensibilizzazione dei servizi sociali per cogliere il fatto che c’è una difficoltà molto forte da parte delle donne che oggi subiscono violenze. La legge qualcosa ha fatto ma in maniera del tutto insufficiente. Su questo fronte siamo indietro, sia culturalmente che giuridicamente: siamo un Paese che ha faticato a recepire le modificazioni del diritto di famiglia, c’è una grande lentezza e le modificazioni culturali richiedono passaggi generazionali. Ci colpisce molto che diversi casi recenti abbiano come protagonisti autori giovani. In questi casi si parla della dimensione della paura, una dimensione costante nella casistica del femminicidio. Nonostante la paura, la vittima non riesce a trovare un interlocutore nella rete, nella comunità” Il femminicidio è solo l’effetto estremo di un atteggiamento violento che si manifesta in forme e con gradi diversi. La violenza fisica e sessuale sulle donne, in qualche caso fino all’uccisione, è soltanto la punta dell’iceberg di una violenza allevata da una misoginia dura a morire e radicata anche nella cultura delle nostre società occidentali, che troppe volte rivendicano il principio di libertà insieme a quello di parità dei diritti. Qual è la sua opinione al riguardo? Nel Rapporto dell’Unifem, il Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo delle donne, c’è scritto che “la violenza sulle donne nel mondo è probabilmente la
forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega comunità e ostacola lo sviluppo”. Oltre i due terzi delle abitanti “in rosa” del pianeta hanno subito una qualche forma di violenza nel corso della loro vita e più di cento Paesi del mondo sono privi di una legislazione di prevenzione e di tutela. Secondo i dati Istat, quasi 7 milioni di italiane hanno subito violenza fisica o sessuale, circa un terzo in un’età compresa tra i 16 e i 70 anni. Oltre il 62 percento, dal partner attuale o precedente. Ma c’è la violenza morale e psicologica, e anche la disparità di trattamento contrattuale sul lavoro, di ruolo ed economico; è una violenza “di genere”. Action Aid ha pubblicato una ricerca, da cui risulta che la diseguaglianza tra uomini e donne, con salari più bassi, impieghi precari, scarsa istruzione e maggiore sfruttamento, ha un conto economico che supera i 17 miliardi di euro – l’equivalente di tre manovre finanziarie – , a fronte di meno di 6 miliardi spesi nella prevenzione. Com’è cambiata la condizione della donna – e del maschilismo – in Italia negli ultimi vent’anni? È molto migliorata, negli ultimi 20 anni. Grandi conquiste sono state ottenute, su tutti i fronti, ma nuovi traguardi devono essere ancora raggiunti. Oltre ai grandi avanzamenti sul piano dell’istruzione, le donne sono cresciute nel mercato del lavoro ed è cambiata profondamente la forma di partecipazione. Si entra nel mondo del lavoro in età più avanzata. L’occupazione femminile, tradizionalmente bassa nel nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, ha vissuto una grande crescita all’indomani della crisi dell’inizio degli anni ’90. A partire dal 1995, l’occupazione femminile è cresciuta ininterrottamente fino al 2008, alla grande crisi, che ha colpito più le donne che gli uomini. Il Sud ha raccolto le briciole e rimane molto indietro. E le conquiste sono avvenute con fatica e sono state pagate a caro prezzo, in altre dimensioni della vita: aumentano le interruzione del lavoro dopo la nascita dei figli, il carico è sempre doppio, dentro e fuori casa. Poi, pur crescendo la presenza femminile nei luoghi decisionali, questo avviene con enorme lentezza e ritardo rispetto ad altri Paesi, salvo che non intervengano
DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016 leggi a sostegno. Meno di metà delle donne in età lavorativa ha un impiego retribuito. Siamo in fondo alla graduatoria europea, e il Sud continua a collocarsi molto lontano dal Nord. Il problema ha a che fare con le rigidità sociali del nostro Paese, comunque profondamente maschilista”. Nel mondo dell’economia e del lavoro, quali sono gli abusi più diffusi contro le donne? Le donne sono spesso soggette a molestie e ricatti sessuali, per entrare nel mercato del lavoro, per rimanervi o per seguire percorsi di carriera. I fenomeni di mobbing riguardano sia gli uomini che le donne, ma per le donne sono più gravi e più frequenti. Il ricatto sessuale è particolarmente efficace in un momento di crisi economica, e viene usato dagli uomini come arma. La grande difficoltà che emerge, per le donne, è di affermarsi ai livelli più alti della scala sociale. E spesso le donne sono nemiche di se stesse, in una mentalità maschilista radicata. Anche qui, c’è bisogno di grandi battaglie culturali, per promuovere una vera equità, non soltanto nelle leggi. Abbiamo bisogno di pari trattamento, anche economico, per pari capacità, e di un trattamento che sia differenziato in rapporto alle capacità diverse, senza che il genere diventi strumento discriminatorio.
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Avete mai sentito parlare di un Temporary shop
Il “temporary shop”è un esercizio tem oraneo che solitamente vende articoli esclusivi a basso costo per un periodo limitato. La durata di apertura è variabile, va da qualche giorno fino a qualche mese, nel corso dell’anno. I prodotti che solitamente vengono trattati sono in edizione limitata o in stock e riguardano normalmente il settore dell’abbigliamento e della moda, ma non solo. Il temporary shop è dimostrato che è una buona tecnica per lanciare i propri prodotti. Si tratta di una vera e propria tecnica di marketing, essa genera visibilità per il brand, permette di pubblicizzare nuove linee di prodotti, consente di studiare il tipo di cliente e di verificare quanto successo potrebbe avere un nuovo prodotto sul mercato. Il segreto del negozio a tempo sta nella provvisorietà. L’apertura a tempo fa nascere una sorta di “ansia da acquisto” nel cliente, il quale viene spinto ad acquistare il prodotto e spesso senza confrontarlo con altre marche. Attualmente per la legislazione italiana, I’attività che più si avvicina altemporary shop quella dell’esercizio di vicinato con una durata limitata nel tempo. In base alla durata dell’attività svolta si possono profilare varie casistiche: • Se I’attività è inferiore ai 30 giorni nell’anno, allora I’attività si può definire di forma occasionale e di conseguenza non è previsto nessun adempimento presso il Registro delle Imprese. Si deve richiedere l’apertura della Partita Iva all’Agenzia delle Entrate in caso di prima attività e si deve comunicare l’inizio della stessa al Comune, tramite presentazione della Scia. • Se I’attività è inferiore ai 30 giorni ma non viene svolta in forma occasionale (l’imprenditore apre/chiude in posti diversi), I’attività deve essere iscritta presso il Registro delle Imprese, indicando come sede legale la residenza fiscale dell’imprenditore con la dicitura: GESTIONE DI TEMPORARY STORE per il commercio di o similare. In questo caso, i vari temporary shop vengono configurati come Unità Locali (se direttamente gestite dall’imprenditore). La segnalazione certificata di inizio attività deve essere compilata per ogni negozio aperto. • Se I’attività supera i 30 giorni, essa è equiparata all’esercizio di vicinato. «UN’IDEA PER INPRENDITORI E I GIOVANI INTRAPRENDENTI»
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21 A cura della Dott.ssa Flavia Altieri, Biologo Nutrizionista
BIOLOGIA DELLA NUTRIZIONE
Donne in menopausa: cuore a rischio se il peso oscilla studiosi evidenziano in ogni caso che sono necessari ulteriori studi e sottolineano che un dato non trascurabile della ricerca è che i risultati riguardano le donne in menopausa e non le giovani. L’alimentazione in menopausa dovrebbe essere ancor più controllata in questo delicato periodo fisiologico della donna. La dieta nella menopausa dev’essere programmata tenendo in considerazione tutte le modificazioni fisiologiche e parafisiologiche che si manifestano nell’organismo femminile. In particolare il calo di estrogeni che avviene fisiologicamente nella donna in menopausa può portare a l’alterazione della calcificazione ossea che, se trascurata (o in presenza di altri fattori di rischio), può sfociare nell’osteoporosi. In menopausa aumenta il fabbisogno di Vitamina D e calcio; a tal proposito è opportuno che le donne in fase di transizione valutino assieme al proprio medico e/o specialista dell’alimentazione se, oltre alla dieta per la menopausa e all’esposizione alla luce solare utile per la sintesi endogena di Vitamina D - sia opportuno incrementare l’apporto del minerale e del precursore della VItamina D attraverso l’assunzione di farmaci o integratori alimentari. Non meno importante l’aspetto biochimico legato al rischio cardiovascolare. Infatti, è noto che durante tutto il periodo di fertilità gli estrogeni svolgono un ruolo sensibilmente protettivo nei confronti dei vasi
Le continue oscillazioni del peso corporeo, che si verificano in chi si sottopone continuamente a diete dimagranti, un fenomeno definito in inglese come ‘’yoyo’’, possono rappresentare un pericolo per il cuore. Soprattutto se chi perde e poi riguadagna chili parte da un peso considerato normale. E’ quanto emerge da una ricerca presentata da Somwail Rasla, del Memorial Hospital del Rhode Island, alle American Heart Association’s Scientific Sessions 2016. La ricerca ha preso in esame 158.063 donne in menopausa, dividendole in base all’andamento del loro peso in quattro gruppi: donne dal peso mantenuto stabile nel tempo, donne che aumentavano di peso in maniera costante, donne che lo perdevano e riuscivano a mantenerlo e donne il cui peso oscillava di continuo. Sono state seguite per oltre 11 anni e dai risultati è emerso che le donne che avevano perso e riguadagnato chili, avevano un rischio di circa tre volte e mezzo più elevato di morte cardiaca improvvisa rispetto a quelle il cui peso era rimasto stabile. Non solo: le oscillazioni di peso risultavano anche collegate a un aumento del rischio del 66% di decessi per malattie cardiache coronariche. Nessun aumento del rischio invece per le donne che risultavano aver guadagnato o perso peso rimanendo poi stabili, così come per quelle che partivano da una situazione iniziale di forte sovrappeso o obesità. Gli
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sanguigni; questi ormoni agiscono sui recettori epatici delle lipoproteine a bassa densità (LDL) favorendone la rimozione dal circolo ematico e promuovendo la conservazione di un buon sistema cardio-vascolare. Tuttavia, al calare della produzione di estrogeni è possibile che si manifesti un incremento patologico dei lipidi ematici, di conseguenza un aumento del rischio di complicazioni cardiovascolari; a tal proposito, la dieta nella menopausa deve evitare: L’incremento del colesterolo totale e soprattutto di quello LDL L’incremento ponderale eccessivo relativo del deposito viscerale, cioè di quel grasso localizzato soprattutto a livello addominale La dieta nella menopausa deve anche considerare che, come dimostrano alcuni studi, uno dei fattori di rischio predisponenti al cancro al seno è rappresentato dall’aumento dei trigliceridi ematici. Ciò significa che, oltre a limitare gli alimenti ricchi di colesterolo e grassi saturi per scongiurare il colesterolo alto, dovranno essere dosati con attenzione anche la tipologia alimentare e le porzioni dei cibi ricchi di zuccheri e carboidrati, questo perché la tendenza all’iperglicemia favorisce la sintesi dei trigliceridi, incrementandone significativamente la concentrazione ematica. Si consiglia pertanto di essere seguito da uno specialista.
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DOMENICA 27 NOVEMBRE 2016
Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne: uscire dal silenzio si può!
Da ormai 17 anni, il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. La giornata fu istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ufficializzando la proposta fatta da un gruppo di donne attiviste, riunite a Bogotá in occasione dell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi nel 1981. Ma perché proprio il 25 novembre? La data rende omaggio a tre donne, le sorelle Mirabal, donne rivoluzionarie che si opposero al regime del dittatore della Repubblica Dominicana Rafael Leonidas Trujillo. Per questo motivo vennero assassinate brutalmente il 25 novembre del 1960. La violenza in ogni sua forma è un fenomeno ampio e diffuso. Ma nello specifico, più di sei milioni di donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni; il 20,2% ha subìto violenza fisica; il 21% violenza sessuale; il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Quella più diffusa avviene all’interno delle mura domestiche, ovvero in ambito familiare. Consiste in una serie continua di azioni caratterizzate da uno scopo comune: il dominio e il controllo da parte di un membro della famiglia sull’altro, attraverso violenze psicologiche, fisiche, economiche, sessuali. E un altro fenomeno è quello che si perpetua non solo da parte del partner sulla donna, ma ancora più grave, dei figli sulla propria madre. Il meccanismo che meglio definisce le fasi di una condizione di violenza domestica è definito “spirale della violenza” o “ciclo della violenza” ad indicare le modalità attraverso cui la persona violenta raggiunge il suo scopo di sottomissione dell’altro facendolo sentire incapace, debole, impotente, totalmente dipendente da lui. Isolamento, intimidazioni, minacce, ricatto, aggressioni fisiche e sessuali si avvicendano spesso con una fase di relativa calma, di false riappacificazioni, con l’obiettivo di confondere e indebolire ulteriormente la propria vittima. Sono meccanismi sottili: come ragni, i carnefici, tessono la loro ragnatela da cui diviene difficile liberarsi da soli. Per questo motivo, si stanno attivando sul territorio campano diversi centri specializzati: una sinergia tra psicologi, assistenti sociali, avvocati, forze dell’ordine, al fine di creare una rete di accoglienza e sostegno, indispensabile per uscire dalla morsa del ragno. Per approfondimenti o informazioni è possibile scrivere a psicologa@letiziaservillo.it o www.letiziaservillo.it Dr.ssa Letizia Servillo - Psicologa-Psicoterapeuta
23 LETTERA APERTA Al sindaco Avv. Pasquale Fuccio Il sottoscritto Arch. Antonio Cerbone: cittadino del comune di Casoria e facente parte de Presidio degli Architetti per la Protezione Civile della Campania. Illustrissimo Sindaco, mi rivolgo a lei primo responsabile della protezione civile del Comune. Lei rappresenta la prima risposta all’emergenza, qualunque sia la natura e l’estensione dell’evento, infatti garantisce già a livello locale, dalla struttura comunale, la sicurezza dei suoi cittadini. Nei giorni scorsi, ancora una volta, l’Italia ha tremato, dimostrando tutta la nostra fragilità e la vulnerabilità delle nostre città. Molti dei nostri concittadini hanno avvertito chiaramente la forte scossa con epicentro nel cuore dell’Italia. Lo scrivente ha partecipato e partecipa come Presidio degli Architetti per la Protezione Civile della Campania alle campagne di rilevamento dell’agibilità post sismica, verificando sul campo le difficoltà di un evento calamitoso del genere. È fondamentale a questo punto avere un chiaro quadro di cosa sta accadendo e di quale siano gli interventi preventivi da mettere in campo. So che non esiste un piano di protezione di emergenza, e che l’ultimo incontro di valutazione risale al 19 novembre 2014, svoltosi presso la biblioteca comunale di Casoria, dove si è fatto il punto della situazione sul piano d’emergenza. L’incontro, voluto dal Geologo Ugo Ugati, incaricato della redazione del piano, è servito solo a comprendere quali sono state le fasi preliminari del piano d’emergenza. Infatti, nella fase iniziale, con la collaborazione degli uffici comunali, gli incaricati hanno studiato il territorio, la popolazione, i punti vulnerabili della città, hanno analizzato le cavità, preso in considerazione le principali vie di fuga e l’eventuale tendopoli. Di fatto si è al punto di partenza. Il Piano di Emergenza è il supporto operativo in continua evoluzione, al quale il Sindaco si riferisce per gestire l’emergenza col massimo livello di efficacia; esso non è altro un progetto di tutte le attività coordinate e di tutte le procedure che dovranno essere adottate per fronteggiare un evento calamitoso atteso in un determinato momento, in modo da garantire l’effettivo ed immediato impiego delle risorse, necessarie al superamento dell’emergenza ed il ritorno alle normali condizioni di vita. La invito pertanto a considerare seriamente l’attuale situazione e ad attuare tutte le procedure necessarie, così da non trovarci impreparati. Anche perché in virtù della Legge n. 100 del 12 luglio 2012, il comune (il sindaco come primo responsabile) approva con deliberazione consiliare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, il piano di emergenza comunale, redatto secondo i criteri e le modalità di cui alle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e dalle giunte regionali. Giusto per farle capire la problematica, si ricordi la folla che aveva ai suoi comizi in Piazza San Paolo: la immagini nelle circostanze di un sisma. Io rabbrividisco, e lei? Sicuro del suo urgente interessamento le porgo distinti saluti Arch. Antonio Cerbone
Autorizzazione del Tribunale di Napoli n. Reg. 5116 del 28/02/2000
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