Domenica 6 Novembre

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2022

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ANNO XXII - N° 37 - DOMENICA 6 NOVEMBRE 2022

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ANTONIO BOTTA INTERVISTA A DON AGOSTINO SCICCONE, NEO PARROCO DELLA PARROCCHIA S. ANTONIO ABATE

RECUPERARE IL SENSO DELLA COMUNITÀ Ringrazio vivamente don Agostino Sciccone, neo parroco, da Settembre scorso, della comunità parrocchiale “S. Antonio Abate”, per avere accettato di rispondere alle mie domande. E’ stato ordinato sacerdote il 30 novembre 2016. Giovane parroco, subito ha “attratto” i fedeli di ogni fascia d’età, per la sua mitezza evangelica e la genuina affabilità e amorevolezza nei rapporti. E’ certo che nel tuo ministero sacerdotale, don Agostino,come recita un canto religioso, con fede salda e gioia profonda, “offri la vita tua come Maria ai piedi della croce, e sarai servo di ogni uomo, servo per amore, sacerdote dell’umanità”. Da qualche mese lei è parroco della comunità “S. Antonio Abate”. Con quale stato d’animo ha risposto alla chiamata del Signore di “pascere”, come Pastore, una porzione del Suo gregge? Con l’animo di umile disponibilità a compiere la volontà di Dio, che passa primariamente attraverso la Chiesa e, quindi, del Vescovo. In me è profonda la

gioia di servire la comunità parrocchiale che il Signore mi ha affidato, gioia che è autentica solo se vissuta in comunione con la gioia del Risorto, annunciata e condivisa con i fedeli. Com’è stata l’accoglienza della comunità parrocchiale? Molto calorosa e amabilmente affettuosa. In primis, la mia sincera gratitudine va al predecessore, confratello don Salvatore, che negli ultimi giorni di agosto mi ha introdotto, con premura fraterna, nel passaggio del testimone; sono molto grato anche ai fedeli che mi hanno accolto amorevolmente, desiderosi di continuare insieme con me il cammino alla sequela di Cristo. La pandemia ha fatto emergere la necessità di una riscoperta del valore della comunità e il cammino sinodale certamente favorisce la preziosa opportunità, nella Chiesa, di dare un forte impulso alla costruzione di relazioni fondate sull’ascolto profondo, su un dialogo sincero e costruttivo in un’alleanza

di corresponsabilità e di servizio fra tutti i membri del popolo di Dio. Da dove pensa di avviare una conversione della prassi pastorale parrocchiale ? Certamente il post pandemia ci impone, oggi, una ripresa. Quello che sento primariamente nel cuore, e che anche l’Arcivescovo ci ha da dato come guida, è di fare in modo che le parrocchie sperimentino e respirino di nuovo il senso della comunità. La nostra fede si poggia su tre piedi: Parola, Eucaristia e Comunità. Durante la pandemia, il terzo piede è venuto meno per il confinamento sociale determinato dalla necessità di contenere il contagio. Dobbiamo ritornare a vivere il senso dello stare insieme, per ritrovarci, riprendere i rapporti, sostenerci, aiutarci, recuperando lo spirito di famiglia. In particolare, sto offrendo ai ragazzi del dopo comunione e ai giovani, che hanno maggiormente risentito dell’isolamento, occasioni di rivedersi per rivivere la bellezza dell’amicizia, la gioia della relazione fondata sulla


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4 collaborazione solidale e sulla concordia. Nella lettera pastorale, l’arcivescovo don Mimmo Battaglia pone in rilievo la necessità di andare incontro alle “fragilità, sollecitando ad “assumere la priorità dei giovani come attenzione e sfida pastorale comune”. Le fragilità, infatti, non sono solo quelle dovute ai disagi per difficoltà economiche, verso cui poniamo costante attenzione con la mensa “Caritas, S. Teresa di Calcutta”, ma anche ai disagi dell’animo che i preadolescenti, gli adolescenti e i giovani come poc’anzi ho detto, hanno avvertito con il confinamento domiciliare. Per questo, sono in atto tre cammini per ciascuna delle tre fasce citate e ho riscontrato con gioia che la risposta è stata soddisfacente. Lunedì scorso, approfittando del ponte concesso dalle scuole, ho accompagnato un gruppo di giovanissimi e di giovani al mare, a Capo Miseno, dove si è vissuta insieme una splendida giornata. In merito alla conversione della prassi pastorale, essa è realizzabile, per usare un’espressione di Papa Francesco, attuando la “palestra della sinodalità”, ossia, camminando insieme,

“Dobbiamo ritornare a vivere la bellezza dello stare insieme, per ritrovarci, riprendere i rapporti, sostenerci, aiutarci, recuperando lo spirito di famiglia. Per i ragazzi e i giovani cammini di formazione. Incontri per i genitori dei bambini del catechismo, mirati ad accompagnarli e aiutarli nello svolgimento del loro compito educativo. Dopo Natale, cammino di spiritualità per le famiglie” come indica il termine “Sinodo”. Insieme, dunque, presbiteri e laici, come ricorda anche il Concilio Vaticano II, in virtù della comune dignità battesimale. Il Parroco non ha in sé tutti i carismi, ma mantiene insieme tutti i

carismi; c’è spazio, quindi, per tutti nella comunità. Tutti si devono sentire “pietre vive” in quanto battezzati, certamente ognuno nel proprio ruolo, contribuendo con il carisma, il dono specifico, a realizzare l’unità della Chie-

sa, che è “corpo mistico” di Cristo: c’è il capo, nella persona del sacerdote, che è al servizio di tutto il corpo, di tutte le membra vive, ossia i laici, in un’alleanza, appunto, di corresponsabilità, in virtù del comune Battesimo. Nella Lettera, don Mimmo evidenzia anche la necessità di “accompagnare le famiglie a motivo della loro instabilità sul piano affettivo, economico e sociale. A tal riguardo, ha programmato iniziative volte a sostenere i nuclei familiari? Nell’imminenza, con i genitori dei bambini del catechismo da quest’anno si terranno degli incontri di formazione sulla “genitorialità” con me e con esperti. Il primo si terrà il prossimo 12 novembre proprio sul tema “Essere genitori oggi”: la relatrice sarà una studiosa del “campo”, suor Katia Roncalli, di Assisi, pronipote del S. Giovanni XXIII. Ogni mese, poi, sarà il dott. Mariano Iavarone a condurre gli incontri con i genitori, molto importanti per il sostegno offerto ai genitori sul difficile e delicato compito educativo che essi sono chiamati a svolgere. Dopo Natale, inizierà anche un cammino di spiritualità per le famiglie.

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2022 RITA GIAQUINTO

CON L’AVV. FRANCESCO POLIZIO Ospite d’eccezione della rubrica LA COPERTINA condotta sulla rete web NanoTV dal Dr. Nando Troise è un’autorevole voce, personalità di spicco della storia di Casoria, ma anche della Regione Campania e della Repubblica italiana, in qualità di deputato per qualche anno: l’Avv. Francesco Polizio, fondamentale punto di riferimento per l’analisi e la comprensione dell’evoluzione – o involuzione – del percorso sociale e politico della nostra città. A lui, come da consuetudine della trasmissione, il Direttore sottopone il commento di una copertina del nostro settimanale: la “rivoluzione mancata” dell’ex Sindaco, l’Avv. Pasquale Fuccio che il 27 dicembre del 2018 fu mandato a casa da ben quattordici consiglieri, che, dinanzi ad un notaio, alle ore 9 del mattino, firmarono le proprie dimissioni costringendo la Giunta Fuccio a cadere. Da allora, eccezion fatta per Elena Vignati che ha provato a dire qualcosa, nessuno dei firmatari ha mai accettato l’invito della stampa locale a spiegare ai cittadini le motivazioni che, a suo tempo, guidarono la scelta di far cadere un Sindaco che stava, quanto meno, mostrando un certo impegno nella realizzazione di alcuni progetti e che anche Polizio aveva appoggiato. Questo il commento dell’Avvocato: “Le elezioni amministrative che videro la vittoria di Fuccio erano un’occasione utile per cambiare registro nella gestione amministrativa del Comune di Casoria. Ma, dopo pochi mesi, la stessa occasione fu sciupata. Per capire il perché, bisogna chiedersi per quali motivi non ci si incamminò verso quelle impostazioni programmatiche che avevano consenti-

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RIVOLUZIONE (E POLITICA!) MANCATA A CASORIA

to a Fuccio di vincere le elezioni. Quali erano le occasioni da mettere in campo per dimostrare il cambiamento gestionale nella pubblica amministrazione? Noi venivamo da una gestione fallimentare caratterizzata da una ispezione ministeriale che aveva mandato a Casoria una serie considerevole di prescrizioni sull’attività amministrativa indicando anche il percorso da seguire. Si trattava di un elenco di addebiti, uno più pesante dell’altro. Rispetto a questo, Fuccio fece, anche su nostro suggerimento, la prima cosa che andava fatta, tenendo anche conto del programma elettorale:due delibere di indirizzo dove dava disposizione alla dirigenza di procedere a raccogliere e a giustificare l’operato degli amministratori,anche rispetto alle precedenti procedure concorsuali. Queste due

delibere sono diventate lettera morta. Era dunque un’opportunità per il nuovo governo di affermare una nuova presenza che interrompeva un lungo percorso negativo. Gli fu suggerito di mettere mano ai conti e alla debitoria altrimenti si andava verso il fallimento ed il dissesto finanziario. Tutte indicazioni che non furono colte da quell’amministrazione. Ecco perché cominciammo a criticare il suo operato, in quanto non conseguente né al programma, né agli atti assunti in mano sin da subito. Il contrasto da parte nostra si è inasprito perché non era possibile, che dopo la nota ministeriale con l’addebito conclusivo di n.26 appunti critici contro i dirigenti artefici di tanti disastri, questi stessi dirigenti vennero confermati dall’amministrazione Fuccio. Qui, fu inevitabile la nostra netta


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6 contrapposizione. Si arrivò all’assurdo con un’indagine della Procura regionale della Corte dei Conti, facendo una transazione con una dirigenza che aveva impugnato degli atti di fine mandato, mettendo in cantiere un’indagine ispettiva sui vari concorsi fatti precedentemente senza poi portarla a termine!”. Perché tutto questo? “I cattivi immaginano che fosse il modo per tenere buona l’opposizione, senza capire che questa se ne fregava dei problemi della città, voleva vendicarsi e mandarlo a casa perchè Fuccio non li aveva accontentati nella distribuzione degli incarichi. Da qui, l’incapacità del sindaco di gestire tutto: da vero politico avrebbe dovuto costringere l’opposizione ad un confronto, non gettare la spugna. I 14 firmatari avevano intravisto la possibilità di sostituirsi a lui, tanto è vero che poi la maggior parte ha dato vita a questa nuova amministrazione”. Ma il problema vero, come continua l’Avv. Polizio, è sostanzialmente di ordine politico: “La classe dirigente non c’è più, Casoria è una città dove non si fa più politica perché nessuno vuole affrontare e misurarsi con i problemi seri di questa città. Inutile stilare un elenco, rende solo più complicato orientarsi nelle difficoltà. Il dissesto amministrativo non è quello di oggi, ma nessuno ha voluto dichiararlo seriamente al momento giusto: ognuno ha immaginato sempre di spendere, senza chiedere sacrifici, ma quanto più si è speso e non si è lavorato sulle entrate, tanto più è aumentato il disastro amministrativo. Anche a Fuccio avevamo suggerito di dichiarare il dissesto,perché poteva essere la cesura tra la vecchia e la nuova amministrazione,un vero cambio di registro. Anche Raffaele Bene, nella continuità dell’incultura politica e amministrativa, ha continuato per un

anno senza rendersene conto. Un comune che non si rende conto dei propri debiti è un comune incapace. E questo è il dramma di Casoria”. Intatta la fiducia nelle potenzialità di questo territorio, Polizio insiste sull’importanza di una dirigenza all’altezza: “Qualcuno si è preoccupato di verificare le gare, controllare i geometri che fanno i collaudi, se i lavori rispettano i capitolati? Gli assessori dovrebbero vigilare sui dirigenti di settore. Preoccupiamoci di controllare cosa viene fatto. Altrimenti, ogni anno dobbiamo rifare le stesse cose. Ogni assessore deve avere un solo riferimento nella dirigenza,non quattro. Se manca questo tipo di fluidità ecco che non cocnludiamo niente. L’agonia di Casoria continua perché manca la cultura di governo negli amministratori,con siglieri,assessori; le strade dissestate, le violenze ai danni dei cittadini, il degrado dell’edilizia pubblica, la mancanza di controlli suonano come una sconfitta alla città e un’offesa ai cittadini”. Uno dei motivi alla base di questa inabilità è sicuramente – secondo il nostro ospite –la politica ha rinunciato alla sua dimensione centrale, facendo un passo indietro senza mai riuscire ad offrire alla città un sindaco politico. Le innumerevoli liste civiche che ormai, negli ultimi anni, riempiono le tornate elettorali ne sono una prova tangibile: “Rispetto per le liste civiche ma dobbiamo avere il coraggio di registrare che sono servite solo ad eleggere sindaci senza potere, che non erano espressioni di un partito. In questo clima,���������������������������� è��������������������������� difficile sostenere un’amministrazione. Il consigliere che viene eletto, vuole intervenire, dimenticando che il consiglio comunale è una palestra, serve a fare esperienza, a imparare il mestiere, a capire come funziona la pubblica amministrazione. Invece cerca

provvedimenti, una mediazione che oggi diventa un ricatto per il sindaco che, come gli assessori, pur di mantenere la poltrona si adegua. E questa è la vergogna della politica”. Ma personalità di grande spessore intellettuale come l’Avv. Polizio difficilmente affrontano i problemi senza prospettarne le soluzioni. E la conclusione dell’incontro è proprio una breve sintesi di quello che, nell’immediato, andrebbe fatto: “Bisogna risanare i conti del comune: vendere o dismettere, da subito, una parte del patrimonio comunale, ed essere conseguenti ai provvedimenti; poi mettere in condizione la macchina comunale di agire, riorganizzando le strutture, con personale qualificato, attraverso procedure concorsuali; trattare con il ministero competente ed ottenere le risorse necessarie per portare a termine i provvedimenti in cantiere. Dopodiché, si potrà programmare per il futuro. Infine, fare in modo che questa città abbia la sua importanza nell’area metropolitana, perché oggi Casoria non conta niente: non c’è nessuno che in Regione pretenda per Casoria l’attenzione che merita, affidandogli ruoli urbanistici, sociali, politici di prioritaria importanza. Di tutti gli interventi che vengono immaginati e ipotizzati in Regione, Casoria deve essere presa in seria considerazione. Noi prospettammo un insediamento universitario a ridosso della circumvallazione, una facoltà di farmacia o veterinaria. L’amministrazione deve andare in Regione, far sentire, politicamente, la propria presenza”. Chiedere, pretendere e spingere per ottenere risultati. In nome di una gestione del territorio che possa considerarsi – a pieno titolo – a favore, a sostegno e a beneficio dei cittadini che lo vivono.

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MARIA CRISTINA ORGA

IO RACCONTO STORIE magazine

IL NAPOLI INCIAMPA IN CHAMPIONS, MA CONTINUA IL SUO MAGICO VOLO

“Non sempre si può vincere… bisogna saper perdere…” schitarravano The Rokes un po’ di anni fa, a monito imperituro dell’evidenza che, nel gioco delle parti della vita, inevitabilmente l’altalena della buona sorte sale e scende e va bene così. Va benissimo così infatti, nonostante sarebbe stato bello afferrare il fiocco numero quattordici sulla giostra dei “calci alla palla” appannaggio esclusivo quest’anno di un Napoli che fino alla resa onorevole a Liverpool di martedì sera non ne aveva sbagliata una né in campionato, né in Champions. E va bene così, più che bene, perché, nonostante le due reti subite da Salah all’85mo e da Nuñez all’8° minuto di un recupero fiume, resta saldamente al comando del girone, perché di reti ne poteva incassare addirittura tre senza perdere lo scettro del girone. Giusto per ricordare un po’ della recente storia degli azzurri, è la seconda volta che il Napoli si classifica al vertice del girone in una stagione di Champions League. La prima era stata nel 2016/2017. Altro dettaglio (non da poco): l’ultima sconfitta risaliva invece all’8 agosto 2020 negli ottavi di finale di ritorno, quando fu trafitto in casa dal Barcellona con un impietoso 1-3. Ad ogni buon conto, inglesi e napoletani escono dal rettangolo di gioco entrambi soddisfatti, perché passano il turno, insieme all’Ajax terzo che ha piegato i Rangers, con gli scozzesi che dopo sei partite chiudono a zero. E dopo la cronaca dei fatti recenti, è il momento di raccontare la storia e le opinioni sulla squadra di Spalletti di un grande centrocampista del Napoli di ieri: Giovanni Improta. Mister, dove, quando e perché ha iniziato a giocare a calcio? A Posillipo, dove sono nato, ero solito scendere sotto casa con qualcosa che somigliasse ad un pallone. Io ricordo che la mia prima palla era una vecchia calza riempita con carte e fogli di giornale. Avevo sei anni e da qualche anno avevo perso la mamma. Eravamo quattro fratellini. Io e mio fratello più grande di me di due anni ci inventammo questo

gioco con la palla di calza e carta. Poi pian piano le cose migliorarono perché il nostro papà ci comperò un pallone e continuammo a tirare calci sotto casa. A Posillipo, a quei tempi, si poteva giocare a calcio per strada? C’erano spazi sicuri, ma noi avevamo la fortuna di avere vicino casa anche il campo sportivo Denza, dei padri Scolopi, dove io, all’età di dodici anni, iniziai a far parte della Società Sportiva Posillipo e quindi potevo cimentarmi anche su un campo di calcio vero, in terra battuta, ovviamente. E di là sono approdato alle varie categorie: esordienti, giovanissimi, allievi e poi feci anche l’apparizione in prima squadra. All’epoca c’era un campionato dilettantistico di prima categoria e io iniziai con il Posillipo. Poi fui adocchiato da qualche osservatore del Calcio Napoli e di lì passai alle giovanili del Calcio Napoli, con esattezza nella Primavera. E lì fui messo pian piano in luce: avevo buone qualità, ero ancora u po’ gracilino, però nel giro di un paio d’anni, sviluppai il fisico e mi presentai alla porta della prima squadra. Allora ci fu la Spal di Ferrara che mi adocchiò e chiese alla società di farmi approdare nelle loro fila. Avevo diciannove anni. Però ci fu in incidente di percorso e dovetti essere operato di un ginocchio; quindi, non potetti andare a giocare in serie A con la Spal. Ci fu una sosta di un anno per rimettermi dall’infortunio e dopo, per contratto la Spal mi riprese, ma intanto era retrocessa in

serie B. Io quell’anno ero anche militare di leva e quindi disputai solo undici gare con la Spal in B, dopodiché il Napoli mi riacquistò pagando l’altra metà del mio cartellino e quindi, nel 1969/70 entrai in prima squadra. Ricorda chi era l’allenatore in quella stagione? Beppe Chiappella, allenatore che si innamorò del mio modo di giocare e fin dal debutto mi tenne in grossa considerazione, infatti ero quasi titolare inamovibile in squadra e da lì è partita la mia carriera. I primi quattro anni sono stato nel Napoli in serie A; poi passai alla Sampdoria, sempre in A, ancora un anno ad Avellino, in B; quattro anni a Catanzaro due in B e due in A; poi nel 1979 il Napoli mi riacquistò per un anno, per poi approdare al Lecce in serie B negli ultimi due anni della mia carriera. Ci fu poi un’ulteriore parentesi prima di smettere di giocare, a Frattamaggiore con la Frattese, dove disputai un campionato di serie C 2 a trentasei anni, nell’84, l’anno in cui a Napoli approdò Maradona. Lei e Diego vi siete sfiorati in campo. Ha avuto modo di conoscerlo fuori dal rettangolo verde? Sì. L’ho conosciuto molto bene da molto vicino, perché lui ha sempre frequentato la struttura ricettiva che io gestisco dal 1979 a Napoli, dove ci sono campi sportivi, attrazioni per altri eventi e cerimonie, c’è la discoteca, il bar, eccetera, (il famosissimo Virgilio, per intenderci, ndr), ma lui frequentava solo gli impianti sportivi. Diego era mio ospite fisso. Veniva ad allenarsi quasi tutte le mattine. Non frequentava le attività ludiche, ma solo quelle sportive. Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo si è dedicato esclusivamente all’imprenditoria? No, ho fatto anche l’allenatore, il direttore sportivo, il presidente societario, sono stato presidente federale, insomma: non mi sono fatto mancare nulla, insomma. Fino ad approdare agli studi televisivi di Canale 34, Canale 21 e non solo,


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8 come opinionista e commentatore sportivo. Ultimamente sì, opinionista, anche se sono a stretto contatto con i campi di gioco perché attualmente figuro come direttore generale del settore giovanile della Turris e quindi, diciamo che la palla rotonda non mi ha mai lasciato. Il calcio attraversa tutta la mia vita: ne parlo, sono in contatto con i giovani che si allenano…insomma è stato la mia vita e mi auguro che lo resti ancora per un po’ di anni. Un amore corrisposto, mister, che la porta a cogliere a pelle le sensazioni che vengono su dal tappeto verde: che cosa è cambiato dal tempo in cui giocava lei ad oggi? Certo è cambiato molto, ma le finalità restano le stesse, vale a dire riuscire a fare un gol più dell’avversario. È però cambiato in tanto altro, anche dal punto di vista della preparazione fisica: all’epoca ci allenavamo sì tutti i giorni, ma non erano preparazioni scientificamente pensate come lo sono ora, per quanto riguarda dei concetti di varia natura, come la rapidità, la velocità, la forza, la resistenza. Oggi è tutto mirato ed è più semplice. Sono cambiate anche i modi di giocare: ci sono le tattiche che prendono il sopravvento sul discorso tecnico, insomma… Approfondiamo un attimo il concetto delle tattiche. Sì. Per quanto riguarda gli schieramenti, oggi si fanno tanti numeri: 4-33; 3-4-2-1; 5-3-2; 4-4-1-1, ma in effetti alla fine rimane sempre lo stesso il modo di schierarsi in campo. L’importante è che ogni tattica abbia un suo ordine e una sua prerogativa, ovvero cercare di offendere gli avversari. E poi si possono inventare tante situazioni anche nel modo di battere un calcio d’angolo o una punizione. C’è la furbizia che deve appartenere a questo gioco, per essere una frazione di secondo davanti all’av-

versario che ti può permettere di fare o di prendere o di non prendere un gol. Ci sono tanti accorgimenti, ma questo fa parte del DNA del singolo calciatore. La tattica toglie un po’ di inventiva al singolo, perché costringe a determinati movimenti e quindi anche quando devo trasmettere palla lo faccio in una certa maniera perché poi c’è il movimento del compagno a seguire. Sono cose che bisogna vivere per capirle bene. Si possono anche spiegare, ma davanti alle classiche lavagne siamo tutti dei grandi allenatori, mentre invece, mettere in pratica certi progetti diventa la cosa più difficile. Fare l’allenatore passa proprio attraverso la pratica e uno degli allenatori più bravi non solo nella tattica di squadra, ma anche a migliorare il singolo giocatore, miglioramento che giova a tutto il collettivo è Luciano Spalletti. A suo avviso, quale giocatore è cresciuto di più proprio grazie a Spalletti? Ne cito uno del passato che è stato anche mio allievo alla scuola calcio: Carmine Esposito, che è stato uno degli allievi di Spalletti e i miglioramenti a cui lo ha portato Luciano gli hanno permesso di militare in A per diversi anni. Ultimamente tra i calciatori del Napoli che hanno avuto un forte miglioramento tecnico e tattico ci sono Osimhen, Lobotka, Mario Rui, che hanno delle qualità che non mettevano a fuoco completamente e con Spalletti hanno tirato fuori il meglio e di conseguenza ecco che è migliorato anche il collettivo, com’è sotto gli occhi di tutti. La squadra è oggettivamente in gran forma. Secondo lei, la lunga sosta forzata a cui la costringerà l’imminente Mondiale sarà proficua o penalizzante perché un bel po’ di titolari saranno impegnati a difendere i colori nazionali? Io credo che questa sosta è una manna

dal cielo, anche se forse molti non saranno d’accordo. Per me lo è senz’altro, perché tutte le squadre allenate da Spalletti, basta dare un’occhiata al suo curriculum, hanno avuto sempre delle partenze sprint, mentre poi le energie andavano a scemare. Stavolta invece ci fermiamo per una sosta lunga essendo saldamente al primo posto del campionato e quindi quando riprenderemo avremo una nuova partenza a razzo. E questo può fare solo bene al Napoli, nel senso che ci fermiamo, ci riposiamo un po’, sei o sette giocatori saranno impegnati in qualche gara dei mondiali (e io personalmente farò il tifo perché le loro nazionali vengano eliminate) Eh, così si riposano! Eh, sì. Mi sa che saremo in tanti a tifare così! Ripartiremo così dal vantaggio del vertice con un’altra partenza alla Spalletti. Tra l’altro la questione sosta mondiale non riguarda solo il Napoli, ma anche le altre concorrenti che avranno anche più giocatori di noi impegnati nella competizione mondiale. Comunque, ad una società fa piacere che i suoi giocatori vengano chiamati nelle nazionali, perché significa che sono calciatori validi, importanti, che attraversano uno stato di forma tale da giocare in nazionale. È un vantaggio per tutti. Speriamo solo che i nostri non tornino infortunati e possano riposarsi per continuare il cammino verso il trionfo che, per me, quest’anno è già garantito. Questo sì che è un pronostico che mi piace! Per lei, quindi, non c’è nessuna tra le compagini inseguitrici all’altezza di insidiare il primato del Napoli in campionato? No, sono sincero: non ne vedo. Sia il Milan che l’Inter che la Juve sono titubanti nelle loro prestazioni. Non sono bene a fuoco quest’anno. Ecco, brava, brava. Mentre il Napoli lo è al cento per cento, soprattutto attra-

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2022 verso tutti i disponibili che ha Spalletti, perché noi, ad esempio, non abbiamo accusato le assenze di Anguissa e di Osimhen, anzi, al contrario, c’era l’imbarazzo della scelta quando si è trattato di sostituirli. C’era il Toto-formazione, ognuno di noi commentatori ne proponeva una e invece Spalletti, che sa il fatto suo, si è messo là e continua con la massima attenzione a guidare questo gruppo di ragazzi eccezionali. Il migliore acquisto di quest’anno qual è stato per lei? È sulla bocca di tutti: Kvaratskhelia, ������������������� certamente, ma non è da sottovalutare Kim che sta dimostrando un valore incredibile e sta un pò, con le dovute proporzioni, anche un po’ oscurando la bella favola di Koulibaly. Non sottovalutiamo poi Raspadori, Simeone e anche Oliveira, che all’occorrenza, quando ha dovuto sostituire Mario Rui, lo ha fatto con intelligenza. Quello che vedo un po’ indietro rispetto al rendimento dei compagni che ho citato forse è solo Ndonbelé, che non riesce ancora ad avere quel passo spedito che gli chiede Spalletti. È ancora un po’ da rodare, ma ha delle qualità sia a livello tecnico che fisico, per cui, nel momento in cui raggiungerà il top della condizione psico fisica verrà fuori con le sue giocate che ben conosciamo,

9 anche nei suoi trascorsi. Se dovesse dare un consiglio a Spalletti per il prossimo mercato invernale avrebbe qualcuno di cui suggerire l’acquisto o la squadra va bene così e lei non muoverebbe pedine? Non muoverei nulla, nella maniera più assoluta, perché, come d’incanto, è venuto fuori questo bel gioiello che dobbiamo proteggere con gelosia assoluta. Tutti i componenti dell’attuale organico dando il loro contributo pur non giocando, ma assecondando le scelte del loro allenatore. Non si ribellano, anzi, accettano, anche se qualcuno mal volentieri perché tutti vorrebbero giocare, con il sorriso sulle labbra la scelta che fa Spalletti e lui sta trovando terreno fertile in questa situazione, perché un allenatore, quando è libero mentalmente e non viene condizionato dalla personalità dei singoli, dà sempre il meglio di sé. Questa è l’alchimia che si è creata e questa reciproca fiducia non deve essere intaccata da nuove presenze. Un’ultima domanda prima di salutarla: c’è in questo bel Napoli un giocatore in cui lei rivede se stesso? Il nuovo Improta nel centrocampo di Spalletti chi è? Io mi metto in mezzo a due bravi: Zieliǹski e Kvaratskhelia, perché tecni-

camente parlando, per modo di giocare e movenze, che qualcuno riteneva molto eleganti in campo, mi rivedo in questi due calciatori. Li guardo con tanta attenzione e in più di un’occasione, vorrei stare lì con loro per dar loro qualche suggerimento, perché sono giovani e commettono qualche errore come capitava a me quando ero giovane e vorrei aiutarli a non commetterne. Sono veramente deliziosi da vedere giocare per come si muovono e per quanto riguarda quanto a noi sta a cuore: vederli vincere. Veder vincere una squadra è troppo bello. Se poi si tratta della squadra della tua città dove hai dato, quando ne hai avuto la possibilità e te lo hanno permesso sono soddisfazioni da non credere. Noi ex calciatori napoletani taniamo tutto dentro e lo tiriamo fuori nei momenti giusti per stare vicino alla squadra, anche criticando le cose che non vanno, ma sempre offrendo dei contributi per far migliorare la situazione. Checché se ne dica, noi siamo fatti così. A lei che rappresenta la voce della saggezza, dunque, chiediamo se questa volta il tricolore tornerà a sventolare a Napoli. Sì. Senza ombra di dubbio.


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FRANCA LEOSINI: “SPERO CHE STORIE MALEDETTE TORNI IN PRIMAVERA” INTERVISTA ALLA GIORNALISTA RAI: LE SUE IDEE SULLA VIOLENZA, SUL CARCERE E SUL MONDO DELL’INFORMAZIONE

Lei è calma, composta, seduta lì di fronte all’assassino. Le sue parole sono più eleganti della giacca a quadri che indossa. Quando devono, i suoi toni accoglienti sanno attaccare violentemente con il velo della gentilezza. Modi garbati in una scura galera, modi umani. Saper raccontare, approfondire senza tralasciare, scavare la verità a picconate o spalmarla sullo schermo così com’è, come dev’essere. Narrare crudi gli avvenimenti e nel contempo immergersi nelle viscere dell’animo e della mente umana. Questo è il suo giornalismo: il giornalismo ‘noir’, giallo, di Franca Leosini, ottantottenne napoletana, che ha marchiato a fuoco col suo nome il genere della cronaca nera in Italia. Dottoressa in lettere moderne, scultrice di testi, autrice di trasmissioni televisive, studiosa dei delitti, dei gialli, delle vicende giudiziarie che più hanno scosso e incuriosito il popolo italiano, Franca Leosini vanta una lunga carriera, dalla carta stampata de “L’Espresso” alla direzione del mensile “Cosmopolitan”, firmando poi la ‘terza pagina’ del quotidiano “Il Tempo”, fino allo sbarco in televisione nel 1988, come autrice della trasmissione “Telefono Giallo”, cui seguono altri lavori fino al 1994, quando da autrice e conduttrice inaugura la celebre e consacrate trasmissione “Storie Maledette”. Da allora, tanti riconoscimenti per il suo giornalismo, come il premio “Donne per il Giornalismo” nel ’96, il Pericle d’Oro nel 2001, il premio internazionale Ennio Flaiano, quello per il Festival della televisione italiana nel 2002 e nel 2005,

e, ancora, il premio di cultura e giornalismo “La penna d’oro” nel 2004 e “Donna dell’anno” AIDDA, sezione giornalismo, del 2007. Nel 2004 ha condotto il programma “Ombre sul Giallo” e, recentemente, non potendo intervistare nelle carceri, causa Covid, è andata in onda con “Che fine ha fatto baby Jane?” . Il Curriculum di Franca Leosini è davvero lungo e non si può certo pubblicarlo in questa sede. La dimensione del personaggio appare più evidente e lampante, forse, guardando agli strascichi del suo lavoro: tanti inviti e presenze in numerose trasmissioni, la celebrità in rete e sui social che accompagna lei e i suoi modi di dire, come icona, come meme,

finanche le imitazioni che fanno di lei in programmi comici in tv. “Leosiner” è il neologismo nato per definire i suoi fan, di ogni età e classe sociale, appassionati al suo ricamo di parole sui misteri irrisolti, su fatti e misfatti, sulle più crudeli, istintive o calcolate azioni dei suoi intervistati e perché di quelle storie c’è forse una piccola parte, una sofferenza, un dramma personale, una condizione sociale, che ci appartiene e nella quale ci rispecchiamo seguendo le sue interviste. Per una volta, però, non è stata lei a intervistare, ma è stato nostro, come giornale ‘Casoriadue’, l’onore di farle alcune domande… non certo per sapere di Patrizia Reggiani Gucci, condannata a 26 anni di carcere come mandante dell’omicidio del marito Maurizio Gucci nel ’98, né per chiedere del delitto di Avetrana o per avere pareri su coloro che sono passati alla storia delle cronache giudiziarie come ‘gli amanti diabolici’, tantomeno per sapere qual è la sua idea su chi possa essere l’assassino di Simonetta Cesaroni, delitto romano irrisolto da oltre trent’anni. Piuttosto, poche domande semplici, per trarre qualche insegnamento dalla sua esperienza di donna, di cittadina, di giornalista. Buongiorno, dottoressa Franca, dove si trova in questo momento, a Roma per lavoro o nella sua città? Buongiorno, sono a casa mia, a Napoli. Sono ben novantotto le “Storie Maledette” che lei ha studiato e raccontato, senza contare tutte le vicende trattate nelle altre trasmissioni. Vista la sua esperienza, come può una donna o una

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DOMENICA 6 NOVEMBRE 2022 potenziale vittima di violenza accorgersi in tempo, scongiurare il peggio ed evitare di essere raccontata in una sua trasmissione? Dico sempre e continuerò a ripeterlo: bisogna lasciare al primo schiaffo, al primo segno di violenza. Bisogna prendere immediate distanze, senza sperare troppo in un cambiamento dell’altra persona, perché la cronaca e la storia ci parlano e insegnano che se c’è un cambiamento, nella maggioranza dei casi, è sempre in peggio! In passato ha detto che una parte di ‘noir’ è presente in ognun di noi, quali sono dunque le condizioni, i caratteri, che fanno scivolare una persona normale nell’ombra di un delitto? Il germe della violenza è sempre presente, certo, ma esistono per fortuna i freni inibitori. Una buona educazione, la sensibilità, la cultura, un ambiente favorevole, sono tutti deterrenti, anche se in qualsiasi momento si può sfociare nella pazzia. Naturalmente, anche in ambienti considerati sani possono verificarsi delitti, come nel caso Gucci, dove una donna benestante ha dato lucidamente mandato di uccidere il marito. Ha girato un po’ tutti i penitenziari d’Italia, facendo interviste ai detenuti. Un giudizio sulle condizioni delle carceri e se esiste, per lei, un modo diverso di redenzione per superare o, quantomeno, migliorare il sistema carcerario. La privazione della libertà è una condi-

11 zione innaturale e dolorosa. La detenzione in alcuni casi è, però, necessaria per mettere le persone in condizioni di non nuocere. Oltre a questo aspetto punitivo generale, c’è da dire che non tutte le carceri sono uguali: alcune offrono un ambiente positivo, maggiori possibilità per studiare, lavorare, avere un impegno pratico e prospettive per cambiare la propria vita… per tante altre strutture, purtroppo, non è così. Oltre la laurea in lettere, potrebbe averne una ad honorem in giurisprudenza per tutte le carte, le leggi, le documentazioni che ha studiato… Per fare il mio lavoro ho avuto bisogno di seguire diversi percorsi, andare oltre il dato umano della vicenda, per approfondire tutto l’aspetto della giurisprudenza: devo conoscere bene gli argomenti che tratto, anche da un punto di vista legale. Senza sfociare nell’autocelebrazione, posso dirmi un’autodidatta in materia, dopo anni e anni di studi. Lei faceva giornalismo da prima che io nascessi, da quando non esistevano i social network. Come è cambiato il giornalismo in tutto questo tempo? Io credo che il giornalismo sia cambiato in meglio, perché rispetto a prima c’è una maggiore fruizione delle informazioni, ci sono più spazi dove poter apprendere e seguire le notizie. In peggio, pensando a un po’ di colleghi che farebbero meglio a occuparsi di altro. Il nostro lavoro si fa con coscienza, serenità, onestà, parlando su basi certe: la super-

ficialità fa soltanto danno a chi segue. Quindi, nell’era degli “acchiappalike” la verità fa ancora audience? La verità è un’astrazione. Spesso grandi menzogne sono camuffate da verità. Essa va individuata, quando leggiamo o ascoltiamo, dobbiamo avere una nostra base personale per scindere, per comprendere, per svelare se una cosa è vera o è una truffa. La verità, nella migliore delle ipotesi, è sempre una storia raccontata a metà, spetta a noi il compito di scegliere la metà in cui credere… per citarla. Infine, faccio la domanda che tutti i “leosiner” vorrebbero porle: tornerà con una nuova stagione di “Storie Maledette”? Magari a inizio anno nuovo? Per preparare le “Storie Maledette” c’è un grandissimo lavoro, da parte mia e di tutti coloro che collaborano alla trasmissione. Io scrivo per intero i testi di ogni puntata e prima di farlo devo studiare approfonditamente i casi che tratto. Le interviste nelle carceri negli ultimi anni non sono state possibili, ma magari presto si potrà fare, anche se i passaggi prima di un’intervista sono vari e richiedono tempo: ricevere il benestare dell’intervistato (non tutti si rendono disponibili), contattare il direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e aspettare per ricevere tutti i permessi. C’è qualche possibilità ed è la mia speranza che si possa ricominciare in primavera!

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12 CHIARA D’APONTE

INTERVISTA A ANGELA MATASSA Protagonista della nostra chiacchierata settimanale è Angela Matassa, giornalista, autrice, scrittrice. Collabora con “Il Mattino” e con varie riviste specializzate. Ma di rivista ne ha anche fondata una, ormai Cinquanta anni fa. Una persona interessante al punto che racchiudere tutto il suo mondo in un’unica intervista ci sembrava poco ed è per questo che abbiamo deciso di dedicargliene due. In una approfondiremo la sua grandissima passione (che è poi diventata anche un lavoro) per il teatro. La prossima settimana vi parleremo dei suoi viaggi nel mondo delle tradizioni napoletane e campane in genere. Da dove nasce la sua passione per lo spettacolo e per il teatro in particolar modo? Ho cominciato ascoltando i radiodrammi di molti decenni fa, all’età di dodici anni cominciai a frequentare i teatri, dopo scrivevo la recensione. Ho visto spettacoli con attori-mito come Tino Buazzelli, Lina Volonghi, Salvo Randone, Umberto Orsini, nomi che oggi i giovani possono ritrovare solo negli annali, se esistono. Mi emozionai davvero quando vidi in scena Eduardo. Non potevo non appassionarmi, io che avevo già una predisposizione per la scrittura e una gran voglia di creare. Anche a scuola, dove inventavo storie con dialoghi. In seguito ho scoperto che nella mia famiglia ci sono stati (e ci sono tuttora) in tutti i rami e in tutte le generazioni, artisti, musicisti, cantanti, compositori. Ho pensato che forse c’era un po’ d’ispirazione nel mio DNA. Non ho più smesso di frequentare il teatro, la televisione quando cominciarono i grandi sceneggiati della Rai, fino a farne una professione, che ancora oggi mi appassiona. Sono autrice, inoltre, di testi teatrali andati già in scena. Come nasce Notizie Teatrali? Direi che è stata un’inevitabile conseguenza. Agli esordi nel giornalismo mi occupavo di cronaca, scrivere di teatro era un hobby e un modo per evadere dalla durezza dei temi della quotidiani-

PARTE I: IL TEATRO

tà. “Notizie teatrali” ha una lunga storia, è una testata che ha cinquant’anni circa, è nata come foglio in tipografia, che distribuivo nelle sale e cominciavo a entrare nel mondo dello spettacolo, per il settore che tuttora seguo come giornalista per il quotidiano Il Mattino. Poi, col tempo, è diventato un notiziario in pdf, oggi è un web magazine, che ha ampliato i suoi orizzonti, sia come contenuti che come area di interesse. Sono molto soddisfatta e gratificata. Nostalgia per il passato o amore per il presente? Insomma secondo lei il teatro del passato batte quello del presente? Non sono una persona nostalgica e cerco di essere al passo con i tempi. Quando ero giovane gli spettacoli nascevano da testi classici, erano recitati da attori che si sono rivelati molto bravi ed era un piacere vederli e ascoltarli in quell’atmosfera magica. Oggi, che i tempi sono molto cambiati, si fa dell’altro e anche in luoghi diversi. Le storie che si mettono in scena sono più legate all’attualità e alla quotidianità. Sono nati nuovi autori, che hanno colmato un vuoto e raccontano in modo contemporaneo, grazie anche alla tecnologia, che va certamente usata. Io apprezzo molto chi ha il coraggio di mettersi in gioco e preferisco giovani autori a chi, invece, fa traduzioni in vernacolo o riscritture

dei grandi maestri. Si parla dell’oggi, anche se molti grandi lo hanno anticipato. Quali sono, secondo lei, le opere teatrali che andrebbero viste almeno una volta nella vita? Bhé, non è un consiglio che saprei dare. Degli autori si può parlare perché non tutto quello che vediamo sulla scena merita di essere consigliato. Ci sono spettacoli belli ma anche brutti e, a volte, inutili. Per fare teatro, comunque, ci vuole talento, non ci si improvvisa artista. È appena trascorso il 38esimo anniversario della morte di Eduardo De Filippo. Lungi da me chiederle se esista oggi un suo erede (sia come commediografo che come attore) ma ritiene che ci sia attualmente un autore/attore che potrebbe entrare nei libri di letteratura del futuro? Certamente. Spesso si fanno belle scoperte. Escludendo gli attori che, in qualsiasi modo, lo imitano, vediamo in palcoscenico opere tratte da autori successivi a Eduardo, senza dimenticare il (più) grande Viviani, ci sono Moscato, Calvino, Santanelli, Maraini. Tanti tra gli stranieri, Mirò ad esempio. Oggi, che si rappresenta anche la letteratura (molto difficile da drammatizzare) i “distopici” Orwell e Bradbury, il nostro Camilleri e tanti altri. L’elenco sarebbe lungo. Ciò che conta è la qualità. Il teatro è una cosa seria non un compito in classe. Vorrei, per concludere, che indicasse ai nostri lettori tre motivi per andare a teatro. Perché il rito del teatro è magico. Perché, come le favole, parla della vita catapultando in mondi fantastici. Perché è bello scoprire come una storia può diventare arte su un palcoscenico. Uno spettacolo è composto da tanti elementi e tanti artisti: ci sono da scoprire le scene, le musiche create ad hoc, l’interpretazione dell’attore. Emozioni che arricchiscono e possono contribuire alla crescita personale.

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MARIA LUPICA

ODARKA PISNA, ARTISTA UCRAINA Buongiorno amici lettori, oggi do il nostro benvenuto a Odarka Pisna. Una giovane artista Ucraina, purtroppo esule come tanti suoi connazionali costretti a fuggire dalla loro patria, per la follia della guerra. Con la sua esposizione di quadri “CREDERE” a San Francesco Saverio di Palermo, ci ricorda che la guerra è sempre una follia che purtroppo si ripete. Odarka, lei è un’artista già conosciuta e apprezzata a livello mondiale. Ha già partecipato a circa 150 mostre oltre che in patria, anche in: Spagna, Austria, Francia, Repubblica Ceca, Georgia e anche nella nostra Italia. Infatti nel 2019 ha rappresentato l’Ucraina nella 58° Biennale di Venezia. Come mai tra tanti posti che poteva scegliere come location per la sua esposizione di quadri, ha scelto proprio la Rettoria di San Francesco Saverio? Non sarebbe stato meglio, per esempio, il Palazzo di Sant’Elia della provincia Palermitana? Perché qui ho trovato molta disponibilità da parte di don Massimiliano, mio buon amico. Io sono arrivata qui direttamente dall’Ucraina con mia figlia Zlata di nove anni e mio padre, che ora è ritornato nella nostra patria. I quadri che espongo qui sono quadri a tema biblico, volti unicamente a dare un messaggio di speranza per chi ha perso tutto, non solo nella guerra in Ucraina. Si, ho saputo che lei ha lasciato l’U-

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craina circa sei mesi fa, in conseguenza dell’invasione da parte della Russia di Putin. Si, ho dovuto, per salvare le nostre vite. Mio padre è tornato li per proteggere mia madre e l’Ucraina. Si, capisco. Anche se non ho vissuto personalmente gli orrori della guerra, pure in Italia abbiamo avuto le devastanti conseguenze dell’ultimo conflitto mondiale. E, tramite gli orribili racconti dei miei nonni e genitori, so che la gente per la disperazione arrivava a far qualsiasi cosa pur di assicurare un boccone di pane alla propria

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famiglia. Del resto si sentono ogni giorno al telegiornale notizie sconvolgenti sulla situazione in Ucraina. La situazione in Ucraina, a livello sociale, ospedaliero e alimentare è al limite. La gente non vive, sopravvive. Dove prima c’erano città vive e piene di gente che lavorava, adesso ci sono solo macerie, niente più case, niente più fabbriche e soprattutto niente più ospedali. Purtroppo non solo i civili, ma anche i bambini più piccoli sono rimasti coinvolti in questo sanguinoso e assurdo conflitto. Cosa direbbe, anzi cosa dice a Putin, a tutti i governanti delle super potenze e al nostro presidente? Non voglio che Putin muoia. Questo assolutamente no. Ma voglio che capisca quello che ha fatto. Voglio che capisca il dolore che ha inferto a persone innocenti. Tutti sappiamo che lui non è una persona, è un diavolo. Spero che lo fermino presto. Odarka, io la ringrazio del tempo e dell’attenzione che ha voluto concedermi e mi spiace tanto di averle riportato alla mente la tragedia che ancora e purtroppo sta vivendo la sua patria. Spero che avremo ancora modo d’incontrarci. Ho già avuto modo di vedere un paio dei suoi quadri e le assicuro che riescono a scuotere l’animo di ogni persona che si sofferma anche solo un istante a guardarli. Mi auguro che lei, insieme a tanti altri esuli possiate tornare a casa quanto prima.

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Inaugurato ad Aversa il primo store della nota inflencer Vanni Noemi già nota nel mondo dei social media per la sua attività di brand ambassador del suo marchio di abbigliamento femminile “#Noemi.V” “Ho iniziato ad utilizzare i social media per vendere qualche anno fa e, nonostante le tante difficoltà che può avere una giovane ragazza, mi sono affermata nel mondo dell’imprenditoria portando avanti i valori con i quali sono cresciuta - Dichiara la 26enne Noemi Vannni - tanto impegno e sacrificio che ad oggi mi hanno portato alla realizzazione di un sogno con l’apertura del primo store fisico” Una storia felice da raccontare a chiunque abbia un sogno nel cassetto e che possa essere da esempio e da aspirazione per i giovani del nostro Paese che vogliono affermarsi nel mondo dell’imprenditoria.

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“È sicuro che questa vita, per come la conosciamo, finirà. Mi piace credere che la Rettore sia stata un puntino di colore nel grigio, uno spillo che ha bucato vecchie idee sottovuoto. È in un giorno qualunque, un giorno di una normalità quasi miracolosa, che ho pensato intensamente alla morte. Prima no. Ero troppo impegnata a saltare gli ostacoli. Non mi sono mai sentita meglio, per questo mi è venuta voglia di fare un’immersione nell’oceano esistenziale.” Ed è così, in questo giorno qualunque, che Donatella, Dada, Rettore, donna dalle infinite anime e incarnazioni sul palco e giù dal palco, si ritrova a pensare alla morte e quindi alla vita. Riavvolgendo il nastro dal principio, dall’infanzia castigata – con la mamma Teresita, attrice goldoniana, che rifiuta la sua passione per le canzonette e la manda in collegio dalle suore Dorotee – agli esordi con la Nuova Compagnia di Canto Popolare; dal primo Sanremo al trionfo internazionale con Lailolà; dai brani di denuncia sociale a Splendido splendente, Kobra, Lamette, canzoni e rappresentazioni che hanno costruito un immaginario inimitabile; dalle collaborazioni con Elton John, gli incontri con David Bowie e George Michael, a tutti i grandi successi che l’hanno portata a vendere quasi 30 milioni di dischi in tutto il mondo. Il modo che ha Rettore di approcciarsi al tema – alla vita e quindi alla morte – è dissacrante, beffardo, poetico, profondo, circondata com’è dagli oggetti che hanno segnato la sua esistenza e che adesso, come il bagaglio di un faraone, innescano ricordi e memorie ora felici ora più buie, ora ineludibili ora sorprendenti. Spiccano una specchiera (“ha delle macchie color ruggine, quando ti ci guardi sembri avere degli ematomi in viso, ma io ci sono affezionata perché qui si è riflesso ogni giorno il viso di mia madre”), il diario di prigionia di un commilitone del padre Sergio, un bastone da pastore, regalo di Lucio Dalla con il consiglio «Mena, ragassa!». Dada Uffa è un collage, un mosaico, un domino. Un’autobiografia unica da leggere e rileggere tutta d’un fiato.


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JONI IL NUOVO ALBUM DI ROSSANA CASALE

Si intitola JONI il nuovo lavoro di Rossana Casale in uscita per Egea il 4 Novembre 2022. Un tributo alla cantautrice Joni Mitchell. Sono 14 le tracce che lo compongono una delle quali, l’inedita In and Out of Lines omaggio della Casale alla stessa Mitchell. Il lavoro, realizzato in studio e cantato in diretta con i suoi musicisti, è un viaggio intenso e poetico di 70 minuti attraverso alcune delle canzoni più importanti della Mitchell. “Ci sono testi che sento in maniera particolare - dichiara la Casale- come ad esempio ‘Song to a Seagull’ o ‘Both Sides Now’. Sembrano fotografie della mia vita”. Molti dei brani scelti per la scaletta fanno parte degli album ‘Ladies of the Canyon’ del 69 e ‘Blue’ del 70, anni nei quali la Casale racconta di aver trovato la chitarra della sorella e di aver iniziato a suonare i primi accordi. “Di notte racconta - lasciavo le tapparelle alzate e mi chiudevo in camera al buio, sdraiata sul letto con la chitarra sulla pancia, cercando di trovare quegli accordi aperti così strani. Erano astronavi che portavano via dalla realtà, erano magici e io non potevo farne senza. Grazie alle canzoni di Joni in quegli anni ho deciso che la mia vita sarebbe stata la musica”. Come in tutti i suoi precedenti albums,

da Strani frutti a Jaques Brel in me, Il Signor G e l’Amore, anche in questo lavoro Rossana da al jazz il compito di unire brani diversi in un unico racconto fatto di momenti profondi come in ‘For the Roses’ o ‘A case of you’, alternati ad altri fatti di gioco, come in ‘The Dry Cleaner from des Moines’ (dall’album ‘Mingus’) o ‘Carey’ etnico e solare. In ‘The Jungle Line’ ( Album ‘The Hissing of the Summer Lawns’), Rossana recita il testo in un ambiente astratto che sovrappone il grido della città ai richiami della giungla, una visione che

la Mitchell vive in un jazz club che la porta a confondere volontariamente i quadri di Henri Rousseau alla tappezzeria che vede sui muri. Era il momento della sua grande trasformazione artistico-musicale, il 1975. Nel Blue Medley, Rossana unisce tre brani dall’omonimo album in un arrangiamento fatto per voce e chitarra sole. Dice:- “La personalità di Joni è immensa. L’unico modo per affrontare questi brani storici era di spogliarli dal loro cuore originale e in un atto di umiltà e coraggio, portarli a me”. L’ultima traccia è l’inedito che la Casale dedica alla Mitchell ’In and out of Lines’. Il testo è dedicato alle delicate emozioni della scrittura, ai conflitti interiori che nascono quando si sente la necessità di “…affondare le mani nei propri fondali, nei propri segreti, nel perdono mai cantato e le rime mai trovate”, come scrive Rossana. Ma alla fine “…nella mia mente di cristallo, dove le rose fioriscono come lune rosse piene, nascono nuove righe che crescono in sfumature di arcobaleno”. Scrivere è vita. L’album è prodotto dalla stessa Casale ed è interamente arrangiato insieme ai suoi musicisti: Emiliano Begni- pianoforte, Francesco Consaga - sax soprano e flauto traverso, Ermanno Dodarocontrabbasso, Gino Cardamone- chitarra.

MARCO MARTONE

MARE FEST, CHIUSA LA VIII EDIZIONE DELLA RASSEGNA LETTERARIA

“Vietato non toccare”, l’urlo liberatorio, di gioia e di allegria, che ha chiuso la VIII edizione della rassegna letteraria “Mare Fest”, è stata la logica conclusione di una settimana di cultura, integrazione e socialità, nello scenario incantevole dei Campi Flegrei. Oltre 300 bambini degli istituti Pergolesi e Marconi, vedenti, non vedenti e ipovedenti, hanno dato vita e partecipato ad una serie di iniziative volute da Anna Russolillo, promotrice dell’evento e culminate con un’esposizione, presso il Castello di Baia, dedicata al parco archeologico sommerso, di libri tattili e materiale tiflodidattico per educare e risvegliare i sensi, per immaginare e per imparare a “guardare” la realtà con occhi e mani nuove. Di questi libri, 15 resteranno in esposizione permanente nelle sale del museo archeologico dei campi flegrei accanto alle opere provenienti da Baia sommersa. La mostra che si avvale del patrocinio della Regione Campania e della collaborazione del Parco archeologico dei Campi flegrei diretto da Fabio Pagano, con la biblioteca dei ciechi Regina Margherita e Lunaria A2 Onlus, proseguirà poi con tappe nei

principali musei della Campania e della Sicilia ed è stata curata da Anna Russolillo e Sonia Gervasio e dai tiflologi Leonardo Sutera e Maria Concetta Cusimano. Al taglio del nastro era presente Lidia Tusa, madrina della manifestazione. “Trovo che sia geniale mettere insieme cose tanto diverse, che solo in apparenza non hanno niente in comune l’una con l’altra - ha detto Lidia Tusa - Mare Fest riesce a coniugare pedagogia, archeologia e cultura a beneficio dei bambini di oggi che, non dimentichiamolo, saranno donne e uomini di domani”.


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GRAZIA GUARINO

NUOVI ATLETI E NUOVE DIVISE PER LA NAPOLI PALLAVOLO

Tra Sacro e Profano: le maglie sono dedicate al cornicello, alla mitra e al pastorale di San Gennaro Galvanizzata dagli straordinari risultati delle nazionali italiane ai vari livelli, la pallavolo si appresta a vivere una nuova stagione agonistica nelle diverse categorie. E sono, infatti, ambiziosi gli obiettivi della Napoli Pallavolo, che questa mattina nel capoluogo campano (precisamente al Gold Tower Hotel) ha presentato sia la squadra maschile che quella femminile. “Quest’estate abbiamo lavorato per allestire le nostre squadre con atleti che hanno tanta voglia di vincere, ma non vincere facile – dichiara il presidente Gerardo Amato -. Vincere con sacrificio, quel sacrificio che ha sempre contraddistinto i veri napoletani e che noi mettiamo in pratica ogni giorno per portare avanti il progetto Napoli Pallavolo. E’ l’inizio di tante, nuove, affascinanti sfide che affronteremo tutti assieme. La pallavolo ci insegna che da soli non si vince mai!”. Le maglie di quest’anno sono ispirate alla mitra e al pastorale di San Gennaro, e al cornicello. “Mi emoziona riconoscere la mia città attraverso le linee di queste maglie – dichiara la vice – presidente Carmen Terracciano -. Una prospettiva nuova, fatta da simboli che danno anima a Napoli, quella stessa anima che noi metteremo in campo in ogni partita. Porteremo la nostra identità e il nostro gioco a un livello superiore, affrontando tutte le sfide di campionato”. La squadra è nata due anni fa nella periferia Est di Napoli (infatti ha sede a Ponticelli). Quest’anno si è già fatta notare per gli ottimi risultati conseguiti nelle prime partite di campionato. L’ obiettivo a lungo termine di questa realtà è quello di riportare la pallavolo femminile e maschile di Napoli ai massimi livelli, e – dunque - di diventare un punto di riferimento sportivo del territorio napoletano. L’obiettivo a medio termine è la promozione in serie B. Per il raggiungimento di questi obiettivi l’ASD si avvale del-

la collaborazione di partner presenti sul territorio partenopeo vicini al mondo della pallavolo e che, quindi, condividono il progetto e gli ideali dell’Associazione Sportiva Dilettantistica, ovvero: BCC Napoli, Italiana Assicurazioni (sede di Volla), Belita Naples, Oceanus, Gelateria del Gallo, McDonald’s. “Non amiamo definirci sponsor – ha dichiarato Amedeo Manzo, presidente della BCC Napoli durante la presentazione -, noi siamo i loro primi tifosi”. “L’ ambizione è un termine a volte utilizzato in modo dispregiativo – continua Gerardo Amato -. Per me è uno stile di vita. Nella vita si deve essere ambiziosi e non presuntuosi. La pallavolo è uno sport dove il sacrificio è l’intento di voler costruire qualcosa di importante sono fondamentali”. “La pallavolo ci insegna a metterci in gioco con coraggio, valore, sacrificio, determinazione – proseguono Silvia Fortunato e Francesco Cattaneo, responsabili di Vero Volley Network (anche loro presenti all’evento) -. Bisogna credere in un progetto condiviso!”. Ecco i nomi degli atleti guidati dal coach Angelo Colarusso e dal mister Gennaro Ferrentino: Lorenzo Cimmino (capitano) Maglia n. 14 Paolo Iadevito Maglia n. 19 Giovanni Balestra Maglia n. 2 Giacomo De Vito Maglia n. 10 Lorenzo Cimmino Maglia n. 6 Bruno Davascio Maglia n. 18 Massimiliano Antinolfi Maglia n. 13 Diego Laudato Maglia n. 11 Adriano Mariani Maglia n. 86 Fabio Quaremba Maglia n. 22 Roberto Ferretti Maglia n. 1 Salvatore Di Vincenzo Maglia n. 17 Alessio Cesario Maglia n. 7 Pasquale De Micco Maglia n. 3

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ROBERTO CONTE LUDOVICO DOCIMO È IL NUOVO PRESIDENTE DESIGNATO DALLA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN AMBITO ONCOLOGICO, È UNA DELLE GRANDI SFIDE DEL PROSSIMO DECENNIO

Ludovico Docimo, napoletano, classe 1961, Direttore del Dipartimento Medico-Chirurgico di Alta Specialità dell’Azienda Ospedaliera Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, è il nuovo Presidente incoming della Società Italiana di Chirurgia, una delle più prestigiose società medico-scientifiche italiane. L’elezione per il triennio 20252028 è arrivata, come da tradizione, con tre anni di anticipo, nel corso del 124esimo congresso della Società Italiana di Chirurgia che ha celebrato a Roma i suoi primi 140 anni di attività. Origini calabresi, con cittadinanza onoraria del Comune di Rose (Cosenza), Ludovico Docimo, da 20 anni professore ordinario di Chirurgia generale all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, è attualmente presidente del Collegio dei Professori Ordinari di Chirurgia Generale delle Università Italiane ed è tra i massimi esperti in ambito nazionale di chirurgia mininvasiva, di chirurgia dell’obesità e di chirurgia oncologica. “Recuperare i ritardi causati dall’emergenza pandemica, migliorare sempre più le tecniche di chirurgia mininvasiva e sviluppare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in chirurgia oncologica”. Così il prof. Docimo disegna alcune delle grandi sfide che aspettano nei prossimi anni la chirurgia italiana. “Nonostante le attività chirurgiche non siano mai state interrotte i ritardi anche diagnostici causati dalla pandemia - sottolinea Docimo - hanno determinato preoccupanti conseguenze su numerose patologie, con l’inesorabile affollamento dei pronto soccorso e con le inevitabili ricadute sulla formazione

dei nostri giovani. In questa contingenza dobbiamo allora impegnarci con grande determinazione nei complessi processi di recupero già avviati, poiché nei momenti difficili le attività mediche e scientifiche devono continuare ad assicurare il proprio ruolo di riferimento propositivo e strategico per il nostro Paese”. Un milione di interventi chirurgici rimandati nei due anni del picco dell’emergenza pandemica è un dato drammatico con cui confrontarsi così come più volte evidenziato anche dal Ministero della Salute. “Ma c’è di più anche da un punto di vista prospettico spiega Docimo - perché, in virtù di oltre 2 milioni e mezzo di screening all’anno in meno registrati durante la pandemia rispetto al dato del 2019, si prevede che nei prossimi anni ci sarà un aumento dei pazienti oncologici di oltre il 20%”. A questa ulteriore emergenza, però, si

può rispondere con un sempre maggior ricorso all’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito diagnostico. Un settore in cui Ludovico Docimo porta avanti, già da un lustro, un progetto pioneristico in seno all’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. “Prevenzione non significa soltanto evitare di ammalarsi - evidenzia Docimo - ma anche e soprattutto mirare alla tempestività nelle diagnosi ed in tal senso l’archiviazione scientifica dei grandi dati in campo medico può sicuramente contribuire in misura determinante a questo intento se convertita in preziosi algoritmi, consentendo una potenziale accelerazione del percorso diagnostico, fino a predire la comparsa e l’evoluzione di malattie oncologiche complesse e dando il giusto rilievo ad una notevole quantità di informazioni epidemiologiche, cliniche, strumentali e terapeutiche, già disponibili nelle nostre casistiche”. Ecco che, come sottolinea il neopresidente incoming, “la Società Italiana di Chirurgia, deve impegnarsi sempre più per diffondere il progresso tecnologico e chirurgico su tutto il territorio nazionale e trasmetterlo alle giovani generazioni, per garantire ai nostri pazienti standard qualitativi sempre migliori nel rispetto della universalità delle cure, delle competenze e delle garanzie individuali”. Ma per Docimo ci sono anche molte altre emergenze da affrontare nei prossimi anni: “penso anche alle continue aggressioni in pronto soccorso, alla tutela legale dei medici, alle carenze di organico, alle liste di attesa”. Problemi importanti con i quali, chiosa Docimo, “bisogna confrontarsi con urgenza”.

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