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AliRèuerenclifsimo Padic
D- A N D R E A CANC ELL IE RI. PRIORE D ELLA REAL CERTOSA D I S. MARTI NO D I N A P O L I , E ZStftatore Generale nel Regno di Napoli.
L dedicare à V.P.Rcueren dif fida quei* opera de capricci non è (lato altrimete vn mio fubitaneo capriccio , ma vn, bea peniaio tributo . Capitommi alle ni pér opra dei Signor Luigi Francauil quale più dell’Autore se inoltrato in mio partiale mentre ha tolto a quegli vna gioia per arricchirne k mia libraria, e co me che a giuditio de più Sani (limata di gran preggio , l’hq giudicato anch’io foi degna di V.P.Reuerendiflìmajper offerire cofa di gran ingegno à gran (oggetto. Sarà per auucntura l’cfferta poco corrifponden.
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cc al molto,cheledeuojma elia che nel difpenfarc e mola gli Aleiandri de* pareg giarli non meno nel gradire da rozza ma no vn piccioi dono, con cui però io pcnio dar affai $ s’egli è vero che molto, anzi dà tutto, chi dona ciò ch'ha, e per efier poi il primo parto d’vn Ettorre non men che di lingue d’incellecto illuflriifimó , come di primogenito, è offerta degna d’vn fuo pa ri. Degnili adunque d accettarla, e la riponghi tra le marauiglie di fue ftàze, eh’è ben douérejch’in si douitiofa galleriahabbi anche luogo cofa si capricciofa ; appo tant'opere di prodigiofi pennelli fiaui an co quella d’ammirabiliifima penna. Tra la rarezza de libri, che ella in queilo piccioi Vaticano hà ragunati vi fi chiedea anche, queilo non poco llrauagante, se tutto ca pricci 5 tra quali più d’ogn’altro pollò ben dire auuenturoio quello di Lazzaro men dicante capitato appo la clemenza, di Pa dre tanto caritatiùo, come è fama di tutti la fame à furti giornalmente foccorfa j ap. pò cui potrà egli la lùa intitolarli vera mente
mente.poqercà doqitipfa V,P. Reuerendif I
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fima in fomma degna delgouerpo d vn mondo, più che d’vn moniÒero, menerò à par degli AUggiti in Roma tuttin tenta à rinouare, adabellire muta giornalmente in marmi 1 magoni,in argenti r metalli più baffi cedendono negli altari alio fplendor de doppieri i lumi delle fiaccole,eh in tan ti noui paliocti fà ammirar in Napoli i fi niifimi ricami degli aghi Fiamenghi, che meglio di pennelli il loro pungere è piagere, & in tanti altri arredi dì Sagriftia,ne quali il miaor ornamento fi èJ’oro*.che ha eretta quella Ìlacùa di $. Bainone , in cui le ¡Tipre chiaro iegeralfi il non più oltre,, dei*e fùe lodi, e con le lùbriche fontuoie hà ornato coteilo conuentocosi.che fé coili imbattuto fi falle il Grand’abbate di Ciaraualledi quello folo ridetto haurebbe, certe f i paradfiis efilm terra in monA* Pieno repentur : lei adunque, che sreotam to abel lire, illuilri ancora con il fùo nome gl inchioilri di quelle Stampe, e mantenga con fua protezione quelli cafielii in aria inai
% ja»kitì ; acciò di malevoli non fiano affi, li« > e finalmente, prefentandoli col Li-' bro me Redo profondamente finchino, e prego i formi l'honore, ch*io fempre li* ,
Di V; P. Jteuerendiffima
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Napoli li 2. Gennaro 1656.’ .
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Hurxìltfstmò, t Beuoti/stmo Struidort Giacomo t i t r i ,
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fcVlGI FRANCAVILLA A chi legge. CcotijLcttore,vnparto capricciofo, opra non nien d’ingegno, che di capriccio, corriipondente ali’ hurnor regnante d’hoggidì. Te l’apprefento fcnza foputa dell’Autore, perche egli non hebbo mai capriccio di far ftridere il torchio, temendo,ch’ai di lui fuono non vi cantafferocon diiTonanti,e rauche voci gl’Ariftarchi r ma Io hò voluto fare à nno capriccio, poiché quando anco ei foifc fiato in ciò indouino,melarido; mentre la luna piena, à i latrati de’ cani dell’Arabia, giamai fi feema. I critici hodierni fono certi appena inforinati di quattro fpecie. Le ruote peggiori del carro di Minerua , fono quelle che ftridono. Hoggidì andini Parnafo mirali vn tempio cretto all'ignoranza,à cui moiri tributano il gloriofo titolo di Deità. Quelli nuoui adoratori deH’iguoranza, è vero,che colle lor acutelingue foettano; ma co me potranno colpire à fegno, fe nel buio della propria gofferia non veggono la meta ? Tu,che fei faggio, Let tore, sò,che fai meglio di mecche fon varij i geni j, e c h o i parti capricciofi non polfono ciTere à capriccio di tut ti. Se ti pare,che talhora la fua penna fia troppo aguzza, relletti,chc punge il vino,non la pedona. Se l’inchioftro ti par sì nero,che tinga troppo, fappi che .non macchia, e ti fò Io fede per quella continua prattica, elio dclcópofitore,che non è premuto dal calamaio di moino , egli è bensì vn Iagrimolo humore, co cui nel feretro eli que lle carte, piange alcune virtù già eftintc.Quefti compo-
pimenti furono furi per paffatempo, in quella età,in cui non ancora maturato il ienno,iì lauora per capriccio (fé pure fi può dire,che dicano dei l’Autore Cu mai flato no maturo) le benigno raccerterai, cercherò di far preda de iuoi humon iantaftfci,delle vutuoie impaticzc,d’voa hifloiia fuuo.eggiara,& anche di due,ò tré altre opre più affodate,da me viiie, Si ammirate, c donartele per mezo delle ftampe. L’Autore t’è pur troppo noto per vnode’ migliori cigni,che vatiScbcto,e che raccolgalaNapolitana Nobiltà nel fuo Nido ; porta fin nel cognome la pienza figurata nel iale,e nel nome la grati acan to ti ba ili. Non flò¿.fare le folire proteflc per certi coftumati abbellimenti del dire,come Faro,Deità,Delfino,per non offendere la catolica pietà dell’Autore. Sai me dio di me,che s’vfano per va» tal pompofità di fcriucre,b noiv, per profanità di fentimento. A D ia
Ialaudéè
In laudes ReuerendiffiiTu Patria
D- A N D R E A S CANCELLERII Priori« NobiliíTuni Canobij Carthuíiani in co llo Neapotitano politi, cui Diuus Martinus nomen fecit, E P I G R A M M A . E>. r o A N N I S B A P T I S T S C Á C A C r í in publico Neapolitano Gymnafio Rhetorice* > & Imperialium I&ftitutionum Regi j Profeíforis.
Pierias Phsebo nihil inuifure nouales, Pirrpureafqué roías, Iaurigerumqué nemus; Qualibet & fylua, cliuoqué íuperbior ornni Exere Martini Collis ad aftra caput. |Iníidec lile tuas duna Cáncelleri us vmbras, Cui tellus vnquám vix dabir vlla parena, Siueanimumingenuum,'5c mueos miraberemores, Ingeniuna velox cernere iiue líber. Si velit hic cantu Geticis aílurgere chordis, Et blandam lacro pcllcre dente Iyrara, Veftrum Piérides potis efl & vincere numen, Pindi laudaros & ruperire choros. Se.ii gemís antiquum,& genrilia ftemmata fpe&es» Etdudum e magras nobile narren auis, Vndiquc collati laudum memorantur honores, Etparat ingentes, vndiquefanaa tubas. Ule tamén tanto tire una plaudcnte theatro, Et radiarate íimül fanguine,& ingenio. Digniushoc vnuna reputar,quod dauftra feuera Incolir,& charo naens vacar vna Deo. b 2 IN
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DELL' A V T O R E Del Signor Luigi Francauilla. F V / vitro fabricarsfere rotanti,
A l Legnosi BroZjO impor voloti parole D i chimicoftruor fallata Troie, Col Mantice animar membrafpiranti ; 'Tra le fiheggie Rifee nodrir Diamanti, Con lr i colorar l'eterea mole, Triplicar con Parelie il corpo il Sole Prodar Ceraunie tfulmini tonanti : D el Cieli degl'Elementi>e de le Stelle, De 1*Arte io merauiglia) e di natura, Capricci fin , ¡'opre più rare, e belle. iBel Cigno de le Gratie 5hor tua ventura,
E le glorie più antiche, e le mutile, La penna tua co fuoi Capricci ofeura
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Del Signor D.A.S. '**’Si o* ■ ”
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Di penftle giàrdin taccia il Tebano ; Se C A S T E L L I nell' AH.IA in fili fiutano, E Campidoglio in fitti SE'RJzALE incanta,
Tcmpo,cbe 7 tutto rode, e l tutto [chiarita fiontro l'opra immortalfatica invano’, U ingegnofi edificio inuida mano ^Noucrolla nò j ch'efier nel Ciel fi vanta. \
Già nel vano Lunar idei datura Mille Mondi Platonici immortali ; SENSALE i Mondi]noi nel Sole indura. Di luminofo ingegno opre fatali Qual noucllo Prometeo al giorno fura ; Cui per fa ’ir in Ciel Virtù dici ali,
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In lode dell’ Autore. Del M. R. P. Bonauentara Pirrone,
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e ^ g i dell' Vtimerfo ¿(uomini indufiri
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S« su le tele apparecchiate, e i ¿¡darmi,
Ergete Statue al grand E T T O R E , e s'armi Ciafcmo à celebrare i fa tti illufri;
E Voi,che poi l'eternità de iufiri Morti mantiene in •vtiàj (ludi,e i carmi in lui dri^ate filo perche partii ^ Colftton dellefue glorie il mondo illttfiri. E benché il meno Jùo di lungo ecceda , Vojìre grand'opre, ed d (oggetto tale JJudrte quafi mancheuolepur ceda, Sia dell inuitto ardir lode nonfrale, Ch il mondo in ru<n,comin aboz&P veda. Ciò,ch'efprimerptiò fol Penna immortale.
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L O D E
DELL' A V T O R E . D el M e defimo. <
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V aniti grandtOcean Ritioli accoglie, Guati Ragotd fflnde il Dio di Deio Qjiant indimdut in terra ha mortai 'velo, Q u o t i ne dona il T em pre M o rie toglie,
Qaanih'a fior Primauera, Autunnofoglie, Quali fm T rocbi in belua^fruttiin Stelo, Quant Arène, ha nej> Jèlar, (ielle nel Cielo, jOitdti fw fieri in monte ogn H m raccoglie, Quanti godo» la su, quanti godranno ' in tre lumi diuifivn fol Splendore, Quanti creati fa r,fo n o , efaranno,
fTante vagbez>z>e /ofcopro,alto Signore, In quejìt fogli, ch'aliafin faranno Di tua Fam a immortai Trombe femore.
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TAVOL A de Capricci Acadensici.
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Vtio Scivola Capriccio 1. à cart. i . Il Genio de Poeti Capriccio 1 1 .a cart. 9 , I l Cieco tAuueduto Capriccio l ì L à cart. 1 7 . lì Pouero douitiofo Capriccio IV .à cari. L a ‘Bellezza Bratta Capriccio V .à cart.} 3 . L'Amicofinta gémici Capriccio Vl.à care.4 1 . I l fortunato fin ta fortuna CapriccioVlI.àcàrt.) o. M addalena Piangente Capriccio V ili, à cart. f 7 . Arianna abbandonata Capriccio IX. à cart. 6 7 . Belifario [ieco Capriccio X.à cart.y 5 . L A ntimomo Capriccio X I .à cart. 8 1 «
L a \Nudità dtfefa Qapriccio X II. à cari, è 7. 1 " L a Speranza Dtfperata CapriccioXIILà cart.pt. L a felicità mal conofctuta Capriccio XI V.à cart. 101 ] 1 Cafielli in Aria à cart. 1 1 7 ,
C A P R I C C I accadem ici DI D- ETTORRE SERSALE NAPOLITANO.
m v t io s c e v o l a I N T R E P I D O .
CAPRICCIO
prim o
:
Argomento. Orna, che come più riguardeuolel hauea a f e rivetto gl'occhi più ambitiofi del Mondo; e come gran Corona,era da più gran Capi defiderata : trouand&ft, per l’afedio delTQ Porfenna,qua[iprigioniera nel fuo Ubero m in to , eraperjoggettarfi all’altrui tt-
orf
ran-
2
Capricci Accademici.
rdnnidefe Mutio Sceuola colla'vittima della fua de lira non l'haueffe da "Numi impetrata la libertà, Deue il membro arrifchiar la fua v ita per loeonferuamento del capOr E bene porre à ripen taglio luparie, per la fieu reka del tuttto, Adofo cjuefìt non so, Je dagli fproni della fua intrepidtzxa ,0 [olleuató da ambitione di glo ria, ò impietoso alle mefìitte della P atria , che coll'a marezza delle lagrime sa infondere miele di generoftà negli animi piu giouenili, penetrò eoli ingegno il Padi glione del nemico, ed haurebbe col ferro pajfato al cuore, f l'errore non f fofie appaggato di ¡acrificare al ft o valore, non il 7Q, ma v n fuo famigliare, Ciò fu ca gione , che rimafto egli prigioniere nel campo nemico ; conofen d o la fu a dcfìra colpeuole, volle col fuoco confagrarla all’immortalità del fuo Animo. £ mentre il fuoco con lingue di fiam m e, anche incenerendola,fabrieaua alla fu a gloria trofei di vita,m i perfuado,che con qu eflif fimili ¡entimemi, egli al 2{efauellafe.
Ccorai, ò Perfenna,in atto di Sacerdote, per vittima re in quefto rogo quella delira, che non ha faputo incontrar l’infuocato genio del mio rifoìuto decreto. Si quella delira iìniftra à fe lid ia, mentre non fu delira à colpirti» Sagrifìcarei tutto melleilo, fehauelTepeccato la volontà.» Mipriuarei anche degli occhi,che non l’ha* faputo dar lume, fe le tenebre della fconofcianzadeiroggetto non auocaffero in fuo fauore. Mà chi mai potrebbe cfler auueduto nello buio di tante mafehere ? La delira*
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Capriccio PrimoJ
3
fola punifco, che auezza à punir tiranni, non hà faputo, anche tentone con gli occhi dell’vfo rintracciarti. La_, deftra gaftigo, chiedendo geroglifico di liberalità, non è ftata tcco liberale di morte» nè alla Patria di libertà.. Me rita ella la morte, mentre haue vccifo vn’immcriteuol di morte. Mà che ? s’indoiui anche la colpa, chi fi verte de’ panni d’vn re o . ò forfè il feruo hà pagato il fio dell’ambitione d’eifer creduto Rè » Rimanga dunque la mano qui in fegno del fallo, mentre non hà faputo colpire al le gno . Quel ferro fu impugnato contro te , Porfenna, nè po _ tea per altri fguainarfi, che per lo C apo, mentre ogn1 braccio di Cittadino Romano è auezzo à domar capi . Il membro,che traligna nella gcnerofità,deue cifer recifo. La mia deftra , ch’ha folamente faputo colpire vn feruo, come indegna d’vn tal tronco, la mando per paftura delle fiamme» Non è degna di me , mentre difubbidendo à miei comandi,hà fatto opra indegna di me . Hà creduto comprarli la gloria con perdonare vn nemico; ma trop po auuiliffi vccidcndo vn leruo.Ncn a tutti iiamo obligati di clemenza» Potrei non punirla , douendo dalla tua crudeltà con_> tutto il corpo riceuere il fuo gaftigo :mà non voglio par teciparla delle mie glorie, mentre nonfeppeacquiftarfi •gloria.Oltre che tu punifei il fattoio mi vendico del non_fatto.Tu paghi la mia intrepida rifolutione,io gaftigo 1hauermenc impedito il confeguimento» Mora ella dunque» ch’auezzaà dar pegni di fede, noiu l’ha conferuata alla Patria. Giurò non far ritorno,fe non-, imporporata del tuofangue, bora per la di Sciolta fedo» Rabbia nel fuoco il fuo punimento'. Se non hà faputo ar rubinarli di fangue,cingali di vergognofe fiamme. Il fuoA * co
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Capricci Accademici.
cere la porpora d’vn infedele. I giuramenti falli fi paga no nel fuoco. Si rifolua in negro fumo, chi non mantiene il candore della data fède. Habbia vn diadema di fiamme, chi non feppe coronari! delle fue vittorie. Raccolga cipreifi, quella palma, mentre non feppe acquiflarfi nuoue palme. Il fuoco, il fuoco ila l’vltore d’vn infuocato, ma ritar dato fdegno. Anzi il fuoco,come oro,la forbifca,per farla ipecchio de’ Pofteri. II fuoco la liquefacela, mentre fu ghiaccio nel impiagarti. II fuoco l’aflò di, mentre fu trop po inconfìderatamente fdruccioleuolenel correr full’altrui pettoJ1 fuoco I’ingentilifca, mentre ignobilitoffi nel ferire vn feruoil fuoco la polifca,mentre hà macchiato la candidezza del mio valore. Il fuoco l’auiui, mentre reflò femiuiua,per i’infolito auuenimcnto. Bruciati delira tra le voraci fiamme, che fimbolegiano l ’ingratitudine, acciò viua la gratitudine, che deuo à Ro« ma mia Patria: Retta immobile, non vacillare conletremolofe fiamme,acciò in teammiri Porfennala fortezza, e coilanza de Romani. M’auguro, che quello fuoco dourà pareggiarli à quell o della Scarvdauia,che produce ben mille, e mille augelli da vn vtero di fiamme;ii)cntrequì impennerai la mia de lira, per volarfene colla corona delle fàuille al Cielo del l’immortalità . M’indouino,che quello fuoco, accrefciuto dal cedro di quella mano, vi difcaccierà, come Afpidi in sidiatori del nome Romano. Mi prefaggifeo, che daqueilo fuoco, come da quello del fulmine, faran logorate le tue ingiufte pretendenze, e farà conferuata la gioititia della mia dcftra. Da qui impara, ò R è, che Roma hà delire, che non la_. cedono alla voracità del fuoco nella pr ertezza. Roma è tutta
Caprìccio Prìtricv
$
tutta mani. I Cittadini fon Briarei : nonne.riiparmia, uè vna,nè cento,per ifchermirfi la libertà. Ha cittadini, ch o saitigano anche le loro membra , che non fanno atten derla. Hà caualieri, che arriichianó la propria vita, per loprauiuere nelle memorie della conferuata lor Patria. Io,in cui vedi tanta intrepidezza, fono il meno ai dimentolo di Roma. C ol rifehio de’ mcn valorofisa porre, in sbaratto gli eifercki. Non auuentura ì piu Grandi, per che non trouaiì vaftezzadi ragunaticcc forze, che la ìpa. uenti. La vita d’vn Cittadino Romano è di tanta Rima-, » che folo quella del più minimo » fi cambia con un’eiìcrcito,con un Rè. v , t . , Non ti pervadere, che foife Hata cosi uclocc la mia eieliberatione, come c follcc ito il fuoco a bruciar la mano, perche la coftanza di quella deftrabenpuò additarti la , mia matura prudenza. Non mancan delire à Roma.Puo ben bruciarne altre mille, fenza reftar cagionevole. Non fono io folo in quellalodeuole rifolutione. L amor della Patria n’hà follecitato ben cento con tanta maturezza, chefequefto mio parto fu aborto, gli altri produrranno giganti inuecchiati.Vi fon degli altroché non aguzzeranncul palo in fui ginocchio ; non uendìcheranno il loro er rore nel fuoco. Non è Giouane in Roma,che non fi induflrìalìe col tuo ualore obligar la Pan iate mantenerle col proprio fru ga la porpora.Non bifognano sforzi,per uincerti,doue batta l’ingegno di pochi.Roma gode con imperturbato ripoio, afpcttando le frutta de’ tuoi figli, che colla falce della-, morte fon uenuti à mieter uite nel uoftro campo . Non c uana l’afpettatione,mentre ne uedi uno, che sa trarre fin., dà roghi accefi la uita della fua fama. 11 mio elcmpio ioio,non che la fperienza ueduta negli altri, faràfpronedi
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Capricci Accademici.
gloria à tutta la giouentù. Seie lingue di quelle fiamma fi faranno vdirein Roma, faranno eloquenti orarrici,per buzzicare fino i bamboleggiami ad inlìdiar la tua vita. Se tanto ardimento ammiri ne figli, quaì faranno i Pa dri della Patria? Quei,che fono auezzi ad imprigionar l’a nimo in vn corpo pien di ferite per liberarla?’ Quei.ch'han fodo petto contra l’inuafioni di mille lance?’Quei,ch’haru, riempito i follati del fanguc nemicorQuei, che armati han faputo chiudere le voragini $ Imaginati, che gli altri miei compagni non porteranno l’acqua nel moitaio.Forfe l’al trui delire carainaranno con gli occhi della mia ce cità .. S’iotion adulo l’honore della mia Patria,dirò, che non tanto per la fua libertà, quanto anche per vendicar la mia morte,ò d’vnminimo Cittadino,che l’ama(fe pureritrouàfi minimi,doue fon tutti grandi) non farà Giouane,che non faccia tutte le proue della fua virtù. Doue fi feminano l o membra, ò il fangue d’vn Cittadino,amante della Patria-,, nafcono Efferati,per vendicailo.Nonfarà,chinon fiegua la mia traccia, fegnata dal mio fangue, colla lucida fcorta diqueftofuoco.Mifeguiranno, non intepiditi da liuorc» mà follecitati da lodeuole emulatione. I Romani cimentanfi à chi meglio può amar la Patria, non ad ofcurar la_. gloria de Cittadini. Sono Aquile, cheuiuono rimpetto ai raggi del fole della gloria; non uipiflrelli, che s’intanano nel diluuio dell’altrui chiarezze., Porfenna,io non sò,fc tu hai foldati di tanta intrepidez za . Il cimentarli‘col fuoco è folamente concello à chi, an che perdendo, sà con una medcfima fiamma celebrar l’effequie de nemici, e fileggiare i trionfi dell’inuitto fuo animo.Chi non sa poffare per la porpora di quelle, brace non giunge alla corona dell’immortalità, I tuoi
Capriccio PrimS:
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I tuoi faldati, che ueggiono con arcate ciglia quefta_ gloriofa attìone, narrata lor dalla fama,rhaurebbero cre duta Aiuola,fé non gii l'autoraife la fperienza. La teftimonianza degli occhi agèuolerà la credenza di quegli animi, che non inclinano ad opre di tanta arditezza. Mi guadagno più merito, infegnando a tuoi, come s’a* doprino l’Eroiche attioni, che non ho demeritato nella morte d’un folo. La mano è la maeifra di tutte le delire, quando sa ben geftire. Tu miri,Rè,in un Giouane Romano quelle Virtù,ch’ap pena fi rintracciano ne’ uecchi d’altra natione; mercè,che i Romani fanno ben amar la Patria, Noi non fumo nati à noi foli ; ma parte alla Patria,e parte à gli amici : anzi tutti alla Patria,perche noi fiam la Patria. - S’io penfaifi di liberarla Patria colla morte mia loia,fa rebbe temerità, non ardimento. Più uale Roma, che un Mario Sceuola. Ma ben ¿irò bafteuole di fpauetare un’effercito colla moftruofità della mia intrepidezza. So,che la mia morte non ui porrà paura, perche non è difforme, effendo gloriofa : mà il difpregio, ch’io faccio della morte, farà fpregiarui ogni aflcdio. Nè chiamate mia profuntione il porre à ripentaglio la uita, perche non è pericolo, al quale non debba il forte per la faluezza della Patria arrifchiarfi. Piaceflè al Cielo, che à me anche l’Oracolo de Codro accófenteife nel mo rir traueftito,pcr far falui i mici, che non inuidiarei la glo ria de’primi Padri di Roma. Gloriofa è quella morte, che co’ fpiranti fiati communica altrui la uita. Non farei Cittadino Romano,ie nelle difcipline, ch’ho dà lei riceuuto, non haueifì imparato quella gratitudine. ; Quello è degno Cittadino, che riguarda più il ben public o,che il priuato. Ruina la Patria,fe fi trafcura il comune. Non
Capricr» Non ha altre muraglia Roma, cut comune appo tutti . La República può coníeruare i fiati,lenza il t ullluu 1Vip u . Se hai deliberato-la mia m orte, non è nuoua delibera tone,mentre io l’hò preuenuta col mio decreto. Prima io peniai à morire, che ad vcciderti, perche la vita dvn Cit tadino Romano può eilerdi paralello ad vn Rè. Ma che? troppo haurei foprauilluto, fe vccidendoti haueffneonferuato la vita della mia Patria. Penfai pure hayer feampo,fe tu non fcampaui la morte. Perche chi porca de* tuoi membr i cimentarfi colla mia intrepidezza, fe vedea arrifehiar* mi contro del capo ? Il mio valore era per ifcompigliare il tuo Efferato , s'era accompagnato dalla bruttezza del tuo morire. Pure rimarrà fpauentato,confiderando d’hauer da combattere con perfqpe,che fanno tenzonai* cofia m orte.
Capriccio Secondo;
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IL G E N I O DEPOETL CAPRICCIO
SECONDO.
Argomento. V idio, che non d tp parola,che non f i f e ¡lata regolata dalla mifura , che non compofeperiodo,cbenonfofefiato addeftrato da Poetica legge; e che,nonfirm o difcórfi y che nonf i f e fiato armoniofo canto di Cigno : tìattendo battuto dtuieto dal Padre , che più non rvergajjc colle rvtfiere del ingegno ( chefongPinchioftri ) le carte i fedendo non poterfrafiornare ¡ ‘aquilino svolo delfino intelletto > che non •z/olap a i contemplamenti del Sole} o non svomitar l acque cafialie beante nella menjd d tA'pollo \ miperjuado, che con quefli, ofilmili [entimemi ifcufafe il ¡ito (jenio apprtfo il "Padre.3
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Oh niego, Padre, che i continui abbracciamenti
dell Ellerafanno dtuenire il Capo,ò Zucca,da co» ieruare il fale» ò pallon di vento, per ifcherzode’ Scioperain $ò,che il Lauro,ancorche allontani da fe gli Afpied Jetu}mmi,amareggia pure con le fue frutta il Palato: Ed il 11 111 ucc9 1100 tanto leniice, quanto rammórdiice l’in-
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gegno.
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Capricci Accademici.
gegn o. Sò,che i canti de' Poeti,ò fon canzoni di Bàlie,per vezzeggiar i bambini, ò melodie * per dettar gli animi ad amorofi piaceri. So, che gl’inchioda tefluti con legge di m etro, compongono prigionie per TAftime più delicate. Sò, che la punta d’vn’addeftrata penna sà pattar la lorica deU’honqre,e fparger il (angue della vergogna. Sò.cht, Dionigio pagò i canti, con iuono di parole : e che dalla^ punta d’vna penna fon rattoppate a tutti gli icrittori le-, vedi. Sò,che coU’aita delle penne vola talmente il fenno che ne fmarriice anche il Pegafo la traccia,per ritrouarlo. Ma chi non sà,che’l fale conferuato nelle tede de’ Poetue' fale di fapienzaje che è codume degl’ignoranti il ghi gnar de’ faggi i Non hà dima la gioia in man de fanciulli, ù de’ pazzi.Chi non sacche à gli habitatori di Pindo i dic chi degli allori fon d o l c i e che ad ogni altro indegno d’immortalità fembra amara l’AmbroGaf Chi non sà,che i Bambini nel fapcrc nonhan mèglio latte, per npdrir l’inaegno, di quello fpruzzato dalle mammrdi qiialcheMuS ;e clie la penna è anche bellicofa tromba di Marte? Chi non.sà, ch'olendo gl'inchioftri raggi di gloria, i caratteri compongono prigionie di fplcndori ; e clic gli animi, che vi fòn prigionieri , godono felicemente la libertà del ar bitrio ì Chi non«à, che non trouafì altro fcalpéllo miglior della penna,per cifrar letauoledell’eternità-.echcla por pora, fenza il bruno deirinchioftro,fi difcolora ? Chi non sà,che per non trouarfi prezzo conformejnon han prezzo i Poeti; E che la punta della medefima penna,che lacera^ le-vefti, sà anche raccoppezzarle ? E finalmente chi non sà, che le penne de' Poeti, fe traggono à volo il fenno, lo portano dall’ale della fama ; e che ben fi ritroua,ò come.* Aquila, nella sfera del Sole; ò freggiato di lodi nelle boc che de’ Grandi? E poi,
Caprìcci Accademici.1
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E poi, chi può rattenere il corfo della Natura? Chi può vietar il centro ad vn (affo cadente ? Come può non bruciar ramino quella Poefia, che è tutta fuo co? IlTurorc non ha freno. Non può darà riga quella-, menteiche nacque alata. Non può vipere nell’immorta lità, chi non fi ciba del nettare di Pindo. Il mio genio non è colpeuole, mentre s’mfinua all’eternità della vita. Chi non vomitarebbe il fangue , non che gl’inchioftri, (che fon fangue dell’anima) per comprarli l’immortalità. Come volarebbe la fama > fe non haueffe dalle noftro penne impiumata la fchiena ? Setu, Padre, brami volar vino per le bocche degli huomini, non tarpar la mia penna, che farà volarla tua., fama. Se defideri eternar la vita ne poderi,in citi meglio potrai viuere,che in vn figlio immortale? Se (peri menar lieti i tuoi giorni, doue maglio potrai rallegrargli,elio nè canti d’vn figlio canoro? Se vorrai fchermirti da ful mini,non ifdegnar nella tua cala quel Lauro,’fch'à quello fine corona le tede de’ Grandi. Godè Tolomeo d’haucr vn figlio Rè ; e tu farai me fio, per hauer yn figlio, à cui gli Allori fanno ftrada aU’iinpero de’ cuori, c di fe mèdelimo ? Sarà, tuo ingrandimento l’etTcr vbbidito, da chi $à fignqr.cggiar g|i altrui volerle ie dclfo. Il miglior do minio fi dimodra fulle proprie paiììoni. Il Padre è intereifitto della gloria del figlio, non deiiidunqqe impedir mi l’acquidodi quei meriti,che fanno acquitlarfi honori immortali. Egeo credendo alle nere vele già riinada tu mulata nel laberinto la gloria del figlio,non volle piùfoprauiuere. Tenzonano le Cittadiper yn Omerq,e tu che hai hauuta forte d’effer Padre d’vn Poeta lo fpregi ? Sarammi, Padre Apollo»fe tu mi ripudi j. puolmi,che ti ditnodri priuo.di lume,mentre vn figlio lummofo difcacci. B 2 Apollo
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Capricci Accademici.
Apollo à il Sole,noi fiamo i raggi. Se t'è difpiaccuole il mentir de’ Poeti,deui fapere,chc il noftro mentire è verità immafeherata. Mentita parteg gia la verità in vn mondo,che la diffama,& aborre; La-, verità è odiatajonde per ftuzzicar i petti ad amarla,s’in> mafehera di menfogna. Oggi non lì conofce altra belIczza>che quella rubbata da’ cinabri L’antidotQ amaro, v i ammantato di nettare. Il Poeta non mentifcc.mentre parla con animo d’infegnarc, non d’ingannare. Per me dicar i malori,bifogna ingannar l’infcnno. Il parlar fono figure è artificio,non inganno: è vn’imbellar la verità,già ftimata difforme,non menfogna. Mancarebbe la Poefia, fc forte iulla baie della menfogna fondata. L ’eternità de’ notori caratteri la manifefta piena) di verità, perche TqIo la verità è eterna. La mente de’ Poeti è grauida di Dio, quindi i parti fono diuini. II vietarmi vnaicieriza celefte è vn precipitarmi dal C ielo . La pennade poeti è la fegretaria della fama,che sa condurrei volumi alle ftelle. Quella racconta à Pofteri gl’imitabili progredì degli Antenati. Nella pittura de' caratteri fi diiiifa llm agino del ben viuere, Alfuono degli dfompii cantati da Poeti fi muoue regolatamente la Giouentù,ch’ha per Cieli re golatori della fua vita li noftri libri.I noftri caratteri fono i freni de’ caualli più indomiti ; e le penne fon gli fproni de’ fcioperatL Non hà miglior tromba la fama, che d’vna Poetica Penna.Non vola,fe non colle di lei piume. Par tecipa dell’onnipotenza,mentre sà richiamar dalle tom be à vita immortale le glorie de' Defonti.Il carcere delle lettere difpetìfàlibertà ai prigionieri degli Auelli. II nero deH’inchioftro hà forza di piu colori, per dipingere I o coftuimnzc,acciò forteto più riguardeuoli alla pófterità. La drittura dé’ ciurmi infogna la ftrada della glòria. Lini-
. CapiiccioSecondaj
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L'Impedirmi dunqae è vano . Non kà obligo d’vbbidienza il figlio in quelle cofe, chegl’impedifcono la fu* caloria. L'vbbidienza hà li fuoi modi. Non prometto vbbidtrti, perche non poflo ¿sforzar la naturai cofe di fuo difuanta^io . Non ti prometto quel, che non deuo,nè poflo. Non poflo, perche non fi potino interdire S natu rali leggi della mia lingua, Non deuo,perche nondeuo lafciar le regoledel ben fauellarc,per acquiftar la difgratia de periodi.La legge della figliolanza non ha giunidfrione fuiriticlinatione della natura. Laringea c Imagi* ne dell’Anima.L&mia lingua nósà parlar altro, che ver ri,dunque l’Anima co tutte le-fue forze v’inclina. L ’Ani ma è libera : non può diuidto imprigionarla in miglior carcere di quello,che le diede-la iua naturalezza. Nè deui tu, Padit, vietarmi quell’indinatione, colla quale tu •fteflo fili generafti. Pure la mia virtù farà riputata,tuo parto,mentre dà te con tal virtuofo genio fon nato. Forfè che? Hai generato vn figlio, che sà dar diuinità, e d i ne vieti gli effetti? I Poeti difpenfano la diuinità ì grandi. Son Dei della Terra,che fan comporre dal nien te vn coloflo,ed annihilar vn Atlante . Queft'inchioftra è l’ambrofia, che annouera l’huomo tra Numi. No« fa rebbe Dio Gioue,fe li Poeti co' loro inchioftri non l’haueflero così dipinto. Non s’è ritrouata fin hora iiation sì barbara, che habbia violato il nome fagro de’ Poeti. A noi rifpondono le fpclonchc,e le valli* al noftto canto fi muouono le pian te,ed i fatti. Le noftre Penne fuolacchiano lutti Cimieri degl’Imperadori, quali volanti fpie de’ loro immortali °cfti. A noi fa°-iificano i Lacedemoni prima d’entrar in_ battàglia. 1 fcpolchri de* Grandi non ifdegnano la com pagnia dc*lle noftre membra,.per elfo difefi da fulmini, Evor-
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Capricci Accademici ?
E vorrai, che mandi perpaftura delle fiamme qu elli carré, che deuono cibar TAnimc più erudite/* Non fono fuggetti alla giurifditione del fuoco quei libri, che da^ diuino fuoco fon generati. Gli ferirti de’ Poeti s’imbalfamano,per conicruarfi all’ctermtà. Eterni etter deggiono quei fogli, che difpenfano eternità. M’vccidi, Padre, fe mi priui di queU’impiego, che è la miavita. Che vale vn’Animaotiofii? L'Anima riceue impedimento, quando è impedita dal fuo viucrc natura le . Sarai punito da Apollo vie piti che non furono gatti gliti gli homicidi d’Archiloco. Dunque vorrai vn figlio più tofto muto, che Poeta. Mi togli i refpiri,mentre non sò altro fiatare,che carmi. Spiro,fe non refpiro poetan do. Forfè errò la Grecia, che nelle Poefie iftruiua la giouentù. I migliori maeftri del Mondo fon le Mufe. Tra le dolcezze delle Poefie paiono dolche foauli precetti del le buone coftumanze à quei. Giouani,che per l’età,*ò per la malitia hanno amaro il palato . La Poefia è il fonte, doue ttagna ogni fiorita eloquenza. Qucft’acquaappor. ta tanto iollietio aH’humanità , che fenza di lei è fccco l’human difterie... , Non ti fpiaccia,Padre, d’hauer vn figlio interpetre de’ diuiui ftgreti. Il furor poetico è infinito diuino,che miti ga a cantar le cofc di là sii. La Poefia,eflendo naturalo, noti conofce altro macftjLq,che Dio. Niuno può fortir ti tolo di Poeta,fenza l’infegnamento celefte. Vorrei vbbidirti,mà il cimétarmi, colla natura è come fe i figli della Terra gigantegiattero contro Giouc. Non può fuggirli queiriuclinatione, che fi porta nel cuore, più tofto guiz zeremo i Petti di Fidia,che potrà mai rimollarfi il marmo della mia naturalezza. Più rotto non ingannerà il velo di Parraiìojche latterà di pingere la mia penna »È più facile yo-
Capriccio Secondò.'
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vomitar la vita, che non vomitar inchioftrila penna. Fin dall’età mi vien prohibito Ubbidirti. Qucftx otij giouanili fimiglianlià queidcirAqUila, quando amoreggia», col Sole. L'età giouanile,ch’è fecòda madre d’ingegrioit trouatijtion può far diuorzio da Apòllo. Anzi /e nell’età matura mi ritrouaiTi nè anche iaprei dalla Poefia fepararmiiche s’clla è lapicnza,nell’età più fenile dourei mag ^Tormente abbracciarla, per dinioftrarmi più faggio. Non riprendere vn genio sì virtuofo. La virtù non è capace di rimproucri. Sei Padre d'vn huomo, non d’vna fera: c però come huomo deui feguire l’humano inftinto,non il ferino. Chi feguc la fua naturale inclinatone, vbbidifee al decreto diuino,cheino deue porli in vn cale per vbbidir a Padre terreno. Noi fiamo opre vfeite dalla diuina mano con quegli attributi,de' quali ci haue arric chiti nel nafeimento, non potremo dunque da noi ftefsi pnuareme »lenza nota di temerità , efcnzapregiudicio del fuorifp ctto.H vn abufare la pietà degli Dei l’impedire il corfo <li quelle uirtù , che largamente cihandate. Quando l’inclinatione è uirtuofa, non deue fraftornarfi per gli accidenti, che mali dalla propria paifione fi prcfaggifeono. Se mi ami,non deui prillarmi della co fa più cara,di cui io Labbia ambitione. Io amo la Poefia,chc è una Dama tanto più bella, quanto più riuerira da tutti. Della uencratione di molti nafee il pregio del oggetto. Chi fu mai, che la Pocfia nò amaife? Ogni petto,che hà cuore,l’ama. Ella è fagra fiamma, che fà ardere fino i legni più grofiòlani per l’humidità del Ingegno .1 Veneratori fon buoni; I Profeflòrifono immortali; le forelle fon facre;il Padre c Dio. Mà che ? forfè il tuo diuiftQ potrà impedire vn furor di-
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Capricci Accademici.
dittino? Le tue parole non ponno far argine à tal torrente.Il vento de’ tuoi fiati più auuiua’, ch’ammorza la mia., fiamma.Gli appetiti fon figli della priuatione. Ciafcheduno fi sforza contro il ben vietato. Tanto più mi farà cara, quanto più vietata J. Tàntó più mi farà dolce la fruitione, quanto più li trauerfano intoppi. Non è opra, che non habbia i fuoipericoli. Il promettertid’vbbidirtì forava ingannarti. Cvbbidienza non hà giurifditione foura le cole impoifibili.Non poifo far ritorno dà quel fagro monte, che hà più malapeuole la difcefa»che la falita.Précipita, chi difcende per forza.Hò già facrificato i capelli de’ mieipcfieriàd A poh lo,fora fagrilegio il ripigliarlimi. Difingànnari-, Padroj La calamtta de’ tuoi comandi non può muouere loftinatiofte del mio Genio,ch’è più di ferro. Il mio volére è fatto neceilìtà. Ogni caràttere è catena, che m’imprigio na in Parnafo. Hai generato vn figlio alato, non è marauicrlia, fe’l perdi. Anzi l’àcquifli, perche farai fernpre Pa dre,'fe il figlio è immortale. Hò voluto apportarti quellifentimenti', per difcolpar il mio Gemo,che rkeue difcolpa dall’impofiìbiltà. Non può ftare otiofo,chi ha il fuoco nel petto : Così non può non cifcr Poeta, chi viene rifcaldato da Diuina fiamma,
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Capriccio Terzo ? I L
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A V V E D VTO. C A P R I C C I O
T E R Z O .
“ Inaldo, che infemminito nel grèho dì Armida , colla perdita del efer majchile, hauea anche per duto il giudicio, rimaflo imbauagliaeo nella flrifcia di Cupi do , vedendo pojcia Je iìefio nel crifìalloidimo/lratogli da vbaldo,vergognoffi^ dfhauer così bruttamente cambiato fefio . Quiut guatò non fèl lamente le laidezze della fua amorofa fivita ; ma an che gtinganni donnefchtye la tirannide d*Amore, che | per nonefjer mirate le fue ingiu/ìitie , fgnoreggìa in *vn mondo cieco. Jlluminofji con quei fplendori dfuo ojfofcato intendimento, efatto altretanto auueduto, quanto prima era cieco, rvfcito da quell amorofo labe'¡K tinto , e dilungato dalla bellezza >che l acctecaua, mi . perfuado,che con q u eftij ftmilifentimentifrafe medefon» fau ellafe.
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Sor-
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Capricci Accademici*1
Qrgi, forgi abbattuta Ragione. Berfagli Tauuedutq Intelletto i monti deiramorofe fantaime, folleuati dagl’ingigantiti i^niei fenfi. Già, già il mio cuore hà fatto ritorno nel petto »non è più hofpite del feno altrui. Fui ciecojreftò l’intendimento prigioniere nella ftrifcia d’vn cieco Cupido . Laiciai illaberintarmi in vn giardino di delitie, per aiTaggiare vn penofo inuerno con fopra Cic cia d’amorofo Aprile. Fui allettato dalli fiori de’ piaceri, che non poteano eifer colti , fe non che tra li veprai di ben mille repulfe, e pacifichi fdegni . Amore Teppe far guerriera anche la pace. Fui fperanzato da vn adultero verzume, che difennommi, mentre qual fe ra c i nudriuo, deU’hcrbe della fperanzatra fa copia de’ frutti. Hora da gli occhi, ch’han diuifato l’amorofo mio fia to, hò preio à prefitto Paucdutezzadelfenao. In quel terfo Criftallo hò conofcìuto» le gioie d*Amore eifer di vetro,che ali’hora s’infrangono,quando maggiormente rifplendono. Quiui hò diuifato, che Torio è il tarlo delTArmi : Che morte in fen di Venere fi cambia in Ado ne: é che in fenodonnefeo il valor mafchile diuiene femina. La lucidezza di quel chriftallo apportò, qual So le,chiaro giorno alla mente . Troppo acquifta,.chi riacquifta il perduto fenno. Conofco,che gli fplendori del la bellezza,ancorché foiTero confaceuoli àgli occhi del fenfo,abbàrbagliano però, come più delicati, quei dellintendimento. Sparacelo fpuntar del Sole della Ragione,quelTImagine,che creduta fole dalla mia cecità, gua dagnando il porto nella mia mente,acciecolla. Non fil mo più bella quella bellezza,che difformandomi nell in femminirmi,ha moftruoiì gli effetti. Non più ghirlanda^ di roiè nel mio corpo,che con iuoi roifori fe nafeonderc la porpora delTanimo virtuofo, da Rè delle paffioni fat to
.ui Capriccio Terzo •
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to feruo delle lafciuie: ma elmo di lucido acciaro, ch o tinto del fanguc nemico , fà porpora veramente rea le 5 che forbendo l’animo nella cote di virtuofi difaftn,! ine e n tilfa e che affrontandoli colla morte, fa acquifto di quella vita, che in grembo d’vn troppo viuente Amore fi perde. Non più fottiiiifimi zendadi cingan le membra, che come tele di ragni fanno folo caccia di molche d amorofi penfieri: ma forti corazze, ed vsberghi, che ren dendo impiagarle il corpo,immortalano anche 1 anima. Non più fufo, non più conocchia nelle mani ,chc mando amorofa vita,troncano lo i t o dei vero viucrc :nia ra diente fpada,cheueglialtrui cipreffrmieta le fue palme; che recidendo ftami di vita, con elfi fili la fua immortali tà; c che aprendo ben mille bocche di ferite, che diuol? ghino le mie glorie, chiudale bocche della fama, cht> narra le mie amorofe vergogne. Horam’auueggio , che leguendo vn Nume ignudo, per la nudità del Spere, non hebbi giudicio.onde giudiciofaméte m’iftradaili. Lafciai trarrai da vn cieco al diru po; mà ben colla fua face potea auifarmi della voragine. fe d i occhi non foffero flati abbagliati dalla bellezza^ Vna maga, vna maga bailo, per condurmi a quel Para tifo, che hora {perimento per duro inferno . La cecità del fenno non vidde all’hora; che la magia, come dottri na d'errori, altroue non potea condurmi,che ad vn Abiifo d’orrori. Non potei così bene difeernere le mie attioni, afliftendo nel tribunale del petto,vn Giudice fan ciullo^ fenza giudicio.Irragioneuolmente m mnamraorai mentre la Ragione non hebbe voto nel tribunale d'amore ; ed effendo da là sbandeggiato ogni configlie le,non hebbi con chi configliarmi. Hora conofco lo fiato dello Amante, ^che fenza fermi C 2 pen-
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Caprìcci Accademici.
periferia 11 amato oggetto penfando,coll’oglio lenitiuo delia coniolatione accrefce i tormenti: Che non può hu argine aljO ftrabocchcuol torrente delie ine paihom i impoflibilta deli acquifto ; nè dalla medica malagcuoleiza nceue gli antidoti de feoi malori ; là doue Amore ogni imprefa dimoierà ne maggiori diuieti più ageuolc: Che la credeza dà me certa fperàza adulteratalo fa erecicrgli qucl> che bamboleggiando il cófiglio, c la Ragione gli addita. Che è vn leone,che non laida,nè da ltempo,ne dall’ingegno ammanfarfì,ancorché il freno del diuieto portaflè in bocca : Che la fefpitionc è l ’Auolcoio, che nel Inferno del petto eternamente gli rode il cuore : Che per vnarofa di vira effìmera , che dal Lucifero ali’Efperofeo fimarciice, atteggia ben mille punte; C lio Venere fu tra lerofe trafitta, acciò fin dallerofe del di letto gli felle fuenato il cuore: Che per vna moribonda», vita pi oua eternamente la morte: Cheilfeo otiofo viucie tanto piu e moribondo, quanto piu c d’amorolà vita», importato. Che 1 otio delle fec membra palefa la conti nua fatica dell’animo , quali che vna Venere’nata dal ™?r c » k pPia oafconder^trale calme ile fuc teìnpeito: Che minali auucduto,e pure è vn Argo cftinto : Che i Cipriota diedero folo tributo di deità ad vna Venere : maegh adógmfeggeuol raggio di mendicata bellezza dona diurni honori’: Che le/agri-fica il cuore noncoru altre melodie,che di dolorofì ornei: Che afpetta eitatico Ambalciatc,c naufraga in vna marea di fcfpcttila mete: C e tocca colle dita lauti, mentre il cuore con moti d’a gonizzante mifera il canto:Che diuifafarìzonte d’vna_, ieneitnwfpcttando, per idolatrare vn fole di fango,e tal volta Io fperimenta vfeio d’inferno: Che morendogli in grembo rAnima » anche i buoni feti della fea fama fa
Capriccio Terzo?
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agonizzare: Che nel fuo licctiofo viuerc fa morire bi_n_> ixulie volte l’honore ; Che colla credenza data à piaceri amoroiì i(cerna nei petto degli amici il iuo credito: Che reità dal dipinto ! fole d’vn volto abbagliato, fparge nel candore d’vn vago fembiante la viltà» (punta in vn mar mo animato gli iguardi»e li caldi raggi degli occhi, toc cando vn ncuofo oggetto,s’agghiacciano : Che balbuzza, non parla, ò per l'impatienza degli amorofi trattati, o perche non sà auuocare per fc medefimo, ò perche il ti more' gl’imprigionada lingua : Che nel penfare cammatentone,métre fchcr za ali giuoco dellacieca con Amor, ch’è fanciullo: Che fi fpeia di caducabcllczza,c ladoue. gli altri animali d’aria, ò di vento fi cibano, egli di fgiuudi per la bocca degli occhi nutre il ilio cuore : Che la cotinua fueglia sbandeggiado da gli occhi il sono,fa ferii ir lo n sétinelka quel ignudo Capitano > che iuoleingiaccariì la notte:Che fuolacchiado,qual Vipiftrelio,intorno i palaci,ama per fuo fereno giorno la buona notte : Che brama l’aria funeftata di tenebre, acciò con quello ¡cor ruccio cdebraile al ¡noribodo fuo cucw. c 1 cifcquie. Che rifiuta ogni amicheuote compagnia come uccufatncc_» deH’amorofe fue colpe ; non virole altri compagni, c h o l’amoroie fue paifioni » e non vuol feco occhi auueduti » mentre egli è cieco : Che foggiorna, come cacciata fera ne’ romitaggi,perche Amore, volendo efTer folo nel pa droneggiarlo,brama la fòlitudine;Ò pure come efuledel Cielo,To vuol per compagno all’efiglio: Che con dimeftico effcrcito vien fempre combattuto dalle fue paifioni: Dolori, martiri, pene, cruciati, guai, lai, omci,gelofie,ti mori, fofpctti, fpcranze,curc,moleftie, penfieri, fofpiri, querele, ftngulti, punti, ilrida,partenze,triegue,.repulfe, ¡degni,paci,ire,gucrrejfuocodiiarmne,fornaci,mongibelli» ____
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Capricci Accademici,
li,Etne, vulcani,ferite,morti,fono i foldati,chc gl’infidiano continuamente la vitruChe la fua infermità, come diletteude,c immedicabile ; e che tutto, che piacevole,fimigliafi però à quella del Inferno-,perche così li dannati, come gli amanti hanno per pena il fuoco ; quegli tor mentati dalla priuatione,)e quefti dalla prefenza dell’o c getto.-Che qua! Tantalo tra gli amor odi cibi,e trai acque de’ piaceri mai fi fuoglia ; qual Tino , croio dall’amoroib ftrale il fuo cuore; qual Sifìfo non mai può fer marli col faflb de' fuoi tormenti fulla cima d'vn vero poifcilò , e qual Iflionc s’auuolge continuamentenellscruota de’ fuoi noiofi penlieri: Che fpefandofi tra le ver deggianti fronde della fperanza’, tra quei dolci fucchi ie fteflò auuelenaje dalle fila d’vna delula ipeme raccoglie taluolta l’eftremo fuo laccio. Hora fento quel giogo di feniitù, fotto il quale Amo re tiranneggiauami,tanto più grauofo ,'quanto più folleuato dalle iue penne . Hora difeerno la marea di quegli amorofi piaceri,che pria frimai piaceuole caIma.Nó viddi all’ hora il naufragio, perche feruendo la face di cupi do per fanale del mio fcaflinato nauile, mi nafeondea^ coll’ofcura chiarezza i fuoi caualloni.La face,che in man d’Amore rifplende , perdendo illuftro nel petto degli amadori, ogni voragine di palone dimoftra appianata. La luce cTvn cieco accieca . Mà hora,che nel mio petto ammorzofiijhora ch’è disfatto fincato, rimango del mio primiero ftato veramente auueduto. Prouai aS’horà ftàcoil ripoio, e ripofatoraffanno; fummi perdenzail gua dagno, ed vtile il danno ; Hebbi maninconic certe,ed al legrezze incerte;Contai più can giamenti, che hore di vi ra; Pallai il tempo contento,ed addoIorato;libero,cpri. gionicré; piàgendo,e ridendo; ficuro,e difperato;maninconofo,
Capriccio Terzo!
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conofo, ed allegro; timido,ed ardimentofo; fodisfatto>t* pentito; tra le Ipine.e le rofe ; in vn giardino,ch'era'deierto;invna vita,ch’era morte,in vn Paradiio,ch era 1Infemotviflì con delicati cibi,ch'cran di vento,con beiianda di rifo,ch’er a amarezza;con mercede, ch'era fatica-; con piaceri, ch'eran doglianze ; e con acquiiti>ch’erano Horaconofco le piaeeuoli infide d Amore. Veggio, che c^li è vna fiamma cofi nafcofta, che ipargendo viu* celo di timore,infiamma,ed innamorargli è gradita piaaa , che giudicandofi riceuuta per ilcherzo dà vn vaga bondo fanciullo,tanto più fa credcrfi diletteuole,quanto amuiuivutuvjuiw»» ><yiuv . ------ -----ora con lardanico godimento. E piaceuole malettia,cne neL diminuirli apporta maggior doglianza. E giocondo tormcnto>ntentre vien difpcnfato dalla bellezza, che an che la morte fa parer bella. . , Egli è vn fanciullo, che come facile al pianto,;niegna fin tra le fmoderatczze delrifo à piangere. E vno Icherzofo tiranno, che fà i fuoi feguaci fcherzo dell a fortuna. E vn Principe ignudo,che difpogliad'o^ni vitljù. E vn— pargoletto , che fi pargoleggiare per luo traftullo i ca nuti. q ' . * Gran perfonaggio pareami nella mia fanciullaggine quello fanciullo: ma hora ben m’auueggro,che egli è vn non sòehe, vn non sò donde,mandalo non so chi,gCnerafi non sò come,s’appaga non sò con che, fi lente nonsò quando, vccide non sò perche. Egli,come fanciullo (oggetto à malori, rammorbidifce l’animo : come ignu do °diipoglia il teloro della mented ogni iapere : corno ereici.uto in. donnei: o leno,infeminifc e te forze *- conte mal
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Capricci Accademici.
mal conofcitor di ricchezze, dirtipa i beni: come auezzo à ftarfi legato tra le braccia,imprigiona la -liberta; come cieco, fa trauederc ; come alatola volar dall’animc Id dio: c colla face nelle mani, ò và attaccando fuoco à più mondi |ò come vn’altro Diogene, và diuifandp/c nell’*: vniuerfo forte rimafto petto, intuì non haueife attaccato le fuc fiamme. :• * •' Dehiche non mai haucifè per me veduto vn tal cieco. Deh,ch’haueffi. io più prima conofciuro.la fua tirannide. Deh,ch’io foffi per femprc ftàto auiieduto . H ora, che veggio «prunai, non feguirò più Vcneie col piede ignu do. Se coi filo del rifiuto fono vfeito dal laberinto, con,, quella fpada tarpando di nuouo le penne ad Amore, lo disfarrò dal intutto ► Vgnne pure nel caucafo gdato^ctcca ,,evana fantafmad’Amore ad ammorzare li tuoi mortiferi incendi;, già che dal ghiaccio dello fdegno fei rimafto nel mio petto eftinto . Vann*,à berfagliare con tuoi (frali i diamanti, hor che nel marmo del mio cuorG fon rimarti /puntati . Vanne ad acciecare i Cicopli compagni dcH’afìumicàto tuo Padre vhor che la tua benda non ha più ofeurità per gli occhi d’vn auueduto. Se fei cicco,cedi all’Aquila del mio occhiuto intendimento. Se fei armato,cedi alle mie inuincibili armi. Se fei fanciullo,cedi al mio fdegno già fatto Gigante. Ti lafcio,vado alla guerra,acciò tra il fangiie, e le morti impari più ad incrudelire, che ad amare . ì il vento fi portò il tuo palagio, conforme il vento fi porta ogni tua gioia : cd il vento fi porterà ancora ogni memoria d’efler (fato Amante.
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,ì Capriccio Quarto. I L
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QVARTO.
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il mendico, limofnando, 70*/ Diogene dàlie fatue,nel 'palagio del Ricco,che ‘X/efiito di porpora, r di bif fo , tra [poggiato di carità, e dt betona cònfcienza/itrouò chiufe leporte dogni follieuo . Viddé^he non (echeggiano i ¡¡Pieghi del pouero à gli orecchi del è t t a r o , petricato ne ptnferì dell'acquilo j Conobbe nellejfergli negati i minuzzoli del pane,da darfià Cani,che f idropica egrotezza da va fegni manifejìi di morteSàccertòjoauer le alfiere diferro, mentre non fi rimollauano nè colle lagrime > nè col fangue,gocciolante dalle piaghe. Lo conobbe,piu dife mendico,mentre mofrauaft bifognofo di quei mi• nuzzoli. Onde aprendo la bocca, dotte egli chiudeala mano, mimaglno, chefe hauefebattuto à fautUargli,in quefi fentimcntt haurebbe prorotto. D
Per
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Caprìcci Accademici.
Eretteini nieghi quel, che per legge di natura mi fi conuicnéè Non'Ìai.chè la necefli'tà tutti i beniaccommuna ? Quel che e mio, chiede^ jQui.ui incpmincia il Pouero,doue fìcifee ilRic£,o. ^ietofo^C)lni,pr|pio à gli huomini. Quelli trafeurano i minuzzoli,che caggiono dalla tua meijia>per medicarmi; tù gii vieti à chi li delìdera. Sei vinto da" Cani nella pietà,che confónde por gono aiuto alle piaghe del corpo, cosi vorrebbero chiù dere le ferite della fame* mentre tìón mangiano, per folIeuarmijlaiciandomi quel cibo, che à lor fi concede,c tu empiamente mi nieghi. Vedi, (q vinci le belue nella fie rezza , che mi nieghi quel ,_chc le beftieifteiTe per piedi mi r i l a l c i a n o , ' Perche tòrci il guardo da queftf laceri panni, checòq fiioi itracciamenrr, come con tante bócche,ti predicano la pietà .-Potrebbe Iddiq,clje ve#e, ¡campigli Augelli, c le belue,veltire anche ipouerijmài vuol,che colie boc che de' logori cenci foifimo Predicatori deUà mifcrìcordia . Ifdegnr forfè mirare ih me quella nudità, chè lè il àoilro comtrum'e Pàdrt tenuto haueifeìci haprebbe ar* ricchi:! deli’innoeenzà.f Deh \mirala vn poco, che già marmo perda coftaza,. cozzandoli con? l’acciaro, de’ luoi fguardi,trarrà compaflìoneuoli fauilic.Non difpreggiarc in me quelllgnude vergogne » che Furono donate all*huomo perdiihfedeH’ihhoeenza. v • Mira,che cón bocche ili piaghe thchieggiopoeo foIr lieuo i- .aletta qi^el, che ti pregano le lingue diquefio (angue : ah,ben lei più duro del diamante, fe m vn fanguino o lauderò non ti rimólli. I cani lambifcono le feri te, forfè per chiuder le bocche, che ti chiedon pietà, hauendo fperimentato la tua empietà. Se tu lei Ictaminato dalle laiciuie, dalle iuperbic, datl’aua-
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Capriccio Quartp £■
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ftiuaritia.iauati coll’acquè della limoilnajtuf&ti ne’ riuo» li di quefto fangue;immergi il penfiere ne’ fonti di quelli Ulceri iati guinoti ; •cambia vd minuzzò! di pane con vna filladi quella marcia,che vincerai il candor della neue„ Quéi pìccidl dohOjche tu mi fai, trdona fidanzai ma g-* gior còmpCnzo àppo il monarcadel Vniuerfo. lo farò il meflaggio recator de’ tributi,ed io il buon nunzio dello confeguitedìmande. Nelfuocódella'caritàfuol affinarli l’oro dell’Anima , che fe non ha libertà per la catena- de* vitij* ricomprala colto dw&rfo di pocalimofiòà dalla prf, gionia delk colpevln tuo potere fonie chiaui,c fon quei minuizoìi, chrl^iittàfttà'^ani ;idammile, perche folo al poucrò e concbifodifntheggiar^cJo altresì fono il ban co , dóue fipaganoie monete della limofina. . Nulla va? glfotio ipritegtópfenza i don wfcnzah pagadel debito» *. Ndm è gradito!■Ìnéetep deh’xw'arione, fe non fi brucia., filile brace della ckrhì . Non «ffer fordo. à mici prieghi,fe
bràm lhei diurno Tribunale vdienza* Io fon l'A uocato; per lé mie mani paflàn le fupplicher Io riceuo ì dritti del fian cot L ’ekm ofin aè la più eloquente Gratxice del P a radifou -Il P o a è ro ,ch e À u oca, non conim ette folecifmi neU’o farey quando le mani fon piene d e ’ tuoi foccorfi . Egli hà'huotia T o g a d’eloquen za, ancorché porti ignu d i le m em bra. <Sull’Altare di quelle mani fi fagrificano al veroD ioforicch ezze . Q uelle foglion cambiarli iru orizOnre'dfvera luco, quando il R icco fa fpuntarui gli iplendotidef ord . Q uelle colla calcina defl’clémofina fabriCaftOgli eterni tefòri nel cielo. Il Pouero è la llrada della P a m a edefte -j che fuole à forza di m onete appianarfi . SboOtt vorrai fmarrirladìa meftiere fpargerui per fogno lètucriCchezze /A u re o deue eflere illentiere.chc guida ad vii IfCgno d ’orÉ). ; Indarno follieuilem anial D a
Cielo,
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Capricd Accademici.
Cielo,per riempirle di grafie, feprima non le vuoti, por. gondole al pouero. Le mani grauide di mondani teiori, non fono capaci deììt celeftnNon può la delira folle uar fi al Ciclo fé noti s’auezza à fclleuarple miferie;dplpouero . Meco potrai còri diritta confcienza, e cotvdifufaro àuanzo fumeggiare. Dallalimofina firaccoglieil cento per vno. ' j Mà che ? la melodia dell’argento t’haue affordato à miei prieghi. La continua veduta dell’oro * meglio del tefchio di Medufa.ti cambia in marmo. Si,sì,con ragione ti confelfì impotente ,perchepiùdimetuieipoucro. ; E giunto all’eftremo , chi non puòeffer prodigo d’yn mi nuzzolo di pane. Non puoi far limoima; di.quel,che non è tu o . Le ricchezze fon beni di fortuna, fpggette.foap al di lei arbitrio,non alm o , méntre Ietip8*iok)>m depo rto . La douitia de’tefori feruc per decretare a le t te ^ d’oro la tua pouerrà. La pallidezza,eh e propria dell’ or o , è la diuifad’vn mendico fembianté v.Tufei posero an che di giorni,mentre l’oro, che è tuo fokiapporta la-, notte all’emisfero deiraniino.Il penare all’accrefdmenro delle ricchezze^ ;vn dimenticartidel]'vfo,quindi nqn padroneggiandole, doni à diuedere la povertà dd do minio . L ’huomo è cuftode , non poffeditore delle ric chezze . Chi nacque ignudo,ed ignudo tornar deuc al la terra, non può dir, queitqiè mio. E fc pure pacche lo padroneggi, la ricchezzadel dcfiderio, clv’òfmtdlp-vterino del bifogno, ti diuo'lga fin tra ¿e ricchezze mendi c o . La cupidiggia appena bamboleggia nel pefto, che ipefandoii tra gli ori,fubitó giganteggia ; fempre defider ra il Ricco. L’oro non fa beuanda.che fatta. Quella pouertà,ch a me dona vn baftonein. mano , come:Adepto 4 ’vn mondo ¿ ’affanni, donadnefoeà ic; liDeftrieii,eIar ! r ' pur- "
C à p rfe e io Q tó to i
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Carrozzi, còme più debile nel viaggiare. E ie tal volta ti s’addatta nella deftra vn bafton di comando, par, che vadi anche dafudditi limofinando . E oggetto ridicolo il vedére vn Ricco', che fatto tra le ricchezze neccffitoÌoyft faccia lecitoi,fenzailotadi riibberia,il tor i altrui,per fouenire al fuo Rato, e pur è vero, che h fola e (trema-, neceflìtà leggitima i ladronecci. Quefta e quella vergognofa pouertà’’, che fu collocata tra gli orrendi moftn del Hetebó.Tu,ch’hai le traueggole aglfocchi,abxcmati dalla lucidezza deU’Qro,non la coftoici. Le ricchezze, folite ad albergar fotterra, fono ombre, che ingannano i fenfi. Mielii rinrracciarebbe la pouertà con verte tri nata d’oro,? (Chi può conofcere fotto ardente porpora membra di ghiaccio ? Chi può diuifare forto ammanto di bi(Tòaniirto lacero,e rattoppato,per l'empietà? Oh,te tor fi poteife il veio di Parrafìò dal Quadro dVn Ricco, al ficurojchc fi vedrebbe m endico d ogni pintuì a di rielo,io fono il vero ricca,che fonpouero di defiderio. Il defio e il ladro deiriiiterna ricchezra, che conimdnci appàggarfidel'poco. -Non foÌ&d le.puntedel b i f i d o , mentre fon pagodi-quel, chefio-, E (fendo ignuda,noà^ hannodoueàfferràrfi ih me l’adulteire pafsioni . .Ilmio rtrafoggiatò vertire è la nudità ; per: la quale godo col primiero Padre vn Paradtió di couiolarione, Adamo , mentre fu ignudo * hebbe il dominio foura tutti .gli Ani mali;la nudità era la porpora *(per laquale dà bruti era., conofciuto per Rè > n ù fu feonofeiuto doppia v.eftito, perche non hauc'a la pouertà, ch’èdaidiuifacU vero Prin cipe. Ben poffo così ignudo cimentarmi con Pkito, c h o tni fperimcnterà ricco di iorze&non di veftE Pérquefti Stracci, c.ome per tanti fpiragli, ^plpaiòtìagliYplendori
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Capricci Accademici:
-delle mieintcroc ricchezze, non foggetre, ncalla fortu n a l e alla voracità del tempo . Per quelli,come per tan ni bocche , attraggono l’aura fretta le.membra. Qupfte {tracciature. fono i caratteri fcritti su’l/ogliodeHamia^ nudità,per cui mi protetto sfacciato nemico del mondo; Quefti'ibno i biglietti di cambio,con cui hò darittuote^ re veri beni nd C ielo. Per quefte.aperture potrai mira-r ré: la nudità del mio ipaflàonaro cuore. Vedrai con tuo dottore fatua porpora cambiata.in fiamme, cl’infcrno.cd lituo biifo in tenebre d’abiffo; ma cambiate iiiriéché.gio le quelle ferite »attedi cui voci di inngue tu fòltifordo i Con. più gloria vado io veftito :di quelli laceri,panni, e di quelle vicèrate membra,che tu della porpocatche iolo è roflàvperche fi vergogna dittarti adotto. Non carili bòrei quello {traccio cotte porpore degliÀuguftfc me-, tre con etto prendo poffeiTo delcapidogliò del Cielo, ic no di Roma. Colla porpora de’ ròffofi,ohé mitingono il volto nelle tue repulfe, meglio che con quella de’Conioli Ripmani, dimoftro in me vn continuo tempo dipa.ce;Gòn queftatrioafod’ogni richezzà. c i l mio allegro, iembiante, accompagnato dalle boc che di fuetti fttacchimoderatamente ghignandoicl’ogni ricco fi fide,quafì ebenon mi fotte baftcuólevna bocca, per ridermi dett’hiimana pazzia. Quello battone, ch"à te /embraioftegno della fiacchezza, è ballon di comando foura.quelle ricchezze', che fon da me ’padroneggiato più.cal’rifiuto, che bol poifelfo. Il girne rutto il giorno cambiando, perla Città, bfegnodi;quella libertà, chei ricchijcome prigioHierine’penficri dell’acquifto,fempre fofpirano.Paireggio,come padrone per le ttrade,e non-, viecandòmifi in ogni Palagio l’entrata, vero lignote me OC dimoftro/Voigi gli cèchi al mio fembiantc, e vedrai • • quau-
i: Capriccio Qaafio*
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quanto io fono più di te ricco , diuifando ne’iniei itoiTori quellaporpora, ch’è propria de principi, folo quandi £ infiammata di carità; Afcokàlcmie voci»colle qualiva: do limofinrinelov'p chefentirar tra le melodie dei ¡conci? gli apptaufi dellà mia ricca.felicità » Cagionata dalle.? pofledute ricchezze, che tu. tra. gli ori fetnpre fòfpiri. ' l ' Io fon ricco di fcmplicita d animo > perche altra mafchera di fingimento non hò , che quefto poucrofembtante,il quale,benché immafeherato, non inganna,per che la vera ricchezza và traueftita di pouertà. Son ricco di virtuofe doti, perche i teiori della virtù, per efler più ammirati,fi ripongono in Erario dimala moftra.La virtù, che per non hauer parte vergognofa, da ricoprirli, va ignuda, gode farfi vedere ne' inendichi,che fan pompai di nudità.Son ricco di Ginftitiaqierche riporta nelle ma ni grauide d’oro fi corrómpe , effendo venduta à tanto più vii prezzo,quato è più pretioia. La bilancia d Artrea non deue hauer contrapéfi d’orco>er efler vguale in am be le parti . Il braccio ignudo Sei poucro sa immobil mente fortenerla. Son rtc£ó dì falere, perche la cote del humano intendimento ^ifpbuertà. La pouertà infegna. quel,che non infegnano le ricchezze. Son ricco di godi mento, perche la felicità mondana,confiftendo nell'appagarfi di quel,che fi polfiede,.rÌtrouafituttaragunatain vn pouero di defiderio. Son ricco di forze,perche la po uertà è armadura di finiilima tempra,là doue l’oro e pal lido per la paura. Son ricco di ficurezza,perche non te mo di fulmine,rtarrdo nel piano.Non pofio più traruparmi,giacendo al centro.Non pauento di veleno,p d’altro difaftro, mentre l’inuidianon l’apparecchia. Sonricco d; Amici,perche in me amano la pedona,in te le ricchez ze
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Caprai Accademici.
ze .N onho adulatori,la di cui religione conflftetido imJ adorar per Dio 1interefle, iochenoniono idolo d’oro» non potrò eifer idolatrato. In soma io fono il vero ricco; Unon hauer bifogno, fà fomigliarmi à quel Dio; che non £u mai biiognoio. fi ie da te chiedo limolinai la diman do ioIo,per farti ricco.Son Pouero douitiofo.Non hò al tra pouertàjche il non poter far liraoiìna à poueri. 7 1 * '* . •ì •I'. f¥: 11 . *
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QfWyV ttoni donava regole di buone coflumanzf, invitato 'Vrìgior w<* no albaltò da "«t^W. ' “ ^ho ;
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Imi crini>ò trd flato aiSottigUato dalle Cjrafieye d * CjU Amo-
J^ecHi rnout guu^csTfjtptcAuajiv ¿f» « > «*rwc le rofi’,e li tubini dille ifib'Mchiudevano cerchi di per le¡con <un forrifiìché fpiraua dtjpregio¡ricusò tinvitai / ndì accennano ad rvna [garbata f ecchia, che hauea intanate negli antri del capo quafi <~uergonandoft di fa rfi ruedere,le luci; lividi, e biechi gli¡guarii ; impoveritàdelle perle de dentisi rtfo; folleggiato dall ghe il 'volto¡adunco¡e/calcinato¡qual trarupa il najofbauofe le labra
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€*prìcd Accademici'
fatalità?U Jtyktt "rfd roti Idèa proponiomuoU eletta brutterà,con efia fungo tempo dolcemente ballando,fi trastullo,Le fii^ dd^ feC fo faltellarjl cervello àgl'afiam iper la m araviglia M a riprefo febèam ente da *vn fuo am ico d'batter cambiata la beltà di quella 'D an a per ladiform ttà d ’^vna <veccbta,mi per[uàdoxche con qt*efli>o filmilifientimentiglifav ellale.
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W A ' : -.-r— r»' * v udcio . Non è beltezza^qiidla,: che eflendó bifognófju* de}^, belletti deirArte? qiferle fiata auarà. la Nat^' wmrnt^-
za >1beneficio dèlia terra, fi paietì dtilingo; Ella aòiic&* fiite-ndia iìraètria delle membra* che-' ateorHal&ovnii'
forinità.E'rPvdò^'feÌito a poffida f t o f e k ù ^ W&òdfe^* cadaueri, perirpbellarc loEpaudietif ftórrdre E ’il ver- . lo di Timanteydie dimofi&i ineffabHe. k moilruoittà. fi il \ velo di Parraiìojche inganna gli animi de" mortali. Le chiame lit'qhdoTàriiente difciolée, forfè pcrdinio- 1 ftràf fcialscijuàmenhlrv'qtièglfori d di cui iàEtoiwiafiH fempre auaaay fono i di lei vagliami peniteli, tanto più brutti^quantapiù ad ogni ycntarcllo di fiato van tremo lando . La fottigliezza non l'ingentilifce, mentre hanno per maefiro vn runico ferro. Il rifplcndcntc pallore non )' 5 pa-
palefa i crini, raggi di foie, che non sa coronare vn capo diiangojmà tortuolc vipere, che impallidifcono per lo velcno.Non è oro ondeggiante quello, che fi precipita*, dalle balie del capo, non trouandofi più cofa vile de’ ca pellina éfciementid’vn putrido corpo,e fpoglie rabbitè alti trofei della morte.Qual bellezza vanteranno quei capelli,che fon mifere infegne di feruitu, fc il femire ha difformità,moftruosa.Se neU'Ibcmia feruono per terge re le laidezze delle mani, nel capo donnefeo» imbrat tano ¿fcanimìdi Criftallo. Non è bellezza quella,cho ved ucadmbratta.Serabra il capo vna bolcaglia frarcheg giata di crini, per palefar l’anima, che vi rifiede> v n a, belua . - Qùelk* fpadino1, chevis’afconde.eon lingua di metallo sà ragttnar mille fpade.Dalle chiome, che montéggiandofiilla fronte , la fan credere vera fortuna , fi precipita ogni buona fqr$ùnaJi Patto!©, che ruinidiffufo dalli dirupi dèlie tempie,,rraCporta [’Anime pcr tribu• to à'cocito,per panarle all interno. Più bella è la chioma dpundea, quando biancheggia ciolta,acciò ciafchcduno s’auiieda,che, à guifa di fpui, s’auuicina al lido della tomba. Se Elenahaueflo hauuto bianchi ifuoi crini, Paride haurebbe sbagliato co’ gli occhi,e ben confiderato colla mente, che la bel lezza,© fubito inuecchia, ò per cifa i Giouani diuengon canuti.il biancho non deroga alla beltà, mentre illo lo nafee con bianche chiome nella fua cuna. Il Capo è vm, m onte, che fi rende più riguardeuole colla bofcaglia_ biancheggiante di neue,che imapllidita con fronde gial licce. La fronte , inoltrandole calmeftarfeneindiuorzio dalle tempefte,lufinga gl'Inefperti Piloti,che non difeerncndo in quei candori le già molle ipume', non s’aueg-. E 2 giono
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l^pri^cis&ccaéeklc?.
•giono della tempeftarVnMar tempeftofo, ¿ufto che dif fonda argento, per imbeJlarfi,pure è difforme. ForfcnnatOjchi la crede òtizontcdidue bei ioli,effendo brutto, ma biancheggiatO'Auello di quei cuori,ohe nella tomba di tali animati marmi iogliono hatier l'occafo. Ella è'sfe ra di maluagia Cometa, tanto più minaeciatrice di mor te,quanto più immafcherata di vita. La di lei maeftà»non eflendo ammanfata dalla modefìia, fembra bmttiiikmu sfacciataggine. 11 candido fcintillare è vn lampo,che in quella bianca nube và lucciandò;e fe co" gli oneccfii non s’ode il tuono' , ben fi ientonò le faette rimbobanti limi cuori. . Bella è vna fronte rugofa , doue le bionde lentiginl formano vn Cielocon fiche d’oroil veder quia riano tte, dona auifo,che rifplende il giorno più lumincfo animo. Il Sole non pùò'infierttè illuminare due oppoftt Emisferi. La bellezza è \fr Sole*«che all’hora riiplendo nell'Anima,quando tramonta nel volto. Colei dee ripu tarli più bella,che hà; bella l’Anima. Veramente la fron te annottata c*vn Cfelo, mentre per la negrezza,à guila del Cielo,non può riceuere impronto alcuno.. Quella è ftabile bellezza,che è inalterabile, e che non ha maichera_,. -• J '• Come potrà mai la fronte di colei effer bella!, fe è vru. fanguinofé fioccato', doue rimangono frenate le piè forti confcieiize ? Quiiti fai le uà Cupido il foglio della.* fra tirannide ; e rrabendo da gli occhi la faretra, dalle'cb glia l’arco,e da gli fguardi le quadreria,-armali caualiere, tiranno,e frertatore.Nè trouafi,chi di lui più velocemen te impiaghi i nicnttc fe frette fon tramandate da vn fotti! ciglio. Quel negro dell’inarcate ciglia, ò è Iride minaccfrtricc di continua fempefta, irta! potendo effer nunzia ' Ir -‘d di
Jbi C a p r k e i o Q t t i n 3 ? di pace wa Farmi di tanti fguardi ; ò è Io fcoruccio conb che celebragli altrui funerali ; ò il negl» Temilo tulli vinti amido fi fpie’gatofo negra circófcrenza,dalia quale non pud vfcire!* chi altroue non torce il guardo; ò linea., imperfóttamèote tirata dal pennello della natura >■per render bmttiifkno il quadro del volto . Bello è foto il ciglio » che lafciandod eflèr cpruo, fa crederli vn arco rocco, che iìniboleggiando la pace » fa vedbrfi tanto più>grati «io,quanto più bella è la pace,clic la guerra. Bello è il ciglio* che tirando per dritto,forma«, con ordine il Per go-leto, che rende ìiguardenoloil giar dino M Volto , Bello è il ciglio,che ingrofTandoii-iriuto, è 4brm* te- boicaglièper le ctelitie della caccia,aggiunge* do-vaghézV.aà tal Patadifo ; ò vn baklacchino,per ador nare il trotto dell’occhio, ch?è Rè de’ fenfi.E bello e il cìclio,che crefoerido à gulfa di ba'i'ba, dona più credito, e veneratibnG aìl’imagine dén’anima»cd a gli improntidel cuore,c he fogliòn’o mentire nella feerìa dell ampia note. Malli tributa titolò di sfere à quegli occhi»che chiu dendo idue moftrùoft pupille,paiono laberinti,tanto piu inuefti gitoli, quando chclabritati piu dalla maeflra nafura»tonedji {iodato; òfé pure fortlfcòn nome d’ihtelliaenze motrici, troppo fon brutte, mentre piattono mal a t o intìufft. Il bello, che va di paralello al buonomoru - diffonde maluagitù. E falzo il titolo di due foli »mentre* ne fili? fguardi, volgendo^ à chiunque paifa, fi palesano amorole clitie .Ma perche fono auuide di rapine,palano belnfe intanatCftCgli arvtvi della fronte, auuerandoii per prona, che anche il Cielo ha le fue fere * Bellezze diuine partecipano quegli occhi,che nafeódendofi nelle tor caue, fi donano à credere dotati di di urna fouifibikà. Chi non dirà, eifer naicoito negli occhi alcuna
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CapricctÀecademicL
alcuna diurna imagine , fe di continuo vi fiveggiono auanti, i criilalli delle lagrime ? Chi non riputerà » eifer *quiui l’Aurora genitrice del Sole, e trouarfi ragunatc^ .tutte le dolcezze, mentre vi fi vede la mannadellalippedine ? Chi non affermerà efler reggi quegli occhi, chej non inaiando fuora gli /guardi,sfuggono d'eifer ferui,o nunzij del cuore f r , I fiori delle guance,che rare volte fi trouano naturali» eifendo piàntati nel folimado, come amari, e che di re pente marcifcono, non ponno hauer bellezza dureuole. Son fioriportentofi, mentre/puntano fulle neui del vol to: None bello l’Aprile dipinto, fe anche può dipingerli nel volto del verno. Non ponno dirli rofe, perche nom, fon verginhnè gigli,perche non fono hixmili. Son rofe di fuoco,che piantate fulle ceneri del candore »perdono di bellezza.Soh veprai,doue non corrono le pecchie,mà vi s’intanano gli Afpidi. Erra,chi chiama quel roffore por pora di bellezza Reina , mentre è mafchera d’artificiofi colori,daracoppczzarcle mende della naturaj-Pjù rollo è il fangue, che disfacendato per la fioccaggine» palleg gia nella piazza deU’otio., ò fuoco dipinto per ifpauentare i Rondoni. ò fiamma lafciuà, che non capendo tutta nel feno, fmadera anche nelle guance. òpureil.cuoro, vfcito per dar confidenza nel volto, lafciando di tradi menti grauido l’animo. All’hora il volto è adorno di frutta di bellezza, quan do è folcheggiato dall’aratro delle rughe, e del tempo . Le guance lenza rofe, eifendo anche icompagnate dalle fpine de' borbogli,e litigi,fon giudicate più belle. Quan do le rofe fon icolorate dal tempo, no vi fi trafiggono le delire,nel raccorle.E più riguardeuole vn Aprile natura le,benché inuecchiato, che vn Aprii pelliccio, e dipinto. : ; Il
Capriccio Quinto I
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' Il chiamati la bocca vicio di Paradifo »è idolatria »An corché foflfc fabricatadi coralli, e di perle »Il lezzo fteffo con lingue di refpiri la palefafchifofatomba della bellezzadiwoltroitempógiàeftinta. Imufchifon gl’incenzi de1faòi funerali*, chenon ponno vincere i fecidafi fiati dVn’Anirtìantìiféthnitónte incadauerità nelPimpiudiàtie v Pazzeschi Appella i refpiri zefirertt amorofi,lenza conofcere il catigiivoiofumo del fuo animato inferno* Perché ai latrati noh^auuede»e(feV Cerbero la Bngua ? Sene» quel,che baia. Litigi,tradimenti,menfogneiaguari>aiìtei disonori,ire,(degni,vendette,tumulti,guerre»odij,duelli, piaghe, mine, ftraggi, (angue,morti. Belliffima bocca è quella, che collocata fotto le mine d’vn nafo (cacciato,.vccide anche il ri(o. All’hora fi palefa mare di vera dolcezza, quado i coralli delle labbra cóferuano il natio candore,c vifi veggiono rari i (cogli de1 denti * AU’hora è vero tifare» quando Iebauofe (punto combattono il lido delle labra, Hor da quello paralello,potrai Amico,hauer teftimonì»dacondennar lamia fapienza» nel hauer ballato piu con vna vecchia, che grauofa d’anni, non potea farmi traballal e ilceruelloi checonvna Giouane, che vicina., ai precipiti),potea trarupamni. Confiderà» che io non hò lafciato ingannarmi dalle ma(chere,mà trarre dalla verità. Io hò mirato con altri occhi»che colli tuoi. La fralez ze dell’oro de’ capelli dell’vna,la fuggeuole ierenità del la fronte,il (ole degli occhi tumulato dal copertoio del le palpebrerà caducità de’ fiori delle guance » e li lezzi fpiranti della tomba della bocca, mi hanno rapprefentato vn’Imagine di quella vita mortale * che non elfendo altroché continua morte»comc brutciifima,è meritatole d’eflcr fuggita*
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Capricci Accademici.
- : l ,à doüe il ¿adore del capo dell’altra, le ícalcííute pa réti della fronte , la beltà degli occhi nafcofta, il camp® delle guiñee mietuto,e la bocca fenza il riparo de* denti, £ fenza lezzo, mi hanno,rapprefentatQ vn’ijnagincdelIa
la fralezza di quella vita preferite, che è vna continua^ morte'; ed abbracciavi! colla morte , che accompagnata dallaykt^èposoid’eterniim i ì u i ¡ ^ a S k ó •rf_, : ,ill'.nb,|ioo,ìi lòtiufìit fTiu}tO'nàI«ioviin2-3ri!t3iftiioi! . jj
V iibjo OiiiUqì onoiífidfño:
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Capricci*? Scilo.!
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LAMIO O SENZA.MICI-' C A P•R I C C I O
SESTOw .1
Argomento{ !Sl Infortunato, che per non effer tenuto di grand'ingegno, come per * feguitato dalla fortunaynon palef i il (ito nome : hauendo <~vn gran tempo jerutto hjì%A mico, che più contò in lui feruimenti , che bore di v ita, fu dal medefimo, per cempcnfo di tantofer uaggiot infidio(amente tradito. Quindi rifoluto di più non mirar quel 'volto, nel quale immafcherata di fèrenitd'vedeafìlingratitudine \per fottràrfi dquella tirannide, che più feuera fperimentafi contro gli ami ci , partì da quella Contrada ,per rvedere fe fatto altro Qlima gli Amicifofiero d'altri •vifaggi. E men tre così maninconofo rviaggiaua, può crederfi,che con quefli y òftmili fentimettii delfinto zAmico fi quere-,
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Che
Capricci Accademici: He non può l’Amicitia ì Ella è vn Sole cosi valoroio , che congionto convn Animo incero, genera Giganti d i,lu c e S e dal maritaggio del Cielo, o della Terra nacquero figli, da cimentarli con Gioue, dal congiompmento di due cuori fi partorifeono femidei , degni d’nonor diuino . Non errarono i Sacerdoti di Corinto nel dar Vincenzo all’amico Eiezione , nèvietollo AleiTandro, perche l'Amicitia è Dea,degna dell’adoratione, quando è lontana daH’adUlatrici idolatrie. A quello così degno Nume facrificai full’altare del petto il mio cuore, mà i voti furo vuoti di quegli effetti, che sà partorir Tamiftà . Donai al mio Amico la metà dell’Anima, quando gli partecipai ogni ¿greto dell'A nimo . Pareami infermiccia la vita fenza l’amicitia, che è l ’antidpto d’ogni velcnofapaifione-Cozzai la felce del fuo cuore con il forte acciaro di tantaaffettione.ch’hauurei in grembo al Caucafopartorito Edne j epureda», femdnta di fiamme raccolgo frutta di ghiaccio. Vuotai tutta larmcria dèiraffdtto, per combatterlo, e vi fon rimalie fpuntate iarmidellapiù fina tempia , chépoffa_, * mai fa^Cupidq, non Vulcano . Mi riputai folo, fenza < l'Amicp^hGravorrei elfer flato femore foiitario, per non . effer folo ad eilèr tradito. La brà&afe llagione delle fue diffauenture non mai pote intepidire il mio cuore, che fapea ardere; noti tra_. 1 acquC'd’ppiro, mà tra le neui di mal ricambio . Ogni fcruigip^heijia^l'amico, come oprafatta a pro di i o medefimoinqn deue cercar cómpenfo .. Tutto che i ma lori della fuk^òftertà foffetoriaufeatì dàdomeflici , o congionti, io nonmailafciai d’effer Chirurgo opportu no , medicando l’vlceri della fua mendicità . Sentiuo ingrandirmi nel folleuarlo dalle mifcric . Pareami ac cumulai*
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. Capriccio Seño,-
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cumular teibfi nel diffonder in fup. aiuto, le mie ricchez ze . L’Amicitia,chc vnifcé i cuori, accomuna ancora I o paflìoni, e li beni. Non dobbiamo eiler auari degli ori.à chifiamo prodighi del cuore. Le nubi delle diigratio non mai feppero affumicare il candire della mia f e d o , benché l’ammortita fuá affettione tramandaffe ¿ m io volto il fumo. Per non diftaccar la mia delira,datagli in fegno di fedeltà, laida! tirarmi al fuo medelìmo dirupo„ Non mai hebbi fofpetto delia fuafede, ancorché ogni hora la vedeifi ccdiffar nella luce.La fofpitione è iatoniba dell Amicitia,ond , per farla viucrc anche in lui già eflinta, ò agonizzante , sbandeggiai colla luce della fin. cerità ogni ombra, chepotea infofpettirla. La penna della mia lingua, trahendo l’inchiollro d a. vn cuore bruciato d’amore, fcriuea negli orecchi dell’a mico biglietti di tanta affettione , che ogni parola era amoro fa magia, da trarre il fuo cuore, fe non foffe flato alfordato dalla doppiezza. Non era accentoLenza deli quio,doue 1 Anima nel fauellargli fen gitia in dolcezza • Non mai gli parlai fenza il cuor nella bocca, quali fa'Ori ficándolo folle brace dell’infocace mie labbra. Nel dare non afpettaf richiella, fapendo,cheà prezzo di fangue compra, chi chiede con rolfore. L’eilermi traffoimato tutto in lui facea, che fi cambialfe in mio interelle ogni fuo defiderio. Era cosi fuo il mio volere, che. prima ddui fentiuo le brame della fua volontà, già fatta Reina d’ogni mio arbitrio. Non faprei dire, s’io fui Elitropio veneratore del fuo voltOjòidolatranelladorarlo:sò bene,che fui farfalla^, per trouar l’incendio, anche nel ghiaccio de fuoi finmmenu. Non mai traudii gli occhi dal venerato fembiante >tuttoché alcuna volta per le colpe lì foflc refo fpauéF 2 tcuole
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Capricci Accademici.1
teuolc. Non la feci da cortegiano nel mirar ¡Colamento il volto all’hora, ch’era imbellato dal fole di buona fortun a; mà anche con pericolo di diflformarmifoftenni la^ bruttezza delle fue cOf|ratie, Lefegretc ammende,colle quali rimprouerai 1’amicheuoli colpe,erano tante nafeofie mine, che auuiuate dal fuoco delPamicitia, faceano volargli dai cuore ogni vitjo. Lodi nelle terga, honori auanti gli occhi, auilìà gli orecchi. Fùdame lontana^, ogni adulatone, mentre non conobbi interefle, che m’ in'fegnafle à mentire*, ò à trauedere. Tutti i miei interefli conlìfteuano ne’ fuoi auanzi, nel fuo amore, nella fua», vita. O felicità pur grande,fehauefle faputo conofcer!a_J Egli in me hauea trouato vn petto , douepotea patteg giare,come nel proprio feno, il fuo cuore. Hauea fatto acquiftód’vn cuore, che fapea veiHrfi d'ogni fua paflìon e. Hauea iti me trouato orecchi,doue potea depofitar i fegreri,Lenza tema di paifar alla bocca. Hauea fatto ac quilo dVn Amico, che colle perle dei fuo pianto arricchiuafi di doglianze , ed imporporaua la bocca dirifo nella profperità de5fuoi godimenti. Amico, che amaua la fua òcriqha>noft i fuoi beni; e che iacea afcoltargli la_, foauira di quelle paróle. Io fon tutto tuo. Lontana ognidiffidenza, sbandeggiato ogni fofpetto , potea egli dire: Hò vn altro me ftettò. Non feemo/fi in me il Sole delPAmicjtia ne’fuoimancamentijnè mai s’ccclifsò, quando vi fi fraponeala luna della fua incoftanza. Non atteiì altra ragione,che! mio doucrei non hebbi altra legge, che l’amicitia . In ogni auucnimento, doue era più dubbiofo il follieuo, hebbi più Scurezza nel founenirlo. Ogni fuo ingrandimento era mio profpercuole vantaggio . Pareamipouertàdi cuore
Capriccio Scilo s
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cuore ì! non accommunarmi ogni fua paffione, ogni fuo intcreffe,mentre l’haueuo partecipato deli’Anima . Che più ? tutte le leggi dell’Amicitia ifchierai, per combattere la fua beneuolenza . Coi teneri amplcifi ali donai regole di ftatellanza.Co'gli honoreuoli inclini l’adorai» come Idolo del mio cuore. Nella notte dello dillauenturc non mai ammorzai il fanale dell affettione a e colle ftelle de’ benefici lo guidai,naufrago, al porto . Putiscono nel mio petto i fuoi fegrcti, nè mai, bencho itorrucato da laide feoftumanze, à gli orecchi altrui li vomitai. l’fuoi mancamenti, l’oflfefe, le colpe, da far im pazzar la ftetfu tolcranza, rinforzammo la mia Sofferen za. La pronta beneuolenza : La gratitudine nel ricompeniarg.li anche vnapeluria: L ’Honeftà nelle dimatide : la ftubiltà negli auerii aquiloni: Il pendere, che altrouo non concettÌ2Ìz'aua , che fult’arriichciióle Imagine : L o memoria,ch’era folo ricca d’anàica IdearLa volontà,che no cicca,ma occhiuta vi amoréggiauajGli occhiali eran fatti amorofe Clitie: Gli orecchi,che Solo eccheggiauano ai fuoi comandi : La bocca,ch era catedi a delle lue lodi: Le mani,già cambiate in brrafeiipèr feruirlotE l o piante, che giganteggiauano, per vbbidirlo, furono I o mie amorofe faettc, per impiagarlo ad amarmi, e li lacci, per imprigionarlo alla mia beneuolenza. Màche ? fefuiOrefte, non hebbi vn Pilade , c h o riputando raddoppiar la vita, fpirandola, fi cimcntaifo di morire,per farmi viuere . Se fui Efeftione, non heb bi vn Alcifandro , che mi partecipale i fuoi honori. SefuiTefeo , non hebbi vn Ercole , che mi liberaifo dall'Herebo delle mie paloni. La fua Amiciria,da m o creduta ineftrigabile nodo di coftanza , fotto il velo dì ben mille fingimenti afcondeala rete di Vulcano, che con
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cotí iáiüílbili anctóciiWadiÌTTd^iòìièeà zoppicarla. Lecorami l’amico , mà con filagli Ragno, tanto più deboli, quanto più parcano filate nella cònocchia delle vifcere, Piccioli aura di fofpetto la difciolfe. Mà io non feppi leggere nel biglietto del volto, che è il Batto riuelatorc de' icgreri del cuore, i Tuoi nafcofti penlieri,perche eran cifrati con inclito ítro di fingimenti. Ah, sì, ben poteuo auuedermi , non efler grande ilfuo cuore, mentre non mai compariua colla natia porpora-. fulle guance. Mi (limai ricco folo col pofleffo d‘vn Amico,no auuedendomi,che non merta nome d’Amico, chi non ha fe de. Hora,che lo conofco,difcerno ancora eilèr rimafto amico fenz’amici. Amico, perche oiferuo le leggi dell’amicitia: ma fenz*amici,perche nò trouo negli amici corrifpondenza. Chi hà più amicizia piùtefori, perche chi ritroua vn amico,ritroua vn gran teforo ¡ >Ma non fu te foro il mio amico, mentre fu pouero di fedeltà, cfolo ricco dinconfidenzc.ò quanto rari fono i tefori,ò quan to pochi fono gli amici ! Conforme fia vopo fuiicerar la terra,per ritrouarvn teforo , così bifogna fpalancar mille petti, per ritrouar vn amico. Nè anche la lumieradi Diogene può rintracciarne vno fin fui’meriggio. Coforme doppo l’età dell’oro rcilarono fepolti i teiori,così co gli Acati,e cogli Efeftioni reílarono tumulati gli ami ci. Oggidì tutti vefton di mafchere,cóprate nelle botte ghe de’ fingimcnti.Mà Tamichcuole affetto, douendo efleriemplice, ,nondeue cíferimmafcherato . Vn petto bruciante d’aftettione, non cerca palandrane per rìfcaldariì,percheramicitiacon doppia foprauefie soffredda. Il mio amico, imbellandole il volto con fìnti colori,laftrauisò i aggrauandola con più copertoi fu’l Ietto deli ani-
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1*animo » douc mfermauafì,rvccife s e vertendola con^ cjioio di Camaleonte, fèrinafcerla cambiata in belila, à mio danno. L ’Imagine dell’vno amico deue fempre viuerc nella^, mente dell’altro ; ma li mio ritratto nel quadro de’ fuoì penfieri Tempre nuouoloforapprefentoiiì, offofcatopiù dalle fue fofpitioni, e di irtdenze, che da miei diiTeruigi. Picciolo , ed inuolontario mancamento iicemò la beltà della mia Imagine nella memoria dell’amico , col pen nelli? del mio continuo feriiaggio dipinta.]^ nonpotea fenza l’ombra dell’amicheuole inuidia foffirir tanta ec citile la bellezza della mia amicitia. Inuidiò anche la mia baflezza,temendo forfè,ò che come Anteo, mi folleuaflì epa maggior forze da terra, ò paliando il centro, non^ folli ialino insù.Inuidiò i modi,che io attracciauo,peral laccialo ad amarmi ¿ Inuidiò la mia coftanza, futa più {offerente {otto ¡1 martello d’vn’amicitia tradita. Inuidiò la vita dell’iftertìi amicitia,che nel fuo petto era eftinta. Ogni mia picciola !fortuna era l’aratro, che folcando il vokq^ìpjuapalagiarticjeia maireritia de-( m dolori-^ Ógm piccjokaggiod'honqrcvchein me veden lucriate qual balpnp,ficea intanarlo,qual fnlamandra-,nelle caue delle fuc meftitie. Ogni mia profperità era il dirupo del fuo precipicio. Naufragata più nelle mie calme,che nel le proprie tempefte . Nella ricca pouertà dalle mie virtù imppucriua il luo animo.Dagli oggetti, à me gioueuoli 3 . apprendea dogliofe fomiglianze,da funeftarne la mefi te. Ne?fauori della fortuna, per ¡ quali doueameco ò congratularli, riputauafi disfauorito. Nelle mie ca d u ta : folleuaua gli fc agiioni de’fuoi ingrandimenti. E coli’ac- >a qua delle mie lagrime irpgaua i bori delle fue fmodefate allegrezze. Di-
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Capricci Accademici.
Diriioftrò tal voltaVaffeftùòfo fuoco infiammato ¡1 petto, ina gì'incendii deriuauano più dal interefle, che dall’aifcttione.Doue attendea frutta di ricompenfe, quiui folo fioriuano i beneficii. Pensò più fauorir fe fteilo, che Pa nico. La cupidezza d’hauermi obligato fe taluolta tendergli la delicata rete di piccioli fauori. Il fole del giorno della fua amicitia non iu la fimpatia, nè la virtù, mà rinterefle,che perdcua di chiarezza ad ogni efialatione di poca mancanza . Mà io cieco, perche non diuifai le mie tenebre, vedendo fparire nelle fue inconfidenze il fole deH'amicitia ? Tolto ;il fole dal mondo, refta laLuna; così tramontato il fole dell'amicitia,refta la lunadeIl’incoftanza,e deU’ingraritudine.Perche no viddi,che oggidì vien riputato amico più vn Afino d’oro, che vn-, virtuolo deftriere ? A h, quanto ben m'auifai, che’l mio finto amico piùtofto accoglica vn Gioue piouofo nel orembo, che gli amicheuoli prieghi all’orecchio. Più to lto lafciauadal pomo d’Atalanta arreftarfi i che dà! mio corfo,pur troppo follecito àferuirlo.EpiÙfoftothddiùa qual Tarpeia,il Campidoglio dell’amicitia-, chellàbilo, ediffintereflàto lo difendeua: Maniìieffidine- d'A^nello, % magnanimità di Leone,'Clemènza di Cefaré, Htirtiarfità di Tito,Cortefia d’Aleflàndro, tutti furono effetti dellaneceifità: mà paifato 1oggidì,fpèrknentai vn Tolomeo , vn Bruto, vn Calfio,che bruttamente cafsòdi vita la mia amiciria. Abbifognaferuire fenza celiare, perche vnpicciol vrto di mancanza trarupa vn cololfo di ferim enti. Non mai la le , dà Curtio nel chiudere l’aperte voragini delle mie paflioni. Non mai con poco fieno di follieuo ammorzò gli incendi) delle mie diffauenture. Non mai, come Sceuola, pole la mano nel fuoco delle mie difgratie.
Capriccio Sello;
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Ría che l deuo pur eíTer foftereníe i perche fon mon dane fcoítumanze.l’amicitie d'vna vita mortale non poffono eífer etprne.Ogni cofafotto il fole yicn meno.Con animo grande,placido, cmanfueto deuono íoffmCi gli amici ingrati . Non è tanto i’ofFefa.’che riceuo dall'abbandonamento dell’ingrato amico, che tolga il diletto, che lento d’hauerlo amaco.M’c dolcitlìma almeno la me moria della paifata amicitia. Coli’imagínate dolcezze tempro in parte i veleni nella lontananza. Egli Tempre pentirai^ della fua ingratitudine, quando conolcera,nó eircrmi'difpiaceitòle, anche abbandonato, d’haucrlo for nito ; Non fo.ipnivoue.lc punte,che s’aiTaggiano da gl’ingrati amici. Lamia fpfferenza farà la maeftra, che corregeràla fua ingratitudine. Con quello può migliorar/! , là doné piggiora còlli ritripròiìeri. Ancorché pallida, per Péftinta affettione, fi ibffe lafua fronte, pure dà quel ce nere può fcintillare vn poco roííbr di vergoña, peotendoli,tocco dal zolfo dcllamia ÌQffercnza. Si {offra dunque, fi taccia. Amico à Dio. farà almeno acclamata la mia coftanza, chesà foffrire la tua ingrati tudine, Amerò, fenz’efler amato.Seruirò,fenza eiì’er gra dito,Sarò Amico,fenz’Amici.
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Capricci Accademici i
IL F ORTVNATO SENZA FORTVNAt CAPRICCIO
SETTIMO.'
Argomento. Iacea folto la ruota della Fortuna,finza mai à let a ffer ra rF e lic io , kuomo, che godendo d'hàbitar femore nat nel piano , n on m ai'volfe infìnuarfì col l'ale de' fuoi meriti [a lla svetta delle dignitadiyper non a ffa m a re iparofifmi del precipitio. Stim auafi d baftanz<* ricco,mentre era pouero di de[tcimo . Pago d<zm picciolo habituro,lo tema di para * Itilo ad ognifa to[a,Palagio, allogiàdoui in ogni tem po Ad inerti a . 'Fjjpondea airimproueri degli Amici » che l'ineoìpauano di melenso . M entre non fapca [er niefi delle penne delle <virtu,non con altro,che con <Tjn ghigno di naero difpregio.Chiamaua fi à fronte di tut ti ¡felicitati del mondofortunati fim o] m à richiedo d a alcuni dèlia eau falche lo rendea tanto fortunato ¡rifpofe,che ciò era il non hauer fortuna: onde donandoft ti tolo di fortunato fenzafortuita » con quefli [entimemi f è paleje à gli amici la fu a fe lic ita »
Capriccio Settimo;^
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A chiarezza delle mie ragioni annotterà il giorno di quella fortana, che ha irtamente il fallo per fo le . Vedrà chi la parteggia, che dà gli iplendori dello grandezze trarrò il folco,per ofcurarla. Hora,chcneiI'iitefla/ua ruota- agguzzaronfi [lepunte del mio intendi mento , trafiggerò coll’ingegno la nemica d*ógni Inge gno . Vedrà nel buio, da fe rteffa cagionatomi il fuo vi tuperio ;e nella labilità del mio dire lafua incóibnza_,. Dall’annottata l’uà faccia fpuntò l'auròra d’ogni. miao auuedutezza.Lc lagrime fon le brine,che piouono in'fu’l mattinò doghi fapere. L’hauermi riporto, appena nato,
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Continuamente le forze. Il non darmi fortuna fu v n . farmi compiutamente felice. Crede la cieca,fer naufra garmi nelle fue temperte;mà non vede^hedalla inarca., io traili la tranquillità dell'animo, doue ella fuole affo garli. Inchiodò l’aifo per farmi ftabile ne’ disfauorijmà non mira,che più s’affina la coftanza sbattuta; e che non altroue, che nel faflb d'vn animo coftante, può romper la fua ruota. r Gl Infoi tunij fono 1 Ancora di quella coftanza,che la foi tuna fa timidamente ondeggiare. Io la ringratio,cho mantenendomi continuamente nel piano t mi refe alli fuoi ondeggiamenti coftantiflìmo fcoglio. Non vi paia felicita di poco, che affogando ella colla fua tempefta i miei 1efpiri, m habbia tolto anche i fofpiri ; Troppo è fortunato,chi non fofpira. Non poffo chiamarmi fuo dif. fauorito, mentre mail’hò tributato i lamenti . La fofr fetenza, che mi f e lordo alli di lei colpi, rru refe anche.» muto alii fofpiri. • >■ L voi Amicanti chkùnarete infortunato,perche none. G z mai
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Capricci Accademici.1
mai ho fall to la vetta della fua ruota ?perche non mirate la ficurezza, che godo nel piano ? Chinons’è fin’hor&_, con proprio periglio auucduto, che il trono è dirupo; e che nel centro nontrouafi altro trarupamento ch’à falire in siVElia,che fù detta figlia del,Oceano,perche qui tti fa moftra della fua incoitanza;, co’cauatloni de’folleuamenti fabrica feretri, e eolie cadute dell’ondefabrica Auelli. Mà iopofto filila fodezzad’vn lido,fperimento, che nel mare è; fortuna il non hauer fortuna. Il non eifer da lei folleuato m’allontana dalle fue ca dute. Ella è vna Dea cofi volubile, che pauentando anche delle medefime fue altezze, i più forti palagi, co me troppo infatuati al fuo trono, ancorché da fé ileffaFabricati, di repente tràrupa. Ogni grandezza, co me rubbellante al fuo impero,foggiogaJLi medefimi fon. rimati,per non farli infiiperbirefinfortuna. Hor qual «ra dezza sballerà in me ,che Tempre ierpeggio il fuolo ? Non è fortunato,chi pria fauoreuo!e,e doppo clisfauoreuole.la rapprefenta nelle tragèdie della fua vita.I medelìmi monti furono orizonte,ed occàfo al fole di Seiano. Al ricco viuer di Craifo feguì vn morir fallfiq. Cepione paflo dalla libertà delle grandezze' alla prigionia’ d’vru. eftremo laccio»Soiiqntc ella infanguina quella porpora* che dona violentemente con roifor di chi merfia. Tron ca quei' capo oche 4i botto corona. Il non mai vedere il fuo volto bianco,non fa fpauentarmi del negro. Gli hò'nori,' che di repente finifeonp, fon vituperi. Il trono è dirupo, quando con violenza fi paffa dolio feetàro alla fcruitù. E più vitupero il cadere, che il non mai falire. La gratta d’Affuero refe più difgratiato il patibolo d’Amanno. I raggi folari viè più ofe tirarono il preci pitici di Fetonte. To godoach’ella non m’habbia agcuo-
bGsfpriccio Settima]
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Iato i fcaglionihpei falbe, acciò non m’hauefle inficino apparecchiate le balze del precipitio. Reputo à fluoro, Peffcr fiata verfo me zoppa, acciò non mi'haueife fatto zoppo nel ferino. Fù benc,chenon inai Rabbia verfp a>c volató.iolTalede’ fahOri, mentre, non hàuea pi<?di.<ìa^» meco fermarli. E quando che con prodigio follerò ftabili i di lei* faUT r*m m-iì r*fC&r ol --- _t -----------,—~ ...— trapanando le nubi deliqui ui nuore, c continuamente berfagliata da grinuidi.Chi vuole hauer fortuna di fottrarfi à quelle quadrcila, deue foggiornar meco nel piano delle baflezze. Scipione, per no aguzzar le punte degl’Inuidi, lafciò la ruota d.dla,fortuna, che la folita cote,per aguzzarle. Più pauentò dell’inuide fpade, che deli’anni afri cane, Ricouroffind piano d’vn villag gio >per fottrarfi ai dirupi;. L* ofeurità di quell’habituro appannò gli occhi djégl’innidi,che non hebbero luce,per rimirarlo. Lo fiato priuato priuolla di quei diiafiri, che poteaoo nelle medefime fortune infdicitarlo . EdinfinuOifi a più fic ura fortuna,allontanandoli dalla fortuna, -i A fihe dunque mi reputate infortunato , § fperimentali anche. da’ fauoriti,eiTer fortuna il npn hauer fortuna.? forfè la poucrtà dcfbeni può ijnpouerirmi ancora di fe licità? Mi bafta l’ingegnere riit?ndimento,in cuiconfi-j de 1 humana beatitudine; per crcderpb fortunati (fimo, là douel di lei fauori,come eh ciecaiacciccanq, Eliache da gh fplendori della virtù abbarbagliata,noia §à difcqrnere trai! degno, e l'indegno, tPgHeil/gnuoì^Ìloi^uoibi, onde ne fe -fteflì, nè la loro benefattrice conoscano. Ti moteo Ateni.enfe non conobbe,che la pelea delle Cittadi dennauagli, anche dormendo, da colei»,eli è fautrice,, ' ' * ‘ ‘ de’ "
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Canicci Àccadef&ieiJ
eie' fdoperatLDiìfennato fù Galba,cheringratìò Venere» non la fortuna della fua fe licita. E ie pure l’Humiltà deU’animo flt credermi priuo di c]uell'intelligéza> che mi felicita, redo appagato di quel 'buon nome,che mi apportano i di lei disfàuori. Il buon., nome è la miglior ricchezza,che pofla hauer l'hoomo. I di lei amici, e Priuatj fon reputati maluagi,mentre ella»., come cagione d’ogni empietà, in coftoro ripone le fu o ricchezze . Quel l%ito, che per arricchire vn Virtuofo lì rnoftra zoppo,impiuma la fchiena per fauorird vn maluagio. Vn huomojche fenza retaggio de’ fuoi maggiori iì vede grande,fe la Virtù non gli fùleuatrice, vien ripu tato grande di maluagità, come fauorito da colei, d i o parteggia i vitiofik. • ^ ^ Non perche mai (puntò per me il Sole dell'oro , io fon priuo di giorno, perche le tenebre della pouertà più dell’argento,e dell’oro rifplédono. Il fole'della virtù,che sà Hlplendere fin nelle nòtti delle diflauuenrure, rende più gai, e più fortunati i miei giorni. Gli òcchi della virtù veggiono più d’vn Argo . Le ricchezze imbrunano il giorno della mente. Il Tebano priuoifi degli aurei fplendori,per non caminar tentone. Se Diogene haiieiTehanuto ricchezze, non haurebbe hauuto lumiera, per ag giunger chiarori al meriggio ; nè farebbe flato luminofo il Cielo della fua B otte. L ’ofcura modicità d’vn virtuofo è così rifplendenrè, che è là lumìhofa icortadi tutti gli altri. Anzi par troppo di beni fon ricco, métre non poìfo da lei eflfer impouento. I doni della fortuna fono eiiìmeriJl donare,éd il togliete è vn punto folo.EIla i fuoi ric chi depreda .Io non panerò le fue rubberie, non trouerà che ladroneggiarmi,métre niérc hò da lei riceuuto. Non potrà formi quei virtuofi tefori,che non mi diede. Non i può
Capriccio Settimo ;
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può fpogliar la filoiofia, che chiudendo nell’Afilo delta, mente le fuericdhezze, ignuda moftrafi nel di fuori. Quanto piu ellariépegli Erari,tato più vuota l’animo di virtu.Qmnto;più riporlo, le riccheizge fotterra,tantò più le tonno intornofuUafueglia ipemieri.il ricco nelle ipeie vomirà le vigere per le dota* e pellegrina colle fue monete per le piazze. Quando non fpende,imprigiona il cuore in vn fcrignoii cuored’vn tale fù ritrouato palpi, tante tra le monete. Hor-qual maggior infortuniojcliej perdere il cuore? Qual maggior pazzia,chefarfi voltar il cerudlo.qual oriolo,dal pefo della borfa?E pure no chia mareteme fommatiifuno.che liò fenno,e cuore? Vuoto d’mtendim&o credefi quel capo,eh e di lei ripieno. Vna pazza hà folo.dominio sii diftennati.L’efler pouero difor tnna.fà giudicarmi ricco d’ingegno. No è .pprio dell’A quile amoreggiar co lei, chtè cicca.E riputato Vipiftrcllo d ignoraza, chi fuolacchia intorno vna cieca fortuna, Il no hauer lei, per leuatrice,ò per balia, può dar indi, tio,ch’io habbia poppato col latte il fasore : Eie in altro nó loffi io fortunato, il no hauerla iauoreuole nell’opre, è la più fortunata gloria delle mie anioni. Ella iberna la gloria dell'Ingegno. Piùriguardeuole è qll’impreia,che séza il di lei fasore è ridotta scapo . B la borre al macamcto dell’Ingegno. B la diede l’vltima mano alla fpuma di quel cauaiio,doue l’mgegno di Nealce nó giunte. C ó vii fulmine fu al naicimeto di. Bacc.o.fauore'Uole bucina. Ma cóforme nell opre nó neonate o fortuira» coìsì an che nò ho io tira d »roc le fue leggi. I fortunati fono i fuoì ligi . I itici figgerti oileruanoTe leggi del su,e del giù. kg-imo fon k palle del fuo giuoco J i Virtuofojche colle penne della Virtù ¡sfugge la fuggettione, s’allonrana.anc°ra dall’infdicìrà di {fruirle per palla.Pcr non feruire al fuo
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»Qipriodi A ccadem ici.
(uo «ioco»toS pa^q. d * fuòidisfauod. La più ficura flw11 ideila mia M cfe V a p p o ^ ia m ii deh beni della virf i II nò hiiuer intoppi di ricchezza, fa . incammaamiiem y-i’ bericU'o vèrfo la beatitudine». Non tcmo idiiaftroii viali, badandoli pedone, Non pimento di traruparmr, non hauendo ruota,clic-mt ttaportaNonbo. paui a,olio 3 combatta colarm i deiPauerfita,perche que(te magniormcntc l’inteme mie .forzeaaualorano . Non lafcio corrompermi da quelle dolcezze; che non mai prcmatc, c feóhofciute, nonponno buzzicar l’appetito. Naufeo cuellc beuade,che in altri/perimenti velenofe. Lo fcoS o del mio animo non laici* nè muouerfi, neancauarfi a i e del Pattoio . Nè gli Auftn, ne gli Aquiloni» nònno traportare vnfaifo giacente al fuolo. _ P F Ì r e r e V e r ^ m i infortunato il non hauer molti amfcPMà doue fono oggi gli amici,fe fono eftinti gli Efe Z n™ E fe pure fe nfritrotìatfe alcuno non reputo in fortunio rhauerlo perduto, mentre mi reità la virtù eh c vera magia,per acquiftarue molti. Se ella vmc ncll.am-
M tó Srao»in ^t““ W «ntgòanbneaatteim qu em i,cicliic.Id afloen, ff,oim cD em fo f e l i c i . S ì , s ì , d i f i A o auflirao,chenacqui,cvififtabilm entelenza 1
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Capaccio Otttuo* -*
M ADDALENA PIANGENTE. CAPRI G e l o
o t t a v o
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Argomento. fS s X
^ fa ttr ic e di M addaìo , au u nja a non mirar altro fole , che (¡usilo della
J L i i p fuá imagine in njn terfo cnflallo, non ® (£ ¡ 5E¡5fS 5 COit u fo riuolfè gli occhi all'animato Sole del Redentore,.che tionfaprei dire , fe diuuenuta j 4<¡uila-}cerca(?e difempre con lui amoreggiare,ò camhiata in farfalla , $'ingegnale d'incenerirfi in quel lu
me . Sperimentò quanto preuaglia piu del figlio di ‘Venere l'^m or Diuino . (fili fplenàori d'^vn Dio humanato, apportando all'Emisfero dell'anim a il giornoylafciarono àqutllodel corpo la notte ; la quale tanto più fù rugiadaf a , quanto piu le [Ielle degli oc chi incomtnciauano ad annuuolarfi di pentimento. Veflìfp di feoruccio, non per la morte de' fuoi diletti, màper i funerali d'^vrìtsinìma peccatrice ■e feruen y fi per accefi doppieri degli occhi piangenti, entrò nela cafa del Fartjeo, douefhrifto trouauafi definando, El per
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Capricci Accademici.’
per abbcu erario di quelle lagrim e , delle quali fufernpremai fitibondo. l/umilioJfitcome Cagna à ¡mipie di) per coglier i minuzzoli del pane delta gratin, ed ir rigandoli le piante¡accio frùttafferoil fuo perdono, f a vellando filo colle lagrime, miperfùado , che interna mente in tal guifa e[ponete gli amorofi [uoi [entimenti . C co à tuoi piedi quella Maddalena > cheviddeauanti à fe íupplice,.e lagrimólo ogni cuore. Ecco colei,, che son Zeppe cedere di bellezza alì’iflcila beltà. Ecco c o le i c h ’hebbe lacci d’imprigionar ogni Anima, benché rubella. Fui Peccatrice » e Peccatrice di C ittà. Quanto più in alto poggiaua il fole della mia bellezza,, tanto più fmifuratafacea l’ombra dellamia colpa. Non., fu capello, che non folle flato laccio, mà vile,perche vitiffimi fono i nodi dcll’Amor profano „ Hebbi l’oro nel capo, cd il piombo nel petto: Piombo tanto più freddo,, quanto piùraffinato nel rogo degli impudichi diletti . Nel Teatro di quella fronte rapprefentai le tragedia della miafuenatahoneilà . La beltà fù tiranna di così breue tempo,chepagaua gli occhi de’ riguardanti corr v a momento. Qffiui la sfacciataggine hauea la fua lin gua ,, che infegnaua immodeflie . Ella era il ritratto de” mali effiempli. Il priuilegio di troppo bella non prillilegiaua perfena alcuna, che non io Oc fiata abbarbagliata dalfuo candore.. Vedeafi vna ncue,che miracolofamente infiammaua. Sugli Archi di quede Ciglia fpjegaii trionfi di publica peccatrice.. Quelle fin nel fcreno del frmbiante pareano Iridi, che prefaggiiuno tempefla dii ; lUÌfi.
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Capriccio Ottauo.
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lufiì.Defache da là fi folle trarupata la mia bellezza pria, che l’Anima fe ne precipitafle all’Inferno. Gli occhi,sfere di vana tìarnmajmoflc da due tartaree intelligenze, in fluirono impudicitie. L ’Anima, che non mai dilungauafi da quelle féneftre , non mai indarno berfagliaua co ’ fguardi. Ogni moto fù lampo tramandator di fulmino. Non fu cenno, che non folle fiato maluagio nunzio. L ’a nima dimenticatali di fc fteiTa.diuifa fa due, pei- efler idolatra,non partiua dalle pupille. Dal giardino dj quello guance fpuntarono li veprai delle mie colpe. Dalcoltiuato campo di quello volto nacquero le biade de’ miei peccati. Non eran bruciate dalle fiamme, che vi diuam- pauano,perche hauédo le radici nell’Herebo,fi nodriuan di fuoco.Le pecchie,che vi fuolacchiauano intorno,non iorbiuan miele,ma veleno. Quella bocca,che hora hà li ferragli della confufione, che la fan muta, fù porta d’in ferno, sì per le fiàmme.delle labra, sì anche per la cullo« dia del cerbero della lingua. Tutto il corpo ha feruito al peccato. Nella torre del collo vedeanfi per propugnacoli le ricchezze. II petto era l’Afilo de’ viti;. Non era peccato, che foife fiato riprefo dal tribunale della cÓfcienza .Tutte le colpe oianteggiauano nel feno,nodrite dal latte de’ compiacimeli. Fui Peccatrice. L Ambitione, che con Eua mi iumadro neila cu llaci fu doppo maefira nella vita.EHa m’impen no n dorfo di vanagloria, per iconofcer quei dirupi, che tanto meno erano attracciati,quanto più eran vicini. Lo ipclarmi di millantane mi fe sì leggiera,che volauo fall ale del mondano fumo. Bramai vn’ altro Cielo,doue foflc fiata beatrice la mia bellezza. L ’Auaritia fpefata tra la douitia degli ori, haueami così foggiogata, che negli au rei monili del collo faceuo pompa della mia fchiauituH 2 dine.
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Caprìcci Accademici*
dine. Non feci però venali i miei diletti, mà li cambiauo con feruitu . Non mercantai il corpo à gli Amadorij mà venderranimei Pluto. Mà non fu auanzo,che non foife fiata perdenza dell’Anima. Non fù !uflò,ò inuenrato da Am ore, ò apparecchiatomi dalL’occafione, è imagi nato dalla diflbnèftà,ch’io non haueffi prima incontrato fcoU’opre,che colpcnliere.Nonfù bellezza,foura la qua le non hauefii vantato amorofa giurifdirione. La sfrena tezza non trafcurò fiorito prato di diletto, douenonhaucffetirato,come sboccato Causilo,il mio fenfo.Non_. lafciai anni nell’Armeria delle iufìnghe, per vincer altri, perdendo me fteifa. L’ire erano reintegrationi di paci, perche erano amorofè, ed in Amore anche lo fdegno sà amare.Non conobbi dualità,mentre mi riputai folabella.Ifdegnai si,ma ognipenfiere,che non fofTe flato amorofo. Ah, pur troppo odiai,perche troppo amai me ileifa. L ’amore,che fi porta alla vita del fecolo, è odio, che apporta guerra allo fpirico. I fodisfacimenti della gola», erano pria confeguiti, die imaginati. L’acquiflo prccori eua il defio - Mà il nettare, che fuogliaua la gola, no daua immortalità . Tutto che non hauefii hauuto inuidia,perche m’imaginauo di non hauer pari; pure inuidiai ogni piacere, benché vile i Queflo tarlo rode le vifeere d’ogni felicitato, che non fi appaga del ben poffeduto. Che non fei ? che non dilli ? quali colpe tralascio. ? quai peccati racconto ? fin l’otio mi fu dannatole, nodrendo iiel fuo fpumacciato letto l’impudicitia. Quefti fulafentinadel nauile del mio corpo. In fomtna ogni membro fù ftromento di colpa. Ogni penfiere fù errore.Ogni at tiene fù fallo. Baila dire,che fui Peccatrice di Città. Mà che ? lo (frale del voflro (guardo, tramandatomi, ed intinto nella tempra della pietà, col lapeggiare m’hà dato
* Capriccio Ottano;
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dato auuedutezza e col ferirmi m’hà irmammoratadi cclefte amore. Già conofco i miei falli. Piu veggio col l’ole urità di quelli negri ammanti, che non vidd°i colisa lucidezza delle mie vane pompe . Horahò lafcnitola^ pompoficà delle vedi, mal conuenendofi gli ori ad vnaa. mendica della diurna Oraria. Il fuoco deli amor profa no già e (liuto, non altrimcnte potea palefarli,che ne’ tiz zoni di quelli ammanti. Il fumo de*miei iofpiri altro non può cagionarmi intorno,che fofchc nuuole. Deuo fpareccbiarmi de’ raggi, mentre vò che mora ilfoledelbm bellezza del corpo. Son Luna nell’inftabilità>nelle ftol*dezzc, nclfattender date, mio fole, il vero lume, non è maràuiglia dunque,fe porto per mia compagna la notte*. Non deuo d’altro, che di negre nubi ammantarmi, men tre dò,per fulminare i giganti de’ miei fenfi. L’Anima.* vedoua del fuo Dio,altro non può vedir,che fcorruccio* Io, che fui ferirà di Pluto, altra liurea non merto, che dii negra diuifa , Hò fparecchiato il corpo per rapezzar l'Anima, Già conofco me delia. Mi pento. Hòdifciolto i crini, per liberar l’anima già prigioniera nc’ lafciui penfieri. Gli lafcio incolti, come giardino,che non fapea produr mi altroché fpìne. Se fin bora gl’intronizzai nella fronte, bora accompagneranno così cadenti,e.difcrolti, i porta menti di ferua. Ddciolgo già le catene,non volendo laper più d amorofa tirannide. Vò che quedi capelli acc5pagnino difciolti il dii tulio delle mie lagrime, acciò con isborfo d’oro mi comprino la.vodra gratia. Hò difcolo- ’ rato con pallido candore il mio volto , per dimodrarmi già fatta neue ali’amor piofmo. TutìoSl fuoco, che pria era difperfo nelle guance, s’è ragunatonell’Anima, per amarui. Non pili vi fi vede il cuore disfaccadato, mà s’c
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Capricci Accademici.
titirato nel petto , per penfare à fé ite ilo. L’Anima ha lafciate le fcneitre degli occhi , per darli con gli occhi della mente ai contemplamenti di D io. C onofco, che mal potea volare con penne di fuperbia il mio capo, mentre io era beftia nella conferenza-, mal conueniuami guatare il Cielo, fé faceuo opre d’in ferno. Mal potea iniuperbirii, chi fatta opinato faflò infinuauafial centro. Mal donea gloriarli, chi non opraua attieni di luce. Conofco, che l'oro ifterilifce il campo dell’animo ; che cagiona mendicità di virtù ; e che è fau tore de' vitij. M'auuejrgio, che l’Auaritla è il Cerbero dell’Inferno della confcienza, che fà agonizzar lamicitia con Dio ; che toglie il retaggio del Paradifo ; e che è vna beuanda,che non sfamarne liioglia. Conofco,che i diletti del fenfo jmpouerifeono de gli eterni piaceri lo fpirito : che non hanno altra eternità, ch’vn momento : che Amore è vnTiranno, che quanto piùallarga le re dini al fenfo, tanto più allaccia la libertà dell’arbitrio. Conofco la mia egrotezza, però vengo dal Medico. Porto vn vafo di prerioli liquori, per ritrouar antidoti alla malattia del mio animo. E vnguento fenza mifura, perche non hò meco la bilancia della giuftitia . Colli luoi odori coprirò il lezzo de’ mici infraciditi peccati. Chi è tutta piaghedeue portar i’vnguenti, e chi hà beuutoil veleno delle colpe, non deue gir feompagnatad’antidoti. Hor che fono auueduta,cambiaròogni ftromcntodi colpainiftromento di penitenza. Non hà faputo l’Anima trai profumi attracciar la ftrada del Cielo:Hora gli fpargo à tuoi piedi,che ponno infegnarmila. M’acciecaronoi ludi della vita licentiofa; hora coll’acque nanfe delle mie lagrime fpero terger la lepidezza. Gli occhi piangono.C^efti riceuerono i tributi dell’ldo1atrio,
Capriccio Gctàuo s
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latrie, quefti humiliati à terra diluuiano, come rei le la grime . Gli occhi faettarono,i capelli annodaronojhora quegli laviario i tuoi piedi, c quefti gli afciugano. Quefti capelli fono i mici vani penfieri ,che hora fi foggcttano à tuoi piedi, innondando ogni libertà . Quefte lagrime fono il tcforo del mio pentimento. Bello incfto di lagri me,e di capelli,di fonti,e di lacci,perche sò,che il pianto ha forza di legar l’inuincibile. Non ofo mirar il fole del tuo volto, per non di cr ve duti r miei falli. Non poilb io,che porto intorno vna nuuolofa notte di colpe,affrontarmi con tanta luce. L’im pudiche fiamme del volto, cambiate in mafchera di ver gogna,m’han tolto l’àrd ¡mento.. Il peccato rende timi do il peccatore. Il reo fogge lafaccia del Giudice. Mà non poteuo Scegliermi meglio tribunale di perdono,de’ tuoi piedi ,.doue i Grandi tengono mai fempre gli orec chiJ n quefte piante, che fegnano le ftrade verfo il Cie lo,fpero gran progrdfi alla nuouamia vita.. Se fon ftata vacillante,hora incomincio à prender piede ne’ tuoi pie di . Quefti faranno le bafi della mia.coftanza,della mia nuoua fede. In quefte colonne porrò il non piùoltro dell amor mio. Hò feruito fin hora à tuoi nemici Demo nio, Mondo,e Carne. Hora vengo al ferutggio del vero Dio, quindi come ferua, attendo à tuoi piedli comandi. Miricouerone piedi, perche fon già terminate le m io diifolutezze .. Si fin hora fui di ghiaccio all’amor voftro, altro pofto non mi fi deue de’ piedi, che fon la più freddaparte del corpo.Quì piango,perche vicino vn fole Co gliono dileguarfi in pioggia di lagrime le nubi delle col pe. Mi veggio rifona vnagrantcmpeftanel petto,onde fpargo quefta dogliefa pioggia, pcrincalmarla. Nel fonte di quefte lagrime, meglio >che nell acquo. d'Epiro,,
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Caprìcci Accademici.
d’Epiro.fpero ammorzar i tizzoni de’: miei viti/, ed ac cender i torchi del diurno amore. Neil acque di quello pianto meglio, che in quelle del fiume Ana, io, che fono arficcia fronda, m’impennerò il dorfo, - per. volare'allo ftelle. E poco verfar pochefìiHej faròdiluuij.fiumi.mari, acciò vi palleggi fu’l nauile delle buone ifpirationi. il di urno fpirito. In quelli pelaghi falueraflt lafdrufeita Ar ca della mia cofcienza . In queiiiOceani/actiiroirida* miei rolfori fommergeraflì i’cflcrdoxde' miei peccati. Formerò vn Mare limile à quello della Boetia,perbauer lette fluiti, conforme fon fctruplibateie mie colpe. Qui meglio, che fe mangiaflìil L o to , mi dimenticarò-ancho del modo di peccare.Qin,comc ne’.fonti della Frigia im parerò à pianger pentita,ed à rider perdonata. QuelFacq.uefaranno iciapitoil guftod'ognipeccato,. ■ Non ofo chieder perdono,mentre conofcò non meri tarlo. Pure s’è tanto non s’arrifchia la lingua, parlerò col pianto,eh!è più eloquente oratore. Non potrete non e-lfer corrotto dallo sborfo di quelli telati. Quelle lagri me non lì vergognano d’auocare nel tribunalcdella-. pietà,che fuole anche piangere. Non potrai refìlìere alle carenate palle di quefte lagrime, fcagliatcdall’infocate bombarde de gli occhi. Se la diuina toleranza m'hauo afpcttato al pentimento,m'indouino anche il perdono. L ’alterezza delle mie colpe merita tutti i fulmini della vollra disgrafia. Contra le mie ingiuflitic dee verfàrll tutta la faretra del giuftilfimo voftro (degno. Tanto dourei fupplicarui , fe le mie lagrime non m’affidaflcro di oonfeguirne più tolto perdono, che pena. Vi fpcro più rollo inclinato à perdonarmi, che à gaftigarmi, mentre^ veggio inclinata fino à terra la vollra maeità. Tutto, che m Voi rhumana natura folfe valorofa, ed inuitta,pure mi l'au-
Capriccio OttauoJ
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ramniro'eompaffioneuole della mia fragilità. Mira,ch’io ¿ n di rerra.Mira,che'l mjo volto bagnato di lagrime,mt ri inoltra di fango,ediluto. Volentieri vicirer di virayper fodisfare à tanti errori, ma vna morte-c poco per colei, che in altri cagionò mil le morti. Deh concedimi*ch’ogni momento immortal mente Io mora,mentre in ogni fiora t offeii. Voi rei,cho quelle mie lagrime rimoHaflero l’oftinatjone de’ miei amadori ; che quelli occhi, che furono nunzi) di peccato, follerò meflasgidi pentimento.Se gli tratti co’ gli fguardi alle colpe,trarrolli colle lagrime al pianto. Dali’ifteiTc velenofe vipere , fi tragge l’antidoto contro il veleno*. Già mi co niellò rca,d’hauer attaccato à ben mille petti il fuoco:Conccdimi,ch’io faccia diluuij,acciò,le da me apprefero i modi ¿'offenderti, apprendano anche gli effem-pij di pentirli, e di piangere. Non mi difcolpo,perche le difcolpe ne’ rei fono accufe.Non acculo i lenii,perche non doueuo tanto dimellicarli.che haueffero calpeftata la ragione . Non doueuo fumili tanto amici,che dhieniffero traditori. Peccai non 'violentata da altro, che dal mio volere. La compiacenza di me medefimami refe difpiaceuole à Dio. Non cuopro con mafehera dincccffità quei, che fu folamente opr*_ del mio arbitrio. Ma alla perfine eccomi à tuoi piedi, tirata,anzi legata da dolciifimi lacci delle tue parole. Già t’offro per vitti ma il cuore. Riceui vn facrificio tanto più pompofo,quit to più amorofo. L’altare è il petto,il fuoco rAnfore,il fu mo i fofpiri, l’incenzo i prieghi, la facerdoteffa fon’iojla^ Vittima il cuore, il nume liete voi. E ccolo, trafiggetelo. Nò,nò,è poco. Riducetelo in minutilfima polue.Anzi fa te, che Tempre viua,acciò Tempre vi ami. Sono auezzaad I ama-
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Capricci Accademici.1
amare, altro non reità, che cambiar Poggetto>ed i medi. Si,che vi Arno, mio Dio. Non portò non amami,mentre., conoico eflervoiilfommoamabile. Abbandonoogni a tro amore; amaro te fole,che fei. donator degni beSe Il fuoco della mia atfettione era pria vagabondo,perche non hauea sfera; hora vola à te folo.che fei sfera del ve ro Amore. Mà purtroppo ardifeo. Vna peccatrice ofar tanto.? •Vna impudica ricettar pura fiama ? Vna meretrice amar vn Dio ? Ben il potrò colla tua aita. Piango, acciò am morzata l’impura fiamma, fi tragga dalia felce del mio cuore nouello fuoco „Può artai vna peccatrice, quando combatte con faette dilagarne. Lauata, che farà l’Ani ma,ben potrà eiier elea di fanto fuoco. Più non farò me retrice,fe non q uan to farò diuorzio dal peccatoXa caffita continua fina imitati ice di quella verginità, che mi fa rà degna d’efler tua fpo/a. :
Capriccio Nono S.
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ARIANNA ABBANDONATA. C A P R I C C I O
N O N O ,
Argomento; 2{ianna , che per liberar Tefèo
dal laberinto , imprigionò fe fteffa in njn faretre di pappo ni ; e per torlo alla 'voracità d'<vn Minotauro jdieàt Je medeftma per paflura dellineforabil moflro etAmore : L a [eiarada quello nell Ifòla di Chio, non prima fi ‘vidde fo la , che abbandonata. Salì precipitofa fu i ciglione dtfvn foglio ,per precipitarforfè lefue [peranzi', e <vcdendoyche le •velegià grauide delfuo beney 'volattano per partorirlo in altrepiaggef da credere»che con quefib ò fintili rimproueri isfogajfe lefue doglianze,
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Dun-
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Capricci Accademici.
Vnque m’ abbandonarti òT cfeo ? E non hcbbe forza di rattenerti, ed imprigionarti meco quel filo,che ti liberò dal laberinto? Ed hauefli cuore di icópagnarti da colei,che lafciò la Patria, per accompagnar ti alla fuga ? E poterti ammorzai* quella fiamma,che inuigorifti coll’aura della partenza ? Dunque mi rubbafti alla Patria per farmi Ifolana di Chio? Dunque vno {co gito è il letto maritale auguratomi dalle tue sfolgorate-, promeife ? Dunque prima ti {perimento violaror della-, fede,che fpofo? Torna,deh torna, ò Tefeo perche mi la ici, fe fon tua preda ? Se trionfarti d’vn mortro, trionfa-, ancora d’vn moftruOfo amore. Ma con chi parli,abbandonata Arianna,infelice Aria na. L’Aura impiccolita alle mie voci,non sa da me dilun garli ; c di lui troppo amica, non sa riportargli quei la menti,che farebbero turbatori dellafua pace. Itene voi onde a ridirgli mormorando i miei lamenti: ma quelle,ò s’affollano vèifo il lido, per cortcgiarmi; ò benchégorgoghaiTera intorno al nauilc, oppreife da quel legno,fa rebbero .creduti lor gemiti,non mie querele. Oh, ch’io foifi Arione, per impietofire alcun de’ muti nuotatori , ch’à lui fulla fchlerta’rqi trafpoitalfe : ma non ha melodia di richiamarlo il diftuonato concerto de’ miei fofpiri. Padre, Madre, Amici, lafciate ornai il defio di vendi cami della mia fuga, là , doue il medefimo Amore, ch’è flato fabro della colpa,c miniftro ancora della pena. Se v ihò tradito,fon fiata pagata con tradimento. Q uello fon le frutta della mia inubbidienza. Mà non può vbhidir Padre, chi vbbidifee A m ore. Quelli è vn Tiranno, che non lafcia à fuoi feguaci la libertà dell’arbitdo.Non vuole dualità nel dominio . Mi feufi la cecità dichi mi guida. Amore,ch’è cieco,non sà dar aucdutezza.Appia
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Capriccio Nono.
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na così bene le firade de’ precipiti;,’ che colla Tuafuco non fi difcernono le voragini. Egli, che sà sbandeggiare dalla mente il ienno, sbandegiommi anche dalla Patria. Pria fe allontanarmi da me ftefla,c poi daGeniton.Dunque non è marauiglia,Madre,fe t’hò lanciata,mentre pri ma lafeiai me Sella. Amore è fanciullo, che fcherzando mina. Vii egli ignudo,e però difpogliommi d’ogni paffione di madre, d’ogni affetto di Patria, ¿bacino i’intcndimento,diiennommi. Vnfanciullo ignudo,e cieco ge roglifico dell’ignoranza; e fa ignoranti i fuoi fuggetti, perche è tiranno. HA ripofio ogni Tua legge nell’arco, e negli ftrali. Sollecita i comandi coll’ale,x col fuoco,ch o non fon mai otiofi. Ma doue lafcio la beltà del mio Hofpite, che fu la più potente armatura d’Amore, e può colla fua muta elo quenza ifcolparmi ? Non potea vn donnefeo petto,cho non è marmo,refiftere Acosì valorofa.bellezza.Vna bel tà guerriera hà doppie armi,per vincere .11 fuo ardimen to gli diè fortuna per foggiogarmi. La donnefea ambi none fè credermi alle di lui vane promeffe, tanto pili inofferuabili,quanto più grauidedi millantane. L’oro,che à guifa di fiumana, feorrea tra capelli, me’l dimoftrò più di Giouc. Il rofì'or delie guance, come amorofe lingue, mi perfuadeano ad amarlo. Non m’auuidi,ch’era fuoco difcacciato dal petto,per cedere il luogo al ghiaccio del l’odio . Non fapca,chc nell’Armeria roffeggia la neuo. Il candore del fembiante, me’l facea credere vnfolnafeente per lo giorno delle mie glorie. Non conobbi,che bianco nafee il fole, perche,nel medefimo giorno, c h o nafee incanutire . Non mirai, ch’era bianchezza d’in ganno,non di femplicità. La difpofitezza de ! corpo parea, ch'ogni cola Amio prò dilponefle : non rintracciai il
meati-
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Capricci Accademici
•meandro dell’animo. Quelle ragioni diminuifconohC colpa,fe pure potrà dirli colpa l’amare con leggi di ipoili. Gli amoroii errori non fon degni di rimproueri, per che portan fcco la pena. Mà perche mi difcolpo?Douea auucdermi del fuo intereife,mentre hauea vopo della mia aita, per cimentarii col moftro - Amore,che eifendo fanciullo balbetta,non^ hà nel fuo Regno lo q u acità bensì eloquenti. Doueuo conofcerlo alle troppe promette ; perche vn vero aman te,ò balbuzza, ò è mutojtaà muto ingegnofo. Gli amanti deuono parlar con fatti.Egli amaita più fe fteifo,per libe rarli dal moftro, che mefua liberatrice. Gli Ingrati ama no il feruigio, non laperfona. Ingrato,Traditore. Dun que il mio filo feruì, per portarti auuinta nel tuo trionfo la mia pudicitia,eia mia honeftà ; non per aftringerti col nodo d’vno ftabile,ed infolubile Himeneo? Ahi honeftà violata, ahi pudicitia perduta, ahi modeftia tradita. La pudicitia è quel fole,che apporta il gior no ad ogni bellezza. L’Honeftà è quel Cinabro,che co lora ogni guancia. La modeftia è quel velo, che racco glie ogni volto. Hò cambiato la mia pudicitia, e la mi;c. honeftà per vn frutto amareggiato, ed infame. Ahi perdenza la più danneuole : ahi piaga la più immedicabilo. Ogni altro malore hà follieuo, ma la piaga fatta alla pu dicitia,non troua antidoto, che la fani. Cieca,che fui,incfperta, che fili .. Creder ad vn amante, che tributauatniritoìlodisella, fù vn diffonnarmi . Come b e lla ,io impudicar’Come gratiofa.fe poco honeftat’Come vaga, fe priua della modeftia? S’io priua non fòlli della mia pudicitia.quefta folo baftarebbe,per confolarmi. Quella è il confolamento d’ogni animo appaiìionato, Non Lai ci folitaria, fe mecohauefii la mia honeftà, che è la compa
Caprìccio Nono"
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gna di chi ha intereffì di nobiltà , Che frutto potrò più lperar di me fteffa, ic fùrccifo il fiore della Verginità ? Che vu0iion le lagrime,le è vano irrigare vn tronco Cipreiio è Ah* feruiranno iblo , per arricchirmi di duolo, mentre fon pana della più ricca gioia dell'animo. Era», ben cuftoditada quel moftro la mia pudicitia ; mà fe io vcciit lo fchermidore, di chi mi lagno ?Io,Io per dar Ia_. vita ad vn ingrato, hò tolto i fiati della mia riputati pne.., fon fiata homicida della mia honeftà. Chi vidde mai vna pnffione così feuera, che folle riacerbata da ogni penfiero«’ Chi vidde mai vn tradimento così sfacciato,che per non tradire vn traditore,hò tradi ta me ftefla ? O Cielo,e perche non influiici veudette,fe colla mia dilfoneftà hò ofeuraro le tue bellezze-5ma per che non punifei il traditore,che nò t’hà temuto ? O Aria, perche non inghiotti i miei refpiri, per non fiu mi foprauiuere à tanto tradimento ? mà perche non dilgrauidi le vele di quell’ingrato,che ne porta il mio honoreiO ma re »perche non inondi accrefciuto dalle mie lagrime-» ? Perche non fabrichi monti aggitato da' miei fofpiri ? Percheron componi fèrerti de’ tuoi caualloni, per por tar quel legno alla tomba delle tue vifeere ?Beine mari ne, pcrchenon fate guerra càcolui, che vccife-vn moftro di voi compagno ? Nettunno, perche conienti tanto la droneccio nel tuo lubrico Regno ? Eolo,perche non if~ prigioni la tua tumultuofa famiglia, per riuolger verfo me quella Prora, ch’abbandonommir1mà tu fauorifei gli amanti, come che foglion ben fpcflb nodrifidi vento. Mà perche tanta vendetta contro vn’Ingrato? Sarà l’ifteflh ingratitudine la fua pena-Bafta,che ami. Amore è vn Dio, che pagacoll’iftelfa moneta. Trouerà, chi à lui faià ingrata, mentre egli fu ingrato, à chi l’adoraua. Mà non
7 % Capricci Accademici i non poteanonctfer ingrato, perche dalla fementade* benefìci nafcono le frutta dell’ingtatitudine. E coftume del beni fidato fuggir la faccia dei benifìcatore,come accufatrice della fua ingratitudine. Vn’anirao troppo grauido d’amoroiì fauori, partorifee odio . 9 Perfido, disleale. Ed ha potuto commandar la fugaquella delira,che alla mia auuicinoffi con tanta fede?E la coftanza dell’amor mio non hebbe forza di rattener l’Ancora de’ fuoi nauili ? Ma qual fede rimprouero,fe nó è in obligo di offeruarla, non eflendoui fiato il voto del fuo cuore f Di qual coftanza faucllo, fe fu fondata iìilJ’arene d’vn lido? Quali amori rinfaccio,fe furono porta, ti dal vento ? A che attender frutto dalle promclfe, fe fu rono feminate nell’acque? A che mi lagno della fua fu ga , fe io gli diedi il filo, per ifprigionarfi ? A che gli im preco la morte,fe io ftefla ned liberai?Viua il mio Tefeo, mentre hà faputo rubbar la mia vita. Egli non ha colpa, perche fu amato.Io fon colpeuole,perche I’amo.Mà per che l’amo fe mi fugge ? Perche lo feguo fe m’abbando na? cvitio , non virtù, l'amar vn’ingraro. Non trouafì legge,che mi comandi l'amar vn, che m’odia. Ma chi da rà legge à gli amanti«5Amore folamente lor è legge.Egli vuole,ch’io l’ami,anche fugace. Col dilungarli imprime più détro il fuo ftrale. Oh,Dio,troppo duoimi d’amarlo. Ma perche quell’aura,che auuiua il mio fuoco,ammorza il iuo?Sì,ch'accende anche il fuo,ma verfo lamiariuale. Perche la lontananza non fà più ampia la piaga del fuo cuore,conforme riacerba le mie ferite ? Sì,che pur trop po è piagato;mà di più vicina bollczza. Arde,ma in più vicina fiamma. , Ma perche per altra hà cambiato il laberinto di quelli crinite qui non truoualì altro moftro, che la bellezza-? Se
Caprìccio Nono/ 1
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Se hauea febmmeiTo il hauife della lua coftanza nello fcoglio di quefta fronte , perche hà potuto con sì profpereuolc vento veleggiar akrouei Se fu naufrago ne’ candidi flutti de’ miei chiarori, come hàfaputo faiuarfi? Se rimale abbagliato dalfoledi queiìi occhi, come hà faputo attraccar la fuga? Che dii»? Se fpeioffi nel la tto di quitto icno, pecche tràfeurò le fue dolcezze ? Se e r o aiuntito tra li legami delle-mie braccia, come potè difnodàrfufònza'attèdermtfte ? Ah, pur troppo deboli eran le fila de’ 'mici capelli, per allacciar va ingrato. Non porca non fuggir ia niià bellezza,'mentre era rimafto cicco vìpiftrello, che odiala luce. Non potè non naui.baric mie dolcezze^ là troppo abbondanza viene i n faftidio. Abbàndónommii’mgràto. Ma io,perche lafciai fug girlo ? Se rhauei nelle mie braccia , perche no’lcuftodij con maggiorftu'dio ? Te folo n'incolpo, fonno ; tu fratello della m orte, fotti caggione del mio morire. Tu difoodaftile braccia,e per dar ripofo alle membrana to glierti al cuore.Ma fe l’amante s ’infogna quel,che s’ima‘dna nella veglia, perche non m'infognai ¿ ’eternamente abbracciarlo/1Come potè foggcttariialla giurifditioncu del fonno vn’animo innamorato? Ahi,lufìngómi Amore, per farmi vedere, che le fue gioie fuanifeono, come fo gno . Altroché 1fonno,non potea tonni quelle gioita, che rammemorate,fon fogni. La notte fletta,parteg giàna,e fegrctaria degli amanti, mi tradì. La Luna,creden dolo Endimionc, mi torraentò,comc fua riuale. II Cielo, che cambiato in Argo, guatauai mici furti, priuomminc,per non poter più mirarli. Che farai dunque »abbandonata Arianna? Le negre
vele, che ne portan feco il mio bene , m’augurano già attinta ogni fperanza, ed ammoniti i tizzoni dcll'amor K fuo.
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Capricoi Accademici.
fuo. Q j ì non è,chim’arco!^iJE?0ifdegaar4‘acc.ompnar colli mici ifuoi lamenti, non eifendaalìatniapanlafu^ perdenza. L’ondc imparate forfè da’ micifpeifrbaci, ba,ciano il fuo nàuiie,non l’aflaltanò.L’Aure tanto f atano, quanto emolano i miei fofpiri.Nettunononfatempcfta, mentre vede il diluuio degli occhi miei. 11 fole parche fi rida del mio abbandono »II Cielo è fereno, perche tutte le n ubi fon nel mio petto raccolte. A chi dunque ^cor ro? Allo, fdegnor’nò,perche non pqflò odiar lamia vita. Ad Amore? nò,perche nondeuo amar chi mi fogge. All'ontet’nò,perche non è,chirafcolti. Ai prieghbòiò?perT che non gli fente. ,. . r'.i Ritornerò à queirinfelici piume che fe difpenfarano infelici dolcezze, faranno anche feretro d’vna infe lice . Ritornerò à quel fonno, che fe priafeppe priuar^ mi d’amante,faprà anche prillarmi di vita,E fe prilla,cò^ me felicitata, m’infognai divinerò ; hora ionie abbban» donata,m’infognarò di morire.
/foiC&pflWbDecimo;
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B E L I S A RIO C I E C Or é & E R IC e i'O D E C IM O .1
Argomento. Blifario , che ingrandito dalla fua 'virtù à propulsar i Vandali , a trionfar de' Perfìted d fchermir più d'rvna 'volta dall'altrui barbarie la Patria;fl»zjjcàdo cogli fplendo. ri della Jua gloria lafiio di Giufimo,fù priuato di quegli osebi, cheJolleuatifull'em'tnenqt del Cielo del fio capo, erano flati Comete in nen»KÌ>td accortefcntinelte à fauor di 2(oma. Quindi confinato dalla mendicità nel rvile Habituro drvnpoluerofo <vialc, è da credere, che con qu efii, * fimilt /entimemi, limofinaffe da pafiam eri tifo fon taniente della fu a *vita.
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Ar-
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Capricci Accademici.1
A pafllViandàntijirt queftqHabituro, c h o Jl \ benché picciolo , pure oggi è cefo capace diva’ Animo grande, che nor può eiTer circofcritto da luogo. Qui foggiarla, BelifarÌQ,che diuuenuto fole per la virtù, qui tra le nubi del altrui liuorehà ibrtito l’occafo. Siato limofinieri con chi hà fapuro tener da voi sbandeggiata la pouertà. Non víate barbarie con citiivi hà liberato da Barbari. In quella Cimmeria grotti fon tramontati quei chia rori , c ’hanno refo più riguardeuole il Cicl Romano ; ed acciecato à Giuftiniano l'intendimento. Egli qual Vipi. ideilo, abbaglio!!! nella luce delie mìe glorie, che lam peggiami in quelli occhi ; ò non potendo qual/arfajla^, abbracciar tanto lume, per non meenerituifi >reflinfo. Ma nella notte della mia cecità più rifpfende lafua tiran nido, più il yeggtpno le fiamme, de’/u o i’o dij, e più s’am mirano le del le delle mie virtuofp arcioni. Ìn quella firada ho rdariinatofe mie.fatiche,pcr flarui à divedere,che anche fermato, viàggio à vOllra difefa. Per quella io faccrocamino vedo l'immortalità ;nè vado tétonc, benché ira ammorzato il fanale degli occhi, dou o cLUl’incftinguibilc Jutnicra delle mie vittorie /onprcceduto » In qiicllo jutolp fenderò più riìjdende l’oro della mia virtù.Quì ho folfcuato le mie colorine dcTerùigi far ri alla Patria 5 e la douc mi lì niega vna Rama, che ricor* dalie le mie memorie,rimangoLoftelfopcrteftimonio, e trofeo delle mie palme. Io, refo immobile per la cecità, fon farro fimolagro delle mie glorie. Nè potea haner al tro ricouero, che vna firada, chi è auuezzo à viaggiare^ per l'incoftanze della fortuna. Da me imparate mortali, che chi trionfa, fi porta col fetocarro v a io i dirupi, apparecchiatigli daH’Innidia c che
O p im o Decimo:
fy
che gli Archi de’ trionfi,che fntion ponthda'traghcttarlo alle itelle/oti balze, per minarlo alla voragine delie mi* fèrie. Io, che fili occhio, e delira di Giuftiniano dal diuidere à ti ioafatori.eifecciti le fpoglie de’ vinti, fon cadu ta i piatir ciecoiilipane da’ paffeggierb lo.chefui non folo dall’aura popularéi^mà anche da fiati de’ popoli foggiogati,aliato fino alla fuprema sferade’monfiii,efscdo~ mi tolti dalla ciecainuidiale luci, non vedendo il diru pò, precipitai. Hora conofco, che i Grandi fono fchcrzo delta fortuna. Non tanto i Principi tengono i Buffoni in caia,quinto ella il Jferue de’ Grandi per luoi Buffoni. Io caddi,non ifcherzo della fortuna,.mà ddl'Inuidia. Ruinai, ma inalzato dalla Virtù, non dall’Ambinone . Ciò rende più marauiglioialamia caduta. La fortuna non,, hauea giudfditione foura i miei ingrandimenti ,p erch o non eranoacquiftati colle fue leggi. Il Cielo delle mie gloriffjfoftenuto dava virtuofo.Atlante ynon porea fenza i’aiutotdell’lnuidia dar Lvltlma Scrollo, Solo l’inuidk^ di Giuftinianofè traruparrai, temendo forfè, ch’io dal carro del mio trionfo,iolleuato da’ voftri fàuori,non foffi volatoalla fua Corona. Hà pauentaro, che la vofira^» gratitudine non hauefle fatto Lvltimo sforzo delle fue proue,pcr ingrandirmi. M’hà priuo degli occhi,che più fi ricercano in vn Principe , temendo, non fofle fiato trasferito alla mia deftra lo fccttro. Ma che ? mi ballano gli ocelli della mente, per hauer dominio foura me ftefi fo/e per mancanza di quei del fcnfo,mi viene interdetto L'impero de’ Popoli. . Pure porrei haucre il comando de’ cuori, fc alcuni de’ beneficati, per adulare alle fuc fortu ne,non colpalfero contro ine d’ingratitudine. L’Inuido non può diuifar premiata quella Virrù, della quale fi rieonofee mendico? lfeema quella gloriatile con proprie
forze
3
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Capricci &ccad«mteB
forze nonpuò confeguire.Nomgìtidkà degne dì memo^ *ria queU’opre, che {lima malageuoliad imitare . Mail gialliccio colore della faalnuictia miaccrefce ¡raggi di quella gloria, di che priuommi„perchel'Irmidia è argo mento di meritoneirinuidiato ,• edlmaneanza di'virtù neirinuido. E grandézza reifermuidiato da vn Griuidei Egli da fe fieiTo lì palel'a mendico di quella virtù, che iiu me fottoletenebre della cecità cercò dinafcondero. Giudicò fua perdenza i miei trionfi : fua cadutail mio folleuamento: fuofpirare i fiati de' communi appiaufio fiia notte il mioigiorrìo. Non hauea cuore, che haucflo potuto capire là valtezza dehnio merito; nè animo,che hauefle làputo fimulare le mie grandezze. Fin’oggidì da gli allori della mia virtù fono fagliati fulmini contro la la baffczza del fuo animo. L’Immortalità delia mia fama è l’Atropo*cbcj*accorcia Io ftarne del fiioriuere.Le pé ne del mio Gimiere faticano tremolar la fua Gorona, te mendo,chenon vi volafle.all’acquiilò.AcctcGommi,per farmi Imarrir la ftràda -, perche vedea pur troppo infi•nuarmi colmeritoal filo trono. Il fangue de’ nemici,do me fparfo, pareagli, che vinceife il pregiodella fua por pora. Mà s'io fonpriuod'occhi,egli èlofco,mentre non può ftarfilfo àgli.fplcdori delle mie glorie.Non è Aqui la., mentre non può vedere il Sole. Nè folamente inuidiò il mio valore, mà anche i! ben_, della Patria. II mio valore era ben publieo, non priuato: Dunqueinuidiò il ben voftro ; dunque fuvfìiuerfiil ne mico,non mio particolare. Priuò me di lume, voi di fole. La Virtù d’vn buon Cittadino è il fole, che rifehiara I o tenebre delle patriotteauuerfitadi. Pure balleranno al Romano Cielo le ftelle delle mie memorie. Quello mi fero auanzQdi vita ballerà, per far morir là fua fama; e li miei
Capticela Decimo? 0
7^
mici £^ti toglieranno.quelli defla fua tromba.. Se per Io paibitp'ijpeFimei^omtni per buonfoldato,pdl’attuemre £#iìofcerammìperb yon fiioiofìtnribper faper iofirirsSitto «eco , vna cicca fortuna. 1 Mà dcuoanche ririgratiarlo, cbem’habSìà prmode' luaiij per non mirare, iem ’haueiì'e in altro offeio, laiua^ ingratitudine. La faccia dell’ingrato è orribile, perche è moiìruofa Lagradtpdine il troua nelle b$lye,£ ne gli huomini, dunque l’Ingrato non h nè fera huomo-. è moftro.Grato fu ag^ngrodo il Leone liberato dalli pru xnai»che fu degli, occhi :vo ibi,sì grato fpcttacolo, che ammirafte più la gratitudine del Leone, che il beOehcioriceuuto dàll’huomo. La gratitudined'vi) Drago,ipefato da Troade, fu la fchermitrice contro i ladroni d’Acaia,,, ElaBucefalianon è meno teftimonio della fortezza di Bucefalo,che,della gratitudine d’Aleffandro. Ma Giuftiniano è moftro, perche in me gaftiga li meriti, e premia con cecità le mie Iuminoie attioni. Egli vinto da miei benefici, non hauendo premio, che Ior toife di parafi lo,m'ha pagato con disfauori. Mifurò l’odio colla gran dezza del debito.Acciecò quelli ocehi,checome acccfe lumiere,.dimoilrauano i miei feruigi, e la fua ingratitudi n e. Gli occhi fono Imagine dell'Ànima, la quale noiu potendo ei diuifare, come tradita, l’impedì le feneftro Negli occhi, fi rapprefentàno gl'impronti del cuore, che come troppo benefattori,gii mirò foIo vna volta. All’in grato è folo vna volta diletteuole ilbeneficio.GIi fguardiionoteftimoni dell’interna afltettione , onde perdio egli riputauafene iudegrio, non volle efler più da me diuifato. L'occhio è geroglifico di Dio, c però fofpicando> in me diuinità, l’ottenebrò,per non adorarla,. Mà che ?. fe l’Imperadore mi ha priuo degli occhi,che fon.
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Capricci Accademici.
fon guida del corpo, mi rellano l’altre membra, per fcr«igio della Patria. Guidatemi vofdol filo della corte ita, che non rifiuterò ^d'entrar di beh nuouoneil aberktto delle battaglie. Vorrei,che s’adegiialferoléforzeallo moftruQÌìtà del mk>animo,che non farebbe inoltro, che poteife meco cimentarli,fenza fuo difuantaggio. Mà già che non pollo, vorrete, che vilmente cada lotto la fpada della fiume 1* mia vita ì Sete in òblfeo di Conferuar quefto corpo,come feudo vittoriofo dèlle vòllre difefé . No torcete il guardo da quello volto, tuttoché vi vedeifiuo la notte /perche nella notte delle diffauenturc fi fperimenta la luce dcU’amicitii. Quando quella rifplencfe fo le nel giorno delle profperità, non è ammirata corn o foipctta d’adulationc,ò d’intereffe. Il beneficio fi fa à chi non vede,per ¿sfuggir la nota della vatìagloria. Che dilli beneficio ? Vfate meco la voftra gratitudlhe ; e bench’io non habbia occhi di mirarla,balta,che la tfeg^iano i Dei, ch’anno veduto , e faucrito le mie vittorie a prò d ello Patria.Chi vi chiede limofina,è BeIiflario,che fù eífaltáto dalla Virtù, ed acciccato dallTnuidia.• ; >) ly >«•4. . ^‘ f. "-* v ». V , t(v YÌ:>ìnVS«
L’AN-
Caprìccio Vfidecimó.
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L ANTIMOMO
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4.
CAPRICCIO VN D EC 1 M O ì
Argomento . | A Tomba d*Aretino, cheforfè per pa gxrgli la paratia , con bocca di marmo barbotmua dalie racchiufè ceneri j fpor_____ _
ggti* alcuni caratteri,che con lìngua di [carpello diuolgauano il genio del tumulato. «%> giace iAretin Poeta lofio , Che d'ognvn diffe mal,fuorché di Dio, ScufXndofi con dir9 che no’l conofio: Ottetti veduti da Antimor»o,glì diedero occafione di prouerbiarlo confi efprejfa chetinone, chefe norma* rame anche Eto,che s era per deplorarlo trasferita in quel luogo, E la doueparlaua in marmo contro chi tnai haueafaputo chiuder la bocc^accowpagttdlo con quefii mordaci fintimenti Antimomo.
Are-
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Capricci Accademici.'
Retino,ti veggio racchiufo nelle vifcere d’vn mar. . m o, forfè perche temeua il mondo, che anche il tuo cada'uetò non borbottalfe.il vitib piantato dal tem po nelle olla, ed iuuecchiato nel midollo, non Jafcialo cen eri. -Fottipriuilegiato di boccaloquaee, per diftingucrti dalle beftie, che fon mute: ma il fuono delle pa role mormoratrici, difeordando dal eifer ragioneuole, ti palesò fratello de ¡Bruti. Facefti vedere nella fccnadel Mondo vnHuomb im beftiàlifoLa bocca humanahà hauuto folaraente licenza di parlare-, perche è regolata dalle leggi della Ragione : mà quando s’apre irragioneuolrqcnte nelle detrattioni, diuicnc bocca ferina. La^. bocca fù data alhuomo per vfeio d’vn cuor ragioneuo le; che moderatamente s’apre ; màfe troppo diftuonano le parole, la voce non c piùò’huomo, e la boccaia cre derli antro imprunatò. Se tu faucllando mordicafti l’honore,ò vomitafti veleno d’infamie,la bocca ò fù di fera,, ò di vipera. Ditti, di vipera, perche figliando maledicenze, vccideui anche te fteflo. i’vomiti velcnofi non vanno feompagnati da fibili.La bocca,che sbrana è di Pantera. Le voci,che mormQrano,fon muggitiXa Tigre non s’inctudelifce contro la, tigre, ma,contro gli animali d’altra-* fpecie, dunque; tu non fotti huotuo, mentre non hauefti riguardo aìl’hdomo. ’ La b occa, che è l’vfcio del palagio dell’Anima, noti deue aprirli, fenza lachiauedellaneceflità.Sifpira,quali do troppo fi reipira, Mà la tua fu fpeloncaorrìda,emoftruofa, mentre non hebbe mai ferragli di moderatione, ' La boccca,chediuorarhonore altrui,è bocca d’Abiflò , E antro di ladri, ò di fere, mentre ricetta là lingua, c h o ette à ladroneggiare, e fuenar l’altrui fama. Malfù con tienilo le il rollò nelle tue labbra,métre par torendo pa-
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Gaprfcdo Vndectmo.
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role ignobili, & villane, non era degna di porpora. Fù la tua bocca porta di meretrice, doue l’Anima adulterami gli accenti. Con ilare continuamente aperta, vuotò de’ virtuofi beni il teforo del animo. I fetidofi fiati, eh’eifalaui autorauano l'Anima già fraciditaperlo liuorè, & per gli odi;'. Quegli erano i fiumi, checuaporauano dall’interno incendio, cbeconferuaui nel petto, per attacar fiamme di borbogli, & litigi. Mà che?il medelìmo fuoco diuenuto feuero vItore,t’inccne, ri primadel tempo, pauentando,che non riduce!!! in ce nere rifteifo tempo-. Il Cielo dileguò i tuoi refpiri, per non efferofcurato dalla caligine. Più non illuminò i tuoi giorni il fole, per non veftirfi de’ negri fumi de’tuoi fiati. Atropo racocciò lo dame della tua vita, per non filari vituperi del mondo,dalla tua bocca contaminato.Spiraili, per non far più agonizzare gli honori del proifimo . Tu non fenditi il lezzo de’ tuoi fiati,ancorché gli Aitanti n’arr 11gaifero il nafo, perche à cadauno piace il proprio difetto. Niuno lente il mal odore della fua bocca. Niuno vede i Tuoi malori. A ciafcheduno fembra bella la>. propria deformità. Non è , chi non diucniiTc Narcifo nel vagheggiarli in vn terfo criitailo. I denti ti furono dati dalla natura, per freno dell’ im moderatezze della lingua, acciò da quegli punta, non., haueife punto la filma altrui j ferita, non hauefie trafitto l’altrui honore; e fotro tali carnefici,non foife fiata il bo ia dell’altrui virtù. Quelli fono gli argini del torrente^ delle parolejmà non badarono à rattenere il fle^etontc, che ftraboccaua dalla tua bocca. Mà come poteano ri pararlo i denti, fe eglino fteifi erano la fementa di Cadrnojda produi’ guerre,nó che guerricrire le brecce intor no la fiumana delle parole, per colpir la fróte de’Gigati?
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. Capricci Accademici.
Perche non t’auuededi che la lingua fra gli altri mera bri fola dà prigioniera, acciò non folle libera nel parla re.?Anzi come Tempre rea,è Tempre galli gara in vn Car cere. Punita, c prigioniera nacque, chi Tempre pecca, e Tempre è feuera.Troppo dee temerli la Tuaferita, mentre la natura delta,quafi pauentandone,la produce allacciata.Direi, che ti tu data dalla natura chiufa tra li chioftri de’ denti, come gioia di gran prezzo, Te col troppo vfeir fuora non fi folte refa piu difprezzeuole. meglio è diro,, che fu bclua, intanata nella grotta del palato. Ella fu fituata da gli occhi, tra gli orecchia fra gli altri fenfi, ac ciò t’infegnaife à non duellare fenza il di loro, cófiglio, fe la lingua non ha la guida luminofa degl’occhi, cantina tcntone,e partorire cecità. Se t’auezzaui pria ad vdire , che à duellare,non fentirefti,anche morto,tanti rimproucri.il dimezo tra il cuore, ed il cerebro è l’agiato luogo della lingua, acciò t’auedelfi, che doueui accordarla col' cuore, c farla vbbidirc ai comandi della Ragione. La lìn gua funi gli ad ai cuore,acciò d creda Tempre con lui inc itata . Doueua la tua efler fueka, mentre dal cuore d didaccaua ►Ed ancorché d foffe ritrotìatain luogo hiitnido,non però douea eifcr tanto lubrica, Haucndo il freno, legato al cuorc.Ofe pure ,p Thumido era troppo sdruccioleuolc, doueui almeno con quello terger le parole* che non fodero vfeite cotanto immonde. Ma la falimu, era di Cociro, mentre la lingua era d’vn Cerbero. E veloce la lingua,perche è minifira della mente,ch’è veloeifdma:Mà latuafùpiùfollecita deliamente, men tre partoritia, fenza concepire. Parea tra la marea della^ faliua vn veloce Pefcc,fenza legge di prudenza,e dimodeftia: c trahendo le codumanze dal mare, che per polir k ftefiò,intride il lido, per Imbcllar la tua negrezza, dif-
Capriccio Vndeciò.
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formaua il candore degl’innocenti. Quante vele gonfie di buon’opre frenò la Remora della tua lingua? Quanti cafarecci litigi richiamò la tromba della tua voce? Quiite fenile disfide,già fatta penna?Quante fardonlche alle grezze sboccarono dalla tibia del tuo palato ? Quanto verità vittimafti nel rogo delle tue labra ? Quanto volte rattoppò,qual forbice,le vedi della fkraa?Qiuinto voice,come ipada,trapafsò la lorica del honorc? Quante volte,qual fanguifugajfucchiò il (angue delle vergogne, per vomitarlo tra le ceneri d’vna filma vccifa, ed cftinta. Non fù , chihaucife potuto ¡sfuggire il laberinto della tua bocca'col'filo della lontananza, mentre il moftro. della tuia lingua fapeaferir da lontano, La morbida carnagione della lingua douea cflèr ge nitrice di parole dolci non afpre.Tu con lingua trattabiie-trattafti afprezze,e furori. Lieuementc volaua,mà grauemente feriua. Con dolcezza padana, ma afpramenre trafiggea- Di leggieri entrami nelLammo, mà con malageuolczza partiua. Vfciua cheta la fauci la, mà con lirepito rimbombali! nel cuore. Meglio dirci, che la tua linga forte fiata vu pennello, che con diueriì colori pingea difforme la fama altrui » Copriui con malchera di parole la perfona, per meglio palefaiia. La pompa retorica neldimoftrar di voler ta cere quel,che'più diuolgaui, iacea trionfarti nelle fcuole deferitici, non degli oratori. Gli Aririfrafi nel battez zar con acque Cabaline per bella vna difforme, ti Luireauano nel.Campidoglio de’ Poetili frallagliar la toga deiraltruihonore con forbici di compàffione, ti veftiua del tabarro o Ippoerita. Lo fcagliar filila ftatuadi vene re la i’actta dclm à, tiproteftaua figlio diCrotopo nel monte Purnafo. Lo borbottar degli amici t’allontanaua
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Capricci Accademici.
daU’amicitia di Piiade, e d’Oreite . Il far leena de’ tuoi imaginati fogni era vn dar falfa viuezza alli vituperi del l’Innocenza-. : '•»! ;V*I, ::.Uì ' » Horsù ti badino qucfti pochi fentimenti. Non voglio più ccnfurarri, doae il marmo ileiTo ti diuolga per Areti no . Io fono A ’timomo.non mi pare hauer fallato il col po, macchiando la tua colpa, là doue tu non la perdona rti al candore dell’Innocenza; e folo ti feufidinon hauer , ■borbottato di Dio colla feonofeianza.
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CAPRICCIO D V O D E CIM O :
Argomento. Aiutoi chefu Prienefailello dell'fonia, in man def nemici, molti de' Cittadini, abbandonando la rTatrta1per non feruire all'altrui tiranidtf i diedero alla fuga.Ciafcbeduno fatto onufo delle fue più prettofe ricchezze) per confinarle alla fùa poltrita 5 le portana gittate dietro le fpalle . T ra quefiifuggì ancbetBiantc>chehàuendo. Ubero l'animo} nonjojfriua la prigionìa del corpo,. M a fuggendo diftmpacciato, ed ignudo / ogni Cafar ecciofardello, talmente precorrer i compagni nella fngat che diede: occafione ad alcuni di dimandargli, per qual cagione partile così ignudo di beni dalla fùa Patria ; ai quali mi pcrfuaào 3 che conqueflifbfimi Ufentimemi babbia rifpoflo, *
P r ie - T
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Capricci Accademici.
Rierfefi, fc il vedermi priuo di beni di fortuna, mi vi fa eredertnendico; è inditio, che non hauete molta conofeianza de’beni dell’animo . in più licuro ricoucro fon racchi ufo le mie ricchezze,che le voftre. Il portarle voi fu’l dirupo della ìchiena,vi augura il prccipitio della perdenza. Le mie, ripofte nel recinto deU'animo, tanto meno fon fogette alle rubberie,quato men vedute da ladri.L’Animo è vn Alilo impenetrabile. La mia edema mendicità è argomento deirinrcma-. ricchezza. Io.come maritato alla virtù, che è vna Dama tanto poucra nel di fuori,quanto rjcchiflima nell’interno dcuo gir ignudo,per legge d’imeneo,che richiede l’vgua glianza. La nudità non mi cagiona roifor di vergogna, perche è la più ricca diuifa dell’Innocenza. La virtù, ch*è Dama bella difuanatura, non mendica abbigliamenti dalle v ed i. Ella và ignuda, come vero Cupido perinnàinorarui;ò pure accio cozzandoli,qual felce,coll’acciaro delle vodre pupille, ne trahefle fcintille d’amore. La nu dità è la pregiata vede della virtù. Ella è c o il dimeftieata.eo gli Aquiloni dell'Aueriìtadi, che ogni ammanto le vien difpogliato dalla furia di quefti Euri empituofi. Il caldo cagionatole dalla continua fatica non le concede, nè anche vn zendado. Non troualì più cofa amabile di Ieijmà per hauer più amadori,và fenza vede, perche niuna cofa immafeherata può ben amarli. Se ella gifle vedi la , farebbe come Donna difforme col volto «ribellato. E’vna Dama, che non hà parte vergognofa, operò non ha roflore di girne ignuda. Non porta corazza di vefrimento, perofce è impenetràbile. La nudità fteflaè la fusu lorica. Io,come fuo conforte,deuo anche portar diuife di nudità.vò ignudo, Come vero Atleta, acciò nelle mondane lot—
O 'p n c ^ D a b d e r c i i j p t ì i
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lotte non poffino afferrarmi ¡ ’adultere pafTioni.Malconuiefi ad vn faggio la,prigionia, e però mi fon difpogliàto di quelle ricchezze , che allacciano con auree cateno ; tanto, più dure, quanto più ainmaeftrate forco il marrello^Sevipaio rtìercadantc fallito, mirar doucte la gtoia_j incftimabjle ddtajvirtùydie tengo ripolla nel Erario deli’animo, per la quale ho mercantato- tuttc le merci della fortuna. Nel fòglio di quella nudità ho caratterizzato il rnanifeito, col quale alla sfacciata faccio repudio del mondò.Cofì difp.ogHata noniemò la marca dc’mondans EgeiaBenpoffò gallegiare fuili più indomiti caualloni, lenza cifcr dai pdod'dlpficchezzc tratto nel fondo. C o li ignudo potrò con più agiatezza correr larringo delle icicnze, ed éntnireneH'àngufta porta della fapienza. Il fuoco dcll’affettionei che porto alla virtù, talmente mi bruciaTintefno.chc non mi permette le veiti: ma in viu éorpo.priuo di fpoglie più meglio potrete mirare vn cuo ignudo di pafìioni. . i , -Ègran virtù,' che rimonto fappia cimentarli colla-, mondana felicità, quindi per reilarne vittoriofo, mihò priuo di quei beni ,.che portano far intoppar la ruota-, della vittòria. Le ricchezze fon le brecce,che lì trauerfano alla ruota della virtù: e nel lucciar del oro s’abbaglia l’Aqtfila della mente. Se meco portauo i beni della for tuna, abbifognaua lafciar la virtù, che eflendo eterna , odia la compagnia d’vna inilabile.Se aggrauauo 1« fchie na, reltaua vuòto l’animo, che non può volare con queile farcini. Sefoffi onuilodibenr mondani, non potrei amoreggiare eolie bellezze del Cielojperche gli amadon dell’o ro, che tiene ilfuo palagio lotterà, tumulando fra le miniere il cuore, mirano Tempre la terra. Annullo e il fendere, che conduce aUnmiortalità i onde per mcM glio t e
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Capricci Accademici * -
elio varcarlo,mi hò difimpacciato delle velli,e de’beni. La virtù è quel Sole,che tragge i mortali come vapo ri,alle itellejond’io parto ignudo dalla Patria, per render il mio folleuamento più ageuole .Ellaèvn mare pieno di (irti di contradittioni, quindi il buon Piloto oeue ver te d ia r difpogliato, acciò le oceoreilenaufragio, fi lalrn col nuoto. Ella, che deue efler à tutti mauifèlta, deue al facreare in luoco lucido,e terfo.che ben faravn ignudo, fcn7* nubi di beni.Eila non è tiranna,non rifeuote cenii, e però s’appaga di vafTalUpoucri,edignudi.EHac:vn te lerò, che per sfuggir l’ahrui infidie, fi nafeonde m Era rio di mala inoltra, Ellaèvn limpido fonte »douenoiu può tergerli, chi non è ignudo. Dunque mi ftimarete mendico, perchefuggo, noru portando i miei beni in fpalia ? eh, n ò . Il virtuofo non e pouero, benché così paia alle vefli. La virtù nella leena di ciucilo Mondo velie di .pouertà. Ella padroneggia ri tutto , perche è fignora de’cuori. Non trouafi cola cosi ricca.e potente,che non vbbidilcaai di lcicom andi.lt» fue ricchezze, ò fon gioie, ò fon fteìle, perche 1Animo virtuofo,ò è teforo,ò Cielo.Voi non potete mirarle,per che non fon foggette alla giurifditione de fenfijma loto à ali occhi Aquilini,che ponno ftarfifiàquei chiarori, che fon più di fole . Lafarcina delle facoltà nonlalcia-, folleuar l’intendimento à gli ftudi, che richiedono men tre disfacendata d’ogni delio. I pouen filofofano piu de ricchi,perche non hanno i cuoriijrrrati' ne’fcngnOat po uertà è la maellra del fapere, perche nella cote de diiallri s-’arruota Ì’intendimerito. Quelle lacere vcui, come eloquenti bocche, ¡degnano fapienza, perche non han no ferragli d’interefle, che fannobalbutir le bócche piu fauie. Colie bocche di quelli ¿tracciamenti na» rido di
Capriccio Duodecimo*
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tiòi altri,' 'che colle rlcchezzdfégaate asoldatila traccia della voftrafuga. Hò trafeurato ogni facoltà, per hauer fogni ileuri. Il luftro dell’oro, apportando il giornc|alfEmisfero ¡de séfi,toglie il ripofo deU’aniraoJ di lui raggifono acuii pru nai,onde non deuo mc^o portargli.per non recarne trafitto.Deuo lafciarc i ftrali d'oro,per fuggir quei dì ferro: Non deuo portar meco quelPoro.che feminato nell’ani mo, lo rende infecondo d’^ q i frutto# virtù. Pazzo fa r e te cambiaci vn Anima virtiìòfaiper vn’Anima d’o ro . Se meco portati i beni, portare i vn malore, tanto più ihfanabile, quanto più diletteuole. Se foifi fernito dalle ricchezze,non haurei dominio fopra me fletto. Sarei fer ito,non Padrone delle ricchezze.Se,come voi.lor fottoponciiì le fpallc, farci vna Beftia col giogo al collo. Più meglio le padroneggio col rifiuto. vn Animo virruofo non sà piegar il colloìà tàl péfo. mal conuenienfì ad vn faggio hauer portamenti d’A fino d’oro. Se nel di fuori vi paio ignudo,douere auifarui,che in J vn campo ¿fiorato,ed infecondo s’intana l’oro della vir tù. Non è bello il Cielo ', quando è ammantato di nubi, mà quafidò è ignudo per la ferenità. Non vi faccia ignu di di giudicio la mia nudità. Io meco porto tuttiimici beni. E fe voi vi preggiate di portare vn mondo di ric chezze su I dorfoi Io godo d’efler Atlante fotto vn Ciel di virtù, ' ... • • -
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Capricci Accademici.
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Lpìdio, bttomoiche perfuggirgli A\fpi t de' 'vitij', eraft ricourato/otto fornira } d'wn Lauro, appena portojji in Afe)\ ne, (he innamoratofi d'njn Idolo di *,t Ulle^a,applicò ¡1fio fiudiq alfcleg^ gì di Cupido . Amore,che, à guifa di ‘Bon.bicefi fpefa di -verdi fronde,io cibo dtfpér'dnza. (fereo impetrar là gratta di (¡tfpi nume coll'Oratione d'vn zAmìco s che sì.per-ìeloquinza,comeper I autorità,, potfeàfifir narìo ad accettar irvotiì, .e gl'iwenz} del fuo euoye. iafeia rvin:erft dall’impojfìbilita , Spero raccòglier fru tta , doue vedea 'verdeggiar fronde di molta(peratizza: ma auuedutofìalti} f f i fne,che Amore ha pe ne di farla volar,come vàha,confefsoper ifpenenza3 che nell am are , quando fi ama altro oggetto, fio r di " AJ “ s Dio,
Capricefo TérzocJecJmo^ I9 3
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che rammendata fua rutta.gli palefafo ... j .-i.i : a>ì • in:;,; nfH&jq ioti
approdo vn bel nume non vagiiono l’OriVYando rioni iq l’Auoc.aro trafcurala tutela, è diiperata^ ;u: r .ogniijìérania.>.'Lc' ircmdedella fp.emc'non fera45i:ert e^deggiano quando ieiniiitpngono ¿1.verzuhK gUibdinoii.della pietà dVn faudieuole Atrtico. L'o ^ j -a &i£ nz a. fòft egn o, è. vnv,olai; febza peone. Cade, ehi vola, fc non ha le piume d’vn Dedalo ingegnofo. Ninno può iniìftu&fidl iole, fenza lìdie Aquiline -Hebbipur io pcnneipeiad 'altrb non fcriiirano, che à Jiqudadepdoii pria d’mfinu'ar.mt' al fole* ani negarono Qgni miele di fperata dolcezza., -, • . L ’ Huomo npn hàihuioori ds^ftcéuólhopeà epaieruare il; verznthe deli’b^naba fperanzfU iudosd,tte<piouono.dalie nubi della feti#», non panno dar vita A biade n^qfnH; «drene,rt># q qando ¡noiptóa® lottólfib à iiio sfui.4 u r « & * eifulh;ve|«ai^i,tìumajtepta6w2fifó‘ e W promettono rofe^pei-.empir, le manìd'i-fpjneil nupi.prie-, gbi furono Tparfi bulle ilrade,; ogni augello d’occatìòHtj g h ^ t ^ i a . - ! 1. ; omuiv* .-oc-;.' r. y: i . Lq-iperdre ni Amore iti vìa di^rirmb.fpèrai riimenir; Uftrada delle ffdipiradi eedkdec^ta d’vn ciecorvle^iimi di contento Colle fpo^lie;dhm ignudo j'vòlal-al Gelo con tarpate penne,.* hanet'ieiìòoocdBgnóriaotagginc dhm ira*;
9 4 .orrGtpricei Aeeademiai. li pu ngentie viucr.quieto (otto il dominio d'vn Xiran¿io,,Pazze iqp le fpcranze d’vn Amantc,ch'è fcmprqfuor 'di mente: "i. Solpcli i vóti ad v'n ri Urne,che tràpcr la bèìleiszai che non può efler auara, e tra per la fama, portaua titolo di liberale ; mà per vn Di (gradato anche la prodigalità diuicne Auaritta.Credei,ch’vna Deità fi piegalfe coll’Orarione,mà ò i’Allocato imparò da Amore,ch’è fanciullo , -ad efler muto;ò i’ilteio Cupidojche acciecò me,fc fordo lei. S’afcriuà quefto tra gli altri miracoli d’ Amore, c h o nonioio accieca l'Amante, mà anche affordarogctto amato. ■•'<■ 1"■ ■ M’hà così ingannato lafperanza de'miei defiderii, che nonsòdiftinguerla dalla dilperatione. Lafperanza è vna Dea tiranna, che cibando gli amanti di fronde , gli cambia in Bruti r e fpefandogli ai vento, gli adatta per palloni del fuo giuoco. Ella è ineflbrabifé,Ae’fttripre,à(colta,mà non mai eflaudifee. Ci accompagna fino al vltimo rèfpiro, non perche goda di darci vita, mà perche iì rallegra di vederci nel refpirare fpirarc. Collo fraine della vita,che promette i cóponc l’diremo laccio di Fe dra. Còlli netrari,che (omini ftraal penfiére,dona la vira à l’Afpe di Cleopatra,sull’incude deH’oftinatione nell’amare, batte la fpada della difperata Didòne. Se dunque vccide,non è fperanza,tnà dilperatione. Ella par,che non mai ci abbandoni nell'imprefe amorofe,màciò fà folo, per darci l’vltimo crollo alla tomba. E vna tradigione,inuentata dallà tirannide d’Ainore,per farli idolatrare,perche fe non verdeggiaflcro quelle frò de, ninno lo feruirebbe per la mercede delle frutta. Cu pido, fenza lei, farebbe vn Dio feonofeiuto. Non hallo altro antidoto,per medicar le piaghe de’ finiftri auueni-* men-
Capriccio Terizodedroò;
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me nti,che vnaafpctratiuadi beaejmd è vn promettere, fenza obligo d’offeruanza. Promette, per lufingangli amanti, come fanciulli, già che amando s’infanciuilifcoeo-Sembra vn fole, che porge il lume alla mente infan gata nell’umorofe paffioni, mà più della benda di Cupi do,h ìnfera ai huio.Evnfole imaginato .E V n fuoco di pinto, che ne rifcalda, ne illumina. Alle volte per Opra., dell nmgmatiua par, eh infiammi,mali fuoi incendiòfon di ghiaccio.IUumina,à guifa del lampo,che lucciado accrcfcc lo fpaucnró delle tenebre . Aflifteà luogo dell:u fortuna, mà fabrieafcaglioni,folo per traruparer mentre venendo fubica meno,cagionu cadute di difperatiohe ' Ben è difperatp^rhi la crede condimento, di tutte Phumane amori!, là doue non mai paifando al gozzo yfè im itarlo amareggiato per la mancanza di quelp che cóaL» pafli cKAtalantagià maìfigiupge.'Se'dfa<a{f3;ggiareàl bene prima,che fi confequifcq, è vhadolcezza infogna ta, che vola al deftarfi dvn vero rifi uto.Lo fperare 'è co me il fogno de'ricchi,chefi trouano colle mani vuote.Se dona à preftito Tale ad Amore } per volare al confecm:~ mento de”defidcrii, fi fpcrimentano d'Icaro, per farcii dar nome alPacque d’vn difperato'pìanto. Se fraghe dal confufo Caos il mondo,illuminandolo colla luce dT fpèrato premio * lodduce dappo in peggior confusone p quando neVirtuofi fi vede perfeguitato anche il merito. Se fa riforgere il mondo dalla tomba dell’otio, quando poi fi veggiono feminate sii iterili arene le fatiche, lo tu mula nell’Auello di ficura difperatione. Ognifperam a dunque èdifperata. E difperata quella del foldato,perche non gli apporta altro foltieuo, che il fargli feminar le membra in vn Cam po, doue non fa al ita raccolta, che di itorpiezza, di cecità, di cicatrici, Iafeian- .
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,o <2^iccajEc^‘ademkL
fciando doratam ente,anche yittonofoja palina al fuo Principe« Spera nelle ferire, che foll'cxo bocche diuolga. ipci cfQljQ.fue glorie tetà non hauendo doppo rifpofta di Jiper-arQ^omi^eiftfQdajéoUii » ì prò di chi ha combattuto, rorn» 4.c a t e t o cc^murehiodella pazza fua fchiauitndipc,,no'n -pòtondo ahre bandiere, che gli ftrofinaccioli ddte ¿frslvQftj i Edifperata quella del mercadanre , per eòe. è vn Air ¡mone., che quanto più srngrauida di vewtoi tanto più.prefto lo partorire allatomba deli'acqpp ^erjajlnqiiehnauik la vita, che fperimentafi v’ero icrcti-o)Ègh^{>niidiihngacda.,P.cicr,chc-fperanzatidal-! réfca.deì-guadft^noi.' incontrano Thamo della m orto, v E;difpei;ata:quelladegli Agricoltori, perche ancorché fiji Io fprope dèlia negligenza,e tanto.piu folletti ranimo'. à|perareAqhanro più in giù iprofondan•raratrojbenr-fperim’entart'p.oldìipQf&fe quando deuc inamarii campai con M ori* folchéggiarló, più con paffi,ché colf Aratroy trafiggeffrjl cuore tra li veprai -. combatter con faffi; cimenr.trfi con ilcrpi, e.bronchi; impetrar con lagrime la_ ferenità del Cieloicomprar.con'sBorfo di pianto fopiog-* già Che tutti f a b ia n o più alto il bonasie della dtiperarione tal volta, che fatta ¡più ineflorabilcd tanti tormentila terra,fa .violar colle fole paglie la fpcritnza dellarac-. coIta.Mà piùdifperata è quella degli Aavanti,che-hanno' d%|agrificar l’anima coll-mcenzo de fofpiri ad vn nume,> ¿ c u i non fi ipera altea feearitudine.che quella, che può trouarfi.in vn.Inferno am oro fo. Che ipo-ano trottar por to , nauigando colla velia d’vn aurea chioma ,\che.non_. mai fi dilunga dal maragiofo. Che cercanofertilità ilo vnafronte, che.apporta.continue ternpefteall’afiimio . Che bramano trionfi sù gli archi di due cigliatile cùcue ' danno fempre in atto di lacttarc.Che s’affidano alle ilei-
Capriccio Tersodecimo. ledi due occhi, che dim oiano contindai.nente tramonrato il iole delia felicità. Che fperano: frutto nel fioriti giardino delle guance,douc tra le refe,e li gigli: frodano ipine da trafigger l’anima . Che tentano traghettarli'ai Cielo de’ godimenti per mezzo di due neuofe colline , che fono balze,da precipitarli all’abbùTo. Nontroua(ìcofa,in cuifperandol’hiiomo, non li conofca maggiormente difperato. Nobilita gli animi, la fperanza,perche è proprio de’Grandi lo fpcrare: I Leoh'i fperano,non le mofcherll timore trouaiì ne’vili,e deboli di forze: mà s’ignobilita dóppo,quando non ritróuando alfro,clrccibi di dento,e cartella in aria, con vn foffio di vera auedutezza, lotto le proprie ruine {’opprimo Lamifura della difperatione fi prende dalia grandez-’ za della fperanza. Chi più.alto fpera , più à ballo cad e. Difpera,non fpera, chi è vipiftrello, e vuol mirar il fole ; chi è formica,e vuol farla ¿ ’Elefante; Chi non ha penne di virtù,e vuol volare all’immortalità.Sc la fperanza nel-, 1infelicitadiriftora il cuore, e come pioggia eftiua, che inafpra gli ardori,è vn confolamento velenofo, mentre» raddolcifce có miele dipinto,e lafcia amarezze vere.Chi non fi difpera,trouando veleno in quel vafo,doue gli or li dolci lo fperanzauanoà gran dolcezza? Se nelle fa tiche apporta follieuo, èvn diftruggere foauemento la vita; è vn render dolce il tarlo, che confuma le vifeere: e vn indorar la ruggine » che empiamente diuora l’a nimo . c vna mafcheia, che fa parer belle quelle fatiche »; che vedute fenza gli occhiali della fperanza,pon"ono in fuga l’anima, per la bruttezza.Se nell’afflittioni confola, evnhumore , che feorrendo perle vene, corrompe il langue , mentre le dolcezze, che diffonde, fono folo Ugnate . Rafciuga le lagrime negli occhi, mà lufinN gando-
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Capricci Accademici.
gandoui affoga il cuore. Tempra le moleftie, ma per la malageuolezza maggiormente molefta.Riciea ne’pericoli, ma occultandoli, fa., che difperatamente s’incon trino : Difperato precipita, chi vedendo il dirupo, con». fperanza di valicarlo, difperatamcnte vi s’imbatte. Pro mette libertà al Prigione,ma più lo difpera, mentre ren de anche la libertà prigioniera .L a mente tanto più conofce la tiran nide della Tua prigionia,quanto più coll’ale della fperanza vola lontana da lacci. E la medica dell’cgrotczze , ma piu inafpra il malore, follecitandoildeiio dellafanità. Più difperato giace nel letto, chi con più prodezza fpera di folleuariìne. Confola l’huomo nell’englio,mà tanto più difperatamente fa parer lontana Isl» Patria, quanto più vicino fpera il ritorno. Sembra in fomma il più gran bene del huomo, mentre alimenta la vita , e l’accompagna fino al fepolcro ; mà non è verso quella vita,che fidamente fi fpera non è vero felice,ch’è folo beato colla fperanza. Tanto più noiofaè la tomba, quanto più con palli di fpcrata vita à lei ci auuicioiamo. Difpcrara è quella fperanza di vira, che fi hà col piede.» porto alPauelio. Più difperata è quella morte, che fi troua in grembo della fpcrata vita . Ogni fperanza dunque è difperatajnè trouafi perfona nel mondo, in cui fenza difperanone poifafperarc .Non negli Amici, perche colli fiati di troppo sfolgorate promeffe la feccano , dalli borroni delle millantane là pre cipitano »quandonè anche convndito impedifeonoil ino dirupo; e cogli ardori delle proprie paifioni l'incenerifcono.Non ne’ferui, e famigliati, pereheò iolo ido latrano alle buone fortune,ò feruono all’interefle, coru che alimentando la loro fperanza, Jafciano digiunale fa melica queiht del Padrone. Non ne’ Parenti,perche fpcrando
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Capriccio Terzodecimo.
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rando il re raggio, bracano più disperatala vita dei fra tello,ò del Padre. Non ne’.Grandi,perche quanto più diinoltrano di portarla jn su, tanto più profondo fincaiiano il precipitio. I nobili fanno giuriidirioneó’cflèr mò bili nellepr omelie, vergognandoli dinegar colle paio le quel, che negano veramente con fatti . Non nello ricchezze,per che come Soggette ad vna pazza fortuna, Sanno impazzar la Speranza. L ’oro, ancorché faccia heuanda di vira, pure vccife Califa. Il fuo pallore la rende timida, cd infermiccia. Non negli honori, e dignitari » perche e florido ombre ; rimane con effe Seco ancora diìeguata.Non nelle virtù,perche fono cftinti li Mecenati ; c li virtuoii trouano più querciuoli per le Spalle,che allo ri perle rempie. Oggidi il Lauro non hà potenza di fchermirli-dal fùlmine de’ Gioui nemici d'Apollo; Sotto le lue ombre fi trouano miracolofamentc 1ierpenti ; e più non porta frutta d’immortalità, mà tofficofe, ed amare.Ogni fperanza dunque è difperata. Solo la Speranza,che fi haue in Dio, è ferma,e ftabile. Quella è quella, che Solamente merita nome di fpcranza.Chj fperain Dio, Autor d’ogni bene,non è mai djfperato nel conScguimento dc’beni. Nel Oceano della iua bontà deue l’huomo fondar Solo l’Ancora della Sua fperanaa, per non mai patir naufragio, ò efler sbattuta alle fitti di difperatione.Egli.ch’è Principio di tutte le cole,è la vera Guida ad ogni grande imprefa.Egli»ch e l’Autor della vira,è il vero nodrimcnto della noftra vita, Amico, Se tal volta Sperai cofc vane .conobbi ancora, ogni Speranza efler vanità . Se Sperai cole mortali, viddi ancora ogni Speranza per me eftinta. Bora è cambiata^ la ftagione deiranimo,non più fiorifee di vanr defidcrii, non ipero più frutta di bellezza caduca.Sono Incenerite N 2 le bia-
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Caprìcci Accademici.
le biade amorofe . Hò coltiuato il campo deH’animo per nraiferitia celefte. Penfo folo.alla vita eterna. Amo folamente Dio,che volentieri fi piega alle mie Orationi.Egli è la meta d ogni mio defiderio. Il mio cuore ardédo d’amor diurno, à Dio folo fi fagrifica. Iknio fuoco non hà altra sfera.che la fua.In lui fono certe, e fruttuofe le fpcranze. Non più fono idolatra d’vn Idolo Auaro. In Dio folo fpcroi in lui folo confido. Ogni altra fperanza è difperata. *
©apricelo Quartodecimo^
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LA F E L I C I T A
'.Argoménto.. O iim e, che riputana(t infelice, effer (tato ¿¡[cacciato con i calcio dal Qieldi Venere, _, conpiTinut j non, nella jucina aelìlfola di Lenno,dotte anche fahricahfi gli {irai; di Cupido; ma tra i ghiacci del Caucajb, per non n\aifentn niù. il calda di face amorofa j inaiò talvolta 'Vtf *tl* '~/,cllc j**u ètnico j lagnandofi d Amore, che l banca impoverito dell auree fve {de te, facendolofoto berjaglio di ruflico, ed impiom bato fr a le . Parca 'vn avvenimento par tropp &rana il a/ederd vivere vnhvom o ($nz.a qvel parer ài Seneca , altro non è , che nodo dell'Anima - J*ImMMrUL’.f\** Afll
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Capricci Accademici*
Orette »che adottrinato nelle Jcuole della jperìen za, bau ea occhi, da conofierefin da lontano la di lui mal conofctuta felicità, pervadendogli, che il non fentir amore fofie n/na beatitudine m alto, nofciuta da quei,che credono di goderfelicità nel amorofo inferno; mi perfuado,che con quefitfi fi, mili [entimemi gli rtfpondefie, Mico,fe Cupido già ti ha tolto la fua ftriicia da gli occhi,perche non vedi la tua felicità, tanco più degna d’efler ammirata, quanto più femota portentoia Cometa il veder vn huomo viuerc fenz’amorc jquafi che fofle beatitudinel'hauer fa. cile il varco ad un laberinto, che ha malageuole fufcita,anche col filo d’vn gcnerqfo rifiuto ?Amor dice. Teofraftro , efi anjmi coHcupìfcentia, qua celerem habet ingrefsum . La Felicitatile fi gode lun gi da Cupido, come inacceflibile,è mal conofciuta Ciafcheduno giudica colle ragioni della fuapaffione.-mà non ogni volto imbellato è bello. Amoi e non è fanciullo, mà vecchio rammorbidito, che coll inganno del fembiante auifa fatturie interne. Dà le fue pene /otto fiqiiglianza di vezzi, per renderci cari i tormentijma non ci auuediamo, che s'infinge fcherzofo fanciullo, per ingannarci con^ vezzi,come bambini. L ’hauer intinto col miele gli " orli delle velenc/e fue tazze, fa crederti difgratiato hor,che n’allotanafti lelabra. Ti reputi infelice, perche volò dal tuo petto quell’Amore,chc come < gran nume,fcmbrauati oggetto di beatitudine,«?*.
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Caprìccio Qaartodecimo.' 103 gnnm efse Deum Amorem, dicca Platone; ma infelicifTmio era lo flato, mentre eri prino di libertà, Amor eft animi dstinffio erga aliquidìjx libertà deianimo è raggio di Vàxtà\iùìHiernfalemyqtMfurfum eiijibera r/?;6 nde ben porrai godere vna fimigliaza de’ fuoi giorni ,'fefaprai amoreggiare col Sole della libertà, che liberato da Cupido poflìedi. Se li figli della terra guerreggiarono con loro pcrditaj; la beatitudine di Gioue, aflìcurati pure d’hauerne fiuto profpereuole acquifto, giganteggiando col monre d’vnyalorofo rifiuto ; eifiendopiù rnalageuole,che Hniìnuarfi à Gioue, il trionfar di quel nu me, che per crcfcer coll’erà s’infinge bambino, e che s’haue guadagnato à palli lenti il porto del cuore. Amor ncque nesfatim inuadtt,quamuisalatus, fed molliter mgreditur, manetque din in fenfibus . Vorrei, che dal intutto haueifie cancellato anche le Tue orme dal tuo animo, perche le vn picciol veftiggio vi farà ;imarto,non deuo crederti perfetta mente felice,.-^«/ quamquam tcmpdreguelratione vìfiu$ difeedit, non tamenpenttus liberarsi rèlinqutt am mani , remanetque ih ea vejìiginm . Da qui fifperimenta, che conforme vn picciol raggio della glo ria diflrugge l’Inferno, così vna picciolaombrai, d’Amore apporta caligine al paradifo dell’a nimo. ' ' [ '■ : Deno pure compaginare i tuoi infoitunii,che mal conoiciuro fon proipereuoli fortune,-perche non ponno diuiderfì, fenza ecceifiui parofiifnidue cuori, ò due Anime, .Quacumque amore pofefa funesionfine dolorefereuntrMà quefti c vn martello, che batte iaU’incude del ienfoda di cui perdita non de uè
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dcue appartati dolore, mentre vi aequifta avanza menti la ragion^: Se è laidezza ’deli-animo l’amar altro.,che E>iditulaffciando sMetaifiinate af&ttioni, fkefti guadagno, ili quella forbita aiiedutezza,chq potendo, ne contemplameli amoreggiar conDio, tirefidein quella mortai/vitabeato. funi , , tm . Non tapparti doglianza, Amico >la fortezza, dinaoftra nel diifunirti da queli’ogetto, che. dimani tua vita, /¿»¿perche dalla grandezza del dolore,;e dalla for tezza,che fi palefa in quelle perdite del Mondo, ed in quelli amorofi cimetijfi mifura la forza, ch’haurai, per vincer quel Regno,che con violenze s’acquilta, . Il valore del Chriftiano non confifte nel batter le porte del Cie lo , ma nel difcacciare i vidi dal pollo del animo . Se non può giungere al Paradifo ,chi non fuperavna trincera di minine ; ben tu ti fei infamato alle porre,mentre hai vinto il fuoco d’Amore,di cui di ce Agoftino,«/^/ tam durum^tqueferreum^quodno amorts igne vincatur.U trionfar delle fiamme,collo cate per guardia del Giardino delle delicie,in altro non confifte, che nelcalpeftar l’amor profano, ed arder folamente di D io. Due Cittadi ritrouanfi nel vniuerfo, Gierufalemme, cBabelle, inqueftagli amadori del fecolo, in quella gli amadori delle di urne bellezze hanno albergo.Fin hora per non hatìé-r potuto fuperar le fiamme de’ mondani amori, bai viifuto cittadino del Herebo: hora che col folto del rifiuto l’ hai valicato fei fatto cittadino del Cielo; S o r d e s t i n
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Capriccio Quartodedmo."
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Cielo } Duas Cmitates duofantini amores, lerufalem
facit amor T>etyBabylonemfacit Amorfaculiyinterroget igitur .Se vmfqutjqtte quidamety& intanici vndejh <ms. Dirat,eflfer dolci le tormentofe pene degli aman ti, efembrar nettare al cuore l’amarezza di quel deliquio,che ftillando dalle nubi d’amorofe paffioni, per le vene diffòndeii , amai, nonlaborati Amore vien riputato vn amorofo tiranno, che*» occupando tutte le parti del cuore, non laida luo go ad altre fatichc.Ogni pefo fembra lieue piuma, à chi ama: ogni opprcifione iblleuamento, In co
emmyqHodamatwryaut non laboraturyaut Ubar amatur: Màciò panni vn dar all’inferno titolo di paradifo, alle lagrime di godimento,alla morte di vita.E’cic co , chi ftima le tenebre per fuo fole. E difennata^, quella mente, che s’imagina di goder primauera nel verno, tranquillità nelle tempefte, calmenel maraggiofo, giorno nelle cimmerie grotte, rinitefeo nelle fiamme. Tutto ciò fifperimenta in Amorè.Se Cupido auuelena anche le fue dolcezze, chi con non auueleoato giudicio potrà creder dolci t fuoi velenir’Se egli è alato,per far volar dall’animo il vero Dio, qual godimento rimarrà nel amante » s*è priuo deliommò ben elider» nonfrujlrx ventofas addidit alai, facit dr humano corde volare Detm , E magia d’Amore il dipingere nell’inferno vn Paradifo,il donar la morte in fembianza di vita. Così canta chi tanto {perimento.
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Ra ve refi fronde è lenza fpemcil core. Nel crin le roie,in fen ipinepungenti» Tra li ghiacci prouar fiamme concenti, Gelar gelofo,e pur nodr ir l’ardore; ¿tete tràl-acque,tra chiarezze orrore, BWiucr beato, e fofpirar contenti, Infelice gioir,canti,e lame nti, Son varie tempre, oueiìnutre Amore, Nel verno del dolor fiorire iirifo, Bramard’inferno, e fofpiraiTvfeita, Eifer dannato nel bearfi à vn vifó; Quelli è quel vel, che copre ogni ferita» E pifìgendo à l'Inferno vn Paradiio» Dona la morte in fimbolo di vita.
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Dal diuario, che diiiiezzatra il primiero tuo ita* to, ed il prèfentc, che godi, potrai conofcere, che cancellandoil motto, incifo dalla difperatione nel le porte del Èrebo,ti fèr portato dal Inferno-alI’Eni pireo.folli tormétato taluolta famelico tra le frutta de piaceri, ( che’Ancorché dmengano ftoimeolhnó fùogliano,) e fitibondo ttal’acqueffc’lufii .T i cad de più volte dalle mani il faffo della fperanzay quan do era pur giunto filila vetta degli affaticati godi menti . Ti fu rofo dafl’Auoltoio della gelo ha im mortalmente il cuore. T ’anolgefti-inella ruota del lepàiTioni , fenza niaimchiód&hicoi chiodo dfvcro compiacirnCntOj Ardeili: freddo rrai’agghjaccia-te fiamme d’amore,e di zelo. Vidicafti nauffagojl cocito di ben mille perigli . Chiudevi nel petto l’Arpie, le chimere, le cernite, le fùrie Rincollanti periieri. Sedè nel trono del tuo cuore fatto Pluto
Cupido
Capriccio Oaartodècimor
107
Cupido. T utte quelle cofcti fabricaronopel petto vn inferno.Hora richiamando alla mente vecchio, ed occhiuto configlio, nel difcacciar d’vii cieco fanciullo, lenza maneggiar il (affo d’inftabil purez za, fenz’auolgerti nella ruota d’ortinata inconilanza, fenza fame di momentaneo diletto, lenza l’Auoltoio d’amorofo péfiere, e difcacciando dal tuo petto il ti ranno,puoi ben dirti in quelli ripofi bea to , mentreil Paradiio hà di vera quiete fortito il nome. Conoicijconofci Amico, la tua felicità, hor che volando Amore dal tuo cuore,fe ritorno alla men te la ragione. Se l’eterna beatitudine nell’atto del intendimento hà. riporto le fue dolcezze, ben hora ptioiiparticiparla, anche mortale, mentre partendo dà te Amore, ch’è fenza ragione,hai ricourato l'In telletto, e l’humanità; Amor ignorai iudicium, & raitone multot 'm caret. Chi defidera,non gode. Il defiderio, ellendo compagno d’Amore ; non va fcompagnato dal continuo tormento ; anzi è vna tiran nide, mentre ci pafce folo d’imagini ; Hoc babet im~ fatiens amorfot quem defderatfcmper inuenirefe eredati ed il reftar dclufo è delle pene la più maggiore.fe l’Amor profano,nodrendoti qual Bruto,con herbe di vane fperanze,ti refe col continuo defiderio infelice, pere,he non ti reputerai feliciflfimo, ho ra,che dal vorace dente del defio non t’è rofo più il cuore? Folli lufingato da vn lume, ch’effendodi bellezza, ti parue raggio didiuinità, Pulchntudo ejl radutiduiin&bonitatis : Onde crederti bearti auanti vn vifo, ch’è fango di fangue ammaliato : mà non fauedefti, che abbarbagliando tal chiarezza di fuO 2 mo
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Capricci Accademie?;
n o la mente,difennandotijti tolfe l’Intclleto,in cui la felicità fi racchiude, Amorforma rationis obliuia. Ingannarti te fteifo, quando riporto nel centro di ben mille pene, per mirar vn palmo di Ciel di ve tro,('che tale è la bellézza; forma bonumfragtle eji) ti reputarti beato; mà non conofcefti,che non potea eifer oggetto di beatitudine quella bellezza , checoltiuata dal tempo, non è feconda di felicità, mà di noia, lam venient ruga, qua ttbi corpus areni : che non hà d'eternità più d'vn momento>.Exigui donum breue temporis-.CXxz non hà ftabiltà più d'vn_. baleno,ito ejl formafugax ; Che è momentanea ti rannide, snodicitemporis tyranms : Che è frode più della rete di Vulcano fiottile, Vulchritudo efi tacita deceptio ; & filensfraus: E che non potè a felicitarti, mentre lo fteffo oggetto bello rende infelice,Nihil •vobisformofis efi infeàcius, quampulchntudo. Hora » fiora fei veramente beato, che lontano dalla cecità d’Amore,fei auueduto nel rifiutarlo#he fenzala di lui face, miri le voragini, doue ruinaua ilpenfiere, per non folleuarfi à Dio ; che fuggendo vn ingniid o , fei vettito del ingemmato ammanto delle vir tù ;chefenzaledi lui penne voli dal centro veri» TEnapireos che deteflando la di lui fànciullamno', inuecchi negli affennari portamenti ; e che lenz’amore,ami veramente colui; che più di te sà amare ,
Ncmo amatorum carnalium, etiamfifitfupra modurn infaniens.jta exardefeercpotefi in arhoremdikeiafua , qttemadmodum Deus ejfnnditur in amore Ammarum noftrarum'.Tutta la beatitueinc del Amante confitte nel amare riamato ; fin hora , che amarti oggetto mortale,effondo incerto della coryifpondcnza(per-
Capriccio QuàrtodecimoJ 109 che mai s attraccia vn cuore chiufo nel petto) con paroiifmLdi timida gelofia ti rendevi infelice, ma hora,che amando Dio,puoi eifer certo della diuina corrifpondenza, feiperfettamente felice. Vn’inquietitudine ti refta,chc maggiormente ti felicita ; Queftaè, che non adeguandola piccolezza del tuo cuore l'immenfità del diuino amore >comein* amorofo. circolo continuamente Raggiri, Amor eiratlus eft Mà fe come huomo di mondo, non puoi viucre fuor di mondo »douendo edere in vna valle di la grime felice, non altro potrà felicitarti, che il non-, hauer nel petto quell’Amore, che liquefacendo colle fue fiamme il cuore » fa diftillarlo in pianto, Amore è fanciullo,ed effondo auezzo alle lagrime, egli fedo turti i pianti del mondo cagionala feruitu,la tirannide,il collo fottopofto al giogo, le furie agitate dàU’iniofferenza ; le precipitofe cadute del honorej e della vita, le fueglie lontane dà ogni ripofo, i penfìeri tumuItuofi,ed ondeggianti,i dolori continui, ed innumerabili, la cecità dcirintelletto la perdita del fennoje paci guerriere,! rimedii vani le fperanze difperate,i timidi parofifmi, le perdite-. kremcdiabilUe dolcezze auuelenare,i lamenti,! for fpirijgli omei,le lagrime,! pianti,! fingulti, la morte immortale, e la vita lenza vita, tutte fon cofe , che fabricano nel petto dell’amante vn infèmo.Mà ho.rache nefei lugli creditihauer fattopaffaggìo alla felicità.Già già,con fol fugire Amore,hai ritrouato il vero modo d’effer felice, mentre egli folo era à fabricarti vn inferno bafteuole. Inluiprouafti fin horaferuaggio lenzar icompenfa, £/•ftrmm vitti?
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Capriccì Accadèmici.
feïïùs balere/ m m Tirannide tanto piu fpietata quanto più deriuata da. vn ignorante fanciullo» Amor tiranno accorto, ^enfio monarca. Giogo tan to»‘più ii'KigioneuoIe, quanto piu fotto d’eiTo :ed cangiato in bruto,z>//w Ircetàniufkofubtrahe colla tug^Furic tantobieche,quanto era deco Amore,che lKâgitaüs,Totaqüe vagatur vrbefurens; Precipiti! ina conìpairioneiiolijinentr'erarioìvolontani^esùduri fcogli,mentre proccdeuano da amorofa oftinatioiiC,N'amqui in amorepraapitauitypemspérit, qndqui ■fàxofaltat Veglie piene difantailici fogni, Ettem anivigiles corpus,rniferabilecaroticnkcxi,z\ve: fortnauano vn tumultuante- Cbcito, ò vn tortuofo
ineanàìo,Artubus innumcris mens oppugnaturaman* ìam -,vt. lapis aquoreis vndiquepulfttsiaquu ; Dolori^ che-Veduti di giorno affliggeùano, e comiìdierati di notte tirannegiauano, Tàm ili luce dolor, tu mthi noele venie; Le pupille degli occhi naufraghe tra*, le calme di bramata luce, & caco carpitur igne : Le Speranze tra gli humoridi ben mille pfomeflfcfterilU'd inkconàe,Etfienlemfperando nutrii nmonm-. Làcecitàdelfenno, che rendeaitvn Argoeftinto, per opra d’vn difennato Mercurio, Scilicet infano nemo tn amore videtyhe guerre iìuzzicate dafeam* bieuole pace, Militât omnis amans, ¿r habet fina cafifa Cùpido : I rimedii folo dalla difperarione ordiI timori,che nodriuanfi tra le fperanzè,J%uoc*datin dubioefi, omnique aparte timetur: La perdita di te fìeifo, refa dal tuo volere irremediabile, Bisperii amator abs re,atque animofìmullLz dolcezze cagioni 'd’amari, ed immedicabili malori » Sclusamor mtrbi non
Capriccio Quartodccimo? 111 mn amai artificem : Eli dolci veleni, che rendono immortalerà morte, & monribonda la vita, t’han fatto tra le dolcezze morire, Amor & melley& felle fecundiffimus . : ^ Quelli è , amico, il brcue compendio di quell’ Inferno ,dal qual colla chiane del difpregio d’A more feivfeito.Hora fei felice, fe faprai conofcere Iatua beatitudine. L ’eifcr beato, che appo i Greci altro non è, che vn efler incapace di morte, troualì folo lontano da quell’Am ore, che cambiando i fuoi ftrali con quei della morte non mai da vita, fenza vccidere, Fortts e/?, vt mors dilettio. Amore nel fuo vocabolo altro non lignifica, che vn fofpiro di morte,Ah,more. Appo Tullio,il Beato forti ti tolo di virtuofo teforo, Beatus vir dicitur omnibus virtutibus inflmtttiU& ornatiti-, delle quali non mai potrà I’huomo dirli arrichito , fe non fi fpo glia di quegli amaro!] affetti, che comg'figlid’vn ignudo fanciullo, fpogliano l’animo d’ ogni virtù. Malli conferuano i fefori del animo riponi nelle mani d’vn cieco, ed ignorante fanciullo. Scie virtù fon r fiorijH’aftimò del'vhtuofoÀMmau^a,ira le fiata. rfie ¿ ’Amore, mal potrà .eonfei tu\FÌid fuo Aprile , La beatitudine ritro.uafi in pe$tp»/ eqsà'lummofo, .che.mai-iio^eiecgMe^maicfei^ alcuna , Ster go vis e f e beatus yìfommacHUtus quando mai potrà ;il cuor delhimmo hauer tàntan^t^zia>fc non quando dàle diicàccia . . q u e l l i c h e co me figlio d’vna nata dal mafe i;fende il «pentodi chi amaIetaminatafestina? Lavera|elicità nonrjtrquafia!troue.*,che in grembo all’eternità yBeatìtftJo vera non t f yde cntus (eternitafe dubitatur j ^Onde (<W
/ Capricci Accademici.
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mai potrebbe iti vn mondo variabile ritrouarfi, folamente s’attracciarebbe lontana da quel Cupido, die bà momentaneiidiletti. Il felice flato appo Ifidoro confifte nclfodisfacimento d’ognidefio, ; boi fé nel mondo potrebbe trottarli oggetto, che idefiderii del huomo adeguafle, quelli iolo fi trouarebbe lungi da quell’Arciere, che non per altro fingefi fanciullo armato di Arali,che per trafiggere fino in grembo al contento i piaceri : affaggia ceiefte nettare, chi nelle tazze mefee il ve leno del timore, -, Onde fe mai potrà l’huomo por le fue labbra à fug ger parte di tal dolcezza, non mai potrà farlo, le non s’allontana da Amore,di cui fidicG ,R esefifiU iI t l e
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1 E inganno dunque quello d’Amore, quando, cori vn biglietto di fperanza di godimento eiforta ramante al morire i per renderlo doppo ben mille morti beato, affermando Ouidio, Dkitque beatus ante obitum nemoßupremaq-,funeradebetfienóse non può effer genetrice di vita quella morte, che anche in grembo alla vita ritrouaiiL Chi ama, tante volte proua la morte, quanti s’infinge hauer momenti «fi vita.Sarebbe vn gran monarca Amore,fe non fi difccrneflèro le fue tradigioni. C ol dar veleno in fembianza di mièle, ferite fiotto forme di rimedii, morte in fimigìiànza di vita, l’Inferno con volto di Paradifo, ci fa auedere, che folo lontano da lui ritföuafi la vera felicitai^ Amor gratum vulnusfapt-
dum vulnus,fapidum venenum,blonda mors, Sò,
Capriccio Decimòquar^o;
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S ò , che le mafchere taluolta imbellano la bruttezza., a va difforme vifaggio. Amore, ancorché fanciullo, à chi hà occhi di gran veduta fembra gigante; Va Aprii poiticcio fà creder fiorito il verno. Può Amore ancho nella fua fanciullaggine efler (limato Padre di tutte I o generationi, Stati berb<t ex Minore mfcuntury& crefcunt% fic hominesper amorem tncìptunt, & augentur. Amor e,ed Humore hanno fimiglianza di vocabolo. Credefi auto re di beneuolenza, nodo d’ogni amicitia, e con cord i^ 4 b amore benetiokntiafiecietaSynecefshiide^oHcordia. Egli è il Sole , che produce i raggi conferuatori del mondo . Egli vien riputato il Piloto del aauigio del corpo humano ; egli il Duce della Città deH’ammo ; egli il Sole del microcofmo ; fenza lui s’mcontraaoi naufragi, eie (irti degli odij ; la mente priua del di lui prefiche- j reità Tac cheggiata de5peniteli ; fenza quello fole l’huomo giace nelle tenebre di ben mille confìlfioni, la vita non è vita le} Natttgmmfinegubtrtintore ìabefeit, Ciuìtasfine magifi ra ttiperklìtatur, i.nttndusfinefole tenebrofus efficitnr, & mortalium vita fine amore vitalis non efi : Tolte ex hommbtts ' amorem , folem'e mandofufiultjfc'vìdebìs, Ma quelli, ed altri encomi, Amico, folo all’amore deH’amicitia io» coucneuoli,non al figlio di Venere.Non può haucr nom o di Padre , chi ogni momento nel petto dell’huomona fcendo,tra le mamme bamboleggia . Non può dar lui-" moridiprodutrione,edi nodrimento, chi è tutto iterilo, fuo cOyNAta^ue defiAnima corpora nullawdesKNon può ef~ fer autor di pace, chi eflendo figlio di matte, fomenta tra il lento, c la ragione continua guerra . Non deue efler creduto fole,chi nacque dalla notte,e dal Chaos. Non-, può guidar ficuro il nauilc del corpo , chi è figlio di colci,che nacque da ternpeitofa marea. Non può gouernaP re
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Capricci Accademici.'
re la Città d eiranimo>chi le Cittadi ha disfatto.non può effer vita, chi ha fimiglianza di morte. Difingannati dunque amico ; concici la tua felicità „ Non perche Amore è malettia,che diletta, deui (limarti anche ne' malori felice,perche il morbo diletteuole non hà altro antidoto,che la morte, TuncmaUpericulojìfsima cum dilettarti : E fe amore vccide,foio daini lungi rierouafi la vera beatitudine,il di cui ogetto può effer folo vn dator di vita. Il fine del profano amore altro non c,che’l diftrugg.imento,e la morte,che fon contrari) ad .ogni fe,licita. E vn circolo Amore,, cioè à dire.vna ruota,da fol. leuarci alle ftelle,e da precipitai allabbifTo,^/»«' (dice l’Areopagita, parlando dell’amor d'amicitia )ejì circuiti* bonus¡k borio in bortumperpetuo reuolutus: ma è vna ruota-, d’Iifione l’amor profano, che conduce ad eterni diftruggimenti. Le tormentofepafììonì, i defiderij di vento,lo iperanze difperate, i penfieri difennati, le mettine continue,Lire,gli fdegni, i furori,le lagrime,i difpetti, le follie,, le gclofie, tutti fono iftromenti di di ftruttione, I cibi di vento, i rittori di fiamme, le beuande di lagrime, i ripofì faticofigli vii vani, le parole impazzate,gii ftudij capri«* ciottola vita tra mille morti, tutti congiurano aldittruggimentodeil'huomo>Volea dir del modo. Ercole, Achil le, Rinaldo,infupcrabili neH’armi, non mai viddero cam biate le loro palme in cipreffi, fc nò in grembo.ad Amo re,che è fabro di quette meramorfofi. Atanarico no mai: vidde caduta al fango la fua corona, fe non quando for bì na con proprie mani le fcarpe dipinti*. Gl’Incendij di Troia,per tacerT'altre, da altro tizzone no furono, attac cati,che dalla picciolaface d’Amore. Il mondo tutto no per altro và ioflòpra, fc non perche Amore,come fcherzoio i’hane adagiato per palla della fortuna : Verfabilcs,
Capriccio Decimoquarto.
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fortuna motta ìlludunt mortales, nunceuehentes quofdam ad fiderà,nane adprofunda mergentcs . Però la fortuna vien finta cieca,perche è auualorata dalla cecità di Cupido. Delle morti poi, cagionate da Amore, non mancano fpiranti cadaueri,che colle bocche delle ferite,rendendo teftimonianza, auuerano, Amore non effer altro, che vii carnefice, della vita .Nellafucina di cupido, non di Vul cano, fù fàbricata la fpada di Piramo, e Tisbe. Colla co nocchia dell’ale d’Amore compofe la Parca il lacciodi Fedra. E la morte non hà altri più acuti»e valorofi Arali di quei, che cambiò con Amore. I diftruggìmenti dunque, e le morti, come lontani da ogni felicità,anzi come più vicini all’Inferno,ben ponno pervaderti,che folo lontano da Amore potrai efler bea to. Viui,viui Amico,viui rubellato ad Amore: nè ancho lafciar lufingarti dall’atnor d’Amicitia. Ogni Amore,che non fa ftrada verfo D io, è bruttezza, è morte, è dannagionc, è inferno. Viui odiofo al Mondo, per efler beato nel mondo. Ricordandoti, che non può efler felice in f«_* fteflo, chi amando viue nel petto altrui, Anima magis t/?, <vbi amat^quamubi animai. Fuggi ogni amicitia per non dar fofpitioned’amare, perche Amore anche nell’ami citia è fofpetto d'infelicità, A D io.
Il fine de' Capricci Accademici.
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CASTELLI IN ARIA, Lza ginocchi in su, tu che tì vanti di (piare il volo dell’Aquile fenza guatar lezanzare squadrona» te nell’aria. mira là .il Regno di Giunone- viè più imborgato che la terramon mi cenfurare, perche ponga i di! lui habitatori di pararello à piccioli mofeherini, che dal vento prendono le loro for ze,perche la fuperbia ha faccia di pallon di vento: Ofluìnjfmum \mhmy»/>cr^fafferma5 eneca)w»/?, & -ventofa us efì . mira là con occhiali'diiàngo cafteikudi vetro de-, Tignate dalla fortuna,la quale,come differì comico G r e -. co,vitreaej?, dumftUndet,friingitur. Ifabricatorifonb r penfieridell’huomojche non fapendo vfeir dalle (carpe, fi perfuadono dar il fac co alla Regia di Giunone. Se hai paura di gir capitombolo, mifura co’l fofeo di quelli inchioftri (altezza delle machine, fi cornei Greci mifurauano col benefìcio deli’ombre l’altezza del Sole :o ltr o che non ti bifogna gir tanto in alto, per attracciare la pio (pettina, sì perche quelle cartella come poco durenoli,.
Cartelli noli, folo fi difcemono dalle rouine,sì perche non c malagcuoleil raggiunger gl’cdificir*dt quella imaginatio»55; chc non pLiàpalÌarlIcakagno, e rìfiedein coloro, che quanto piu pretendono auanzarfialle sfere, tanto più s’infangano nella terra^ Ti prometterei di farti vede re vn mondo mióuo,più niiouofdi queliodel Colombo, (e dalle {calcinate, e dirute pareti non fi difceraeife l’an tichità. Potrei dirlo nuotìo, mentre non è momento, nel qual I'human penfiere non folleui nuoue machine, non reftando maifatia la-cupidigia humma.Afatora emm cupi-, ntusyquo malora. venerint,hlciò fcrittoil Filofofo morale: ma ètempo horraai di rauifar, quefte caftella. Adamo fu il primo à gittarui le fondamenta,follcuato à volo da colui, che à fuo corto erafi imparato à ferpeggiar la terra. Vn ferpente'fu l’Architetto, cheinfègnòll modo di fabricar nell’aria,sì perche haucua egli misurata là diftanza piombando al centro,sì anche perdaradiuédere all’huomo, che il voler volare in su, èvnpoifaffi qual ferpe còl ventre à terra. Et dnm vult effefublimtory ftt wnijfior^QOsì pal la Sant’Ambrofio.Il penfiere,che per anche non s’è mudato dal fango, come cofa graue, non può follcuarfi fenza gran peri colo di rouinare. Se s’adunafiero tutti iventi fauonèuòfi.del mondo, non potreb bero mantenere à volo vna rtatua di terra . L’edificio d’Adamo tràpafsòleregole della matematica, m entro folleuoifi al par dj quello del diuino Architetto,«he non foggiace à miiurà, eflendo egli la prima regola di tutto i’vniuerfo. Ma non me ne marauiglio, perche i Principi non s’appagano d’altra altezza,che di quella chcs’auuicina alla deità. S'aggiunge; che hauendo per compagno vna donna, che tiene alato il ceruello, non fe rtarlo à ri ga Omnium libertatem dejìderant, dific Catone delle don ne,
In Ària/ c
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n e , le quali fi vantano con la bocca d’Euripide multerei fumi* ad bona conftliapaitperrimx, malorum- antera omnium artijìcesfapientijjìmx. Non mai Phuomo pensò all'edifi cio ditali camello, fc non doppo formata la donna. Ma veggiamo 1’idea.Vnficut,più fuggeuoiedell’aria, ful’i dea d’vn caftello formato in aria, dico meglio, fu l’idea_* della routna, non dell’edificio; Il ferpente era madiro di cadute.Convnfarò limile all’Altiifimo, fmantellò egli la fua altezza, e con vn farai limile à D io, folleuò l’huoino per farlo trarapar tra le beili e. Pensò Adamo fabricar vn caftello capace d’vn mon do dipo fterità, ma nel rouinarfi cìafcheduno reftò ©pprelfo da quelle pietre,perche; Omnes in Adampeccauerut\ ma chefla caduta dì sì imifurato edificio,che doucuafuilire ogni humano pendere, folleuò maggiormente le brame de pofteri àrinouàr quelle fabriche. Non è eeruello nei mondo, che non pretenda vn cafone nell'a ria, non auuedendofi, chele teftuggini fono folleuate dall’Aquile , ma per ciìer precipitate . Fu chi caualcò rHippogriffo per la conquffta del fenno d’Orlando ; ma fioggidl ciafchcduno vola con penne d-Icaro per di leguar il proprio ceruello nella campagnà dell aria. Qui mi fuolacchia vn dubio per lo ceruello,& è; Se il mondo aereo sia più popolato di nobili, che di plebei r3 Sento refpondermi che più di nobili, perche quelli, hauendoipalaggi alti nella terra, di leggieri ponnotra ghettarli nell’aria, quali che la natura,e la fortuna gl’hauefiero pofli in alto,per farli più atti àqueflo volo.Hono-
ì;um amìitiOiCjiiAfoletjlimuliungere nobilesnaturali qttodam w ^ J a f c iò fcrittoilTolofano. Mànonvi mancanoalrrefi i Plebei, come quelli, che pofli nel centro, con più v iolenza fi sbalzano insù. IldefideFio è come Anteo,, che.
i zo
Ca iteli!
che'preàcte più forze dalla terra della mancanza. Si diaad ogni modo il primo luogo à Grandi, non so fe perche auanzano gl'altri da gl’homeri, in $ù,ò perche più lordi conueagahauer impiumato il ce riM o , come nati fuor del nido delle miférie . Ogni pendere di co ttolo forma vn coloffo, tanto più efpofto alf Aquilo ne del precipitio, quanto più lontano dall’auftro dello virtù. Quanto meno il grande sa regger fe fteifo, tanto più vuol erger la fabrica dell’ambitione nell’aria. Semr pi e i Fetonti bramano trattar le redini de’caualli del Sole.Ecco colui , cheeifcndo come vnaftatua per la man canza della raggione,s’imagina hauer raggiane di feder fu’l trono, quali che gli baftaifero i raggi delle ricchez ze per farlo creder fole di virtù. E pur infegna San Gre gorio,che Prmceps non debet dominartifed ratto. Eller fcruo delle propie palfioni » e pretender eiier fuperiorc a gl’altri, è vna fpecie di mattezza, che ci fa fp.erimentare veritiero il detto di Tullio Portunam infmam effeperbì-
bent Phylofopln. Farmi di vedere vn gabinetto fegrcto,mà lì letamina to dalafciuipen(ìeri,che quanto più parche s’allontani da gl’occhi del mondo, tanto più fa fpettacolo delle fue diifonettà. Le veneri non mai feppero nafeonderlì à gl’ Arghi.Qiiefta è vna ftanza fabricatada mille impudiche imdginationi. Dal campo di Cerere coltiuato da gl’ori, e da gl’otii nafcono biade di libidinofe fantalìe.O quan ti eferciti fquadrona la mente d’vn felieitatoper gir alfa conquifta del vello d’oro d’vn’aurca chioma. Helena non Uà fecura tra le fpade de’G rcci. Il fumo della fucina di vulcano non può nafeondere à i guerregianti penfieri, le Ciprigne. Quanti velfilli fi perfuadc piantar sù le muraglia dell’altrui honorefdi quante cartella di caftità . .. 5 v s’ima- ‘
In Aria.'
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s'imagina hauer in pugno le chiaui, intrometteadoui vn Afino d'oro ? Mà o quanto farebbe forbito quel gabi netto , fe ad vfo di Scipione Africano cacciate via dali’eifercito de’ luoi penfieri le diflònefte imaginationi,che rendono immondo il campo della mentc:ò pure fe la fa esite d'Alcide nel dare sbaratto al li pigmei de gl’impuri penfieri, e lafciando di fabricar cartella di fango , edifi cate iolo palagi d’honeftà con Alefiandro, e con Annibaie >che vittoriofi non vollero mai trionfare dell’altrui pudicitia. Vn grande à cui è data per compagna la feli cità nella terra, negl’agi del corpo,deue anche co' pen fieri d'honeftà renderfi beato nell’animo, perche come dice il Santo Prelato di Milano . Totusfpkndor honefiatts eJiyVt vitam beatam effeiat tranquillaas confami*, ^ fx-
curitas innocenti**
Crefce poi à difmifura il loro cartello , quando conpenne di tirannide s’infinua fuor dirigha il penfierc Queftoè il fabricare su’! dorfo degl’innocenti. Quefto fon torri fabricate colle ruuide pietre di malnaggi cofiumi . II perfuaderfi di porre il giogo airAquile,c di ca ricar di qucrciuoli le fpalle de' letterati, è la galleria del le più vaghe pitture, che porta dipingere vna mente ti ranna . Il fantaftkare oppreffioni,ed il penfare di p o rro al torchio i fuggetti di fpirito,caaandone il fucco de’ fudori,è vn dar vn quarto del palagio al boia . O mifera conditione de’ nortri tempi i O Dio, e perche ilgrando non hà grande lmgegno nel fabricar buoni coitomi negl’animi de’ Sudditi colle calcine de' buoni esépi ? E pur dite Vellio. Paterculof acero rette ciues/ uos,Prmcej,s cfti-
tnusfadendo docci.
Non vi difpiaccia diuifar intorno alle fudette fabriche alcune cate mobili,che fono lo Arabile di maggior valse c i te
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Calldll
te ¿ ’alcuni habitatori. Molti di quelli CoIo per hauer indorata la borfa, millantano aureo calato, periuadendofi, che col hauer da fpcndere ponno ben an che fpandere oltre la righa, la nobiltà, che s’infin gono hauer origine d’Alcide . Quel palagio fcalcinato , che .fi ftà hora intonacando con biacca fina è . di quel maluaggio,che non fapendo,che la vera nobiltà confiile nell’amicitia di Dio, penfa ingrandirli colla vil tà di mille fceleratezze, e pur dice D io. Qui contemnunt me erunt ignobiles. & in vero niuna cola più ignobilita, & auuililcc del- peccato ch’c vn niente Ille nobilis ( dice Crifoftomo)^ dedigneturferme vitijs, & ab eisfeparari. Mi fa tralecolare quella bottega, che à poco, à poco fi và cambiando in palagio, e gParnefi mercantili in panni d’Aras, fantaflicandoiì ingentilito tra montoni di drappidi leta, e d’oro. Ecco quel altro, che non hà fiato d’al z i rii più h’vna paglia, e pure con poche còrba di grano tratto dalla paglia, lubrica monti d’infinuarfi alle ftellc, non ponendo diuario alcuno,tra ftelle,e Halle. Crefce a modo di città il palagio di colui, che sù le muraglia del la patria fonda il cailello della fuanobiltà, Se ciò baliaffe,anche i frutti guafti d’vna pianta nobile farebbero in pregio. La caluezza mal fi cuopre colle chiome altrui. Quello hà buona calcina difàbricar sù la nobiltà della patria,che hà virtù di nobilitarla. Nthilqttidem mihtprobro efi Patria,fedPatria tu, Riipofe Anacarfi Scita à chi lo prouerbjaua come Barbaro.O qui vanno à garbo le cailella di coloro, che s’imporporano il penfiere col fangue de gi’antenati, quali che le piante di rofenonproduceflero anche le fpine. Chi traligna nelle virtù del Padre,non hà raggione di fabricar i fuo vanti nelle mu raglie delibo cafato, mihi tu virtute nobilitai capti, diife
Ma-
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Mario appo Satolli o , e Cicerone noUtiias. w a m & $b pirata riutcmin te definii. Non fono buòni dilegui per quelle caftella 1 ritratti de gFaui farnofi, che fumofi; pen-, dolano in fala,fe non ha pernio di virtù per poterli feguir nel volo Animus altus nobilemfacit,non atrtumplenumfumofìs magìmbus, dice Seneca, I vecchi càntauano afuòu di lira le loro illuftri attioni,acciò i giouani s auezzalfero à fabricar palagi d’ honori coiriraitatioue, c col penfiero, Vilius (juodimitandumjìt difeet esemplo. Non deue ftimarfi Alelfandro chi colle'mani non imita Filippo . Alza gl’occhi à colui,che per torli la faticaci fabricare, compra v-n cartello eretto àfpefe del publico, quelli colla compra d’vn villaggio lì crede vfeir dal titolo del fuo calato,& ingentilirli tra la torma de’ pi ebei.Ma. mira coianuoua ! guarda là: vna caia lubricata da mani donli ciche,che. fonò auùezzc à trattar folo il (ufo,e la conoc chi a.Quello cafone è di quel ricco plebeo,che maritan doli con vna nobile ( che an guidata dalla poiiertà feli fti-infe con nodo maritale)lalta col penlìerc à far paren tado conGiunonc. Veggo à canto à quelle,alcune caftellc,chc fibricaté iii (alale di miftierc rompere il tetto, acciò polla vfeir fabrica. quelle fono le caftella de’ corteggiarci, che affi-, dati da vna buona occhiata del Padrone s’ingraffino à auìfa di c a p ili, onde il pendere otiofo, (abito fi fol.le.ua in aria à fabricar kvfua felicità, non accorgendo.'!, che nellàcorite lì: fibrioano vna lunga catena di fchiauitudinc ; con far naufragare tutte le virtù per far il galante, fi crede qucll’vno d’approdar ben prefto all’iiole fortu nate . Non voglio ne meno coi pendere guardar quel forbito caftclect-o, che difegna quel paggio , che ftn mandofi vn Ganimede, ftàaipettando d’efler rapito, da
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qual-
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Calteli!
qualch*Aquila.Vedi quella muraglia gialliccia, quella è di quel inuidiofo, che fi crede portarli in alto sù i altrui dirupi r ma non potrà hauer foffiftenza la fua fabrica, perche Inuidus alterius rebus marcefitt opmts. eifendo co me la Rana, che volendoli gonfiare, pernoninuidiare nella groflezza i bufali»fcoppia per i fianchi, e feminalc fue maligne vifcere.Qnei camerone doue è dipinto Mar te con fopraucfte d’Aftrologo, è laftanzad’vn corteg giano d’vn Rè di Sicilia, che per far vendetta d’vn moicherino paffotoli per lo nafo>fabrica sù le ftelle, offcruando quando fono cadenti, per dar il crollo al nemico, quando lo vedrà vicino al dirupo. Quella parete ruttai foracchiata è l’edificio de’ traditori »chepertfano tirar il colpo,e non eifer veduti:Se pure non volelfimo afferma re , che foflè fàbricata da’ ipioni confali! di calunniofo fàntafie. Quella danza ofeura fenza feneftra, che par vn ritratto del Caos,è fabricata da alcuni ribaldi, che ago gnano le porpore,à tempo,che non hanno roifor di ver gogna per le colpe più esecrande. Quel cartello di Seiano fabricato volando, e diruto in vn giornò deurebbe far rompere il collo à qualfiuoglia fuperbo pendere,che fantaftica grandezze fui fumo .Cratero fuenatoà piedi d’AleiTandro,e Fauftoà quei di Pirro, deuono eifer l’Architetti de'corteggiani,ondeimparafferoàfabricarnelle valli,c vicino al lauro delle virtù,douenonponno offèn dere i fulmini di Gioue. Il corteggiano ancorché habbia fplendori al par del fole,deue darfià credere (iella bifognofa del lume del Padrone. I principi odiano l’vgualità nc* ferui ; vn foffio del Padrone barta per trarupar ogni coloifo dimaginata grandezza. Se il cortegiano fabrica sù vnfauereuole iguardo, deue pauentare d’vftdisfauoreaole fiato. E c-
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In AríaJ
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* Ecco quel buffone che col geftir trauolto, penfadi fabricar vn palagio diritto rimaginarfididarail’humore del Principe fà /aitargli il ccruello à fabricará vn ca llidio di ftima,vgua!e à quello del Padrone, non hà altra calcinadle il rifo , egl’applauli deglaftanti iquali gli iati'venire l’opinione d’efferdatord’humanità, Facendo rider coloro, che trasformati nel volto dal continuo liuore,paiono tante bertic-Participando tal volta del boccon del Principe, come fe guftaffe ilnettare di Gioue , s’imagina effer nume di corte.la licenza della lingua do na anche licenza al penlìére di fantafticarfi grande,men tre fi vede à Iato,ed à l’orecchio dc’Grandi. II cartello di coftui iiirreb.be troppo fraiTurato(e non fenza fonda mento,merre con verità fi vede hauer dominio iopra del Principe, ingiuriandolo à fua pofta)fe non folle impedi to dal gobbo nel falir in sù. Fiffa lo (guardo del pendere à quel grammatico, che collo feodifeionein mano difegna i Tuoi cartelli. Querti fondaco fu’l detto di S.Girolamo,chc•grnmmatìcorum do ttrina ettampoteft pro/icere ad vita)» , dumfucrit ad meltoresvfus afiumpta : colli fiati de’ fanciulli , fi folleua il eeruello à crederfi norma de’coftunfoe di regolar gl’animi di’rutti „ conforme regola le piante della ragazzaglia vomita la fua bocca Tempre mai paraioni prouerbiofi, per farli Credere vn Seneca ftampato alle tauolette del Sidicino . S’imagina hauer le tempie cinte d’allori, e fi fa lecito d’entrar raluolta nelfagro chioftro de’ Poeti , Si perfuade effer vn grade hiftorico,quando fputa qual che racconto nel fauellare. Credei! affratellato con To lomeo, quando con vn Rutiljo in mano diftingue i tem pi . Al tabarro, & alia barba fi dà ad intendere d’hauer fatto maritaggio colla filofofia ma troppo fuperbo è il ca:
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Caflelli
cartello , qùando iniégnando vn nobiles’ imaginaólmJbiar.W ferula in ìfeettro., non ricordandoli, ò nonfapendo,che più io ilo i.fcettri (i conuertono in. ferule'., S'i va gina hauer vn oceano di fapienza nel capo»,quando per ogni cola fputa dille di,ma. Quella (fatua che- vedi eret ta sù quella colonna.» ò di colui, che filmandoli d’efler -idolo della Pedanteria,al volar del pendere è diuueuutp f a t i c ò ,e lìmolagro di femedefimofin teftimonio d’eiìcr ,vn ccruello di pietra . Vedi quel l’altro, che fa vn panimento.di minùtiflìme breccie,credendoli col difpatarali lettere , e di fillabe acquiftarnome di fauioné per faper difccrnerc tra le formiche,e le moifehe; .Quell’iìlieQ/che rovinando, dà il mufo à terra , e quel Pedante, che cre dendoli laltarsù volumi della facra Scrittura, intoppa nel fenfo, non potendo palfar la feorza della lettera, la quale vccide. I cartelli de’ dottori di legge partano il foffitto di Gju. none,fondati sul detto di T ullio che Omms ¿ex efi donimi Deh & tment 'mpaffarebbero aH’Ernpireo,fe il Portinaio non lor vietafle l’entrata,per p atirai non introdur litigi nel regno della pace, & eifércitandolalor profciììone anco nel diuino tribunale, tentarterodi porre à lungo le caufe, che iui fi sbrigano in vn momento. e veramente quefeitali par c’habbiano raggionedifabricarein aria, méntre ogni Paragrafo lofi vale per polifa di cambio ,. Quel Dottore, che pauentando d’impriggionar il ceruello ne caratteri de’ libri, vola folo col pendere à fabricar inficine con taglia borie , lambicàndofi per tutto co me porto far gir in brodo i beni de’litig an tic tanto và in alto,quanto più accorcia la boria de clienti. Egli (an tartica nobiltà fopra i nobili,quando fi vede da orti cor teggiato . Subito che s’hà porto l’anello in dito penfa^
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vfcir dq.1 circolo del cafato, e faltar lui trono con quel detto Cedant arnu tog£,Va.{fa. il monte Olimpo il cartèllo di colui, che donando vn calcio à libri penili di pattar di grado, in grado alla compra decitoli, /cordatoli àrtattodc’titoli della legge. Credefi taluolta col codaz zo de’client i, che porrà appretto, volare ài comuni applaufi de Regni, non che delle Prouincie. col riuleirlivna volta vna tirata di gioia da far ridere iciambattieri, s’imagina d’allargar tanto l’autorità, che ab bracci il patrocinio del mondo. Quel palagio lubrica to à due porte,è di colui che fabrica con due mani por gendole aU’vna,& all’altra parte. Se d’Allocato patta ad ettcr giudice,e quindi ad addottàrfi vna toga perpetua, fi crede con quella vette pretoria d’efler vn Licurgo, e non la cede à Grouc; & alla fine erge tanto la fua Lu brica, che, rocca poi da fulmini della diuinagiuftitia_,, vien egli condcnnato ad accompagnarli con Minos nel l’inferno. A lato di quelli fabricano i nodari,non mancando Ior agio di volare in alto, mentre portan fempre la penna., all’orecchio. Vedi queH’edificij, che al bruno paiono grotte cimmerie, fono le cartella di coloro , cheallordandoii la confcienza coli’inchioftro, s’imaginano feruirfi delle penne per volare in sù.Hanno penfìere di portarfi in carrozza nell’aria, quando folcheggiando à lar go i fogli,compongono di quattro parole vn volume, da far rompere la fchiena ad ogni lacchino. trouafi taluno,clic fapendo.diftingucre, ed indorare il caos d’vn foglio» comporto da & cererà s’imagina di douer hauqr in pugno Laurea chiaue de’regij archiuij.quell’altro trarupando l’anima dal porto della bontà col falfeggiar le lcritture à beneficio dc’grandi, perda sfila fchiena^. de’
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Camelli
de’ poiieri ingrandirà, ma troppo in alto crefce quel ca rtello , che s’edifica colli fiati d’vn agonizante, quando da nodare diuicne tcftatore, conftituendo vn hcrede, con cui ^antartica diuiderfi il retaggio, Quella ftanza , che diruta da vn lato,ancorché nuoua, minaccia rouina, è di colui,che fingendo di patrocinar le vedouecdi pu pilli, dc’quali dille Lucano: Clandafides mtjtris, penfa di drizzar la Tua caia con far gir zoppi i di loro contratti. Horanon mi marauiglio fe alcuni de’nodari fon zoppi , perche forfè conofciute da Giunone le di loro falfitadi, fono Ìlari precipitati con vn calcio, come Vulcano, per non torre coli’infedeltà l’humano commercio dal Ré gno aereo,per che come dille Liuio : Cttmfida abrogatio-
ne, ontms hurnanafocietas tollitur. S'appoggiano alle muraglie di cortoro le capanno dé‘birri,che non hauendo cerucllo di folleuarfi più delle teftuggini, fi fabricano, come al meftiere, vili tuguri. le fantafie di .coftoro fabricano sùle cafede'plebci, imaginandofi di empirla ventraia, in quelle parche menfe. allora fi credono ingentiliti, quando s’accompagnano à ioldati di campagnaje fc non foife che s'imaginan più di fuggire, che di feguire il loro edificio fi porrebbe à paraleilo deH’Arfcnale. la miglior fàbricaè quella, che folleuano di notte tempo, quando feorrendo per la Cif ra in traccia de’ladri, ò penfano di far à parte ne’ladro necci^ di torre da malinciampati più le borfe, che l’ar mi proibite.col farli chiamare braccio della giuftitia, al logano le braccia ad ogni infidiofo maneggiojmataluol ta cadendo da legni della fabrtea mal fondata, allunga no il collo direi, che le caie fantafticate da coftoro con_, tanta libertà,dir fi dourebboro priggionie, mentre la li bertà non dimora in ftanza fabricataconpenfierimal-
IniMIO
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uaggb#$$? fa «lente v^ga* bonda^he-iolleiia eoloiiì, troppo hcentiofi* feitriga eaj&i ne d’mdiflolHbile feruitùj&bertatis extrema ¿¡centta, t#T ■ Fitiino, , .ì; Npnisè'cornei fpldati vcftit» di ferro ppiTano hauc& nelceré«£o4^nneda,Ì€,^)Ì^i’siVPLJ^>?f;,‘l perfuadonocolie penpe.j che portan.fu’l cimiero, e perche il ferro nellc-.fiettci.fi vede volante. Il foldatO col feminat la terra .con Aie membra,uellhnaiAarlacol fangue.penfa mie ter palme, làdòue raccoglie ferite, e fparge [angue, per mantenere fa porpora altrui , •tornando i cafa^òra manco d’vn braccio, borapniu> dVu’occhioper^OnA -hauer faputo ne ben vedere,ne ben menar le inatb$ur$ tràquefte. difgratie ; fantaftica grandézze ,;.;credpitylp/l «eijxoppicare vn.Horado.neUa pri«aflza?4# » . d?ika>:ÌÌ paUoneggia d’eiler ynò Sceupla Snella 3 ellifario,e neH’eiìer vicito per forte dalla jhdchia à gabokuate s’imagina hauerla fatta più.iche,da Curilo,ch§ reft.ò nella voragine.ma il ca ftello che vii fuor di regola fi èil crederiì vn marte,: quando è vn coniglio veftjtp di ferro, & yn.àdcpre coucrta di maglie , e qual doraci* vanta, :irhaufii;pefito: Rincontrar Ìa.;#ort? »•.: c^n'dflA fpauenta di vederla anche dipinta parrebbero degni d’ogni plaufo i foldati, fe'lafciando di .fabricar cartella eoi pcpAer.e,quagdQ le nvembra dormono nell’otio, ve ramente s’aguerriifero imaginandoftral bora Ja palmari impugno,quando vi portano sfodrata anche, la ipada_ ; mali menar le bàlani neMadrooecc:i,ed in guerra menar le gambe, non p.uò portarli .alla gloria,. Vedi talun o di cui s’auuera ii detto di Lucano,»«//« uell’altro di Seneca,, , , R 6 f i d e s , p i e t a f q \
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- Cartelli.1
*gere\ Invaginarli di far il gentile in piazzai d’hauer no bilitatoli calato foto col portar li guanti di ferrose I’animodi pèlle d’occigna. Ma la maggior matteria di cate na è di Colui} che 'cingendoil capodelle frafchedi Bàccò, fel’liiugfna'Ciritd di coróne » e toccatido più il iìrffcofehé ilitaRtìbUrròlé ItiitixUtìàbajpenfa appiattii di vie* rorlofo.- cHe portando alato Vna-venere crede fùria da matta i èheféi^tkfó vn< Ganimède penfa di fòlgordggkrtóme'Gióuèirmahè^iàndo con Ercole il fufo,fantdftiéii'àbarag.liamèHti dWerek>}ché vedendo là goti-“ ìfóSPÀehille s’infíriga vcitìto dVisberghi,e dandocoiL». Agamdnfióneoel ferraglie, penfa ferrar in pugno tutte lè'P'aìrne.mira là quel bizzarro,cbe couertodi fcarlato, pt'étèiàdeiciie èiafcheduno creda ^ardore, che li brucia wcfpéttb ¿iHdkiáftfb? bèl Volto ,-e nelle vedi j portando: sd^'cápO;di pitúne indiane fóltiifima fchiera, vitóle dar aádtíteríderi?} Che i fuoipenfieri hanno Tale per volare.» alle guerre. Cadendogli vaga capigliatura sùgl’ocehi , vuolfar- credere ogni fbó fguarefo boralcofo ; appog¿iatído Fá mano airdiC della fpada, vüol palefare che il féfe'Spugnarla fiala (quiete della fuá delira. Portando piede ga'mbe guéi'nimenti di peliédi morti animali,vuoi dìmoftrare,cheik>n5à mouer palio fénza apportar mor te; & cflèrido feruito nelpiede dà vno fprone, vuol per ogni, pedata cííét;conofcíuto homicida >menrrehà per feguac# virò- ftella'd’acciaio. ' (>)- - •' * Veg^o alcuni, Che fé bené colle loro bizzarie fàntaftìcano cadélla incantate,e ponti di Rodomónte,riman gono efclufi dall’aria, mentre li li deue la danzaò tra le beIue,come d’animo ferino,ò neH’herebo,come elferci* tati in diauolefco mediere fono quelli i duellidi,i palagi de* quali,ancorché paiano fabricad in aria,coi vero non* ? • partono
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p'artonó dall'inferno. Quelli cali ttittéigiomò jf-efercitr aonel giuoco della fcherma,acciò premeditando ì col pi,imparino a morire eoa artificio. Gra» libidinedibeitialirarihidianodifar giungere per vie precipitofe,iIvi~ tupcrioaJla glòria, adobbldo {’infàmia ceglamefiddl* bramirà. Portati gl’efeinpii de’gnmdfiper amenrieareeos. «le gJoriojfa,la loro ferità. Ricordano vii Giulio Cefare > che non hebbe à vergogna difeender nell’arena de1 gladiatori,ma pur dourebbero confeSar,ch’egli fueigo:gna{Te,in quel brutto meftierc k dignità imperiale. R i chiamano alla memoria vn Gommodo Imperatore, che pomparfe ¡gladiatore ignudo nelHAinfitreàto, irmafe* -quelli riti ambinolo di guadagnar.quella palma,'ailàqua* le. s’afpiraua per liberarli dalla forca » fugli dal popolo Romano impatiente di veder auuilita lamaeftà di quel grado, apparecchiiitO'.v« laccio, col quale rirtiafeAran* golàto nel letto.. Vorrei hauere ringegno,r<mdrgia,& H fapcrcdi Tertulliano , e di iSzGipriano per iaet taf comi penne Africane contro à quefib efe.crando èfeirc£to:Mi+ rate, che pazzia! pretendono, che la ipada fiail giudiccà delle conrròucrfic, quali che,là legislatrice del inondo lia la violenza. Trattengo la pertnaiphers’aguzzi all’ia-* uctriue contro qtibfifi rufìelli dtOioy 'Àntropofìgi della,! nobiltà,c la riierbo penvn trattata ipartxridie: idiicopri» ràdi vituperio di queiti irratiopali tròfeiidi cjuefte glòrie vililfime,di que te frrauolrure degl‘humani ceruelli.pèfn turbati da ogni vaporetto yagitati da ognioccàfionbVdibhiaraW o^’hiidnà»t-priuÌTdi!firnt®nc<^jR^i-cheJ dimoftranopiufénfitiui 1 :0 .il tri/>£;!> dfàb c nitfo^sbkd Et ecco tutta feruptjlofa Giunóne; ò-efadcfica elTeruI Ecclefiaftici, e muniÌteridiRèligi.oirndi: fuo nipoldoiaes reo. O quanti, di elfi 3 che deUQncifijÌarJa! àicatdall’ein--» R z pireo,
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pireo i’<li leggieri rimahgotio à patteggiar per le ftradeJ cìcli’am ' ! Quanto più il corpo fi vede tumulato tra •quattro par eti di' pouera'cella, tanto più il penficre vo la- di iùorr ;t iat?ricar ricchi palaggi néllkria: quel capo, che .dentro lyna cocolla i fembra di bambino hà penfieri così grandi5, che non la cedono alcoloifo di Rodi. ma_. pure: bamboleggiano. perche a guifa di fanciulli fabri* cano diltruggendo. Ma che diratti di coloro,che corno adulti portano dalla cocolla libera il capo ? oh quelli fi, che edificano da iennno* e per non gir fuor di riga , vi portano vn berfettino à figura triangolare. • E vn cartello fenza fenalhe quello di quel Prelato j che dóuendo per detto di Zaccaria elfer occhio vigilan te, và fantaflicando iolo di fonneggiare qual volpe, nel luogo aprico di quella dignità , donandoli più follo ai piaceri dclicuore,che alla veglia del choro.Milcra con ditone dicòlui, che doùendo c{feri'Aigo,ròri che fi palefsrebb&vh ciel flellato ; s’imagina di chiuder gnocchi in' placido ¡Tonno, nello Tpumacciato letto, che penfa ef ferii' apparecchiato da quell-vfficio :che.vien deferitto fotto cifra dì fitica,non di Tonno. Non: hà foggia di Li ceo, ma di epeina, queltaftanzaiabrioata dal Superiore, quando dbtrendorilludiàre di^aTcer brfua greggia.di fa-; gre dotmne>ftudiaperlafua;gola;drquefti parla minac-; ciofameiteeipzlieccbièllot V^hP^Jlorìbas quì'fafcuntfernet Ìp fa Jy )U V . -! 3 WJl0 itfiTtt y >0f>ib,^" sfidi ; Che diremo.di col ui,che appena folleuatp vn palmo da terra^ ^inaagina'di -Tdkre à porre il cddiore fottcril baldacchino delle dignitadi. Colla-collina d’vna picció-* iaantoiicàiìcredegrganteggiffl^e per impadronirli del cielo deglrhatioH. Non sì tolto-li vede appreffo vn codazz’òidifuddici, che fantallica di portar dietro le.fpalle <oOÙq 5 , la
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la codaVefcoualé ; è diuenuto Camaleonte il penfiere, hora fi perfuade d’hauer l’ammanto fiorito à color di viole,hora à color dirofe. Ma quello penfiere è l’Auoltoio , che con piaceuol roftro continuamente gli rode il cuòre ; onde dic!a Bernardo, o ambitio ambiiienpium crux cjuomodo omnes torques, omnibusplaces, Egli perfuade la fua felicità col penfare à nuoui honori, che glauuelenano i ben i prefenti. Cupidusfxliatatem fuam nonintelligìt , qtita non nude venent refpiat , Jedquo tcndat, diflè_» Seneca : ma non fon quelle le cartella, che donano sul capo à fudditi, le breccic, che lor diluuiano adotto,fon_. quelle con che il Superiore fabricaàlor danno , e co prendo la paffione col manto del zelo, ed il liuore cogl’addobbi dell’otteruanza >alzano vna torre di tiranni de,donde caggiano faifi di difperatione a’ fudditi. Nou_. voglio dar licenza alla penna, che ferina quel tanto, che gli detta la mia mente, pèrche non voglio > che quelli fcherzi degenerino itvdeclamationì,. e fiano {limate fatire.;, qualora il vero haurebbe faccia di faTfo, horsìi fi tac cia per non tacciare. Io vorrei, chele cartella deSuperiori fodero compo rte di legna d’oliuo, :imaginandoficfser egli vn nioftro della virtùi Cioè vn huomo colle mammelle piene di lat te materno, i tanto gli perfuade San Bernardo. Bel penfamento farebbe l’imaginarfi eifer la ftatua di Cerere, che paia», vn Briareci di mamelle per la pietà* Edifichi ; alerei! v n i palagio di tanta altezza-, che non vi fi attraccipp nuuolc di vuol fabricare cartella in aria nunolofa per le fué colpe, fina che i fudditi idolatrino il peccato , perché come dice il Santo Papa, D
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tetfditur ; f nanfa prò reuerernia irdtnis peccdtum honordtur. : ' L J ;. Ma quai faranno le cartella de fuditi ? le membra Se guono la guida del capo, non può volar, la teda fqnze le membra, fe non è recifadalhuftó. Ma troppo vadungi dal bullo quel capo,che fabrica tanto in alto,purci fog lietti lo fieguonojl’alefon collocate negl’homcri; quan do il fuperiore vola lontano,ilfnddito fa delle fuc. E vn cancro che non può hauer figli dritti. Cumvidenspopulum indifctpltnatum, & irrdigtofum,fìtte du'bto eognofce\ rjuùdfacerdotium cius non ejì pintttn, pronuntiò ChrifoilòtìlO, à Vedi là quella piramide> che folleuafi in sù ferpeggiando ancora in terra con arte di matematica, sudi quella,tabi ica il fuo caftcllo quel fuddiro, che fantaftica difpreggi contrail fopcriorc . folta tal volta il capriccio al piede di farfi capo ¿e ia vedi fjnifurati còloifi mifurati co piedi di gigante. ■la fantafia vuotali fuoteforo per tal edificio <s’afiblfàno con tante fregolate regole l’imaginationi,chepar,chefabrichino la torre di Babele. Hora fi perfuadc il fuo fuperiore impaniato nelle colpe, al vifchio delFaccufe;hora anuolto nelle trapoledclle volpi dcgPamiei finti; hora caduto dal pofto acqftato nel còcetto eomune.hora vicino al dirupo d’eifer deportò cofFaggiuto d’vn inarte togato : E ic Iddio, conforme in,, quella torre confusele lingue, non sbaragliale le faurafmc ; piantarebbero quefte cartella fidile rolline del loro Prelato ; Veggio incominciare la muraglia d’vn.., giardino, queftoe Fedirtelo di quel bue , cheicòrdjitofi del giogo, che volontariamente fi pofe al collo, s’imagina goder le frutta di variiluiìì, lenza folcir la terra», «.©H’aratro dell’vbbidienza. e fe il fuperiore crede d’hauerlo
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wcrio porto nel cartello d’Atlante, egli sintagma hauer le penne di Dedalo per liberarfene. Chi non darà nelle rifate per quella maggione, c h o fabrica nella fua cella quel irà Hipocrita ì quefto è vn edifìcio, doue l’arte haue fmarrito l'artificio. Egli finge d’effer ceftuggine.non mai lafciando la fua cafa,ma pure fenza l'aggiuto dell'Aquila fi porta fino alla sfera del fuoco, e con penne di efterna bontà crede volare ad af fratellaifi col fole. Alitando fuori, al faltar del cerueUo » vna certa profopopcia( propria de fpirituali moderni; vuol elfer tenutojcome huomo fuori del mondo,e vuol inferirli in tutte le cofe del mondo ; anzi vuol metter legge à quanto fi fa nel mondo, e come difle il maflìmo tràdottori:#cauerniscellularum damnantorbew.CoIpallon di vento che butta à.terra col colpo di finta hmniltà, s’infingetrapaflar ogni merito . S’imagihi ogni gran dezza a fuoi piedi, e vuol darci ad intendere, che calpeftra con generofo rifiuto quel che non può confeguire ; fatto prodigo di quel che non può poiledere, Qijefti è quel Rè fìnto,e feruo da femàò,ma non fente cortili quel tanto gli dice Socrate iPerfiJfuram paiitf itti video tuam marniatem, fatto le.vefti ladere, e rattoppate nafeonde vn animo pieno di pasfìoni. Mà s% talménte dilatata quefta perte del fingiménto, che n’è infettato il mondo>>non che inmnifteri .Ogni vitiofo ancorché fia vago di diifoneftà, brama pure, c h o con nomi honerti fiano batezzati i fuoi vitiùonde fu vo lentieri afcoltat© il voto d’Afinio Gallo, perche feufoua illuffodi Roma; attefopiaceuaàquci maluaggi opra re com e PaCferi, & effer lodati come Tortore ; hauer il midollo d’vn mirto lafciuo, e le fronde d’vn cailiflimo alloro i hauer credito da Ippoliti pudvciCfimi, e meriti di
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lafciuiifimi Ncròni. O quanti iono,che Ctiriosfirmimi, baccanali* vintitiche pretendono abbandonarti à tutti "li. abufi della fuperftitione,e prender pofcia glihonori folamente domiti alla religione;tener fempre l’vgne,& il bec : co alle carnificine come auoltoi, e voler che li ragion i di loro come dell’vccello di paradifo, che mai toccai terrajnon hauer di marte fe non la rete, e pretéder come Marte i tempijjhon hauer d’Èrcole fe non la conocchia., e voler come Ercole l’imagine in cielo ; eiler fiolidi .pili d’vn Terfite,e voler ne’ teatri le ftatue come Piarono i in fomma conchiudo con San Gregorio , il vitio n e llo icenadiqueftomondofuolefarraafchere , .veftendo/ì degl’addobbi della virtù. Sape vitiafe ejfie virtHtcs mentì-. untar, quelli tali,giuda l’infegnanza di Crifologo,colta moneta coniata col marco del regno della diuinità,com prano gli piaaS del mondo* De dmirn credito htmamm
ncgotiumperficiunt.
Fidate lo fguardo à quefti negotìanti diabolici, checon falfa moneta diparadifai traficano opere d’mferno.i òquantoè-vero , che nullumefi vttiumfine patràcimo^ Andate da quel Principe, che burnendo Sahara fatto da Aquila coliTiangiariìle polpd de’ vafiallj. , non lafeiiu. adeffo farla da cane con rodergli Inolia, che auanzanojo ditegli vn poco » perche voglia da5fuoi popoli più di quello, che lì deue,che vi rifponderà,che non puoi faro» altro in confcienza, perche così richiede il buon gouerno del fuo ftato. C osì quello federato Volpone d’He-, rodejeuoflì d’auanti il fantiffimo Battifta,che rimproueraua i fuoi adulteri;', e voleua coll attriftarfi dar ad incen dere, che lo faceua per non eifere ¿pergiuro, il che notò Girolamo: Conturbatus eftfropter ius iurandum:ficclus ex* cujet turamento , v t finb occasione pietAtis tmfim fìtret , So-
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Sodisfa il fuogufto, ch’era di dar guilo alla ballarina,«* iamoftrad’ofleruafia legge,che comanda, che s’ofser, buio j giuramemi. Andate da quel Giudice » che fauoriiée:tluila .patte, ;che più li porta, che i otto la ragadi <Gatóne pòrta nafiofto il faio -di Celare , echehanno Tempre con lui potuto più i raggi deH'oro,che le rag g io ini del proceiTo, ammonitelo vn poco, che fubito vi dirà, che non puoi far altro in confcicnza,perche così vuol la ;gtpftit!Si jccAodate da quell’Auocato, che patrocina l o ■caufeingiuitac che dotato da Dio di grand’ingegno, fi ferue.de1iplendofi del fiio intendimento, non per far lume aHa.viifità,ma per nafconderla, e facendo apparire il nero per bianco,fa che l’ingiuftitia trionfi; correggetelo Vsii poco,che vi‘ rifpò.nderà non poter far altro in cofcien .za', perche così .vogliono le raggioni del fuo clientelo;. Andate àqufcl mercante, & à quello ardita,e diteli,cho -vada con più finccrità nelle robbe,che vende,non cantò mifurato nelle miiure, non tanto pretiofo nel prezzò, vi . rifponderàsche non puoi far altro in confidenza,perche ¡così richiede l’intereife della fua bottega . Non voglio mandanti à Corteggiami perche non finirei mai,& alliu. .fiiie non fentireifimo altra rifpofta,fe non che, qui nejcit fingeYe&eftìtyim*.-, Aggiungendo,che non ne poifono far di manco , perche radulationéfè la febre etica de* Principi. AdulaPioperpetHumrnalumregurndfife Curdo, .e chein quefti tempi depravati-*chi non maneggia que sta profdfionedòrtifee ticolo'ò ¿'ingrato,« d’inuidioio, òdiiuperbOiCpfasdeploràta da&Gfiolamo: VJttum ddn~ UttOMfMMtiókMifiìocQ ditùfur, it+gfìiy vt qui M uri ni fe it ant imdus, autfuperbuirtputetur . Et aggiunge Saiu Gregorio Papa,fiamo in vn mondo, che anche nell’andcamere de’ cattolici loft ode le gherminelle, elefintioui S fono 1.
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fono chiamate da Corteggiarli ccrcmomei èco rtcfiò l Mtntisfermrfitas, vrbanitos vocatur , e chi vuol far rac conto di tutti coloro c’hanno il volto di colomba, ela^ mente di conio, 11parlar di Catone» & il viuer d’Epicuro?-M aphi negt# pptrammi , che tutti quelli tali fanno di continuo caifeilt in aria, mentre fono tanto amici del la vanita,e iludioii della bugia ; Diùgunt vanttatem, cfn.trunt mendacìum. Non vò trattenerui più con q u ello mal nata gente perche nón ho foffèrenza'baftante per non farmi Grappare quella' partenza ch’è degna d’ognt impatienza. Fuggi da coflofo» òpenfiere perche cornea dille Seneca : Cum bac ontniacaucrtsfcrornamentafcrìe^
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Si volga lo fguardo à quel caftello, che per ogni par te a luogo difendine fporge vn vetrone dilegno»cho ibmiglia ad vn Pulpito, & eccoti! if fàmofò palagio d o ¿Predicatori, che anche quefli formano quelle vane ca b i l a .. Non parlo de* gro/Tolani di Galilea Principi, o maeftri del mondo , ne di quei che con cuore ignudo d’ogni interefle feguono le di loro pedateana di coloro;, che cercano d’empire pitti banchi della Oncia »che l o Sedi vuotedel Ciclo* chiamando le gentfalarpiatiloà luti non a conuertir/tà Dio, & incorando lefpine d e llo diuina parola, peniàndo didouergfi Germogliarero/o d’honori appo coloro ,che vogliono fontir la predica in forma d’Aprile,non in fenabiaozad’nfuernocoll’afprezze di feuere ripre-n/ioni . dì^hcfli diife Ambrofio: Ftdem
Chrijh obfenrantfptendfre verbàrumjtantl 'nonipfafed ipfi laudentnr . £ come riori diremo, checo/lórofabricana nell’aria,fe lì pafeon d’aura d’applaufi ? Quella parerò declinata, clonile, perhauer pochilfimafondamento, è di colui,che con fantaftice bizzarrie,fi crede volar fopr» tutti
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«utri coloro,c’hanno il ceruello fopra la fronte. Hò but tato il cappello à terra nel voler guatar l’altezza dell«., muraglia di colui,che con fiati popolari s’imaginaelt vo lare a farli il nido in tutti i pulpiti della criflianitìQuert* è vna profeffione , doue ciafcheduno penfa Capere più del compagno, e fi gonfia per fentirfi dire bene, bene, da coloro, che non fanno perche dica bene. Dicciamo il vero,quella è vn’arte molto difficile , perche difficile tfi.niHltis taeentibus vmtm l»qui%e ciafcheduno fi confola colla màlageuolezza del meftiere. Chi taluolta oppi ef10 da vna tegolata congerie di parole,per non faper effcr buon pappagallo,reità al meglio,sù quello arrerto di lingua, erge vn cartello d’eloquenza, confolandofi,ch«> anche Demoftene taluolta chiufe la bocca. Chi non è chiamato à città fàmofe,attribuendo la colpa, ò alla po ca conofcenza della fua virtù, ò all’altrui liuore, folleua 11 ino cartello,con fingerli i meriti, e negatigli i premij. Quella è vna meta, oueogni ceruello zeppo, corre a gambe leuate: Ma chi non riderebbe della muraglia., icalcinata di colui, che con gefti di fcatozza agogna ap plausi di Predicatore, c credendo di farli arriderecom. far ridere, per lo troppo fale fa feiapita la viuanda, rìdimiafermane tumquam[alenarci 'vtendum ¿fritte Socrate. Cicerone elfendo flato fpetrarorc d’alcuni giuochi fatti da vn Tribuno fuo amico ditte:///* mamuìs ridicala efsety lame» mibt nfumnen tnoucrmt ; & alsegnò laraggiontJ: Cupio amicuminTrtbmatuphirtmum granii&tts habere, Ciafcheduno inferifca quel fi deue dire d’vr» Predicato re, che è mandato al mondo da Chrifto perfuoambafeiatore : Pro Chrijlo legallonefungmwr, dice San Paolo. Quella ftanza luminofa, perche è tutta sfenertrata, è di quel tale, che colla fua predicatione fa luce àie fletto» S 2 non
v?4 o b a tte lli non alle tenebre del caluario.Che fi vuol fare! fiamo itu» vnfecolo, in cui ogni Ingegno afpira ad effer iftimato fpirùtoip, quando più torto chiamar fi dourebbe fpirita{Q,mentre gloriandoci de’ fuoi fpiriti,par chenon fpecoji benePingegnode non fa parlar male la lingua,non,cu rando rie le regole dell'arte, neia proprietà delle paro le , purché fpiritofa s’ammiri la compofitione ; la qualo come piena di fpiriti, è forza che fen vada in fumo,deger nerando in licentiofa poefia . è arriuato altrefi quello {concertato. bulicame d’ingegno à tirànnizar le menti de’iagri dicitorijonde par che alcuninon {appiano Spie gar la verità, fe non l’infrafcano con mille fauole,e piacciaà Dio,che non fi poifa dire,con mille errori.O che infopportabile fciocchezza ! penfano alcuni di non poter raccogliere plaufi, fe non dicono ftrauaganzc, che con finano coirherefie. E chi aon dirà, die agni volta,che^ parlano faccino cartelle in aria, febanno così corrotta., la fantafia,ch’è di meftieri,che refti fofpefa in aria,per no faperfirifoluere. Veggo là alcuni, che fi fanno chiamare Accademici, che montando sii il Pegafp con ale di: formica^ con vn_, fonetto, ò per meglio dire cdn quattordici verfi., fiperfuadono di botto volati in Pindo,à porre datile.gabelle a gi’habitatori di quel paefc. Acadeuio non Ila più luogo in A tene, perche gli vien tolto da quel più bello, c h o buono ingegno,che nel luogo ombrofo, e feluaggjo del fuo capo s’imagina hauer piantata vn’Academia intiera, quando legge vn’oratione ragunaticcia. Vn Ganimede, che poco fi fu rapito da vn’Aquila à porger la tazzaà Gioue,con ma compofitione prefa à preftito, ò .con diftrezza rubbata, credefi cambiato in Aquila,volgendoli qual vipiftrello à i raggi dd Sole.Ritrouafi taluolta vna_*
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zanzara di tanto faftidiume »¡che volando:à gi’ occhi di ciafcheduno, con vn libretto di ver fi compofti à cafo, perfuadefi d’efier ammirato per Cigfio »pèrchéhà fatto irrider il torchio , quali lagnandoli d’eifer ; letaminato cl’vn’incbloftro così fdruccioleuoJe^ fuli’ale del vento folkuafi quel bizzarro,che non hà pcranche ^lutato da lungilviiciodiBidelio, es’ìmaginamoderar l’Academia.. Lo,darei la tumidezza di colui,che con fiati dell’al trui adulatione fi folleuaà crederli vnnuouo Apollo , faptafli epodo di cambiar il £uo palagio in Academia_ , come Tullio vi cambiò la fua villa. , f e il penfiere non foife leuato in alto dalla Borea di vanagloria, non dall’auftro dell’amore verfo la vimuma quei che fi voglio no dimoftrar Aquile folo col condurre «fanciulli all’Academie , quali infegnando loro à volare, panni che com pongono palagi fenza feneftre d’horiore. Credefi quell’altrodi (aitai-in alto, quando chiamatila trefcamrilro fcoìtumanze di parlate, e. cornali retante metafore arifchiatiffune,volendo folo col tabarro nuouó,elferdimoftro i dito . Mira quella, gabbia, nella quale Hanno af follati molti ciu.ettqni rimalti eflatkip.er la marauiglia^, quella è kcafa di coloro', che facendola da Pappagalli, e:daGojaacchiea'.ecitaridoiverfi altrui, iberedonoxiingannar la villa à chi manco sà, e darft ri vedére per Ci gni volati dalla falda di Parnafo. om. ••sii.::' . A quella colla , che fi faheua.fino àl fecondo cielo fab^icano alcuni, che vogliono eflér creduti oratori . Saltano hoggi dì certi DetOalkmt incampo, e tutto che habbiano la lingua tra le forbici di tento foiccifmi, o barbarifmi , pure fanno faharei’inaaginatiua fino M io Belle . Più tofto chiamar fidourebbero-Aratori, chiù, oratqri, mentre simaginano feminar quella eloquenza »
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che non hanno. © come fabricain fecco quei tale,elio con vn diluuio di parole, e con vna goccia d’ingegno, fi perfuade farla da Tullio.Trouafi vH’altio,chenonfapcn do tirar auanti il difcqrfo, fantaftica effer va Saluftio nel la breujtà. qùell’alrro col parlar co rto , e da Laconicòi allarga il penfiere à mille pretendente, peifuadendofi hauer vn mondo abbreviato in bocca,penfando eglinó meno di comprenderlo con tré parole,che Iddio lo man tiene con tré dita.Non c così craffa la calcina di quel ta. i c , che volendo emulai- il bue nella maturità del dire, fi penfa effer vn Grafio > talhora che la magrezza de’ con cetti fa palefargli l’offa, colla profopopeia del dire,crede hauerfi fatta vna baie da riporui la fua ftatua per lafciar la memoria à porten d’vn dir tanto grane , che par di marmo . Eccoui daquell’alrro iato vn cartello di gbiacciojquefto c di colui,che infiammandoli troppo co’ pro pri) fearhpenfa di volar sii le fiamme del fuo ardente pk-» lare,à cacciar Antoniodal porto dcgl’cloqucori. Quel cartello à trequarti (lafciando l’altra parte per quando hauerà miglior idea per formarlo)è di quel oratore, che appena pur vna volta ha riceùuto applaufi peranìmario,comefifuoliàrc à fanciulli ch’incominciano à cami nare, credefi fra poco co’ fuoi humoridouerdarsù gli humorifti di Roma. i r ^ Veggonfi intorno alcunecelletre diuife, che fareb bero credute fabrícate dalle pecchie, fe non follerò tan to amare ; quefte fono le capanne d’alcuni Academici modernijche pretendono farla da tanti Cipriani, emu lando più torto vna Vènere in Cipro , che vn Cipriano in cátedra. Si ritrouano certi Gufi,iche han porto per ho ra le penne , e penfano auanzarfi all’Aqufle, e paffar il ioffitro del Sole.Nó fanno ancora come fi perfilada l’honefto,
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nello, come li dipìngano iiuagini di gtuftitia negl animi > conte lì p.ofla far credere il vero in vn mondo pieno di menzogne ;con quai Iproni fi delti vn’animo licioperato d&bfftQfttiofoierargoicorné s’ipipietoiìfca vn cuor di tit'enag.Iia s apra la boria d vn’auaro,c s una gipario volar tanto ih su nell’arte oratoria » che in ogni luogo s’infingono iolleaatovn trono. Cred efi q ud raitio-a che rraiuce qual lucciola tra ie tenebre dell’igno.«ngagiàr.vedet rauuiate.4equartro luminare delFeloquenza liberatele Demoiteue tra Greci,Orenfio,e Tul lio tra Latini.Eeco quel fuperbo>che vuoi danfiacredere vaG ioue quando balenado,.tironaado, e folgorando con, troppo emfafi nel dtre v ^ticnc vn Pericle olimpo. -Vedi quelPaltro^he ammantando diuerfe hiftorie, fi ere de render- tantomortmolailu fuaiàma, quanto moltruòTo è il groppo del iu&dire , che non hànodo di con uen lenza. iTrouafi vn Signor delicatuzzo,che intonica il fuo palaggìo con biacca fina, pérluadendoficon parole limate,cattar.via-tutta Ìa ruggine delibo nome; onde la.» Tua famafiacreduta forbirà piud’m i bacii" di barbiere^. ,Non érti nule nel paragoharJaiadVn bacii di barbiere, mentre con. lingua da rafoiofolo imbella » lenza porui del fuo.Credefi hauer rinouato lo Itile* quando limando la rugine dell’antichità delle parole., vende la rame vec chia per nuroua. Ma quello,che par che leghi le pietre có fila d orOftfi.vli oratore fententiofo, che vfoito fiora dal*» rvuGUQ,pen/adiraggiu«ger lafaraadi Lifia,,e di Platone.Quel cartello chehà li merli di peanedè pauone, è di colui,che credefi vn Mercurio* quando con dir enigma tico,fi perfuade di non eifer intelo n ? anchedallasfinge. Mmozzz di: catena èil voler camfc * •in tenebre ilSole dellcltìquenza, pereflèr creduto .oi'ustUai S’imagina a
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lui diluuiar ^ ’oratori tatti; per trarne le leggi del direte foileuato da fantaftici fiati y {ienfa nontneno di Pìfiftrato portaiì all’impero. Solleuanfiiiricontro quelle cartella, alcuneeafetle fa brícate da Cenfori>che rìncuandólleeofelde-CritfciV'ty degli Ari fiarchi,penlano eifer creduti nunúdeirdoquéza, lolo con farciamomi. la fanno da Barbari , rielpetféguire vnbarbariimó ; :th è ancorché folle taluoíta error di penna, pure su quello fondamento rtamptffímAgindJtiuà le fue cartella , imaginandofi in dorfo latògasmagr•ik-aieidell’atmcderfì d’vn ibfocifmo preódottomotiuodi darli è credere tanti foli illuminatori dolía Rettòricaj,. colla cenfura dell’improprietà d’vrti ¡parola penfano ferii proprio vii bafton- di comando sù gli icrittpri. nèl•himbatterfi in yna Cacofotiia^pprendono «antà biffeftteria,che credono,con inibrattar vn libro di mende,farli belli à gli oCchi dei mando;ma io'nofi!vorrei amumolar tanto quell'aria colle loro bagatelle * che fifendefìo odiala à gl’habitatori, conforme eglino fono odiatipiù xlella rogna,chedele?t'apdo ftroppiccia la carne . Pure, non è palagio in queflomnondo aereo ,'cheicenforrnób v’habbiano il gabinettoìbnon iiportino in qualche ca tone della faJa. Principalmente nelle cartella de’ compofitori, che, hoggi dì quali hanno affediata Giunone in cafa. I Dedali fpennacchiarono le Gru per pokarfi a volo,ma rcópofitori moderni fanno raccòrrò tuttariìroFanfocioli,e cenci delle piazze per.ferne carta per metterla ••fotto vn tonclrio, che Aride mormorando di lóro* ccm ed’inkiuft'i ti ranni : tutto per portarli in aria co'’ fogli, o per farfi va*, p onte di volumi,di traghettarli ali'immortaìirà. 4 '-crgr¿i di Parnafo.noa hanno più penneionde alcuni fi l&uor» •... del-
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*4 5 t i r a l e ciche olii epe, ¿ delle membrane delle nomile » pei-porci- volare insù. s*è auanzat® tanto in oltre ¡1 deiideno dell immortalità, che non è ingegno iterile, che., non fantmhclii di partorir figli nelle carter quel che mi duole e , che alcuni hanno cmiclloditefíugg¿ne,ei>en iano di partorir Aquile.In alcuni l'auiditadifàrvolarc il lor nome in ana,genera figli impennati, fin dai ventre, invaginandoli, che le loro compofirioni nafeano adul t e , e non habbiano bifogno di ftar nel nido della correttione , i róuafi vn tale , che hauendo partorito vn_, battardumc d’ingegno pcmfo d’innamorare il mondo con dircene epaltod’vr giouane , nonauuedendofì, che le frutta d Aprile non hanno il vero iapore, ma fannooi-leg&o. Qu_clpalagio, che iembra colombaio per letame tenebre da prender lume, è di colui,chenonha' S “ 01 uilr3tal, - « “ ó, ma caliginofo IVmimo.Wdfc. didar alla luce alcuni fuoi fcritti comporti tra’! fumo di mille vitij, imbrattando - i fogli non tanto d’inchioftro, quanto d adulati©ni,e d innamoraticele compofitioni Quel cafone lenza porte,c fenza feneftre,c di quel Iett*ei ato,die Campando il noi libri,v’imprime il marchio dei mo interefie mentre ha penfiere d’empir più la b o r i , dm 01 rai volare quelle carte à giouamento de’ proííimi. Col comporre vn libro foloper far vna Dedicatoria (voicuodir Adulatoria; fi perfuade falir con preftezza -ii qualche dignità. Qucllacafa fabricara fenza redolii, di matematica, c doue le numeróle rtanze paiono Inbitatiin fatt, per ifchcrzo de’ fanciulli, è di quello ferino. re,che trafcurandole V eíHoniHcteitóe,edvriIi,¿redc coi.a calcina della fuperfimra di mille dubii, fòllcuarta, vna nuoua piramide iuilaltrui «ima ; non aimcdciidofi, che trattando di caie vane, ammette darli il vacuo nel T fuo
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Gattelli
fuo c«ruello.Nif{/?4«4 ttefdunt^ quia fuperfika didicerunt* difle Seneca. E matteria [’attender à crelcer IVgne,e I o chiome , e lafciar eftenuare la carne t Ridoni; di colui, che faticandoli vnacafa di fango intonicata di geflb, vuole darli à credere per adornato fcrittore, fcrtuendo iolo curiofitadi, c piaceri, non auuedendofì,che per Ia_ debolezza del fondamento alcuni Lettonia buttano via con vn fiato. Altri che vogliono imbrattare di troppo miele le carte,quando s’imaginano efler creduti Plafoni colle peechie in bocca, fanno che i loro Iihri,ò fiano ac cetti à gl’Aromatari j per coprirne i/ciroppi, ò alli bottegari,per raddolcir tra quei foglile cofé falle, che ven dono . Mirala quelle piètre, e quellacalcina così am montate, quella è la materia, con che pentadi farli vna* Ranza colui, che in vii difeorfo vuoi racchiudere ogni cofa. Penfa, credo, di far vn Colileo da racettarui \ru mondo intiero,onde poi palli al Campidoglio, portan do dietro al luo carro > come tributari^,, tutti gli altri compofitori, ma s’afficuri, che terminal a il fuo. viaggia nel culifeo in pena d’hauer Rancheggiato i ceruelli. s’imagina tapezzarlo di broccato , quando paflàndod'a^* vn filo in vn altro tefse vna tela di color di Camaleonte; ma non stauuede che credendo di fuperar g ita ti nella., fabrica,enegrornamenti, incomincia da- palagio, e laffnifee in capanna , & i drappi diuentano tele di ragni. Quelta cafa fatta à punta di diamante, è di quel laconi co,che colli punti concili penfa cucir la boccad’ogntaltro fcrittore,non accorgendoli, che ve Re di nero le car te coll’ofcurità del fuo dire . Objctirusfio dum breuh ejft 9 labore II periodo troppo troncoSgozzate voce della fa ma. Quelle muraglie fcalcìnate,e dirute fon di colui,che yeRendo i fuoi penfieri giouani congliadobbi delPantichità,
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tichità,erede d’efler raro,& ammirato, come vn vecchio rrà fanciulli, mafidourebbe ricordare, ch e Semxtutte* ntbusedtofusfi che verbis fr&fentibus vtendum, mortbus pr&tentis viue»dumydi(le Fauorino. Vn ingégno moder no s’affolla con più fabricatori per fabricard vn palagio in vn giorno, peniàndo colla preftezza occupare il più alto luogo neiraria, prima d’eflfer preuenuto, ma non s* auuede,chc le zucche fubito ingroflano, e fubitoficorrompono.Per farcofe aterne bifogna imitar l’elefanto, che porta dieci anni nel grembo, perché non solferua il quam etto, ma il qugm bene. Ecco vna cornacchia,che è volata di frefeo in aria contante diuerfe penne,ne hauo hauuta arte di tingerli benbene le piume, onde non fo no conoiciute le penne altrui. Se il copiare foife compor re,i copij iti haurebbero il primo luogo appo Apollo. Gran fondamenta penfa di porre al iuo cartello colui,* che ammontando vna moltitudine d’Autori, credei? gi ganteggiare colle forze altrui. Vnapicciolacompofitionc ipalleggiata dà vn Ruolo de mille autori citati, c come vn fanciullo , chefiperfuadeeiTer grande follo fpalle d vn giganre.Tralafcio quei compoixtori,che trat tando di cole vane, e balle, ancorché pcufino farla da Antei, prendendo forza dalla terra, pure danno ì diuidere, che le mule amoreggiano co'i Gufi. Ma molto piu imborgano il mondo aereo gli fcrìttorl deil*hiftorie, che prendendoli licenza di’Poeta» confor me introducono ben mille moftri ne’ loro fcritri, così hanno fuperbe idee di farli vn calino di diporto nell’a ria,col diletto che penfano di dar colle menfome ad vn mondo,tanto nemico della verità.Penfano d’haucr gran fondamento fauoleggiando sù M o rie ,n o n auuenden5Joli, che fi come fàlleggiano le gioie vere,così farà méT a ìq-
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Caftefli
fogmerala fatna.che nc pretendono. L ’hiftom d’Ariftoboid,che volfe volat e con penne fìnte, cadde per raa d’Aleifaudroin vn fiume. P icìoribu s atqu e Poetis qutdlibet Aud'indiftm p erfirn . & qm potejlas \ma poffiarnó hora dire H ifto ria s atqu e Poetis «^r.rnétre hoggidì per dar fu’i moflacCio à c u r i a l i s ’haunoprefo per calamaio igufici de* pittori,c per penne i pennelli.Quella muraglia che è par te indorata , e parte fetaminata,è di quello adulatore,& odiofo,che imaginandofi d’indorar la borfa,tinge le car te di mille adulationi,con tanto roflbre delia verità, c h o alle volte i libri fon condanna à non farfi vedere per l o vergogna:mà molto più ridomi di coloro,che crcdendofi di faltar in gratin d'alcun Principe ammontano vo lumi à vitupero d’vn’altro , che taluolta li farà iàltar da tré legni,per agcuolare la trefca del boia, & allora po'traili dire , che s’hanrio veramente fattala cafa in aria. Quel palaggiOjChé màda fuori vn braccio fenzaraggiotr di regola è di coliti,che pcrfuadédofi d’afferrare il Pallio, & il primo luogo fopra gl’altri hiftorici, peivabbracciar molto,trafeura le raggioni,che fon Panimi de’ racconti, onde quel che fcriue non può fortìre la defiderata im mortalità, mentre non ha anima . Vn cafone àfpefe del commmune fìfabricano alcuni hiftorici, quando credédo impiumarli talmente il dodo, con quelle penne, che fan volar la mano, fantafticano, hora di cambiar l’inchioftro in oro, hora la penna in ifeettro, & hora i fogli n sfere, & i caratteri in ftellejma taluoltapaflimo a llo fiamme. I filofofì che godono del titolo di pouero,per far ma ritaggio colla nuda filofofia , fi fan veder così bene nel mondo aereo, che cambiano in fuperbiffimi palagi l o botte di Diogenejciafcheduno, che co vn colpo di mar tello
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telio d i poco ftudio incomincia à siuottere il amim o del fuo camello,crede veder la fu a ftatua p la città,come qlle erette dagrAteniefi à Falario. Ogni capo de tettoggine paicédo/ì del véro di friuole quettioni,perfuadefi vo lar in alto (lenza cfler portato dall’Aquila) per romper qualche tetta incanutita nelle faenze,e fatta caluaper lé jfouerchio ttudio. Altri che fon ridotti alla materia prima del fiperc con cento difpute di materia prima in bocca; crede/ì donar varie forme d’ honorc atta fua fama. I filofo tì di quetti tempi godono di /figger il miele , che iB negl’orh d’vnbuon nome,lenza veder il fondo del vaio, doue ftà il nettare della fapienzà. Ecco quell altro, c h o trascurando il vero come cómmtihale, vuol folo con_. opinioni leggiere come piume, folleuàrfi sùgl’altrhCon paifeggi are nelle fcuole peripatetiche, credono hauerfi fatto ftradaaittacquiftò dell'immorialiB. L ’imagmatione di quetti tali hà dell’hipetbólico, la douc con dar vn_, freggio fuTvifo d’Afiftotele, penzano di botto , qual palla votar al cielo. Con porre il mondo al rouefeio,af fermando eiier il fuoco freddo,e la tiene cadda, iìrifcaldano talmente,che penfano di veder i loro libri al prez zo,che Ariftotile vede il fuo libro de graniteteli ad A leP fmdro.Si credono occupar tutta l’aria, quando dicono,! che l'aria non è elemento, maunezzo, e nodo perCbnt’P nuargJ’elementi.Sarrebbe vn voler allargare5Patàffi ezz$ dell’aria/e voleflì mottrami tutte le ftanze, che i filófofi* d’hoggidìfibricanotoctt’aria vòlafciarliandare, pcfchc vedendoli tanto gonfi/, & a npollo/ì, diibitoche non., fcoppijfio tra le mie mani. : ! ' •• Se bene Socrate nauieò la moltitudine de’inedicì nel le cit-tà, nulla di manco Giunone ne ammétte tanta co pia nel fuo Regno,che in nulla fa diftingucrlo da vh vni-' ■ uer-
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Camelli
tierfaliiftmo hofpedalerma s’inganna, perche conform o co ilo ro non hanno per anco faputo fonar la podagra-, così non nonno dar remedij vaiatoli per le malattie di quel paeie, che fé bene caggionate dà lcggierezze; fono in ogni modo grauiflime,perche fpeflfo al parer di S. Am brosio s’accompagnano colla fuperbia, ch’è tanto gra* ue, che fè piombare al centro il più nobile tra i fpiriti creati nell’Empireo. I palagi de’medici fono così fpcfli nell'aria, che fe q\iel ridicolo morale dille cflérac pieno il mondo,intendeua del mondo aereo.Non parlo del co mune abufo de’popoli,doue ciafeheduno neU’oggettarfeglivn’infcrmo , dà ilfuo remedio, quafiche l'infèrmi,hauefiero virtù di far diuenir medici gl’aftanti;ne rag io n o di quei medici , che fono degni d’ogni vcncrafione, Honora mtdicum : fropttr ntxcfsiuttm enim ertauit tum Altìfstmus j ma di quei, che appena pollo il mufo à luogo deliro, lì follcuano con quei fumi in aria,ar rogandoli il nomedi medico. Quelti li vogliono dar à credere gran filofofi, quando infangando la mente in vn compofto di mille /empiici, & infilzando in ogni pelo della barba vna ricetta,penlano non sù la vita, ma su la morte d’IppolitOjd’cifer tanti Eufculapijje perporfi vau par di zoccoli d'honore, negano anche i miracoli fotti da Dio,nè moribondi: Vedi quello,che sù vn cauallo ve lato di fcorruccio, come fe tiraflc il carro della morte,li crede portarli fulla Ichicna d'vn Pegafo al cielo, corno dator di v ita. Iononsòcom ecoftui polTa annouerarii tra fcienufici, mentre và accompagnato con vna tu rb o di prattici.Troppo và fuor di riga la fabrica di colui, che * portato dall’ale di buona fortuna(auuengniache.o/ir/er vttduum tjft fmunatum ) concettizza di toccar il pollo d’vn Principe , acciò polfa da quella mano ricauar
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vna mafia d’oroJabrica à muro col boia colui, che co iu infermiccio pcnfiere s’imagina ben mille morbi, per riépir la boria, & empir le tombe.l’elfer homirida» non folo impunito, ma pagato fa, che queiraltro pcnlt di far mil le fperienzcful cuoio de pouerelli.Fà sbudellarmi delle rifa quell’altro.chenon tenendo altro libro» che il Mattiuoto.penfa eifcr vn Gateno.Come và al garbo fanello al dito di colui,te cui mani non per anco hano lafciato il rafoio, e la lanciente s'imagina d’effer dottore. C h o quel barbiere auuezzo àlafciar ftoppie di mietitori nel volto altrui, ò pure cambiando il rafoio in falce » ùu talhora atteggiar i dolori di m orte, voglia dar vita al mondo,onde lo creda perito medico, quelli è vn cartello,che palla quello de medici. O quanto vola in alto la-, tentulìa di quei chirurgo » chelafciando i ferri vuol dar di mano al pollo delfinfenno, qual? non ballandoli di • mandar per via di ferite gl’tiuomini fotterra, fe anche n6 ci li butta per Io braccio .V eggo portarli ben venti pai1* mi in sù quel medico , che hauendo vnpoco d’Aftrologia lì crede più occhiuto d’Argo,facendoli beffa degli altri medici,come ciechi nel loro meiltere, apportando ildetto d’Hippocrate;3/ffifrwyf non eji tnfcientiajìelkm profpetììms, quii tn etus manibus non dtffidat, qui* c<ecut merito poterAt dtfjìn'trub quello di Albumazart Ajìrorum
fctentiaefiprincipum medicina. Ma ecco alcuni tralunati, che tenendo gl occhi rtrauoltì per Io fouerchio mirar delle ftelle par che piglino la pianta dì qualche gran cartello nell’aria. hanno nella delira in vece di cazzuola vna sfera armillare „ e preten dono prouederli di calce dalla via lattea ; credono ac certar l’edificio fe fabricando in aria adoprano il la tto di Giunoneima fenz’altro non potrà mantenerli,perche ............. non
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Camelli al
no» vi Veggo pietre di verità. r r = Quelli non hauendo altro ¡di matematico, c & e il c a b r i udlo polio in quadro, fantafticano con vn q u a d r a \ miiiiraril moto del Sole. Quella pacete che nouamcncc» ;i fi vede crcfcere,ò di q uel moderno,che facendoli leahL, ' coll’altrui effemeridi, à pena è giunto ad impriggionar il ceruelio ne’numeri, che lì crede eficr.diuenuro intelligéza motrice delle sfere . Con vn vaticinio riufeito f u i rouina di qualche .difgratiato, edifica quell’altfo; vn cartielloda foftener l’olimpo,con introdurrerraggiòname- ‘ ti dell’eccM e della luna :*và queU’altro fin sù Pecclittica àìfpofarfi Cinthia,pervadendoli d’effer vn Bndimiond Non ti pare c ’habbia tolto il luogo alle lid ie , per piarttanjiil Iuopdlagto,qit6 lPaltro,che ricopiandole in carta, & «feltrandole col fuo inchiaftro, h;ì cacciato, fuori vii., prognollico,eheindouina 1alroucrfcio>f) Se'nònmai <De-> rene trono da maritarli, hora d in dubbiò neii’dettione_. dello fpofo>per iSmbafciaie di fanti .idrologi, che s’ imaginano collo ftudio deli’Ahnanacco élfer padri dcll'agricukura. Quello fi crcdt/hàuer il vaflallaggiodi tutti! villani,mentre l’indouina ibbuon tempo j non iuiuedendofi quando qualche gocciaìche cade dal tetto,¿li fà vn giuoco d’acqua nel capezzale. E degno d’vn diluvio di pietre quel cap o , che fa cartella in aria,imaginandoli di indoiiinare con neceflìtà di fato l’influenze de cieli,fon dando la fua falfa opinione nel detto di Lucano: P r/ifa^it m n ì,i fa tu m seg itu rfittis m ortateg eu u s . G in queld’Ouid ìoiR sttefìttu m v m c m , » t d U v a k i, Chi fatafticà gran dezza di nome con impriggionar l’humana libertà tr,à la neceflìtà delle rtellc > conforme tiene in vn labcriutod’ errori impriggionato il ceruelio, così fcrìza auuedcrfene' fifabrica neli^biflo il fuo careere.la certezza d o g lie n ti
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ti deue attribuirli alla maluagità delfenfo’, che nonJ laida vincerli dalla raggione, non alla violenza del le ftelle, che folo hanno giurifditionc di difporre , o lignificare : d is , afferma l’Angelico. Vn cartello fabricato con pece mi fi om etta à gl’occhi , farà fenz’altro di c o lu i, che vatici nando con parole equiuochc s imagina eifer il modera tor de’pianeti, i quali (quando ciò foifc; fi chiamarebbcro,con molta raggione,ftelle erranti .ma tutti quefti tali, che col penficre alle ftelle fabricano ingrandimenti nel l’aria, incontrano talora la voragine di Talete, da far rì dere hifteife ftelle. < Alato à quefti forge il cartello fabricato da vani in dovini , che non fapendo indouinarfi le moftruofc chi mere del proprio capo, s’imagitiano di deificarli nell opinione del mondo con fatidico, ma roenfogniero par lare; à quefti parmi, che dica Ifaia; C u m fd u tem a lijsp ro K iittantSua, ig n oran t[u p p ltck . Gl’Aurufpici, che vanno dietroall’hore coirimaginarfi dhauer vnonuolo su l capo,pretendono dtrfi à credere regole del mondo,non auuedendofi de’cótrapefi, che gli traggono à Pluto. Gli Aufp<ci,che oiferuando il viaggio degl’vceelli, s impen nano la mente perfuadédofi di no trouarfi altro,che volaife fopra di loro,non s’auueggiono, che iuolacchiando anche il penficre,rimangono diiTennati, fenza hauei e vn A ftolfo, che vada alla conquifta del loro fenno. Gl’auouri portano diuerfe materie per far crcfcer la fabrica ; credédofi taluolta fpie delia natura, & interpreti fedelifiìmi degl’augelli. Rómulo attefe a quefta fabi ica, quan do prefc à buon augurio l’A uoltoio, e Paolo Emilio al tresì, quando dalla morte d’vna cagna clam ata Perfio, P
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Cartelli
s ’augurò h palina contro il Rè P erico. Michaele Scoto con dodici fcaglioni fi-fece vna torre alrifiìma, quando diftinguendola con diabolico configlio in dodici ferie, imaginoili d’eflere il più identifico huomo della d’Apollo, per m e lo d i tante pazze fuperftitioni. móflruofa i l ? fabrica di co lo ro , che ofleruandoi moftri, fi credono eifer moilriofi nel fapere, ladoue fon moftri d’ignoranza. Tralaicioififonomifti,ernetopofcopi, che feruono folo per dipinger ritratti nella gran fala di que llo cartello, vantandoli di legger nel volto le cifre di quel cuore,che non può vederi,fe non è morto.I Chiro manti iono i meccanici della fabrica, facendoli delle li nee polle à cafo nella mano,larga ftrada verfo le pallo ni dell’animo, ch’è vn Promoteo ne’cangiamenti, & viu Giano nel v o lto . I Piromanti lòlleuandoli con globi di fiamme in sù, pretendono hauer dominio su quelle fiam me,che non generano altro, che cenere. I Geomanti co* loro punti fanno l’vltimo punto al cartello,imaginandofi di cucirli co quei punti vn tabarro dà fauioni, ladoue dimoftrano non hauer punto di ceruelloje volendo effcr fcimiotti degl’Aftrologi conftituendo nelle loro figure vn Giudice,fono giudicati per matti,e degni di gire à far punto sù le corna di Pluto. Ma più in alto volano le cartella fabricatedaalcuni, che nó mi faprei dire, fe vbbidédo, ò comadando i /piriti rubelli, fi rubellano da D io , per auuezzarfi ad effer dan nati. quelli collo feriuernomidiabolieiin carta vergine allo fpuntar del S o le , fantafticano d’efler ciuenutj ora coli , e fi credono volar fu l’ale della fama à comprarli nome nell’aria dell’humana apprenfione. macoftoro caggiono à terra fulminati dal lagro Gioue dei vatica no;
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no ; Molto forbito è il cartello di colui, che con poIitiC imbrattata di gérilefmo.fi crede per mezzo della Theurgia farfi vbbedienti gl’Angioli beati, non auuedendofi, che con mafchera diurna, fi rende coi vero, vn fuperftitiofo diauolo. Non meno aercefono le cartella de' cabalifti d'hoggidì, che inconfapeuoli anche del nome penfano d’hauer gran nome. Trouaii vn moderno, che s’hà fabricato vn cafone così alto full opinione del volgo, che non ba llano i fiati di mille perfone auuedute per ifmantellarlo. non hà altre fondamenta,che vn certo fuo fegreto, c h o per non reuelarlo, dice non poterli infegnare. ftimafi vn huomo diuino ifdegnando diaccumunar con gl'altri le fue fantafie, fondato forfè in quel che fcriue l’Areopagita à Timoteo.O T himetee dmnus in diurna docinnafacìus^
faveto animi qua fanSia funt circumtcgens ex immunda multitudinesiamquam •vnìformia hxc cuflodi. non s’auuede quello gran huomo,che le lingue di mille fogli con arit*metiche cifre,lo palefano picciolo Pigmeo.Penfaua dar li à credere huomo diuino,hauendo refo le mule cabali ne , occultando fotto varii numeri alcuni verfi, mifurati col comparto,ma ecco diruta la fuafabrica, in cui li le mma quel fale, che mancò alla fua tefta. Ben dimoftralì vn vipiftrello, mentre non vede, che la Cabala finta dagl'Hebrei per ifuiluppare alcuni nomi di D io, è dannata come forella vterina della negromantfa. Ben fi palefiu, vna Talpa, dà fabricar più torto fotterra, che nciraria_,, mentre non difeerne, che l’altra Cabala in nulla diftinguefi dal fenfo anagogico, che donali à mi iteri della fagra Scrittura. Veggia dunque il mondo quanto fanta stiche filano le fondamenta del cartello di coftui , eretto folo fu la pazza opinione del volgo. e non vi pare gita à V 2 terra
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terra quella gran torre, fondata nella vana credenza di chi mal locredea oracolo, eifendo iolo fempliciffimo veriìficantc ? e non vedete già difgregolato quelTartificiojoftentaua nel cauar il verfo da quei numeri, eifendo iolo tolto da vna congerie di parole, che gli s’affollauano al capo ? cadde il caftello della Tua opinione, non da altro abbattuto,che dà fiati delle fue menfogne.Ma che? non mancano de’fuoj feguaci, che godendo del folo no me di C ab alila, cercano fabricará colle brecce de’numeri le loro cartella. E crcfciuta sì al mondo la ciurma glia di quefli tali, che la Cabala ha perduto anco il no me,mentre non è piu fegreta. Chi s’auuolge come M o ne nelle ruote di Pittagora, per folleuará nell'aria. Chi afcende con Siiìfo con vn fuño di faticha, su’l monte di numerica piramide : chi tributando i numeri anche alle ftelle, fé rinfìngono fàuoreuoli alle loro fabriche j m anon s’aueggono, che tanto precipitofa è la loro caduta, quanto lontana c la verità dà quello, che pazzamente* predicano. I numeri de’ Cabalici mi fanno venir voglia di ipiar gl’andamenti della mufica armoniofa, &fonoramentej numcrofa. Non mancano in vero, nel mondo aereo i mufici, perche conforme fi millantano di trapiantare.* colle loro voci il paradifo interra, così il lorceruello con mufici fiati fen vola la sù. Quefta è vna profeilìone, che fempre alberga nell’aria,mentre cibano gl’aìcoltand’aria, c di vento. Non fono tanti i bizzarri modi di cantare, quanti i capricciofi Palagi, chefolleua ciafcheduno, che apre la bocca al canto. Trouafi vn giouane^, che à pena ha lafciato con vuotar la borfa.l'efTer mafehile,che infeminito,& iiifupcrbito infieme(giache la fuperkia è poana^peafa,così leggiero di pendagli, diportará
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alleicggic più /ublimì,e riempendo di vento le parti doue manca la carnejs’imagina, qual pallone,faltar in aria ; e ben fi conofee eifer continuamente aifacendato im. quefte fàbriche aeree,métre fi vede portar vna profopeia eftatica, dà crederlo non folo allontanato dal vol^o , ma fuor del mondo.le cartella di quelli tali fon tutti d’o ro,mentre al parer del Marchefe Brignole, tutto f a lò , vuotan le borfe, per empir le borfe, non auucdendofi i miferi, che, come dice il medefimo, così lafciando I’efTer huom s’efpone, altri à diuenir cigno,altri caftrone. m tu troppo alto poi è quel cartello, che fanno quelli cigni, quando fi pervadono d’efler rapiti da qualche A quila, ageuolati à quelle fabrichc da gl’altrui eifempij . Al tri poi, come più iodi in quello meftiere con ale piu fer me s’inalzano aquella fabrica . Ben fi inoltrano eftatici in quelli edificij, quando agl’altrui prieghi la fanno ve ramente da marmo, non volendo mai cominciar à cantar z.Omnibus hoc vitm m efi can ior ibas in ter am icos,vt m n e¡uam inditeant anim ata cantare rogati ; E fe taluoita quan do incominciano,non lafinifconomai, ciò auuiene per che deftati al f'uon della voce fabricano più in alto il loro edificio,penfando d’eifer trasferiti,come firene à regola re i moti de’ cielifgiufta il parer di Platone) Alcuni noie, fono paghi d’vnlolo cartello in aria, ma accordandoli con Pittagora, che vuole che il mondo fia fatto con re gole d’armonia,vi folleuano città intiere, quando s’imaginano coglim i di quelle note di trarre à lor commodo tutto il mondò; e dalla fementa di quelle fpelfe crome, e iemicrome fantafticano invn momento far raccolta di piacerini richezze.e d’honori, Quel cartello tutto ador nato di ftatue, è di coloro che non cantano, fe à guifa^ «Jella ftatua di Mennonc, non fon tocchi da i raggi folari ■ .... " delle
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delle doble» e de* zecchini. Giunone h i pollo nel fuo re gno i mufici per horiuoli, che non fuonano, quando lor manca il contrapelo della borfa.Trouanfi alcuni mufici, che,fabricano in aria il palagio d’Armida»qàudo credo no diuezzeggiar Amore,che dorme negranimi de' mor tali. Altri aferiuendofi à l’opinione de gl’Arcadi, che riputauano cofa brutta il non faper cantare, s’imagigan® hauer refo l'animo vn tefor o, ò vn cielo, quando i’arricchifcono,ò l'adornanocolle gioie, òcolle ftelle di Tei note. Altri coll'aita di Temiftocle Ateniefc, che fù ripu tato indotto, per hauer gittata la lira, e rjcufato il canto in vn conuito,e col foccorfo d’Epaminonda il Tebano, che fu lodato per la mufica,allargano tatail péfierc, che tributano alle noce il nome di iemenza di tutte le dot trine,non la cedendo d’acutezza d’intendimento à i più cleuati intelletti, nell’inuentioni di cofe nuoue, mentre colle fughe del ceruello volano hor qua, hor là con tan te foggie di cantare,che han fuperato le foggie del vefti-
rcRes efiprofonda mufica%(fifemper muumtnuenit votetitibus cottfiderare, difle Eupolo Comico, ma le cartella d o mufici no tanto cSfiftono nel pauoneggiarfi d’eiTcr tati Dedali nel formar laberinti agl’animi, come afferma BeTQd\ào.tffH/ì(it adeò delcEÌ&btlis efi , vt eìus duIcedine ttwftn tApiatitur.Qumta ncll’imagiharfi d’impatronirfi de’cuori,e delle borie altrui,onde s’auucri quel che diffe Teofi lo Citaredo in fua lode: Mag*vs, (tubilifqtte thefaurus /»«fteaefi. Solleuafi quell’altrocoll’ale d’vna canzonetta-, amorofa, che dà all’humore d’alcun potente, à fantafticarfidi già entrato nella fua grafia, e d’hauer occupato il porto del fuo cuore, & in breue tempo s’imagina c h o l’habbi à fpuntaril fole dell’oro, per ifgrombrarle tene bre della fua pouertàjonde venuto in gran fortuna,porta gittar
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gìttar al fuoco, qual ingrato,quelle carte* che l’hanno a~ geuolato il volo à quel buono flato. Penfa quel nuouo Atnfione di tirar col canto non i monti per fabricar l o mura di Tebe,ma à montoni i beni in caia,per giganteg giar conrraGionone,conforme i figli della terra guereggiarono contro Gioue. S’imagina quell’altro, qual Or feo,di tirare à fe,non le pietre,e le forefte,ma gl ’huomin» diuenutirtatue allafua voce, elebofcaglie intiere per nodrire con verdi fronde le fue intereCare fperanzejnon ricordandoli, che Orfeo, per e (Ter troppo efficace à trar i fasfi,e gl’albcri,fi trafile ancora sul capo,e sù le fpalle le brecce, & i baffoni delle donne de’Ciconi, e veramente il Tuono, & il canto d’alcuni, meritarebbere d’efTer ac compagnati da vna fomigliante Ciccona. Perche Amore è vn gran maeftro dimufica, A mor mtijìcam docci ; vuole che alcuni Zerbinotti Tuoi feguad fabrichino à canto decantanti. Chi non dirà che coftoro fabricano in aria,mentre fi ritrouan fpeffò détro il palaggio incantato delle loro Armide, ediuenutipiù de’Rinaldi, effeminati degenerano in tali effiminatezze, che corta loro più,la coltura d’vna chioma, che la panatica^, e’I falario della cafa. Quello fpartano, che hauendo vn-, figlio i che nella gola fepelliua tutto il patrimonio, non ringratiò d’altro Gioue, fe non che,al figlio non haueflèj fatto vn collo di Grù,ò vero,che non Phaueflé attaccata», alle fpalle,come all’Idra,vna felua di golejin quefti abufi, fori! non vi è cofa per la'quale Iddio fi debba più ringratiar dà noi, fe non che non habbia fatto à gl'huomini, come à Cerbero fecero le fauole, tré tefte. Chi non», affermerà, che lor voli il ceruello allo fucntolar de’capegli ì Chi potrà affermare hauer eglino penfieri Chriftiani,fela tefìa o4ora di Cipro? Evitio quello tanto
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noto,che haucndoci tanta parte il barbiere, fatet lìtfts ; & tonfonbus. Ma perche quello vitio è nel capo, corno capitale fi dirama per tutte le membra. Se s’addofla il »iuppone,più tolto fcuoprono perche è tutta fraftaglia*o,che cuoprono il petto,e colle maniche tutte artificiofamente tagliato fan raoftra di gir incamicia à mezzo inuerno; fi mettono i guanti, non per riparar le mani dal freddo,ma per farui fpirare tutti i profumi della Sabea.Si cingono la ipada al fianco, e campeggia in quel ferro più il luflo di Ciprigna, che il rigor di Marte, e caualcan.do vn nobil deftriere, nel fuo regolato paffeggio, fi faru credere più ballarmi, che caualieri. E lolle uandò gl’occhi alle fencftre per vedere in quell'orizonti i loro foli, folleuano vcrfo la terza sfera vna torce di piaceri, per vagheggiare coll’occhialone del galileo i moti di Venere.E non vi paiono le loro caftella efler aeree m entro fon fabricate con leggieriifime bagianarie. O con quan ta raggione cantò colui. Quelche penfo à me non lice, ma il mio duol vò lufingando, torri in aria vò formando, così gode vn infelice. Horache hò fatto manifefte in parte le vaniiTime fabriche degrHuomini, ben poflo andar fcoprertdo le ca ftella in aria,che fan le Femine, il che non hò volfuto far prima,acciò non fofTe di me detto : v e n t a r t i coruis, ve-
Xàt etnfurn columbi, Chi potrà negare, che quelle non faccino fempro caftella in aria, fe quanto fanno per parer belle, tutto riefee in lor pregiuditio.Pregiudicano per prima alla lo ro bellezza facendola approuare da vn fragil vetro,che fatto loro configliere, quanto più mentifee, tanto più è amato. Stimano i loro capegli eifer raggi del Sole, m;u mifchiandoli con quei de'morti.ci fanno accorgere, che tr non
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non fono nati nell’oriente, ma depredati dall’occafo' d’vna tomba; Indi doppó che l’hanno fcarminati col pettine, e tormentati col ferro,e col fuoco, li legano co me rei con mille .fettue eie, e l’incarcerano tra cento reticciuole, iupponendoui alcune cio/Fette, che chiaman galani, & ecco l’inganno ; perche fanno diuenir carce rieri que’galanijche fono da loro impriggionatijnia l’in ganno maggiore fi è , che volendo eflèr ili mate co rn o tanti foli, non fi ricordano, che Apollo non legata, mso difciolta porta la fua zazzera d’oro. Credono eilcr il lor vifo il giardino d’amore,oue fpuntan gelfomini fodera ti di roie; e pure l’imbrattano “con velenofe mifture, & adugendoi fiori delle bellezze s’appalefano fiere, c h o baciando vceidono, attofficando le labbra, qualóras'imaginano di fucchiar dolcezze, cingono ¿1 collo coro aureo, & gioiellato monile , & qualora pretendono fignoreggiare i cuori,s’appalefan fchiaue dell’oro. Emule del ciclo fcuopronolavia lattea delle mammelle, vfando vna gonna così allargata di collo che moftrano mez zo petto, e tutti gl’homcri j ma più torto parchc vadiru emulando il beccaio, che appende fpiumati i capponi , acciò ùntiti il ghiottone à comperarli, per farfene farollo.Se non voleifimo dire, che così icollate portano l’honcftà ad effer decollata, Ma piano non ti fcandalizzar, ò lettore,della sfacciat3 gincdelle donne, perche fe bene paiono ignudo,fono ad ogni modo vertice, perche quelche tù ti credi effer carne, non è altro che vn mifcimlio di biacca, cerufla, e folimado, attefo portano più colori nel volto, e nel collo, che le tauolozze de'pittorij on d o diuentando pitture faran facilmente accompagnato dalle cornici. Penfanp efler tenute pietofiffimc, quando portan ricca mataifa di perle orientali,palefando vn petX to ‘
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to pieno di lagrimeima allora fi difcuoprono più crude li, mentre Situano loro preggi le lagrime altrui. Intumidifcono la gonna con alcuni cerchi, che chiamati guar da ¡n&nti,ie coli è, al certo,che Amore,che ha l’ale, non vi potrà Sarei racchiudo. Mirata fe fabricano in aria.,, e vaneggiando perdono il ceruello ; vogliano elfer cre dute il primo mobile de’cu ori, c poi s’appalefano qual vilillimo centro,racchi ufo in quelle baiTifiime sfere. Hor quali fono i palagi aerei delle donne cattine > fe tali fono quelle delle buone ? Le meretrici colla calci na deli’intercfle fabricano fempre in aria* E di irieftieri che i chiaffi lì ritrouino nell’aria, mentre i loro piaceri fuanifeono qual aura lieue, e leggiera. Ecco colei, chej s’imaginahauerlafuacafain cipro per aprir la porta ad ogni lulfo, non meno che venere vi aprì le botteghe del Iauoro meretricio. Trouafì, chi auezza ad adorar gl’incenzide’fofpiri de’pazzi amadori, vfcitidal tempio del petto, e bruciati nell’altare del cuore, fàntaftica allafua bellezza diuini honori; nonauuedendofich’è barlume^ d’inferno, è non raggio del cielo quella beltà, che di bottofuanifee. Queiraltra hauendo intefo, che la bel lezza è il vero lapis phylofophoru , cambia la carne per metallo. Alcune hanno così fiorito il pendere,che lì perfuadono per tributi le corone di rofe offrire dagl’Efèiì all’impudica Ciprigna ; ò li mazzetti di fiori tributati ad £lena dalle donne Frigie. Nella potenza fabricano co loni , pervadendoli hauer in pugno lo fccttro , mentre^ comandano à Principi. I tempii di Parfepoli brugiati dà AlelTandro ad inftanzadiTaide,lorfcruono per pietre da fanfafticar caftcila di comado su’l volere dc’grand«. Il fepotcro fabricato à colei da Gigge Rè de’Lidi, per cui da tutte le pani della Lidia potei» mirarle ceneri di colei,
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cole i, che gl’haucua attaccato il tuoco nel petto, 6 ve ti ire à qucll’akra peniteli d’eternità di fama. I fingufti di Sofocle,,con che idolatrala la fua impudica. O nu tn x inu aw m ex an d i, nubi a d T h eo n d em . Lor feruono per muc che,onde lì folleui il pévere ad imaginarfi numi deli'humana libertà. Baila vn marte imprioggionato nella m e del zoppo vulcano, per drizzar la loro imaginatione , o crederli anche dominatrici deU'armi,rimaginarlì varii vezzi,pietoie lagrime,compaffioneuoli fingultidoaui ac centi, cortcfe carezze, dolci promeife, mertitia, repulfe , fdcmù,contcic,paci,reconciliatioai, rilì, foghi <pi, canti, giuochi,fuoni,balli, felle, è vn laberinto,che coppo impri agionatiilinieri amanti, se’l perfuadono campidoo]k , de loro applaufi. Quando fi troiano in fendil a, Btteagiando con chi palla, ancorché chiamino alla troica i diauoli, pure vola.ilcerucdlo ad imaginarfi turbedi giouani idolatri di fua bellezza. Piantate alianti vno fpecchip,¿1011 è menda, che cuoprano co’belletti, che non_. fiiccia faltar il penfiereà tener fiotto i piedi l’EIcne, e l o f rini,c.le'Florc.I Gufici, l’ampollc,le biacche, i fiolimadi, i fucchi,gl’enipiai\n, fon le pietre, e la calcina, con c h o fabricano vn cartello alla loro bellezza, credendoli d’haucr intonacata la fortellezza della natura, o n d o non polla la morte c’I tempo più danneggiarle, non auuedcndofijche al lezzo della bocca, cagionate da tante piirture fi palcfiano cadaueri fpiranti dVn’anmiainfraciditaj onde non mi tnarauiglio, le piantano fu’l capo i ca pelli dc'dcfonti, mentre in elle trionfala morte dell’anim a. . A lato delle meretrici fibricano i lenoni. non faprei dire fe fcuole ò palagi,ò Regie fontuolc, mentre veggio che quelli non iolo danno infegnamento alle Veneri, & X 2 a gl’A-
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agl’Adoni, ma che tengono lo fcettro di tutti gl’animi. Alcuni hanno così gonfio il pendere, che nel perfuadere,ò diiTuadere s-’fmaginano efler tanti Tullij, e veramen te fono affai mercuriali. Tutti i penfìeri fabrìcano trafi chi furbefcht, e fottiliffime inuentioni, onde non porta la sfinge liberarfene,ne Aleffandro troncare il nodo. Il fantafticar le ttcre da impriggionar voleri con caratteri ; il peniate à far cantare Orfeo,per trarre i cuori anco fc fol lerò di marmo ; il credere aflfacendare le mufepe ridurre vna donna all’amorofo fonno con vn foRctto, fono i fabricatori opportuni delle fue muraglie. Sempre l’vltima pietra della fabrica cade su’I capo deli’honore,e fioiifee il palagio del fuo intererte;atteÌQ Tarchitetto del ì l i o pen. fiere fempre batte sùll’vnioni per vnire à fe le monete , & il drudo coll’amata. Le loro cartella non fono fenza_, pitture, perche allora vi dipinge i quadri, quando s’imaginalafciue fauole, per dipingerle all’orecchide’femplici. Sol leua le muraglia fin vicino le ftelle, quando penfa farla da Aftrologo , per indo dinar l’altrui inclinationi ; ma allora pone i merletti alfontuofo cartello, quando penfa immafeherarfi da villano, ò da zingaro, per poter meglio mafeherar l’altrui paifióni,e tigner bene la faccia dcirhonorc.'eperfardalàlontanii fulmini, vi pianta», vn capo di ceruo. S'affollano fabricare vicino le cafe delle donne i diftillatori che facendo gir in acqua pervia del fuoco il ceruello fe’n vola lo ipiritò à fabricar nell’aria mille ca rtella di fumo. Credono coftoro, che Tacque che fi fro llano fopra il cielo, , fiano quelle,che eglino diftillando,fanno falrare su’l vol to delle dame, e de Ganimedi, ch’è crtiduto ciclo della», lafciuia. Millantali alcuno à difpctto del tempo di man- ' tenere à
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tenere l’Aprile nel volto, non auuedendofi, che i fiori' de’fuoi belletti maggiormente fanno effimera la bellez za di cui dille Seneca:-/??/ e flfo r m a ft g a x : Quando coftoro pongono il capo dentro vn lambicco,talmente fe nc_, vàin brodo, che fabricando sulle fperienze à colto de’difgratiati, che per opra d’vn diftillatore diftillan la_, vita,crederi invn ftibito di faltar dalla bottega in piazza col tabarro di medico.Il penfar di ialtar di botto alla fa migliatità de Principi, che lludiano quelle morbidezze^ donnefchef'per imitar in ciò iolamcnte Achille in Lidia , ad Ercole in Sira) e vna muraglia cori alta che vien cre duta vn ponte da traghettarli al dominio. Sene vàin_, miele il penriere,quando con tanta dolcezza fauella del la qualità dell’herbe, e credendoli legretario della natu ra,lì fa veder vna beitia,arta à nodririì d’herbe . Vicino à lambicchi folleuafi l’aurea officina di Geber doue fabricano huomini d’oro, ma su’! fumo di foltanza diffidata. Sono quelli alcuni, che vogliono efler chiama ti Alchimilli, che donano su’l nafo della ientenza di Nafon,e ; .C refcit am or num m i, quantitm ipfa pecunia crefcit , perchelor crefce la fete, lenza maialfaggiare'vn poco d’oto potable. Il fuggeuole Mercurio,i mantici, il fuoco ri fumo folleuano à volo l’impennato penriere ad infin, gerii vn monte d’oro, quando maggiormente hanno in cenerito il ceruello, non che li beni. Il deriderlo dell’oro balla à fomminiltrar calcina alla fabrica j che non lì fa lenza contantire con raggione vi s’impouerifcono,mentre coll’auanzo del delio, forge maggiore lapouertà. diitcs?qui n ih il cupiet.J^utspauper?A uarus;can ta Aufonio. Numerofa c la moltitudine di quei, che s’affacendano à quello caftello, perche non rroualì perfona, che non bramid’elferli recato il giorno dal luftro,dell’oro,
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che .chiamati foie. Alcuni s’imaginano fecondare coil« tanta deprezza i principi) della natura nellecofe imper fette, co me fono alcuni metalli, che perfettamente b i donane su'! capo, che credono ridurli alla bramata perfettione ; e m’aificuro che iarrebero (labili quelle murà glie, fe per eifer fondate fu'l fumo non riuiciflei o fauo lofe, più che le metamorfofi della gentiltà. Volano più delle mofche, fitnrafticando d’ingrauidar doro vn ven tre di vetro col feme del Mercurio, che sa penetrar fin fe vifccre delle cofe. Altri offufeando col fumacchio de’ loro fochettoli quegli occhiali.che lor dimoftrerebbero la diuerfità delle caufe naturali; fantailicano, che fìcome dalla pietra,che è caufadiucrià,fcintilla il fuoco, e nella medicina, la natura, e l’arte cagionano, la fanità, così la natura, e l'arte poffono partorir l’argento, per medicar quella cupidigia, che hà ventraia iniatiabilcpiùddl’inferno.Ma lefantaiie de’moderni fon quelle, che gonfio di vento di vana credenza,s’imaginano colle cifre d’vnà ricetta,come con magici caratteri, flagnar ne’lor guici il Pattolo,Quell'altro,chenon è per anche giorno analfa bete di tal arte, fi erede ritrouar i libri de gl’Egittij,che Diocletiano mandò, per paftura delle fiamme .Collide d’ogni ricetta,che gli capita nelle mant,penfa volar à ga reggiar con mida,nelfarorocol folocatto.con vnacógerie di vario fale perfuadefi di far l’elixir diuino, ondo poflfa cambiar il mar in 'Xtsgipdpfiusvt tenui p ro ietta p arte p er vn das JEejuoris argen tu m fiyitiu n t tufi fio ret, filejucr omn e , v e l im m tnfum v e r ti m are pojfiet in au ru m . Qucfti fono
que’mendichi col penile re d’oro,che fi pafeon di vento; onde fi dica ; Stetcrunt onagri tn ru pibu s , attrahen tes ven~ tn m fiìatt D racones.D i quefti panni che diccfle Agoflino: A rnaspecuniam , o cacc, q m m num quam v id ch is , Quello fi ch'è
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ch’è vnfabricardi rugginc,che dirtrugge,fenzache poffa auuedcrfene,fe non quando illuminato dal troppo fu mo dirà : Ad mhilumredaCtusfum, & ncfaitt* In formoa à quelli Ajchimirti fenza hlofofìa altro:non roda, che fa me, freddo,fetor,fatica,e famo.Ma come volete, che coftoro pollano venir à capo della loro fàbricaje non han no pietre,mqtitre(cutto che fi vantino di faper calcinare) vanno Tempre in b'ufcadi tremar la pietra dq’fflaio&chc ha rotto il ceruello àquerti Slofofartri. In vn folcane mercato fi ragù nano tutti l’arteggiani ; ne fono tanti i trafichi delle mani, quante le fabriche del ceruello. Vedrai vn ceruello di rame,che tiranneggian do tutto il giorno trilarugine il braccio, fantafticadi polirla come fc folTe oro6tupifcoini poi della leggi erez-.za de’maertri del ferro, che s’imaginano d’elfer tanti Vulcani, per eifer chiamati alla fucina di Lenno à falin ear le quadrella à Gioue. Le zappe, & i badili per far l o fondamenta del lor cartello,l e fanno colle borfe dc’contadini »quandodonando su’l mufo d'Aftrca, fanno c h o peli più il ferro,che l’oro, Credendoli mieter tutti i beni d’vn pouer huomp, quando li vendono vna zappa. Ciafcheduno in omma, che fi porta nel meftiere del ferro, è nel lauorio deU’armt, procura Tempre di far tenaglie di buona tempra, per non fcappargli ilguadagno; & attribuifee, fmtafticando in aria, à luoi iftromenti tutte l o vittorie. Tutto che i palagi fi faccino nell’aria, non però ne viene cfclufo il lauorio delle chiarir. Fanrafticano al cuni di quelli lauoratori con falfeggiar le chiaui de’fcrigni, aprirli la porta al poiledimento d’ogni ricchezza ; ma alle volte fperimentano d'hauer lauorate le chiaui della loro prigionia, dalla quale efeono con vn catenac cio di fune al collo.Lafanufia di quei che trattan lo ¿la gno»
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«no,come metallo dedicato àGioue, arriua à crederli dr otouarc à Grandi col fiilfeggiar le credenze,e con infinir Ti monti d’imaginato argento vola à cimentarli con ar mi di bianchezza fin colla luna: Perfuadefi,che la candi dezza delfuometallo, tuttochefoggettaalle m en d o , nondourà cedere alla luna, che forfè affumicata dagli Aldiimifti,tiene macchiato il vifaggio.Agatocle c quel lo,che fa la fpefa per fabrica aerea de’bocalari, e maeftri della creta ; perfuadendofi ciafcun di quelli nel maneg giar colle mani, e co’piedi vna ruota, di porre il codio ne sii la ruota della fortuna,onde pofla fcriuer per motto sù ¡a porta : Rex ego quifum Stcam^figulofumgenitorefa tui . L’hauer autorità di porre il manico doue gl’aggrad a, Mi fa libero anche il ceruello à ben mille fantafio : Quefto benli, cheilpenfiere non può tanto folleuarli dal piede, mentre col piede tratta la ruota, al moto della quale vola la mente. Quei c’hanno del più vile fingac elo imbrattate le manicano più luminofojl pcnfiere,onde lì perfuadono hauer nelle loro botteghe rinouate le Morie di Cuma.Il darfi à credere l’hauer trapiantata Fa enza nel Lauinaro, è far vna ftanza architettata da’vm. Napolitano alla grolla, per hauer piu tempo da fpenderló a far il pignato maritato, che à far pignate. A coftoro par che fia lecito di finger caftclle in aria, mentre hanno il nome di figoli.ma eflendo la materia grauofa, non può tanto mantenerli in sù, che rouinando, non lor rompa il capo; ma tuttoché le lor opre fiano foggette à gl’affronti d’ogni picciola pietra,vdendo taluolta tjeansferiti 1va li alle menfe d alcuni Gioui di creta, fegli perfuadono eterni. K^imphora non meruit tampr&tiof'e mori. Ma tutti i penlìeri di coftoro fabricanosù le borie de’contadini, penfando come pollano nafeonder le fifTure; onde non_> r fap-
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fappiano penetrar i deferti della creta, quei che hanno il ceruello di fango. Le cartelle de’ mercanti tutte fon fabricate con paro le,che à guifa di brecce rompono il capo di chi compra « Ilpeniìero dicoftoroèdi raddolcire con tanto m icio ¡’orecchie de’ compratori, che cuoprano J’amarezze de’ panni talvoltaimbeuuti di fiele, per cuoprir le m encio. I panni,che in prefenza de'mercadanti per riuerenzo forfè non ridono, giunti incafa talmente fmafcellano delle rifa, che fanno crepar il cuore, à chii’hà comprati, Non mi marauiglio, che fantafticano ancora giuramen ti per dar credito alla fallita delle merci, mentre le bot teghe,per Tofcurità,paiono cafc di Piato,.jdoue fon /oli te le biaftemmie. Tutto giorno penfano à far panegirici in lode de’loro panni, celebrando per fanciul le quello lane, che hanno la barba più lunga de’ bechi,da cui fon tl'dXtC.Latidat vtnales^ut vult extrudere merces-, dice Ora tio. Quel cartello doue ftà fcritto quel motto, con arte, e con inganno fi viuc la metà dellanno, con inganno, e“ con arte fi viue l’altra parte, è di colui che penfa à vali car anehe Tonde rtigie di mille inganni. Il ceruello va tanto in sù in quelle fabriche ingannevoli, che paiono fatte per incanto, imaginandofidinodrir anche,i ragni in c afa, per vender le loro tele in luogo di drappi, ma quell’imaginarfi di paflfar dal vender icuoij »alle la n o , dalle lane alle fete,dalle feto alle gioie,dalle gioie à ban chi, da banchi à i palagi,è la lùbrica ordinaria dc’mercadanti,hauendone i’idee nelle fperienze. d’alcuni folleuati dalla fortuna. Tutti però accomunano la calcina, e le pietre nel fantafticar cambij illeciti, da cambiami anche Tanimaj e prezzi da far fuggir la giuftitiafpauentata, nel cielo. Hanno ritrouato coftoro v»a tetra molto abòonY deuole,
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deuolc, nella quale d’ogni tempo penfanofarmaiforitie» e quella è la mano della plebe, doue feminando col preilito le monete , s’imaginano di far raccolta di cen to per vno. I fattori, e negotiatori di caia folleuano alcuni mer letti sù li palagi de’ ricchi, quando lor inciampa nello mani moneta da fpcnderc:Ma tutta la fabrica và à collo del Padrone. Tutti i penfieri nonfabricano altroue, che nelle piazze, imaginandolì d’attacarfi alla compra del peggio,per riufcirgli meglio. Io non poteuo credermi, che 'coftóro fabricaffcro librarie, mentre Hanno dato perpetuo bando à Minerua : ma l’hauer Tempre dello Mercurio su'l capo nel formar le tariffe,tutto il loro litidio và à cóporre il libro deirdito,penfando con que’fogli,come con tante penne far volar tutti i benije talmen te s’affacenda la mente in quello mcflicrc.che s’imagina con quel libro di fpela effer vn Alefiandro con l’Homcro al capezzale 5 ò vn Auguflo col poema d’Appiano . Il penfar a dar il vàcuo alla cafa del padrone, è il tratte nimento di tutti i negotiatori ; e benché di profeflìon?_i ferul, come dille L.abeone : Negotktores ferai tiìdeùtur , n ulla di manco dal pefo del guadagno,lor lì fa così alato il ceruello,chc Tempre fantallicano padronanze,confor me col vero padroneggiano i beni. Non faprei dire fe Giunone permetta nel Tuo regno cafa di giuoco, per paura di non elfer ogn’hora biallcmiata, n5 volendonelTaria quelle bocche diauolefche, che fon deftinate ài corteggio di Plutone. Pure non può vietare, che non fe ne ritroui alcuna fegrcta fabricata da quei, clic fantafticano inganni con deprezza dimani. Le pietre fono,i dadi,le cèrte',gli fcacchi,le palle.Non fon tante le figure delle carte, quante fon l*idee, che fi rappre-
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prcfentano nel capo nel giuocatore in ogni eftremità di coppe che vede, pargli gufiate vna tazza di n ettare, con vii pie di cauaìlo che fpia,credefi correr di trotto al la vittoria, con vna carta di Donna, che vede fegnata al tergo,fi fperanza di douer goderl’Elena d'vna primiera. Crede farla da Alcide, quando fiancheggia fe fteflo ti rando vna carta di baftone, come fe fon© la claua. Alla venuta d’vn Rè pcnfahauerlofcettro del giuoco . Nel vedere vna punta di fpada, aguzza il ceruello ad imaginarfi,ò vn Marte giuocatore, ò d’inchiodare l’aife della., fortuna. Prende^auuedutezza nel vedere va ciglio dèiTocchio d’vn denaro, fpgranzandofi alla conquifta_. de’ tefori. A lato di coftoro fabricano gl’otioii, che con_. bocche aperte s’infognano ben mille vittorie conforme la lor paffione. Quei che giuocano il dado, affidati da quel dà, e dò* iempre lor pafTa per lamenteil Recipio . N e’ fiacchi l’acutezza dell’ingegno la contende cocl. Mercurio , e con Minerua ; & cifercitando vn giuoco guerriero, fi credono tanti Marti nodelli. Vn tale, che sà bene tirare alianti vna pedina, per farla Donna, s’imagina portarli aH’amicitia de’grandi, onde ne tragga le pe dine d’oro. I giouaaotti, che fi preggiano di ben giuocare alla palla, fiperfuadono effer tanti Giacinti cari ad Apollo. Ne mimar auiglio, che i Giucatori facciano tan te caftelle in aria, perche più d ogn’altrofi nudriicon di vento. 1 caualcatorimontati sù loro caualli penfano di portarfi sii gl’Hippogriffi, ò sii i Pegafi, e con profopopea di gigante, taluolta la fanno d’Antei nel cadere, non gli nell’apprender for2£ dalla ferra. Infierendo il pendere folla ferocia de’defirieri,nonfabricano ftallc,ma'Reggic su le ftellc, imaginandofi di pajgr *iUc corti Rcggte,t riY 2 ceuer
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ceuer gl’applaufi di Pico,di cui canta Virgilio ficus equorum domitor . Crefce più insù la muraglia,millantando li d’hauer ingegno (opra gl’huomini, mentre fan dar re gole di raggione alle beftie. Che il Buccefalo non per metta altro faldorfo, che Aleffandro , ftiman eiferlor opra,non generalità del caualloimaginafi queU'altrodi formar tante sfere celefti,quanti forma circoli sù la tcrra;& ad ogni falto, crede faltar adiionori, ò à premij ec cedenti il merito . Non tanto frena vn deftriero, quan to ilfuoceruello, frenarli crede gl’animi de’padroni . Pcnfa egli hauer domato il Peloro.e’l Cireo,onde crede in ina lode quelche cantò Silio. Et docìlisfrani, & meli-or parere Pelorus nonmmquam effufumfìnuabat deuius axett. Ma il caltello più grande,e fmiftirato lì è,quando nel trefcar de’caualli,s’imagina dfer fuperiore à i maeftri de’caualli ballarini delibatiti. Chi crederebbe, che anche tra i letami delle Italie, lì ritrouano c erudii, che cambiati i Pegalì, pretendono far vn volo alle Ìlcile ? Sono quelli i mozzi di Italia, che im parando generalità dà Buccefali, e dal cauallo di C efire , che haueua i piedi anteriori limili à que’dell’huomo, fi trasferifeono col penlìero alle Italie di Giunone, imaginandoii d’clfer tanto cari à Principi, che poflfan dar di calci à tutti gPinuidiofi di corte. Pervadendoli tal vno d’hauer fatto così forbito il fuo meftiere, onde il padro ne gli cambiaiìe il criucllo della biafa, in tazza d’argen to, facendolo feruire per fuo coppiere j onde polfa can tare quel grande ingegno:Ma s'ogn’vn torna all’vfo an tico, in brieue, li dirà fatt’in là quand'ei sbadiglia, egli vorrà fifehiar mentre che beue. Dal vedere nell’ùnpreie delle cittadi, e d’alctini nobili {colpiti camalli, vantali cThauer vn quarto nel cafftto de’Grandi. Sieguono dop-
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po i mulattieri,i quali non sò come pollano volar neli'aria, fé i muli non hebbero luogo nell’arca di Noè : puro^ non mancano àquefte, imaginate grandezze, quando confiderano hauer molti de’ Gradi nelle loro Italie , tra quali fu Aiefiandro, che per honorar queft'arte fi fé mu lo del Dio Ammone.S’auaza più in oltre il lor penderò, quando fi ricordano di Piacentino , che dal'gouerno de’ muli, paifò ad effer tribuno della Plebe, onde fé imaicellar delle rifa Pafquino, con quel Elogio : , . e molto più quando reflettono àSaulle, eh t quando fu chiamato al gonerno d’Ifraele. Non poflo tralafciare di dir qualche cola deporta^ fe?^ette, ò feggettari . perche la podagra mi l’hà refi pur troppo familiari. Quefti pretendono ancora il lor luogo nell’aria, imaginandofi d’eifer tanti Atlanti, quando con afinefche /palle portano il mondo picciolo sùildorfe. Quando il giorno ftanno sù l'auuilo, fpiando chi parta, fabi icario cento cartella in vn momento, credendo tutti quei che partano degnidi leggio, e correndo ad ogni cenno,ò fegno.che veggiono,lor viene tal volta rouinato il cartello,quando hauendo fabricato su’l l’ale d’vna^ ipofca d’vn cenno,rimangono delufi dalla verità. Penfano raluolta eifer chiamati à portar le veneri, ò gl’Adoni in fpalla, pauonettgiandofi di diuenir nel refto Mercurij per ingannar gl’Arghi,acciò fi veggan ripiene di moneta le mani. I corrieri tutto che fiano condennati ad vn ¿figlio perpetuo della loro Patria, ad ogni modo il ceruello sà fubricare i loro palagi nell’aria vii più cartello alto, che», padano far coiloro c il crederfi di portar taluolta i! buon ; giorno ^ C
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giorno in caia d’alcuno, per riportarne il buon anno iiu caia propria. Vantali tal vno di portarli da’ Mercurio nel volare fenz’ale à piedi, non cedendogli nelle furbarie di fuifare i fugelli delle lettere ; e di fpiarne i fegreti, fantafticando di trar gran frutto dalla femente delle tradiggioni. L ’infingerli d’inciampar tra ladroni, per ifualigiar fe medcfmo con danno folo di chi Io manda, è vna delle cofe più addeftrate, che pollano hauere, à cui feruono di fineftre i fregi, che talora riceuouo nel volto . Quei che corron la pofta fantafticano tanto in sii, che* palfarebbero il foffitto de’corrieri maggiori, fe non foffer portati alle volte da vn cauallo nella tomba d’vn foffo , per romperfi le gambe, non che il filo del penfiero * che fabrica sù 1’imaginatiua. Non fi trouano nel mondo aereo, cartella particolari de’ Molinari, perche tutti s’efercitano in quello melile» re,procurando ciafcheduno tirar l’acqua al fuo molino ; anzi ciafcheduno porta il molino s’ùl capo per far buo na farina à prò di fe fteflo ; ma non s’accorgono elio tatti i loro molini fono à vèto, e tàluolta per empir trop po il facco, fi veggono pendolar come facchi, rompen doli il collo da tré legni. Ne anche fi ritrouan botteghe particolari di quei che fanno oriuoli,mentre tutti portano l’oriuolo al ceruello, non fonando l’hore,fe non tratti dal pefo della boria; ma à che feruono formoli fe non fi contano hore per fabri. car torri in aria,fpedendofi per la troppa compiacenza^; il tempo fenza mifura.? Ancorché Abdolomino hauefie cambiata la zappa in in icettro, quando dal piantar degl’alberi fu piantato alla Reggia de’Tirij ; e Diocletiano haueife cambiato il i rono per yna yillajnulla di manco le cartella degl’Agricol-
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coltori,non padano tato insù.Quando l’aratro folcheggia terra, la mente ftà impriggionata nel granaio. Il più alto cartello è quando s'imaginano imbatterli coll'ara tro in vn teforo, la doue incontrandoli in va inadgao, vi fi rompe il difcgnoje la patienza,facendo vn catalogo di tutti i Santi.il comporre col ceruello monti di frumen to,e che il prezzo tocchi l’ertremo;querti è il cafone che lubricano ne ripofi della notte. Pure edificano taluoltiu alcune iuperbe muraglia, quando fantarticano haueri! pri mo luogo fra gl’altri meftieri del mondo, onde habbia adir Tullio , per fondamentar quefto palagio : Om n i u m
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fe il tempo è fecco,come s’è tempeftofojfempre il capo ò và colla corrente cambiato in acqua# c diifeccato, è tratto dal Sole alle ftelle: nelle rotte delle fiumare, che fommergono la femenza, galleggia il penfiere imaginandofi da letami ingranare le biade.Quando il feminato vien afllilito dà topi, dalle locufte, ò d'altri animalucci, fentenrono roderli il cuore, onde à par de_, Grandi ftudiano, come debbano daraflfalti, far atti di guerra,e trionfarne. Trouafi vn villano, che fabiica siila gentilezza,imaginandofi di far il galante, e dclicatuzzo, quando fifa vedere in giorno di fella per la città, veftìto di tanti colori, che par vn pappagallo, con vn fettuc cia cremefina al collare, e con vn cappello à mezza tcrta, che par diadema. Quando tien la gamba alzata stri baffone, rantuftica di caualcar rHippogriffo,per i’aquifto d’yn pò di fenno. I partorì ancora, tutto che fiano aviezzi a far capanne • " colle
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colle mani» pure fabricano col ceruello vari; cartelli » l’effempio di Ciro, di Gige, e d’altri ; che dà quefto me g e re lattarono in sù, fa (aitar loro il capo à mille fanta stiche imagiuationi. Dall’efler flato Apollo guardiano d’armenti riceuono tanto lume in zucca, che fi fanno ftrada à i palagi de Principi, forfè per infegnar loro à paflurar le »regia de’popolùcon prenderli fol la Iana,noji_a il cuoio. Staffine quel tale tra le forefte,& impennandoli con quei frafcumi il capo, vola il ceruello ad imaginariì cambiata la fua greggia in montoni di frjl'o. Non credo no effcr ranto fmifurato il falto delle «landre à troni, mentre anticamente i Rè furono prima pallori. Perfuadendofi non mancar loro ne nobiltà,ne prudenza, men tre più volte dalle lane, meglio che dall’acque c dcriuata la porpora; ed vna capra moftrò gran prudenza nel farli paffar l’altra fulle fpalle per l’anguftezze d'vn pon te ; ma la fantafia di coftoro meglio vien nodrita.» dal latte , dal quale s’imaginano paffar al nettaro delle corti t per mezzo de’guadagni. I famigli an cora feguendo Torme de’ padroni, fabricano le lo- . ro caie col cuoio delle pecore, e taluolta del pa drone ifteffo , fingendo Tempre di combatter co’ lu pi infidiatori; e pure è vero che non mentifcono, quando l’affermano, mentre eglino fono i lupi (ot to le vedi d’ Agnelli . Non mancano fantafìe à i guardiani del tozzo armento, la douc Marte cam biato in cignale, lor dona forza di fantafticar gran dezze. Giouc cambiato in bue, & Io in vaccai , donano arditezza à i cuftodi di tali armenti di folleuar il penfiero fine alle (Ielle. II maggior cartel lo di co fto ro , che fempre edificano sù Tintereffe, c di co lu i, che fantaftica di paffar dalle mandro
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al macello,crcdendofi di far battere quiui la zecca, noiu che la carn"e;e tragge l’efempio da vn certo Napolitano, che ingrandito per tal meftiere, hà faputo con regali, o banchetti reali guadagnarli la grada de’Vicerè di quel Regno. I cacciatori anche hanno le loro bofeaglie nel concauo della luna, che rantolìi vaga d’Endimione, on d o non mi marauiglio, fe coftoro padano il foffitto di Giu none , per accompagnar Cinthia. Le cartella di coftoro fon fatti con ipefa,perche vi sborzano i fudori,c vj lace rano le membra, non che le velli; fe i penfieri de caccia tori folfero come quelli d'Euftachio il Santo.che penfafferodi rinuenir colui del qual lì dice: Affimlart capre* immloque rrr/w»«r,febricarebbero nel parafilo. M a lo mente panni infaufta feena di tragedia, mentre vi fi rapprefentano imagini di ferità. I Grandi infaluaggendoi coftumi nelle felue penfano di trafportat tra bruti la ti rannide, che è brutale, facendo propri; quegli animali, che dalla libertà fon refi comuni .Trouanfi alcuni, c h o tutto che cacciaflero più /udori dalla fronte, che animali dalle bofeaglie, s’imaginano feria dà Halimo, e Panopc compagni d’Acefte Rè de Sicilia,tributando àior lode il canto del Mantouano: Tum duo Trinacrij iuutnes Haltjwns,Panopféjue ajfuttifyluis,comttsfemerts Acejie.Veggio vn Cacciatore convnpcnfiero fi alato, che con vn fal cone , ò fprauierc nelle mani, credelì d'efler Aquila dà far preda de’Ganimcdi.Vanno fuor di riga quelle cartel la mentre molti ranno auolti in quello meftiere, indu cendo gl'Adoni *e le veneri nelle bofcaglje, ouc procu rano le paci tra gl’Atreoni, e le Diane, e tra i cigniali, o gl'Adoni.Gliimaginaù trionfi ¿«’cacciatori fono,q Dan zi do
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do entrando nella città à ftion di cornetta trionfando d’vn vccifo Cigniale, fi perfuadono entrar nel carapidogtio di Roma,come Cefari trlonfatorimon fono arreda ti dalla fatica, mentre mai lor mancala preda, e quando no trouaifero vn ceruo nelle felue,fon iìcuri di trouarne vn domeftico in cafa ; onde dica Orario: Manet/ùb leue frigido venatori tenera coniugis immemor. IPefcatori poi paiano all’acque di foura il cielo, quando penfano di pefcar gioie in cambio di pefci,ò d'hauer l’amo di S. Pie tro per pefcar pefei con monete in bocca. Voglio finirla perche crederei d’hauer ad impazza re , fe più trattenere la mìa mente à confiderar tante fàntafìe dcgl'huomini, ma non poifo eiTer tan to trafeurato che non fcuota colla ammonitiono la mente humana, mentre la vedo tutta vanamen te occupata à formar cartella in aria ; e ladoue è tutta impiumata per volare alle nubbi, è altreiì tut ta impiombata, per cadere nelle più profonde vo ragini della terra , mentre tutte quelle cartella fi fanno in aria, e con ifrcgolatilfima archjtetturaivolgonfi nella terra , e quanto più ipenfieri parche s’auuicinano al cielo, più dal cielo s’allontanano. Aificurati ò Chriftiano,che anderanno à vuoto i tuoi voti,e le tue fabriche farano diftrutte.Così ri minaccia Dio per Amos ;
Defi uttficutfiuuius JEgypti, qui adtficat in ecelo afeenfiomm finam,& fafciculttmfuum in terra fitndattit. E come legge la vertìonc Hebrea : Cito, cito trinfitti euanefeet qui¡latiliens in terrafundamentumi*dtficauit in ¿¿/-¿.Reiterai delufo come quel Rè, che aipettaua veder dà Elòpo fàbricafein aria le torri,attefo non potrà mai efler ragiunta l’A quila del tuo deftdcrio,chc grida: Àffer,*ffer. Bifogna fer irc i
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uirci de'bcni, che oftenta in profpettiua la profperità dei mondo, mà ad vfo,nó per pcoprietàiattefò il noftro ftabile ftà neirEmpirco ch'è la noftra patria, Ulte ergofubjtantiam tuam collocai ( prendi il coniglio «TAgoftino ) vbi
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Errori eccorfi nello lampare Fac. ver. errori, corretti. f Fac. ver. errori, corretti, a Perfenna.Porfenn* \8 1 3 barbottaua. borj 2 5 de Codro accófenbotraua. tcflfe.di C odro accon1 2 in marmo.vn marmo 83 6 fiumi, fumi. fentiife. io 22 del arbitrio.deirar- 90 26 mentre , mente. bitrio. e cofffemprtjhc 9 4 23 à l’Afpe. all’Aipe.' 96 6 pottando portado. fttgut 'v ita le ) * 1 0 3 2 8 conofciuto conoe 11 n o . fcmti. J5 1 3 in vn cale. in non 1 l'j vlt. è. 2 . cale. 1 5 3 1 4 Alato. A lato. 18 2 1 buona, bruna. 1 5 6 19 pdicano.pdicono. 8 infiuie. infidie. *3 26 1$ òlauacro. lauacro. ^ 1 5 8 7 s’imagigano. s'i. ftiaginano. » 8 . 5 con/cienza.co^ci^p J 8 3 4 ad. da. za .ecif/émpre. 33 1 Belezza. bellezza. 2 6 5 22 potable. potabile. 43 5 non mai. mai. tcofi 1 6 7 2 2 in omma.in sóh|L 169 16 bechi, becchi. femore. J5 19 fapore. fapcrb. 17*5 4 Gradi. Grandi. ' 1 1 fitabat, fricabat. 16 1 g ioco, giuoco. ia refettorio, riflet 2 delli beni, ne'beni. tono r 2 8 Dionigio. Dionigi. 1 7 3 * 0 2 fententono. fer> ¿ 3 5 5 meglio, miglior. tono'; é 4 1 7 s’è taoto.fe à tanto. 9 7 vn fettuccia, vna Armeria.Armenia» fettuccia» 77 7 trionfi^ trionfi» u ,
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