Zazie, come nasce e si sviluppa un femminile femminista nel contesto della quarta ondata

Page 1

Numero Zero

Tesi teorica e relazione di progetto

Ricerca sul femminismo della quarta ondata e rinascita della carta stampata. Costruzione di un nuovo tipo di femminile che si oppone all’idea e ai contenuti tipici della categoria in cui vuole inserirsi.

Come nasce e si sviluppa un femminile femminista nel contesto della quarta ondata.

Autore: Cecilia Della Longa Relatore: Marta E. Bernstein Correlatore: Davide Mottes Tesi Magistrale Design della Comunicazione A.A. 2016/2017 Politecnico di Milano



“Il desiderio incontenibile di buon design è simile a quello di voler continuare a vivere. Il presupposto è che da qualche parte, nascosto, c’è un modo migliore di fare le cose.” Harry Bertoia


Cecilia Della Longa Matricola n° 813527 Laurea Magistrale Design della Comunicazione Politecnico di Milano A.A 2016/2017


Titolo

Zazie numero zero: come nasce e si sviluppa un femminile femminista nel contesto della quarta ondata del movimento femminista. Sottotitolo

Ricerca sul femminismo della quarta ondata e rinascita della carta stampata. Costruzione di un nuovo tipo di femminile che si oppone all’idea e ai contenuti tipici della categoria in cui vuole inserirsi.

Abstract

La riaffermazione del femminismo, a Londra, dà una nuova chance alla carta stampata. Negli ultimi anni nascono diverse zines dichiaratamente femministe. Nascono in un ambiente libero e indipendente, in una democrazia che permette di esprimere sentimenti, estetica e diseguaglianze. Nascono da una generazione che ha visto l’ascesa dei social media ma che ha amato i poster in camera e dove la cultura underground si schiera contro misoginia e mainstream. In Italia invece il femminismo non va di moda ed è generalmente associato alle rivoluzionarie arrabbiate e a quel mondo accademico chiuso e inaccessibile. Le riviste femministe, che erano i luoghi di sperimentazione e dialogo, vivono oggi negli archivi online ma sono comunque ricoperte di polvere. È davvero così impossibile parlare di femminismo in una realtà contemporanea che di dialogo e sperimentazione ne avrebbe molto bisogno?


1

Le riviste storiche Il femminismo italiano Le riviste storiche

2

Il panorama contemporaneo L’Italia e il femminismo oggi Il fervore estero Schede: le riviste contemporanee Il nuovo femminismo

3

Il progetto

4

Non solo un magazine Zazie online: sito web e pagine social I prossimi numeri

Il contesto di inserimento Scelte progettuali La struttura Scelte grafiche


Introduzione

pag.

5

pag.

5

pag.

5

pag.

5

pag.

5

Conclusioni

pag.

5

Bibliografia

pag.

5

Appendice

pag.

5



“Come si fa nei momenti difficili a sopravvivere ogni giorno? (…) Mi procuro dei libri, leggo, prendo appunti, mi occupo di qualcosa che non sono io. Accresco l’ordine o il disordine, butto via.” Eva Marisaldi, Molte domande non hanno una risposta. Bologna, Galleria Neon, 1997



Introduzione

9

orse scrivere in prima persona sarebbe stato più in linea con il tipo di progetto che andrò a descrivere in questo volume; tuttavia, essendo questo uno scritto di tesi magistrale, ho l’onere di formalizzare. Devo ammettere che questo tipo di linguaggio mi risulta molto scomodo in tali circostanze perché sembra schierarsi contro il significato dell’intero progetto di Zazie. La rivista che ho progettato è un tentativo, forse un po’ ambizioso, di portare ad un pubblico giovane, e di non sole donne, quel discorso femminista che negli ultimi anni si è riacceso in una, così definita, quarta ondata. I temi cari al femminismo, in Italia, sono oggi discussi e portati avanti principalmente da un pubblico di nicchia che comunica attraverso scritti e collettivi (molto legati al discorso politico) poco accessibili ad un pubblico vario e soprattutto giovane. Le riviste femministe che oggi sopravvivono si presentano come documenti infiniti di parole, pensieri e discussioni redatte con un linguaggio accademico, talvolta freddo e spesso ermètico. Inoltre, la ricerca che mi trovo a dover raccontare, ha inizio e prende spunto da episodi e situazioni non facilmente descrivibili senza l’affermazione di un soggetto in carne ed ossa. Per esempio vorrei raccontare di come l’idea di tesi nasca da una piccola e personale esperienza che mi vede in totale opposizione alla normale classificazione dei periodici in femminili o maschili. Non trovandomi quasi mai conforme alla descrizione del target ideale di un così chiamato femminile, mi sono sempre ritrovata a comprare riviste definite maschili. I contenuti di queste sono infatti di vario genere e destinabili ad un pubblico più vario rispetto a quello cui si propongono. Si parla di attualità, tecnologie, culture, modi di vivere e persone, persone vere. Difatti a volte, soprattutto ultimamente, alcune riviste non si dichiarano più, rimanendo neutre. Ma il neutro non esiste, è un neutro-maschile quello di cui si parla. E cos’è che rende un maschile tale? La pubblicità. Quindi posso leggere una rivista dichiaratamente dedicata agli uomini se mi accontento di sfogliare cappotti, orologi, automobili per uomini. Poco male. Una mattina un edicolante, che un po’ mi conosceva, mi chiese come mai non comprassi una rivista femminile. Probabilmente era convinto che preferissi il rosa, i confetti, i gossip e i consigli di bellezza. Il punto è che non solo non mi interessano, ma mi dà anche un po’ fastidio il fatto che la definizione di “femminile” stia proprio in quelle caratteristiche. E allora cosa c’è di diametralmente opposto ai classici femminili? Forse le riviste femministe. Ma non esistono più, il femminismo ormai non va più di moda[*]. E invece pare essere tornato alla ribalta, forse per un bisogno reale, forse perché le star si dicono femministe e cantano “ain’t your mama”[1]. Così mi sono imbattuta in quelle neo-riviste femministe, principalmente inglesi, che raccontano di un movimento inclusivo, tanto da essere oggi chiamato “intersezionale” e che si fa portatore di temi radicati nella quotidianità. Non è più un femminismo rivoluzionario e combattivo, è una realtà di tutti i giorni che cerca di limare le diseguaglianze, scoperchiare quei tabù che ancora oggi limitano le libertà e far sì che, noi figlie delle generazioni che hanno lottato per regalarci i privilegi di cui oggi go-

F

L’ermètismo italiano

$

I periodici femminili

$

I periodici femministi

$

intro


10

Etimologia del termine

$

diamo, non vanifichiamo quel lavoro. Ritornando però alla questione dello scrivere; dicevo che mi sarebbe piaciuto poter scrivere in prima persona per non dover calcare nuovamente parole già state scritte in decine e decine di volumi riguardanti i movimenti storici del femminismo, ma anche per non dover raccontare in modo formale un pensiero che è oggi immerso nella quotidianità, nelle piccole cose di tutti i giorni, nelle esperienze comuni, nelle persone reali e contro i discorsi patinati e i vecchi tabù. Tuttavia proverò come meglio posso a raccogliere tutta la documentazione di cui mi sono servita per poter costruire questo progetto di tesi. Nel primo capitolo andremo a riprendere alcuni punti salienti della storia del femminismo illustrando le principali riviste storiche che in Italia, in particolare, hanno accompagnato e servito le cause e le sperimentazioni creative del movimento. Prima di tutto però è importante riportare il significato della parola “femminismo”. Etimologia del termine (da Vocabolario Treccani[2]): s. m. [der. di femmina] [sec. XIX; francese féminisme] – Movimento delle donne, le cui prime manifestazioni sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la completa emancipazione della donna sul piano economico (ammissione a tutte le occupazioni), giuridico (piena uguaglianza di diritti civili) e politico (ammissione all’elettorato e all’eleggibilità), attualmente auspica un mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne. Féminisme è un termine che appare nel 1870 in una diagnosi fatta da un medico francese per descrivere una patologia di cui soffre un uomo maschio adulto che non ha sviluppato la sua virilità. Il neologismo lo ritroviamo due anni dopo come descrizione del movimento delle donne che in Francia sta rivendicando la parità con il sesso maschile, questo in uno scritto di Alexandre Dumas figlio. In Italia, appare per la prima volta nel titolo di un’opera di Luigi Fichert Femminismo (Terzo sesso). Satira morale nel 1897. Così, il termine “femminismo”, nato in campo medico per indicare

Scrivevo questa introduzione intorno al maggio 2016. Conoscevo diverse realtà femministe a Londra e in America, da cui effettivamente ho preso spunto, e poche in Italia. In questi mesi però ho notato una crescita di interessati al tema, dovuta forse anche al “femminismo delle star” di cui si parlerà dopo e ad un eccesso di parole come “donna” “questione femminile” “rosa” nei discorsi di cronaca dei telegiornali. In ogni caso ho visto nascere intorno ad ottobre nuove realtà editoriali come “Freeda” di cui leggerete in seguito, che hanno calcato (anche se in ambiti e con linguaggi differenti) le mie intenzioni.

[*]

“Ain’t your mama” ovvero “non sono tua madre” canzone di Jennifer Lopez uscita nel 2016. È stata citata questa in particolare perché il titolo è più forte rispetto alla canzone “Flawless” di Beyoncé (in cui riprende il testo di Chimamanda Ngozi Adichie), che ha dato il via a questa ondata di canzoni attuali che inneggiano al femminismo, da qui l’utilizzo del termine “pop-femminismo” per indicare la direzione che ha preso il movimento nell’odierno.

[1]

[2]

intro

Vocabolario online Treccani. Link: www.treccani.it/vocabolario/femminismo


11

uomini di apparenze femminili, passa a indicare le lotte delle donne per raggiungere la parità politica e sociale. Da allora si usa per descrivere due concetti differenti con base comune: utilizzato per descrivere l’attitudine che rende un individuo - uomo o donna - favorevole a estendere anche alle donne diritti civili (come ad esempio il diritto di proprietà) o diritti politici (ad esempio quello di voto). Più comunemente il termine viene utilizzato per indicare il movimento collettivo militante dove, in un certo periodo storico, le donne riescono a comunicarsi le loro esperienze e si uniscono per lottare insieme per il miglioramento delle loro condizioni (Scramaglia, 1997). Dunque il termine coniato è figlio di uomini e dell’ambiente patriarcale, nato in senso quasi dispregiativo come tanti dei movimenti rivoluzionari non amati dai conservatori. Spesso erroneamente lo si oppone al termine “maschilismo”, ma il significato non gli è affatto opposto. Il maschilismo è una forma di sessismo, basata sulla presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna. Il termine divenne di uso comune negli anni ‘60 del 1900 per indicare un atteggiamento socio-culturale basato sull’idea di una supremazia maschile e sulla continuità del sistema patriarcale e si costruisce dalle parole “maschio” o “maschile” e dal termine “femminismo” (da wikipedia.it). Questo termine non va poi confuso con quello di “mascolinismo” (termine che secondo il dizionario Treccani ha l’unico significato di presenza nella donna di caratteri fisici e psichici propri del maschio), anche chiamato con le sigle MRA, MRM o MHRM (rispettivamente, Men’s Rights Activism, Men’s Rights Movement e Men’s Human Rights Movement, ovvero Attivismo per i Diritti degli Uomini, Movimento per i Diritti degli Uomini e Movimento per i Diritti Umani degli Uomini) riferito al movimento sociale, politicamente e religiosamente trasversale, per i diritti degli uomini e la loro rivendicazione nella sfera sociale. Il mascolinismo emerge come reazione al femminismo radicale (rappresentato ad esempio nel separatismo femminista o nel femminismo lesbico) che, secondo molti mascolinisti, vorrebbe di fatto una inversione forzosa dei ruoli tradizionali, portando quindi l’uomo ad essere considerato un soggetto inferiore tra i due sessi (da wikipedia.it). Cosa significa oggi femminismo

$

Nell’affermazione che precede si possono notare alcune delle incomprensioni che sono emerse negli anni e per vari motivi sugli obiettivi reali del movimento femminista. Scrive Giulia Siviero in Se una è una femminista sugli stereotipi intorno al femminismo: “Le femministe odiano gli uomini - ed è per questo che gli uomini odiano le femministe. Si chiama “misandria”, è il contrario di “misoginia” ed è l’argomento che gli uomini usano fin dagli inizi del movimento della liberazione della donna contro il femminismo stesso. Un falso argomento, anche se contiene una parte di verità. Se una è femminista non le piacciono certi uomini: quelli sessisti, quelli che pensano ci sia una gerarchia tra i generi, quelli che si rivolgono alle donne che non conoscono con formule del tipo “tesoro” o cose simili, quelli che le molestano per strada, che vogliono dominarle, addomesticarle e controllarle in una relazione. Potrei

intro


12

proseguire. Ma penso agli uomini a cui, come me, non piacciono gli uomini dell’elenco: sono uomini che piacciono a una femminista. Sono invece i sostenitori della frase le-femministe-odiano-gli-uomini ad odiare davvero gli uomini, identificandoli tutti, in un sol colpo, con dei misogini.” [3] Giulia Siviero scrive e discute di questioni di genere e di femminismo sul panorama contemporaneo; nel suo articolo ricorda come, negli ultimi anni, il termine “femminismo” sia diventato antipatico, in particolare ai giovani. Molto spesso donne, ragazze e ragazzi, tendono ad indietreggiare e rispondere negativamente alla domanda: “Sei femminista?” Le risposte più comuni sono: “Sono piuttosto per l’uguaglianza” “ Non sono una rivoluzionaria” “Oggi non ce n’è più bisogno”. Il termine ha acquisito una strana valenza negativa; da un lato per l’eccessivo ermetismo del discorso portato avanti dalle donne, ormai di una certa età, che hanno combattuto per quei diritti di cui oggi godiamo, dall’altro perché alla parola “femminismo” sono sopravvissuti tanto i pregiudizi e poco gli ideali. Le giovani generazioni sono figlie di una società in cui “ormai siamo tutti uguali” e sono cresciute con l’idea di non avere nulla da invidiare agli uomini e con quella sensazione che il femminismo sia oggi “un continuo lamento che si basa su una visione vittimistica (e fondamentalmente opportunistica) della società attuale”[4]. Ma dell’oggi ne parleremo più approfonditamente nel secondo capitolo. Dopo aver brevemente introdotto l’universo in cui è stata effettuata la ricerca, ci avvicineremo al pianeta su cui è stata piantata una nuova bandierina, ovvero l’ambito in cui il progetto è stato svolto. Le riviste, spesso pubblicazioni indipendenti, hanno sempre offerto terreno fertile per sperimentazione e divulgazione di ideali, sono state strumento di discussione e di conoscenza e, anche oggi, nonostante la carta stampata abbia perso potere (ma acquisito valore), continuano a svolgere quella funzione. Per il movimento femminista le riviste sono state un mezzo di comunicazione fondamentale per poter diffondere i pensieri e i loro obiettivi, un mezzo

[3] Siviero Giulia, “Se una è femminista”, Il Post, 26 novembre 2014. È laureata in filosofia, lavora sul pensiero della differenza sessuale e sulle questioni di genere. Uno dei volti del femminismo odierno, scrive per il Post, su cui ha anche un blog.

Qui citato un commento dei tanti utenti che hanno risposto ad un dibattito aperto da Marissa Meyer e riportato da Greta Scalunich nell’articolo “Ha ancora senso dirsi femministe?” pubblicato sulla rubrica 27esimaora del Corriere della Sera. Sono commenti di gente comune che decide di prendere parte al discorso, nessuna voce di rilievo né personalità di spicco, solo idee condivise, però, da molti. Nota: Marissa Meyer è l’amministratrice delegata di Yahoo, nonché la prima ingegnere donna assunta da Google e una dei primi 20 impiegati della compagnia, di cui fa parte dal 1999. Quando le è stato chiesto, nel luglio scorso, di parlare di femminismo per il documentario Makers: women who make America (diretto da Barak Goodman e portato a termine nel novembre 2014), ha risposto di non sentirsi affatto tale: “Penso solo che le donne siano capaci tanto quanto gli uomini, se non di più, in molti diversi ambiti” e ancora “Non penso di potermi considerare femminista, credo nelle pari opportunità, ma non mi sento una militante.” Per approfondire, qui si può ascoltare il suo discorso: www.makers.com/marissa-mayer.

[4]

intro


13

per farsi conoscere e farsi sentire, un mezzo per raggiungere le altre donne e chiamarle all’impegno, a contribuire. Sono riviste che nascono con l’esigenza di modificazione del mondo, degli schemi e dei costrutti sociali; desiderio che ha caratterizzato gran parte del Novecento. “Possiamo affermare che tutta la produzione indipendente di questi anni, come le avanguardie storiche avevano preannunciato, sono organi militanti, laboratori attivi, sperimentazioni in forma di rivista. È in esse e grazie ad esse che si sviluppano nuove forme di espressione, nuovi linguaggi, nuove soluzioni estetiche.” scrive Marta Mandile nella sua tesi Quando rivoluzione fa rima con creatività.[5] E anche oggi, in un panorama ben lontano da quello rivoluzionario che ha caratterizzato gli anni di fervore femminista, continuano a nascere nuove pubblicazioni indipendenti, dalla grafica accattivante e dal linguaggio a volte un po’ sporco, che portano avanti la discussione in modo fresco e innovativo. È proprio questo l’ambiente in cui si inserisce il progetto che verrà poi descritto, nello specifico, nel terzo capitolo.

“La militanza per noi era una boccata di aria fresca nella nostra vita protetta e soffocante, che ci portava un po’ d’avventura e di passione… il movimento significava per le donne la scoperta della propria identità e questo dava un senso alla propria vita, ci dava una sensazione di potere, una volontà incredibile e faceva sparire il vecchio senso di inferiorità” Magaret Thomas Mackworth

Mandile Marta, Quando rivoluzione fa rima con creatività, Milano, 2016. È una tesi di laurea magistrale sull’esplosione di sperimentazione e creatività nel decennio 1954-1977, principalmente ricordato per quanto di negativo è successo: gli anni di piombo. Sono stati anni di “miscela esplosiva per la storia, la comunicazione, l’editoria, la musica ecc. Si sviluppa la cultura alternativa che partendo dall’esperienza beat, si articolerà in una miriade di iniziative underground, nella produzione di numerosi fogli e riviste, culminando nella “controcultura” che segnerà tutti gli anni ‘70 e soprattutto il ‘77.”

[5]

intro



Il contesto storico

cap.

01

pag.

15

pag.

15

%

Il femminismo storico italiano Gli anni Sessanta Gli anni Settanta Gli anni Ottanta Gli anni Novanta

Le riviste storiche Noi donne EFFE Sottosopra DWF Via Dogana Marea Ms. Magazine Spare Rib Bust Bitch



Il femminismo storico italiano

17

l femminismo non è più di moda, forse. Quella che segue, però, è una testimonianza diretta di come lo si viveva nei primi anni ‘70, quando in Italia si sapeva a malapena cosa fosse. Serena Caramitti nel 1976 intervista alcune protagoniste dell’editoria italiana: Adelina Tattilo, titolare della casa editrice omonima e direttrice di Libera, Grazia Francescato, direttrice di Effe e Dacia Maraini, scrittrice; Nero magazine ripropone l’intervista a più di trent’anni di distanza dalla sua prima pubblicazione[1]. Serena Caramitti scriveva: “Mio marito non vuole che legga Libera, dice che è un giornale pornografico. La signora che sotto il casco del parrucchiere pronuncia queste parole senza accorgersi di portare un ennesimo ex-voto all’altare dell’Uomo, è quella che mi decide a iniziare la mia inchiesta proprio con Adelina Tattilo”. Chiude invece quell’articolo nel 1976 in questo modo: “Mi dà un giornale femminista? Uno qualunque. Il giornalaio mi guarda con aria di sufficienza: “Scelga qui, non vede quanti? Gioia, Bella, Gra...” “No, no” lo interrompo “ho detto ‘femminista’, non ‘femminile’! Non ha DWF, Sottosopra, Effe...?” Finalmente ha capito, si volta e pesca Effe da un mucchio, in cui si trovano anche certe riviste culturali, nascosto nel retro dell’edicola. Decisamente, la cultura e il femminismo hanno ancora molto bisogno di essere portati avanti.”

I

Prima di ripercorrere la storia delle riviste femministe è importante riprendere in breve quelli che sono stati i testi che hanno contribuito allo sviluppo del movimento delle donne in Italia. Qui di seguito ne verranno citati solo alcuni (un bell’esempio di piccola antologia è rappresentato dal Libro + DVD La politica del desiderio, supplemento al n.94/2010 di Via Dogana). La prima e più importante femminista italiana dell’Ottocento è Anna Maria Mozzoni (1837-1920), oratrice, scrittrice, politica milanese. “Il cristianesimo trovò la donna schiava, e la lasciò serva. / La Rivoluzione borghese la trovò serva, e la lasciò incapace, interdetta, pupilla. / La Rivoluzione sociale la troverà minorenne, e come la lascerà? [...] Ogni rivoluzione ha fatto qualche cosa per noi, tanta è la virtù logica delle idee, benché le donne secondassero quei movimenti fascinate da nobili ideali, i cui vantaggi rimanevano sempre irrealizzabili per esse”. (Franca Pieroni Bortolotti, a cura di, L’organizzazione dei lavoratori, 1890, in Anna Maria Mozzoni, La liberazione della donna, Mazzotta, Milano, 1975)

Riferimento ad un articolo pubblicato su Nero magazine, Intervista originariamente pubblicata, nel 1976, dal titolo “Donne e stampa femminista” su Fermenti n.1/2, Fermenti Editrice.

[1]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


18

Gli anni Sessanta

$

Dopo la fase essenzialmente emancipazionista e di forte valenza sociale del dopoguerra, in cui erano soprattutto le donne dell’area comunista a pensare anche in termini politici le contraddizioni del doppio ruolo[2] e che comunicavano e partecipavano soprattutto nella rivista Noi donne, gli anni Sessanta hanno visto una crescita del benessere sociale e un allargamento degli orizzonti culturali di riferimento. Nel 1961 viene pubblicato per la prima volta Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, tradotto e stampato anche in Italia. In questi anni nascono i primi gruppi di donne che rivendicano la specificità del proprio pensare e la necessità di spazi separati (Codognotto, Moccagatta, 1997). Nel 1966 assistiamo alla pubblicazione de Il Manifesto da parte di uno dei primi gruppi femministi, il Demau di Milano. Fu Kate Millet, militante femminista e scrittrice americana, a risvegliare il movimento delle donne alla fine degli anni Sessanta con il suo scritto tradotto immediatamente in tutto il mondo, La politica del sesso (Millet, 1969), arrivato in Italia nel 1971. Il testo nasce dalla sua tesi presentata alla Cornell University in cui puntava a mostrare come la relazione tra i sessi fosse caratterizzata da “predominio e subordinazione”. Sosteneva che fosse un tipo di oppressione radicato e più rigido della stratificazione di classe. Il suo scritto è fondamentale per la rivoluzione in senso femminista del concetto di politica. Scriveva che “il dominio sessuale persiste come l’ideologia forse più infestante della nostra cultura e impone la sua fondamentale concezione di potere” avviando il meccanismo di “colonizzazione interiore” sin dall’infanzia, così da render i bambini familiari al “sistema di caste”. “Il patriarcato invece come istituzione è una costante sociale così profondamente trincerata da filtrare in ogni altra organizzazione politica, sociale o economica, sia essa di casta o di classe, di feudalesimo o di burocrazia, precisamente come pervade tutte le religioni importanti, in esso si rilevano altresì altre varianti storiche e locali. Nelle democrazie, ad esempio, le femmine spesso non hanno rivestito alcuna carica o ne rivestono (attualmente) così poche da rimanere al di sotto anche di una rappresentanza simbolica. L’aristocrazia, d’altro canto, con l’importanza da essa attribuita alle proprietà magiche e dinastiche del sangue, può talora consentire alle donne di detenere il potere”. (Millet, trad. di Bruno Oddera, 1971). Negli Stati Uniti Kate Millet divenne una celebrità ed entrò a far parte di quelle leader del movimento femminista, in opposizione però a Betty Friedan che, con La mistica della femminilità (Friedan, 1963), aveva dato il via alla seconda ondata del femminismo, perché apertamente lesbica. Friedan aveva chiamato le donne lesbiche “una minaccia color lavanda”; era una fase del femminismo in cui ancora si temeva per la “salute” del movimen-

[2] Doppia presenza è un neologismo coniato agli inizi degli anni Ottanta da Laura Balbo e Franca Bimbi in riferimento alla doppia presenza, all’esperienza di vita che impegna le donne nel lavoro di riproduzione (lavoro di cura, famiglia, ecc.) e quello di mercato.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


19

to, si cercava di allontanare i gruppi omosessuali dal movimento per la paura di non esser prese sul serio, di essere etichettate “lesbiche arrabbiate”, senza più essere ascoltate come donne. Comunque il libro della Millet divenne popolarissimo, lo si trovava sui giornali e sulle vignette. Il Time la incoronò come “la Mao Tse-Tung dell’emancipazione femminile” e il suo ritratto, opera della pittrice Alice Neel, ne conquistò la copertina mentre Sexual politics aveva raggiunto le 15.000 copie vendute[3].

" Copertina del Time “Kate Millet of Women’s Lib”. Il ritratto è di Alice Neel.

Gli anni Settanta

$

È a metà degli anni Settanta che il femminismo diventa visibile anche sulla scena politica e nelle strade iniziano a riversarsi gruppi di donne in movimenti di protesta che cominciano a mostrarsi senza paura e sempre più ‘arrabbiate’. Le prime riviste che iniziano a circolare sono ‘fogli’ informali, documenti e pubblicazioni autogestite che desiderano così affermare un nuovo tipo di discorso a favore del cambiamento e del miglioramento della società. I primi scritti di narrativa o poesia riguardavano la condizione della donna nel presente e nel passato, si ricostruiva la storia di oppressione della figura femminile iniziando a costruire un vero e proprio soggetto per la quale lottare e rivendicare dei diritti, un soggetto che ha valore e che parla, un soggetto che ha bisogno di farsi ascoltare. Le prime case editrici e i primi progetti organizzati nascono quindi a seguire seguendo sempre di più una linea unicamente femminista e spesso sottolineando quel desiderio ‘separatista’ ovvero di allontanamento della figura maschile dai collettivi di pensiero e dalla discussione femminista. Questo aveva un significato di opposizione al regime maschilista che, per primo, allontanava le donne durante i discorsi politici o le riunioni di pensiero. Proprio questo è uno dei punti che oggi fomentano gli stereotipi sul femminismo, nello specifico quello del voler dividere ed accentuare la separazione. Un luogo comune che accentua parte di una realtà senza capirla fino in fondo, senza mettere in conto la storia e il vero intento di quell’agire. “Il femminismo ha inizio quando la donna cerca la risonanza di sé nell’autenticità di un’altra donna perché capisce che il suo unico modo di ritrovare se stessa è nella sua specie. E non per escludere l’uomo, ma rendendosi conto che l’esclusione che l’uomo le ritor-

Riferimento di un articolo di Maggie Doherty, “What Kate did”, New Republic, 23 marzo 2016.

[3]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


20

ce contro esprime un problema dell’uomo, una frustrazione sua, un’incapacità sua, una consuetudine sua a concepire la donna in vista del suo equilibrio patriarcale”. (Rivolta Femminile, “Rivolta femminile, significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi”, in Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Milano, 1974.) Le prime case editrici nascono quindi da queste esperienze e dalla seconda metà degli anni Settanta aprono le prime librerie e i primi centri di documentazione delle donne. I contributi teorici più rilevanti sono quelli di Carla Lonzi e di Luce Irigaray, questi trattano principalmente questioni legate alla critica dell’ordine patriarcale e alla complementarietà uomo-donna. Il Manifesto di rivolta femminile esce nel luglio 1970 e viene affisso come un vero e proprio manifesto per le strade di Roma e Milano e appartiene al gruppo che si raccoglie intorno a Carla Lonzi, Rivolta Femminile. “È stato il testo inaugurale del femminismo italiano. Scritto in maniera lapidaria e fiammeggiante, viene poi ripreso e sviluppato da Carla Lonzi in Sputiamo su Hegel pubblicato nella neonata casa editrice Scritti di Rivolta Femminile” (Jourdan, 2010). Il Manifesto di rivolta femminile recitava: “La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. / L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. / La donna è altro rispetto all’uomo. L’uomo è altro rispetto alla donna. / L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli.” (Manifesto di rivolta femminile, Roma, 1970). E così scriveva Carla Lonzi nel suo scritto Sputiamo su Hegel: “La donna non è in rapporto dialettico col mondo maschile; le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano.” (Lonzi, 1970) Luce Irigaray era invece una psicoanalista e filosofa francese, il suo scritto più importante è del 1974 e si intitola Speculum, seguito da Questo sesso che non è un sesso del 1978. “La rivoluzione copernicana non ha ancora prodotto tutti i suoi effetti sull’immaginario maschile. Ne è derivata una eccentricità del soggetto rispetto a se stesso, ma questa è innanzitutto la sua e-stati nel (soggetto) trascendentale. Si è innalzato a una prospettiva che dovrebbe dominare il tutto, il punto di vista più potente, separandosi dalla sua base materiale e dal suo rapporto empirico con la matrice, che adesso pretende di tenere sott’occhio. Speculazione, speculare. Emigrando sempre più lontano, verso il luogo cui consisterebbe il massimo potere, diventa il “sole” nel senso che è attorno a lui che le cose girano, un polo d’attrazione più forte della “terra”. L’eccezione a questo fascino universale è costituita dal fatto che “essa” gira anche su se stessa, che conosce il ritorno (su

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


21

di sé), senza questo fuori dalla ricerca d’identità nell’altro: natura, sole Dio… (donna).” (Luce Irigaray, Speculum, trad. di Luisa Muraro, Feltrinelli, Milano, 1975, p.129). Gli anni Ottanta

$

Gli anni Ottanta, considerati gli anni più infuocati per il movimento femminista, vedono l’affermazione di alcune case editrici e la morte di quelle meno solidificatesi nella realtà del mercato del tempo. In questi anni si assiste ad una crisi del mercato librario e periodico con perdite nelle vendite e aumento dei prezzi. Le aziende che chiudono lo devono alla mancanza di soldi e di buona distribuzione, altre invece riescono a consolidarsi modificando la struttura economica e di gestione, come La tartaruga, oppure rafforzando la propria specificità, come Rivolta Femminile. Rimangono comunque piccole case editrici e si portano appresso tutti i relativi problemi di costi elevati per basse tirature, mancanza di mezzi per investimenti, distribuzione e pubblicità e scarsa attenzione dei media. A proposito di questo scrive nel 1990 Anna Maria Crispino: “In Italia ci sono 11 case editrici di donne, 6 collane specifiche e oltre 12 riviste che escono periodicamente, oltre ad un nutrito numero di testi occasionali, bollettini, fogli, raccolte di materiali, distribuiti prevalentemente nelle 5 librerie delle donne e un centinaio di altre librerie [...] Una piccola fetta del mercato editoriale, si dirà. Certo, ma un settore in crescita, totalmente autonomo [...]. Un settore che in mancanza di finanziamenti esterni vive grazie al suo mercato”. Nel 1987, lo stesso anno del primo libro di Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, esce Non credere di avere diritti, scritto e pubblicato dal collettivo della Libreria delle donne di Milano.[4] Lo scopo iniziale era quello di celebrare i dieci anni della libreria (aperta nel 1975) in modo da raccontarne il percorso politico. Il risultato è un quadro del femminismo e del movimento delle donne soprattutto in Italia, ma comprende testi tradotti dal tedesco, spagnolo e inglese. È stato pubblicato anche negli Stati Uniti come Sexual Difference nel 1990. “I fatti e le idee che esponiamo hanno avuto luogo fra il 1966 e il 1986 principalmente a Milano. Comunemente vengono messi sotto il nome del femminismo. Ora noi vorremmo portare in luce il loro senso vero e quindi anche il loro vero nome. Il nome è «genealogia». Negli anni e luoghi indicati abbiamo visto prendere forma una genealogia di donne, ossia un venire al mondo di donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile”. (Libreria delle donne di Milano, 1987)

Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere diritti. La generazione della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne, Rosenberg & Sellier, Torino, 1987.

[4]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


22

Gli anni Novanta

$

Negli anni Novanta il pensiero femminista si elabora ed entra in relazione sempre più costante con il mondo e con i saperi, senza negare il conflitto. Di case editrici attive rimane La tartaruga e la Luciani Tufani Editrice. È proprio in questi anni che nasce la prima agenzia stampa femminista, la DWpress: il notiziario delle donne e viene creato il primo canale informatico Lilth: rete informativa di genere femminile aprendo nuove prospettive al settore. È agli inizi del 1900 che in Inghilterra venne pubblicato uno dei romanzi più famosi e letti del femminismo, A room of One’s Own, che insieme a Three Guineas, hanno reso noto il nome di Virginia Woolf (1882-1941). Il saggio, che in italiano è tradotto nel 1995 in Una stanza tutta per sé,[5] è attraversato da una invenzione retorica di grande valore per il pensiero politico delle donne: la figura della donna cancellata in quello che aveva da dire dalla cultura patriarcale, diventata così unilaterale in quanto mutilata del contributo della «sorella di Sheakespeare». “Vi ho già detto, nel corso della mia conferenza, che Shakespeare aveva una sorella; ma voi non cercatela nella biografia del poeta scritta da Sir Sidney Lee. Lei morì giovane, e ahimé non scrisse neanche una parola. È sepolta là dove oggi si fermano gli autobus, di fronte alla stazione di Elephant and Castle. Ora, è mia ferma convinzione che questa poetessa che non scrisse mai una parola e fu seppellita nei pressi di un incrocio, è ancora viva. Vive in voi, e in me, e in molte altre donne che non sono qui stasera perché stanno lavando i piatti e mettendo a letto i bambini. Eppure lei è viva. Perché i grandi poeti non muoiono; essi sono presenze che rimangono; hanno bisogno di un’opportunità per tornare in mezzo a noi in carne ed ossa. E offrirle questa opportunità, a me sembra, comincia a dipendere da voi”. (Woolf, 1995) Un altro importantissimo scritto che rimane tra i documenti importanti del movimento italiano è La fine del patriarcato[6] (che è in realtà solo il primo titoletto dell’intero scritto) che esce nel 1996 sul Sottosopra rosso intitolato “È accaduto non per caso”. Sottosopra era, ed è tuttora, una pubblicazione senza periodicità fissa, nata come rivista di movimento. Nel 1983 esce con un foglio di grande formato e ogni volta presenta un documento elaborato da un gruppo di donne in seguito a discussioni politiche di un collettivo, normalmente riunitosi nella libreria della donne di Milano, circa un tema specifico. Ognuno dei numeri ha costituito un evento politico. Nella pagina che segue è stata riportata la parte iniziale del primo capitoletto del numero di Sottosopra prima citato.

Virginia Woolf, A room of One’s Own, trad. it. di Maria Antonietta Saracino, Einaudi, Torino, 1995. [6] La libreria delle donne di Milano, “La fine del patriarcato”, Sottosopra rosso, Milano, gennaio 1996. [5]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


23

“Il patriarcato è finito. Il patriarcato è finito, non ha più il credito femminile ed è finito. E’ durato tanto quanto la sua capacità di significare qualcosa per la mente femminile. Adesso che l’ha perduta, ci accorgiamo che senza non può durare. Non si trattava, da parte femminile, di un essere d’accordo. Troppe cose furono decise senza e contro di lei, leggi, dogmi, regimi proprietari, usanze, gerarchie, riti, programmi scolastici… Era, piuttosto, un fare di necessità virtù. Che però adesso non si fa più, adesso è un altro tempo e un’altra storia, tanto che le cose decise senza e contro di lei, si sono messe a deperire, come se avessero sempre obbedito a lei. Che strano! Ma, forse, per i rapporti di dominio vale quello che vale per l’amore, che bisogna essere in due? Adesso lei non ci sta più, non è più la stessa: è cambiata, come si dice. Ma non dice abbastanza. Non si tratta infatti di un cambiamento qualsiasi. C’è oggi un essere al mondo – di donne, ma non esclusivamente – che fa vedere e dire, senza tanti giri o ragionamenti, che il patriarcato è arrivato alla fine; è un essere al mondo essendo disponibili alla modificazione di sé in un rapporto di scambio che non lascia niente fuori gioco. Potremmo chiamarla leggerezza. Oppure, libertà femminile, perché, al suo confronto, i vantaggi del dominio patriarcale spariscono, agli occhi di lei e di lui. Simili vantaggi esistono, per esempio l’identità: il dominio offre identità a chi lo esercita ma anche a chi lo subisce, e molta servitù si perpetua proprio per il bisogno di identità. Il patriarcato che non fa più ordine nella mente femminile, deperisce principalmente come dominio datore di identità. Lei, ormai, non gli appartiene più; il resto seguirà, e già segue, a un ritmo che scombussola e che molti, che magari si credono più intelligenti, neanche afferrano.” (La libreria delle donne di Milano, 1996)

“La vera posta in gioco della parità, oggi, è dunque sapere se la passione dell’Uno la pervertirà in Tutto-Uno, […] se sarà utilizzata come un’inclusione delle sorelle, accanto ai fratelli, nella Repubblica dei figli, senza cambiamento di struttura, o se essa va al di là degli ‘ismi’: socialismo, femminismo, universalismo e altro vecchiume…” Antoniette Fouque. Citazione tratta dall’articolo ‘È morta Antoniette Fouque’ di Lia Cigarini, apparso su “La libreria delle donne di Milano” il 3 marzo 2014.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi



Le riviste storiche femministe

25

ino ad ora, in questo brevissimo excursus che ripercorre i testi che diedero vita e accompagnarono il pensiero femminista, sono già state citate due testate: Noi donne e Sottosopra. Il secondo, come già accennato, non era una vera e propria rivista, bensì un trattato che usciva con cadenza regolare. Noi donne è invece una rivista mensile fondata nel 1944 ed edito da Cooperativa Libera Stampa. È stampato inizialmente a Napoli e vede come prima direttrice Laura Bracco, con la collaborazione di Nadia Spano e Rosetta Longo. Nel corso della sua storia ha ospitato molte voci del femminismo italiano ed è stata organo dell’Unione Donne in Italia fino al 1990. A questa seguono altri esempi segnale della visibilità del movimento femminista intorno ai primi anni Settanta, in cui nacquero numerose realtà editoriali ed elaborazioni intellettuali; si ricordano riviste come Effe, Differenze, Rosa, DWF, Sottosopra. Nella “terza ondata” del movimento femminista, ossia quello vivo intorno agli anni ’90, vediamo la nascita di altre pubblicazioni come Via Dogana, rivista politica progettata ed edita dalla libreria delle donne di Milano, D&D (donne e donna), Madreperla e Marea e tanti altri rimasti meno noti. Di seguito verranno descritte alcune di queste realtà editoriali accompagnate da riferimenti visivi in modo da ricordare la veste grafica delle copertine con la quale queste riviste si presentavano al pubblico. Si potrà quindi notare come alcune realtà, come ad esempio Effe, erano molto più attente all’elaborazione artistica rispetto ad altre (ad esempio quelle strettaemnte politiche come Via Dogana) che preferivano raccontarsi attraverso gli scritti e le parole. In questa analisi sono state perse inoltre in considerazione alcune delle testate internazionali più importanti del femminismo. Si tratta di realtà come Ms. Magazine che è stata la prima rivista femminista poi di ispirazione per tutte quelle a venire. La stessa Effe prese vita da un progetto che mirava a portare in Italia una realtà simile a quella di Ms. Viene poi menzionata Spare Rib, rivista londinese che è stata rivoluzionaria e che recentemente è tornata a vivere grazie agli archivi online. Poi Bust e Bitch, riviste americane degli anni Novanta che, rispetto agli esempi italiani degli stessi anni, sono graficamente molto più curate e accattivanti e rimangono esempi di bei prodotti editoriali. Quella che segue è una timeline in cui sono state posizionate tutte le riviste storiche in esame così da poter riassumere i cicli vitali di tutte le realtà selezionate che vengono poi presentate in ordine cronologico.

F

% Timeline delle riviste storiche in esame Legenda: anno di nascita anno di chiusura italiane estere

Ms. Magazine Spare Rib

Bust

Effe

Bitch Via Dogana

Sottosopra

1940

% 1994

1950

Marea

DWF

Noi donne 1960

1970 % %

% %

1980 %

72 73

75 76

82

1990 %

% %

%

2000

91 93 94 96

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


26

Testata:

Noi donne

Tagline: “Unione donne italiane” Diretta da: Tiziana Bartolini

Edita da: 1974 - 1982: UDI, 1982 - oggi: Libera stampa Nata nel:

% Il primissimo numero uscito nel luglio 1944

1944 - oggi online

Descrizione: Il titolo della rivista si rifà a quello di un altro giornale fondato durante la guerra di Spagna e poi stampato anche a Parigi nel novembre 1937 come foglio clandestino, per iniziative antifasciste in esilio. Alcuni dei principali nomi di Noi donne, tra collaboratori e collaboratrici, sono: Ada Gabetti, Camilla Ravera, Nadia Gallico Spano, Anna Maria Ortese, Marguerite Duras, Giovanna Pajetta, Umberto Eco, Gianni Rodari, Maria Antonietta Macciocchi, Ellekappa, Franca Fossati, Pat Carra, Roberta Tatafiore, Cristina Gentile, Ida Magli. Il momento di massima distribuzione della rivista fu negli anni ‘70, quando arrivava addirittura a punte di 600.000 copie. La diffusione militante era il modo di distribuzione della rivista e in questo modo il giornale fu protagonista delle battaglie per la parità di salario, per il divorzio, l’aborto e la tutela della maternità. Giuliana Dal Pozzo e Miriam Mafai guidarono la rivista per molti anni e la trasformarono in un settimanale per poi tornare mensile nel 1981. La crisi economica portò un’ondata di cambiamento e la rivista venne ridisegnata nel 1998 ma successivamente la tiratura venne comunque ridotta drasticamente; dovette uscire dalle edicole e ridimensionare la produzione. La rivista è ancora viva ed oggi è sotto la direzione di Tiziana Bartolini, viene pubblicata in digitale e in versione cartacea la si può trovare nelle librerie Feltrinelli. Rappresenta, sul panorama editoriale italiano ed europeo, un raro esempio di continuità editoriale ed imprenditoriale che racconta incessamente dal 1944 le vicende, le lotte, le attività, i pensieri e i movimenti delle donne. “Gli intendimenti con cui il giornale usciva - scrisse Marissa Rodano - erano chiari: essere un giornale per tutte le donne, costruire un legame per tutte le energie femminili vogliose di battersi per sconfiggere il fascismo e partecipare direttamente alla costruzione di un’Italia diversa, far conoscere la lotta delle donne nell’Italia occupata, sollecitare nell’Italia liberata lo sviluppo di un movimento di donne”. La formula scelta per la rivista è quella di un foglio politico, ma senza dimenticare “quei temi che le donne sono tradizionalmente abituate a trovare nei periodici ad esse diretti: narrativa, moda, cucina…”.

Note: 1987-1966 pubblica il supplemento Leg(g)endaria

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


27

EFFE

Testata:

Tagline: “Mensile femminista autogestito”

Fondata da: Donata Francescato e Daniela Colombo

Edita da: Dedalo Editore fino al 1975, poi autogestita Nata nel:

% Il grafico a torta qui sotto intende mostrare la ripartizione dei contenuti della rivista calcolando le percentuali su un tot di numeri analizzati della rivista in esame.

1973 - 1982

Descrizione: Effe nacque nel 1973 come “settimanale di controinformazione al femminile”. Lanciò il numero zero e poi nel novembre dello stesso anno uscì come mensile. Per i primi due anni venne pubblicato dall’Editore Dedalo e poi divenne totalmente autogestito e distribuito dalla Cooperativa Effe. La sua veste grafica era curata ed originale, è infatti una delle riviste italiane a sottolineare l’ondata rivoluzionaria e creativa degli anni Settanta. Sebbene non fosse un vero e proprio esempio dal punto di vista grafico, riusciva a rappresentare con molto vigore la voglia di libertà di quegli anni, dando valore alle immagini, alle vignette provocatorie e senza veli e alle parole di protesta. La testata era redatta dal gruppo romano di Adele Cambria e Grazia Francescato e veniva seguita come esempio da molto gruppi sul territorio nazionale. Effe si proponeva come alternativa al mondo dei femminili, che in quegli anni erano numerosi, accentuando volutamente le differenze tra quel mondo e quello femminista. Quella che segue è una elaborazione grafica di dati riguardanti “l’analisi della tipologia di materiale e argomenti trattati all’interno della rivista presa in considerazione” (Mandile, 2016). Facente parte del testo citato in precedenza, Quando rivoluzione fa rima con creatività, qui viene riportata in una versione graficamente rielaborata.

45% testo 27%

27% immagini 9% pattern

1

2

5

6

3

4

14% vignette 5% viz dati

9%

" Questo grafico intende invece specificare il tipo di contenuti ovvero le tematiche affrontate nella rivista. 1. vita comunitaria 2. cronaca

5%

45%

14 %

7 9 8

6. politica internazionale

3. droga

7. politica italiana

4. musica

8. sesso

5. lettere

9. cultura

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


28

& Redazione di Effe del 1973. Da sinistra: Danielle Lantin Turone, Agnese De Donato, Daniela Colombo, Grazia Francescato, Lara Foletti, Adele Cambria

L’opposizione alla rivista Libera

$

La rivista prende parte alla ‘seconda ondata’ del femminismo italiano, quando non si cerca più una somiglianza e assimilazione al mondo maschile, ma si si pone l’accento proprio sulle differenze. Quelle differenze che sono alla base delle discriminazioni e si traducono in differenze sociali e culturali che relegano la figura femminile ai bordi della società. Come si è detto in precedenza, nascono molti gruppi autogestiti e collettivi di donne, spesso anche molto differenti tra di loro. Le ragazze si rendono conto di essere relegate ai margini e a ruoli subalterni all’interno dei movimenti rivoluzionari e politici che negli stessi anni si stavano accendendo. Venivano spesso definite ‘gli angeli del ciclostile’ e, quando presero coscienza di questa discriminazione, crearono spazi solo femminili in cui incontrarsi e discutere. Il neonato movimento, nella seconda metà degli anni ‘60, si dovette infatti confrontare ben presto con ‘l’altro movimento’ e con le categorie di rivoluzione, di lotta di classe, con le strategie di presa di potere, con il concetto di ‘interesse generale’ e con quello di ‘interesse superiore’ della classe. Per anni si andrà avanti manifestando gli uni accanto agli altri e alle altre, donne, giovani, meridionali, disoccupati, anziani e handicappati (Mandile, 2016). Il separatismo è dunque uno dei punti cardine iniziali di questa fase del movimento che quindi lascia fuori, a volte dolorosamente, la controparte maschile. Effe nasce da uno dei tanti collettivi creatosi in quegli anni, dalle discussioni e dalla voglia di alcune donne di comunicare, di farsi sentire. Scrivono non solo per se stesse, ma per le altre donne del movimento, per le ‘altre’ che non ne fanno parte, per un pubblico che non si conosce (Mandile, 2016). La rivista è inizialmente edita da Dedalo, ma nel 1975 ne assume pienamente la gestione. Diventa a tutti gli effetti una pubblicazione indipendente (con l’aggiunta del sottotitolo “mensile femminista autogestito”) che esce per dieci anni di seguito e chiude nel 1982. Il sostentamento della rivista è unicamente da indirizzare alle sottoscrizioni e agli abbonamenti delle lettrici che ne garantiscono l’autonomia della pubblicazione. Effe vuole essere la “prima rivista femminista italiana, nata come rivista di attualità e cultura legata al movimento”,[7] scritta da donne e per le donne. Dal punto di vista comunicativo ed editoriale Effe si inserisce sul panorama italiano come un progetto totalmente innovativo e di rottura. Ne è un esempio l’opposizione alla rivista Libera, redatta da Adelina Tattilo che è titolare della casa editrice omonima, che generò non poco scandalo soprattutto per i suoi contenuti ritenuti ‘pornografici’ dai più tradizionalisti. Vi si opponeva a questa realtà anche Effe ritenendola molto pericolosa per

[7] [8]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

“Editoriale”, Effe, anno 0, n.0, Dedalo Editore, novembre 1973. “Intervista ad A. Cabria”, Fermenti, gen-feb 1976.


29

" N°8 di Amica, anno 1970

il vero movimento “Io considero Libera uno pseudo-femminismo, pericolosissimo perché impostato tutto su una falsa liberazione sessuale” dice Cambria in una intervista pubblicata in Fermenti.[8] L’intento di Libera era quello di introdurre una novità assoluta, di rompere gli schemi; tuttavia lo fa inserendo come unicità l’uomo oggetto, oltre che la donna oggetto. Per la prima volta appaiono anche nudi maschili, “conservando però i miti della società capitalistica e lasciando la sensazione di ‘campo libero a chi ha successo’. Anche dal punto di vista grafico non si allontana dai modelli di stampa femminile già presenti sul mercato creando non poco dissenso tra chi invece il femminismo lo voleva non solo urlare nelle piazze, ma farlo conoscere, rinnovare, raccontare.” (Mandile, 2016). Quello che costruirono invece Cambria e Francescato, fu un progetto portavoce del vero movimento femminista, uno strumento di comunicazione. Si iniziò così a raccontare cosa ci fosse dietro al lavoro dei gruppi del movimento, cosa stessero realmente facendo, cercando così anche di sfatare quei miti pregiudiziali che già si stavano impossessando dell’opinione pubblica. La redazione di Effe si riuniva in Piazza Campo Marzio 7, a Roma e comprendeva figure di scrittrici, giornaliste, storiche, sociologhe, letterate, scienziate, economiste, insegnanti, casalinghe, alcune famose altre sconosciute al grande pubblico. In un articolo in cui Daniela Colombo ricorda gli anni di Effe, ce ne descrive la nascita dell’idea: “Una sera Gabriella Parca, giornalista che aveva raggiunto una certa notorietà con il libro Le italiane si confessano, annunciò che era stata licenziata da Amica. Così una di noi - non ricordo chi - lanciò l’idea di una rivista ‘femminista’ sul tipo di Ms. Magazine, uscito negli Stati Uniti l’anno precedente. Il numero zero di Effe fu elaborato in pochi mesi ed uscì con la famosa copertina dove campeggia l’uomo villoso “Chi è costui? Assolutamente nessuno. È l’equivalente delle donne seminude che si vedono sulle copertine dei rotocalchi.” di Agnese De Donato. La grafica e la fotografia avevano grande importanza per la rivista; vi partecipavano anche illustratrici (Cloti Ricciardi, Pat Smith, Luciana di Laudaddio, Paola Mazzetti, Sebastiana Papa, Lina Mangiacapra). I primi tre numeri vennero impaginati da Maria Silvia Spolato ed in seguito da Marina Viridis che mise a disposizione il suo studio grafico. La redazione della rivista tuttavia cambiò molto negli anni, così come il formato e la formula della rivista. I motivi erano soprattutto dovuti alle divergenze delle protagoniste della rivista, a interessi diversi che maturavano nel tempo e a soluzioni drastiche che talvolta ci fu la necessità di prendere. All’interno della redazione si muovevano personaggi molto diversi e così ‘mani’ e stili sempre nuovi che ne rendono l’esperienza editoriale sicuramente unica; in linea con la cultura ‘rivoluzionaria’ del tempo, un po’ affidata al caso, alla curiosità e alla gente che ‘andava e veniva’. Furono anche queste le ragioni per cui Effe si presentò

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


30

sempre come campo di sperimentazione, anche nella gestione del potere decisionale e nello scambio dei ruoli. Nel 1978 vendevano 80.000 copie in edicola e contavano su 12.000 abbonamenti. Furono in grado di retribuire, per la prima volta, chi lavorava a tempo pieno e, quando la Libreria della Maddalena chiuse, ne comprarono il locale e tutti i libri per crearne una biblioteca circolante ed un centro di documentazione. Ma il movimento continuava a cambiare, i collettivi storici iniziavano a chiudere ma Effe decise comunque di proseguire questa esperienza di in. Nel marzo 1979 cambiò il formato; il rotocalco portò altri cambiamenti radicali facendo diventare Effe un progetto più strutturato, con rubriche culturali fisse, un’inchiesta ogni mese, interviste, una sezione culturale approfondita e un’attenzione all’attualità e alla politica. Nel 1980 cambiò di nuovo, il rotocalco aveva fallito, non per il formato che era rivoluzionario, ma perché la redazione non si piegò mai alla pubblicità. Effe cambiò ancora due volte; divenne prima un tabloid nel 1980 e nel 1982, prima di chiudere, un giornale di riflessione. " Dalla pagina a fianco in poi: tutte le copertine di Effe dal 1973 al 1982. Il numero zero è il numero che è stato messo in evidenza con l’uomo villoso “Chi è costui? Assolutamente nessuno. È l’equivalente delle donne seminude che si vedono sulle copertine dei rotocalchi.”

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

Struttura grafica: Per raccontare la grafica di Effe viene presa in prestito la ricerca di Marta Mandile effettuata in occasione della sua tesi magistrale (già citata in precedenza) sintentizzandone però la descrizione. “Sfogliando le pagine dei quasi dieci anni di rivista, colpisce come l’aspetto grafico/ estetico risponda a un sistema più complesso di esigenze economiche, sociali, creative tematiche ecc. Se nei primi numeri si nota una certa timidezza nell’impaginato, nelle immagini e soprattutto nelle illustrazioni, del periodo più attivo (’74 / ’75), invece, sfodera una maturità e una freschezza grafica che lascia intravedere il lavoro del collettivo.” (Mandile 2016). Tutti i numeri della rivista hanno una struttura comune e una gabbia grafica fissa a 3 o 4 colonne. La rivista era composta da: articoli brevi per fatti di cronaca, poesie visive, servizi su più pagine che propongono ‘reportage’ con un interessante repertorio fotografico. “L’antifemminista del mese” variava da 4 a 6 pagine ed era supportato da un’unica immagine a tutta pagina, ironica e quasi caricaturale; la parte finale aveva invece rubriche più o meno approfondite. Una nota interessante riguarda le poche pubblicità che apparvero sulla rivista; erano pochissimi i marchi del tempo che non sfruttassero la figura della donna come casalinga o donna-oggetto e così le pubblicità che si potevano trovare sfogliando i primi numeri erano quelle che rispettavano il pensiero femminista come Unipol, Coop, Baby Service, pentole varie e Durex. Capita ogni tanto di trovare delle pagine interamente bianche con l’unica dicitura: “questa pagina attende una pubblicità che non offenda la donna.” L’ironia è uno dei punti fondamentali della grafica della rivoluzione e Effe si fa carico di elementi di gioco come test, indovinelli o veri e propri giochi cartacei da ritagliare (spesso per creare ‘donne bamboline’, gioco tipico di quegli anni).


31

" 1975 da qui in poi autogestita "

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


32

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


33

Testata:

Sottosopra

Tagline: “Esperienze dei gruppi femministi in Italia” Edita da: Libreria delle donne di Milano Nata nel:

1973 - 1976

Descrizione: Nacque nel 1973 e vive solo fino al 1976. L’iniziativa che gli diede vita fu di alcuni gruppi femministi milanesi con l’obiettivo di raccogliere e pubblicare esperienze di donne in modo da ricostruire un movimento vasto e complesso che potesse raggiungere il maggior numero di donne. Nacque per cercare di assolvere quel desiderio di conoscenza, collegamento e scambio tra i molti gruppi esistenti sul territorio italiano.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


34

Testata:

Nuova DWF donnawomanfemme

Tagline: “La rivista femminista che vi fa sentire differenti l’una dall’altra” Diretta da: 1975

-1976 Tilde Capomazza / 1976 - 1986 Annarita Buttafuoco / ? / Patrizia Cacioli ? -2012 / oggi - Teresa Di Martino Edita da: Associazione Utopia Nata nel: 1975

% I primi tre numeri di DWF

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

Descrizione: Nasce nel 1975 ed è forse l’esempio più longevo, ancora oggi la rivista continua ad uscire periodicamente. Si tratta di un trimestrale a diffusione nazionale. Proprietario ed editore di DWF è l’Associazione Utopia che si occupa anche della distribuzione (la si può trovare in libreria o in abbonamento). I numeri di DWF seguono una struttura fissa che prevede: l’Editoriale che presenta il tema del numero; la sezione Materiali che sviluppa il ragionamento impostato nell’editoriale; la sezione Poliedra con diversi tipi di articoli: testi originali, traduzioni importanti, saggi di giovani ricercatrici introdotti solitamente da una studiosa affermata. Poi vi è una sezione chiamata Selecta con scritti su libri, incontri, spettacoli, convegni; per chiudere ci sono gli Abstracts e un breve profilo delle autrici. DWF è una rivista che si propone come punto di riferimento per chi segue e ama la produzione delle donne, la ricerca, l’approfondimento, la memoria e la storia dei movimenti politici. “Ha l’ambizione di trovare e costruire strumenti, pensieri e posizionamenti che ci facciano stare al mondo con stile ed intelligenza piena” si legge nell’about del sito. La rivista ha promosso la conoscenza della ricerca di femministe di altri paesi.


35

% Il primo cambiamento: Nuova DWF

Il formato della nuova serie è diverso dal precedente, a partire dal numero 4 si chiama Nuova DWF, mantiene la struttura teorica a numeri monografici: donne e ricerca scientifica, donne e trasmissione della cultura, movimento e istituzioni ecc. Di seguito vengono mostrate le prime copertine. L’impostazione grafica ha sempre seguito una linea definita e piuttosto rigida. Il sito www.dwf. it raccoglie tutti gli articoli della rivista in una sezione di archivio storico (fino al 2008) e tutte le riviste fino ad oggi nel nuovo archivio. Al progetto donnawomanfemme è stato recentemente aggiunta una nuova collana chiamata Ciliegie, una “autoarcheologia”, come la definiscono, che riorganizza per autrici gli scritti più significativi che sono stati pubblicati nel tempo.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


36

Testata:

Via Dogana

Tagline: “Rivista politica”

Edita da: La libreria delle donne di Milano Nata nel: % N°23 di Via Dogana. Il numero più importante per il discroso politico femminista. “La fine del patriarcato”

1991 - oggi online

Descrizione: Nel giugno 1991 uscì il primo numero della rivista della Libreria delle donne di Milano (che aprì come precedentemente citato nel 1975). È una rivista di politica, si definisce così: “di politica delle donne, che non esclude gli uomini”. Siamo già nella “terza ondata” del femminismo e il separatismo non è più un punto cardine sulla quale fondare un collettivo di pensiero femminista. Si descrivono ribadendo: “L’essenziale è sempre in gioco e si tratta di tradurre quello che c’è e quello che cambia, in una possibilità di esistenza libera, mirando non alla conquista del potere ma al poter essere e agire liberamente nella convivenza”.

Testata:

Marea

Tagline: “donne | ormeggi | rotte | approdi” Diretta da: Monica Lanfranco Nata nel:

1994 -

Nacque a Genova nel 1994, la rivista ha continuato a pubblicare ininterrottamente fino ad oggi. Fu una sorta di tribuna per veicolare notizie, idee, interviste, materiali, racconti nati dal collettivo redazionale. Nella descrizione della rivista leggiamo: “Le rubriche sono state pensate in chiave ‘marina’ per rafforzare e rendere evidente il legame con l’elemento femminile dell’acqua: ‘Conchiglie’ sono le recensioni dei libri, ‘Orca’ è il tema che ogni volta viene approfondito, ‘Stelle Marine’ declina le biografie eccellenti, ‘Delfino’ và voce alla riflessione maschile, ‘Faro’ propone le notizie dal mondo, ‘Sabbia’ sono i racconti con cui si chiude il trimestrale”.

Descrizione:

Note: fino al 1995 veniva pubblicato come supplemento di Madreperla, dal 1996 invece diventa supplemento di La rosa purpurea del Cairo. Marea commenta avvenimenti di attualità e mantiene sempre una rubrica fissa su un tema dedicato.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


37

Testata:

Ms. Magazine

Tagline:

“More than a magazine, a movement”

Fondata da: Gloria Steinem e Dorothy Pitman Hughes Nata nel:

1972 -

Nacque in Arlington County, Virginia (USA) nel dicembre 1971. Agli inizi era un semplice “one-shot” (inserto) nel New York Magazine; pochi realizzarono che sarebbe diventato una istituzione, un marchio, un punto di riferimento per i diritti delle donne e per il giornalismo americano. Fondato da femministe della ‘seconda ondata’ e dalle attiviste sociopolitiche, che rimasero tra le più famose, Gloria Steinem e Dorothy Pitman Hughes. Nella prima redazione facevano parte: Letty Cottin Pogrebin, Mary Thom, Patricia Carbine, Joanne Edgar, Nina Finkelstein, and Mary Peacock. Nel gennaio 1972, Ms. uscì per la prima volta come una rivista vera e propria grazie ai fondi dello stesso fondatore del New York Magazine, Clay Felker. Fino al 1987 la rivista americana venne pubblicata mensilmente. Dal 2001 viene pubblicata come quadrimestrale da Feminist Majority Foundation, con base a Los Angeles e Arlington. Oggi diretta da Katherine Spillar, è ancora uno dei punti di riferimento per il discorso di uguaglianza e parità dei diritti. Gloria Steinem decise di mettere nel primo numero, in copertina, Wonder Woman in costume; Warner Communications, il proprietario di DC Comics, era uno degli investitori; la Steinem era offesa dal fatto che la più famosa eroina venisse descritta invece come una damigella da salvare (“damen in distress”). La figura della vera eroina venne poi restaurata nel numero #204 (gennaio - febbraio 1973) di Ms. Questa rivista fu la prima pubblicazione che negli Stati Uniti riuscì a comunicare al mondo la volontà di quelle donne che stavano combattendo per abrogare quella legge che criminalizzava l’aborto, la prima a spiegare e difendere quello che venne chiamato ‘ERA’ ovvero ‘Equals Rights Amendament’ (Emendamento per gli euguali diritti), la prima a mostrare in copertina gli effetti della violenza domestica e della violenza sessuale, la prima a mettere in evidenza la protesta femminista contro lapornografia, la prima a combattere la pubblicità che denigrava la figura femminile. Negli anni ha dovuto spesso confrontarsi con problemi economici che però non hanno mai sconfitto il collettivo femminista e il loro progetto editoriale. Ms. tutt’ora continua ad essere una rivista vincitrice di diversi riconoscimenti riconosciuta internazionalmente come uno strumento in mani di esperti nelle questioni relative alla condizione della donne, ai diritti e al punto di vista femminile.

Descrizione:

" Ms. gen 1972 % mar 1972 ago 1974 - ago 1976 fall 2007 - fall 2013

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


38

Testata:

Spare Rib

Tagline: “A women’s liberation magazine” Redatta da: Marsha Rowe e Rosie Boycott Editore: Pubblicazione indipendente Nata nel:

& Spare Rib n°55. La cover rimasta più famosa

" n° 122 anno 1982 % altri numeri

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

1972 - 1993

Descrizione: Rivista Londinese nata nel 1972, terminò la sua pubblicazione nel 1993. Appartenente alla ‘seconda ondata’ di femminismo, emerse già alla fine degli anni ‘60 come conseguenza dei collettivi femministi inglesi. È una rivista iconica che ha sfidato gli stereotipi e supportato la creazioni di soluzioni collettive. Il suo intento principale, come viene spiegato dell’editoriale, è quello di “investigare e presentare alternative al tradizionale ruolo della donna di vergine, moglie e madre”. Il nome è stato concepito come uno scherzo, un gioco di parole tra la figura biblica di Eva formata dalla costola di Adamo, implicando quindi che la donna non avesse indipendenza dall’inizio dei tempi. Questo aveva dunque la connotazione sovversiva che gli editori cercavano nel progetto. Il Manifesto di Spare Rib recita così: “Il concetto della liberazione delle donne è largamente incompreso, spaventato e ridicolizzato. Molte donne rimangono isolate e infelici. Vogliamo pubblicare Spare Rib per cercare di cambiare questa situazione. Crediamo che la liberazione delle donne sia di vitale importanza adesso e intrinsecamente per il futuro della nostra società. Spare Rib raggiungerà tutte le donne, oltrepassando barriere economiche e sociali per arrivare a tutte loro come individui con i loro diritti”. Redatta da Marsha Rowe e Rosie Boycott; il collettivo editoriale aveva come ‘policy’ quella di: “decidere collettivamente gli articoli da pubblicare e lavorare a stretto contatto con i contribuenti. Accettare articoli di uomini solo in caso di scarsità di risorse. 35 pagine per copia”. Marsha Rowe fu la prima designer del magazine e secondo la sua visione doveva riprendere lo stile di un qualsiasi femminile, ma ovviamente nei contenuti non avrebbe dovuto rispecchiare quegli stereotipi portati avanti da quel tipo di editoria. Anche per questo progetto un’altra importante sfida fu quella di trovare pubblicità non sessiste e non denigratorie.


39

Testata:

Bust Magazine

Tagline: “For women with something to get off Diretta da: Debbie Stoller e Laurie Denzel

their chest”

Editore: Pubblicazione indipendente Nata nel:

1993 -

Nacque nel 1993 a New York, esattamente a Brooklyn tra la 253 e la 36esima strada. La testata dell’originale magazine di ‘lifestyle’ era, ed è tutt’ora, simbolo di rottura e si rivela sempre brillante e influente tra il pubblico giovane femminile. È indirizzato ad una grande varietà di giovani e si presenta per certi versi come un solito femminile: interessi, musica, ‘celebrities’, interviste, moda, arte, sesso e novità; ma lo fa in maniera intelligente, da un punto di vista legato al femminismo della “terza ondata”. Pubblicato sei volte l’anno è diretto da Debbie Stoller e Laurie Denzel, fondatrici insieme a Marcelle Karp. Stoller disse all’uscita del primo numero della rivista: “il nostro intento era quello di costruire un magazine che fosse una vera alternativa a Cosmo, Vogue, Madamoiselle e Glamour, qualcosa che potesse essere fiero e divertente come molte delle donne positive che conosciamo. Riviste come Cosmo finiscono sempre per lasciarti l’amaro in bocca perché continuano a portare avanti la figura stereotipata di una donna che in realtà non esiste”. Bust nacque come ‘zine’ dal lavoro delle tre fondatrici che fotocopiavano, rilegavano e distribuivano ogni fine settimana dopo il lavoro il nuovo numero in uscita. Quando notarono una risposta molto positiva al loro progetto, si licenziarono per lavorare full-time al loro nuovo Bust. Il nome fu trovato da Stoller perché voleva fosse “provocatorio, divertente e sexy allo stesso tempo”. Curiosità: Bust’s DIY Guide to Life è un volume che contiene più di 250 dei migliori progetti DIY (Do It by Yourself) che la rivista ha pubblicato nei suoi 15 anni di attività e comprende artefatti dalle tematiche varie come il giardinaggio, il matrimonio, il sesso e così via. In libreria si può invece trovare The Bust Guide to the New Gril Order, un libro edito da Penguin Books nel 1999 che raccoglie otto tematiche su varie questioni femminili. Ogni copertina presenta un ritratto: attrici, direttori, musicisti, commediografi… Anche in Bust l’attenzione alla pubblicità è altissima, questa deve rispecchiare quelli che sono le tematiche femministe e non sempre sono facili da trovare. Un modo in cui Bust decide di fare pubblicità è di mettere in mostra il sesso come sorta di strumento educativo; ne è un esempio la pubblicità di Smitten Kitten che informa i lettori sulle differenze tra giocattoli sessuali di silicone e di gelatina. Un altro modo di buona pubblicità è quello di promuovere persone e corpi non convenzionali, di sottolineare le diverse identità sessuali in maniera sexy; in questo modo si ha la possibilità di includere molte di quelle figure che altrimenti sarebbero state lasciate ai margini secondo le pubblicità tradizionali.

Descrizione:

& BUST 1993. 1° numero quando era fanzine

% numeri più recenti: Men We Love Issue Caitlin Moran Issue Pussy Riot Issue

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


40

Testata:

Bitch Magazine

Tagline: “Feminist response to Pop Culture” Diretta da: Lisa Jervis e Andi Zeisler

Editore: Pubblicazione indipendente Nata nel:

1996 -

Nacque nel 1996 a Portland e si introduce sul panorama editoriale con una tagline molto divertente “Feminist response to Pop Culture”. La rivista è un quadrimestrale indipendente che offre circa 80 pagine di articoli pieni di analisi intelligenti sulla cultura pop, profili di femministe “culture-makers” e belle illustrazioni. È possibile comprare anche la versione digitale di Bitch che va a ripescare negli archivi anche i numeri più vecchi. Anche Bitch, prima di diventare una pubblicazione vera e propria, uscì come “zine” distribuita sul retro di una station wagon in Oakland, California. Oggi invece oltre alla pubblicazione cartacea, la redazione di Bitch si prende l’impegno di pubblicare quasi giornalmente articoli di attualità. Le fondatrici della rivista sono Lisa Jervis e Andi Zeisler, insieme all’art director along Benjamin Shaykin, e vollero creare uno spazio pubblico in cui poter portare alla luce pensieri e teorie sulle donne, il genere, le questioni femministe, interpretate anche attraverso la lente dei media e della cultura popolare. Nel 2001 il magazine divenne per le fondatrici un lavoro full-time, anno in cui abbandonarono i loro lavori per dedicarsi completamente alla redazione della rivista.

Descrizione:

& Bitch winter 1996 (1°numero uscito) + winter 2003 (ultimo con vecchia veste grafica) % Altri numeri tra il 2017 e il 2003

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi




Il contemporaneo

cap.

02

pag.

35

pag.

35

pag.

35

pag.

35

%

L’Italia e il femminismo oggi A cosa serve oggi il femminismo Un cambiamento di rotta Le riviste sopravvissute e le nuove realtà editoriali

Il fervore estero Londra e la nuova “moda” La rinascita della carta stampata Le nuove riviste femministe

Schede: le riviste contemporanee Presentazione di alcune delle riviste femministe più interessanti sul panorama internazionale Un’altra prospettiva: i femminili ‘intelligenti’

Il nuovo femminismo Il femminismo della quarta ondata Il femminismo delle star Il femminismo intersezionale



L’Italia e il femminismo oggi

37

l nono punto dell’articolo “Come essere femminista” di Wikihow recita così: Agisci. Leggi le riviste, come ‘Ms’ e ‘Bust’. La citazione cui ci si riferisce appartiene ad un articolo di Wikihow. La sua rilevanza in tale contesto sta nel semplice fatto che questo sia il primo risultato della query: “Essere femminista” sul motore di ricerca oggi più utilizzato: Google. Il contenuto dell’articolo suona decisamente divertente, sebbene voglia presentarsi come serio riferimento al significato del femminismo, È composto da una serie di punti sulla quale focalizzarsi in modo da diventare una femminista. Clara Jourdan scrive invece che “La cosa veramente importante per una femminista, che sia italiana, australiana, americana, giapponese o marocchina, non è il femminismo. È importante invece e sopra tutto, che ci sia libertà per ogni donna che viene al mondo, libertà di pensare e di agire in rispondenza ai suoi desideri e, prima ancora, libertà di desiderare senza misure stabilite da altri”[1]. Le riviste citate in precedenza sono, come già spiegato nel capitolo precedente, le due riviste del femminismo storico che hanno influenzato tutta l’editoria femminista che ne seguì. Sono esempi importanti non solo per il discorso che portano avanti ma anche dal punto di vista grafico e artistico. Sono esempi rilevanti, molto più rivoluzionari degli esempi italiani e di grande ispirazione anche per l’impostazione editoriale contemporanea.

I

In questo capitolo ci occuperemo innanzitutto delle riviste contemporanee italiane, ovvero quelle realtà editoriali che sono sopravvissute nel tempo e quei pochi progetti nati negli ultimi anni che vedono soprattutto il web come strumento di diffusione e campo di discussione. In un secondo momento sposteremo l’attenzione su quelle che sono invece le riviste contemporanee che si definiscono “femministe” e che negli ultimi anni hanno dato nuovamente vita al discorso femminista e alla carta stampata. Il contesto di riferimento non è, come anticipato, quello italiano, dove realtà fresche e innovative non trovano, ancora, terreno fertile. Si tratta di progetti editoriali soprattutto inglesi e nord americani, riviste più o meno impostate graficamente, alcune rigide nel loro formato altre totalmente libere, molte sono in realtà fanzine e alcune di queste nascono da esperienze scolastiche, come il caso di Polyester Zine, o il famosissimo blog per teenager Rookie Magazine, fondato da Tavi Gevinson, una ragazzina diventata oggi punto di riferimento per le discussioni sul femminismo della quarta ondata.

Clara Jourdan, a cura di, La politica del desiderio. Originalità del femminismo italiano, Milano, L’Altravista, Libreria delle donne di Milano, 2010

[1]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


38

A cosa serve oggi il femminismo

$

“Sembra che, finalmente, sia arrivato il grande momento del femminismo, le pubblicazioni ‘mainstream’ non ne hanno mai abbastanza della ‘F word’ e persino Playboy ha chiamato una serie di giornalisti per parlare di argomenti vagamente femministi sulla loro piattaforma online.” Scrive Megan Murphy su i-D[1]. Murphy scrive che negli ultimi anni il significato di femminismo è stato modificato immensamente fino ad esser trasformato in un termine senza senso e, addirittura, “accessibile a chiunque”. Non è questo cui il movimento femminista aspirava raggiungere? Che venisse conosciuto, capito e condiviso da tutti? Murphy scrive che la causa di questa degenerazione del termine sia da leggere proprio nel tentativo di rendere il movimento più popolare possibile e nel voler coinvolgere più sostenitori. Quella che lei chiama “la nostra battaglia” era un tempo “contro l’egemonia maschile e per la liberazione delle donne ed era un atto radicale (e per questo terrificante)” ma aggiunge che nelle ultime decadi le donne hanno preferito dimenticare la parte rivoluzionaria per adottare un approccio che lei definisce “feel good”; e così, quello che era un movimento contro il sistema oppressivo della patriarchia, “si è tramutato in un hasthag, un selfie, una scusa per vendere, una parola alla moda”. Murphy dunque si schiera contro quello che viene definito ‘il femminismo delle star’, ovvero un femminismo troppo popolare, guidato da attrici e pop star e non dalle “vere femministe” che, secondo lei, ha reso il movimento una redditizia trovata pubblicitaria. Parleremo di questo in seguito e, in modo più approfondito, cercheremo di spiegare quali siano le posizioni critiche in questo nuovo femminismo della quarta ondata. Eppure Clara Miranda Sheriff nel luglio 2015 racconta, in un articolo sempre apparso su i-D[2], un’esperienza personale che ha vissuto con un amico, criticata per volersi definire ‘femminista’, scrive di come si è resa conto di quanto prendere una tale posizione e definire un problema ‘di genere’ provochi reazioni diffidenti e stizzite, incomprensioni, “e la sempre sbagliatissima idea che femminismo voglia dire ‘essere contro’.” Sheriff nel suo articolo dice di voler integrare nelle pratiche quotidiane ‘la questione femminista’ indicando come pratiche quotidiane “il modo in cui penso a me stessa e agli altri, lo sforzo di mettersi nei panni altrui, parlare con chiarezza quando si notano ingiustizie. Essere onesti. Smetterla di essere severe nei confronti delle altre donne e impedire agli uomini che ci rileghino ai lavori casalinghi e di cuore.” E così dice di voler provare a raccontare cosa significhi il femminismo oggi. Clara Jourdan, una delle fondatrici di Via Dogana e ancora oggi immersa nel mondo editoriale della Libreria delle donne di Milano, In una breve intervista[3] fatta a luglio del 2016 afferma quanto sia difficile oggi capire cosa sia realmente il femminismo; “chiaramente le giovani non lottano perché si sentono in una posizione di vittime, di discriminate come facevamo noi al tempo; anche perché in questo senso il femminismo ha vinto. È chiaro tuttavia che queste cose non si conquistano una volta per sempre. La libertà è qualcosa che può esser tolta in qualsiasi momento.”

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


39

Il panorama italiano

$

Ed è con queste parole che si intende arrivare a parlare del presente. Affermare che il movimento femminista abbia realmente migliorato la condizione delle donne, ringraziare quelle donne che hanno lottato per poterci offrire un presente migliore e riuscire a trovare la strada per oltrepassare i limiti pregiudiziali e le barriere dei preconcetti e, così, poter raccontare onestamente quali siano ancora le differenze da livellare. Vediamo allora come si presenta oggi il femminismo in Italia, quali sono i canali e gli strumenti di diffusione, dove si sviluppa il dibattito e chi siano i soggetti che ne fanno parte.

Un cambiamento di rotta

$

Ormai è ben noto che, da qualche anno, qualsiasi fatto, avvenimento o pensiero da cui scaturisca, o meno, un dibattito o una possibile discussione diventi oggetto di nuovi hastag e infiniti post su uno qualsiasi dei social media di cui oggi disponiamo. Twitter, Instagram, Tumblr, Snapchat e Facebook, che poi li contiene tutti. Basta scrivere ‘femminismo’ (in italiano perché in questo momento ci stiamo concentrando su quanto avvenga in Italia) e si possono notare una serie più o meno infinita di link alla quale accedere. Ognuno di questi social ha una sua funzione specifica e se si vuole monitorare ciò che si dice attorno ad un dato tema ci si dirigerà molto probabilmente verso Twitter, se invece si intende scoprire quali siano le immagini che vengono condivise da migliaia di utenti si deciderà molto probabilmente di accedere ad Instagram. Snapchat è invece diventato usatissimo perché permette di fare video, anche lunghi, che dopo un tot di ore vengono automaticamente rimossi; ma ora quasi tutti i social hanno anche questa funzione. Sono chiamate ‘Storie’ e possono essere definite delle estensioni di brevi live, dato che, ovviamente, i social hanno anche la possibilità di condividere video in live streaming. Tutti strumenti che servono per tenerci sempre più aggioranti e incollati ai nostri smartphone. Certo è che ogni cosa si può trovare online e seconda cosa assolutamente certa è che la stragrande maggioranza delle notizie e dei dibattiti che ne seguono viene divulgata online. La discussione avviene online. Internet è diventato il re delle comunicazioni, che poi esse siano veritiere o meno è un’altra storia.

Articolo scritto da Megan Murphy e tradotto per i-D Italia. Pubblicato con il titolo “E tu sei davvero femminista?” l’11 marzo 2016.

[1]

[2] Clara Miranda Scherffig, “Donne che odiano le donne”, i-D, 28 luglio 2015. Giornalista e ricercatrice indipendente nata a Milano. Ha scritto per IL Magazine del Sole 24 Ore, VICE, i-D, Prismo, Rivista Studio e altri.

Nel luglio 2016 è stata fatta una breve intervista a Clara Jourdan nella sede della Libreria delle donne di Milano. Ha risposto a qualche domanda sulla rivista Via Dogana e su cosa possa ancora significare il femminismo. Ammettendo che il pubblico giovane non si senta particolarmente attaccato alla causa femminista per varie ragioni (che lei indica anche come una sorta di vittoria per il movimento) si dice non in grado di rispondere di ciò che definiamo ‘moda del femminismo odierno’ chiedendosi se esso non sia un semplice modo di prendere in prestito un termine anziché portarne

[3]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


40

E ciò vale anche per le questioni legate al femminismo, anche a quello più radicale di cui parlava Murhpy. È abbastanza visibile a tutti che il termine ‘femminism0’ sia ancora una volta sulla bocca di tutti. C’è un maggiore interesse verso le questioni femminili, le questioni di genere, le discussioni sulle coppie di fatto e i dibattiti sull’accettazione del fatto che due persone gay possano effettivamente essere genitori. Le cose stanno lentamente cambiando e forse grazie anche al femminismo. Molte figure femminili si stanno sostituendo ai protagonisti maschili dei film d’azione e molte nuove eroine si stanno conquistando il grande schermo. C’è una crescente attenzione verso le donne in politica e si iniziano a prendere in maggiore considerazione, tanto da diventare notizie da prima pagina, quelle che vengono chiamate ‘questioni femminili’; si ritiene importante citare un articolo apparso su Internazionale intitolato Scorrerà il sangue[4] (storia di copertina del numero 1153 del maggio 2016). Tutto questo nuovo interesse non è però legato in apparenza al femminismo; il termine, almeno in Italia, ha acquisito una valenza negativa accompagnata da commenti quali ad esempio “il movimento femminista oggi è diventato qualcosa da cui traggo solo una sensazione di continuo lamento che si basa su una visione vittimistica (e fondamentalmente opportunista) della società attuale che è ben lontana dalla realtà che vorrebbe dipingere perché parte dall’assunto che la donna sia migliore dell’uomo”.[5] Spesso dichiararsi femminista viene considerata, ancora troppo spesso, una provocazione, quasi una minaccia. Ma le posizioni sono diverse e in questo studio cercheremo di parlarne meglio in seguito. A questo punto è doveroso chiedersi se esistano ancora alcune realtà editoriali che si possano consi-

“Scorrerà il sangue” è il titolo del numero di Internazionale della settimana del 1316 maggio 2016. Così viene presentato il numero sul sito: “Le mestruazioni sono ancora un tabù e, in molte parti del mondo, un pretesto per discriminare le donne. Ma la battaglia per cambiare le cose è cominciata”. Nella collezione di articoli si parla di quei paesi dove le mestruazioni sono ancora motivo di grande discriminazione per le donne e si parla anche della nostra società occidentale dove le mestruazioni non sono più un vero tabù. Tra gli articoli c’è quello di Igiaba Scego sulla Tampon Tax in cui ricorda le parole dell’attivista e voce del femminismo statunitense, Gloria Steinem, che negli anni settanta scrisse un saggio dal titolo “If men could menstruate” (Se gli uomini avessero le mestruazioni). Steinem scriveva: “Cosa accadrebbe, per esempio, se di colpo, magicamente, gli uomini avessero le mestruazioni e le donne no? La risposta è chiara: le mestruazioni diventerebbero un invidiabile evento mascolino di cui vantarsi”. Tuttavia in risposta a questo articolo tantissime sono state le voci ironiche di italiani sulla questione. Chi scrive che: “Internazionale è la pacca sulla spalla a chi è in cerca di un riconoscimento culturale non altrimenti appagabile.” e ancora “Ora, “in molte parti del mondo” succedono tante cose e in genere, nei Paesi in cui le donne vengono recluse in una capanna per tutta la durata del loro ciclo mestruale, con l’obbligo di non toccare nulla e nessuno, questo è più o meno l’ultimo dei loro problemi.” e “ leggendo i commenti sulla pagina Facebook della rivista sembra in effetti che il tabù da rompere sia qui e ora, nella nostra società. Esatto, stiamo ag-

[4]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


41

Le riviste sopravvissute e le nuove realtà editoriali

$

derare portavoce di un movimento che ha ancora molto da esprimere e, indubbiamente, senso di esistere. In un panorama come quello appena descritto sembra forse difficile pensare che ci possano essere riviste cartacee femministe o realtà simili a quelle che nacquero per ovvie esigenze di divulgazione, quando la carta stampata era il mezzo più economico e immediato per raggiungere un pubblico il più vasto possibile. Le realtà editoriali femministe in Italia sono ancora oggi molto legate al sistema accademico, quindi ad un ambiente piuttosto ristretto e inaccessibile a gran parte del pubblico giovane. La maggior parte delle riviste di nicchia che esistono oggi provengono da realtà passate che hanno deciso di resistere al tempo portando avanti il discorso e i temi femministi. L’impostazione grafica non è particolarmente interessante in nessuno dei casi che seguono e spesso sono le stesse riviste a specificare nella loro descrizione che la veste grafica è semplice in modo tale da favorire la lettura. È chiaro che esse siano riviste teoriche che mirano a diffondere un messaggio politico, un pensiero elaborato da un gruppo di studiosi, un punto di vista sulla società moderna. Così spesso la grafica sembra essere nemica della lettura. Sembra inutile ricordare l’esempio di una rivista come EFFE che nella storia rimane sicuramente una delle testate più conosciute anche grazie alla creatività delle curatrici della pubblicazione. Dopotutto una rivista è un prodotto editoriale che si differenzia da un libro o da una raccolta di saggi per determinate caratteristiche tra cui un certo tipo di impostazione grafica che possa essere accattivante e rivoluzionaria nella sua piccola realtà.

“Una rivista non parla solo dei suoi contenuti e attraverso i suoi contenuti. Parla intanto come contenitore, attraverso la struttura e la grafica che ordinano gli argomenti e le priorità; parla attraverso la chiave di lettura che cerca di adottare; e parla soprattutto, io credo, del gruppo e attraverso il gruppo che le dà vita…” Ida Dominijianni

Quasi tutte quelle che citeremo in questa prima parte del capitolo sul contemporaneo sono infatti già state messe in evidenza nel capitolo precedente; si parla di riviste come DWF o Marea o spazi come la Libreria delle donne di Milano che, recentemente, ha portato la discussione online decidendo di non pubblicare più il cartaceo Via Dogana e introducendo un nuovo progetto editoriale chiamato Aspirina. Quelle che sono invece le più nuove realtà appartengono alle vie infinite di Internet, tra blog e spazi social crescono e si diffondono ad una velocità incredibile sfruttando mezzi di comunicazione come video e storie condivise che vanno e vengono ma che, sicuramente, trattengono. Vediamole nello specifico seguendo la loro evoluzione.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


42

Testata:

DWF donnawomanfemme

Tagline: “La rivista femminista che vi fa sentire differenti l’una dall’altra” Redattrice oggi: Teresa Di Martino Editore: Associazione Utopia Nata nel: " Nella pagina affianco: Alcune delle copertine dei numeri dal 2012 ad oggi. La nuova veste grafica prevede un background colorato come unico elemento di differenziazione tra i numeri. La posizione della testata ha subito delle variazioni prima di riassestarsi. Come per i vecchi numeri l’impostazione grafica rimane molto rigida.

1975

Descrizione: Nel 2008 la rivista ha subito una rivoluzione grafica e le copertine, da quell’anno in poi, presentano una struttura rigidissima dove l’unico elemento che cambia di numero in numero è il colore di sfondo. Di seguito vengono mostrate le copertine degli ultimi numeri dal 2012 a oggi. Ricordiamo che la rivista è una delle più longeve (forse la più longeva). Pubblicata nel 1975 ha proseguito regolarmente a pubblicare i suoi numeri fino ad oggi. L’impostazione grafica non è particolarmente interessante, è sicuramente una rivista da leggere ma, come le altre, assomiglia più a un pamphlet che ad una rivista in senso stretto. Molto teorica anche se giovane nei contenuti, è una voce importante per il femminismo odierno ma rimane una pubblicazione molto di nicchia, raggiunge gli interessati e continua a portare avanti quell’arduo compito di divulgazione.

Nel 2013 DWF ha dato vita ad una nuova collana chiamata Ciliegie che si occupa di riproporre alcuni dei più significativi estratti dei vecchi numeri. Nel corso degli anni DWF ha sollecitato e ospitato molti pensieri di più generazioni di donne con pratiche politiche differenti. La rivista può vantarsi di poter tracciare, all’interno dei suoi numeri, le evoluzioni di pensiero di molte autrici che, tuttavia, nello scorrere del tempo si è rischiato di non notare. Ciliegie è dunque un tentativo di lettura e riorganizzazione degli scritti per autrice in modo da poterli pubblicare in volumi dedicati a ripercorrere le loro idee immergendosi in una ‘autoarcheologia’ come la redazione stessa di DWF ha deciso di soprannominare. Così scrivono nella loro descrizione: “Conoscere per cambiare. Più in generale sarà evidente il ruolo centrale del femminismo nel costringere l’Italia a guardare la propria contemporaneità, quella scomoda e poco ‘vendibile’ di un patriarcato moribondo e traslucido, debole e insaziato dal potere, ignorante e comunicativo, violento e democratico quanto basta per mangiarsi ogni spinta a modifiche radicali. Il progetto nasce ‘povero’ e con un chiaro intento di privilegiare la lettura e di ‘contagiare’ con scritti di donne sapienti le ultime generazione, nonché tutte/i coloro che non comprerebbero mai un libro troppo lungo o troppo pesante o troppo caro. Nutrire, dunque, con una grafica essenziale, con un po’ di libretti, sintonizzati sulla percezione (odore, curiosità, guizzi, rabbia, interesse) di chi li comprerà.” Nella pagina affianco sono state inserite tutte le ultime copertine dal 2012 ad oggi. Struttura abbastanza rigida, le copertine si differenziano grazie al colore di sfondo.

Il progetto: L’Italia e il femminismo oggi


43

Copertine:

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


44

Testata:

Marea

Tagline: “donne | ormeggi | rotte | approdi” Redattrice oggi: Monica Lanfranco Nata nel:

1994

Anche online dal: % Qui sotto: Alcune copertine. Le prime due seguono l’impostazione grafica fino al 2015. L’ultima è del 2016 ed è l’ultimo numero uscito. Anche questa rivista è molto teorica e gli interni sono costruiti senza un particolare disegno grafico. Sono pamphlet di lettura, non c’è creatività.

Il contemporaneo $ Editoria in Italia Il contemporaneo: L’Italia efemminista il femminismo oggi

2009

Descrizione: Nata nel 1994 è pubblicata ancora oggi e continua ad essere un importante punto di riferimento per il discorso femminista. Sempre attivi sulle tematiche più rilevanti, attenti ai nuovi temi portando avanti una discussione per risolvere i punti più critici dell’oggi. Dal 2009 Marea ha organizzato appuntamenti annuali seminariali presso la struttura Altadimora ospitando 50 donne per tre giorni di dibattiti, workshop e scambi su temi rispettivamente dell’autodeterminazione nelle scelte delle vita e del fine vita e dei rapporti e conflitti tra generazioni di donne. Tutti gli incontri seguono una tematica principale; nel 2011 l’incontro ebbe come tema ‘Tutto su mia madre - luci e ombre dell’essere figlie, madri e non madri’; nel 2012 si parlava di economia e economia delle donne. Nel 2013 di politica, nel 2014 di nonviolenza e femminismo. Ogni incontro è stato registrato su una radio fondata da Marea nel 2009 che si può trovare su www.radiodelledonne.org. Qui di seguito alcune delle ultime copertine di Marea.


45

Testata: Editore:

Via Dogana Libreria delle donne di Milano 2013

Online nel:

Descrizione: Anche Via Dogana continua a riunire le sue menti pensanti e pubblicare i suoi articoli, ma anch’essa ha deciso di spostarsi online lasciando da parte le pubblicazioni cartacee che richiedevano indubbiamente un certo tipo di lavoro e di sforzo organizzativo e creativo, oltre che economico. Clara Jourdan, una delle fondatrici, in un’intervista del luglio 2016 che abbiamo già citato in precedenza, ha affermato che il collettivo di Via Dogana ha deciso di smettere di pubblicare il cartaceo non perché non fosse letta ma perché era letta da un piccola minoranza di persone interessate; vendevano 800 copie, che non sono poche; tuttavia, bisogna ammettere che oggi il dibattito politico si svolga soprattutto attraverso internet dove è possibile raggiungere molte più persone in poco tempo e dove le notizie scorrono velocemente. Via Dogana ha deciso di passare ad una versione online per uscire dal pubblico di nicchia cui era solita riferirsi ammettendo però la difficoltà nell’ottenere un riscontro vero da un pubblico spesso troppo arrabbiato come quello di internet. Via Dogana continua comunque ad organizzare incontri regolari ogni due mesi volti alla discussione e approfondimento su temi attuali a cui si può liberamente partecipare. Li chiamano ‘incontri in presenza’ ricordando ciò che il femminismo è realmente: partecipazione, relazione. Jourdan afferma che: “Internet è poi uno strumento di divulgazione dove però è difficile dialogare, abbiamo notato che la gente tende soprattutto a sfogarsi dicendo cose di cui non si rende neanche conto. Poi c’è chi risponde, chi si offende e chi scrive senza pensare troppo il primo pensiero che gli passa per la mente senza riuscire ad elaborarlo. In questo modo si creano rotture impensabili. Negli incontri in presenza, anche animati, invece ci si confronta in modo più umano e vero.”

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


46

Testata:

Aspirina

Rivista acetilsatirica Libreria delle donne di Milano Online nel: 2013 Tagline:

Editore: % Qui sotto: una vignetta del numero di luglio 2016. ' A destra: La prima schermata del sito di Aspirina. I numeri non hanno una copertina vera e propria, dalla home si accede alla sezione dedicata alla rivista e cliccando sul titolo del numero desiderato si accede direttamente ai contenuti. Aspirina non è costruita come una pubblicazione in versione pdf, come sono solite pubblicare le altre riviste; la sua struttura è studiata per rispettare le leggi di un sito web a scroll continuo. Ogni articolo riempie una schermata e per proseguire nella lettura basta scrollare in basso. " Nella pagina affianco: alcune vignette e alcune pagine dell’ultimo numero di Aspirina.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

Descrizione: Nel 1987 nasceva invece una rivista parallela sempre edita dalla Libreria delle donne di Milano che si chiama Aspirina. Ha pubblicato fino al 1991 e dal 2013 ha ripreso spostandosi online su www.aspirinalarivista.it. È una rivista umoristica disegnata e scritta. Racconta storie e fatti con un occhio critico e decisamente divertente. Ogni numero è incentrato su un tema in particolare e si sviluppa come collezione di una serie di illustrazioni e vignette umoristiche. La tagline è: ‘Rivista acetilsatirica’ e il design del sito attuale è molto divertente e ben costruito. Ogni numero della rivista è accessibile gratuitamente, l’indice fa da menu ad un’unica pagina a scroll continuo indirizzando il lettore all’articolo interessato. Si susseguono testi di lunghezza media a vignette illustrate non accompagnate da altro che dalla firma dell’autore o autrice. Nella loro descrizione dicono: “I fumetti e gli scritti, le illustrazioni e i video toccano varie corde, dalla satira politica all’ironia poetica. Lavorando sulle nuvole, posizione ideale del fumetto, Aspirina invita a guardare il mondo con libertà e leggerezza.” Di seguito vengono mostrate la home del sito, quindi la copertina della rivista e alcune pagine dell’ultimo numero uscito.


47

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


48

Testata:

XXD

“Rivista di varia donnità” ??? Editore: Associazione XXD Nata nel: 2010 Tagline:

Redattrice oggi:

% Qui sotto: la copertina del primo numero uscito. Titolo della storia di copertina: “Le donne metafemminili” % Nella pagina successiva: Le copertine dei numeri usciti fino all’undicesimo mostrano i temi principali trattati dalla rivista.

ottobre 2010 www.xxd.net

rivista

di varia

donnità

MANIFESTO

le donne metafemminili

POST PORNOGRAFIA FEMMINISTA

uno sguardo al festival Queer di Lisbona CORPO

io sono sana SOCIETÀ

diritti per le individue!

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

Una rivista nata in tempi recenti è invece XXD che nel 2010 è stata creata da un collettivo di donne di diversa età, storia e professionalità che hanno elaborato il Manifesto metafemminile scritto “a partire da una necessità di definirsi in rapporto alle prescrizioni di ruolo ‘femminile’ decidendo di dare vita a una nuova rivista, ispirata al femminismo e quindi a carattere politico” scrivono nella loro descrizione. Il nome viene dal simbolo di evoluzione da femmine, quindi XX, a donne, quindi D. È stata fondata l’Associazione XXD che è editore della rivista e dichiara nel proprio Statuto: “L’Associazione si propone la valorizzazione dell’esperienza e della soggettività femminile, la divulgazione del patrimonio scientifico e culturale prodotto dalle donne, la diffusione dei principi di parità e pari opportunità, nonché la promozione e la valorizzazione della condizione femminile nell’educazione e nella formazione, nella cultura e nei comportamenti, nella partecipazione alla vita politica e sociale, nelle istituzioni e nella vita familiare e professionale. Il lavoro culturale che si propone l’Associazione è di contrasto degli stereotipi di genere, etnici, omofobici.” La redazione è cresciuta e si è diffusa grazie alla rete ed ha raccolto donne e uomini disposti a credere in un progetto cui andava destinato generosamente tempo, professionalità ed energie. La rivista ha raggiunto la pubblicazione di sedici numeri ed ha lanciato una campagna di raccolta fondi ma non è riuscita a raggiungere le quote. La rivista è quindi online e può essere scaricata gratuitamente in un formato pdf. Hanno annunciato dalla redazione che continueranno a produrre materiali sfruttando però un blog xxdonne.net augurandosi di trovare un nuovo formato web per il futuro. È una rivista molto schierata e dai caratteri forti; una rivista politica arrabbiata che sente il bisogno di gridare al cambiamento rimanendo in quei toni del femminismo manifesto, dei movimenti di piazza. Una pubblicazione di nicchia che non ha paura di reagire con forza. Nella pagina successiva tutte le copertine dei numeri usciti e pubblicati online.

Descrizione:

Del loro manifesto riportiamo qui di seguito il primo paragrafo: Noi amiamo Noi non siamo macchine per fare bambini Noi non siamo proprietà di nessun uomo Noi non siamo proprietà di nessuna donna Noi non siamo l’onore e il disonore di nessun altro, rispondiamo solo di noi stesse


49

marzo 2011 www.xxdonne.net

novembre 2010 www.xxdonne.net

rivista

rivista

di varia

donnità

di varia

donnità

13/02/2011

Una sollevazione popolare FEMMINICIDIO

Ciudad Juarez e le streghe SEPARATISMO

Ritrovarsi tra donne

giugno 2011 www.xxdonne.net

rivista

SPECIALE PROSTITUZIONE

L’Europa e l’Altra Dialoghi incrociati con migranti Emergenza sicurezza per le sex workers

Bandiere sui balconi, pagine facebook, siti e mailing per battere il quorum del 50% +1 GENERE

Il gioco delle parti

Sguardi paterni

ECOLOGIA

Ecosessuali contro la decapitazione delle montagne

ATTUALITÀ

Mind the gap

VIOLENZA

Riposizionamenti sull’impensabile

luglio/agosto 2011 www.xxdonne.net

di varia

donnità

REFERENDUM

ARTE

rivista

di varia

donnità

ottobre 2011 www.xxdonne.net

settembre 2011 www.xxdonne.net

rivista

di varia

donnità

rivista

di varia

donnità

aprile 2011 www.xxdonne.net

rivista

di varia

donnità

maggio 2011 www.xxdonne.net

rivista

di varia

donnità

SPORT

Le donne non sono fatte per lo sport Intervista a Carolina Morace ECOLOGIA

Idillio ribelle: madri e nonne contro la Tav

CORPO

Il sondaggio sulla verecondia Parto cesareo Nud* alla Mecca LAVORO

Impugnare i licenziamenti

ECOLOGIA

Alle donne il potere di salvare l’ambiente FEMMINISMI

Intervista a Christine Delphy Allah, Fatima, Aisha e il femminismo

TEATRO

Laurea honoris causa a Franca Valeri

CINEMA

TRANSESSUALITÀ

Il matrimonio impossibile

TRANSESSUALITÀ

Il business dell’ orgasmo femminile: intervista a Liz Canner

Euforia di genere

POSTPORNO

Intervista a Porpora

Un altro porno é possibile ECOLOGIA

VIOLENZA

Lo stalker e l'ultimo appuntamento

Le eco-guerriere cambiano il mondo

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


50

Testata:

Soft Revolution Zine

“Ragazze che dovrebbero darsi una calmata” Margherita Ferrari, Valeria Righele e Marta Corato Formato: blog online Nata nel: 2011 Tagline:

Fondata da:

% Qui sotto: prima schermata del sito. Dalla home è possibile accedere agli ultimi articoli usciti e tramite le voci del menu accedere alle diverse sezioni per poter scegliere i temi desiderati.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

Descrizione: È invece una realtà editoriale italiana giovane e esclusivamente online. Nata nel 2011 dall’idea di tre giovani ragazze: Margherita Ferrari, Valeria Righele e Marta Corato cui sembrava impossibile ancora non esistesse una rivista in lingua italiana per le ragazze; nel senso di “ragazze in quanto persone pensanti.” È lo spazio che più si avvicina al femminismo fresco e non radicale della quarta ondata. Si definiscono ‘soft’ non perché vogliono rendere “il femminismo soft” ma “intendiamo che per noi il femminismo si vive tutti i giorni. Crediamo nell’importanza di un lento ma necessario mutamento culturale, al quale lavorare con costanza e solerzia.” scrivono nella loro descrizione. Come prima descrizione di sé scrivono: “Soft Revolution è una rivista femminista per ragazze (ma anche per il resto dell’umanità).” Marta Corato, una delle fondatrici, ha risposto ad alcune domande che sono state inviate a tutte le riviste contemporanee analizzate in questo studio del femminismo odierno; sono brevi interviste per poter conoscere meglio le intenzioni e il significato che queste nuove realtà danno al femminismo. Nella pagina affianco è possibile leggere la descrizione che Soft Revolution zine fa di sé; l’intervista completa si può leggere in appendice. Ogni mese la redazione di Soft Revolution zine decide di ragionare attorno ad un tema “che sia ampio a sufficienza da consentire varie vie d’accesso, cui è possibile approcciarsi da più prospettive” scrivono nella sezione “about” del sito. Il tema viene quindi sviluppato, con elasticità, dalle tre redattrici della rivista. Quando è nata era una realtà di cui si sentiva il bisogno, non esistevano alternative. Oggi anche in Italia la situazione si è evoluta e sono nate piccole varianti del blog online di riferimento. La sua realtà è molto distante da tutte quelle precedentemente illustrate e, dalle poche righe dell’intervista, è possibile capire chi sia realmente Soft Revolution zine.


51

Testata:

Freeda

“Cavalcare draghi come Daenerys in Game of Thrones” Margherita Ferrari, Valeria Righele e Marta Corato Formato: social feed online Nata nel: 2017 Tagline:

Fondata da:

% Qui sotto: prima e unica schermata del sito. Il progetto è molto giovane quindi per ora il sito è solo una vetrina di appoggio. I contenuti veri sono accessibili da facebook o Instagram.

Descrizione: “Freeda è un nuovo progetto editoriale dedicato alle donne.

Geek, fashion victim o divano addicted non importa, perché a Freeda piacciono tutte.” Freeda è una realtà editoriale online che racconta storie attraverso foto, video, articoli e interviste. Il team è costruito di giovani ragazze sempre alla ricerca di nuovi volti da far apparire nei loro video. Con ironia e uno stile molto pop e coloratissimo raccontano storie di vita quotidiana, di rapporti tra le persone, di questioni “scomode”. Arianna Marchente ed Eleonora Caruso sono le scrittrici, ai loro articoli si accede dalla pagina di facebook poiché il sito (nell’immagine sotto l’unica schermata) al momento funziona da vetrina indirizzando il lettore ai feed social. I progetti video sono di diversa natura, interviste, brevi video su un determinato argomento, sketch divertenti e altro. Uno di questi, ad esempio, vede protagoniste alcune donne che, su un divano davanti alla telecamera, parlano liberamente di un argomento deciso. Si parla di sesso, di relazioni, di esperienze, di lavoro e di tanto altro. Molto ironico e spigliato è un progetto che sicuramente si ispira moltissimo ai progetti femministi londinesi di cui parleremo in seguito, portando in Italia quella moda del femminismo che a Londra spopola dal 2014 e seguendo quel gusto pop e underground tipico dell’estetica londinese. Un progetto decisamente molto dichiarato ed esuberante che grazie alla potenza dei video riesce a raggiungere un pubblico abbastanza ampio. Rispetto al blog di Soft Revolution è decisamente più esplosivo e accattivante, meno serio e molto più social, potrebbe essere definito da Murphy[*] un “femminismo trendy” e, di fatto, ha tutti gli ingredienti necessari per poter essere “di moda”.

[*] Megan Murphy è una giornalista e scrittrice americana. Scrive dal 2010 di femminismo e si oppone al #twitterfeminism, ai selfie e al femminismo popolare e mainstream che vogliono raccontare i media. Già citato all’inizio del capitolo un suo articolo a favore del femminismo

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi



Il fervore estero

53

al 2014 circa la parola ‘femminismo’ è tornata a farsi sentire. C’è chi lo definisce una nuova moda che ha portato il movimento femminista a livello ‘commerciale’ inzuppandolo di cultura pop e underground. Beyoncé e Hilary Clinton, quella che fino a qualche mese pensavamo diventasse la presidente degli Stati Uniti, gridano al femminismo. Lenny Letter intervista personaggi famosi, e non, sulla sua rubrica dedicata alle donne. Nascono nuove riviste sulla scena indipendente e sempre più ‘riviste patinate’ che decidono di proporre contenuti diversi da quelli proposti dai femminili ‘mainstream’, più interessanti e più veri. Il femminismo sta diventando popolare e a qualcuno sembra non piacere perché rischia in tal modo di rovinare lo spirito rivoluzionario del movimento (politico) tramutandolo in un semplice “femminismo come sinonimo vago di uguaglianza” seguendo così quell’ondata di “cool girls feminism” come dice Meghan Murphy[1]. C’è chi sostiene che parlare di “woman’s issues” allontani gli uomini da tali argomenti quando invece temi come le violenze di genere interessano soprattutto l’uomo. È Jackson Katz che lo sostiene e che in un monologo al TEDtalk parla di violenza e silenzio[2] perché, si chiede, “non è possibile che ancora oggi donne e bambini siano vittime di violenza da parte degli uomini” e ancora “ci vorrebbe una ‘leadership training’ e non una ‘sensibility training’ per cercare di cambiare il pensiero comune e ormai radicato nelle nostre culture” sostenendo che non si debba insegnare ‘al sentimento e alla compassione’ ma insegnare a chi detiene il potere di modificare l’atteggiamento verso gli altri. Poi c’è Caitlin Moran che scrive un libro intitolato How to be a woman perché afferma che “la rappresentazione della femminista-tipo è un cliché. non esiste un tipo di femminista che nell’immaginario collettivo è in genere una donna di ceto medio, colta, che non si trucca e odia gli uomini.” Si parla poi di ‘net-feminim’ e di come la pornografia dovrebbe modificarsi per mostrare il sesso e non un “orribile incubo dove l’uomo è superdotato e sempre pronto all’azione e la donna indossa tacchi utili sono per star sdraiata e non raggiungere mai l’orgasmo”[3].

D

Meghan Murphy, “E tu sei davvero femminista? Murphy ci spiega perché dobbiamo essere più assoluti quando parliamo di femminismo” articolo tradotto per i-D e pubblicato l’11 marzo 2016.

[1]

[2] Jackson Katz è un attivista ed educatore americano su questioni di genere, razza e violenza. È cofondatore di Mentors in Violence Prevention (MVP), un programma del Nord America per prevenzione per la violenza di genere ed è educatore nella ‘sports culture and the military’. Nel suo discorso sulla leadership si riferisce infatti all’educazione militare per cui in America è inserito nel programma un corso di sensibilizzazione secondo lui non utile se dalla parte di chi detiene la leadership non viene un esempio giusto. Il discorso cui si fa riferimento è stato pronunciato da Katz in occasione di una TEDtalk nel maggio 2013 intitolata “Violence against women—it’s a men’s issue” e che può essere letta integralmente sulla pagina dedicata del sito internet www.ted.com/talks/jackson_katz.

Il contemporaneo: Il nuovo fervore estero


54

Courtney Martin parla di femminismo nella ‘modern-age’ come una evoluzione del movimento che è stato in passato[3]. Sua madre, femminista, avrebbe parlato di patriarcato e lei invece di ‘intersectionality’ per includere nella conversazione “razza, classe, genere, disabilità...” così come quando sua mamma avrebbe detto “Gloria Steinem” lei invece avrebbe citato moltissime donne perché oggi non si ha più bisogno i una eroina controcorrente ma di far parlare milioni di persone interessate all’argomento. Ci sono teenager che provano a “figure it out” come Tavi Gevinson[4] che danno il via a produzioni indipendenti per parlare, discutere, includere e sperimentare. Jessica Valenti[5] scrive invece che “è bello vedere che il femminismo stia entrando nell’occhio del pubblico in una maniera diversa dai soliti stereotipi di ‘home-wrecking, bra-burning, man-hating’. Tuttavia è sbagliato cercare di addolcire il femminismo e tramutarlo in qualcosa relativa alla propria identità con cui qualsiasi donna può definirsi a prescindere da ciò che pensi dei diritti delle donne, penso che questo sia un grande sbaglio. Quando il femminismo era usato per essere un sistema a cui credere attivamente che sfidava il patriarcato, oggi è diventato (almeno nella pubblica immaginazione) qualcosa che una donna può scegliere anche se poi agisce in maniera totalmente discordante rispetto ai valori del femminismo”. Londra e la nuova ‘moda’

$

Questa breve introduzione al femminismo contemporaneo è una sorta di riassunto che mette insieme tutti i primi risultati studiati all’inizio di questa ricerca per cercare di capire cosa significasse il movimento oggi e cosa realmente ci fosse dietro a questo nuovo fervore che vede rinascere, soprattutto a Londra, la carta stampata e il femminismo. Il 6 agosto 2015 esce su i-D un articolo intitolato “Il futuro femminista del cartaceo”[6] scritto da Billie Brand e sottotitolato così: “Nonostante l’ascesa dell’editoria digitale, la stampa sta rinascendo. Cosa porta una nuova generazione di editor ad abbandonare i pixel in cambio di carta e penna?” e campeggiava come prima immagine icona la copertina numero 7 di Mushpit, rivista femminista londinese di cui in seguito saranno descritti i dettagli.

Courtney Martin è una femminista americana scrittrice, giornalista, attivista e motivatrice. Il discorso che è stato citato è stato pronunciato al TEDtalk del 2010. “Mia madre dice: “Marcia di protesta”. Io dico: “Organizzazione on line”. Sono la coeditrice, con un gruppo di altre fantastiche donne super intelligenti, di un sito chiamato Feministing.com. Siamo la pubblicazione femminista più letta da sempre. E ve lo dico perché credo che sia davvero importante vedere che c’è un continuum.”

[3]

Tavi Gevinson è fondatrice di Rookie Magazine, un magazine online indipendente nato nel 2011 che pubblica scritti, fotografie e altre forme artistiche fatte da e per teenager (“e per gli interessati di tutte le età” scrivono nell’about del blog). Anche lei ha parlato ad una TEDtalk nel 2012 raccontando di cosa stia cercando di fare con il suo magazine online: “cercare di capire le cose del mondo”. Oggi ventunenne è famosissima come icona della moda e del femminismo giovane e nel 2009 era sulla copertina di Pop Magazine. Oggi scrive su diverse pubblicazioni come Harper’s Bazaar, Jezebel, Lula, Pop, and GARAGE magazine.

[4]

Il contemporaneo: Il nuovo fervore estero


55

L’articolo inziava così: “Nel nostro mondo scintillante ossessionato dal digitale, la sopravvivenza del cartaceo è stata messa in discussione. Che cosa riserva il futuro ai giornali? La stampa è morta? Per chi ha una lunga storia d’amore con il cartaceo come mezzo per comunicare speranza, sogni e idee, queste domande - e ad un certo punto risposte - sembravano piuttosto sconfortanti. Come i video hanno ucciso le star della radio, le piattaforme digitali hanno iniziato a prendere il posto del cartaceo come mezzo più economico per produrre e fruire dei contenuti di moda e cultura. Ma come mai nel 2015, mentre i giovani hanno a che fare ora più che mai con gravi problemi economici e internet è senza limiti, la stampa si sta rivalutando? Siamo una generazione che è cresciuta trovando raccomandazioni su Cioè, leggendo consigli di moda su Top Girl e staccando poster da Big. Adesivi glitterati di gattini e Britney Spears, ma quando l’adolescenza arrivò siamo passati da Ragazza Moderna a Myspace. Grazie al tocco magico di Tom, la generazione internet era appena nata. Assistendo per primi all’ascesa dei social media, dagli amici top, ai tweet e a Tinder, siamo stati anche, probabilmente, l’ultima generazione di ragazzini ad apprezzare davvero la gioia di avere dei poster e della sezione consigli che i giornali ci offrivano. Forse è questo legame nostalgico con il cartaceo che ha portato una nuova generazione di editor a mettere in discussione il modo in cui le idee vengono comunicate nell’era digitale, rimanendo fedeli alla copia fisica stampata.” Da questo articolo la ricerca ha preso l’iniziale spunto e poi trovato le sue elaborazioni fino alla progettazione dell’elaborato finale. Verificata dunque l’attualità dell’argomento si è indagato circa lo stato dell’arte partendo proprio dal contesto londinese per poi allargarsi al resto del mondo. Si è deciso poi di studiare il contesto italiano in vista di un possibile spazio favorevole allo sviluppo di nuove realtà editoriali. Avendo poi constatato una mancanza di terreno fertile in quanto a creatività e sperimentazione si è deciso di provare ad inserirsi in tale contesto. Si è deciso dunque di riprendere l’indagine partendo da più lontano, ovvero dal periodo storico in cui il femminismo italiano poteva vantarsi di molti spazi di sperimentazione che accompagnassero il movimento e ne

Jessica Valenti è stata definista una delle ‘Top 100 Inspiring Women in the world’. Scrive per il the Guardian US ed è una scrittrice femminista. Il suo libro più recente è ‘Sex Object: A Memoir’ che è stato un bestseller New York Times, uscito nel 2016. Cofondatrice di Feministing.com e ha scritto per The New York Times, Salon, Bitch, Ms. Magazine e The Toast e molti altri.

[5]

[6]

Billie Brand, “Il futuro femminista del cartaceo”, i-D, 6 agosto 2015.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


56

aiutassero la diffusione e la comunicazione. La storia, dunque, dell’editoria femminista italiana è stata ripercorsa in breve nel primo capitolo sottolineando la grande forza creativa che ebbero riviste come EFFE, riconosciute internazionalmente. Si è poi arrivati, all’inizio del secondo capitolo, a raccontare come alcune delle realtà storiche siano sopravvissute fino ad oggi senza riuscire però a portare un nuovo vento fresco in grado di avvicinare e includere nel discorso anche le fasce più giovani, i potenziali nuovi femministi. Testimoniata così la scarsezza di nuove realtà cartacee particolarmente interessanti e rivoluzionarie ci si è dunque chiesti cosa significhi oggi il femminismo e se abbia ancora senso di esistere. Attraverso il fervore estero cerchiamo dunque di spiegarlo. La rinascita della carta stampata

$

Così, oggi, ci sono altri tipi di pubblicazioni che, lottando per le disuguaglianze e contro i consigli di bellezza soliti dei magazine femminili, stanno prosperando. Si tratta di magazine come Radical People, Polyester, OOMK, Mushpit e Sister, tutte riviste auto-pubblicate e, nel loro piccolo, decisamente rivoluzionarie. Tutte nate come fanzine, come spazi dove poter scrivere e descrivere argomenti che non sarebbero riusciti a raggiungere l’interesse di un pubblico ‘mainstream’, si sono evolute in questi anni diventando vere e proprie riviste con una struttura, più o meno costruita, e una periodicità fissa. “Il cartaceo è un medium con cui avevamo familiarità e a cui eravamo affezionati. Amavamo il processo utilizzato per creare zine e fumetti, condividendoli con i nostri amici e vendendoli per avere un po’ di spiccioli” dice Sofia Niaza, cofondatrice di OOMK (One of my kind, zine semestrale che tratta di attivismo, spiritualità e fede) intervistata per i-D[7] che aggiunge: “Le fiere di zine erano un posto in cui incontravi le persone e discutevi di nuovi progetti, quindi associavamo il cartaceo a energia e collaborazione”. Gli antenati di queste riviste che andavano contro la classe dirigente erano Bust, Cheap Date, Lipstick e anche i-D e “hanno favorito le rivoluzioni queer e punk femministe” scrive sempre Brand. Di nuovo sembra che la stampa offra una nuova possibilità di espressione, una via di fuga per presentare idee radicali e per mostrare quella faccia della società che i media tradizionali tendono a nascondere. Sono riviste ironiche che rappresentano una generazione che ha bisogno di essere ascoltata e che “non può rispecchiarsi in qualche ‘vlogger superstar’ con il sorriso splendente.” Sono riviste anticonvenzionali che fuggono le pubblicità cliché. Prendendo in prestito l’estetica del DIY, sono spesso collage di articoli e immagini e il loro aspetto grafico non elegante e non progettato è parte del loro essere fanzine. “È esaltante, crei il tuo mondo e non hai bisogno del permesso di nessuno. Penso che le comunità e le culture che si occupano della stampa e del creare le zine si sentano più complete rispetto a quelle che si basano solo sull’online,” dice Sofia Niaza. “Senti di avere un coinvol-

[7] Sofia Niaza intervistata per i-D e citata da Billie Brand nel suo articolo del 6 agosto 2015 di cui sopra già descritto.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


57

gimento più diretto e più significativo, sia comprando che sostenendo una comunità creativa la cui filosofia rispecchia la tua, sia partecipando agli eventi, collaborando o inviando i tuoi lavori. Penso che un altro aspetto importante sia il fatto che il cartaceo occupi spazio in un modo diverso dal digitale.” La carta, infatti, ha oggi acquistato un valore molto più alto rispetto a qualche anno fa e le riviste sono diventate veri e propri oggetti da collezione acquisendo quella caratteristica che prima era solo dei libri, quel fascino di mistero e, allo stesso tempo, di porto sicuro. Oggi anche le riviste sono volumi da tenere in libreria, da rileggere, da sfogliare di nuovo. Le nuove riviste femministe

$

“La stampa offre continuità e, nonostante le vecchie e polverose riviste patinate, fornisce al lettore una proposizione realistica sul futuro dei media. Pinzate, piegate, bianche e nere o a pieni colori, le zine sono un esempio unico dove il budget e il successo non sono affatto correlati” scrive Ione Gamble per Dazed[8].

“Mi piace la sorpresa del girare le pagine, dell’aprire e chiudere, e anche il sorprendersi a guardare, cancellare chiudendo, scoprire. Nei miei quadri succede qualcosa del genere” Marco Gastini, In catalogo mostra. Bologna, Villa delle Rose, 1992

“È sorprendente che la rinascita delle zine coincida con la crescita del potere delle ragazze (‘girl power’) del ventunesimo secolo” dice la fondatrice di Polyester. Gamble ricorda di quanto siano state fondamentali per la storia e per l’evoluzione quelle donne che, davanti ad una fotocopiatrice, stavano ore in piedi per stampare tutte le copie necessarie alla distribuzione e critica invece le forme più tradizionali di stampa che si facevano, e si fanno, portatrici di messaggi pericolosi e di standard di bellezza impossibili creando nelle persone irreali aspettative su cosa significasse essere donna. Gamble nel suo articolo cita poi diverse fanzine nate dal 2010 ad oggi che rappresentano diverse intersezioni dell’esperienza femminile (il femminismo intersezionale, leggere poi a pag. 60). The Coalition zine e Diaspora Drama crano spazi dedicati alle persone di colore ignorate dai canali mainstream; Sister, Skin, Blister e OOMK cercano di distruggere gli stereotipi intorno a razza e religione. Stufe di articoli scritti da soli uomini bianchi di classe media, quelle che si fanno avanti sul panorama editoriale sono giovani ra-

[8] Ione Gamble, “How the internet revived the zine scene”, scritto per Dazed & Confused e pubblicato sulla versione online del magazine il 23 luglio 2015.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


58

gazze ancora arrabbiate ma pronte a rivoluzionare il pensiero comune con forza ed ironia. Un altro punto che Gamble ritiene importante sottolineare è l’incredibile fatto che è stato conseguenza necessaria di questa rinascita delle fanzine, ovvero la possibilità di ristabilire comunità fisiche di pensiero e di scambio di opinioni nonostante l’era digitale nella quale nascono e si sviluppano. Non tutte le riviste di cui andremo a parlare tuttavia possono vantarsi di un gruppo unito di editori; alcune realtà nascono e si sviluppano proprio attraverso internet e le comunità online. OOMK è, ad esempio, un prodotto cartaceo che riassume diverse esperienze dal mondo (ed anche in questo la rivista trova la sua forza); gli articoli sono scritti in inglese ed inviati a chi si occupa dell’impaginazione e della produzione fisica della pubblicazione. È infatti importante sottolineare il fatto che tutte queste nuove realtà editoriali stampate non si propongano mai come alternativa all’ormai radicatissimo potere di internet e dei suoi collegamenti istantanei, ma piuttosto come valore aggiunto, sfruttandone al massimo i suoi benefici. “Utilizzando il potere di internet per lanciare le proprie pubblicazioni (ed inoltre raggiungere i lettori di tutto il mondo) e crescere online dando la possibilità a questi giovani creativi di riconoscere l’importanza di un mezzo come internet per andare a colmare quelle che sono invece le sue carenze” scrive Ione Gamble. Internet serve per farsi conoscere, per creare interesse in nuovi possibili lettori, per mantenere un rapporto diretto e creare curiosità, senza dimenticare quella sensazione di ‘suspense’ che li invogli a non perdersi il prossimo numero in uscita. Parlando di pubblicazioni indipendenti, internet ha inoltre un grande potere economico: il ‘crowdfunding’, ovvero la raccolta fondi. È uno dei metodi oggi più utilizzati per dar inizio a nuovi progetti. Creare interesse, invogliare un determinato pubblico, cercare fondi e distribuire: grazie a internet. Nel capitolo successivo verranno descritte con più precisione tutte le riviste femministe che sono state prese in esame in questa parte di ricerca e che ne costituiscono il corpo centrale. Da un corpo di circa 30 magazine sono stati selezionati i più interessanti dal punto di vista grafico e/o comunicativo e sono stati analizzati tenendo conto soprattutto della filosofia con la quale si propongono e dell’estetica cui fanno riferimento. Il corpo è stato costituito da diverse fonti dati: primi tra tutte gli articoli precedentemente citati che mettono in evidenza alcune delle riviste poi prese in esame. Per poter essere sicuri di considerare più realtà possibili è stato deciso di cercare nuove fonti da Wikipedia sotto la voce ‘Feminist Magazines’; la ricerca ha prodotto un elenco di 81 risultati tra magazine (americani e non solo) e realtà online. L’elenco tuttavia risultava molto confuso e non è servito ad altro che ad una primissima verifica. Decisamente più interessante ed utile è stato l’elenco che si può trovare sul sito di ‘Feminist Majority Foundation’ che organizza le varie testate in più elenchi: le riviste femministe di interesse generale, quelle dedicate alla carriera lavorativa, quelle per i giovanissimi e i teenager, quelle che si interessano di salute, quelle internazionali, quelle dedicate alle fasce LGBTQ, quelle dedicate alle mamme, poi alle diverse razze ed infine alla politica. Tuttavia anche questo elenco

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


59

non è servito ad esaurire a pieno le possibilità contemporanee: quelle realtà che sono state scoperte grazie ad articoli e ‘passaparola’ online (sistema di citazioni e link tra articoli ed editori delle riviste stesse) sono dunque state aggiunte manualmente così da creare un elenco database che è possibile visionare in appendice. Nello studio approfondito sono state prese in esame solo quelle riviste femministe di interesse generale, lasciando da parte anche la nicchia LGBTQ per non dover allargare esageratamente il campo di indagine. Il progetto di rivista che è infatti stato creato e che verrà descritto nel terzo capitolo si inserisce in una nicchia che vorrebbe essere inclusiva[9] ma che deve necessariamente restringersi per potersi presentare al pubblico. Una volta selezionate le riviste da prendere in considerazione è stata proposta un’intervista (che è stata chiamata ‘e-mail interview’ e che è possibile trovare in appendice) ad ognuna di esse in modo tale che gli editori stessi potessero raccontare ciò che li ha spinti a dare vita al progetto e con quale filosofia lo portano avanti, in che modo hanno iniziato e come si stanno evolvendo, quanto sia significativo il pubblicare una rivista oggi e specialmente una rivista femminista. In un secondo momento sono poi state prese in esame alcune riviste appartenenti ad un’altra categoria che si trova un po’ a cavallo tra le riviste impegnate e le riviste patinate. Sono femminili molto ben progettati, eleganti e sofisticati che però non propongono i soliti contenuti ‘leggeri’ di un femminile classico ma espongono articoli più concreti ed interessanti accompagnati da fotografie che non siamo soliti notare sulle copertine delle riviste mainstream. Si sta facendo riferimento a prodotti editoriali come The Gentlewoman, magazine patinato che mette in copertina una signora di una certa età senza coprirne alcun difetto (‘no beauty re-touching policy’ è il termine che viene usato spesso per riferirsi a quelle redazioni che decidono di non usare il ritocco fotografico per ricostruire i canoni di bellezza su qualsiasi figura femminile in copertina). Ne è esempio anche PYLOT che è un magazine indipendente che utilizza unicamente fotografie analogiche e non ritoccate. Dazed è invece una rivista di moda nata negli anni ‘90 che è stato deciso di inserire nel racconto in quanto si fa spesso carico di molti articoli interessanti, utili anche ai fini di questa ricerca, sulle questioni di genere e sul femminismo. [9] Nel terzo capitolo si parlerà del progetto che è stato costruito alla conclusione di questa ricerca teorica. Come si potrà vedere nello studio che ha portato alla definizione della tagline della rivista, una delle possibilità prese in esame recita così: “rivista trimestrale per tutti i tipi di gender”. L’idea era infatti quella di creare un magazine dedicato a tutti: giovani, donne, uomini, trans, bi-gender e tutti coloro non-conformi alla ‘normalità’. L’opzione è stata scartata pensando ai destinatari del prodotto editoriale. Non sarebbe stato corretto e sarebbe stato troppo complesso e ambizioso volersi proporre immediatamente a tutti; si è dunque preferita la più logica opzione di riferirsi ad una nicchia per poi, magari, allargarsi.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi



Schede: le riviste contemporanee

% mood della rivista

arrabbiato

urlato

sobrio

girly, femminile

% aspetto della rivista

elegante

glitterato, kitsch

stravagante

diy, punk, B&W

% struttura della rivista

rigido, fisso

libero, variabile

61

Quelle che seguono sono schede create per mettere in evidenza le riviste femministe, sia magazine indipendenti che fanzine, emerse negli ultimi anni sulla scena editoriale internazionale. La maggior parte di esse sono londinesi e molte nacquero come fanzine, ovvero piccole pubblicazioni economiche che seguono la cosiddetta “diy culture” ovvero la cultura del “do it yourself” (cioè fatto da solo), e che nel tempo si sono evolute trasformandosi in magazine indipendenti più strutturati e più densi di contenuti. Le schede presentano come prima cosa il nome della rivista e le sue informazioni di base, ovvero luogo e anno di nascita, fondatore ed editore in carica, periodicità e costo. È stata poi costruita per ognuna di esse una breve descrizione in modo da identificarla sia come tipologia di magazine che come impostazione grafica. Sono poi state disegnate delle icone per poter “etichettare” ogni rivista in esame a seconda dell’impatto visivo e del “mood”, ovvero l’atmosfera, con la quale esse si presentano al pubblico. È un modo per sintetizzare l’identità del magazine. Il carattere della rivista può essere “arrabbiato”, “urlato”, “sobrio” oppure “girly”, quindi estremamente femminile. L’aspetto poi può essere “elegante”, “glitterato”, “kitsch”, “stravagante” o “diy”. Sarà più facile capirne il significato osservando le schede. Ogni icona è comunque accompagnata da un hashtag (come fosse un modo di schedarle online) così da poterne specificare l’accezione. Ogni rivista può essere rappresentata da una o più icone in modo da poterne fornire una analisi breve ma il più vicina alla realtà possibile. Nella colonna di servizio, qui a sinistra, è possibile consultare le icone e i loro significati. È inoltre stata creata un’ulteriore scheda, la si nota perché di formato inferiore rispetto al volume, che specifica il formato della rivista in esame e le sue eventuali evoluzioni nel tempo. Molte di esse non riportano grandi modifiche essendo pubblicazioni piuttosto giovani. Vi è inoltre un riferimento al tipo di impostazione della rivista che ne rivela la struttura grafica, ovvero se questa sia ben progettata e rigida nella sua evoluzione o se il suo design sia molto variabile e libero da gabbie costituite; ciò succede, ad esmepio, in tutte le fanzine dato che è nella loro stessa natura l’idea di improvvisazione e non progetto. Ognuna di queste schede riporta inoltre uno stralcio delle interviste fatte all’inizio del percorso di tesi ai direttori responsabili dei magazine in esame perché potessero approfondire direttamente l’idea della loro rivista e il messaggio di cui si fanno portatrici. Attenzione! Tutte le immagini mostrate in queste schede sono di proprietà delle riviste cui fanno riferimento. Tutte le interviste sono state effettuate via e-mail con i direttori delle riviste e costruite personalmente. Appaiono qui tradotte in italiano e ridotte. Le interviste originali possono essere consultate in appendice. Alcune delle interviste sono contrassegnate da un asterisco, queste sono da attribuire a che citato nella nota cui fanno riferimento. Le riviste che non hanno risposto alle interviste e di cui non sono state reperite altre interviste simili, non presentano la scheda aggiuntiva e ne seguirà una

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


Mushpit Magazine testata

Rivista indipendente satirica, confidente, sciocca a volte e fieramente schierata politicamente in certi temi. Le pagine sono dense di colori, brillanti, potenti. La maggior parte dei contenuti sono una parodia su quanto si può trovare nelle pubblicazioni mainstream ed è allo stesso tempo un ricordo nostalgico di quanto c’era di bello nelle riviste per teenager, create ora però con molto più pugno critico. Ciò che sembra un design povero è in realtà una protesta contro l’influsso lussurioso di Londra. Tutto il testo, nel numero 7, è scritto in un carattere simile al Noteworthy. Le pubblicità sono spesso riquadrate da una linea tratteggiata. Sulle immagini vengono spesso attaccati box che ricordano le vecchie clipart contenenti didascalie. È un magazine satirico sull’industria del fashion a Londra.

tagline

fondata da: Bertie Brandes

Charlotte Roberts direttore attuale: Bertie Brandes direttore creativo: Charlotte Roberts tipo di pubblicazione: Indie mag. periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2011 costo: UK: 9,80£ EU: 13,00€


tag: #urlato, #girly, #pop, #stravagante

nr. 6 " The confusion issue

fondato a: Londra

nr. 7

nr. 8

In basso a sinistra una doppia del #7 ineramente scritto in carattere Noteworthy. Le altre due doppie appartengono al numero 8. Chiara ironia sulle fotografie e i magazine di moda.

nr. 9


The Chapess Zine testata

The Chapess è una vera e propria fanzine punk. In bianco e nero, fotocopiata e super economica. Le copertine sono a volte stampate su carta colorata, l’ultimo numero è stampato su carta rosa. Graficamente non è particolarmente elaborata; una larga colonna di testo e immagini tagliate e incollate, illustrazioni e note aggiunte post prima stampa. Importante tuttavia nell’ambito editoriale femminista a Londra, dove grazie al nuovo potere femminile e all’amore per la carta stampata, le riviste cartacee sono tornate a vivere. Una delle zine nata agli inizi del ventunesimo secolo insieme alle altre zine che sono poi diventate veri e propri magazine come Mushpit, OOMK, Sister e Polyester. Pubblicazione diy che intende mettere in evidenza scrittrici, artiste, fotografe giovani e parlare dunque alle nuove generazioni di femminismo attraverso un format altamente accessibile.

Creative expression is not gendered, but confidence can be non ha tagline, ma ha un motto

fondata da: Zara Gardner direttore attuale: Cherry Styles direttore creativo: Cherry Styles tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: quadrimestrale pubblicato da: Self-published fondato nel: 2011 costo: 3£


tag: #urlato, #punk, #diy, #B&W

nr. 6

fondato a: Manchester

nr. 8

nr. 9

Vera e propria fanzine. Tutte le pagine son in bianco e nero, fotocopiate e rilegate con i punti metallici. Illustrazioni, box neri per i titoli, segni di pennarello poi fotocopiati. Decisamente diy.


Diaspora Drama testata

Diaspora Drama è un magazine inglese dedicato alle “offbeat creative and cool people of colour on the internet” ovvero alle persone di colore insolite, creative e cool che girano su internet. Esplora le identità dei figli della diaspora, giovani artisti al di fuori dello stampo della società che usano il cyberspazio per lavorare fuori dalle pubblicazioni e le narrazioni dominanti. L’Editor in Chief Isaac Kariuki introduce la rivista dicendo: “Guarderemo quanto sia incisivo il cyberspazio sulla nostra generazione e troveremo quegli gli spazi sicuri creati da e per la gente di colore in modo da aiutarli a navigare attraverso la vita.’ Il primo numero presenta artisti come Tabita Rezaire, Hassan Hajjaj, interviste con il fotografo personale di MIA, e una futura superstar Cany Dilan. Ogni numero viene fornito con il mixtape (le vecchie, ormai sconosciute, musicassette) “Punx di colore”.

Have faith in cyber space tagline

fondata da: Isaac Kariuki direttore attuale: Isaac Kariuki direttore creativo: Isaac Kariuki tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: quadrimestrale pubblicato da: Self-published fondato nel: 2011 costo: 10£


tag: #urlato, #punk, #diy, #B&W

nr. 1

fondato a: Manchester

nr. 2 " Dial up

nr. 3 " D2K

Tre doppie pagine del secondo numero della zine. In basso la foto del mixtape che acompagna ogni numero. Per i titoli è sempre usato il carattere calligrafico della testata. Le colonne di testo variano ma non c’è una accurata impostazione grafica. Sono interessani le fotografie. Anche qui molto utilizzate le illustrazioni e, parlando molto di cyberspazio, sono ricorrentissimi screenshot o riferimenti a l mondo di internet.


Sister Magazine testata

Il magazine si presenta con una copertina accattivante, forte presenza del colore rosa. Molti elementi fotografici e illustrati. Articoli piuttosto lunghi caratterizzati da un linguaggio ironico, critico e non formale. Sfogliando la rivista si riconosce bene il carattere di fanzine femminista. C’è molto colore e le pagine sono molto dense. Il carattere “girly” è ricercato dalla fondatrice che crea una pubblicazione kitsch e molto libera, non ha elementi fissi né sezioni regolari. forte presenza del colore rosa. Molti elementi fotografici e illustrati. Articoli piuttosto lunghi caratterizzati da un linguaggio ironico, critico e non formale. Sfogliando la rivista si riconosce bene il carattere di fanzine femminista. C’è molto colore e le pagine sono molto dense. Il carattere “girly” è ricercato dalla fondatrice che crea una pubblicazione kitsch e molto libera, non ha elementi fissi né sezioni regolari.

A magazine for girls tagline

fondata da: Beccy Hill direttore attuale: Beccy Hill direttore creativo: Beccy Hill tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2012 costo: 18,50€


tag: #girly, #arrabbiata, #kitsch

nr. 3 " The Secret Issue

fondato a: Londra

nr. 4 " The Swag Issue

nr.5 " The Size Issue

Alcune doppie pagine del numero quattro. Fotografie, molto colore, trattamento del testo non particolarmente elaborato, sfondi colorati e pagina piuttosto densa.

nr. 6 " The Strong Issue


Polyester Magazine testata

Il quinto è l’ultimo numero uscito. Ogni numero ha due copertine diverse e in ogni rivista vengono mostrati alcuni lavori di artisti emergenti. Ione Gamble vuole dar spazio a giovani artisti. Alla fotografia è data importanza assoluta, le illustrazioni invece accompagnano gli articoli. La rivista è una fanzine che ha ottenuto molto successo, nata da un progetto scolastico è rilegata con i punti metallici e stampata a colori su una carta patinata. È molto colorata e piuttosto densa, il bianco quasi non esiste. Ha un’estetica kitsch, con piccole icone che ricordano le vecchie emoticons di msn. Colori pastello e caratteri pixelati. Il sito web è ancora più esagerato ma ha una sezione bellissima in cui è possibile vestire a proprio piacimento il tuo avatar, sempre restando in un ambiente pop anni ‘90.

Have faith in your own bad taste tagline

fondata da: Ione Gamble direttore attuale: Ione Gamble direttore creativo: Kayla Martinez tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: 2 volte l’anno circa pubblicato da: Self-published fondato nel: 2014 costo: 18,50€

Un’icona che appare sul sito


tag: #girly, #glitterata, #kitsch

nr. 3 " cover nr. 1

nr.5 " cover nr. 2

fondato a: Londra

nr. 3 " cover nr. 2

nr. 5 " cover nr. 1

Sotto alcuni esempi di doppie pagine. Il rosa prevale sempre, poi colori come il rosso e l’azzurro gli fanno da accompagnamento. Ăˆ una rivista piena di glitter, di faccine e di fotografie interessanti. Molte delle fotografe hanno trovato il successo anche grazie alla rivista.


Orlando testata

La rivista ha lanciato il suo numero zero nel dicembre del 2014. Solo nel 2016 esce il primo numero. Il formato si è già evoluto ed è quello di una rivista d’arte. Vengono usati colori accesi, generalmente colori caldi come il rosso e l’arancio poi contrapposti ad un blu intenso. L’impostazione grafica è piuttosto controllata. Escludendo la testata, creata appositamente come logo, la font principale è l’helvetica, utilizzata sia per i testi che per i titoli. Il nome prende ispirazione al personaggio androgino di un romanzo del 1928 di Virgina Woolf. Il magazine opera nella stessa maniera cercando di oltrepassare le categorie binarie costruendo un corpo unico che non fa distinzioni. Nel primo numero si riparte dal passato per potersi proiettare al futuro.

tagline

fondata da: Philomena Epps direttore attuale: Philomena Epps direttore creativo: Philomena Epps tipo di pubblicazione: Indie mag. periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2016 costo: 18,50€

come si presenta il numero 1 chiuso


tag: #sobrio, #non-urlato

nr. 0 " Prototipo

fondato a: Londra

nr. 1 " Considering the past...

Una doppia pagina del primo numero. Come dice la fondatrice e direttrice artistica il mondo estetico di riferimento è il costruttivismo e il bahuaus. Il logo stesso di Orlando ricorda un po’ quegli studi basati sulle forme buone e sulle intersezioni di esse. Essendo un numero che vuole rivivere alcuni episodi del passato molte delle fotografie sono in bianco e nero. Viene spesso utilizzato il fondo colore pieno, in questo caso l’arancione. Molto ambizioso e interessante il discorso che vuole mettere in piedi Philomena Hepps creando questa rivista. Il risultato grafico è a volte un po’ pesante, il formato grande valorizza l’artefatto editoriale.


OOMK testata

One Of My Kind è una piccola pubblicazione “handcrafted” molto vicina alla cultura “do it yourself”. Rivista che si definisce inclusiva ma che supporta in particolar modo le donne mussulmane troppo spesso mal rappresentate nella nostra società occidentale. Evolutasi molto dal terzo numero in poi è una fanzine diversa dalle altre, molto più sobria ed equilibrata, le pagine sono molto bianche e abbastanza rigide nella loro impostazione. Il testo è quasi interamente scritto in monospaziato e nei primi due numeri tutti i titoli riprendevano il carattere calligrafico della testata. OOMK è scritto a mano con un pennello, molto caldo, molto “diy” e rimarca l’essere “una del mio tipo”.

One Of My Kind tagline

fondata da: Sofia Niazi

Rose Nordin Heiba Lamara illustrazioni: Sofia Niazi direttore creativo: Rose Nordin tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2012 costo: 9£


tag: #sobrio, #elegante

fondato a: Londra

1

ONE OF MY KIND ISSUE ONE: FABRIC

Hana Tajima

Racheal Dadd

Hannah Habibi

nr. 1 " Fabric

Betsy Greer

Ceri May

nr. 2 " Print

nr. 3 " Drawing

Subito sotto una doppia del terzo numero. In basso due doppie del quinto. Il progetto grafico è di Rose Nordin, le illustrazioni sono di Sofia Niazi. Dal terzo numero, per quanto riguarda gli interni, c’è un notvole salto di qualità. La rivista è una pibbola pubblicazione abbastanza ben disegnata, sobria e lontana dalle zine diy viste in precedenza.

nr. 5 " Collecting


Leadybeard testata

Leadybeard prende la forma e il format dai magazine patinati rivoluzionandone però i contenuti. I media mainstream hanno costruito una cultura dell’odio verso se stessi che crea confini: di genere, sessualità, pigmentazione, taglia, immaginazione e aspirazioni. Leadybeard vuole invece proporsi come librazione. È un magazine femminista che però nella sua descrizione si definisce “non solo per donne” e che tratta di temi come il genere, la sessualità e l’identità. Il formato non è grande e l’impostazione grafica elegante; c’è molto bianco e rigidità nella struttura. Belle fotografie, riempiono quasi sempre la pagina intera. Prendono molta ispirazione da quelli che sono i magazine indipendenti. Costruito su due colonne di testo non giustificate è evoluto a partire da secondo numero modificando già la testata.

A new feminist magazine with beauty and brains tagline

fondata da: Kitty Drake

Madeleine Dunnigan Sadhbh O’Sullivan direttore attuale: Kitty Drake Madeleine Dunnigan Sadhbh O’Sullivan direttore creativo: Bronya Meredith tipo di pubblicazione: Indie mag. periodicità: non fissa pubblicato da: Self-published fondato nel: 2013 costo: 7,00$


tag: #sobrio, #serio, #elegante

nr. 1 " The body issue

fondato a: Londra

nr. 2 " The sex issue

Le prime due immagini in basso appartengono al primo numero. Leadybeard è poi evoluto, le copertine sono diverse e la stessa testata è cambaita. Rimane il formato e una impostazione elegante e semplice allo stesso tempo. La doppia alla sinistra e l’ultima in basso appartendono al numero il cui tema centrale è il sesso. Esplicito ma delicato allo stesso tempo. È un punto di vista decisamente interessante.

nr. 3 " The mind issue


Girls/Club testata

Il nome si rifà ai “boys club” e, di conseguenza, “No boys allowed” titola l’about del loro sito. Il primo numero di questa rivista è stampato interamente su carta rosa. Il tipo di carta è da quotidiano e il formato non è grande nonostante venga poi piegato a metà orizzontalmente, come si fa per i quotidiani. L’impostazione poi cambia in favore di una carta patinata per fotografie di maggior qualità. È una zine costruita per “selfidentifying” le donne, artiste, poete, scrittrici, fotografe e illustratrici. I temi della rivista seguono quegli individui super lavoratori e sottopagati in un’epoca storica definita apatica, narcisista e basata sui selfie. Murray ha studiato fashion journalism e ha dato vita alla sua zine a 23 anni, dopo aver capito che il mondo della moda non era il suo. L’ultimo numero contiene illustrazioni (ne è un esempio quella qui a destra) molto vere relative al nostro vivere oggi!

A zine by women and for women tagline

fondata da: Georgia Murray direttore attuale: Georgia Murray direttore creativo: Sophie Rawlinson tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2014 costo: 5£


tag: #sobrio, #girly, #elegante

nr. 1

fondato a: Londra

nr. 2

nr. 3 " the Quarter Life Crisis Issue

Tre esempi di doppie pagine relative al primo numero uscito. L’aspetto grafico è molto curato e sembra non avere a che fare con le altre zine femministe mostrate in precedenza. Design piuttosto elegante e ben studiato. Non ci sono elementi stravaganti nĂŠ glitter e neanche cuoricini che inondano le pagine. Design sobrio, favorisce la lettura.


Parallel Magazine testata

fondata da: Sophie Elliot direttore attuale: Sophie Elliot direttore creativo: Sophie Elliot tipo di pubblicazione: Indie mag. periodicità: quadrimestrale pubblicato da: Self-published fondato nel: 2014 costo: 1$ copia digitale

9$ copia cartacea

parallel magazine issue 2 taboo

Parallel è una zine che si definisce “femminista senza vergogna”. Molto esplicita nelle immagini e nei contenuti, tratta di tematiche importanti dalla rappresentazione delle donne alla violenza, rivista attivista che tratta anche di politica e si batte attivamente per i diritti. Il primo numero uscito nel gennaio del 2015 è stato realizzato grazie ad una campagna di crowdfunding. Stampata su carta patinata, rilegata a caldo, è un po’ inusuale rispetto le zine glitterate viste in precedenza. È piuttosto seria nei contenuti nonostante voglia manterere quel rapporto caldo e “diy” con il lettore utilizzando spesso font script e pattern illustrati come sfondo. Le illustrazioni vengono molto utilizzate e l’impostazione grafica delle pagine è molto variabile. Ogni numero è differente sia all’esterno che all’interno rimarcando sempre il fatto di essere una piccola pubblicazione indipendente.

Unashamedly feminist tagline

Il retro del secondo numero


tag: #arrabbiato, #girly

fondato a: Norwich

parallel

issue 3

nr. 1

nr. 2

8 pounds

nr. 3

PARALLEL #6

£8

UNASHAMEDLY FEMINIST nr. 4

nr. 5

victoria After going on about how fantastical our food is becoming, mixing in new dishes, spices and recipes into day to day British food culture, why you ask, am I making something as... well... plain and simple as a Victoria Sponge? For anyone, the Victoria Sponge is a classic and a staple in any baking repertoire. Classically, this is two sponge cakes sandwiched with raspberry or strawberry jam, but most of the time we see it with jam and cream; finished with a sprinkling of icing sugar. A sponge recipe is simple to remember because the eggs, sugar, butter and flour are always the same weight. You can weigh the eggs if you want to be specific but it’s okay if you don’t! Once you have the basic recipe, you can adapt to any taste. For example for more Indian flavours you could use cardamom syrup in your frosting, or rose water or saffron to flavour the cake and chopped pistachio to decorate. For a Japanese feel you could flavour the cake with green tea and instead of jam use Anko (sweet red bean paste) as your filling, the world’s your oyster!

Sponge

symbolic values to commodities, and so want to posses those commodities as a way to assert something about ourselves. Consumerism works by creating solutions to problems before they’re even problems. Products don’t sell just by simply existing, they sell because they play

You will need:

on our insecurities and/or our desire to make life just that little bit easier. This is true of any

2 x 20cm sandwich tin Baking Paper An electric whisk ( if you don’t have this not to worry, just use a regular one or a wooden spoon)

commodity, but beauty brands in particular rely on capitalising on anxieties you probably didn’t even know you had until you saw the advert.

THE LANGuAGE oF CosMETIC CAPITALISM

Cake

Companies have crafted products as answers to spectrum of supposed issues, marketing to

225g soft butter 225g caster sugar 225g self raising flour 4 large eggs 2tsp baking powder

Filling 250g icing sugar 80g unsalted butter at room temperature 25ml of milk a few drops of vanilla extract 3-4 tbsp of Jam

Makes 6-8 slices (depending on your definition of A slice!)

24

1.

Pre Heat the oven to 180 degrees C /350F/Gas mark 4, grease your cake tins with a little butter and line the bottoms with some baking paper.

4.

Leave to cool for a few minutes in their tins, turn out onto cooling racks and leave to cool completely.

2.

Place butter in a large mixing bowl and add the sugar, flour, baking powder and eggs. Then using your electric whisk on a slow speed (or whatever you are using) for about 2 minutes or until smooth and ingredients are fully incorporated (this is called the “all-in-one” technique if you hadn’t already guessed).

5.

For the frosting, beat the icing sugar and butter together on a medium speed until well mixed. On a slower speed add the vanilla extract and a teaspoon of milk at a time, we want a firm icing and can it easily go too thin. Continue beating the icing for about 5 minutes till it becomes light and fluffy.

3.

Divide mixture between your tins and level the surface with a palette knife, spatula or back of a spoon! Place into the oven for around 20-30mins or until golden. Test the inside is ready by inserting a skewer, if it comes out clean, it’s ready! If not, leave in the oven for a bit longer!

6.

Once the cakes have cooled, spread over the icing filling then the jam onto one side then top with the other cake. Dust with icing sugar or top with left over icing. Enjoy!

25

nr. 6

that it speaks to the state one’s face must be in to need ‘transforming’, or require a skin cream qualified by the ‘miracle’ it can work. Young, usually adolescent, women are the target demographic of the majority of cosmetic marketing. Oily-skinned, emotionally vulnerable teenagers who don’t have total responsibility of their finances make for excellent customers. Bioré’s Deep Cleansing Charcoal Pore Strips posit that they ‘free your pores’ a near-absurdist notion that they are imprisoned by something. Playing on the idea of perception once again — once can ‘see 3x less oil’. It has been suggested that this may in fact be detrimental to your skin’s

the young and the old. Primarily directed towards

composition, namely its sebaceous filaments. These are a permanent facial feature; their

those who fall into the bracket of ‘mature skin’ (a bracket, I should mention, which has now widened to include women in their 20s) are products to stem the ‘signs of ageing’, be they initial or longstanding. Simple’s Regeneration Age Resisting Day Cream is an example of a product that claims it “fights premature ageing” in young women: an entirely oxymoronic phrase in itself, implying that ageing is not a constant, ongoing part of life, rather a specific period of time one should attempt to delay by investment. It seems that corporations targeting this group are earnestly encouraging women to wage a war against the passage of time.

appearance can be reduced, but they cannot actually be removed. Stirring women, as Bioré does, to extract all the ‘dirty’ spots in one’s face can cause anxiety in the more perfection-inclined in a way that could escalate to conditions such as dermatillomania. ‘Correctors’, like Garnier’s Skin Naturals Dark Spot Corrector, imply mistakes you are responsible for rectifying. The subset of products this particular one falls into, promoting the ‘evening out’ of one’s complexion, has for a long time been a mode for promoting skin lightening products to women of colour: rather than ‘whitening’ the skin, you’re ‘brightening’ or ‘illuminating’, concepts thinly

The Greek prefix ‘anti’ meaning ‘against,’ ‘in opposition to,’ and even ‘hostile to’, is used in many product names: for example, Nivea’s Vital Anti-Age Spot Concentrate implies this. However, many of these brands maintain a focus on the superficial, the Spot Concentrate (and products like it) promises that it “helps visibly correct the look of age spots”, as of course ageing is inevitable, yet it is something we are meant to be ‘anti’. Garnier Skin Naturals Miracle Skin Cream: Anti-Ageing Skin Transforming Care uses a similar semantic

veiling the oppressive Eurocentric beauty ideal behind them. Hindustan Unilever Limited, the Indian subsidiary of Unilever, examines the impetus behind women complying with this shockingly pervasive ideal: “90% of Indian women want to use whiteners because it is aspirational, like losing weight. A fair skin is like education, regarded as a social and economic step up.” There is an unfortunate tendency to compare the skin lightening industry to the skin tanning industry. Firstly, this is a view entrenched in

field to Nivea’s. ‘Transforming’ is particularly interesting dictation as it is a bold claim,

diasporic experience, and so inapplicable to the majority of communities of colour. Secondly,

32

Impostazione grafica abbastanza rigida, le immagini si inseriscono nel flusso del testo. I testi sono sempre su due colonne giustificate eccetto note o finestre di testo particolari.

pledging an entire metamorphosis. Further than

33


Sabat Magazine testata

Sabat fonde stregoneria e femminismo, antichi archetipi e arte contemporanea. Esplora il concetto di stregoneria oggi presentando un bel design e un bell’uso della tipografia. Solo una font è utilizzata all’interno del magazine (Larish Alte), la gerarchia è ottenuta utilizzando diverse grandezze, diversi pesi e posizioni nella pagina. Rilegato a brossura, permette di staccare le cartoline rosa, posizionate solitamente in apertura degli articoli, che insieme formano un poster. Il rosa crea una palette monocromatica elegante, fresca e giovane. La tipografia è ben scelta e utilizza altri due caratteri: il calligrafico Albertus di Berhold Wolpe (nell’immagine a lato) e in alcuni punti il Virus VujaDe di Jonathan Barnbrook. La sezione finale è sampata su carta “Offenbach bible paper.”

tagline

fondata da: Elisabeth Krohn direttore attuale: Elisabeth Krohn direttore creativo: Cleber Rafael de Campos tipo di pubblicazione: Indie mag. periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2016 costo: 14.00£

logo del magazine


tag: #sobria, #dark, #elegante

nr. 1 " The Maiden Issue

fondato a: Londra

nr. 2 " The Mother Issue

nr. 3 " The Crone Issue

Alcune doppie del primo numero di Sabat. Fotografie in bianco e nero a tutta pagina, interessante composizione tipografica. Il box rosa a sinistra è una cartolina che è possibile staccare che, insieme alle altre, formerà un poster.


X = Y zine testata

Il primo numero di questa fanzine tutta rosa contiene un articolo su un quattordicenne che ha iniziato, a scuola, una campagna per l’uguaglianza di genere; un giornalista che viaggia per documentare le condizione sanitarie nel mondo e uno speciale sulle donne nel mondo del cinema. È una fanzine liceale che vuole esplorare la realtà attraverso una lente femminista, facendo da guida e da insegnamento, si definisce una “guida”. Non è indirizzata unicamente alle donne, vuole essere intersezionale e globale. Parlare ai ragazzi per poter raccontare cosa sia veramente il femminismo, per cancellare la vergonga e cercar di oltrepassare gli stereotipi. Utilizza un filtro rosa e un carattere monospaziato per riprendere i manifesti politici degli anni ‘80 e ‘90 e per i titoli si ispira a Barbara Kruger.

tagline

fondata da: Holly Dorethy direttore attuale: Holly Dorethy direttore creativo: Holly Dorethy tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2016 costo: 5£


tag: #girly, #diy, #economico

fondato a: Londra

F E M IN IS M

I I S E Issue 1 Spring/ Summer 2016

nr. 1 " Feminism = politics + culture

TOP FIVE

THE MAN

GLOBAL

FEMINIST HOTSPOTS

BREAKING

in wedding dresses China’s feminist five protesting to symbolise the plight of splattered with red paint bbc.co.uk. abused women, image via

MENSTRUAL TABOOS

= the From the ecofeminists of Ecuador to of woman trekking round the mountains – rights women’s about ng educati Myanmar countries these are the world’s most radical y equalit fighting for

Journalist Dirk Gilson’s trio of documentaries is raising awareness of global sanitary conditions Words by Holly Doherty

+48

Doherty Words by Holly

=62

Tutto su sfondo rosa. I testi sono scritti in carattere monospaziato, i titoli in bianco su box rosa. Le fotografie non scattate come servizio vengono trattate come si può vedere qui a sinistra. Sotto una foto appartenente al servizio intitolato “Sex + love = politics” di Holly Dorethy.


Crybaby testata

Una voce collettiva di teenager americani. Discutono sui selfie e riportano interviste su diversi argomenti. L’ultimo numero è andato sold out in pochissimo tempo. Nata l’ultimo anno di liceo di Remi che, stufa di essere rifiutata dai magazine, ha deciso di aprirne uno suo. Il nome è nato leggendo un articolo di i-D. È una fanzine sempre diversa, in continuo cambiamento. Ispirata alle zine degli anni ‘80 e ‘90. Molto connessa sui social media, i primi contenuti erano mostrati attraverso Tumblr. La zine serve a mettere vicino alle fotografie o alle illustrazioni, le parole.

For teens by teens tagline

fondata da: Remi Riordan direttore attuale: Remi Riordan direttore creativo: Remi Riordan tipo di pubblicazione: Fanzine periodicità: non fissa pubblicato da: Self-published fondato nel: 2015 costo: 15$

logo sul sito


tag: #girly, #teen, #soft, #glitterato

nr. 1

nr. 4

fondato a: Montclair, New Jersey

nr. 2

nr. 3


Frankie testata

Louise Bannister e Lara Burke, le fondatrici, hanno dato vita al progetto in una delle loro incontri davanti ad una tazza di the. Volevano creare un magazine alla portata di tutti che contenesse consigli di moda dai prezzi accessibili e articoli interessanti. L’estetica che ne risulta è un po’ quella dei salottini da the; colori pastello, illustrazioni e pattern, caratteri femminili, quasi infantili. Il design è piuttosto semplice, la presenza del bianco è molto forte e la font utilizzata per il testo è piccola e leggerissima, non sempre molto leggibile. Fino al numero 49 le copertine presentavano un ritratto fotografico; dal numero 50 in poi in tutte le copertine campeggia invece un’illustrazione. Il gusto è sempre molto delicato e femminile ma più lontano da un classico magazine come lo poteva essere fino al 2012.

Design Art Photography Fashion Travel Music Craft Home Life tagline

fondata da: Louise Bannister

Lara Burke editor in chief: Joe Walker direttore creativo: Aimee Carruthers tipo di pubblicazione: Femminile periodicità: bimestrale pubblicato da: Self-published fondato nel: 2004 costo: 12,50€

logo sul sito


tag: #girly, #soft, #infantile

nr. 75 - ultimo uscito

fondato a: Melbourne

nr. 72

nr. 62

Alcune doppie di Frankie. Tutto molto bianco, a volte etereo. Ogni numero ha una impostazione di colori e font per le titolazioni diversa. La font utilizzata per il testo è molto leggera e senza contrasti, le grazie sono marcate da una terminazione a goccia. Alcune sezioni come quella del food o quella della presentazione di nuovi capi di abbigliamento sono molto riuscite e escono un po’ dai vincoli di un magazine troppo girly.

nr. 48


90

Un’altra prospettiva: i femminili ‘intelligenti’

$

Quelle che sono state appena mostrate sono dunque alcune delle più significative realtà editoriali femministe pubblicate in lingua inglese. Sono state inserite in ordine cronologico e divise per aree geografiche. La sequenza di schede si apre con le riviste nate in Inghilterra, specialmente a Londra, e si chiude con quelle d’oltreoceano. Seguono in questa analisi quelle che sono le riviste dedicate ad un pubblico femminile che si allontanano tuttavia dalle classiche riviste da edicola. L’aspetto grafico di tali prodotti editoriali coincide con le riviste patinate benché i contenuti e le immagini scelte siano di altro livello. Vengono presentate storie vere e spesso di donne famose in un qualsiasi campo quale arte, cinema, letteratura, scienza e ne diventano la storia di copertina dell’interno numero. Sono riviste generalmente indipendenti o nate come tali e poi evolutesi nel tempo. Spesso rispecchiano quel gusto elegante e minimalista delle indie mag; molto bianco, molta rigidità nella struttura, caratteri sofisticati e una composizione molto bilanciata. Nella pagina accanto sono state inserite alcune doppie pagine di riviste che di seguito verranno esposte con più dettagli per poter rendere l’idea sopra descritta. Questi tipi di magazine sono un’alternativa ai femminili mainstream rimanendo in bilico tra le riviste impegnate e quelle più leggere. Il progetto di Zazie prende dunque spunto anche da questa realtà cercando di mettere insieme le tematiche e la serietà delle riviste femministe con la veste grafica e il linguaggio dei femminili ‘intelligenti’. Il prodotto che ne è uscito e che nel prossimo capitolo sarà analizzato nel dettaglio è quindi un femminile ‘femminista’: un magazine dedicato alle donne (ma non solo) e dai temi e contenuti cari al femminismo della quarta ondata, un magazine che vuole presentarsi elegante e ben costruito senza dover apparire troppo ‘girly’; un magazine che evita i consigli di bellezza e che non si preoccupa di mettere in mostra e di scherzare con quella che viene definita ‘non-normalità’. Un magazine da leggere che non diventa però libro, come molte delle riviste indipendenti sul panorama contemporaneo; rimane rivista con i suoi articoli spalla e la versatilità di un prodotto che deve attrarre oltre che informare. Di seguito vengono brevemente descritti quei magazine femminili presi come riferimento. Nelle prossime pagine si potranno consultare le schede preparate per fornire dettagli e riferimenti visivi delle riviste in esame.

Dazed & Confused

Rivista fondata nel 1991, figlia della ‘seconda ondata’ e interessante dal punto di vista di contenuti ed immagini proposte. È una rivista di moda che tuttavia non si presenta come i magazine della stessa categoria. Propone spesso due o più versioni della copertina di uno stesso numero, mette in mostra personaggi conosciuti il cui sguardo è quasi sempre rivolto al lettore. Gli articoli che propone, soprattutto nella versione online, sono molto legati alle questioni di genere e a tematiche femministe. È una rivista di grande formato stampato su carta patinata lucida. Iniziò come poster in bianco e nero piegato e pubblicato sporadicamente, la rivista divenne poi presto un vero magazine a colori. Il titolo divenne un punto di riferimento per la cultura provocatoria e la rivista divenne un vero

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


91

e proprio movimento che crebbe come Dazed Media. Nel 2001 la compagnia Dazed Group lanciò il biannuale luxury magazine AnOtherMagazine. Nel 2005 invece partì il progetto di AnotherMan, progetto editoriale di moda pubblicato due volte l’anno e dedicato ad un pubblico maschile.

Sleek Magazine

Sleek è un magazine particolare, non è un femminile ma una rivista d’arte e moda pubblicata ogni quattro mesi. La sua attitudine avanguardista è devota ad artisti, designer e fotografi che tentano di cambiare il modo in cui vediamo il mondo, di scoprire ciò che è solitamente celato. Il magazine crea connessioni tra arte, moda e discipline relazionate. È stato fondato nel 2003 a Berlino ed è diventato una piattaforma multidisciplinare. Importante in questa analisi perché è un ideale di rivista neutra che esplora attraverso arte e fotografia le questioni di genere rimanendo spesso in bilico tra mascolinità e femminilità.

Cherry Bombe

Cherry Bombe è una pubblicazione con sede a Brooklyn, celebra donne e cibo. Interviste e servizi su personaggi femminili che hanno un qualche rapporto particolare con il cibo: lo preparano, lo coltivano, lo servono, lo disegnano, lo amano. Un magazine di stile e di tutto ciò che accresce la mente, gli occhi e, ovviamente lo stomaco. Molto classico nella sua veste grafica, è un approccio interessante ad un femminile alternativo.

The Gentlewoman

Celebra le donne con stile e obiettivi. È biannuale ed offre una prospettiva fresca e intelligente della moda che pone il suo focus sullo stile personale di alcune personalità intervistate. Sono spesso donne che ci ispirano per la loro combinazione di glamour e personalità. Femminile patinato non convenzionale disegnato dal genio Jop Van Bennekop (anche di Fantastic Man).

Pylot Magazine

Rivista di moda e fotografica unicamente analogica, nasce da un gruppo di creativi che dedicano le loro energie ad un progetto in cui credono ma senza farlo diventare fonte di reddito. È un magazine indipendente senza pubblicità e dalla grafica minimalista. Tutto scritto in grassetto, font bastoni, è piuttosto semplice nella sua composizione grafica. A titolo e sottotitolo viene spesso dedicata un’intera pagina in cui le parole si dispongono a riempirla lasciando al bianco il protagonismo.

Riposte Magazine

Si definisce ‘a smart magazine for women’ e intervista interessanti figure femminili in modo onesto, discutendo dei loro successi ed insuccessi, passioni e prospettive future. Ogni numero contiene cinque idee, quattro incontri, tre servizi, due testi e un’icona. Esempio teorico perfetto per il tipo di magazine che si intende mostrare. Per saperne di più è possibile consultare l’intervista affiancata alla scheda successivamente.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


Dazed & Confused testata

Declare Indipendence tagline

founder: Jefferson Hack, Rankin editor in chief: Isabella Burley art director: Maya Kolqvist tipo di pubblicazione: Femminile periodicitĂ : 2 volte al mese pubblicato da: Waddell Limited nato nel: 1991 costo: UK: 5,50ÂŁ

fondato a: Londra nr. 249 cover 1

nr. 249 cover 2

nr. 247 cover 1

nr. 247 cover 2

nr. 247 cover 3


Sleek Magazine

tagline

testata

founder: editor in chief: Jeni Fulton beauty & beauty editor: Jessica Hannan tipo di pubblicazione: Femminile periodicitĂ : quadrimestrale pubblicato da: H&B Publishing GmbH nato nel: 2003 costo: EU: 10,00â‚Ź

fondato a: Berlino nr. 52

nr. 51

nr. 50

nr. 49

primavera 2015 + inverno 2013/2014 prima del restyle


Cherry Bombe

Girl of my dreams

testata

tagline

direttore attuale: Kerry Diamond direttore creativo: Claudia Wu tipo di pubblicazione: Femminile periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2013 costo: 20$

fondato a: New York nr. 8 Feast Your Eyes

nr. 6 Eat My Words

nr. 5 The Pet Project Issue

nr. 4 The New School / Old School Issue

nr. 3 The girl Crush Issue


The Gentlewoman testata

tagline

editor in chief: Penny Martin direttore creativo: Jop van Bennekom tipo di pubblicazione: Femminile periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Fantastic Woman Ltd.,

Gert Jonkers & Jop van Bennekom fondato nel: 2011 costo: EU: 17€

fondato a: Londra nr. 15

nr. 14

nr. 13

nr. 12

nr. 11


Pylot Magazine

-

testata

tagline

direttore attuale: Max Barnett direttore creativo: Daniel Clatworthy tipo di pubblicazione: Indie mag. periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2012 costo: UK: 10£ EU: 20,50€

fondato a: Londra

nr. 0

nr. 1

nr. 2

nr. 3

nr. 4


Riposte Magazine

A smart magazine for women

testata

tagline

direttore attuale: Danielle Pender direttore creativo: Shaz Madani tipo di pubblicazione: Femminile periodicità: 2 volte l’anno pubblicato da: Self-published fondato nel: 2014 costo: UK: 10£ EU: 11€

fondato a: Londra

nr. 7 cover typo

nr. 7 cover photo

nr. 6 cover typo

nr. 6 cover photo

nr. 5 cover typo



Il nuovo femminismo

99

già stato ripetuto più volte fin qui che il femminismo è diventato un termine alla moda. Le ragazze di questa nuova ondata si proclamano femministe e lo fanno con orgoglio. Isabella Muritti scrive su D di Repubblica[1] che “la parola ‘genere’ ha assunto una connotazione sexy, giovane e vincente, le battaglie contro le discriminazioni sono ‘mainstream’ e la sorellanza è un ‘empowerment’, cui i maschi possono e devono collaborare.” Una delle protagoniste di questa nuova ondata è Laurie Penny, giornalista e scrittrice inglese il cui libro più conosciuto è Unspeakable things. Sex Lies and Revolution[2] e che scrive regolarmente, oltre per il The Guardian e il New Statement, sulla sua rubrica chiamata Penny Red. Secondo i critici inglesi è lei che prepara alla ‘quarta ondata’ grazie al suo appena nominato Cose di cui non si può parlare. Sesso Bugie e Rivoluzione (trad. in italiano). Dopo le prime rivoluzioni delle pioniere, le suffraggette, concluse con la fine dell’Ottocento, dopo le ribellioni degli anni ‘70 della sessualità e della differenza, dopo il ‘rivendicazionismo’ e l’ondata punk degli anni ‘90 e 2000; ritorna l’interesse per questo famoso femminismo. “Io non sono qui per raccontarvi come bisogna essere femminista... il femminismo non è un’identità. Il femminismo è un processo. Chiamatevi come volete. La cosa importante è che voi combattiate per questo” scrive Laurie Penny all’inizio del suo libro. In un articolo scrive invece che “la parola femminismo è diventata impronunciabile nella buona società” facendo allusione al sentimento negativo che aleggia intorno a tale termine e spiegandolo poi così: “Se la usi significa che potresti volere qualcosa che non si può ottenere rimanendo educatamente in attesa che qualche uomo al potere renda il mondo un po’ più equo. Indica insoddisfazione, persino rabbia, e la rabbia non si addice alle ragazze educate”. Nello stesso pezzo Penny introduce un altro discorso che si avvicina al pensiero radicale di Murphy o di Jessica Valenti[3] sostenendo che spesso siano le stesse donne ad aver paura di parlare di femminismo ritenendo di dover ‘rivisitare’ il concetto per trovarne un modo migliore e meno aggressivo per chiedere alle ragazze e alle donne di essere “trattate come esseri umani e non come schiave o come oggetti sessuali. È una soluzione tipica di quest’epoca di pubblicità: basta ammorbidire un po’ il femminismo e si riuscirà a venderlo persino ai più scettici.” Quanto appena ripor-

È

Il femminismo della quarta ondata

$

Isabella Muritti, articolo intitolato “Il femminismo va di moda a Londra”, uscito su D di Repubblica il 24 marzo 2014.

[1]

Laurie Penny, Unspeakable things. Sex Lies and Revolution, Bloomsbury Publishing, 2014 [2]

Meghan Murphy e Jessica Valenti sono già state citate in precedenza. Scrittrici femministe, scrivono a favore di un femminismo radicale lontano dal ‘femminismo pop’ oggi di moda.

[3]

Il contemporaneo: Il nuovo femminismo


100

tato è una delle posizioni prese nella discussione di questa chiacchierata quarta ondata che non tutti i teorici sembrano apprezzare. Laurie Penny è una delle sostenitrici di questo nuovo fervore e sebbene si schieri dalla parte di quel femminismo radicale scrive un articolo per il New Statements intitolato “Non snobbate il femminismo delle celebrità” in cui afferma: “In questo momento Kesha è una femminista nel modo più coraggioso e importante che ci possa essere: è una femminista perché si rifiuta di salvare la sua carriera ritirando le accuse contro il suo produttore. Con questo semplice atto di coraggio sta ispirando un’intera categoria e milioni di donne a ribellarsi contro gli abusi. non importa se Kesha si consideri o meno femminista. Per il femminismo non è importante chi siamo, ma cosa facciamo. Non importa se Kesha ha letto Il secondo sesso. Non importa se sia ricca e famosa e si vesta come una spogliarellista pazza. In realtà il suo abbigliamento aiuta. [...] Il patriarcato impone alle donne standard irraggiungibili e le umilia quando non riescono a raggiungerli. Il femminismo deve evitare di fare lo stesso. E se ‘femminismo pop’ significa che una giovane donna possa lottare contro la cultura dello stupro, sfidare la disuguaglianza di un’intera industria e pretendere di essere creduta, allora io sono con lei.” Il femminismo delle star

$

Margherita Ferrari,[4] intervistata da Isabella Muritti per l’articolo precedentemente menzionato, afferma di essere critica nei confronti dei ‘nuovi femminismi’ che ritornano ciclicamente ma, come molte delle altre giovani creative che hanno deciso di pubblicare una rivista in questa nicchia, aggiunge e si spiega: “Non sapevo di essere in bilico sulla ‘terza ondata’, ero piccola, ma la musica delle ‘ragazzacce dei ’90’ l’ascoltavo, eccome. Mi segna tutt’ora” ed è così dice Muritti che le femministe ventenni di oggi “guardano con rispetto a un’ultracinquantenne come Kim Gordon, cantante e bassista dei Sonic Youth, ricomparsa attrice nella serie Girls e a Kathleen Hanna, la leader della band Bikini Kill. Margherita Ferrari descrive poi in questa intervista il suo progetto di creare qualcosa di non esistente sul panorama italiano e molto simile alle riviste come Bitch. Dice di essere favorevole ad un Pop Feminism perché “alla causa fanno bene molti registri, non solo quello delle Grrrls”.[5] Sono tanti i nomi che hanno reso questo nuovo femminismo molto ‘pop’ e sono nomi molto conosciuti, nomi da star. Vedi Beyoncé che ha costruito Margherita Ferrari è co-fondatrice di Soft Revolution zine, blog online italiano per “ragazze pensanti” e che è stato preso in esame nella sezione che descrive le realtà editoriali contemporanee.

[4]

Grrrls è un termine per riferirsi alle Riot Grrrl, è un sottogenere tematico del punk rock originatosi dall’indie rock e dall’hardcore punk degli anni novanta. I gruppi appartenenti si distinguono per le loro posizioni di forte femminismo militante e attivismo politico, e affrontano temi quali stupro, abusi domestici, sessualità, sessismo, predominio maschile e potere alle donne.

[5]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


101

una canzone sull’appello di una scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie “We Should All Be Feminist” (ripreso anche dalla campagna primavera/estate 2017 di Dior - allora sì che il femminismo va di moda! -) e che con l’uscita del suo nuovo ‘visual album’ Lemonade - che è stato molto apprezzato e definito come una potente rappresentazione di cosa significa essere una donna nera, dell’infedeltà e della redenzione - ha trovato pareri contrastanti. Il parere della studiosa Hooks in un saggio[6] del maggio 2016 loda il disco e scrive così: “La cosa che rende Lemonade così speciale è l’ampia portata del suo panorama visivo; costruire una sorellanza di donne nere con un forte valore simbolico, che si oppone all’invisibilità e rifiuta di rimanere in silenzio, non è un’impresa da poco, perché riesce a spostare l’attenzione della cultura bianca dominante” ma tuttavia ne critica il contenuto visivo ritenendo che presenti il corpo femminile “estremamente esteticizzato” e sostenendo che il continuo mostrare bei corpi non aiuti la causa delle donne nere e non contribuisca a creare una cultura equa di benessere. Janet Mock, scrittrice e sostenitrice dei diritti delle persone transgender, risponde invece ricordando “la visione secondo cui le donne che si presentano in modo femminile siano meno serie e quindi complici del sistema patriarcale, e che si limitino a usare i loro corpi invece del cervello per vendere, farsi notare, e sopravvivere”. In un simile dibattito è entrato anche un altro episodio che vede invece protagonista il femminismo di Emma Watson. L’attrice è dal 2014 ambasciatrice per l’uguaglianza di genere e ha dato vita ad una campagna chiamata HeForShe invitando gli uomini a prendere parte al movimento. Nel 2015 Malala Yousafzai ha detto di volersi definire ‘femminista’ dopo aver ascoltato il discorso di Watson. Attrice, modella e attivista è stata recentemente criticata per le fotografie che accompagnano l’intervista per Vanity Fair, in occasione dell’uscita del suo ultimo film, giudicate anti-femministe perché provocanti e rivolte unicamente al ‘male gaze’. L’attrice si dice confusa da queste accuse sostenendo che “il femminismo è qualcosa per dare una scelta, non un bastone con la quale malmenare le altre donne. Parla di liberazione, uguaglianza” e conclude scherzosamente “People are saying I cannot be a feminist and... have boobs!”.[7] Ma di star che si proclamano femministe ce ne sono molte altre di cui non verranno però raccontati dettagli e contesti in cui si inseriscono; sono nomi che vengono criticati ancor più duramente di quelli menzionati in precedenza, perché personaggi molto più esuberanti e ancora meno ‘ligi’ Bell Hooks scrive il saggio intitolato “Moving Beyond Pain” e lo pubblica il 9 maggio 2016 sul sito dell’istituto di cui è fondatrice www.bellhooksinstitute.com

[6]

Il discorso è stato pronunciato in risposta alle critiche che le sono state rivolte e mandato in onda dalla BBC. Le fotografie che la ritraggono su Vanity Fair sono, secondo alcuni, anti-femministe perché sono provocanti, si vede parzialmente il seno dell’attrice e appartengono a quel tipo di fotografie rivolte unicamente al piacere maschile.

[7]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


102

alla causa del movimento radicale. Si tratta di Taylor Swift, Nicki Minaj (che continua a difendere il suo diritto di vestire come vuole), Emily Ratajkowski (diventata famosa con l’ultimo video di Robin Tickle decisamente sessista ma per cui la modella dichiara: “si può essere femministe e sexy”), Kristen Stewart (che dichiara: “Trovo ridicolo dire di non essere femminista. Voglio dire, non credi nella parità di diritti fra uomo e donna?”), Miley Cyrus (“Se non puoi esprimere te stessa non sei davvero libera”) e Salma Hayek (veramente impegnata nell’umanitario). Poi c’è Madonna che nel 2016 ha vinto il premio come donna dell’anno e che nel suo discorso proclama: “All’inizio ero ovviamente ispirata da Debbie Harry, Chrissie Hynde e Aretha Franklin ma la mia vera musa fu David Bowie. Lui impersonava lo spirito maschile e femminile insieme e questo mi piaceva, si adattava molto a me. Mi ha fatto pensare che non ci fossero regole. Ma mi sbagliavo. Non ci sono regole… se sei un maschio. Ce ne sono eccome se sei una ragazza. Se sei una ragazza, devi stare al gioco. Puoi permetterti di essere bella, carina e sexy. Ma non devi sembrare troppo intelligente. Non devi avere un’opinione che sia fuori dal coro. Sii quello che gli uomini vogliono che tu sia, ma ancora più importante, sii qualcosa con cui le donne stesse si possano sentire a proprio agio, quando ci sono di mezzo degli uomini. E infine, non invecchiare. Perché invecchiare è un peccato. Sarai criticata e svilita e, in ultimo, le radio non ti passeranno più”. Molte di queste personalità si raccontano, raccontano loro esperienze private, anche dolorose o di cui un tempo provavano vergogna, per dare un esempio positivo di forza, un motivo che spinga al cambiamento, una testimonianza che le avvicini alle persone comuni che le seguono, le imitano e, forse, imparano.

La questione del ‘gender’

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi

$

Gli stereotipi sul femminismo comunque sono sempre gli stessi e si concentrano sui dettagli più insignificanti, dice Penny, e continua sottolineando il fatto che “articoli come discutere se sia o meno femminista depilarsi le ascelle vendano molto più rispetto ad articoli sul fatto che le lavoratrici part-time non abbiano diritto alla pensione”. Penny così ricorda ancora una volta di come sia normale che gli stereotipi di genere funzionino facendo leva “sulle nostre paure più profonde” come ad esempio il fatto che quando le donne sono troppo determinate perdano la loro identità di genere e da qui: “femministe brutte, mascoline e pelose”. Uno dei tanti termini storpiati e mal rappresentati, e di conseguenza mal interpretati e discussi, è quello del ‘genere’, in inglese ‘gender’ ed è una discussione molto sentita dal femminismo odierno, un femminismo ‘intersezionale’. Chiara Lalli scrive un articolo pubblicato su Internazionale nel marzo 2015 che si intitola così: “Tutti pazzi per il gender”.[1] Il suo articolo cita in primis un articolo della storica Lucetta Scaraffia, uscito su L’Osservatore Romano nel 2011: “La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea, già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, che l’eguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della felicità. Negare che l’umanità è divisa tra maschi


103

e femmine è sembrato un modo per garantire la più totale e assoluta eguaglianza – e quindi possibilità di felicità – a tutti gli esseri umani. Nel caso della teoria del gender, all’aspetto negativo costituito dalla negazione della differenza sessuale, si accompagnava un aspetto positivo: la totale libertà di scelta individuale, mito fondante della società moderna, che può arrivare anche a cancellare quello che veniva considerato, fino a poco tempo fa, come un dato di costrizione naturale ineludibile”[2]. Chiara Lalli identifica questa così chiamata ‘Ideologia del gender’ come un “essere mostruoso, ma allucinatorio come Nessie” e “una creatura strana e inesistente, metà fantasia, metà film dell’orrore”[1], sostenendo che nessuno abbia in realtà mai tentato di negare la differenza tra maschi e femmine. Un mostro che la bioeticista dice esser “nato in ambienti angustamente cattolici, conservatori e ossessionati dalla perdita del controllo. Il controllo sulla morale, sul comportamento, sull’educazione e sul rigore feroce con cui si elencano le categorie del reale con la pretesa che siano immutabili e incontestabili in base a un argomento d’autorità: “È così perché lo diciamo noi”. In realtà questa ideologia nasce da una “continua e intenzionale confusione tra il piano biologico (“per fare un figlio servono un uomo e una donna”) e quello sociale e culturale (“per allevare un figlio o per essere buoni genitori bisogna essere un uomo e una donna”).” Tuttavia, dice Lalli, è una teoria inventata da chi ha paura di vedere i propri ordini mentali stravolti. “C’è una strana paura che coinvolge alcune classi sociali, e in particolare una data fascia d’età, nel vedere le costrizioni sociali dissolversi, come il soffio di vento che distrugge un castello di carte, tale da spingerle a trovare una soluzione preventiva al disastro, senza in realtà accorgersi che in tutte queste “novità” non v’è nulla di male”. Oggigiorno l’interesse per il cosiddetto, all’inglese, gender è decisamente vivissimo. La ragione la si può trovare, in parte, nelle recenti conquiste legali delle comunità lgbtqi, nel continuo tentativo di abbattere i muri dell’odio e lasciar conoscere tutte quelle sfumature identitarie cui un individuo può sentirsi appartenere e nella crescente diffusione di studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane. L’AIP (Associazione Italiana di Psicologia) nel marzo 2015 ha ritenuto necessario intervenire per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di ‘Ideologia del gender’, spiegando invece l’importanza degli studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito alla conoscenza e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e l’orientamento sessuale (AIP, Sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusione nei contesti scolastici italiani, 2015). [1]

Lalli Chiara, “Tutti pazzi per il gender”, Internazionale, 31 marzo 2015.

[2] Scaraffia Lucetta, “La teoria del ‘gender’ nega che l’umanità sia divisa tra maschi e femmine”, L’Osservatore Romano, 10 febbraio 2011.

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


104

% Qui sotto: L’illustrazione è stata creata a partire da uno schema proposto in una delle fanzine prese in esame nel capitolo precedente (“Giude to gender” articolo scritto da Laura Davis e illustrato da Brittany Granville) che intendeva spiegare cosa significasse ‘gender’: “Gender is the expression of one’s identity”. Qui riportata per accompagnare la descrizione di cosa sia il genere. È un riassunto grafico che non ha la presunzione di raccontare l’intera complessità della questione ma di fornire piuttosto un quadro generale. Espressione* " tutto ciò che racconta esteriormente la propria personalità. Sesso* " fisico: maschio, femmina, intersex.

Dunque per chiarire la situazione bisogna innanzitutto spiegare cosa significhi genere. Il concetto di genere riguarda le differenze tra uomini e donne riconducibili a due dimensioni, una sessuale e l’altra umana. Rispetto alla biologia, il sesso determina la distinzione dei caratteri maschili e femminili preposti a funzioni riproduttive specifiche. La specie umana prevede nel suo processo di determinazione una componente di valori legati all’educazione e alla cultura, condivisa dai membri di un dato gruppo e trasmissibile alle generazioni successive. Per genere si parla, dunque, delle dinamiche di costruzione sociale delle caratteristiche biologiche intese della definizione, rappresentazione, incentivazione di comportamenti connessi alle preferenze sociali legate allo status di un uomo o donna (Decataldo e Ruspini, 2014). Il termine gender è stato utilizzato per la prima volta dall’antropologa Gayle Rubin (1975) nell’articolo The Traffic in Women[3] per sintetizzare l’insieme delle differenze socialmente costruite tra i due sessi e il rapporto mutualmente condiviso, sostenuto e approvato a livello culturale. Parlando di identità di genere si intende la percezione sessuata di sé e al proprio comportamento acquisito tramite l’esperienza individuale e collettiva: le donne e gli uomini risultano capaci di relazionarsi all’altro poiché

" Bi-gender ) espressione*

) identità

" Donna " Non-binary " Uomo

) orientamento romantico

) sesso* ) orientamento sessuale

Rubin Gayle, “The Traffic in Women: Notes on the ‘Political Economy’ of Sex”, in Rayna Reiter, ed., Toward an Anthropology of Women, New York, Monthly Review Press, 1975.

[3]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


105

portatori di un’identità di genere riconoscibile e condivisa (Decataldo e Ruspini, 2014). Simone De Beauvoir, a metà del Novecento, affermava che i caratteri dell’essere uomo e donna sono socialmente costruiti, appresi e condivisi e pertanto non si possono dichiarare come innati. L’affermazione di Simone De Beauvoir “donna non si nasce, lo si diventa” (On ne naît pas femme, on le devient) (De Beauvoir, 1949) distingue il sesso dal genere e suggerisce come quest’ultimo sia un aspetto dell’identità che viene acquisito con il tempo, un prodotto della cultura umana e come tale può subire variazioni nel tempo e nello spazio. Prendendo ad esempio alcune società neoguineane o inuit, risulta evidente quanto il genere sia effettivamente una costruzione sociale (Héritier, 2002). L’identità ‘sessuale’ presso queste popolazioni non è connessa al sesso anatomico; al nascituro viene assegnata una anima-nome reincarnata nel momento in cui viene al mondo, a seconda di segni interpretati dagli sciamani. Il percorso di definizione dell’identità di genere procede per tutto il ciclo di vita nel raggiungimento di un senso di appartenenza maschile e femminile o nella sua pluralità di sfumature. Le definizioni ‘gendered’ sono convenzioni sociali stabilite nel corso del tempo e mantenute tali nei processi di socializzazione. A tal proposito è bene citare nuovamente Gayle Rubin, che nell’articolo già accennato precedentemente, definiva tali convenzioni con un’espressione da lei coniata: sex-gender system, ovvero: “L’insieme dei processi, adattamenti, modalità di comportamento e di rapporti, con i quali ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e organizza la divisione dei compiti tra gli uomini e le donne, differenziandoli l’uno dall’altro: creando appunto «il genere» (Piccone Stella, Saraceno, 1996). La definizione di ruoli di genere è strettamente connessa: quei modelli che racchiudono comportamenti, obblighi e aspettative connessi all’identità femminile e maschile a cui gli individui sono tenuti a conformarsi. Tali modalità variano a seconda della classe sociale, dell’età, dell’origine etnica e dell’orientamento religioso, modificandosi e ridefinendosi a seconda delle date situazioni o momenti storici. Nella nostra società occidentale, ma non solo, siamo abituati a dare un’educazione distinta ai due sessi, in base a delle norme socialmente accordate che ci forniscono l’idea di come si dovrebbero comportare le ragazze e i ragazzi. Ciò nonostante i parametri sono molto fluttuanti, le definizioni sono in divenire e nell’ultimo cinquantennio si possono notare molti cambiamenti storici avvenuti nell’educazione e nel comportamento di genere. I parametri di genere non tracciano una fisionomia inalterabile delle caratteristiche femminili e maschili. Così la nostra identità si fonda sul come ci mostriamo d’essere, sulle caratteristiche attribuite al gruppo del quale siamo chiamati a far parte (Busoni, 2000). Le definizioni sono arbitrarie e servono a semplificarci la vita. Come scrive Chiara Lalli[1] “dovremmo sempre ricordarci però che la realtà è un insieme in cui i confini netti non esistono – ma esistono contiguità, sovrap-

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


106

posizioni, intrecci sui quali tracciamo linee e diamo definizioni. Questo non significa che non esistono differenze o che sia tutto nella nostra testa (nella nostra percezione), almeno nella prospettiva realista. Significa che quello che osserviamo è più fluido di un interruttore che spegne e accende una luce.” In questo modo continua ancora oggi la discussione ereditata dalle teorie femministe degli ultimi anni Sessanta e primi anni Settanta.

“In sintesi, essere uomini non significa avere un sesso maschile, come essere donne non significa avere un sesso femminile – “essere” uomini e donne è piuttosto il convergere di senso esperenziale di sé e di percezione del mondo, vale a dire ciò che si è appreso ad essere nelle relazioni sociali, nei rapporti con gli altri” (Busoni, 2000)

Il femminismo intersezionale

$

Dove la distinzione tra sesso e genere è stata per riconsiderare l’affermazione che l’anatomia definisca il destino di ognuno. Prima abbiamo definito il femminismo odierno un femminismo ‘intersezionale’ senza però spiegarne il significato. Riprendiamo il discorso cercando in breve di fornire una descrizione esaustiva. ‘Intersezionalità’ è un concetto utilizzato spesso nelle teorie critiche per descrivere il modo in cui sistemi di oppressione (razzismo, omofobia, sessismo, transfobia, xenofobia, classismo ecc.) siano interconnessi tra di loro (Collins, 2015). Il termine è stato coniato dall’attivista e accademica Kimberlé Williams Crenshaw[4]. La teoria suggerisce e esamina come varie categorie biologiche, sociali e culturali come genere, etnia, classe, dis-abilità, orientamento sessuale, religione, casta, nazionalità e altri assi di identità interagiscano a molteplici livelli, spesso simultanei. La teoria propone che per comprendere l’identità di una persona sia necessario pensare ad ogni elemento o tratto che è unito strettamente a tutti gli altri(DeFrancisco, Palczewski, 2014). Crenshaw scriveva inoltre che questa teoria è in grado

Crenshaw scrive nel 1989 Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics. Testo che ha permesso una evoluzione degli studi sulle diseguaglianze.

[4]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi


107

Nel suo lavoro Crenshaw parla di “Black feminism” soffermandosi sul fatto che l’esperienza dell’essere una donna nera non può essere compresa se non si prendono in esami entrambi i fattori; ovvero l’essere nera e l’essere donna. Crenshaw sostiene che l’intersezionalità tra questi due fattori è l’unica via per poter prendere in considerazione l’esperienza di subordinazione di una donna nera. Il termine viene poi ripreso nel 1990 dalla sociologa Patrichia Hill Collins sostenendo che le oppressioni culturali non sono solo interrelazionate ma sono anche cucite insieme e influenzate dai sistemi intersezionali della società, ovvero razza, classe, genere, etnicità e così via. Ovviamente l’idea alla base del femminismo intersezionale esisteva molto prima di quando venne coniato il termine. Per esempio nel 1851 Sojourner Truth ha pronunciato un discorso rimasto famoso “Aint’ I a woman?”[5] in cui utilizzando esperienze personali sostiene che genere, razza e sessualità siano concetti da prendere in esame per poter comprendere meglio le elaborazioni attorno al concetto di classe sociale. Parlava in un periodo in cui ci si batteva contro la schiavitù e per il suffraggio universale. Un’altra voce importante è quella della già menzionata Bell Hooks che nel 1981 scrisse “Ain’t I A Woman: Black Women and Feminism” in cui sottolinea più volte quanto sia importante tenere unite le esperienze di classe, genere e sessualità (ecc.) con il concetto di razza dalla quale non si può prescindere per comprendere il probelma. È da qui che viene il concetto di femminismo ‘intersezionale’ nonostante sembri essere caratterizzante soprattutto di questa nuova ondata. Ciò lo si deve probabilmente al fatto che in altri ambiti “il femminismo abbia già vinto”, come diceva Clara Jourdan. Sempre più consapevoli del fatto che l’intersezionalità sia un elemento vitale per poter raggiungere una uguaglianza politica e sociale e per poter migliorare la nostra società, il femminismo allarga sempre più i suoi orizzonti.

Il discorso è stato ripreso dal documento pubblicato da Journal of International Women’s Studies nel 2004 intitolato “Ain’t I A Woman? Revisiting Intersectionality”.

[5]

Il contemporaneo: L’Italia e il femminismo oggi



Il progetto

cap.

109 03

pag.

109

pag.

109

pag.

109

pag.

109

%

Il contesto di inserimento Dove si inserisce il progetto “Print isn’t dead” Il mondo delle riviste indipendenti

Scelte progettuali Il pubblico di Zazie e il mondo estetico di riferimento Testata e tagline, studio Periodicità, lingua e pubblicità

La struttura Il numero zero e il tema portante La storia di copertina e la scelta degli articoli Il formato, Zazie in edicola

Scelte grafiche La costruzione della testata e della copertina La gerarchia, elementi fissi ed elementi variabili La divisione in sezioni e l’impostazione grafica



Il contesto di inserimento

111

criveva Simone de Beauvoire nel 1949, sul suo romanzo Il secondo sesso: “Ho esitato a lungo prima di scrivere un libro sulla donna. Il soggetto è irritante, soprattutto per le donne; e non è nuovo. Il problema del femminismo ha fatto versare abbastanza inchiostro. Ora è pressoché esaurito: non parliamone più. Tuttavia se ne parla ancora”. (de Beauvoire, 1949). È quel “tuttavia se ne parla ancora” che ci spinge a nuove pubblicazioni. Nel capitolo precedente abbiamo esplorato l’evoluzione del femminismo nel panorama contemporaneo descrivendone le nuove iniziative editoriali. La rinascita di femminismo e carta stampata, come già raccontato in precedenza, la vediamo oggi soprattutto a Londra, dove quel gusto per la cultura pop e underground ha portato alla luce nuovi progetti dalla grafica sovversiva, provocatoria e decisamente pop. Il progetto di tesi magistrale, che verrà illustrato in questo capitolo, prende proprio spunto dalle novità in campo editoriale emerse soprattutto in Inghilterra. Gli Stati Uniti offrono, invece, come spunto un linguaggio molto fresco e quasi sporco, diretto e senza pudore, come un nuovo realismo letterario. A questa nuova ondata femminista, la quarta, appartengono diversi personaggi, già citati nel capitolo precedente, diventati piuttosto noti grazie al loro desiderio di mettersi a nudo sfidando i canoni della società cui siamo abituati. Ed è così che Lena Dunham e Caitlin Moran sono due dei tanti esempi di linguaggio da cui prendere ispirazione per poter raccontare di attualità, di identità, di genere, di donne, di uomini, di bambini e di giovani legati in qualche modo, seppur remoto, al discorso femminista. Quello che molti, a gran voce, dichiarano oggi è: “non mi vergogno di essere femminista”. Questo senso di vergogna è ciò che frena maggiormente il pensiero femminista odierno, la parola “femminismo” è diventata antipatica a molti giovani, perché legata a tutti quegli stereotipi che hanno investito le donne e gli uomini e tutti coloro che hanno lavorato per regalarci un presente come quello in cui viviamo. È il termine stesso che oggi non piace, ma le idee e le tematiche del femminismo rimangono punti importanti sulla quale discutere e per la quale lottare. Molte di quelle persone sono ancora attive e, come facevano annni fa, ancora oggi lottano per gli stessi obiettivi: la violenza sulle donne, i diritti per i gay, le questioni sull’aborto e così via. Qui accanto è stata riportata una foto scattata durante la Women’s March 2017 e postata su Instagram il 22 gennaio. È uno dei tanti esempi che fa, anche, sorridere.

S

" Fotografia postata dal profilo Instagram @celestebarber il 22 gennaio con hashtag che riconduce alla Women’s March 2017.

Il progetto: Il contesto di inserimento


112

Dove si inserisce il progetto

$

Anche nella realtà italiana la sensazione è quella di trovare un pensiero diviso tra chi vuole molto apparire (colori, glitter, unicorni, look eccentrici…) e chi vuole anche pensare (i molti lettori di un magazine come Dazed che senza dichiararsi “femminista” ne promuove idee e battaglie sociali). Il problema italiano è che però non esistono molte nuove realtà che possano fungere da punti di riferimento; è infatti più facile citare un esempio editoriale estero piuttosto che qualcosa di nostrano. Nel capitolo precedente abbiamo già descritto un bel progetto come Soft Revolution ed uno più lontano dall’estetica di Zazie che è invece Freeda. Ma non c’è niente di italiano che si occupi della carta stampata o, perlomeno, niente di nuovo e graficamente attraente. Regna quel pensiero più diffuso che crede la carta stampata ormai morta. Troppo cara, troppo pesante, troppo poco ecologica, troppo scomoda rispetto ad un iPad; troppo... carta. La carta ha invece semplicemente dirottato il suo scopo puntando ad altro, non più prima scelta ma alternativa di lusso; la stampa è diventata un materiale pregiato, un materiale da collezione.

“Print is’nt dead” La vita della carta stampata nel contemporaneo

$

Tuttavia “Print isn’t dead” e quelli che seguiranno sono esempi di progetti editoriali molto riusciti che riescono a sopravvivere molto bene anche in tempi duri come questi. Scrive Ruth Jamieson, giornalista e scrittore del libro uscito alla fine del 2015 Print is Dead. Long Live Print, nella sua introduzione al volume scrive: “I magazine, così come siamo stati abituati a concepirli fino ad ora, stanno morendo. Sin dagli inizi degli anni ‘90 abbiamo dovuto dire addio a molti magazine che definivano le edicole. The Face, Blender, Spin, Vox, Grafik, Sleazenation, BLITZ, Arena e altri che negli anni si sono trovati a dover chiudere. Abbiamo visto pubblicazioni enormi ridursi e il New York Magazine oggi è stampato ogni due settimane. Per quelle che rimangono intatte, la domanda è non tanto se ci saranno per sempre, ma per quanto ancora saranno qui. Ci sarà sempre un Vouge? Il semplice fatto che ci siamo posti questa domanda significa molto su quanto le cose siano cambiate.” (Jamieson, 2015) La risposta più ovvia al fatto che l’industria cartacea sia così enormemente diminuita la possiamo trovare nella crescita esponenziale dei media digitali. Fino a non molti anni fa, la carta stampata era la maniera più comoda, veloce ed efficace per diffondere un messaggio: un volantino, una pubblicità, un testo o un magazine. Internet, e soprattutto i social media, sono riusciti a rubare alla carta e all’inchiostro gran parte di questo incarico. Tutto è raggiungibile in un click, si legge qualsiasi cosa, in qualsiasi luogo, su un unico device e con la facilità di poterlo condividere, o salvare, senza dover accumulare ritagli di giornale. I digital media divulgano informazioni molto più velocemente e lo fanno a bassi costi; probabilmente dice Jamieson “i magazine si sono trovati a giocare una partita già persa in partenza”. Più veloci e meno costosi provino ad essere, tuttavia, meno valore possiedono i loro prodotti. Ma non tutto è dovuto a queste ragioni. Le riviste, normalmente, non guadagnano dal prezzo di copertina, ma dalla

Il progetto: Il contesto di inserimento


113

pubblicità. I veri clienti sono coloro che comprano uno spazio pubblicitario sulla data rivista. “Il contratto, mai esplicitato, tra lettore ed editore è quello di pagare un prezzo non alto per dover guardare ogni tanto alcune pubblicità. Ora, il fatto è che se le pubblicità, nonostante il giornale riesca a mantenere i suoi clienti, decidono di pubblicizzarsi in altri luoghi, a prezzi inferiori e in modi misurabili più direttamente - ad esempio online- ecco che la rivista si trova veramente in pericolo.” scrive Jamieson “Il mondo digitale corrode quello cartaceo su due fronti: si mangia i lettori e attira i suoi finanziatori”. Inoltre scrive: “Ma guardiamo adesso le edicole, oggi, sono più cariche di qualche anno fa. [...] Jeremy Leslie, autore del brillante magazine blog magCulture.com, dice che vede uscire ogni mese circa 20, 30 nuove testate. Allo stesso tempo è però difficile vedere un gran lancio da una grande casa editrice” (Jamieson, 2015). Il mondo delle riviste indipendenti

$

Si parla di riviste indipendenti (‘indie magazine’) che negli ultimi anni stanno nascendo, ma muoiono anche velocemente, con grande facilità. Sono riviste che si prendono carico di temi molto particolari, riviste di street art, riviste per soli “Redheads” (persone dai capelli rossi), riviste di lifestyle, riviste per soli papà (Fathers dall’aspetto decisamente hipster, ma molto ben fatta), riviste il cui tema centrale gira attorno a racconti di persone affette da depressione (Re-Magazine) o per chi vuole cucinare cose semplici ma con stile (ad esempio Put an egg on it, ovviamente lontanissimo dai vecchi giornali di cucina, anche perché oggi il #food è diventato #design). Ma soprattutto queste nuove riviste sfruttano i digital media e tutte le strade social che potete immaginare per farsi pubblicità, per farsi seguire, per farsi amare. Omar Sosa, del magazine di interni Apartamento, scrive in un numero della rivista: “Sembra che internet stia aiutando le pubblicazioni indipendenti tanto quanto stia uccidendo i grandi gruppi editoriali”. Dunque, Jamieson consiglia, “se c’è un argomento di cui sei talmente tanto interessato da farci una rivista, ci sarà sempre un pubblico là fuori che sarà pronto a seguirti e interessato abbastanza da poterlo leggere. I magazine prima era ristretti in base alla geografia, oggi, grazie ai social, ai lettori basta un click, un like o uno share per poterti seguire”. Jamieson inoltre spiega come gli editori dei magazine indipendenti di successo trovino il modo di giocare bene con i loro strumenti, online e cartacei. L’importante è trovare delle valide alternative per poter dare significato a ciò che si decide di mandare in stampa, l’importante è focalizzarsi su ciò che i social media non sono in grado di fare. La fisicità della rivista diventa un fattore fondamentale per la buona riuscita del progetto editoriale; quindi si gioca con in formato, la texture della carta, tipi di carta differenti, articoli lunghi e molto articolati, foto grandi e testi da leggere e assorbire in tanto tempo. Le riviste diventano, così, libri da leggere e da collezionare, artefatti bellissimi da poter tenere in libreria e sfogliare ogni

Il progetto: Il contesto di inserimento


114

tanto, diventano oggetti senza tempo. Jamieson per il suo libro intervista i ‘magazine makers’ e tutti hanno raccontato del loro momento in cui non volevano far altro che produrre una rivista. Spinti dal desiderio di vedere cose nuove e una incredibile fame di leggere, non era il loro primo interesse quello di essere letti; forse anche questa è una caratteristica delle nuove pubblicazioni. La passione per un bell’oggetto, per un bel design, per le belle storie. Jamieson riporta alcuni aneddoti di editori che ha incontrato: Becky Smith di Twin crebbe in una piccola cittadina e leggere Vogue era l’unico suo attaccamento al mondo ‘glamour’ di cui non poteva far altro che sognare. Kai von Rabenau della rivista mono.kultur leggeva una rivista francese di musica Les Inrockuptibles che offriva ai giovani di una provincia tedesca una finestra verso un mondo più grande. Cathy Almedillas di Anorak i magazine durante la gioventù erano un modo per muoversi in continuazione da una realtà ad un’altra.

“Smith, Rabenau e Olmedillas iniziarono tutti come lettori. Nel tempo a seguire ho sempre sentito che molti dei realizzatori degli indie mag davano vita al loro magazine perché era qualcosa di cui avrebbero voluto leggere. Ciò che li motivava era la fame di leggere, non qualche bruciante desiderio di essere letti. Ruth Jamieson, Print is Dead. Long Live Print, 2015

Dice Jamieson che questo desiderio li ha spinti a farsi domande come: “E se i magazine di moda presentassero ciò che le persone indossano veramente?” (LAW, Jock & Nerds) “E se le riviste femminili facessero in modo che le donne si sentissero bene con se stesse?” (Oh Comely) “E se le riviste di biciclette non fossero così simili a cataloghi?” (The Ride Journal, Boneshaker) “E cosa succederebbe se i magazine di design di interni fossero più autentici?” (Apartamento). La pubblicità nei mag indipendenti

Il progetto: Il contesto di inserimento

$

Le riviste indipendenti sono anche caratterizzate da una particolare attenzione alla pubblicità. Le pagine pubblicitarie sono minimaliste, ben disegnate, create ad hoc per la rivista o completamente assenti. Queste riviste hanno lettori internazionali perché spinti da un unico interesse e non confinati alla geografia. La pubblicità non è più solo un modo per avere finanziamenti perché questi spesso arrivano da operazioni di crowdfunding.Per molte delle indie mag il prodotto venduto è un semplice lavoro di passione da considerare come un progetto creativo da cui non è possibile


115

trarre profitto, altre sono biglietti da visita per creativi, giornalisti o fotografi. Ma per la maggior parte non sono solo progetti da considerare come hobby; questi diventano vere e propri business. Jamieson scrive: “Questi ‘magazine makers’ non sono solo creativi - sono imprenditori che stanno reinventando una industria” e aggiunge “Invece di offrire ai lettori contenuti spiccioli obbligandoli a sfogliare pagine di pubblicità infinite, i magazine indipendenti offrono al loro pubblico un prodotto unico che sarà trattato come un piccolo tesoro.” È in questo modo che Jamieson spiega come le riviste di cui si sta parlando non sono più un modo costoso per diffondere notizie. Sono invece una strada a buon mercato per produrre in massa oggetti meravigliosi. “Questi magazine sono un modo abbordabile per portarsi a casa un brand o un modo di essere o una passione, qualcosa come comprare una bottiglia di N°5 è un modo accettabile per portarsi a casa un po’ di Chanel.” Anche i metodi di distribuzione delle riviste indipendenti sono diversi da quelli dei canali tradizionali. Molte lo fanno personalmente considerando nella loro logistica anche i rapporti e la consegna ad alcuni negozi o ‘store’ scelti. Altri si affidano alle gallerie d’arte o ai negozi di moda; quasi tutti si affidano agli ‘shop online’ proponendo pacchi personalizzati che arrivano direttamente alla porta dei lettori. Nel 2008 Steve Watson ha fondato Stack, un servizio di abbonamenti che consegna riviste indipendenti ogni mese a casa dei consumatori. “L’industria dei magazine indipendenti è una rivoluzione in termini di contenuti, stile, priorità e business. Non è una continuazione ma è una rinascita” scrive Jamieson alla fine dell’introduzione del suo libro anticipando che nel volume saranno descritte più di 100 riviste tra le più interessanti di tutto il mondo.” Alcuni esempi di successo

$

Alcuni degli esempi che Jamieson introduce nel suo volume li riportiamo qui sotto come esempi del discorso sopra citato e prove del fatto che, anche oggi, produrre una rivista cartacea possa essere una strada vincente.

Little White Lies

Fondata nel 2005 è una rivista londinese pensata da Danny Miller. Votata all’illustrazione presenta piccoli volumi che invitano alla collezione e sembrano senza tempo. È pubblicato ogni due mesi e ogni numero è incentrato sull’uscita di un nuovo film di cui scrittori, commentatori e illustratori ne propongono la loro interpretazione. È nato come un progetto di laurea e con il tempo ha guadagnato l’ammirazione di molti incluso Quentin Tarantino. La formula decisamente interessante del magazine sta proprio nel combinare idee e illustrazioni retro (grazie al direttore creativo Timba Smit). L’editore David Jenkins dice del prodotto: “Abbiamo solo 90 pagine ogni due mesi, non possiamo sprecarli dietro ai capricci di star o registi. Cerchiamo di mantenere il tono della rivista pacato ma critico.

Il progetto: Il contesto di inserimento


116

Noble Rot

Rivista londinese fondata da Mark Andrew e Dan Keeling nel 2013. Magazine che combina vini e musica. Nata con una operazione di ‘crowdfunding’ è libera totalmente da pubblicità e mira a demistificare il mondo del vino cercando di spiegare quanto la scelta del vino giusto possa essere tanto eccitante quanto quella della musica perfetta. Vuole eliminare quell’aurea ‘snob’ che vive attorno al mondo dei vini rimpiazzando i termini aulici e il gergo proprio dei sommelier con un entusiasmo senza vergogna. “Eravamo stufi di ciò che scrivono i giornalisti su vino e cibo e a cui non siamo capaci di relazionarci, così abbiamo creato un magazine che noi avremmo voluto leggere.” riferisce Dan Keeling nell’intervista per il libro di Jamieson.

Cat People

& Cover di Noble Rot n°12 " Da sinistra a destra: Cover di Little White Lies n°65 Una doppia del primo numero di Cat People Ultima cover di LAW Due doppie di Fathers Cover di Oh Comely n°32 Cover di MC1R n°2 Apartamento n°18 Una doppia di Kinfolk % Gli ultimi due numeri usciti di Fathers.

Nata nel 2013 è una rivista di base a Melbourne e fondata da Gavin Green e Jessica Lowe. È una rivista bilingue, inglese e giapponese, ed è composta principalmente da interviste a personaggi creativi come artisti, designer e scrittori che possiedono gatti. Il numero zero è andato ‘sold-out’ in un momento, evidentemente gli amanti di gatti sono tantissimi. Il numero uno è composto da diversi tipi di carta e formati più piccoli per inseriti o particolari artistici. In questo numero venivano raccontate storie di artisti come Tanya Schultz, fashion designer come Vivetta Ponti, Suzanne Clements e Inacio Ribeiro e un servizio fotografico commissionato al fotografo Takashi Homma.

Fathers

Per i papà moderni. Rivista pubblicata in Polonia nata nel 2015 pubblicata ogni quattro mesi, edita da Ania Czajkowska. Ci sono due versioni linguistiche: inglese e polacco. Nel numero quattro, uscito da poco, si prendono in esame diversi esempi della vita di un papà. Si raccontano storie di come sia crescere i propri figli in un ambiente multivulturale, in una famiglia di artisti o in una piccola comunità di eschimesi. Scrivono di loro che non hanno alcuna ricetta per essere dei perfetti genitori ma continuano a cercarla continuando a raccontare e farsi raccontare storie di vita quotidiana. Rivista elegante e molto pulita, fotografie a tutta pagina dai colori decisi e testi molto lineari, il tutto immerso in pagine molto bianche. Come questi mag, molti altri....

Il progetto: Il contesto di inserimento




Scelte progettuali

119

n un panorama italiano dove il femminismo appartiene a quella élite che il movimento lo ha vissuto veramente e che continua a prendersi carico delle discussioni veramente importanti, divulgandole poi attraverso pamphlet troppo carichi di sole parole per poter essere letti da un pubblico altro, e dove progetti cartacei giovani sembrano proprio non esistere, nasce Zazie. Quello di cui il progetto si vuole infatti prendere carico è l’ambizioso intento di avvicinare a temi femministi quelle persone, giovani o meno giovani, spaventate dal termine arcaico o, allo stesso tempo, dal sapore glitterato che ha assunto oggi il femminismo e che vive soprattutto attraverso i vari social media. Zazie è portatrice di idee e storie “buone” che cercano, in una qualche maniera, di spingersi e spingerci verso una società più giusta.

I

Il pubblico, ovvero i lettori di Zazie

$

Il target ideale è prevalentemente femminile, soprattutto giovane-adulto (dai 20 ai 40) e prevalentemente istruito (e quindi accanito lettore). Tuttavia, idealmente, vorrebbe avvicinarsi anche a fette di pubblico più giovane (i ragazzi liceali probabilmente riscontrerebbero una primissima difficoltà che sta nel costo della carta stampata, ma Zazie progetta anche una versione online dei suoi articoli), a soggetti non solo femminili, quindi a ragazzi o adulti interessati a tematiche di genere e di identità, di culture e di stili di vita diversi. Zazie nasce quindi come progetto editoriale prevalentemente cartaceo, scritto in Italiano e pubblicato trimestralmente, che si inserisce in una nicchia in quanto pubblicazione indipendente femminista. In realtà, la scelta di inserirsi in una fascia di editoria femminista, viene da un desiderio più ampio, ovvero quello di un nuovo progetto editoriale come strumento di divulgazione di un punto di vista diverso da quello propinatoci dai cosiddetti femminili. E così, come negli anni ‘70 e poi negli anni ‘90 tutto nasceva per contrastare lo stereotipo e l’inno all’apparenza, allo stesso modo, nasce Zazie, che vuole raccontare qualcosa di reale. Il femminismo è dunque il bacino dalla quale attingere idee, pensieri e punti di vista su attualità, politica e cultura. Non intende però schierarsi, né diventare “moda”, piuttosto ispirazione. Zazie decide infatti di definirsi “femminile” piuttosto che “femminista”, ma di questo ne parleremo in seguito, solo dopo aver inquadrato l’idea generale della rivista.

Il mondo estetico di riferimento

$

Prima di procedere nella descrizione, dunque, è necessario soffermarsi debitamente sul tipo di estetica e di linguaggio cui Zazie vuole fare riferimento e quindi sul tipo di prodotto che vuole diventare. Il prodotto editoriale che si è voluto costruire e che ha portato alla luce un trimestrale come Zazie ha preso ispirazione da molti ambienti differenti che tuttavia non riescono a coprirne per intero la sua descrizione. La rivista che si è voluta creare vede alcune delle sue caratteristiche molto vicine all’estetica di quei nuovissimi magazine indipendenti che hanno deciso di chiamarsi “femminili intelligenti” e che sono dunque, anche dal punto di vista di contenuti e linguaggio, un motivo di ispirazione per un prodotto come Zazie. Citiamo nuovamente alcuni esempi che, nel capitolo preceden-

Il progetto: Scelte progettuali


120

te, sono stati approfonditi e descritti anche visivamente; si tratta di periodici quali The gentlewoman, Riposte Magazine, Lyra e Pylot. Questa categoria di riviste patinate “intelligenti” è stata dunque il punto di partenza per l’identificazione di un mondo di riferimento adatto al progetto del periodico in esame. Il perché lo si deve al fatto che questi periodici si trovino, in un certo senso, a metà strada tra i classici femminili di intrattenimento e le riviste più impegnate proponendo articoli interessanti e mantenendo una veste grafica facilmente riconducibile alla categoria dei femminili. Tutte le riviste sopra citate presentano un’estetica molto elegante, pulita e a volte eterea. Tutte e quattro le riviste vantano una grande direzione artistica e il prodotto finale si presenta con una veste grafica ben disegnata dove il bianco e le fotografie a piena pagina fanno da padroni. Sono tutti riferimenti degni di nota che tuttavia non riescono a soddisfare le esigenze di Zazie, perché troppo puliti, troppo rigidi nella loro struttura e poco variopinti; troppo vicini a bei libri piuttosto che a riviste complesse. Zazie decide di inserirsi tra i femminili intelligenti distanziandosi, però, dalla loro estetica generale e ciò comporta una doverosa attenzione nel rimanere in bilico tra quel mondo e quello solitamente definito come neutro-maschile. La prima idea che si faceva portatrice del progetto poi evolutosi in questa pubblicazione desiderava indirizzarsi ad un pubblico molto vario che oltrepassasse distinzioni di genere, di sesso e di religione; voleva presentarsi come un prodotto editoriale neutro che parlasse a tutti, indistintamente. Per ovvi motivi di realizzazione, o per meglio dire, per potersi attenere alla realtà, il progetto utopico ha iniziato a concretizzarsi nella decisione di costruire un tipo di femminile “diverso” costretto a fare i conti con quel famoso “neutro-maschile” già citato poco prima. L’estetica cui si voleva fare riferimento agli albori del progetto era quella, ad esempio, di periodici come Wired, Elephant, Port Magazine e The New York Times Magazine che tuttavia non rappresentavano affatto la strada corretta da seguire; sarebbe stato come ingannare il lettore attraendolo verso qualcosa molto distante dalle sue aspettative. In bilico tra ironia e serietà

Il progetto: Scelte progettuali

$

È così che ha avuto inizio un lungo processo progettuale fatto di tentativi e strade chiuse che ha portato alla realizzazione di un prodotto sempre in bilico tra gioco e serietà. Perché è proprio questo che caratterizza il progetto finale: un alternarsi di articoli di varia intensità, più o meno seri e raccontati a volte con leggerezza, a volte con umorismo, a volte con inaspettata giocosità. È una rivista intelligente che tratta di tematiche importanti, fondata sul rigoroso desiderio di esplorare alcuni degli aspetti della vita quotidiana senza però prendersi troppo sul serio, senza perdere il sorriso. Prima di poter andare avanti ed entrare nel vivo della realizzazione di Zazie, dobbiamo fare un passo indietro per poter raccontare come si è arrivati a darle il nome che abbiamo già tante volte ripetuto. Il processo è stato lungo e, attraverso il grafico che segue, verranno raccontati in breve quali sono state le primissime opzioni e quali le scelte che hanno portato alla definizione del nome finale.


121

La scelta della testata

$

Il punto di partenza è stato un foglio bianco e un’idea vaga nel voler proporre una testata in grado di rappresentare al meglio le intenzioni di un progetto ricco di aspettative. I primi titoli e i primi spunti sulla quale si è avuto modo di riflettere sono mostrati di seguito e tutti, anche quelli apparentemente più banali, sono serviti a costruire il mondo di riferimento, ad avanzare ipotesi perché potessero essere studiate e portate avanti, o al contrario, accantonate. Come dicevamo, nelle prossime pagine sono stati riportati in forma di appunti i primi ragionamenti per la ricerca di un nome di testata (vedi pagine 10-11). Di seguito invece si comincerà ad elaborare i commenti relativi alla prime proposte. Le prime prove grafiche di testata e copertina possono invece essere visionate in appendice (vedi pagine bla-bla). Un primissimo problema che si è presentato durante la ricerca del nome è stato quello legato alle scelte linguistiche. È stato notato che l’uso dell’inglese per la ricerca di un nome di testata risultava essere molto più facile riuscendo a creare immediatamente un’idea. Tuttavia, nonostante non se ne sia ancora parlato approfonditamente, il progetto intende inserirsi in un contesto italiano e, benché si presupponga che il tipo di pubblico e di contesto accettino e conoscano bene l’inglese, è importante che la rivista si presenti immediatamente come un prodotto interamente italiano. L’inglese, inizialmente, sembrava una strada più comoda e più rapida per il raggiungimento dello scopo finale; sono nomi brevi che hanno un suono schietto e che nel loro significato italiano non funzionerebbero alla stessa maniera. L’idea che inizialmente si cercava di dare al prodotto editoriale era quella di rimandare a qualcosa di vero, diretto, senza veli, senza fronzoli, nudo nel senso di non celato, nudo perché mostri il corpo come esso veramente è, dimenticandosi delle imperfezioni e combattendo i tabù. Un invito alla curiosità, all’uscire dai ranghi, da quella che in inglese viene definita “comfort zone”, così da intraprendere percorsi nuovi, avere nuove prospettive e guardare con altri occhi le nostre vite, guardare il lato nascosto, la faccia in ombra che non tutti hanno il coraggio di andare a scoprire. Un appello a tutte le persone, ai corpi diversi, alle culture, alle idee, ai colori e alle forme. Un modo per fuggire gli stereotipi e le inutili fobie. È così che sono nati i primi titoli ed è così che il percorso progettuale della rivista ha avuto inizio. Ci troviamo dunque nella primissima fase di studio e realizzazione dell’artefatto editoriale. Tutte le scelte poi effettuate nascono da ipotesi che man mano vengono portate sul tavolo di discussione, analizzate e approvate. L’intera progettazione della rivista ha seguito un iter non lineare proprio perché, per arrivare alla soluzione migliore dal punto di vista grafico, si assottigliava, allo stesso tempo, il pensiero teorico che su di essa si stava compiendo. La difficoltà principale nella progettazione di un tipo di artefatto editoriale come quello che si è voluto tentare di creare sta nel fatto di non avere veri e propri riferimenti né solide basi di partenza; tutto è nuovo e comple-

Il progetto: Scelte progettuali


Scary Monsters 122

consigli e rimedi contro irresistibili fobie

Rosa

Lavorare sugli opposti Le prime idee di testata: In questa doppia pagina sono stati inseriti tutte le prime idee di testata così come sono state pensate in una primissima versione. Presentate come su un foglio di schizzi rappresentano i primi ragionamenti sull’idea di nome che si è voluta creare.

Gorilla

il femminile di cultura e lifestyle

YMMR

You Make Me Real

The other side of... the bla bla bla

chit chats dall’altro lato il sottotesto al di là delle chiacchiere

on fire Hot issues of our daily life

UN-COVER

cultura e lifestyle senza veli, senza vezzi e senza vizi

Il progetto: Scelte progettuali


123

EVERY•BODY

skin, shape, color, race

PULP

L’essenza delle cose

Passato

il Presente Imperfetto Futuro

Zazie

cultura e lifestyle del presente imperfetto

LEONE

Il Re che è in ognuno di noi

The thing

about people about culture about gender about love about lifestyle

EXIT (

from your comfort zone and open up your mind

People are strange cit. The Doors

Il progetto: Scelte progettuali


124

tamente da costruire. Sono necessarie le fondamenta, poi la struttura, lo scheletro, i muri portanti, poi i solai e il tetto e solo in fine i pavimenti e le decorazioni, gli arredi e i piccoli dettagli. È così che, come accennato poco sopra, nella prima fase progettuale il progetto grafico e il progetto teorico collaboravano nell’evoluzione costruendo insieme quelle che sarebbero state le basi su cui far crescere e consolidare le prime idee. Di seguito spiegheremo dunque i primi ragionamenti per la formulazione del nome della rivista; scartate con facilità le prime ipotesi, la scelta si è ridotta a due opzioni che per un buon lasso di tempo hanno convissuto. Anche le tagline, accennate nel grafico in precedenza, sono da leggere unicamente come primi esperimenti cui poi è seguito uno studio approfondito per l’individuazione del motivo più corretto. Alla seconda fase di studio della testata hanno avuto accesso tre nomi tra le prime proposte; gorilla, zazie e “the other side of...”. Quest’ultimo si proponeva di presentare la rivista come un prodotto altro in un mondo di femminili dal trucco troppo pesante e dalle verità troppo nascoste. Tuttavia non ha trovato una corretta elaborazione ed ha lasciato il posto ai due nomi che, fin dagli albori, potevano vantare più possibilità di vincita. Come già accennato, questi si sono scontrati per diverso tempo sia dal punto di vista del significato più profondo che della reazione immediata che avrebbero potuto suscitare nel lettore. L’interesse verso la possibilità di vedere stampato in prima pagina un nome come Gorilla, veniva dal fatto che questo riuscisse, con semplicità ed immediatezza, a far distinguere un “femminile-femminista”[1] dal resto delle riviste della sua possibile categoria.

Gorilla

% In basso: da sinistra a destra: Una scena del film King Kong del 1933, una scena del film remake del 2005 e la scena di Dio esiste e vive a Bruxelles in cui si ammira la dolcezza di una nuova coppia di amanti.

Il progetto: Scelte progettuali

È un animale grande e nero. Il gorilla è forza, coraggio, ostinazione e liberazione. Il gorilla sa essere elegante e sa come prendersi cura dei suoi piccoli. Sa farsi rispettare e sa raccontare storie fantastiche. Il gorilla è dentro ognuno delle persone che popolano le pagine di questa rivista e, allo stesso tempo, sembra esserne totalmente estraneo. È un animale che nella cinematografia e nella cultura pop vediamo spesso contrapposto alla figura di una donna, di solito bionda e bellissima; ne è un esempio King Kong. Ma ce ne sono altri come Dio esiste e vive a Bruxelles dove una donna ricca e ormai


125

di una certa età trova in un gorilla quell’amore che non aveva mai provato nel resto della sua vita. È spesso rappresentato come una figura forte e spaventosa e allo stesso tempo dolce e docile con le creature che sente di amare. Ed il bello di poter chiamare questa rivista Gorilla sta proprio nel desiderio di voler presentare la rivista come in contrapposizione ad un immaginario comune. Gorilla diventa così un simbolo di rivoluzione e, perché no, di umorismo. Il fattore che ne ha determinato l’eliminazione è stato quello che lega tale simbolo, soprattutto in tale contesto, ovvero quello di una rivista rivolta ad un pubblico principalmente femminile, una rivista che propone contenuti di un certo livello, attenta alle questioni di genere e ai temi cari al femminismo, una rivista un po’ fuori dagli schemi; al gruppo di artiste attiviste femministe: le Guerrilla Girls. Queste sono un gruppo di donne attiviste che, per mantenere l’anonimato, vestono una maschera da gorilla[2].

Zazie

Nella descrizione finale della rivista, quella che appare anche nell’editoriale nel nostro numero zero, Zazie si descrive così: Arguzia, sfacciataggine ed irriverenza, una Zazie un po’ dolce e un po’ pungente. La rivista prende il nome dalla protagonista dell’opera più famosa di Raymond Queneau: “Zazie nel metró” che è una ragazzina scapestrata, una ragazzina che sa tutto e che spesso parla in modo volgare. Zazie è una ragazzina che non si fa intimidire, che sa sempre cosa rispondere e che si mette nei guai, spesso, ma sa sempre come uscirne. È una ragazzina che impara, dallo sguardo acuto e critico. Poi l’ambiente che le è intorno, è il nostro ambiente, strano agli occhi di chi vuole chiamarsi “normale” ed

Scritto tra virgolette, è un accostamento di due termini che potrebbero, in alcune circostanze, andare in conflitto: “femminile-femminista”. L’associazione è intenzionale e vuole mettere in evidenza la natura di una rivista che è stato deciso di far rientrare nella categoria dei “femminili” che, tuttavia, nei contenuti rispecchia molto più una rivista femminista. Il termine non vuole dunque fare confusione tra le due sfere né proporsi come una sorta di nuova categoria, serve piuttosto ad evidenziare l’intento principale del progetto, ovvero quello di creare una rivista intelligente per poter, in qualche modo e nel suo piccolo, dare avvio ad un processo di trasformazione e miglioramento della ormai stereotipata categoria dei “femminili”.

[1]

Guerrilla Girls sono un gruppo di attiviste che nel suo corso ha contato circa 55 iscritte. Una delle loro caratteristiche principali che le distingue e accomuna come gruppo è proprio la maschera da gorilla che indossano in pubblico. La loro intenzione a mantenere l’anonimato è dovuta al fatto che preferiscano mantenere l’attenzione sui problemi di cui si fanno carico piuttosto che sulla loro identità. I loro interessi sono volti al miglioramento della società attraverso l’arte, facendosi carico di tematiche e discorsi legati al femminismo, dunque ai diritti umani e alle questioni di genere. Utilizzano umorismo e immagini scandalose per esporre le questioni di genere,

[2]

Il progetto: Scelte progettuali


126

estremamente libero. Lo zio di Zazie è un gigante buono, di lavoro fa il ballerino in un nightclub per omosessuali ed è sposato con una donna dolcissima. Ecco chi è Zazie, ecco chi siamo noi. Zazie prende dunque il nome da Zazie nel metrò, il romanzo del francese Queneau che Roland Barthes commenta così: “È veramente un’opera fondamentale: è nella sua intima natura di far incontrare e allo stesso tempo respingere la serietà e la comicità.” È proprio per questa ragione, e per tutte quelle descritte sopra, che si è scelto di chiamare questo progetto con un nome tanto importante. Allo stesso modo è importante però sottolineare che non esiste nessuna relazione tra la rivista e il romanzo e non è assolutamente necessario il dover conoscere il riferimento. Zazie si presenta in ogni caso come un nomignolo particolare, libero da significati pre-attribuiti, simpatico, corto e facile da ricordare. Raccontata la nascita di Zazie, è ora necessario procedere con il descrivere chi e cosa questa rivista voglia rappresentare. La tagline della rivista

$

Tagline completa di Zazie: Il femminile per allentare una vita che sta stretta. Se la vita ti sta stretta, se hai tirato troppo la cinghia o se non ne puoi più delle solite cose, fai un salto su Zazie. Com’è stato accennato all’inizio del capitolo, nell’idea prima del progetto era ben radicata l’intenzione di non confondere la rivista nella sezione “femminili”; tuttavia, durante la fase di progettazione, si è ritenuto indispensabile classificare il progetto editoriale. La motivazione la si vede da una lato nella volontà ovvia di non ingannare il potenziale lettore e dall’altra nel voler sottolineare ancor di più l’idea che un periodico femminile possa esser altro oltre a moda, gossip e bellezza. È così che Zazie sceglie di seguire le orme di quei nuovi magazine che si definiscono “femminili intelligenti”. Ma vediamo nello specifico le motivazioni sopra accennate. Ci sono tre ragioni principali che hanno portato a questa decisione. Innanzitutto Zazie vuole essere una rivista portatrice di un pensiero aperto, libero dalle costrizioni sociali e da pregiudizi. Un pensiero che non ha paura di alzare la voce, che non ha paura dei termini forti e delle storie strane. È uno spazio per conoscere diverse realtà, dove poter leggere di persone come noi ma con storie distanti dalle nostre, storie che ancora vengono dichiarate “estranee” alla società, storie cui ancora dobbiamo abituarci. Vuole essere una sorta di spazio condiviso, internazionale e intersezionale, una comunità inclusiva che parla di persone vere, di piccole azioni che cercano ogni giorno di migliorarsi e migliorarci. Obiettivi molto ambiziosi e difficili da raggiungere senza rischiare indelicatezze; ma Zazie non è una rivista che vuole prendersi troppo sul serio, è uno strumento per raccontare e discutere di temi importanti con ironia, senza, dunque, perdere il sorriso.

Il progetto: Scelte progettuali


127

Studi per l’elaborazione della tagline:

Zazie " Troppo vago, non dà nessuna informazione, non specifica che tipo di rivista è e non fornisce alcuna idea sul cosa possa contenere.

Racconti del presente imperfetto

" Rischia di voler essere troppo inclusivo e non focalizzarsi sul pubblico interessato. Di solito si parte da una nicchia ristretta per poi allargarsi, non si può pretendere il contrario. " Vale quanto scritto sopra

Trimestrale per tutti i tipi di gender

Zazie

Zazie

Questioni di gender Zazie

" Troppo vago. C’è bisogno di una definizione per poter fare uscire un nuovo prodotto, perché le definizioni creano interesse. " È un gioco di parole che rischia di essere frainteso. Non è del tutto chiaro ciò che si vuole intendere. " Lo si definisce femminile e si accenna al tipo di argomenti che propone. Va bene, forse troppo semplicistico? " Come tagline, biglietto da visita di una rivista, decisamente troppo rischioso. Non è poi l’idea che vuole far passare di sé Zazie. " Da elaborare.

Dove le definizioni non contano Zazie

Un’alternativa al femminile Zazie

Il femminile di cultura e lifestyle Zazie

Il femminile femminista Zazie

Se la vita ti va stretta... leggi Zazie! Zazie

" Approvato!

Il femminile per allentare una vita che va stretta

Seconda ragione è legata invece al senso negativo che aleggia oggigiorno intorno a quel termine ormai già tanto ripetuto in questo testo: “femminismo”. Non per paura, dunque, si è stato scelto di non definirla “femminista”, ma per avvicinare coloro che, dalla parola “femminismo”, ne sono spaventati. Probabilmente si potrebbe criticare questa posizione ritenendola falsa e “non-femminista”; tuttavia, quello che vuole essere l’intento del

Il progetto: Scelte progettuali


128

progetto è il potersi avvicinare a più persone possibili per poter offrir loro materiali nuovi su cui ragionare, lasciar parlare i contenuti stessi senza il bisogno di doverli dichiarare precedentemente. Non è da intendere come un modo un po’ subdolo di entrare nelle vite dei nuovi lettori, ma un semplice desiderio di fuggire il più possibile da possibili etichette che ne devierebbero, in qualche modo, il significato. Contraria a questo tipo di posizione potrebbe trovarsi Laurie Penny, una giovane giornalista inglese, già conosciuta nel capitolo precedente, che scrive così: “Quelli a cui interessa mantenere lo status quo preferirebbero vedere le giovani donne che agiscono, come dire, nel modo più grazioso e piacevole possibile; anche quando protestano. Glassare il femminismo per renderlo “un accessorio desiderabile, gestibile al pari di una dieta disintossicante. Purtroppo non c’è modo di creare una «nuova immagine» del femminismo senza privarlo della sua energia essenziale, perché il femminismo è duro, impegnativo e pieno di rabbia (giusta). Puoi ammorbidirlo, sessualizzarlo, ma il vero motivo per cui molte persone trovano la parola femminismo spaventosa è che il femminismo è una cosa spaventosa per chiunque goda del privilegio di essere maschio. Il femminismo chiede agli uomini di accettare un mondo in cui non ottengono ossequi speciali semplicemente perché sono nati maschi. Rendere il femminismo più «carino» non lo renderà più digeribile”. È anche per questa ragione che si è ritenuto opportuno non etichettare Zazie come rivista femminista ed è così, di conseguenza, che ci si adatta alla definizione di “femminile” modificandone però i connotati a seconda delle esigenze di un pubblico più interessato. Il terzo motivo che ha spinto questo progetto editoriale a definirsi quindi “femminile di cultura e lifestyle” è infatti quello di volersi inserire volutamente in quella categoria di riviste che inizialmente si voleva fuggire e, così, dar inizio a un possibile cambiamento. In conclusione dobbiamo sottolineare la natura del trimestrale: è indubbiamente un prodotto editoriale che richiede tempo di lettura ed assimilazione, una rivista piuttosto densa nei contenuti che offre molti spunti a chi desidera leggere e approfondire. Un trimestrale che si offre nel tempo e che non obbliga il lettore ad una data di scadenza. Scelta della periodicità

Il progetto: Scelte progettuali

$

Una delle decisioni pù importanti da prendere per poter dar vita ad un prodotto editoriale è quella che ne caratterizzerà la struttura e il tipo di contenuti: ovvero la periodicità con la quale la pubblicazione uscirà. La prima ipotesi, presto scartata, è stata quella di voler creare un mensile. I motivi principali, che andremo immediatamente a discutere, sono strettamente legati alla sua essenza. Quello che con Zazie si voleva creare era uno spazio fisico sui cui poter mettere in luce un certo tipo di argomenti che non avrebbero potuto rispondere alle esigenze di una pubblicazione mensile né dal punto di vista giornalistico né creativo. La rivista non sarebbe stata in grado di proporsi attivamente nelle discussioni su fatti o avveni-


129

menti che oggi vengon portate avanti soprattutto sul web e probabilmente non avrebbe trovato favorevole il pubblico di riferimento. Con la scelta del mensile si sarebbe dunque andati in contrasto con quello che è uno dei punti forti dell’online: il tempo. Occasioni, eventi particolari come la Women’s March di qualche mese fa (raccontata e supportata da uno strumento ormai indimenticabile come quello dei social media), discussioni e dibattiti su temi come le unioni civili o la questione sulla fecondazione artificiale, richiedono delle tempistiche e delle operazioni troppo lontane dalla carta stampata; si risolvono piuttosto in un botta e risposta cui una rivista mensile non potrebbe partecipare. Dopotutto quello che si vuole fare di Zazie non è una rivista che riporti le notizie di attualità, bensì un prodotto editoriale di diversa intensità. Si è dunque pensato all’ipotesi di un semestrale; anche questo, però, non avrebbe servito la sua causa. Pubblicare due volte l’anno significa generalmente produrre un volume di un certo spessore che però perderebbe totalmente l’attaccamento alla realtà. È con questi ragionamenti che in fase progettuale si è arrivati alla decisione di strutturare una rivista trimestrale, un volume piuttosto ricco di contenuti vari e non necessariamente legati all’attualità, un periodico che prevedesse un articolo centrale più articolato e altre sezioni di breve e media lunghezza e che, pubblicando 4 volte l’anno, potesse anticipare le collezioni di moda per ogni numero in uscita. La scelta della lingua

$

Perché, se il pubblico è giovane e si scrive di storie da tutto il mondo, Zazie non viene pubblicato in lingua inglese? Diventerebbe un magazine internazionale rivolto non solo al nostro piccolo paese ma ad un pubblico più vasto e probabilmente già meglio preparato ad un format di rivista come quello che si vuole presentare. La sua controparte online riuscirebbe di certo a raggiungere mete non solo italiane facendo sì che la rivista cartacea diventasse un nuovo concorrente dei prodotti editoriali già in classifica. Nonostante esistano realmente queste rosee aspirazioni, si è deciso sin dagli inizi di proporre Zazie ad un pubblico principalmente italiano perché, è proprio in Italia, che una tale realtà editoriale non si è ancora messa in mostra. Sebbene si ipotizzi che il lettore ideale conosca piuttosto bene l’inglese, non è un fattore di probabilità certa. Purtroppo ancora oggi molti studenti universitari non sono in grado di leggere con scorrevolezza un articolo di un certo spessore in lingua inglese mettendo in conto, inoltre, espressioni giornalistiche o slang che spesso vengono utilizzate. Più importante, però, è il dover considerare gli obiettivi della rivista, ossia il voler parlare prinicpalemnte ad un pubblico italiano perpermettergli di accedere ad un nuovo tipo di discorso. È così che questo femminile intelligente decide di proporsi sul panorama editoriale italiano: rimediare ad una carenza e posizionarsi tra quelle riviste impegnate e accademiche della sfera femminista e quelle più “frivole” generalmente indicate con il termine di “femminili”. Così la rivista si propone di portare in Italia quel dibattito sulla quarta ondata del femminismo e di creare un format e un linguaggio che ancora

Il progetto: Scelte progettuali


130

non esiste aprendo, alle giovani lettrici, le porte di quel femminismo italiano forse un po’ proibizionista. Ed è a questo punto che, anche Zazie come le riviste storiche di cui abbiamo parlato nel primo capitolo, deve fare i conti con la pubblicità e, dunque, i finanziamenti. La pubblicità e i finanziamenti

Il progetto: Scelte progettuali

$

Zazie è un magazine indipendente. Nonostante ciò, deve appoggiarsi necessariamente al finanziamento pubblicitario senza la quale la rivista non avrebbe alcuna possibilità di esistere. C’è una considerazione importante da dover fare circa la selezione delle pubblicità. I collettivi che diedero vita alle riviste femministe degli anni ‘70 e dei ‘90 avevano una prerogativa fondamentale riguardo la selezione pubblicitaria, ovvero quella di scegliere unicamente pubblicità che non offendessero la figura della donna. Ovviamente i tempi sono molto cambiati da allora ma, nonostante ciò, non tutti sono ancora esempi di “buona” pubblicità. Per lo sviluppo di questo progetto si è ragionato su quale potesse essere la migliore costruzione del format della rivista da creare e, così, sono state prese in esame tutte le possibilità più corrette per avvicinarsi al disegno ideale di Zazie. Non tutte le pubblicità inserite nella rivista sono italiane e non tutti i marchi sono venduti in Italia. Le scelte sono state effettuate facendo attenzione all’estetica e al messaggio stesso della pubblicità ed inoltre alle caratteristiche proprie del marchio. La selezione è stata fatta in un arco di tempo piuttosto ampio e non tutte sono necessariamente presentate nell’anno corrente; sono state poi inserite in fase finale studiandone attentamente la posizione cosicché potessero sempre trovarsi d’accordo con i contenuti e il disegno della pagina cui sono state affiancate. In tal modo esse cercano quindi di rispettare lo spazio in cui entrano a far parte. Le primissime pagine sono occupate da pubblicità di alta moda, quindi dalle publicità di quei marchi che hanno maggior potere finanziario. Allo stesso modo la quarta di copertina presenta la pubblicità di un marchio di moda quale Alexander McQueen. Anche le pubblicità di moda, come le altre inserite, sono state scelte con una certa accortezza prediligendo quei marchi che favoriscono la libertà di espressione (come il marchio Lonley Project che occupa una delle prime doppie pagine -la prima in alto nella pagina affianco-), che osano confondere e mixare mascolinità e femminilità, che giocano con i colori e con la costruzione grafica. Non tutti i marchi di moda pubblicizzati nel magazine sono d’alta moda e dunque di standard molto elevati, ad esempio il sopra citato progetto emergente o il marchio People Tree, scelti proprio per la loro etica e sostenibilità. I marchi pubblicizzati sono di moda, di sport, di fotografia, di arredamenti e simili.


131

& Lonely project: marchio di intimi che celebra le diversità e i difetti di ogni donna. NYFW: è una campagna pubblicitaria per PAPER Magazine. DIOR: “we should be all feminists” campagna per la primavera 2017. ) Jil Sander. Marchio tedesco per la gender fluidity, protagonisti e abiti neutri.

Il progetto: Scelte progettuali


132

) Le pagine pubblicitarie sono segnate con una X. Le posizioni nel grafico non rispettano le posizioni cosĂŹ come da timone; l’intento del grafico è infatti di quantificare le pagine publicitarie totali.

Il progetto: Scelte progettuali


133

Nella pagina affianco è stato realizzato un grafico per mostrare la presenza di pagine pubblicitarie all’interno del magazine. Su 168 pagine totali, quelle segnate con una X sono le pagine occupate da una pubblicità. In tal modo è possibile anticipare il discorso sulla distribuzione dei contenuti che sarà poi ripresa con più attenzione. Il costo del magazine

$

Come accennato in precedenza, nonostante Zazie sia una rivista indipendente (indie mag come vengono definiti) ha bisogno dei finanziamenti pubblicitari per poter vivere. Esistono poche realtà editoriali che da riviste indipendenti possono contare unicamente sul prezzo di vendita dell’oggetto fisico e quindi unicamente sui loro lettori; ne è un esempio PYLOT, rivista indipendente di fotografia, moda e cultura pop, pubblicata due volte all’anno. Ogni numero è costruito con un budget abbastanza basso e tutti coloro che vi lavorano lo fanno a titolo gratuito dedicando il loro tempo libero ad un progetto in cui credono. Libero da pubblicità si presenta al pubblico con un prezzo piuttosto alto, l’ultimo numero uscito (il numero 4) in Italia è stato venduto a 20,50€. Tutte le pubblicazioni indipendenti comunque hanno un prezzo più elevato rispetto alle riviste mainstream per ovvie necessità di costi. Frankie, rivista mostrata in precedenza e vicina come tematica e struttura a quella che si è voluta costruire, indipendente ma non libera da pubblicità, si presenta al pubblico con un prezzo di 12,50€ in Italia. A partire da queste referenze è stato stimato un possibile prezzo al pubblico in modo tale da rendere la rivista ancora più reale. Considerando il progtto un trimestrale di circa 170 pagine, stampato su carta di qualità e rilegato a brossura (perfect binding), si ipotizza dunque un costo di 10,00€ tenendo conto del fatto che, come mostrato nel grafico della pagina affianco, il 24% del magazine è occupato da inserzioni pubblicitarie.

Dove viene venduta Zazie

$

Per poter completare il quadro di definizione di Zazie Magazine è importante poter descrivere in che modo e dove questa si presenti al pubblico; dunque gli ipotetici canali di distribuzione. Come è stato sottolineato in diverse occasioni lungo il percorso fin qui, la controparte online di ogni nuova, o vecchia, rivista indipendente è oggi fondamentale. Anche Zazie dunque decide di sostenere e farsi sostenere dal suo pubblico in rete. Per pubblicizzare e far conoscere la rivista è stato creato un sito internet che ne possa descrivere in breve la natura e le intenzioni. Dal sito sarà sicuramente possibile accedere alle pagine social di cui il trimestrale dovrà necessariamente avvalersi; queste sono in particolar modo dedicate a mantenere vivo il contatto con il lettore e a stimolare il suo interesse. Le pagine online potranno rivelare parte degli articoli in uscita con il nuovo numero o segnalare articoli e materiali di altre realtà editoriali, anche estere, in modo da creare quella rete di canali ‘passaparola’ online. Il layout e il funzionamento del sito e delle pagine di cui si è appena parlato verranno mostrati e spiegati nel dettaglio successivamente e non prima di aver esibito l’intero progetto che è Zazie. È necessario qui anticipare il fatto che dal sito internet sia possibile accedere ad uno shop online che permetta al lettore di Zazie di poter ordinare e ricevere a casa la rivista af-

Il progetto: Scelte progettuali


134

fezionata. Il motivo dell’importanza della vendita online sta nel fatto che la rivista indipendente non andrà ad occupare gli scaffali di una edicola cittadina, bensì la si potrà trovare unicamente in quei negozi specializzati in riviste indipendenti o volumi particolari. Ne sono un esempio la libreria Hoepli e la libreria Mondadori o quelle realtà come Stamberga, galleria fotografica specializzata in riviste indipendenti e 10 Corso Como, libreria di design. Non essendo quindi venduta su larga scala non sarà possibile trovarla in ogni angolo della città ed è per questo che la rivista dovrà puntare moltissimo sulla vendita online. Il formato della rivista

Il progetto: Scelte progettuali

$

Prima di procedere con la descrizione della struttura e quindi delle scelte teoriche che hanno portato alla costruzione delle fondamenta della rivista, anticipiamo quello che è il formato finale del magazine. Si ritiene opportuno affrontare questo argomento prima di inoltrarsi nei dettagli della rivista e molto prima di poter parlare delle scelte grafiche e gli studi progettuali effettuati, in modo tale da completare il quadro generale che è stato fatto finora. Ripercorrendo in breve ciò che è stato spiegato, è possibile descrivere Zazie come un femminile di cultura e lifestyle ‘femminista’ di pubblicazione trimestrale e indipendente per un pubblico principalmente italiano, un pubblico giovane e interessato alle persone vere, alle questioni di genere e alle diseguaglianze. Una rivista che si presenta sugli scaffali di edicole specializzate, tra le riviste indipendenti vendute nelle librerie di grafica o di design e che ipoteticamente potrebbe occupare un posto vicino a edizioni come The gentlewoman o Riposte Magazine, o a grandi riviste di fotografia e di moda come Dazed&Confused o Pylot o ad altre indie mag dai formati strani, solitamente sempre più grandi e difficilmente italiani. A partire da questo immaginario si è studiato il formato più adatto alla rivista che si voleva creare. Un bel prodotto editoriale di qualità che vuole poter mostrare belle fotografie e immagini a tutta pagina ma che non necessita di un formato molto grande non essendo una rivista di fotografia né d’arte. È una rivista che deve essere comoda da leggere, nonostante si preveda un volume piuttosto spesso essendo un trimestrale, deve poter essere sfogliabile anche sul treno o in piedi aspettando la metro e non solo seduti davanti ad una scrivania. Deve essere dunque un volume maneggevole che rispetti i suoi testi. Sarà infatti composto sia da articoli lunghi che da alcuni più brevi e meno sostanziosi. Dovrebbe inoltre potersi distinguere tra gli altri magazine indipendenti di cui prima si parlava; un formato molto piccolo potrebbe essere quindi interessante, tuttavia sacrificherebbe i lavori fotografici e illustrati che si vogliono poter esporre. Perché possa risultare più economico è inoltre importante rimanere dentro i limiti di un A4 (sarà rilegato a brossura quindi non presenta limiti dovuti alla costruzione a libretto in sedicesimi). Sono stati esclusi formati quadrati in favore di un formato più classico di libro per poter rispettare la sua natura. Seguendo dunque le istruzioni di Robert Bringhurst[3] per la costruzione del formato ideale è stata scelta una proporzione tra quelle indicate come ‘Perfect Interval’ ovvero i formati più utilizzati dai tipografi del rinascimen-


135

to e che descrive anche in termini musicali come ‘harmonic inversions’. Il formato della rivista si basa dunque sulla ‘Short Pentagon Shape’ il cui rapporto è 1:1.376 misurando dunque 19x26,4 cm.

“Pentagonal geometry is basic to many living things, from roses and forget-me-nots to sea urchins and starfish” Robert Brighurst

Qui sotto è stato riportato lo schema di costruzione del formato ridotto del 90%. Sempre qui sotto un fotomotaggio che posiziona la rivista Zazie sul primo scaffale dello store londinese di MagCutlure tra tante altre realtà editoriali indipendenti. % Schema per costruzione della pagina Short Pentagon 1:1,376 19x26,4 cm

" Zazie tra altri magazine indipendenti. Fotomontaggio. Foto originale presa dall’account Instagram di MagCutlure.

Robert Brighurst, The Elements of Tipographic Style, Hartley & Marks, Publishers, seconda edizione, Canada.

[3]

Il progetto: Scelte progettuali



La struttura della rivista

137

l progetto Zazie viene presentato al potenziale pubblico grazie al suo numero zero. Questo è stato disegnato per diventare il format di riferimento della rivista e quindi per costruire le basi su cui questo prodotto editoriale dovrà poi svilupparsi. Per poter creare questo primo volume è stato scelto di utilizzare materiali reali, dunque articoli, servizi e immagini già esistenti in modo tale da portare a conclusione una rivista ipoteticamente pronta per essere venduta. Tutti i testi inseriti sono articoli esistenti[1], questi sono stati scelti e selezionati da riviste (o prodotti editoriali online) prevalentemente scritti in lingua inglese. Questi sono stati tradotti in italiano e affiancati ad immagini o servizi fotografici. In questo modo è stato possibile creare un vera e propria pubblicazione; tutti gli autori degli articoli e delle fotografie sono stati debitamente citati e inseriti nella scheda “collaboratori” che, situata all’inizio della rivista, elenca tutti coloro che hanno “partecipato” alla produzione di questo numero zero. In seguito verranno mostrate con più chiarezza le operazioni svolte per la costruzione degli articoli, quindi le motivazioni della scelta e dell’ordine con cui appaiono, le scelte fotografiche e gli articoletti spalla che aiutano la narrazione. Tutti gli elementi cui non è stata affiancata una “firma” sono stati prodotti appositamente per la rivista, ne sono un esempio le illustrazioni visibili affianco all’articolo Di genere non conforme alle proprie ossa ultimo articolo della sezione di copertina.

I

Il numero zero e la struttura

$

Zazie è una raccolta di piccole idee, un incontro, un racconto, una poesia e tante storie di vite diverse. Si parla di cultura, politica, sesso, soldi, identità (soprattutto di identità, in questo numero zero). È un magazine per scoprire, conoscere ed imparare ad apprezzare realtà differenti, per entrare in sintonia con vite lontane e per apprezzare gli sforzi di chi, per stare al mondo, ha dovuto affrontare più ostacoli di noi. Adesso vediamo di spiegare il processo che ha portato alla definizione delle sezioni che compongono la rivista. Primo fra tutti è stato discusso l’argomento per la storia di copertina; questa avrebbe giustamente ricoperto la parte centrale e più consistente del volume. Dopo aver studiato altre riviste di pubblicazione trimestrale si è cercato di costruire una sorta di mappa che mostrasse le percentuali che le varie sezioni avrebbero dovuto occupare all’interno del magazine. Nel grafico che segue sono riportati i dati di quanto accennato compresa la percentuale relativa alla quantità di pagine pubblicitarie da tenere in conto. [1] Perché il progetto della rivista risultasse il più possibile vicino alla realtà, quindi ad un prodotto editoriale vendibile e professionale, è stato deciso di inserirvi articoli esistenti di giornalisti o scrittori che pubblicano su altre riviste come Dazed & Confused, The Guardian, i-D, la rubrica di Lenny Letter e altri. Le giornaliste e i giornalisti sono spesso legati al tema del femminismo, tuttavia non tutti gli articoli appartengono a riviste o contesti che possano essere relazionati in qualche modo con il tema principale della rivista creata. Il lavoro di selezione e traduzione è stato invece fatto personalmente scegliendo gli articoli con un certo ordine logico e dando loro dei titoli

Il progetto: La struttura della rivista


138

" Questo grafico riporta le percentuali relative alle proporzioni tra le diverse sezioni della rivista: la pubblicità prende il 24% sul totale delle pagine (168 totali esclusa copertina e retro). Gli articoli che costituiscono il corpo (Connessioni, Incontri, Reportage, Storia di copertina, Profilo e Weirdosss) della rivista occupano il 47% sul totale. Le sezioni di moda e portfolio insieme costituiscono il 22% mentre la sezione che contiene le recensioni costituisce il 5%. Il resto è occupato dalle pagine di servizio.

servizi

recensioni

pubblicità

moda + portfolio

& pagine di servizio

Nella pagina accanto viene invece riportato il timone in versione finale (è possibile consultare le precedenti fasi e la versione più dettagliata dello stesso in appendice) ma semplificato, perché possa presentare la divisione in sezioni e la distribuzione delle pubblicità, precedentemente solo quantificate, all’interno della rivista. Le pagine contrassegnate da una X corrispondono alle inserzioni pubblicitarie, le pagine di colore rosso sono invece le aperture di sezione che possono essere su singola (a destra) o su doppia. Le pagine che presentano invece una barra rappresentano le pagine di servizio quindi indice, colophon, contrinutors, editoriale e quello che è stato chiamato “Là fuori” che chiude il magazine.

Il progetto: La struttura della rivista


139

) Le pagine pubblicitarie sono segnate con una X. Le pagine colorate di rosso rappresentano le aperture di sezione. Le pagine con un - sono relative alle pagine di servizio. Le posizioni nel grafico rispettano le posizioni cosĂŹ come da timone.

Il progetto: La struttura della rivista


140

Una volta definite le proporzioni tra le varie aree della rivista sono state modellate le sezioni che ne avrebbero formato la struttura. Di seguito viene mostrato un grafico che spiega quali siano e che tipo di argomenti contengano le sezioni definite per la rivista; per approfondire l’elaborazione e distribuzione degli articoli nelle varie sezioni è possibile consultare il timone (e le sue evoluzioni) in appendice.

LEGENDA:

una doppia pagina

" Connessioni: Sesso, soldi, cultura pop e politica. Quattro articoli accomunati da una certa una tematica, in questo caso: i figli. " Incontri: Chiacchiere con chi ci piace Intervista via telefono a qualcuno degno di nota.

CONNESSIONI

INCONTRI

REPORTAGE

" Reportage: Articolo di reportage che si allontana dalle tematiche solite della rivista.

" Articolo di copertina: In questo numero zero l’articolo di copertina è costituito da quattro articoli differenti accomunati dalla tematica dell’identità. Ogni numero della rivista avrà una sua struttura mutevole per quanto riguarda questa sezione; può dunque presentarsi sotto forma di unione di più articoli oppure essere costruita su uno soltanto.

STORIA DI COPERTINA

" Profilo: Storie da ricordare Una storia su un personaggio, uomo o donna, che ha servito la causa per l’uguaglianza. " Weirdosss: Storie di gente comune che comune non sembra essere Collezione di articoli contro le discriminazioni, a favore di tutte quelle persone ritenute dalla società “non-normali”.

PROFILO

WEIRDOSSS

MODA

PORTFOLIO

" Moda: Racconti di moda, stili e tendenze Articoli sulle nuove tendenze, rivoluzioni e consigli sui marchi etici, rispettosi di tutte le persone e del mondo in cui viviamo. " Portfolio: Progetti che dovevano esistere Presentazioni di due artisti, fotografi illustratori o altro e di un progetto degno di nota. " Recensioni: Commenti all’incrica seri su una serie di cose viste, lette e provate. Consigli più o meno rispettabili. Collezione di consigli e recensioni su cinema, serie tv, musica, eventi, mostre e letteratura.

Il progetto: La struttura della rivista

RECENSIONI


141

La storia di copertina

$

Scriveva Baricco in City: “Devo smetterla, pensò. Non si finisce da nessuna parte, così. Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inculcato questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato, piuttosto, a essere felice rimanendo immobile. Tutte quelle storie sulla tua strada. Trovare la tua strada. Andare per la tua strada. Magari invece siamo fatti per vivere in una piazza, o in un giardino pubblico, fermi lì, a far passare la vita, magari siamo un crocicchio, il mondo ha bisogno che stiamo fermi, sarebbe un disastro se solo ce ne andassimo, a un certo punto, per la nostra strada, quale strada?, sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto.” (Baricco, 1999). Questo romanzo è costruito immaginando che i quartieri siano storie e le strade personaggi. Quanto riportato è un brevissimo stralcio di City; nella nostra analisi serve unicamente ad introdurre una questione d’identità: “sono gli altri le strade, io sono una piazza”. Il tema principale del numero zero di Zazie è l’identità. È importante che questo primo volume sia esempio del tipo di discorso di cui la rivista vuole farsi carico ed è quindi fondamentale la scelta del suo articolo principale che andrà, infatti, ad occupare la copertina e le pagine centrali della rivista. “Crearsi un’identità” è il titolo cui è stato affidato l’importante compito di inquadrare la rivista e, così, di dare il nome all’articolo di copertina.

Scelta del tema portante

$

Questo non è una semplice traduzione di un unico testo già da altri costruito, ma è da considerarsi come una sorta di collage: sono stati selezionati da ambiti e riviste diverse quattro articoli molti differenti che parlano di identità personale e sociale, tema molto caro anche al femminismo intersezionale odierno, che, uniti, diventano parte di un unico discorso. Entrano in campo la geografia, le diverse culture, i possibili orientamenti sessuali e le appartenenze religiose, per poter parlare di persone molto vicine alla nostra realtà ma che, grazie alla loro espressione artistica, sono in grado di raccontare il processo che ha accompagnato il loro percorso identitario. Sono persone che attraverso un loro particolare strumento, che sia fotografia, canto o scrittura, ci parlano di vita, del colore della pelle, di strade da percorrere e da sperimentare, di “non-normalità” e di incapacità di movimento. Ed è proprio di tutto questo che Zazie vuole diventare ambasciatrice. In questa situazione che vorremmo anche citare la frase che accompagna la spiegazione della tematica scelta per il sesto numero della rivista The Outpost: “There’s a systematic attempts to crush and numb our body and turn it into a paralyzed, helpless, powerless and insignificant entity. Our body is being invaded, violated, intoxicated, and numbed down. [...] The revolution starts from inside our body.” The Outpost, a magazine of possibilities, nr.6, 2016. È dal nostro corpo che inizia il cambiamento, dalla nostra entità che viene spesso violata, invasa, intossicata e paralizzata. È così che da noi stessi dobbiamo iniziare. Dalla costruzione della nostra identità.

Il progetto: La struttura della rivista


142

Selezione degli articoli che compongono la cover story

$

% Le quattro immagini sono state inserite in modo da associarle alla storia di riferimento e facilitare l’individuazione dei quattro articoli della cover story. La fotografia nr. 1, qui sotto, è di Laurence Philomene e appartiene all’opera citata nel testo “Me vs. Others”. La fotografia nr. 2, nella pagina affianco, è stata scattata da Hassan Hajjaj per ritrarre il gruppo musicale yemenita. La terza fotografia è uno dei ritratti dell’opera di Atong Atem mentre l’ultima immagine è una illustrazione di Ezra Furman prodotta per poter far fronte alla carenza di fotografie interessanti che e ritraessero il personaggio. È stata inoltra una scelta per poter inserire degli elementi illustrati che nel corso della rivista non sono molto presenti soprattutto per una difficoltà nel poter abbinare un articolo ad una illustrazione non creata ad hoc per questo. Essendo la rivista costituita di pezzi già elaborati, è stato deciso di provvedere in questo modo.

1

La prima storia 1 che apre l’articolo di copertina è legata alla fotografa Laurence Philomene che ha scattato una serie di fotografie in cui ritrae i suoi amici e conoscenti con la sua parrucca arancione, un modo per potersi vedere, dice lei, allo specchio, per studiare la sua persona attraverso gli altri. Intitola il suo progetto fotografico “Me vs. Others” e così, allo stesso modo, è stato intitolato l’articolo a lei dedicato. Il secondo articolo 2 è invece una intervista al gruppo musicale yemenita A-WA sulla loro musica e sulla loro identità come gruppo. Affondano le loro radici musicali nelle tradizioni e nella religione dei loro antenati e anche di questo cantano nelle loro canzoni. Il loro album è un ponte tra molte identità: generazionali, culturali e linguistiche. Il loro messaggio principale è che si può essere molte cose insieme e che possono convivere molte identità e attraverso la loro poetica musicale lo raccontano. Segue un articolo 3 molto forte come storia e come immagini. Sono le fotografie di Atong Atem a raccontarsi in una intervista che parla di ricerca e lotta per crearsi una propria identità. Atong è una giovane artista sud sudanese che, seguendo le migrazioni della famiglia, vive ora in Australia. Racconta di quanto sia difficile acquisire una nuova cultura senza dimenticarsi di quella d’origine e di quanto sia complesso inserirsi in una nuova comunità diversa per tradizioni, usanze e colore della pelle. Questo è l’articolo più elaborato dei quattro in cui testo e fotografie convivono accompagnate da articoletti spalla che forniscono maggiori informazioni su alcune cose cui accenna l’artista parlando di sé e della sua arte. L’articolo è inoltre accompagnato da una pagina di approfondimento sull’artista e una mappa ne evidenzia i suoi spostamenti. Ultimo articolo 4 è principalmente testuale e vede protagonista un giovane cantante che nella vita, sul palcoscenico e nelle sue canzoni racconta della sua volontà di cancellare le etichette e tutte quelle categorie che ti bloccano in una certa posizione cui, forse, non sei sicuro di appartenere. Ezra si definisce di genere non conforme alle proprie ossa e da alcuni anni ha cominciato a mostrare anche in pubblico la sua fluidità di genere vestendosi spesso con abiti solitamente definiti femminili, indossando collane di perle e calze a righe. Canta di come la sua personalità sia “cut into pieces” e di come ci si debba liberare delle categorie e degli stereotipi a favore della libertà di ognuno e delle loro felicità. I quattro articoli sono stati scritti da quattro giornaliste diverse e pubblicati su magazine di vario genere. Come già affermato in precedenza gli articoli, dopo essere stati scelti, letti ed esaminati, sono stati tradotti in italiano e sono stati individuati i possibili articoli spalla. In un secondo momento sono state selezionate le immagini che gli sono state affiancate. Per quanto riguarda il primo e il terzo articolo sono state scelte alcune delle fotografie delle opere delle due artiste in modo tale da mostrarne i pezzi più interessanti. La foto utilizzata per mostrare il gruppo musicale del secondo articolo è invece stata trovata sulla pagina personale del fotografo che l’ha scattata e le illustrazioni di Ezra Furman sono state prodotte appositamente non avendo materiale fotografico interessante da poter utilizzare.

Il progetto: La struttura della rivista


143

Laurence Philomène, fotografa e co-fondatrice di The Coven Collective, è una ritrattista che lavora attraverso internet e che per la prima volta non si sente a suo agio online. Nonostante si sia esclusa dai suoi progetti come soggetto, Philomène si vede ancora in tutte le immagini che ha prodotto. A coronamento della propria autocoscienza sul web, ha deciso di spingersi oltre, esplorando i limiti delle sue pratiche fotografiche e della sua identità personale, ritraendo alcuni suoi amici e colleghi come fossero lei stessa. Ha deciso di far indossare ai modelli la sua parrucca arancione, suo segno distintivo, e i suoi abiti dai colori pastello. Philomène si è presto resa conto di essere insoddisfatta di una manifestazione puramente fisica di se stessa: “Cercavo di ricreare qualcosa di più dei miei vestiti rosa e della mia parrucca arancione, e cogliere un po’ del mio io ideale - come potrei essere? Così ho iniziato a camminare sotto il sole di LA con Arvida e un po’ di Cheetos. Molti dei lavori dell’artista sono stati ispirati dall’idea di Wolfgang Tillmans dell’essere ‘post-autentici’ - Nel momento in cui rappresenti qualcosa, quel qualcosa diventa una situazione mediata, quindi inventata. Ciò che è genuino è invece il desidero di autenticità. Così, è proprio l’intento a rendere autentico il momento. È autentico ciò che sembra esserlo. “Lavoravo su questa idea da un po’ e con questo lavoro sto fotografando ciò che realmente penso sia per me l’idea di quel momento post-autentico.” Il fatto di fotografare colleghi, così come artisti e amici che ti sono molto vicini, ti ha fatto scoprire qualcosa di nuovo? C’è stato qualcuno ad aver portato alla luce qualcosa di te che non sapevi? “Non c’è mai stato un momento particolare che mi abbia fatto dire - questa sono io e tutto ciò di cui sono fatta! La nostra identità è fluida, questo è qualcosa di cui sono certa. Penso che ciò che ho imparato attraverso questi scatti è il come desidererei descrivere me stessa, sia intenzionalmente che nel mio subconscio. La parte intenzionale è quella fisica: i colori, i vestiti che scelgo per i miei modelli, la parrucca. È finto, artificiale, lo so, ma cosa c’è di così sbagliato nell’artificialità?

1

Cosa vi piace di più della performance e del cantare insieme quando eravate piccole? La musica ha sempre avuto un posto speciale nella nostra famiglia. Entrambi i nostri genitori sono amanti di musica e ci hanno avvicinato a diversi tipi di musica. Siamo cresciute cantando, danzando e intrattenendo. Ci piace rendere le persone felici. Come avete scoperto la musica folk Yemenita? Quali aspetti del genere musicale vi attraggono di più? Abbiamo scoperto la musica Yemenita, e ce ne siamo innamorate, quando andavamo dai nostri nonni in vacanza e nelle celebrazioni di famiglia. Negli anni abbiamo continuato ad esplorarla, così come le nostre radici. La musica Yemenita arriva alle nostre anime spiritualmente e fisicamente. Le belle melodie, the moving groove, il linguaggio esotico, le parole oneste ed emozionali, i fragili fronzoli, e i gradini tradizionali, tutto questo ci fa sentire a casa. Cosa trovate invece più potente nell’antica storia orale dei canti delle donne Yemenite? Le donne ebree nello Yemen sono le uniche che creavano del folclore. Gli uomini separavano la vita culturale dalle cerimonie religiose e dalle preghiere. Le donne non potevano farne parte, non sapevano né leggere né scrivere, usavano così il canto, cantavano l’un l’altra di temi che le interessavano. Hanno trovato un modo, uno sfogo per le loro emozioni, i loro desideri e le loro speranze. Erano molto oneste e avevano un gran bel senso dell’umorismo. Quali direste siano le maggiori fonti di ispirazione per Habib Galbi? Prima di entrare in studio, abbiamo registrato molti demo nel nostro appartamento grazie all’aiuto di nostro fratello che è ingegnere del suono. Ci siamo permesse di portare qualsiasi cosa ci sembrasse giusta per noi e abbiamo mixato tutte le nostre influenze musicali, in modo naturale. Il fatto che la musica Yemenita sia basata sul ritmo e sulle vocali ci ha permesso di inserire l’hip-hop e i beats elettronici e di giocare con le nostre voci aggiungendo armonie ispirate dalla musica Motown. Abbiamo ascoltato anche molte vecchie registrazioni di cantanti Yemenite emigrate in Israele negli anni ’50 - i loro pezzi sono semplici e allo stesso tempo così magici e sentimentali. Le nostre prime registrazioni le abbiamo tenute piuttosto semplici e tribali, dopo averle mandate al nostro produttore Tomer Yosef, che sa come portare le cose ad un livello superiore, gli ha saputo dare un tocco molto più moderno. Potete dirci la storia del vostro nome? significa “Yeah” vero? Vero. A-WA è ispirato allo slang Arabo aywa che significa “sì”. È anche un invito a tirarsi su e spesso può essere ascoltato nelle celebrazioni. Ci piaceva il suono di questa parola perché è corto e positivo. C’è una qualche particolare reazione che sperate dal vostro pubblico per Habib Galbi? Che piaccia e che le persone ne siano ispirate e ballino moltissimo. Quale è la vostra canzone preferita di questo album in uscita? È difficile scegliere perché ognuna evoca una scena completamente diversa dalle altre con la sua unica melodia. Habib Galbi è quella che più risalta e sembra essere il nucleo dell’album. È stato il primo demo che abbiamo registrato quando ancora, in salotto, pasticciavamo alla ricerca di qualcosa. Conoscevamo questa canzone fin da quando eravamo bambine, ma cantarla insieme da donne adulte ha molto più significato. Ci ha insegnato a fidarci del nostro istinto e della nostra creatività, ed è stato incredibilmente divertente. Il video musicale per la title track è fantastico! Parlereste un po’ della vostra visione creativa e dell’esperienza nel filmarlo? È stata una esperienza incredibile per noi. Abbiamo portato il team nella casa dei nostri genitori e gli abbiamo mostrato il villaggio dove siamo cresciute. L’idea di filmarlo lì è venuta dopo, in una vacanza con la famiglia, scattando foto intorno al villaggio e mandandole al nostro produttore. Ne è rimasto affascinato e girare il video qui è stato il miglior modo per iniziare a raccontare la nostra storia. Il video mostra la trasformazione di tre donne che si sono liberate delle loro difficili vite di “esseri inferiori” per vivere in libertà, eguaglianza e amore. Il vostro album è una sorta di ponte tra molte identità: generazionali, culturali e linguistiche. Come vi ha aiutate questo progetto ad esplorare la complessità delle vostre identità di donne Medio Orientali? Quando abbiamo postato sui social media il video-clip di Habib Galbi lo abbiamo accompagnato da un semplice commento: Bringing you a fresh sound from the desert (vi portiamo un suono fresco dal deserto). Non abbiamo rivelato di quale deserto stessimo parlando, né da quale nazione provenissimo, perché volevamo che le persone ascoltassero prima di tutto la nostra musica. La nostra strategia era “non dire, non nascondere”. Lo abbiamo fatto solo per mostrare che in realtà chi siamo, in fondo, non conta niente. Abbiamo ricevuto commenti positivi da tutto il mondo e ci hanno chiesto finalmente chi eravamo; così ci siamo raccontate. Le persone tuttavia non gli hanno dato molto peso perché amavano la nostra musica e vi sentivano una qualche connessione. Uno dei nostri principali messaggi è che è bello essere molte cose insieme e che dovremmo celebrare le nostre molte identità. Noi, ad esempio, siamo donne, siamo israeliane con origini Yemenite, siamo musiciste e sorelle.

2

2

Quando hanno iniziato a far parte del tuo lavoro le identità culturali e razziali? Ho sempre costruito la mia arte perché fosse Afro-centrica e virata verso il colonialismo, la razza e il genere. Ci sono entrata già quando ero piccola, venendo in Australia come migrante. Immediatamente sei forzata a confrontare la tua identità come diversa, come l’“altra”. Etnicamente sono Sud Sudanese, ma la mia famiglia si è spostata, come rifugiata, quando avevo solo sei anni, hanno lasciato il Sudan del Sud verso l’Etiopia e vivendo in Kenya in un campo di rifugiati. Mi ricordo quando alla scuola primaria dipingevo ritratti della mia famiglia. Tutti gli altri usavano colori pastello, così lo facevo anche io. Questo fino a quando una maestra mi chiese “perché non usi colori marroni?”. Da quel momento ho iniziato a domandarmi chi fossi e a ragionare sulla mia posizione nella società e nella cultura Australiana. Ero così imbarazzata che non ho neanche riconosciuto la mia identità nei colori che stavo usando. Da lì ho preso una decisione; avrei usato solo colori marroni, colori che avrebbero potuto tradurre ed esplorare la mia natura africana. Quando hanno iniziato a far parte del tuo lavoro le identità culturali e razziali? Ho sempre costruito la mia arte perché fosse Afro-centrica e virata verso il colonialismo, la razza e il genere. Ci sono entrata già quando ero piccola, venendo in Australia come migrante. Immediatamente sei forzata a confrontare la tua identità come diversa, come l’“altra”. Etnicamente sono Sud Sudanese, ma la mia famiglia si è spostata, come rifugiata, quando avevo solo sei anni, hanno lasciato il Sudan del Sud verso l’Etiopia e vivendo in Kenya in un campo di rifugiati. Mi ricordo quando alla scuola primaria dipingevo ritratti della mia famiglia. Tutti gli altri usavano colori pastello, così lo facevo anche io. Questo fino a quando una maestra mi chiese “perché non usi colori marroni?”. Da quel momento ho iniziato a domandarmi chi fossi e a ragionare sulla mia posizione nella società e nella cultura Australiana. Ero così imbarazzata che non ho neanche riconosciuto la mia identità nei colori che stavo usando. Da lì ho preso una decisione; avrei usato solo colori marroni, colori che avrebbero potuto tradurre ed esplorare la mia natura africana. Il tuo servizio fotografico è intitolato “Third culture kids”. Cosa significa per te? Ci sono giorni in cui sento di conoscere la mia identità e mi sento veramente forte in quello che sono, poi ci sono giorni in cui mi domando chi sono in questo mondo. Penso sia bello poter riconoscere che molte persone che hanno queste esperienze e non solo in relazione all’identità culturale, ma anche alla sessualità e all’identità di genere, e al chi si vuole essere in questa vita. Essere un “Third culture kid” significa riconoscere che esiste uno spazio tra la cultura dalla quale proveniamo e quella nella quale ci inseriamo. Non mi sento abbastanza Sud Sudanese, come non abbastanza Australiana. Ho accettato che non sarò mai nessuna delle due: queste idee sono costruite al di fuori di me. Per le persone che realizzano di esistere in uno spazio intermedio, è un po’ fastidioso essere né una cosa né l’altra. Ma essere un figlio di terza generazione “a third culture kid” vuol dire essere chiunque si voglia. Le tue foto sono costruite su set perfettamente studiati, fai tu anche questa parte? Sì. Nelle mie ricerche ho trovato interessante il fatto che ci siano realtà in cui le cose introdotte dai colonizzatori europei si sono profondamente adattate, a prescindere dal paese dalla quale provenivano. Le mie foto emulano le fotografie di studio che sono state introdotte in molte parti dell’Africa dagli inglesi. Quando ho iniziato a mostrare alcune foto, le persone erano stupite di quanto assomigliassero alle fotografie dei loro nonni. Credo sia riduttivo raccontarlo così, ma i tessuti stampati a cera che ho utilizzato sullo sfondo delle foto sono diventate un modello per rappresentare l’Africa oggi. Quei tessuti, molto comuni in Africa e visti come appartenenti alla cultura africana, sono stati in realtà introdotte dagli olandesi dopo il loro arrivo in paesi come l’Indonesia. La storia del colonialismo, in questo senso, è stata cancellata. Le stampe sono rappresentative della colonizzazione olandese ma sono estremamente radicate nell’identità africana ormai. Internet ha permesso alle persone di colore di esprimersi liberamente tramite le loro identità visuali, tuttavia è anche diventato un tipo di estetica trend. Cosa è così attraente di questa appropriazione? Credo che sia dovuto alla politica e al fatto che sia un grande atto per le persone di colore quello di potersi affermare in maniera forte e quasi ovvia. Penso che sia molto bello e importante. Per i bianchi sembra essere disprezzante e irrispettoso per le nostre esperienze ciò che invece noi usiamo per identificarci e mostrarci. Molte persone bianche, giovani e vecchie, cercano di costruirsi una certa identità perché la loro non è mai messa in discussione. Si parte dall’assunto che sia una persona bianca e poi ci si aggiunge altro per identificarla. Questo è il modo in cui il mondo opera ed è dovuto ad una storia di colonialismo. Quando le persone che sono estranee e cercando di studiare e di formulare la nostra identità, è visto non come un atto di ribellione quale è ma come una sorta di verità personale. Le appropriazioni culturali portano via la profondità di questo tipo di atti di ribellione. Le appropriazioni culturali sono una sorta di novità per loro, li fanno sentire unici e differenti. Hai detto che da bambina usavi automaticamente il rosa pallido per colorare la tua pelle nei tuoi disegni fino a che una maestra non ha deciso di confrontarsi con te. Hai visto quel momento come una provocazione nei confronti del tuo orgoglio profondo per la tua identità razziale e culturale, o ci sono altre situazioni che hanno aumentato questa situazione durante gli anni? Tutti i bambini neri o appartenenti ad una minoranza hanno quel momento di realizzazione, e non è necessariamente una cosa destabilizzante ma una improvvisa e sopraffacente comprensione del proprio io, della propria posizione nel mondo. È in quel momento che io ho scoperto che tutte le negatività legate al mio corpo nero che nel tempo avevo sentito erano così applicate anche su di me. E la rabbia che ho provato è ciò cheta scosso il mio viaggio di amore e orgoglio. La mia famiglia è sempre stata politica, non tanto per scelta quanto per circostanze. Ho conosciuto il significato del colonialismo prima ancora che ne conoscessi il mondo attorno. Questo ha influenzato la mia famiglia in molti modi terribilmente tangibili e per questo hanno lasciato le loro origini per spostarsi fino in Australia. Da bambina ero molto critica verso i miei genitori, probabilmente non li comprendevo. Con il tempo, però, ho iniziato a notare quanto avessero ragione. Ho capito che chi appartiene a quel dato genere, a quella data razza, diventa un qualcuno nel mondo, a prescindere da quanto esso voglia essere conosciuto per altri aspetti. C’è stato un momento particolare nella tua vita in cui hai deciso di usare la fotografia per esprimere ciò che volevi comunicare oppure è stato un processo graduale? Ero al secondo anno di università (quarto anno della scuola d’arte) e non stavo facendo assolutamente niente di buono. Scrivevo molte note sui testi che stavo studiando e facevo tutorials su tutti quegli argomenti che pensavo fossero sbagliati secondo me. In più ero piuttosto paranoia nei confronti della noia, scrivevo certe piccole note scarabocchiate come fossero lettere all’editore ma in lingua Dinka , anche se non sapessi bene come scrivere in Dinka. Ho scritto le parole seguendo il loro suono. Non stavo praticamente lavorando, e non ero interessata particolarmente a niente di teorico perché mi rendeva furiosa. Così ho iniziato a leggere e rileggere testi di colonizzazioni. È stato durante una notte in cui stavo facevo di tutto tranne i compiti che sono arrivata ai lavori di Philip Kwame Apagya . È un fotografo del Ghana che è conosciuto per le sue fotografia in studio con fondali dipinti di “fantasia” con cui le modelle interagiscono. Quando ho visto questi lavori, ne sono stata completamente ispirata e ho iniziato a

3

scrivere messaggi ai miei amici per tenersi liberi nel giorno seguente, così ho iniziato le mie fotografie. In quel periodo, non avevo una idea specifica su ciò che volevo comunicare, ma sono sempre stata interessata nel decolonizzazione e critica delle narrative Eurocentriche. Così, quando ho trovato questa arte che ho amato immediatamente e che non era incentrata sui bianchi, né li prendeva in considerazione, e che era creata da e per persone nere Africane tanto da celebrarne e mostrarne la realtà dal nostro punto di vista; ho capito che volevo creare qualcosa di simile che potesse comunicare le mie emozioni come questi lavori hanno saputo fare. Quando hai iniziato il lavoro di shooting in studio, come hai fatto a decidere chi avresti fotografato? Le tue modelle comunicano tanta saggezza, intelligenza e spesso anche sfrontatezza, nei loro sguardi. Avevi una qualche relazione con loro prima di fotografarli? Non ho mai preso in realtà una decisione attiva nel fotografare qualcuno. È tutto successo naturalmente in collaborazione con i miei amici. Io non scatto spesso fotografie perché non ho una macchina fotografica digitale, ma soprattutto perché sono pessima nel forzare le cose che non sento. La prima serie, che ho messo in mostra al Red Hook Labs e al Gertrude Contemporary, è stata realizzata dopo aver chiesto, da un giorno all’altro, a molti dei miei amici di venire a farsi fotografare. Quelli che sono arrivati, sono stati fotografati. Ci siamo divertiti moltissimo. I miei modelli mi hanno offerto tantissimo proprio perché non sono modelli, non sono stati pagati, erano solo amici venuti per fare un favore ad una loro amica. La maggior parte delle persone che sono venute sono state molto collaborative. Nella prima serie, alcuni amici hanno portato con sé fiori, fazzoletti di seta e vestiti. Abbiamo messo tutte le cose insieme aggiungendo anche tutti i nostri riferimenti ovvero gli album fotografici di famiglia. Quando abbiamo costruito le scene, tutti in collaborazione, è stato incredibilmente semplice e divertente ed è diventato qualcosa che ho potuto replicare perché dal mio punto di vista funzionava molto bene. Non è artificiale, anche se è un replicare la nostra iconografia culturale. Hai detto anche che le tue foto “emulano le fotografie da studio che sono state introdotte in molte parti dell’Africa dagli inglesi”. Le tue composizioni sono molto formali, ma introduci anche tessuti stampati di grande effetto, fiori finti, vasi e accessori piuttosto pesanti. Amo la giustapposizione di questi elementi. Stai cercando di sfidare e distruggere la nozione tradizionale di “ritratti da studio” direttamente dall’interno? Dal punto di vista visivo la mia ispirazione viene dagli abiti che in tutta l’Africa usavano gli Olandesi fati di tessuti cerati; diverse acconciature tradizionali; l’atto dell’intrecciare; le canzoni e le danze Dinka; i musical Hollywoodiani degli anni ’60 (specialmente quelli in cui recitava Barbara Streisand); artisti neri contemporanei come Wangechi Mutu, Ynka Shonibare, Zanele Mugoli, and Kara Walker; i canti di mia sorella, i romanzi di science-fiction, specialmente quelli dispotici; e quei video di YouTube che ti rendi conto, dopo ore, ti abbiano allontanato dalla realtà. Nello specifico, mi ispiro ai primi fotografi da studio Africani cui sono venuta a conoscenza: Seydou Keïta, Malick Sibide, e Philip Kwame Apagya. Questi lavori, che mi ricordavano le foto dei miei familiari che mi sono state mostrate per tutta la vita, avevano elementi specifici come le pose strane, i fiori finti, i fondali colorati e i vestiti che volevo replicare. E uno stile fotografico confortevole e veramente simbolico della vita moderna delle case Dinka, e così della mia: un ritratto da studio di famiglia, un crocefisso ornamentale, accoglienti poltrone lavorate ad uncinetto, fiori finiti su televisori. Quando ho iniziato la sfida della fotografia da studio, però, la mia introduzione a questa arte è sempre stata legata a questo stile di fotografia ed è stata sempre legata alle figure di africani neri che indossavano questi tipi di vestiti. Nella mia vita, fino a quando avevo forse quattro o cinque anni, non avevo mai visto persone bianche. Per quanto ne sapevo, erano all’incirca come i Simpson - ovvero personaggi costruiti, fino a quando non li ho incontrati per davvero. Così è stato con l’arte e la fotografia, sempre invasa da persone nere (tranne forse Gesù). C’è un elemento di sovversione in termini di raffigurazioni storiche di africani, di sicuro; per questo sono molto legata all’importanza del momento in cui gli africani hanno iniziato a fotografare africani, in contrasto con i lavori degli europei che ci raffiguravano etnograficamente per mitigare i propri racconti e desideri coloniali, ma questo tipo di approccio rimane nelle periferie dei miei pensieri. Si tratta di una importante motivazione che sta dietro la mia decisione di fare fotografia, ma la mia motivazione principale è quella di celebrare la mia cultura di provenienza. Non capita spesso che la gente nera possa celebrarsi genuinamente senza che il resto del mondo ci controlli. Ho molta voglia di sottolineare la natura celebrativa di queste opere. Abbiamo festeggiato mentre giravamo, abbiamo celebrato dopo le riprese, e continueremo a far festa. Lavori con la fotografia digitale o analogica? Cosa ti piace di più del tuo mezzo scelto? Quando si tratta di arte che intendo mostrare pubblicamente, prevalentemente lavoro in digitale perché le cose che faccio in questo modo sono più legate ai soggetti e al set piuttosto che alla tecnica. Un amico mi ha dato una vecchia fotocamera Minolta da pellicola lo scorso anno, e da quando la ho, ho scattato centinaia di foto di amici e di altre cose che regolarmente condivido su Instagram. In realtà non sono una che condivide tutto sui social, ma ho documentato questi creativi circa ventenni in Australia nel 2010. Sembra essere qualcosa che un sacco di ventenni stanno facendo ora, intendo il documentare la loro vita, perché ci sono così tante cose del passato che non sono state documentate e forse siamo un po’ spaventi dall’idea di una potenziale perdita futura. E, forse anche perché tutta la documentazione che esiste dal passato è in realtà romanzata. Hai mai esplorato altri mezzi come il disegno o la pittura? Per sperimenti o studio? Ho iniziato a scattare fotografie solo a partire dalla metà del 2015, prima facevo prevalentemente la pittrice e illustratrice e mi dilettavo in opere video decisamente strane. Giro ancora molti video, circa uno o due alla settimana, ma non le condivido spesso come le altre opere perché sono per lo più divertenti per me e ho imparato presto che ciò che è divertente per me è quasi sempre universalmente poco divertente. Scrivo anche molto e questa la considero parte della mia pratica. Qual è il tuo rapporto con i social media? Li vedi più come una influenza positiva o uno spazio perché i tuoi lavori possano esistere? Ci sono così tante cose da dire sui social media, ma la cosa più significativa per me è successa quando ero una adolescente, a metà degli anni 2000, ed ho scoperto i blog, poi Tumblr, e il potenziale sociale di Internet. La mia famiglia era l’unica famiglia nera in tutta la mia città, e, se non fosse per internet, non mi sentirei così Ok come sono oggi. È stato di fondamentale importanza per me il potermi mettere in comunicazione con altre persone nere che erano legate al gruppo musicale dei Bad Brains, alle Martian Chronicles, e a tutta quella roba adolescenziale che è stata davvero importante per me, ma che non veniva mostrata dai nostri media. Quando, per molto tempo, non trovi riflessi di te in nessun luogo al di fuori della tua comfort zone e improvvisamente scopri milioni di iterazioni di te stesso sul tuo computer, per un bambino, beh è decisamente un cambio di vita importante. Stai esibendo molto i tuoi lavori di recente. Una mostra a New York dal titolo “Nuova Fotografia africana” e una mostra a Melbourne allo stesso tempo. Stai lavorando su altre nuove mostre? I miei amici sono tutti artisti incredibili e spesso facciamo profonde conversazioni su noi stessi e sul mondo in cui viviamo. A volte mi sembra che tutte queste conversazioni possano interessare un qualche tipo di esposizione. Alcuni artisti che ritieni stiano facendo i lavori più stimolanti in questo momento? Sono una grande fan del lavoro di Frances Cannon, abbiamo studiato all’università insieme, e di recente le sue opere, che sono bellissimi disegni per lo più di donne orgogliose, stanno ricevendo molte attenzioni. Ha una davvero incantevole messaggio circa l’accettazione del corpo e l’amore per il proprio sé, e il fatto che così tante persone stiano accogliendo positivamente il suo lavoros dimostra quanto sia importante. Il mio artista preferito è Gunai e l’artista del Gunditjmara Arika Waulu. Non conosco nessuno, artista o altro, che mi ha resa così consapevole di tante realtà politiche,

3

spirituali ed emotive in un così breve lasso di tempo e con tanta generosità. Il lavoro di Arika è incentrato sulla colonizzazione, l’antropologia, e le sfaccettature nascoste della storia genocida dell’Australia. Sono così realmente e costantemente ispirata da lei. Dove ti vedi tra cinque anni? Ho pensato molto al ‘lontano’ futuro, ma non al futuro più prossimo. Immagino di vedermi ancora come artista ma preferirei prediligere la pittura. Mi piacerebbe fare qualcosa con l’Università, forse continuare a studiare o forse insegnare. Penso di avere alcune cose da offrire e se qualcuno volesse pagare per ascoltarmi, beh, allora non avrei motivi per tirarmi indietro. Tre parole chiave sulla tua pratica artistica? De-colonizzazione, neri, anti-minimalismo

Al festival di musica a Pickathon ad agosto, Furman è salito sul palco indossando un vestito e una collana di perle decisamente “classy” ed ha dedicato la canzone Body was made a tutti i queer del suo pubblico. La folla cantava, cantava come una unica massa d’amore. Sarah Mirk ha avuto l’occasione di parlare con Ezra prima del set (per la rivista bitch). La prima cosa che ci riferisce è che è stupefacente come Ezra, lontano dai riflettori, scelga con cura le parole, esattamente nel modo che ci si aspetterebbe da un poeta incisivo. Hanno iniziato con il parlare di quanto la parola “bitch” lo metta a disagio -“Sento semplicemente che non faccia parte di me, del mio vocabolario. Spesso quando le persone la dicono, sembra voler contraddire la misoginia costruita che è ovunque e che sto cercando di non avere come parte di me stesso.”- così ha continuato con il parlare di gender, sessualità e il rifiuto per le categorie tradizionali dell’esistenza. Mi piace moltissimo il testo che hai scritto recentemente per il The Guardian su Lou Reed, David Bowie e l’androginia. Qui parli molto dell’essere in uno stato al limite e sul non volere etichette. Penso sia molto difficile per le persone comprenderlo, perché si trovano a loro agio, trovano la forza, nelle etichette, nella convinzione di avere una identità e sentirsi parte di una comunità. Speravo potessi approfondire questo tuo commento - come ci si sente a non voler cercare una categoria per definire se stesso, il proprio genere, la propria sessualità, e la propria vocazione musicale? È una cosa bizzarra perché conosco, amo e rispetto molte persone che dipendono veramente dalle categorie e da queste ne traggono orgoglio. Non ho intenzione di lottare per appartenere ad un “gruppo”. Le categorie e le facciate sono importanti. Per me, per qualche ragione, è stato importante non interessarmi alle categorie. Non so bene il perché ma credo siano riduttive. Se c’è una categoria come maschio o femmina, o più queer di quanto non rappresenti la parola stessa, un termine come “genderqueer” - queste etichette se le appiccicano addosso le persone per convenienza o perché vi si identificano, e a me semplicemente non piace farlo. Penso che la ragione principale sia che queste categorie suggeriscano che c’è un modello esistente da poter calzare alla perfezione. Io non voglio farlo. Perché, in una delle tue canzoni, dici che vuoi bruciare tutto? Non voglio bruciare tutto, voglio solo pensare che le persone siano davvero uniche. Ogni persona è la sua categoria e la sua interezza, il suo intero linguaggio è qualcosa da prendere più seriamente di “Oh, questa è una di quelle persone, quindi sicuramente diventerà così”. Questa è una affermazione molto forte; è difficile da dire senza sembrare irrispettoso di quelle persone che “fanno parte di quella categoria”. Quale pronome usi? Uso il maschile di default perché non mi relaziono a nessuno di questi. Semplicemente non mi ci relaziono. Questa è un’altra cosa strana. Ho realizzato che per me stesso anche il genere è una di quelle definizioni che non voglio e penso che non significhi niente, non devi far nulla per vivere in qualche modo, è solo una maniera di riferirsi a te stesso. Così con il tempo ho capito, ho imparato cosa è essere transgender - che è volendo insistere, contro ciò che il mondo intero dice di te, che sei di un certo genere, che il genere può essere di importanza vitale. Personalmente non mi ci relaziono, ma ne ho pieno rispetto. Tante di queste faccende non sono né forti né attraenti. Beh sono cose serie invece. Penso che non riuscirai a venirne a capo. E se provo a farne una frase incisiva, suona sbagliata. Diciamo solo che non credo nelle categorie ma nell’unicità di ogni persona! Credo che, nonostante tu voglia credere che le categorie non contino, non si possa ignorare che la nostra cultura e la nostra società sia costruita intorno al categorizzare le persone e alle conseguenze che questo crea, sia adesso che in passato. Quando qualcuno dice “siamo solo una unica razza umana”, io penso “certo, c’è una storia di sistemi costruita sulla razza; non puoi ignorarlo e basta.” E la stessa cosa con il gender - c’è una differenza tra identificarti nella tua maniera ed essere te stesso dal dire che il gender non deve interessare nessuno. Perché nella nostra società, nella maggio parte, le questioni di genere sono importanti. Ciò ovviamente non vuol dire che debba interessare te alla stessa maniera. Questo è il motivo per cui rimango fermo nel riferirmi a me stesso con il pronome maschile. Da un lato, ho il privilegio di non esserne legato. Non distrugge la mia vita esser chiamato maschio. Ci sono anche dei privilegi del passare sempre come uomo. Ho privilegi di bianco. Il mio vestirmi in modo femminile è una cosa che posso scegliere. Io so condividere la mia disforia sul mio genere. Mi ha causato molte sofferenze crescere con una certa maschilità addosso che non ho mai sentito mia. Mi ha causato molte sofferenze, veramente. Ma, sai, ho ancora lo stesso il privilegio di essere uomo. Quando hai capito di sentirti a tuo agio nel fuggire dalla tua presentazione abituale di uomo e dalla mascolinità che credevi avresti dovuto vestire per il resto della tua vita? È un processo ma Sì, è un processo. Mi ricordo di quando da ragazzo vestivo segretamente abiti femminili quando potevo prendere in prestito qualcosa di nascosto. Penso sia stato circa cinque anni fa che per la prima volta mi sono vestito da donna in pubblico. È stato sul palco, perché sentivo che esplorare questa situazione fosse più sicuro lassù. Come a dire, è uno show! Non dice necessariamente agli altri ciò che in realtà sono. Molti potrebbero pensare che sia un gioco. È una cosa strana quella di dover negoziare con il palcoscenico. Ero curiosa sul come il palco ti abbia fatto pensare a mostrare la tua presentazione di genere e la tua sessualità. Da una parte, stare sul palco può essere un posto migliore per essere differenti... Per essere un’artista strano! Un artista strano! È vero! Ma questo come ti ha condizionato il palco nel vederti fuori nella vita reale? È una questione spinosa. Le persone spesso pensano sia solo una cosa da palcoscenico, come un trucco, come se il mio io reale fosse solo questo ragazzo etero che ha creato questo personaggio femminile sul palco. Ma realmente non è cosi. È quasi l’esatto contrario. Il mio genere non è conforme alle mie ossa. Farlo sul palco è stato un modo di esternarlo finalmente nella mia vita. Immediatamente, quando ho iniziato a sentirmi sicuro, ho iniziato a presentare la mia veste femminile anche nella vita reale. Indossavo un vestito per una cover di un album prima che nella mia vita privata mi vestissi regolarmente da donna. Sembra che fossi preoccupat0 che le persone potessero interpretare il tuo outfit solamente come un motivo “freaky” da palcoscenico. Ma questi vestiti significano altro, vero? È vero. In realtà riflettono una parte di me. Ma ad un certo punto bisogna smettere di cercare di modellare l’immagine che gli altri hanno di te. Ci sarà sempre qualcuno che penserà io faccia finta, tuttavia non sono Ziggy Stardust e quindi questa cosa non mi cambia più di tanto. Nella vita quotidiana voglio comunque essere casual. Se indosso un bel vestito, del trucco e una manciata di perle, lo faccio per il palco. Nella vita reale

4

non uso vestirmi fancy. Come descrivi la tua estetica in questo ultimo periodo della tua vita? Sarò sincero: penso che la più grande influenza sia solamente una sorta di panico nauseante dell’andare compare i vestiti. Sono un mostro, non apparirò mai come vorrei apparire. Posso cercare tra scaffali di vestiti sentendomi orribile, normalmente, e dopo trovare qualcosa che mi faccia pensare “penso di potermelo mettere per qualche ragione”. Immagino di voler descriverla così pensando alle altre persone che scelgono i loro vestiti, cercando di conciarsi nella maniera in cui vogliono apparire - a volte è bello sapere che ci sono altre persone che si sentono così negative verso loro stesse esattamente come te. Beh, comprare i vestiti può essere abbastanza difficile! Molte volte succede quando bisogna comprare un costume da bagno - almeno per me è il momento in cui mi sento meno sincronizzata con l’idea che ho di me, così può essere una esperienza davvero stressante. Quella sensazione di “non c’è nessuna versione di me che assomiglia alla mia idea”. Non so. Come sono arrivato a vestirmi in modo femminile intorno ai miei venticinque anni, è successo tempo fa. Mi sentivo come una bambina di tredici anni. Mi stavo truccando gli occhi in maniera terribile. Guardavo le foto di modelle e [fa un verso di disappunto]. A volte penso solo di voler iniziare a vestirmi solamente di nero. Sto cominciando a pensare all’idea di diventare “gotico”. Non sono sicuro di farlo sul serio, ma ho avuto una settimana davvero deprimente ed ho pensato alla cultura di coloro che si definiscono “gotici”. Stavo prendendo solo cose nere da indossare; ho pensato che, se mi fossi concentrato sul sentirmi male, mi sarei sentito meglio. La maggior parte delle persone solitamente cerca di non mostrare le proprie emozioni e soprattutto cerca in tutti i modi di nasconde la depressione; nessuno vuole vederti triste. Anche io mi sono sempre comportato così e adesso è arrivato il momento di cambiare. Concludendo, nuove canzoni? Stai scrivendo qualcosa? Come ti senti? Sto cercando di fare qualcosa di nuovo, di molto diverso e di decisamente migliore rispetto a ciò che ho fato nel tempo. Quindi sono in fase sperimentale, sto provando.

" Questo grafico è stato creato come una sorta di istogramma per evidenziare la lunghezza di ognuno degli articoli della cover story. Come per le immagini anche a questi è associato un numero per individuare l’articolo cui ci si riferisce.

4

Il progetto: La struttura della rivista


144

LEGENDA:

ADV

APERTURA

ARTICOLO 1

COVER STORY

“Me vs. Others”

ARTICOLO 2 “Sì! A-WA! Yeah!”

ADV

ADV

ARTICOLO 3 “In bilico tra due culture”

ARTICOLO 4 “Di genere non conforme alle proprie ossa”

Il progetto: La struttura della rivista

Immagini

Testo


145

La distribuzione degli articoli

$

È importante sottolineare anche la consecutio con la quale gli articoli sono stati inseriti all’interno della rivista. Il primo articolo ha una composizione prevalentemente fotografica, il secondo e l’ultimo sono invece prevalentemente testuali ma non molto lunghi. L’articolo centrale è invece il più complesso in cui testo e immagini si trovano a convivere e condividere lo spazio della pagina. Di questo ne parleremo più approfonditamente in seguito nel capitolo sulle scelte grafiche. Anticipiamo però alcune delle immagini relative ai quattro articoli in modo tale da poter riconoscere, in seguito, le storie dei quattro artisti. Nella pagina seguente è possibile visionare il grafico di distribuzione degli articoli sulla disponibilità delle pagine dedicate alla cover story. Per il timone completo consultare, invece, l’appendice.

La copertina, l’identità del numero zero della rivista

$

A questo punto è possibile procedere con una breve anticipazione di quello che sarà il progetto grafico della rivista partendo dalla decisione effettuata sul cosa rappresentare in copertina. L’articolo sulla fotografa Laurence Philomène è quello di apertura della cover story e, così, anche in copertina vi è una sua fotografia appartenente al servizio fotografico “Me Vs. Others”. La costruzione della copertina è stata una delle parti più difficili dell’intero progetto e ne sono state fatte moltissime prove prima di arrivare al disegno definitivo. Nelle pagine seguenti mostreremo solo alcune delle ultime prove relative alla fase finale di progettazione della cover indicando le motivazioni che hanno portato alla scelta finale dell’immagine di copertina. Il ruolo fondamentale della copertina implicava dunque un attento ragionamento sulla scelta fotografica dovendo ovviamente tenere conto dell’idea che la copertina volesse passare al possibile lettore: una figura inusuale, dal corpo non perfetto e un volto non da star. Una figura che potesse attrarre e suscitare quel tipo di emozioni che l’intera rivista vorrebbe poter trasmettere. Prima dunque di poter controllare alla perfezione la composizione tipografica della copertina vi era il bisogno di scegliere la fotografia che diventasse il simbolo della discussione sull’identità.

) Porzione di TIMONE per mettere in evidenza unicamente l’articolo di copertina. In tal modo è possibile visionare il rapporto tra immagini e testo così come la distribuzione degli articoli. [1] Il primo articolo che è principalmente fotografico occupa 9 pagine compresa l’apertura sulle 29 pagine totali dell’intera storia di copertina. [2] Il secondo articolo è più breve e principalmente testuale; occupa solo 3 pagine. [3] L’articolo più esteso e più complesso è il terzo e vi si può notare un bilanciamento continuo tra immagini e testo. [4] L’ultimo articolo, prevalentemente testuale, occupa le ultime 4 pagine della storia di copertina.

Il progetto: La struttura della rivista


146

Cath Caldwell e Yolanda Zappaterra spiegano, nel volume Editorial Design, l’importanza del colore in copertina e scrivono così: “I loghi verdi su fondo blu non vendono. Il rosso vende. Le bionde in copertina vendono più delle brune. Il giallo è visto solitamente come una scelta impopolare per una copertina”. Ammettendo siano tutte convenzioni nel design, nel testo si dice anche che l’importante è che il colore sia utilizzato per avere un impatto emotivo sul consumatore finale. È questo che la rende una buona immagine. Il giallo è un colore che risalta e che si fa notare. La fotografia, dal punto di vista cromatico, è accattivante e il soggetto ha un’aria fresca e leggera. È interessante il fatto che, nella copertina del numero zero di Zazie, non si riconosca alcun volto, nonostante vi sia ritratto un personaggio. Aleggia dunque un velo di mistero nonostante il fatto che, dalla fisicità del soggetto, si possa intuire si tratti di una figura femminile. La vistosa parrucca arancione fa del personaggio un soggetto atipico riuscendo però a non svelare la sua identità. La copertina, costruita su questa immagine, riesce a trasmettere un senso di leggerezza e di vivacità che invece non avevano le altre idee di copertina (è possibile confrontarle a pagina 150-151). Essendo la cover story un accostamento di storie diverse sulla ricerca e costruzione dell’identità di personaggi differenti, si è ritenuto importante non spostare eccessivamente il discorso in copertina verso uno di questi argomenti in particolare; ad esempio verso l’idea di accettazione del proprio corpo o del proprio colore della pelle o della propria cultura (si potrà comprendere meglio questa discussione andando a studiare le altre possibili immagini di copertina mostrate all’inizio del capitolo successivo.) L’immagine scelta rimane invece piuttosto neutra e si fa icona di un discorso sull’identità che non è necessariamente triste e sofferto, ma che rimane in bilico tra gioco e serietà. Un’immagine allegra che vuole attrarre il lettore e portarlo nel mondo un po’ dolce un po’ pungente di Zazie. È da qui che ha inizio la storia di Zazie Magazine, dal desiderio e dalla necessità di libertà, di accettazione, di rimodellazione degli standard costituiti. Per conoscere le cose, le differenze, le virtù e le negatività dell’altro. Per far rivivere la ricchezza e dimenticare l’omologazione.

Il progetto: La struttura della rivista


Costruirsi un’identità tra cultura, geografia, sesso e religione

Nr. zero / Primavera 2017

ITA € 10,00

Il femminile per allentare una vita che sta stretta



Scelte grafiche

149

n questo capitolo verranno spiegate in dettaglio tutte le scelte grafiche del progetto a partire dall’elaborazione della testata e della copertina per poi passare alla progettazione dell’interno. Per arrivare alla versione finale della copertina di Zazie sono state intraprese molteplici strade, sono state varcate diverse ipotesi ed effettuate moltissime prove (che sarà possibile consultare in appendice). Anche la testata ha subito molte evoluzioni e prima di arrivare alla scelta definitiva si è passati per diverse opzioni. La versione finale è stata costruita a partire dalla font Noe Display (utilizzata all’interno del magazine per il testo e per i titoli unicamente nella sezione cover story). È una font graziata molto dura, ad alto contrasto e di carattere piuttosto deciso. Non disponendo della versione maiuscoletto del Noe Display, si è deciso di elaborare la testata a partire dal maiuscoletto della versione bold del Noe Text modificandone il contrasto; questo è stato duque accentuato in modo tale da costruire il maiuscoletto della versione bold del Noe Display. Qui sotto le due font a confronto e sotto ancora le linee di costruizione della testata.

I

La costruzione della testata

$

" Qui a lato: Noe Display e Noe Text bold a confronto. Per la costruzione della testata sono state modificate le lettere del maiuscoletto del Noe Text necessarie alla composizione di ZAZIE. % Le linee di costruzione per l’elaborazione della testata.

Noe Display bold NOE DISPLAY BOLD

zazie ZAZIE

Noe Text bold NOE TEXT BOLD noe text small caps

zazie ZAZIE zazie

Il progetto: Scelte grafiche


150

La costruzione della copertina

$

Testata, tagline e riferimento al numero in uscita. Qui sotto ci sono una parte delle tantissime prove effettuate prima di arrivare alla scelta finale, comprese prove di testata e sistemazione degli elementi della pagina. Nella pagina a fianco è possibile invece visionare le linee di costruzione della copertina finale mentre, nelle due pagine che seguono, sono state inserite le idee di copertina che hanno lottato fino alla fine per prendere il posto della versione finale. Le motivazioni della scelta della copertina qui a lato sono già state spiegate alla fine del capitolo precedente; le ragioni che hanno reso le altre idee competitive con la scelta finale possono essere invece consultate nelle pagine a seguire.

femminile di cultura e lifestyle per allentare una vita che va stretta

primavera 2017

il femminile per allentare una vita che va stretta

numero zero primaevra 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

numero zero primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr.zero primavera 2017

€ 0‚00 $ 0‚00 £ 0‚00

Costruirsi un’identità

nr. zero / primavera 2017

nr. zero / primavera 2017

15.00€

il femminile per allentare una vita che sta stretta

sesso e religione

15.00€

- pag.60

- pag.60

SESSO

pag.60

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

il femminile per allentare una vita che sta stretta

sesso e religione

GEOGRAFIA,

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità

il femminile per allentare una vita che sta stretta

TRA CULTURA,

identità

Laurence Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

nr.zero primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚

UN’IDENTITÀ

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

il femminile per allentare una vita che sta stretta

tra cultura‚ geografia‚

CREARSI

Costruirsi un’identità

nr.zero primavera 2017

nr. zero / primavera 2017

E RELIGIONE

il femminile per allentare una vita che sta stretta

15.00€

numero zero

15.00€

nr. zero / primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr. zero / primavera 2017

il femminile per allentare una vita che va stretta

nr. zero primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione 15.00€

COSTRUIRSI UNA PROPRIA IDENTITÀ Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

€ 0‚00 $ 0‚00 £ 0‚00

il femminile per allentare una vita che va stretta

nr. zero primavera 2017

Costruirsi un’identità Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Laurence Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

ITA €10,00

15.00€

15.00€

15.00€

Costruirsi un’identità

Nr. zero / Primavera 2017

Costruirsi un’identità tra cultura geografia sesso e religione

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

ITA €10,00

numero zero

Nr. zero / Primavera 2017

Costruirsi un’identità tra cultura, geografia, sesso e religione


Costruirsi un’identità tra cultura, geografia, sesso e religione

Nr. zero / Primavera 2017

ITA € 10,00

Il femminile per allentare una vita che sta stretta


152

&

&

Fotografia di Laurence Philomène. Questa opzione di copertina è rimasta tra le vincenti fino all’ultimo. L’immagine è forte, molto intensa e rappresenta benissimo il pensiero della rivista. Il colore della pelle della ragazza, nocciola scuro e quegli occhi neri, di una profondità incredibile, che guardano con timidezza il lettore; la sua figura imperfetta, le sue curve morbide, la sua posizione non elegante, i suoi vestiti un po’ stretti e quella parrucca arancione, palesemente non sua, rendono il personaggio e l’immagine estremamente interessante. Non è di certo la classica ragazza da copertina e non lo dimostra né la sua figura né il suo sguardo eloquente. Sarebbe un’ottima icona per un magazine come Zazie, un femminile atipico. Nonostante ciò, in fase finale, è stata scelta la fotografia mostrata in precedenza perché più ‘leggera’, più enigmatica, meno esplicativa rispetto alla qui presente. Si è ritenuto che questa immaggine evocasse molto di più un’idea di serietà e che, legata al titolo ‘Costruirsi un’identità’, portasse immediatamente il possibile lettore ad un discorso troppo improntato sulla fisicità o sulla razza. L’immagine in giallo rimane invece più ‘misteriosa’, più frivola e allegra mantenendo quell’equilibrio tra gioco e serietà che l’intera rivista di Zazie si è premurata di costruire.

Fotografia di Laurence Philomène. Molto interessante per il suo carattere atipico. I colori decisi, il corpo parzialmente nudo, l’idea di ‘normalità’ che emana il personaggio, sono gli elementi che hanno portato avanti la discussione su questa idea di copertina. Una delle caratteristiche che si voleva ottenere da Zazie, nella prima fase di progetto, era la possibilità di mettere ‘a nudo’ i personaggi, di poterne mostrare con semplicità i loro difetti fisici oltre che caratteriali. Si è ritenuto tuttavia che questa immagine spostasse eccessivamente il discorso sull’eccentricità o sul nudo, argomenti di cui la storia di copertina non si fa realmente carico.

Il progetto: Scelte grafiche


153

&

&

Fotografia di Laurence Philomène. Questa opzione risultava molto interessante dal punto di vista cromatico. Due colori: azzurro e arancio. Uno freddo e uno caldo. Un’immagine semplice ed emblematica. Accostata al titolo ‘identità’ potrebbe far pensare che dietro quella parrucca ci possa essere un volto di donna, così come un volto di uomo. Il termine ‘sesso’ del sottotitolo intende infatti riportare all’idea di genere, ripresa in una storia in particolare della cover story. Tuttavia l’immagine risultava essere meno forte rispetto alle due precedentemente messe in evidenza e così è stata scartata.

Fotografia di Laurence Philomène. Anche questa fotografia risultava essere molto interessante dal punto di vista cromatico. Rispetto alla prima presa in esame in questa doppia pagina, l’immagine lasciava più spazio e più libertà per la composizione tipografica del titolo. Il volto di profilo rivelava una persona di colore, anche lei una ragazza non da copertina. La solita parrucca arancione è il punto di interesse dell’immagine e anche in questo caso avrebbe costituito un bel focus sulla quale soffermarsi. Tuttavia anche questa immagine risultava essere meno forte delle precedenti e inoltre la tristezza che si può leggere sul volto della ragazza avrebbe potuto rimandare ad un’idea di un complesso ‘costruirsi un’identità’, un processo sofferto, riportando il lettore ad una serietà che non è così decisa all’interno della cover story.

Il progetto: Scelte grafiche


154

Le font e la gerarchia

" Noe Display bold 30 pt Utilizzato per i titoli nell’articolo di copertina.

$

Dopo aver effettuato diverse prove di ricerca per decidere l’impostazione grafica della rivista, sono state scelte le font istituzionali della rivista. Qui sotto sono riportate comprese di tutte le varianti di peso utilizzate. Di seguito viene riportato anche uno schema utilizzato per individuare la gerarchia degli elementi nella pagine.

Noe Display bold Noe Text book Noe Text book italic

" Noe Text regular 9 pt È il carattere da testo di tutta la rivista.

" Aperçu Pro Bold 30 pt È utilizzato per i titoli in tutte le altre sezioni.

Noe Text regular Noe Text regular italic Noe Text semibold Noe Text semibold italic

Aperçu Pro bold Aperçu Pro bold Aperçu Pro regular

" Aperçu Pro Regular, Bold 8 pt, 7 pt Utilizzati rispettivamente per note o articoli spalla i primi e gli altri per le didascalie.

Il progetto: Scelte grafiche

Aperçu Pro bold Aperçu Pro regular Aperçu Pro bold ()*+$ Aperçu Pro regular )*&+"


155

Differenze tra Cover story e sezioni

$

La cover story ha una impostazione diversa rispetto alle altre sezioni e si ipotizza possa essere molto variabile a seconda dei numeri in uscita. Ogni cover story di ogni numero potrà avere la sua impostazione grafica mantenendo come elemento fisso la gerarchia sotto mostrata. Per tutte le altre sezioni invece i titoli sono in Aperçu Pro Bold e la grandezza e disposizione nella pagina varia da sezione a sezione.

Titolo Titolo

+4

+3

Sottotitolo

Sottotitolo

+2

Introduzione

Introduzione

& Cover story

& Le altre sezioni

+1

text attribute

0

Flat type (testo)

Firma articolo

-1

-2

Note

-3

Didascalie

-4

Navigazione

Numero di pagina

&

& Comuni a tutte le sezioni

Il progetto: Scelte grafiche


156

La griglia

$

Una volta deciso il carattere del testo, la dimensione del corpo e la sua interlinea, si è andata a costruire la griglia della rivista. Nella pagina a fianco è stata inserita la gabbia così come è stata costruita per la rivista. Le linee rosse riportano le linee di base, quelle blu riprendono la divisione in colonne e i margini sono rappresentati dal riquadro rosso, riconoscibile perché leggermente più spesso. Sono stati inseriti gli elementi fissi della pagina, ovvero numero di pagina (in basso) e navigazione (in alto) ed è stato anche inserito del testo, con nota annessa, in modo tale da poter rendere più chiara la struttura. Costruita su sei colonne, la distanza tra queste è uguale alla distanza tra le linee di base (11pt). Le colonne di testo variano a seconda della composizione grafica delle sezioni o degli articoli; possono essere costruite su un minimo di due colonne fino a un massimo di quattro. Per quanto riguarda le note (Aperçu Pro, corpo 8pt e interlinea 10pt) e le didascalie (Aperçu Pro, hanno corpo 7pt e interlinea 9pt) è stato deciso di appoggiare alle linee di base solo la prima riga del pacchetto di testo (o in alcuni casi l’ultima).

I colori

$

In tutta la rivista è stato deciso di utilizzare solo due colori che si intende mantenere fissi durante il corso delle varie pubblicazioni. I colori scelti sono due varianti del rosso e del blu, i codici colore sono riportati qui sotto. I due colori vengono spesso utilizzati (quando non si vogliono usare il rosa e l’azzurro) per differenziare i campi femminili da quelli maschili. In questo progetto i due colori non vengono mai associati o utilizzati per differenziare due categorie, a volte sono utilizzati per separare gli elementi appartententi al testo da articoli spalla non legati strettamente ad esso. Ad esempio, nell’articolo di copertina, gli elementi in rosso sono utilizzati per riportare note o articoli spalla collegati al testo dell’articolo principale (nella pagina a fianco è stato riportato un estratto del secondo articolo della ‘cover story’ dove all’interno del testo è stato scelto di evidenziare alcuni riferimenti e approfondirli a lato. Ad esempio la nota numero 1 spiega chi siano i Dinka - citati dall’intervistata -). Gli elementi blu sono invece utilizzati per sottolineare qualcosa di strettamente legato al testo (è ad esempio utilizzato per i testi di introduzione all’articolo). Le altre sezioni non seguono necessariamente questo codice colore che si modifica a seconda del senso che gli si vuole dare; le didascalie alle immagini, invece, sono solite essere di colore rosso. Nelle pagine successive sono riportati alcuni esempi. c000 m80 y54 k0

c100 m90 y10 k0

Il progetto: Scelte grafiche


Navigazione

Ero al secondo anno di università (quarto anno della scuola d’arte) e non stavo facendo assolutamente niente di buono. Scrivevo molte note sui testi che stavo studiando e facevo tutorials su tutti quegli argomenti che pensavo fossero sbagliati secondo me. In più ero piuttosto paranoia nei confronti della noia, scrivevo certe piccole note scarabocchiate come fossero lettere all’editore ma in lingua Dinka 1 , anche se non sapessi bene come scrivere in Dinka. Ho scritto le parole seguendo il loro suono. Non stavo praticamente lavorando, e non ero interessata particolarmente a niente di teorico perché mi rendeva furiosa. Così ho iniziato a leggere e rileggere testi di colonizzazioni. È stato durante una notte in cui stavo facevo di tutto tranne i compiti che sono arrivata ai lavori di Philip Kwame Apagya 2 . È un fotografo del Ghana che è conosciuto per le sue fotografia in studio con fondali dipinti di “fantasia” con cui le modelle interagiscono. Quando ho visto questi lavori, ne sono stata completamente ispirata e ho iniziato a scrivere messaggi ai miei amici per tenersi liberi nel giorno seguente, così ho iniziato le mie fotografie. In quel periodo, non avevo una idea specifica su ciò che volevo comunicare, ma sono sempre stata interessata nel decolonizzazione e critica delle narrative Eurocentriche. Così, quando ho trovato questa arte che ho amato immediatamente e che non era incentrata sui bianchi, né li prendeva in considerazione, e che era creata da e per persone nere Africane tanto da celebrarne e mostrarne la realtà dal nostro punto di vista; ho capito che volevo creare qualcosa di simile che potesse comunicare le mie emozioni come questi lavori hanno saputo fare.

I Dinka sono una tribù del Sudan del Sud. Abitano nelle regioni di Bahr al Ghazal, Kordofan del sud, Jonglei e Alto Nilo. Per via dei loro diversi credi religiosi e stili di vita i Dinka hanno dichiarato guerra nel 1983 al Governo Islamico di Khartoum, capeggiati da John Garang De Mabior sotto il partito dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan (S.P.L.M.). Il conflitto durò 21 anni ed è conosciuto come la Seconda Guerra Civile Sudanese, durante la quale persero la vita molti Dinka. I Dinka dichiararono guerra anche alle tribù dei Nuer. Gruppi di rifugiati di guerra Sudanesi, appartenenti ai Dinka, possono essere trovati a Jacksonville, Clarkston un quartiere in Atlanta, e a Edmonton nel Canada. La loro esperienza è stata narrata in molti libri, canzoni e filmati. Nel 2004 il primo volume del romanzo grafico “Echoes of the Lost Boys of Sudan” fu distribuito a Dallas, Texas. Le varie esperienze dei rifugiati Dinca furono narrate nei documentari “The Lost Boys of Sudan di Megan Mylan e Jon Shenk” e nel libro di Mark Bixler.

ED

1

& Nota (8/10 pt)

& Testo (9/11 pt) su 3 colonne

Margini "

Fine della pagina "

00

Bleed area "


% doppia pagina esempio Storia di copertina

158

74 Il progetto: Scelte grafiche


doppia pagina esempio % Vite in bilico tra due culture

I Dinka sono una tribù del Sudan del Sud. Abitano nelle regioni di Bahr al Ghazal, Kordofan del sud, Jonglei e Alto Nilo. Per via dei loro diversi credi religiosi e stili di vita i Dinka hanno dichiarato guerra nel 1983 al Governo Islamico di Khartoum, capeggiati da John Garang De Mabior sotto il partito dell’Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan (S.P.L.M.). Il conflitto durò 21 anni ed è conosciuto come la Seconda Guerra Civile Sudanese, durante la quale persero la vita molti Dinka. I Dinka dichiararono guerra anche alle tribù dei Nuer. Gruppi di rifugiati di guerra Sudanesi, appartenenti ai Dinka, possono essere trovati a Jacksonville, Clarkston un quartiere in Atlanta, e a Edmonton nel Canada. La loro esperienza è stata narrata in molti libri, canzoni e filmati. Nel 2004 il primo volume del romanzo grafico “Echoes of the Lost Boys of Sudan” fu distribuito a Dallas, Texas. Le varie esperienze dei rifugiati Dinca furono narrate nei documentari “The Lost Boys of Sudan di Megan Mylan e Jon Shenk” e nel libro di Mark Bixler.

Ero al secondo anno di università (quarto anno della scuola d’arte) e non stavo facendo assolutamente niente di buono. Scrivevo molte note sui testi che stavo studiando e facevo tutorials su tutti quegli argomenti che pensavo fossero sbagliati secondo me. In più ero piuttosto paranoia nei confronti della noia, scrivevo certe piccole note scarabocchiate come fossero lettere all’editore ma in lingua Dinka 1 , anche se non sapessi bene come scrivere in Dinka. Ho scritto le parole seguendo il loro suono. Non stavo praticamente lavorando, e non ero interessata particolarmente a niente di teorico perché mi rendeva furiosa. Così ho iniziato a leggere e rileggere testi di colonizzazioni. È stato durante una notte in cui stavo facevo di tutto tranne i compiti che sono arrivata ai lavori di Philip Kwame Apagya 2 . È un fotografo del Ghana che è conosciuto per le sue fotografia in studio con fondali dipinti di “fantasia” con cui le modelle interagiscono. Quando ho visto questi lavori, ne sono stata completamente ispirata e ho iniziato a scrivere messaggi ai miei amici per tenersi liberi nel giorno seguente, così ho iniziato le mie fotografie. In quel periodo, non avevo una idea specifica su ciò che volevo comunicare, ma sono sempre stata interessata nel decolonizzazione e critica delle narrative Eurocentriche. Così, quando ho trovato questa arte che ho amato immediatamente e che non era incentrata sui bianchi, né li prendeva in considerazione, e che era creata da e per persone nere Africane tanto da celebrarne e mostrarne la realtà dal nostro punto di vista; ho capito che volevo creare qualcosa di simile che potesse comunicare le mie emozioni come questi lavori hanno saputo fare.

ED

1

Quando hai iniziato il lavoro di shooting in studio, come hai fatto a decidere chi avresti fotografato? Le tue modelle comunicano tanta saggezza, intelligenza e spesso anche sfrontatezza, nei loro sguardi. Avevi una qualche relazione con loro prima di fotografarli? ED

Philip Kwame Apagya (nato nel 1958) è un fotografo ganese che si è specializzato in ritratti da studio su fondali dipinti. Ha studiato fotogiornalismo alla Scuola Accra School of Journalism prima di aprire il suo studio a Shama, sulla costa occidentale del Ghana, nel1982. Vive e lavora in Shama, Ghana. Le sue fotografie sono esposte in molte collezioni, anche al Metropolitan Museum of Art di New York, e allo Studio Museo di Harlem, New York. Ha esposto al Museum of Contemporary Photography a Chicago, al Sheldon Art Galleries in Nebraska, e al Philadelphia Museum of Art, per nominarne alcuni.

2

! No place like home, 1996

75


160

%

%

%

Per richiamare nel testo intervistatore e intervistata sono state utilizzate le due iniziali del nome. Rispettando il codice colore anch’esse sono blu. In un primo momento si è pensato potessero essere una rossa e una blu per poter distinguere gli interlocutori in modo ancor più rapido ma questa scelta sarebbe andata in conflitto con gli altri articoli spalla (vedi immagine nella pagina precendente).

Introduzione agli articoli della cover story in Aperçu Pro Bold 8/10pt di colore blu.

Pagina speciale che approfondisce la vita di Atong Atem, la fotografa intervistata nell’articolo, per poter far conoscere al lettore qualcosa in più della sua biografia e dei suoi spostamenti. Testo direttamente relazionato all’articolo quindi di colore blu.

Il progetto: Scelte grafiche


161

Gli ‘speciali’

$

All’interno del magazine si possono trovare tre pagine, distribuite in diverse sezioni, con lo sfondo colorato. Sono pagine ‘speciali’ che contengono un approfondimento particolare all’articolo alla quale sono affiancate. L’esempio qui a sinistra è il secondo visibile all’interno della rivista e si trova nel terzo articolo della ‘cover story’. Questa pagina è stata costruita per approfondire la figura della protagonista dell’articolo, ovvero la fotografa intervistata, in modo tale da poter raccontarne una breve biografia e riassumere in un grafico gli spostamenti della sua famiglia. Come accennato poco sopra il colore del testo rispetta il codice assegnato alla ‘cover story’ ed è infatti un testo di argomento strettamente legato al principale. Gli altri due ‘speciali’ sono riportati qui sotto. Il primo è un approfondimento cinematografico sui film che affrontano la tematica dell’aborto più belli dal 2000 ad oggi. Il secondo è invece un approfondimento ad un articolo della sezione ‘weirdosss’ che mette in evidenza alcune storie di maltrattamenti tramandate dal progetto ‘whereloveisillegal’ di cui parla l’articolo.

%

%

Speciale film. Approfondimento sui film che hanno raccontato qualcosa sull’aborto dal 2000.

Speciale ‘whereloveisillegal’. Approfondimento sezione ‘weirdosss’.

Il progetto: Scelte grafiche


162

Le aperture di sezione

$

È già stata mostrata in precedenza la struttura della rivista ed è quindi già stato accennato il numero totale di sezioni che compongono la rivista. Qui sotto sono state riportate tutte le aperture di sezione in ordine di apparizione. Nelle pagine a seguire sono state raggruppate per elementi simili. Come è già stato accennato in precedenza alcune sezioni aprono con una cover; questi sono: ‘connessioni’, ‘storia di copertina’, ‘weirdosss’, ‘exposure’, ‘portfolio’ e ‘recensioni’. Aprono invece direttamente sull’articolo quelle sezioni che sono composte di una sola storia ovvero le due rubriche (‘incontri’ e ‘storie da ricordare’) e la sezione ‘reportage’ che si distanzia per contenuti e composizione grafica dall’intera rivista.

1 " Sezione Connessioni apertura (cover) su pagina singola. ATT: sezione di apertura della rivista. Gusto un po’ pop. Questa sezione avrà sempre un tema portante declinato sotto diversi aspetti (culutra pop, politica, sesso e soldi). In questo caso si parla di aborto e lo si fa soprattutto attraverso i telefilm. In questo modo si riesce ad alleggerire il peso di un tale argomento, che è inoltre accompagnato da una grafica allegra e un po’ pop. L’impostazione grafica di questa sezione rimarrà dal gusto pop declinandosi ovviamente a seconda dei contenuti.

2 " Sezione Incontri apertura su pagina singola. ATT: Questa sezione si compone di un solo articolo, strutturata su quattro pagine è una sezione rubrica.

Il progetto: Scelte grafiche


163

3 $ Sezione Reportage apertura (su articolo) su doppia pagina. ATT: cambio direzione lettura e cambio carta per evidenziare differenza di questa sezione dal resto del magazine.

4 " Storia di copertina apertura (cover) a destra su pagina singola. ATT: I box sono caratteristica di questa sezione che si prevede possa essere tuttavia molto libera nei prossimi numeri della pubblicazione.

5 " Sezione Profilo apertura su pagina singola. ATT: Questa sezione si compone di un solo articolo, strutturata su quattro pagine è una sezione rubrica.

Il progetto: Scelte grafiche


164

6 " Sezione Weirdosss apertura (cover) su doppia pagina. ATT: La sezione è la seconda più importante e sostanziosa della rivista. Ha un’apertura molto forte che la renda ben riconoscibile.

7 " Sezione Incontri apertura su pagina singola. ATT: Questa sezione si compone di un solo articolo, strutturata su quattro pagine è una sezione rubrica.

8 " Sezione Profilo apertura su pagina singola. ATT: Questa sezione si compone di un solo articolo, strutturata su quattro pagine è una sezione rubrica.

Il progetto: Scelte grafiche


165

9 " Sezione Recensioni apertura (cover) su pagina singola. ATT: Questa è l’ultima sezione del magazine. Viene mostrata ora perché, come le altre mostrate in precedenza, ha una sua caratterizzazione particolare. La sezione sarà infatti sempre costruita su box neri e accompagnata da piccole icone che verranno evidenziate a seguire.

Le sezioni simili

$

Le sezioni che sono state messe in evidenza appena sopra sono state ordinate secondo la loro apparizione nella rivista ricalcando quindi quello che è il timone della stessa. In questo modo è stato possibile evidenziare la successione delle sezioni ed in particolare delle aperture di queste ed esplicitarne il ritmo visivo. Le pubblicità affiancate alle aperture su pagina singola (sempre sulla destra) sono un importante elemento che aiuta alla costruzione dell’armonia del prodotto editoriale fungendo da pausa, da spazio per riprendere fiato prima di ricominciare la prossima battuta. Nelle due pagine che seguono sono state mostrate le aperture di sezione (escluse le pubblicità) per poterne evidenziare gli elementi simili tra sezioni parallele. Sono state dunque raggruppate a seconda della loro funzione così da rendere più visibile il loro disegno. La sezione più importante della rivista è ovviamente la storia di copertina che ha una sua apertura ‘cover’ nella quale vengono presentati gli articoli che ne faranno parte. Questa sezione è stata pensata per essere molto diversa dal resto della rivista quindi ben riconoscibile. È l’unica sezione ad utilizzare una grafica diversa (vedere gerarchia a pag. 155 e a pag. 172 le immagini di riferimento). La seconda sezione per importanza e contenuti è quella composta dai servizi che trattano le tematiche di genere costituendo quindi il cuore del progetto. Questa sezione è stata chiamata ‘Weirdosss’ volendo sottolineare con ironia quella ‘non-normalità’ delle storie che vi vengono raccontate all’interno. Apre questa sezione un articolo dedicato a David Bowie e scritto da Laurie Penny; è proprio la lettura di questo testo che riesce a raccontare a pieno il significato e il motivo per cui questa sezione è stata creata. David Bowie è colui che ci ha permesso di essere strani, ha reso “ok to be weird”. È il personaggio che ha ispirato l’intera sezione ed era quindi doveroso permettere lui di aprire le danze. Le altre sezioni sono spiegate in breve di seguito. Il ‘Reportage’ che è un articolo che prende un po’ le distanze dai temi prettamente ‘femministi’; le due rubriche che rimarranno fisse nelle prossime pubblicazioni (presentando la prima un’intervista e la seconda un personaggio che ha fatto la storia) così come rimarranno fisse la sezione moda (chiamata ‘Exposure’) e quella ‘Portfolio’. Ultime mostrate sono le due sezioni più particolari: ‘Connessioni’, ovvero un raggruppamento di articoli su Cultura pop, soldi sesso e politica e ‘Recensioni’, sezione conclusiva della rivista.

Il progetto: Scelte grafiche


166

La storia di copertina

$

struttura libera. ciò che rimane fisso è la scelta e gerarchie delle font ma l’impostazione grafica seguirà il tema della storia di copertina.

Weirdosss (sez. fissa)

$

servizi

Reportage cambio orientamento cambio carta

Il progetto: Scelte grafiche

$


167

Le rubriche (sez. fisse)

$

struttura simile delle due rubriche impostazione su quattro pagine apertura a destra su singola chiusura a sinistra su singola

Moda e portfolio (sez. fisse)

$

impostazione simile tra le due sezioni apertura su singola a destra stessa impostazione strilli

Sezioni particolari (sez. fisse)

$

sx: prima sezione della rivista: connessioni dx: ultima sezione della rivista: recensioni

Il progetto: Scelte grafiche


168

Gli elementi fissi

" Navigazione 1) Weirdosss 2) Profilo 3) Incontri 4) Exposure 5) Portfolio

% Strilli 1) Weirdosss 2) Exposure 3) Portfolio

Il progetto: Scelte grafiche

$

Qui sotto sono stati messi in evidenza gli elementi di navigazione nelle aperture. Questi sono stati disegnati perchĂŠ potessero essere uguali per tutte le aperture delle sezioni fisse. Sempre sotto sono stati messi in evidenza anche gli strilli che indicano gli articoli presenti in una data sezione. Per le sezioni fisse anche questi sono stati costruiti perchĂŠ mantenessero la stessa struttura.


169

Le icone

$

Si è ritenuto opportuno mettere in evidenza anche tutte le icone che sono state disegnate per la rivista. La maggior parte di queste sono state pensate e disegnate per accompagnare i testi e le diverse elaborazioni nella sezione ‘recensioni’. Essendo questa costituita da box e piccoli paragrafi si è ritenuto interessante aggiungere alcune icone per accompagnare l’occhio del lettore verso le informazioni più importanti. Sono state disegnate anche delle icone per la sezione ‘profilo’ utili a raccontare in modo semplice ed immediato le vittorie della protagonista dell’articolo: Billie Jean King.

" Icone della sezione ‘recensioni’. Sono state utilizzate a dimensioni molto ridotte ed è per questo che qui lo spessore delle linee appare molto più pesante. Nella doppia che segue è stata riportata una doppia della sezione recensioni per poter mostrare le icone qui a lato in utilizzo. film, telefilm

mostre, esposizioni

musica

lettura

" Icone della sezione ‘profilo’. Sono state disegnate per evidenziare le vittorie di Billie Jean King e riportano dunque il disegno delle coppe delle gare specificate.

coppa

coppa

coppa

coppa

Australian Open

French Open

Wimbledon

U.S. Open

coppa

Il progetto: Scelte grafiche


% doppia pagina esempio

MUSICA

L A C A N Z O N E P I Ù B E L L A : Phenomenal woman di Laura Mvula, guardate il video che è super colorato!

!

SOLANGE A Seat At The Table Uscita: 30 - 09 - 2016 Casa: Columbia Records

È il suo terzo album studio. Solange, sorella della regina Beyoncé, non cerca di scavare faticosamente uno spazio per sé - cosa che succedeva spesso per le artiste nere. Il suo desiderio di potere è chiaro. “Fall in your ways so you can wake up and rise,” canta nella track d’apertura Rise, poi nella seguente Weary ripete: “I’m weary of the ways of the world.” Andando avanti l’impegno politico e sociale di Solange è sempre più forte. Don’t Touch My Hair racconta del significato per le donne nere dei capelli in realzione all’identità.

!

FRANK OCEAN Blond Uscita: 30 - 09 - 2016 Casa: Columbia Records

Dopo quattro anni - sembrati un’eternità ai suoi più accaniti fans - esce Blonde che tuttavia non è l’album “game-changing” che molti si aspettavano. Però è sempre un album di Frank Ocean, caldo, romantico, melodico e invitante. Canzoni quali “Pink and White” e “White Ferrari” non potrebbero essere state scritte da nessun altro.

!

NONAME Telefone

"

Uscita: 30 - 09 - 2016 Casa: Columbia Records

KYLE DIXON & MICHAEL STEIN Stranger Things, Vol. 1 Uscita: 30 - 09 - 2016 Casa: Columbia Records

Rapper, viene da Chicago, si chiama Noname (in realtà Noname Gypsy). C’è voluto un anno perché terminasse il suo mixtape di debutto. Non c’è voluto poco per portare alla luce Telefone: è una collezione “crafted” delicata e meticolosa di rap gospel con racconti di storie molto umane di morte, violenza, aborto e povertà. Nonostante l’oscurità dei temi, Noname porta sempre qualcosa

Stranger Things è eccellente e decisamente nostalgico. Colmo di riferimenti ai lavori di Spielberg, John Carpenter, Stephen King e altre figure influenti nell’ambito anni ‘80 del genere sci-fi/horror. La colonna sonora chiama artisti come Tangerine Dream, i Goblin, e Wendy Carlos. Musiche d’atmosfera, suoni emozionanti belli d’ascoltare anche senza immagini.

158


doppia pagina esempio %

The Power Of The Mix Black Girls e altre novità ! di Dianca Potts

!

ALICIA KEYS Here Uscita: 4 - 11 - 2016 Casa: RCA Records

Alicia Keys rilascia il suo nuovo singolo dopo quattro anni di assenza. Oggi senza make-up abbandona il suo studio classico per un album “grittier R&B edge.” Sporca il suono del pianoforte che una volta suonava con dolcezza e aggiunge alla sua voce toni da chiesa, sconfinando in un old-school hip-hop fortificato da suo marito Swizz Beatz che anche questa volta partecipa all'album. Boom!

Quando ero adolescente, passavo i miei fine settimana con i miei amici ai concerti delle mie band preferite. Di solito questi concerti erano organizzaADIA VICTORIA ti al VFT, al locale YMCA Beyond the Bloodhounds o nel seminterrato della Uscita: 30 - 09 - 2016 Casa: Columbia Records Philly’s First Unitarian Church, e riuscivano ogni volta a farmi sentire in pace. Il fatto di essere l’unica donna di colore non mi preoccupava, ma le domande che mi ponevano le persone sì. “Non ascolti musica rap?” “Ai neri piace il rock?” La generale curiosità che provocava la mia presenza mi ha ricordato che, nonostante fossimo quasi nel 2000, per qualcuno vedere ragazze di colore ai concerti rock fosse strano. Ai loro occhi ero fuori contesto, in qualche modo stravagante. Un mistero vivente, che respirava. Quei giorni sono passati, oggi non permetto più domande del genere. Libri come “Che stai facendo qui?” di Laina Dawes e lunghe conversazioni con amici di colore che sono grandi amanti della musica come me, mi hanno fatto capire che non ho motivo di dare spiegazione sulla mia presenza in un determinato posto e che non è mia responsabilità educare coloro che sono ancora influenzati dal passato razzista del rock ‘n’ roll. Ai concerti posso contare sulle dita di una mano le persone di colore presenti nella folla, e mi immagino rappresentata sul palco.

159


172

I titoli e la gerarchia nelle pagine

$

% Qui sotto: titolazione del secondo articolo della ‘cover story’. " Nella pagina a fianco: immagine di apertura del terzo articolo della ‘cover story’.

È stata già descritta in un grafico di qualche pagina fa quella che è la gerarchia delle font nella rivista. A questo punto si ritiene opportuno riportare alcune pagine di esempio della rivista in modo tale da poterle raccontare con più attenzione. Qui sotto sono state riportate le titolazioni degli articoli facenti parte della storia di copertina. È già stata mostrata l’apertura di questa sezione; ogni articolo della ‘cover story’ si apre con una composizione di box in ‘outline’ che riquadrano il titolo, il sottotitolo e le informazioni principali dell’articolo ovvero: firma del testo e autore del servizio fotografico annesso. Vi è inoltre un piccolo box che contiene un numero che si riferisce al numero dell’articolo della ‘cover story’. Per quanto riguarda invece gli articoli delle altre sezioni, l’impostazione del titolo è molto differente e ognuno segue le regole della sezione cui fa parte. Ad esempio per quanto riguarda la prima sezione (‘Connessioni’) i titoli rispecchiano quel gusto pop dettato dalla pagina di apertura della sezione; tutti i titoli riprendono infatti lo stile della cover: Aperçu Pro Bold maiuscolo e in outline. Questa è la sezione che, insieme al ‘Reportage’ si allontana maggiormente dall’impostazione grafica del resto della rivista. A esclusione infatti della sezione appena menzionata tutte le altre presentano titolazioni composte in tal modo: Aperçu Pro Bold, 30pt, black. Ognuno è poi rielaborato a seconda del disegno della pagina riuscendo sempre ad ottenere una caratterizzazione riconoscibile. Nella doppia pagina che segue sono state riportate le pagine di apertura degli articoli (divisi rispettando le loro sezioni di appartenenza) in modo da poter esprimere visivamente ciò che è stato sopra affermato. Storia di copertina

" Sottotitolo (Aperçu Pro Bold 10/12pt)

La positività del trio Yemenita che, attraverso la loro musica, trasmette tradizioni e spiritualità 02

" Titolo (Noe Display Bold 30pt)

SÌ! A-WA! YEAH! Intervista di Diana Potts " Firma articolo (Aperçu Pro Bold 10/12pt)

Foto di Hassan Hajjaj $ " Credits foto (Aperçu Pro Bold 10/12pt)

DP TA Il progetto: Scelte grafiche

LI TH

Diana Potts Tair Haim Liron Haim Tagel Haim


pagina esempio % Storia di copertina

03

!

Vite in bilico tra due culture Fotografie di Atong Atem

69

Intervista di Emma Do


174

& Da sinistra a destra: tutte le aperture in ordine dei quattro articoli della prima sezione del mag. Seguono l’idea pop che è stata data all’apertura. I titoli sono tutti simili e ci sono elementi ricorrenti all’interno delle pagina come frecce o grafiche particolari. " In questa strisciata invece tutte le aperture degli articoli della sezione ‘weridosss’. La titolazione del primo articolo è parte della pagina di apertura sezione quindi non è stata riportata in questa sintesi. % Queste due doppie sono le aperture dei due articoli che fanno parte della sezione ‘exposure’. Anche in questo caso l’apertura di sezione integra il titolo del primo articolo.

Il progetto: Scelte grafiche


175

" Anche nella sezione ‘recensioni’, nonostante sia graficamente molto diversa dalle altre, mantiene una caratteristica importante per la continuità nelle titolazioni. Anche “La La Land. La rivincita del Musical” è scritto in Aperçu Pro Bold 30pt.

Il progetto: Scelte grafiche


% doppia pagina esempio Weirdosss

176

Affermazione di un neutro che ha bisogno di esistere di Cabot Lee-Petoia

Nella pagina a fianco: ! Ruby Rose Langheneim fotografie di Brad Triffitt direzione stilistica di Sasha Benz

Cosa significa e a cosa può significare lottare per quel neutro che vuole sconfiggere certe inutili divisioni “gendered”...

Il 2017 è alle porte e l’amore ha vinto sulla legge. Le cose stanno cambiando su larga scala per le comunità LGBTQIA+ anche in Italia. Dopo anni di discussioni sulla sessualità, il discorso oggi ha iniziato a sottolineare un nuovo soggetto: il gender. Il modo in cui si parla di genere sta cambiando velocemente. Target, negozio americano solitamente descritto come una magnifica oasi fluorescente in cui trovare tutto quel che potremmo volere, ha recentemente preso la decisione di non separare più le sezioni di giocattoli in “boys” e “girls”. Le compagnie stanno unificando quelle che erano le collezioni di giocattoli “gendered”, [vedi a pag. 106 il progetto di JeongMee Yoon “Ping and Blue”] quindi divise per genere. L’idea è quella di lasciare la decisione ai bambini in modo che possano scegliere ciò che preferiscono; in questo modo potranno sviluppare le loro personali opinioni, personalità e preferenze. Ma cosa succede al “gender” quando passiamo dalla sezione giochi di una grande corporazione alla vita reale, e ancor più importante, nella vita personale delle persone? Dopotutto la decisione del grande negozio americano era solo una questione di marketing, una mossa da businessman - una risposta alle domande che si stanno facendo le persone sui discorsi e i sentimenti relativi alla tematica del gender che in questi anni si è “THE ALPHABET SOUP” sempre più infocata. Cosa significa quindi “gender” per quelle persone che hanno la necessità di identi- Negli ultimi anni è aumentata sensibilmente la visibilità queer. ficarsi con il costrutto sociale del maschile versus C’è ancora molto da fare ma, femminile? Ruby Rose Langenheim, una modella alla sigla LGBT, sono state aggiunte super tatuata e d’alto profilo, artista, Dj e attrice, ha altre lettere. I confusi la chiamano cambiato dialogo sul genere a livello mainstream. “alphabet soup”. Queer, non da Ruby Rose ha dichiarato di essere lesbica a dodici tutti accettato, è il termine che anni, aveva pianificato la transizione da donna a cerca di fare da ombrello per tutte uomo con l’utilizzo di ormoni. In seguito ha però quelle categorie non-binarie.

108 Il progetto: Scelte grafiche


doppia pagina esempio % Weirdosss

177

" Titolo (Aperรงu Pro Bold 30/30pt)

" Firma (Aperรงu Pro Regular + Bold 8pt)

" Sottotitolo/Intro (Noe Text Book 12/14pt)

" Collegamento alla nota (Aperรงu Pro Bold 9/11pt)

" Nota (Aperรงu Pro Bold 8/10pt)

" Didascalia alla foto qui sopra (Aperรงu Pro Regular 7/8pt)

109 Il progetto: Scelte grafiche


178

" Credits foto

Ultima impostazione grafica da mettere in evidenza è quella del ‘Reportage’ che, come è stato già affermato, è una sezione un po’ particolare. Al tatto si riconosce già dalla pagina pubblicitaria che precede l’articolo che qualcosa sta per cambiare; poi l’occhio, inizialmente disorientato, è obbligato a chiedere di girare il volume per poter leggere correttamente. Perché questo cambio improvviso? Si è voluto creare con questa sezione uno spazio che potesse portare il lettore oltre le questioni e le tematiche della rivista, in un’altra parte di mondo che è comunque da conoscere e da aiutare. In questo caso, il reportage costruito per il numero zero, porta il lettore in Grecia dove due ragazze hanno cercato un modo per far sentire un po’ più a casa i migranti che si fermano nel campo rifugiati di Lesvos. Non è un tema prettamente ‘femminista’, non è una questione che ha a che fare con il genere ma è una testimonianza importante che ha a che fare con i diritti umani, con l’identità, con la razza, la geografia e la cultura. Essendo Zazie una rivista ‘leggera, ma non troppo’ si è ritenuto quindi importante poter inserire una storia che, come tante altre, possa portar vicino una realtà forse molto distante dal possibile lettore di questa rivista.

" Titolo (Noe Display Book 25pt) " Nota (Noe Text Regular 12/14pt)

" Firma (Aperçu Pro Regular + Bold 8pt)

Il progetto: Scelte grafiche


179

La costa e i prossimi numeri

$

Ecco Zazie stampata, rilegata e pronta per essere messa su uno scaffale di una bella libreria. In questa foto è possibile vedere come è stata disegnata la costa della rivista. Il verso della scrittura è stato scelto in modo tale che, una volta appoggiato il volume, si possa leggere la costa nel verso giusto. La costa riporta le seguenti informazioni: nome della testata, numero del volume interessato, titolo del numero e periodo di riferimento (in questo caso ‘Primavera 2017’). Nelle capitolo a seguire si potranno visionare le copertine create per i possibili prossimi cinque numeri di Zazie in modo tale da poter mostrare l’evoluzione del magazine. La struttura, come è possibile notare, è abbastanza libera mantenendo come elementi fissi la scelta delle font, del colore e degli elementi precedentemente mostrati. La rivista vuole poter creare una evoluzione di copertine che non si trattenga unicamente sui volti ma che spazi tra tematiche e rappresentazioni diverse. Vi è quindi un numero sul corpo in cui campeggia il colore rosa dalla quale emerge una figura femminile. Un numero più impegnato sul ‘cyberfemminismo’; un numero sull’ambiente e uno sulla crescita.

Il progetto: Scelte grafiche



Non solo un magazine

cap.

181 04

pag.

181

pag.

181

%

Il web Il sito internet Le pagine social

I prossimi numeri Le copertine dei prossimi numeri



Il web

183

ome è stato largamente raccontato all’inzio del capitolo di progetto, tutte le riviste indipendenti che si presentano sul panorama internazionale odierno, non nascono come ‘semplici’ riviste, ma come esperienze crossmediali che si occupano di entrare nella vita dei lettori sotto diversi aspetti e attraverso molti canali. La controparte online di ogni nuovo progetto editoriale è fondamentale; è la piattaforna di lancio, il magazzino e la hall di benvenuto. Anche Zazie ovviamente si è occupata della suo canale online. È stato disegnato un sito internet immaginandolo come base internazionale (l’italiano è sempre la prima scelta, tuttavia si immagina che il sito, e la rivista infuturo, possa avere una traduzione in inglese) che serve per descrivere il progetto della rivista e per attrarre potenziali lettori. Essendo in uscita il numero zero, non è stata prevista al momento una sezione che raccolga tutti gli articoli più significativi o una sezione archivio. A questa evoluzione si dovrà pensare in seguito. Per il momento si è voluto creare il sito di Zazie Magazine come vetrina per il progetto nascente. In poche parole Zazie si racconta e mette in mostra il suo ultimo numero in uscita. Attraverso i social invece si pensa ad un lavoro diverso che intenda costruire nell’immaginario del lettore un’idea di cosa voglia essere il magazine e di cosa questo si voglia fare portatore. I social dovranno dunque attrarre il lettore condividendo stralci di articoli e immagini del ‘making-off’ di Zazie in modo tale da coinvolgere il lettore sin dagli inizi del progetto. Nelle pagine successive verranno mostrati il design del sito e la struttura di questo con le spiegazioni in dettaglio delle scelte che hanno portato alla progettazione finale.

c

" Prima schermata del sito zaziemag.com Si è pensato ad un ‘onepage website’ il cui menu in alto non indirizza a pagine esterne (esclusa quella dello shop) ma a punti fissi nell’unico scroll.

zazie mag www.zaziemag.com

Latest Zazie

About Zazie

Read Zazie

Contact

Il femminile per allentare una vita che va stretta

Non solo un magazine: il web


184

La struttura del sito web

$ testata

) menu

) tagline della rivista

) immagine copertina numero in edicola passaggio schermata "

descrizione numero in edicola " + link shop online

descrizione della rivista " (presentare il mood e le intenzioni di questo nuovo progetto editoriale) presentazione al pubblico

gli store che ospitano Zazie " link ai social "

piede. info di servizio "

Non solo un magazine: il web

) cover ultimo numero

) il colore di sfondo cambia ogni volta che esce il nuovo numero riprendendo il colore della cover del mag


185

La struttura del sito è stata pensata per essere molto semplice; deve servire, almeno in questa fase iniziale di lancio, da vetrina. Il sito deve poter raccontare in breve di che progetto si stia parlando, deve poter riferire al potenziale lettore l’intento e la filosofia che vi è dietro questo progetto editoriale. Il sito è quindi stato pensato come estensione del numero in uscita, riprendendone quindi l’immagine di copertina e rendendola tema cromatico dell’interfaccia del sito. Questo numero zero darà quindi al sito un colore di sfondo giallo sulla quale appariranno i testi di descrizione del magazine. È stata creata anche una versione esempio del possibile prossimo numero di Zazie così da poter mostrare l’evoluzione del magazine e, dunque, del sito. Si ipotizza che il sito possa ampliare la sua struttura ospitando una nuova voce nel menu (‘leggere Zazie’) non prima del quinto numero in uscita della rivista. Questa nuova sezione sarà costruita come una pagina esterna allo scroll principale e ospiterà alcuni degli articoli più significativi dei numeri passati che verranno aggiunti gradualmente. Si ipotizza questo aggiornamento dal compitmento di un anno della rivista Zazie perché anche questa sezione possa vantarsi di una sua consistenza. Con il primo compleanno di Zazie dunque i lettori potranno rileggere articoli del passato. La rivista vuole infatti proporsi online come supporto al cartaceo, non una alternativa più economica. Sin dagli inizi della versione online sarà comunque possibile raggiungere anche attraverso internet parti di articoli presentati per intero sul cartaceo in modo tale da offrire a nuovi possibili lettori di assaggiare i contenuti del magazine. Qui sotto uno schema della possibile struttura. Nelle pagine successive il progetto grafico delle prime schermate del sito e delle pagine social di zaziemag. " Schermata per la sezione ‘Leggere Zazie’. Distribuzione degli articoli selezionabili con un clic. Si accede ad una versione ridotta dell’articolo rispetto a quella su versione cartacea. Gli articoli che saranno leggibili per intero saranno articoli di numeri ormai passati.

servizi, articoli minori articoli fotografici in evidenza

articoli minori, recensioni o altro

testata

" "

"

Non solo un magazine: il web


186

% Il progetto grafico del sito web - Zazie Numero Zero

& La prima schermata riporta unicamente il nome della rivista e la sua tagline. L’immagine di copertina è parziale e solo ‘scrollando’ sarà possibile scoprirla per intero.

Non solo un magazine: il web

& La seconda schermata riporta invece il titolo del numero in uscita di Zazie, in questo caso il numero zero. In basso un invito ad entrare nello shop per poter acquistare la rivista.


Il progetto grafico del sito web %

& Scrollando ancora si arriva alla sezione ‘About Zazie’ in cui si racconta in breve il tipo di progetto che vuole essere la rivista e a chi decide di parlare.

187

& Essendo il primo numero in uscita Zazie deve poter informare i suoi lettori e quindi poter dire loro dove è possibile trovarla. È una rivista indipendente, non è ancora da edicola.

Non solo un magazine: il web


188

% Il progetto grafico del sito web - Zazie Numero Uno

& La prima schermata riporta unicamente il nome della rivista e la sua tagline. L’immagine di copertina è parziale e solo ‘scrollando’ sarà possibile scoprirla per intero.

Non solo un magazine: il web

& La seconda schermata riporta invece il titolo del numero in uscita di Zazie, in questo caso il numero uno. In basso un invito ad entrare nello shop per poter acquistare la rivista.


Le pagine social: facebook e Instagram %

189

Zazie Magazine zaziemag

Zazie Magazine

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Zazie Magazine posted

Zazie Magazine zaziemag

zaziemag

zazie magazine

& Schermata di facebook.

www.zaziemag.com

& Schermata di Instagram. I video/gif sono strumenti divertenti per raccontare cosa c’è dietro al prodotto finito e mostrare al letore il ‘work in progress’.

Non solo un magazine: il web



I prossimi numeri

191

er poter portare a termine l’ideazione e la costruzione della rivista presentata in questa tesi si è ritenuto necessario inoltre progettare le copertine dei numeri che seguiranno questo numero zero in modo tale da mostrarne la sua evoluzione. La scelta delle nuove copertine è stata molto ponderata, si cercava un’immagine che potesse ben rappresentare l’identità di Zazie ed allo stesso tempo lasciarla evolvere senza ricadere sulle solite tematiche con la quale si presentano tutte le nuove riviste della nicchia femminista. Il magazine vuole presentarsi come una realtà editoriale in grado di accogliere diverse tematiche cercando di evitare le scelte classiche delle riviste dedicate al pubblico femminile (categoria in cui rientrano anche quelle presentate nel secondo capitolo) che vedono quasi sempre in copertina il ritratto del personaggio protagonista del numero. Zazie vuole poter essere libera e spaziare tra storie di copertina più impegnate ad articoli più divertenti.

P

Non solo un magazine: i prossimi numeri


192

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. 1 / Estate 2017

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. 2 / Autunno 2017

the body issue

ITA € 10,00

#attivismo #cyberfemminismo Le nuove #battaglie si combattono online

ITA € 10,00

Nr. 2 - AUTUNNO 2017 #attivismo #cyberfemminismo

Nr. 1 - ESTATE 2017 SOFTNESS, the body issue

Nr. quattro / Primavera 2018

Moda Polo Nord

ITA € 10,00

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. 4 / Primavera 2018

Viaggio in Sud Africa

ITA € 10,00

Crescere al polo nord

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. 3 / Inverno 2017

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità

% altre prove copertine prossimi numeri

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

Nr. 3 / Inverno 2017

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00 ITA € 10,00

ITA € 10,00

Non solo un magazine: i prossimi numeri

Nr. tre / Autunno 2018

Il viaggio

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

the body issue

Costruirsi un’identità

nr. zero / primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

ITA € 10,00

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità

Lonliness

ITA € 10,00

Nr. 1 / Estate 2017


193

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. 4 / Inverno 2017

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. 4 / Primavera 2018

The right shades I colori del nord ITA € 10,00

il secondo uomo sulla luna

Chanel & Buzz Aldrin

ITA € 10,00

Nr. 3 - INVERNO 2017

Nr. 4 - PRIMAVERA 2018

Vita da astronauti

The right shades

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

LE

REGOLE

Nr. 4 / Primavera 2018

Nr. tre / Autunno 2018

the body issue

We want you !

il femminile per allentare una vita che sta stretta

ITA € 10,00

Chanel & Buzz Aldrin

DI

CAMBIARE

LA

FORZA

nr. zero / primavera 2017 il femminile per allentare una vita che sta stretta

ITA € 10,00

nr. 5 / primavera 2018

ITA € 10,00

nr. zero / primavera 2017 Il femminile per allentare una vita che sta stretta

ITA € 10,00

Lonliness

ITA € 10,00

il femminile per allentare una vita che sta stretta

I riti di bellezza

ITA € 10,00

ITA € 10,00

il femminile per allentare una vita che sta stretta

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

La riscoperta del sé modesto nell’epoca dei selfie osé

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

cuori infranti e corpi imperfetti trasformati in fotografie di nudi ricoperti di glitter nelle fotografie di Chloe Sheppard

Crescere al polo nord

nr. zero / primavera 2017

Elogio della timidezza

Nr. quattro / Primavera 2018

Le insicurezze

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

the body issue

altre prove copertine prossimi numeri % € 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

ITA € 10,00

Non solo un magazine: i prossimi numeri



Conclusioni

195

azie è un progetto ambizioso perché vuole proporsi come alternativa ad un mondo editoriale che conosciamo fin troppo bene e che non ci rappresenta. È un esperimento che si definisce ‘femminile femminista’ non temendo il respingimento reciproco di due termini che sono agli antipodi. Prova a mescolare la leggerezza di un magazine da tempo libero al peso di una rivista impegnata proponendo una nuova idea di femminile per quelle persone che, come Zazie, si trovano in bilico. La domanda che ci si poneva all’inizio di questa elaborazione di tesi era la seguente: “È davvero così impossibile parlare di femminismo in una realtà contemporanea che di dialogo e sperimentazione ne avrebbe molto bisogno?” La risposta non è semplice perché il dibattito su questo nuovo femminismo non riesce a trovare un punto d’accordo tra i suoi vari sostenitori. In questo percorso di ricerca si è parlato di un femminismo ‘pop’ nel senso di popolare, alla moda, un femminismo da star, che sembra non essere gradito da chi pensa al movimento come un moto rivoluzionario (come effetivamente era in passato). La diatriba tra le fazioni femministe odierne è accesa e non sembra facile trovare un piedistallo che non traballi ma dopotutto non c’è bisogno di schierarsi. Le ‘nuove femministe’ sono giovani e, nonostante le critiche, stanno mostrando il bisogno di proporre qualcosa di nuovo e lo fanno attraverso la carta stampata. Sono realtà molto differenti le une dalle altre per contenuti e riferimenti estetici ma sono tutti tentativi, molto riusciti, di cambiamento. Il contesto italiano vede poche realtà fresche e rivoluzionarie e poche soprattutto che si affidino alla carta stampata. Esistono blog e progetti editoriali online che testimoniano quanto il discorso femminista abbia senso di esistere al di fuori degli ambienti ristretti ed elitari. Zazie si propone dunque come idea, piuttosto concreta, per una piccola rivoluzione. Una realtà editoriale che non è un tentativo di addolcire il femminismo in modo da renderlo popolare, come potrebbe accusare un personaggio come Jessica Valenti, ma di riportalo in discussione attraverso una veste grafica ben progettata e un linguaggio fresco. Nel contesto della quarta ondata, in Italia, si decide così di progettare e pubblicare un nuovo prodotto editoriale che va a colmare quel vuoto creatosi nella nicchia dell’editoria femminista odierna. Prendendo spunto dalle realtà estere nasce una rivista tutta italiana che non intende chiudersi in un contesto accademico ma aprirsi ad un pubblico più vasto, più vario e più giovane.

Z

% Twitter: screenshot di un tweet della rivista Parallel Magazine per l’uscita del suo nuovo numero.

Quindi, se la vita a volte vi sta un po’ stretta, leggete Zazie!

Conclusioni



Bibliografia

197

"

Angharad Lewis, So You Want to Publish and Magazine?, s.l., Laurence King Publishing, 2016.

"

DeFrancisco Victoria P., Palczewski Catherine H., Gender in Communication. California, Thousand Oaks, 2014.

"

Balestrini Nanni, Moroni Primo, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, SugarCo Edizioni S.r.l., 1998.

"

Dunham Lena, Not that kind of girl, New York, Random Hous, 2014.

"

Friedan Betty, Turozzi C., a cura di, La mistica della femminilità (1963), “I timoni”, s.l., Castelvecchi Editore, 2012.

"

Gay Roxane, Bad feminist, USA, Harper Perennial, 2015.

"

Gender Equality Index, European Index for Gender Equality (EIGE).

"

Gender Gap Report 2014, World Economic Forum.

"

Gioni M., Catalogo mostra La Grande Madre, Arte contemporanea. Milano, Cataloghi, Skira, 2015.

"

Hooks Bell, Ain’t I a woman: black women and feminism, London, Boston, Massachusetts, Pluto Press South End Press, 1982.

"

Iriguaray Luce, This sex which is not one, s.l., Cornell Univ Pr, 1985.

"

Jamieson Ruth, Print is dead. Long live Print, Prestel Publishing, Inghilterra, 2015.

"

Kimberle Crenshaw, Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics, vol. 140, Chicago, The University of Chicago Legal Forum, 1º gennaio 1989.

"

Lepetit Laura, Autobiografia di una femminista distratta, Roma, Cronache Nottetempo, 2016.

"

"

"

"

Brah Avtar, Phoenix Ann, Ain’t I A Woman? Revisiting Intersectionality, s.l., Journal of International Women’s Studies, 2004. Brighurst Robert, The Elements of Tipographic Style, Canada, Hartley & Marks, Publishers, 2a edizione, 1946. Busoni M., Gender Trouble. Feminism and Subversion of Identity, Routledge, New York - London, s.e., 1990. Busoni M., Genere, sesso, cultura. Uno sguardo antropologico, Roma, Carocci Editore, 2000.

"

Caramitti S., Donne e stampa femminista, s.l., Fermenti, 1976.

"

Cochrane Kira, All the Rebel Women: The Rise of the Fourth Wave of Feminism, s.l., formato Kindle, Guardian Books, 2013.

"

Codognotto Piera, Moccagatta Francesca, Editoria femminista in Italia, Roma, Associazione italiana biblioteche, 1997.

"

Collins Patricia H., Intersectionality’s Definitional Dilemmas” Paid subscription required, Annual Review of Sociology, ProQuest, 2015.

"

de Beauvoir S., Il secondo sesso, s.l., Il Saggiatore, 1961.

"

Decataldo A., Ruspini E., La ricerca di genere, s.l., Carocci Editore, 2014.

Bibliografia


198

"

Libreria delle donne di Milano, Non credere di avere diritti, Milano, Rosenberg & Sellier, 1987.

"

Katz Jackson, “Violence against women—it’s a men’s issue”, TEDtalk, maggio 2013.

"

Lonzi Carla, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, 3a edizione, Milano, Scritti di Rivolta Femminile 1, 2, 3, 1977.

"

Lalli Chiara, “Tutti pazzi per il gender”, Internazionale, 31 marzo 2015.

Mandile Marta, Quando rivoluzione fa rima con creatività. Tesi Magistrale, Milano, 2016.

"

"

Muritti Isabella, “Il femminismo va di moda a Londra”, D di Repubblica, 24 marzo 2014.

Moran Caitlin, How to be a woman, United Kingdom, Ebury Publishing, 2011.

"

"

Murphy Megan, “E tu sei davvero femminista?”, i-D Italia, 11 marzo 2016.

Paglia Camille, Sexual Personae: arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson, s.l., Einaudi, 1990.

"

"

Scaraffia Lucetta, “La teoria del ‘gender’ nega che l’umanità sia divisa tra maschi e femmine”, L’Osservatore Romano, 10 febbraio 2011.

"

Penny Laurie, Unspeakable things, Sex lies and Revolution, Londra, Bloomsbury, 2014.

"

Scherffig Clara Miranda, “Donne che odiano le donne”, i-D, 28 luglio 2015.

"

Piccone Stella, S., Saraceno, C., Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, (“Prismi”), s.l., Il Mulino, 1996.

"

Siviero Giulia, “Se una è femminista”, Il Post, 26 novembre 2014.

"

Scramaglia Rosantonietta, Femminismo, Milano, Editrice Bibliografica, 1997.

film, documentari: "

Dore Mary, regista, She’s beautiful when she’s angry, documentario, USA, 2014.

"

Dunham Lena, regista, Girls, serie televisiva, USA, 2012-2017.

"

Gavron Sarah, regista, Suffragette, film, Inghilterra, 2015.

"

Jourdan Clara, a cura di, La politica del desiderio. Originalità del femminismo italiano, Milano, L’Altravista, Libreria delle donne di Milano, 2010.

articoli: "

Brand Billie, “Il futuro femminista del cartaceo”, i-D, 6 agosto 2015.

"

Gamble Ione, “How the internet revived the zine scene”, Dazed & Confused, 23 luglio 2015.

"

Gayle Rubin, “The Traffic in Women: Notes on the ‘Political Economy’ of Sex”, in Rayna Reiter, ed., Toward an Anthropology of Women, New York, Monthly Review Press, 1975.

Bibliografia


Appendice

199

%

Il timone

pag.

199

pag.

199

pag.

199

pag.

199

Il timone è stato un importantissimo strumento per l’elaborazione della rivista. Qui viene riportato in una sua versione definitiva.

Le interviste Qui riportate tutte le interviste in versione originale (in inglese) che sono state fatte via e-mail ai fondatori o editori delle riviste contemporanee

L’elenco Completo delle riviste estere prese in esame. Solo alcune poi analizzate nel dettaglio.

Le prove di copertina Riportate in piccolo e in ordine cronologico tutte le prove di copertina che sono state fatte prima di arrivare alla versione finale.



Il timone






& Ultima versione del timone. È stato elaborato più volte a seconda delle nuove proposte e nuove scelte. In questa versione di febbraio 2017 erano anche state inserite le miniature delle aperture di sezione. A questo punto infatti il magazine era quasi interamente strutturato e, grazie al timone, è stato possibile confrontare le varie aperture per controllare l’omogeneità e il giusto ritmo visivo.


Le interviste

207

Intervista a: Clara Jourdan (Libreria delle donne di Milano)

L’aspetto grafico non è stato trascurato ma non era la prima cosa. Abbiamo cercato una veste grafica che indusse a leggere. Per quanto riguarda invece l’arte abbiamo cercato di dedicare più attenzione alla parte artistica che alla grafica ma che non distogliesse l’attenzione delle parole. Spesso le artiste ci hanno rimproverato di ciò, però, di riviste d’arte ce ne sono tante! Comunque negli ultimi numeri abbiamo spesso cercato di dare spazio ad un’artista, soprattutto quelle meno conosciute e che più ci interessavano. Era una rivista principalmente di pensiero, di parole. Una rivista politica che invitasse a riflettere e serviva poi alle lettrici per la loro pratica politica; qui si creavano riflessioni sul mondo. La rivista non aveva ambizione di essere interna al movimento femminista ma di parlare del mondo al mondo. Infatti il primo numero è intitolato “La politica e la politica delle donne”. Via Dogana: quanta importanza viene data all’aspetto grafico?

All’estero l’idea del femminismo era qualcosa che si impegnava sui diritti, si ragionava su una concezione della libertà in termini un po’ individualistici mentre il femminismo italiano era, tutta un’altra cosa, tant’è che il libro più importante per il femminismo italiano è chiamato: “Non credere di avere diritti” dove tutto era volto alla pratica del femminismo. Come la separazione dai gruppi degli uomini, era una rivoluzione nel modo di comportarsi, così le riviste femministe erano sempre legate alla pratica. Le riviste di oggi hanno un linguaggio molto diverso, a volte sporco

I mass media parlano del femminismo come rivendicazione dei diritti, ma noi vogliamo usare questo termine proprio per significare qualcosa che non è solo del passato ma anche del presente. La libertà femminile. Penso non sia giusta questa visione massmediale del femminismo descritto come un qualcosa legato ai diritti che, tuttavia, mette le donne in una posizione di vittime, di discriminate. Chiaramente le giovani non si sentono parte di questo. Forse è anche perché in questo senso il femminismo ha vinto. È chiaro però che queste cose non si conquistano una volta per sempre. La libertà è qualcosa che può essere tolta in qualsiasi momento è qualcosa che deve essere vissuta, fatta esperienza. Il femminismo è sempre una ricerca, una riflessione, un pensiero uno scambio di opinioni.

Abbiamo smesso di fare Via Dogana cartacea non perché non fosse letta, ma perché era letta da una piccola minoranza di persone interessate; anche 800 copie che non è poco pero oggi c’è internet ed è li che si svolge il dibattito politico. Per non continuare a tenere la rivista come destinata ad una nicchia abbiamo scelto di passare su internet anche se sicuramente in internet è difficile ottenere un riscontro perché le cose che si mettono online rimangono li senza però sapere dove vanno a finire, da chi verranno lette. Continuiamo con incontri regolari, ogni due mesi, di discussione e approfondimento, qui in libreria, a cui si può liberamente partecipare, ‘incontri in presenza’ li chiamiamo. Non limitiamo la discussione ad internet anche perché nel femminismo la relazione in presenza è stata sempre molto importante. Infatti spesso si creano dei conflitti un po’ artificiali online perché, abbiamo notato, la gente tende soprattutto a sfogarsi, si sfoga dicendo qualcosa di cui non ci si rende neanche conto, chi poi risponde, offeso, scrive senza pensare troppo, scrive il primo pensiero che gli passa in testa senza elaborarlo e in questo modo si creano rotture impensabili e ‘misunderstanding’ pazzeschi. Al contrario le discussioni in presenza, si riesce a sentire di più l’elemento fisico. Le persone sembrano frustrate e tendono a sfogarsi contro tutto e tutti. È importante infatti la scrittura meditata, pensata, critica. Così negli incontri in presenza, anche animati, ci si confronta in modo più umano e vero. Via Dogana: perché oggi è solo online?

Cosa significa il femminismo oggi?

Timeset: 24 maggio 2016

Appendice


208

Intervista a: Soft Revolution Zine (italiana)

Questa è la descrizione che abbiamo anche sul nostro sito, e che penso sia riassuntiva al massimo: “Soft Revolution è una rivista femminista per ragazze (ma anche per il resto dell’umanità).” Descrivi il mag:

Nel 2010, la nostra amica Margherita Ferrari (che è stata parte del team editoriale fino all’anno scorso) ha fatto notare a me e Valeria che non esisteva una rivista in lingua italiana per ragazze in quanto persone pensanti come Bitch o Bust. Abbiamo deciso di creare un progetto che riempisse quel vuoto, e così è nato Soft Rev. Cosa ti ha spinto a dar vita al progetto?

Mentre negli anni hanno aperto varie versioni collaterali di SR, all’epoca non c’era niente del genere, quindi la necessità della sua esistenza era ovvia. I suoi punti di forza ad oggi sono, per me, soprattutto due. Innanzitutto una redazione molto variegata, che abita in parti diverse del mondo ed è esperta e appassionata in tante aree diverse e che può parlare di tutto – dai libri alla tecnologia alle mutande. L’altro è il nostro approccio “soft”, che non vuol dire che ci andiamo piano, ma che cerchiamo di trovare modi di essere femministe non solo nelle grandi questioni sottolineate dalla scena pubblica, ma anche nelle piccole cose.

Perché dovrebbe esistere? Quali sono i suoi punti di forza?

A differenza di quando abbiamo cominciato, oggi la parola femminismo è sulla bocca di tutt* – positivamente o negativamente – e ci sembra importante continuare a dare contenuti a chi vuole capire di più, ma anche a chi vuole solo leggere persone con pensieri affini. Quella di essere solo online è una scelta nata dal fatto che costa meno e ci permette di raggiungere più persone, ma anche di lavorare insieme pur abitando lontane – non solo in tutta Italia, ma in tutto il mondo.

Perché è importante fare una rivista oggi? Perché solo online?

A chi è indirizzata?

Molte persone pensano oggi: “ormai siamo tutti uguali”. Come risponderesti?

Di guardarsi attorno.

Devo dire che non capisco perché sia inaccettabile che molte persone si stiano avvicinando al femminismo attraverso Beyoncé, specialmente ragazze cresciute in realtà dove non sarebbero mai state raggiunte dal femminismo “accademico”. È vero che la popolarità del femminismo sta creando incomprensioni e che alcune persone non sappiano di cosa stanno parlando quando usano quella parola ma, come direbbe mia madre, “tutto fa brodo”. Non è un controsenso volere che il femminismo rimanga nella sua torre d’avorio ma poi pretendere un cambiamento nel mondo reale?

Molti credono che il femminismo stia diventando troppo popolare e lontano dai suoi principi. Cosa ne pensi?

Significa la stessa cosa che ha sempre significato, lottare per dare alle donne un posto nel mondo pari a quello degli uomini. Mi ha dato abbastanza da riflettere una cosa che ha detto l’attrice Maisie Williams (a proposito del femminismo pop di cui parlavo prima!). But I also feel like we should stop calling feminists “feminists” and just start calling people who aren’t feminist “sexist” - and then everyone else is just a human. You are either a normal person or a sexist. People get a label when they’re bad. Siccome però per ora il mondo non funziona così, penso che sia importante continuare a chiamarsi femminista e dirlo a gran voce.

Cosa significa oggi femminismo?

Alle ragazze della nostra età (tra i 16 e i 35, grossomodo), un pubblico ignorato dai media italiani.

Timeset: 22 agosto 2016

Appendice


209

Intervista a: Orlando Magazine

Orlando is a London-based online and print magazine exploring art, culture and socio-politics through a gender-fluid lens. Describe your zine in a sentence:

I wanted to create a publication that was the antithesis of mainstream media, which I feel is disingenuous, hierarchical and exploits stereotypes. My magazine dispels these false binaries in favour of a united readership. Why did you start?

The name of the publication is indebted to Virginia Woolf’s infamous androgynous protagonist - it is a signifier for multiplicity, the collective and to promote an open vernacular of cooperation and inclusion. I believe that the logic behind gender theory or queer discourse can be used to tackle the effect of any rigid or stigmatising politics. It is a critical language and mindset in which to question the inequality of the world we live in. Committed to the consistent evolution of thought and action, Orlando exists in order to provide a fluid and evolving intersectional environment where people can come together in order to think, write or create. Why should your mag exist? Which are its strenghts?

The overall design approach is intended to be a progression from the European radical design tradition. I have always been struck by the dramatic power of graphic design, especially in the 20th century. The design is influenced by photomontage, Japanese phonebooks, Constructivism, the Bauhaus, artists like Rodchenko and Malevich, and the political pamphlets, posters and banners designed by radical protest groups in the 1960s. Due to these connotations, Helvetica was a must. These artists and movements were so fundamentally visionary and innovative because they were invested in radical social change. The imagery is related specifically the themes and issues alluded to in each text but it is presented in a context of a design dynamic that is employed to draw attention and truly engage the reader. However, it was also important that the text was accessible and clearly presented in a more conventional style. The text in Orlando is presented in a format where accessibility and readability are key, but are set within a fluid and dynamic artistic environment that enhances the messages, creates moods, How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

and hopefully makes it a pleasure to read and just look at. Fluidity is key to the whole design approach – both in print and online. Although each spread or article is different, I wanted there to be a seamless flow of ideas. This design choice alludes to the fundamental ‘Orlando’ ethos which is that collaboration = innovation, and that we are stronger as a collective. I wanted the whole publication to stand up as an art piece, in order to achieve a hard copy visual connection that online web based communications can’t. You can’t wave a website article on the barricades. The fluidity in Orlando is related to the power of multiplicity, depicting how everything comes together for the good of the whole, and how one piece is very much a part of the others. It is also crucial that the design itself did not partake in stereotypes. I wasn’t interested in creating the sort of project which ‘reclaims the colour pink’, or something else equally problematic. Orlando is a medium that is open to everyone, regardless of age, race, gender, sexuality, and that is indicated by the neutral design aesthetic. Each printed edition will look completely different in visual style, format, size – as part of an ongoing demonstration of continual change, and to bring in other design and visual collaborations as the message spreads. The design of the website layout is intended to create an ongoing conversation. There is a sense of equality. All the texts are formatted identically. It is bright, instantly engaging, but entirely legible. How has it evolved from the very first issue?

The theme of the first publication, Issue 0, was ‘proto’. It was a prototype in both style and subject - designed to provoke engagement and test editorial and artistic ideas. I wanted to represent contributors who were at the emergent stage, and give them space to talk about their work-in-progress or significant formative interests. After Issue 0, it felt appropriate to reflect on the past, believing that sometimes we need to go back to go forward. The overarching theme for Issue 01 was deliberately broad in order to provide a scope of content surrounding ideas of history, memory and the future. Although Orlando is still dedicated to providing a platform for new voices, it was important for that issue to consider the voices of older generations. The collision of temporalities, a notion of trans-generational politics, is particularly key to a collective notion of the future.

Appendice


210

People are quite rightly frustrated with mainstream media and commercial large-circulation outlets that marginalise, mute and manipulate. Zine publishing is empowering individuals and collectives in authentic and important ways. Sick of being (mis)represented, they are representing themselves, and offering perspectives not usually seen in the mass media on issues surrounding race, sexuality, politics, and much more. There is also a lot of solidarity and camaraderie within the community; people see one another as allies rather than competitors.

Why is it important to do a magazine now?

And why a feminist one?

To subvert the status quo, which is stale, male and pale.

I have always wanted to stand outside of the ‘gender-is-trendy’ zeitgeist, and simply reflect people’s lives and pursuits in an honest and engaging manner. Feminism isn’t a fashion trend, however it is used to sell products. Female empowerment is being packaged and sold back to us. I am sick of huge corporations cashing in on the feminist cause, this is trivialising serous issues that effect the health and welfare of women and girls worldwide.

Stars talk about feminism. Some people criticize that. Feminism is becoming too popular. What do you think about?

What does feminism means today?

Resistance.

The war is not over. In the mainstream, gender [read: feminism, read: white middle class feminism] has become something marketable and lucrative. However, there has been a large spike in the amount of violent crimes against women and the dangerous resurgence of sexism in society. Austerity has definitely played a crucial part in that. It is disproportionately affecting women as their economic independence is being cut short. Society is totally biased in its privilege of the able heterosexual white man, and I agree that a level of responsibility should certainly be taken by those who gain from that, but more importantly, I believe that men should be educated about how patriarchy has negatively shaped and informed their identity as much as women’s. The last couple of years have also been a watershed moment for transgender rights, but I think it’s problematic that publishers are commissioning cis people to write on these experiences instead. Mainstream publishing has a tendency to co-opt other people’s experiences when trying desperately to appear culturally relevant. There has also been very little racial diversity in this mainstream discussion of feminism and/or gender. Orlando is an intersectional publication, which means it seeks to consider the intersection of differing social and cultural identities and their related systems of oppression and discrimination. A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. How would you respond to that?

Timeset: 21 giugno 2016

Appendice


211

Intervista a: X=Y

Describe your zine in a sentence:

An introductory guide into global feminist politics and culture.

I started the magazine for my final major project at university. I felt very passionately that feminism can be very overwhelming, confusing and conflicting at times and so I wanted to create something that made it less intimidating for people to get involved in. Why did you start?

Some people have said to me that it’s helped them to better understand the purpose of feminism and the struggles that women face globally that they weren’t aware of. So I think it’s amazing that it’s helped to change some opinions on the subject. I think I also felt like I wanted to fit into the current feminist zine market but with my own perhaps more gender neutral and political twist. I’d like to think that the cover is one of its strengths, I hope that it’s quite eye-catching and makes a statement that draws attention.

Why should your mag exist? Which are its strenghts?

Obviously one of the biggest things about the graphics is the pink filter effect. I chose that because I wanted to reflect how I view the world with a feminist filter, and how I hoped after reading the magazine that other people would also begin to see everything with unequal eyes. For the cover I took inspiration from Barbara Kruger’s art as I think that had the connotations of female empowerment and political angst that I wanted. And the jaunty angles and cropped images with typewriter text also conveyed a kind of anarchy that felt right for a political zine. How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

It’s a good time to be a part of the independent publishing scene. There’s loads of cool new zines coming out, lots of events and fairs and it’s a really fun thing to be a part of. Two graduates from my university course created feminist zines for their final major projects (Sister Magazine and Polyester) and they’ve kept them going successfully, that’s really inspiring for me and hopefully I’ll be the third! Why is it important to do a magazine now?

And why a feminist one?

Feminism is becoming increasingly accepted in society. People aren’t so

ashamed to identify as feminists. There are loads of amazing feminist magazines out there at the moment, but everyone has their own little version of what it means to them or how they want to ‘do it’. And I guess I just wanted to share how I see it with people, because sometimes some feminists can put people off by being very dismissive of different opinions, so I felt it was important to try and get everyone involved. I’m particularly passionate about getting more men involved, because how can you obtain the same rights as someone without the person who has all of the rights wanting to share them with you? I guess the person I was five years ago, who knew that things weren’t right but didn’t know how to articulate it. I used to feel feminism rising up in me but I would suppress it because I was told that boys wouldn’t like me for it, which is half the problem isn’t it? In my mind the perfect reader is just someone who doesn’t have the knowledge or the confidence to stand up for women’s rights, but knows that they want to.

Who is the perfect reader for you zine?

Yeah a lot of people do believe that in Western society because we have so much that some women in other parts of the world don’t. But supporting them is still part of the fight. And actually, there’s a lot of inequalities that Western women face but don’t realise it because it has been ingrained in them since they were born. Women are forced to alter their lives and their behaviour and their appearances to avoid male violence and if you don’t then it’s your fault. Women’s voices aren’t listened to in parliament or in court so decisions about our lives and bodies are made by a gender that can’t understand what we need. Every day I read something that makes me see an inequality that I experience that I didn’t even know about because I’ve been told that’s just how it is. It’s mental and social attitudes that are invisible and so difficult to change. A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. How would you respond to that?

Timeset: 10 giugno 2016

Appendice


212

Intervista a: Editorial Mag

Describe your zine in a sentence:

An art magazine with a touch of fashion, governed by no rules.

curator. There are plenty of female painters that I’m constantly excited to share and support.

Why did you start?

I couldn’t find anywhere to publish my art so I thought I’d make my own publication.

Who is the perfect reader for you zine?

Anyone with an open mind.

A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. How would you respond to that?

I don’t feel that way. Yes there’s a scene in Montreal that gives the sense that feminism is accepted and the “war is over.” But when you stray even just a little outside that scene, like go downtown, you’ll find the world is still very much unequal.

It exists just for fun, it’s a diversion. It’s strength is that it’s natural and free. Lots of magazines are controlled by their advertisers, deadlines, expectations… The Editorial is independent so we can do whatever we want with it. Why should your mag exist? Which are its strenghts?

I’ve only recently embraced graphic design. When I first started printing that mag I had no idea how to use InDesign, and had no concept of what looked good. I taught myself the basics on Youtube/Google tutorials just so I could do what was needed to show the actual artwork. Recently though, I’ve been looking at more source material, getting into graphic design as it’s own art form. I think this new issue reflects those changes. How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

The magazine has actually retained most of it’s original qualities when I think back to the first issue. Definitely the design has evolved as I mentioned earlier. How has it evolved from the very first issue?

I don’t know if it’s important. It’s just a fun thing to do as an art lover, and people seem to enjoy it which is the most rewarding feeling. I do feel it’s nice to make a material object in a world that’s predominately online. Holding it in your hands and knowing it won’t disappear into the interweb feels important I think. Why is it important to do a magazine now?

It’s nice having a say in the content that’s being circulated around us. There’s a lot of fashion that is so tiresome, just consistently playing into stereotypes about men/ women and the roles we’re expected to play. I like shaking that up. It’s important to create alternate modes of representation. Also in the art world it’s important to shift the focus to women artists... If you can’t find any female painters/artists then it means you’re a lazy

I’m sensitive to capitalism infecting feminism, so I resent when people use it as a key-word, or as a way to get on the trending page. I try not to brand the Editorial as a Feminist magazine, and instead let the politics of the work/ visuals speak for themselves. But ultimately I think feminism hitting the mainstream is really important. It may be diluted, but it’s getting circulated to masses of people who wouldn’t normally hear about it. I see small advances in places I would never expect - like mainstream TV, rap music.. I think that’s because feminism has become such a hot topic. Stars talk about feminism. Some people criticize that. Feminism is becoming too popular. What do you think about?

What does feminism means today?

The concept still have meaning today. I hope one day the meaning will disappear and “feminism” will become so normal that we no longer need it.

And why a feminist one?

Appendice

Timeset: 3 luglio 2016


213

Intervista a: Sister Magazine

Sister is an independent magazine aimed at girls and young women, which is LGBTQIA inclusive and aims to provide a voice to upcoming, activist talent. Describe your zine in a sentence:

I studied Fashion Journalism at university, and this was my FMP (final major project). It got the worst mark I’d ever received in my time there, and I have continued making it twice a year ever since. Why did you start?

Why should your mag exist? Which are its strenghts?

Because it’s honest, relatable and fun! We cover serious topics but don’t take ourselves too seriously.

How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

A huge amount. Pink has been used from the start in a highly ironic sense, as it’s associated with being a girl and being feminine, yet the content juxtaposes that.

That’s a ridiculous concept. The more a problem is spoken about, the more it creates a platform for issues to be projected upon and hopefully resolved. Obviously it’s great that feminism is having a moment, but it’s not a trend and there is the worry that, like race for example, it will be dropped once something else comes along and people will assume it’s been fixed. Stars talk about feminism. Some people criticize that. Feminism is becoming too popular. What do you think about?

To be liberated and aware of what you’re comfortable with. To demand the same as men and to recognise how complex it is to be a woman. It also means supporting other females and those less fortunate. What does feminism means today?

Considering the first issue was entirely written by me, I guess it’s grown a huge amount. We take submissions, we have regular writers, it’s becoming the publication I always envisioned it being. How has it evolved from the very first issue?

In a highly digitised and ever evolving landscape, print is a radical form of media. Despite our constant need for new, print still has power and longevity. It creates a tangible object. Why is it important to do a magazine now?

Because we are not equal to our male counterparts. Obviously we have made great strides, but there is still a lot of work to do, especially in developing parts of the world. And why a feminist one?

Who is the perfect reader for you zine?

Anyone with an open mind and the capacity to embrace change.

A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. How would you respond to that?

That it is completely untrue. As I said, great progress has been made, but feminism is for everyone - the working class, the developing world etc etc Until every woman worldwide is liberated and empowered, how are we equal?

Timeset: 4 luglio 2016

Appendice


214

Intervista a: Sabat Magazine

Describe your zine in a sentence:

Sabat fuses witchcraft and feminism ancient archetypes and instant art.

I worked on Sabat throughout my Master’s degree at London College of Fashion - I was interested in the witchcraft community and I saw a gap in the market for a conceptual esoteric orientated magazine that had a clear and updated visual profile.

der-neutral on every level of society - things take time and we still need to work at them, put light on problems and issues.

Why did you start?

There are few other magazines (if any) that concentrate on this subculture (witchcraft) trying to create a new graphic and visual expression for a new generation of witches. Why should your mag exist? Which are its strenghts?

How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

The look and feel and graphic design of the magazine is designed very much to reflect the content - the mirroring of these two are essential.

How has it evolved from the very first issue?

We are creating issue 2 now so we will have to see in September!

Stars talk about feminism. Some people criticize that. Feminism is becoming too popular. What do you think about?

stars talk about feminism. some people criticize that. feminism is becoming too popular. what do you think about? I don’t necessarily think that’s bad - as long as we don’t over simplify issues or turn it into a fad trend.

That’s a hard one - I think you are a lot more free to be any kind of feminist today. The term has been diversified to mean anything and everything.

What does feminism means today?

I think high-quality print is having a renaissance moment - people are not interested in magazines that were made to just be thrown away. Instead they want considered keepsakes and go online for instant news. Why is it important to do a magazine now?

In the wake of 2014 - the unofficial year of feminism - I think no-one can ignore the issues that still exist today, feminism need to be all-present, not a fashion fad. Sabat puts light on select parts of women’s history and through that tries to look at feminism and empowerment in a new light.

And why a feminist one?

Who is for?

A teen witch of any age.

A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. Is it right?

I don’t think the world will ever be completely equal and I think it’s naive to think that the feminist revolutions that have happened in the last century has changed everyones views to gen-

Appendice

Timeset: 7 luglio 2016


215

Intervista a: Make/Shift

Make/shift magazine creates and documents contemporary feminist culture and action by publishing journalism, critical analysis, and visual and text art. Describe your zine in a sentence:

When we started in 2006, there was no other publication in the US doing what we wanted to do: documenting grassroots, intersectional feminist art and activism. Made by an editorial collective committed to antiracist, transnational, and queer perspectives, make/shift embraces the multiple and shifting identities of feminist communities. We know there’s exciting work being done in various spaces and forms by people seriously and playfully resisting and creating alternatives to systematic oppression. Make/ shiftexists to represent, participate in, critique, provoke, and inspire more of that good work. Why did you start?

It’s important to document and amplify visionary feminist work, and to critique approaches that are limited and that might perpetuate systems of oppression while attempting to challenge them. It’s important to show that feminism has a lot of different voices, styles, forms, and ideas. Why should your mag exist? Which are its strenghts?

We have always had volunteer graphic designers who are designing the magazine in little bits of time they can find, so we haven’t been able to integrate design thinking with the vision of the magazine as much as might be ideal if we had a designer as part of the core publishing collective. How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

The core values and visions have been consistent, but each issue has included new contributors, so the group of people engaged in conversation through and around make/ shift grows and evolves all the time.

essential for challenging power structures and offering alternatives. Anyone who wants to see a world with very different power relations than the one we are living in, a world that is just, sustainable, and free of hierarchies and oppression.

Who is for?

The statistics don’t bear that out. Women, people of color, queer people, poor people -- so many people are still marginalized and facing severe oppression and repression, Even at the most simple levels of looking at equality within the society that exists (which is a much more limited vision of feminism than what make/shift aspires to), we are not there -- in the US, women and people of color still earn less on the dollar than white men, still are not equally represented in government, etc., etc.

A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. Is it right?

Stars talk about feminism. Some people criticize that. Feminism is becoming too popular. What do you think about?

We love Beyonce. :) We love discussions of feminism getting attention in mainstream media. As with all people, some celebrities have feminist analyses we like, and some have analyses we find problematic.

So many things. For us it always, at its best, means an intersectional vision of challenging all systems of domination, so that all people will be free. We are inspired in this vision by women-of-color feminists before us like the Combahee River Collective, Audre Lorde, Gloria Anzaldua, and many, many others.

What does feminism means today?

How has it evolved from the very first issue?

It’s always important to make media. Right now, we live in a time when mainstream media is incredibly corporatized and incredibly detached from many communities, especially marginalized communities. Independent, community-based media is essential for telling stories and centering voices from the margins, which is

Why is it important to do a magazine now?

Timeset: 22 luglio 2016

Appendice


216

Intervista a: Cry Baby

Describe your zine in a sentence:

Crybaby is a zine for teens by teens.

I started Crybaby because my work wasn’t being accepted into the publications I wanted it to be. I wanted to create a place where my work as well as my friends’ work would always be appreciated. Why did you start?

It should exist because it has become a space for teenagers to share their work and be noticed. It has also created a community of like minded, wonderful people who I am both friends and co-workers with. Why should your mag exist? Which are its strenghts?

How much the graphic design reflects the purpose of the zine?

Well the style is very femme which is because it is made mostly by teen girls so I think the style reflects that.

The first issue was in black and white with hand colored covers. It consisted of only one month of work. Now it is full color and we get it printed through an online company instead of Staples. It ranges from 3 to 6 months worth of work and the team is much bigger. How has it evolved from the issue one?

Why is it important to do a magazine now?

It is important to do a magazine now because they are so accessible to so many people.

I would say that is far from the truth. In the US, women are still fighting for the right to safe, legal abortions. Trans women of color are the most likely to be victims of assault. And women are still paid less than men for the same work. I only listed three issues that still affect women, but it goes on and on. Also women in countries where war is happening and women in developing countries are facing a whole other set of problems. A lot od people today, at least in Italy, believe that “we are equal now. The war is over”. How would you respond to that?

I don’t think reporters asking celebrities if they are feminists or not is really contributing to the movement. It is a new way to get click bate articles without much substance. But, I don’t think feminism is becoming too popular. I am happy more major magazines and celebrities are donating to important causes and giving exposure to marginalized people.

Stars talk about feminism. Some people criticize that. Feminism is becoming too popular. What do you think about?

Today, feminism is a movement to bring equity to all marginalized people. I don’t think feminism is just for women because there are so many intersections within the group. Women are not only women, they are queer, a person of color, a person with a disability, and the list goes on and on.

What does feminism means today?

Well, Crybaby’s content isn’t necessarily feminist, but because all of our staff identifies as feminists there is a strong sense of self love and a push for equity for all marginalized groups. But feminist zines in general are so important because they help to spread the feminist message and gain supporters in the movement. And why a feminist one?

Who is for?

Anyone who appreciates young, developing artists and wants to support.

Timeset: 25 agosto 2016

Appendice


L’elenco

217

LONDON

ZINES

ONLINE ZINES

"

POLYESTER ZINE http://www.polyesterzine.com

"

THE CHAPESS (Manchester) http://cherrystyles.co.uk/the-chapess

ROOKIE http://www.rookiemag.com

"

OOMK http://oomk.net

"

VAMPIRE SUSHI ZINE BISTRO (CHATHAM) http://vampiresushi.co.uk/distro

GIRLS GET BUSY https://issuu.com/ggbzine

"

THE MUSHPIT http://themushpit.co.uk

"

X=Y (LONDON) http://xequalsyzine.bigcartel.com

CHERRY http://cherrymag.tumblr.com

"

SISTER MAGAZINE http://www.sistermagazine.co.uk

ILLUMINATI GIRL GANG http://illuminatigirlgang.com

OLD

HOT DOG MAGAZINE http://hotdogmag.com

HOAX http://hoaxzine.tumblr.com

"

LULA http://www.lulamag.com

DESTINO http://destinofanzine.tumblr.com

"

ORLANDO http://www.weareorlando.co.uk

OTHER COUNTRIES ZINE CLUB MAGAZINE (San Diego) http://www.zineclubmag.com

STRIKE! MAGAZINE http://strikemag.org "

"

"

"

EDITORIAL MAGAZINE (MONTREAL) http://the-editorialmagazine.com

"

UK

CRYBABY (NEW JERSEY) http://crybabyzine.com

LEADY BEARD http://www.ladybeardmagazine.co.uk

GIRLS CLUB MAG http://www.girlsclubzine.com

MSLEXIA https://mslexia.co.uk

SHAMELESS (CANADA) http://shamelessmag.com/issues

PARALLEL MAG http://www.theparallelmag.com

MAKE/SHIFT (LOS ANGELES) http://makeshiftmag.com

DIASPORA DRAMA http://diasporadrama.com

"

MS. (SINCE 1971) (VIRGINIA)

"

SPEARE RIB (1972-1993) (UK)

"

BUST (SINCE 1993) (NY)

"

BITCH (SINCE 1996) (OREGON)

"

DAZED & CONFUSED (since 1991) (UK) ON THE ISSUES (1983-2008) (USA) EMMA (SINCE 1977) (GERMANY) FEM MAGAZINE (SINCE 1973) (USA) HERIZONS (CANADA)

UPLIFT! http://www.upliftmagazine.com/uplift SALT MAGAZINE http://saltmagazine.bigcartel.com MISSY MAGAZINE https://missy-magazine.de

con questo simbolo " sono state analizzate

GIRLS LIKE US http://www.glumagazine.com

Appendice


Le prove di copertina

t r i m es t r a l e d i c u lt u r a e l i f es t y l e p e r t u t t i i t i p i d i g e n d e r

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

I TA L I A

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

I TA L I A EURO 0,00

NUMERO 0 INVERNO 2016

NUMERO 0 INVERNO 2016

i ta l i a . n u m e r o 0 . e u r o 0 , 0 0

Le Guerrilla Girls alla TATE contro il sessismo nell’arte.

La bellezza dei corpi transgender raccontata da fotografo

EURO 0,00

Il bello di potersi costruire una identità nella società odierna.

Costruirsi una identità Geografia, cultura, sesso e religione. Il personaggio che si crea ognuno di noi.

T RA C UL T U RE , G E OG R A F IA , S E S S O E R E L IGION E , L E B AT TAG L IE DI C H I È A L LA R IC E RC A D E L P R OP R IO P OS TO NE L MON DO.

O LDER A N D WISER F OTOGRAF IE DI ETÀ IN TERESSA N TI

T R OP P I FANTASMI, P OC HE ST R EGHE IN S E R V IB IL I C RI T IC HE P RE - ORD IN ATE

T RA C UL T U RE , GE OGR A F IA , S E S S O E R E L IGION E , L E B AT TAGL IE D I C H I È A L LA R IC E RC A D E L P R OP R IO P OS TO N E L M ON D O.

LA B ELLEZ Z A DEI C O RP I Q UEER NUOV E V ER ITÀ F OTOGRAF I C HE

O LDER AND W ISER F OTOGR AF IE DI ETÀ INT ERESSANT I

T R OP P I FANTASMI, P OC HE ST R EGHE IN S E R V IB IL I C RI T IC HE P RE - ORD IN ATE

LA B ELLEZ Z A DEI C O RP I Q UEER NUOV E V ER ITÀ F OTOGRAF I C HE

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

I TA L I A EURO 0,00

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

NUMERO 0 INVERNO 2016

I TA L I A EURO 0,00

T RA C ULTURE , G E OG R A F IA , S E S S O E R E LIG ION E , L E B AT TAG LIE D I C H I È A LLA R IC E RC A D E L P R OP R IO POS TO N E L M ON D O.

OLD E R AND W IS E R F OTOG R AFIE D I E TÀ INT E RE S S ANT I

T R OP P I FANTAS MI, POC HE STREGHE IN S E R V IB IL I C RI T IC HE P RE - ORD IN ATE

NUMERO 0 INVERNO 2016

I TA L I A EURO 0,00

T RA C UL T U RE , G E OG R A F IA , S E S S O E R E L IGION E , L E B AT TAG L IE DI C H I È A L LA R IC E RC A D E L P R OP R IO P OS TO NE L MON DO.

LA BELLEZ Z A DEI C O RPI Q UEER N UOVE VERITÀ F OTOGRA F IC HE

O LDER A N D WISER F OTOGRAF IE DI ETÀ IN TERESSA N TI

T R OP P I FANTASMI, P OC HE ST R EGHE IN S E R V IB IL I C RI T IC HE P RE - ORD IN ATE

NUMERO 0 INVERNO 2016

T RA C U L T U RE, G EOG R A F IA , S ES S O E R E L IG ION E , L E B AT TAG L IE D I C H I È A L LA R IC ERC A D E L P R OP R IO P OS TO N EL MON D O.

LA B ELLEZ Z A DEI C O RP I Q UEER NUOV E V ER ITÀ F OTOGRAF IC HE

ita lia . n u me r o 0 . euro 0,00

t r i m es t r a l e d i c u lt u r a e l i f es t y l e p e r t u t t i i t i p i d i g e n d e r

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER INVERNO 2017

€0,00

T R I M E S T R A L E D I C U LT U R A E L I F E S T Y L E P E R T U T T I I T I P I D I G E N D E R

T R I M E S T R A L E D I C U LT U R A E L I F E S T Y L E P E R T U T T I I T I P I D I G E N D E R

NUMERO ZERO

NUMERO ZERO

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione. PAG. 40

Le identità in bilico delle terze generazioni PAG. 40

Come si vive se di genere non conforme alle proprie ossa PAG. 40

Crearsi una identità. Tra culture, geografia, sesso e religione.

Difficili lezioni per imaprare a farsi comprendere PAG. 40


219

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

PAG. 40

€0,00

€0,00

NUMERO ZERO

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione.

INVERNO 2017

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione.

INVERNO 2017

€0,00

PAG. 40

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

NUMERO ZERO

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione.

INVERNO 2017

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

NUMERO ZERO

NUMERO ZERO NUMERO ZERO

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione. PAG. 40

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

INVERNO 2017

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione.

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

TRIMESTRALE DI CULTURA E LIFESTYLE PER TUTTI I TIPI DI GENDER

NUMERO ZERO

Crearsi una identità. Tra cultura, geografia, sesso e religione. PAG. 40

Difficili lezioni per imaprare a farsi comprendere

PAG. 40

Come si vive se di genere non conforme alle proprie ossa

INVERNO 2017

INVERNO 2017

Le identità in bilico delle terze generazioni

€0,00

€0,00

Le identità in bilico delle terze generazioni PAG. 40

Come si vive se di genere non conforme alle proprie ossa PAG. 40

€0,00

PAG. 40

Difficili lezioni per imaprare a farsi comprendere

PAG. 40

€0,00 Nr. Zero Inverno 2017

Una alternativa al femminile

PAG. 40

Il femminile di cultura e lifestyle

Una alternativa al femminile

Crearsi una

Costruirsi una identità

identità

Costruirsi un’identità Tra cultura, geografia, sesso e religione

Tra cultura, geografia, sesso e religione €0,00

NUMERO ZERO

£0,00 $0,00

Numero Zero

€0,00

Inverno 2017

Tra cultura, geografia, sesso e religione

INVERNO 2017


220

femminile di cultura e lifestyle per allentare una vita un po’ stretta per liberarsi di una vita che sta stretta

n. zero

femminile di cultura e lifestyle

n. zero

per allentare una vita un po’ stretta

COSTRUIRSI UN’IDENTITÀ Tra cultura, geografia, sesso e religione

Costruirsi un’identità

Costruirsi un’identità pag. 55

pag. 55

Tra cultura, geografia, sesso e religione

€0,00 £0,00 $0,00

Tra cultura, geografia, sesso e religione

€0,00 £0,00 $0,00

inverno 2017

inverno 2017 $ 0,00

"

£ 0,00

ZERO

€ 0,00

NR. ZERO inverno 2017

femminile di cultura e lifestyle per allentare una vita un po’ stretta

femminile di cultura e lifestyle femminile di cultura e lifestyle

per allentare una vita un po’ stretta

per allentare una vita un po’ stretta

Costruirsi un’identità

COSTRUIRSI UN’IDENTITÀ Tra cultura, geografia, sesso e religione

Tra cultura, geografia, sesso e religione

€15,00 £15,00 $15,00

Costruirsi un’identità

" ZERO Primavera 2017

€0,00 £0,00 $0,00

$ 0,00

"

£ 0,00

Tra cultura, geografia, sesso e religione

ZERO

€ 0,00

primavera 2017 nr. zero

femminile di cultura e lifestyle per allentare una vita che va stretta nr. zero primavera 2017

per allentare una vita che va stretta

femminile di cultura e lifestyle

per allentare una vita che va stretta

Costruirsi un’identità Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità Lauren Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione


nr. zero primavera 2017

221

per allentare una vita che va stretta il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr. zero / primavera 2017

Costruirsi un’identità

il femminile per allentare una vita che sta stretta

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

numero zero primavera 2017

identità

Costruirsi un’identità

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione pag.60 15.00€

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

15.00€

femminile di cultura e lifestyle per allentare una vita che va stretta

il femminile per allentare una vita che sta stretta

numero zero

nr. zero / primavera 2017

primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità

Costruirsi un’identità

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità

€ 0‚00 $ 0‚00 £ 0‚00

pag.60

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione - pag.60 numero zero

il femminile per allentare una vita che va stretta

15.00€

numero zero primaevra 2017

il femminile per allentare una vita che va stretta

nr. zero primavera 2017

Laurence Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità

€ 0‚00 $ 0‚00 £ 0‚00

€ 0‚00 $ 0‚00 £ 0‚00

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Costruirsi un’identità

Costruirsi un’identità

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione - pag.60 Laurence Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

Laurence Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

numero zero


222

il femminile per allentare una vita che sta stretta

il femminile per allentare una vita che sta stretta

numero zero primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr. zero / primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚

identità

Costruirsi un’identità

sesso e religione

15.00€

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

- pag.60

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione pag.60 15.00€

il femminile per allentare una vita che sta stretta

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr.zero primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr.zero primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚

CREARSI tra cultura‚ geografia‚

UN’IDENTITÀ TRA CULTURA,

sesso e religione

GEOGRAFIA,

- pag.60 15.00€

sesso e religione

- pag.60

E RELIGIONE

15.00€

SESSO 15.00€

il femminile per allentare una vita che va un po’ stretta

il femminile per allentare una vita che va un po’ stretta

NR. ZERO

NR. ZERO

primavera 2017

IT

il femminile per allentare una vita che sta stretta

primavera 2017

IT

nr. zero / primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚

Costruirsi un’identità - pag.60

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

COSTRUIRSI UNA PROPRIA IDENTITÀ Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione 15.00€

sesso e religione


223

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr. zero / primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

nr. zero / primavera 2017

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità

Costruirsi un’identità

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

Laurence Philomene - A·WA - Atong Atem - Ezra Furman

il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità

nr. zero / primavera 2017

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

ITA €10,00

Nr. zero / Primavera 2017

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Nr. zero / Primavera 2017

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

ITA: €10,00

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

€ 10‚00 $ 10‚00 £ 10‚00

Costruirsi un’identità

nr. zero / primavera 2017

Nr. zero / Primavera 2017

Costruirsi un’identità tra cultura, geografia, sesso e religione

Il femminile per allentare una vita che sta stretta

Costruirsi un’identità tra cultura, geografia, sesso e religione

Costruirsi un’identità tra cultura‚ geografia‚ sesso e religione

ITA €10,00

Costruirsi un’identità tra cultura, geografia, sesso e religione

Nr. zero / Primavera 2017

ITA € 10,00

& Tutte le ipotesi vagliate per arrivare alla copertina finale comprese delle prime prove sulla testata ‘Gorilla’ quando ancora non era stata scelta la definitiva.



Ringrazio Marta Bernstein e Davide Mottes per tutto il tempo che mi hanno dedicato. Un grazie speciale alla mia socia Onji e a Raffa per avermi supportato e sopportato. A Clemi che mi è sempre di conforto e a Cingo che non ha mai smesso di farmi revisione.




Tesi teorica e relazione di progetto Laurea Magistrale Design della Comunicazione


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.