Quaderni Cesmar7 08 C12 Restauro 2010

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Silvia Baldi, Silvia Baldis, Serena Battistello, Enrica Boschetti, Irene Colombo, Paola Currò Dossi, Francesca DalrÏ, Franco Del Zotto, Vera Fedrigo, Lilia Gianotti, Katia Grassi, Silvia Invernizzi, Marella Labriola, Andrea Lutti, Greta Medici, Amelio Micheli, Silvia Ottolini, Francesca Anna Quintieri, Davide Riggiardi, Chiara Stella Sasso, Cristiana Sburlino, Patrizia Schievano, Arianna Splendore

Il ciclododecano nel restauro dei manufatti artistici A cura di Davide Riggiardi Introduzione di Hans Michael Hangleiter


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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti artistici

[Quaderni Cesmar7]

premessa In occasione del corso organizzato a Verona nel 2003 con il Prof. Richard Wolbers sull’approccio acquoso alla pulitura dei dipinti, il CESMAR7 ha testimoniato quell’esperienza pubblicando il Quaderno n. 1 {1.1.}. Ora come allora, a seguito del corso organizzato a Bergamo nel Settembre del 2009 con il Prof. Hans M. Hangleiter sui metodi applicativi del Ciclododecano, il CESMAR7 ha ricondotto all’interno di una pubblicazione, il diario delle esperienze realizzate. Il CESMAR7, inoltre, vuole perseguire la strada già intrapresa con lo studio dell’Agar nel Quaderno n. 4 {1.2.} e nel Quaderno n. 6 {1.3.}, ovvero mettere a disposizione del restauratore materiali noti, rendendoli funzionali ad impieghi sempre più differenziati, offrendo una serie di nuove possibilità operative, che rappresentano di per se, non tanto una serie di nuove ricette, quanto un approccio dettato dalle esigenze delle singole opere. L’Agar è stato un punto di partenza inedito, un’ innovazione sia dal punto di vista dell’efficacia, che permetteva di superare i limiti dei comuni materiali precedentemente utilizzati, sia dal punto di vista metodologico, nella sua straordinaria capacità di addurre acqua in materiali quali il gesso che la temono straordinariamente. “Certificare” un materiale non significa promuoverne la commercializzazione, bensì mettere a disposizione di tutti gli operatori le conoscenze acquisite nel tempo, testando tale materiale, per offrire, attraverso la verifica delle interazioni e la calibrazione di prassi operative, un ulteriore strumento per rispondere al meglio alle esigenze metodologiche, affinché ciascuno possa poi svilupparne al massimo le possibilità applicative, moltiplicandone le opportunità d’uso. In tal senso anche il Ciclododecano apre prospettive inedite, è un materiale versatile, con caratteristiche chimico-fisiche note, che consente un approccio anche nella logica del “minimo intervento”, poiché non limita alcuna scelta operativa successiva al suo impiego e soprattutto poiché possiede la caratteristica di passare dallo stato solido a quello gassoso, sublimando, a differenza di tutte le tradizionali sostanze finora impiegate nel restauro. Per queste caratteristiche il Ciclododecano ha suscitato in questi anni l’ attenzione del CESMAR7 {1.4.}, {1.5.}, {1.6.}, {1.7.} e continuerà a stimolare nuove riflessioni come ha fatto nel presente Quaderno. Prendendo spunto da esperienze di restauri condotti e illustrati dal Prof. Hans M. Hangleiter durante una giornata teorica aperta ad una vasta platea di restauratori, gli autori hanno avuto modo nella parte pratica di prendere confidenza col materiale, di apprenderne concretamente i limiti e le possibilità di utilizzo fino ad essere stimolati, anche attraverso le difficoltà incontrate, a proporre nuovi spunti di ricerca: utilizzato inizialmente nell’ambito della movimentazione delle opere per il suo potere di adesivo temporaneo e per la protezione di dipinti murali, il Ciclododecano si offre oggi quale utile strumento durante le fasi di restauro per la sua possibilità di salvaguardare temporaneamente l’integrità di superfici cromatiche di tele, affreschi, materiale di scavo durante operazioni di distacco, riassemblaggio, trasporto, conservazione o durante l’uso di prodotti e materiali che ne potrebbero compromettere la stabilità, sfruttandone ad esempio le proprietà idrofobizzanti. Utile ai restauratori delle più svariate tipologie di materiali e di epoche, in questo quaderno alcune delle proposte di uso attivate durante il seminario, sono offerte al lettore quali esempio di un ben più ampio panorama di possibilità.

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Figura 1. Chiostro delle Arche dell’Ex Convento di S. Francesco a Bergamo.

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Introduzione Le affascinanti proprietà del Ciclododecano sono relativamente semplici da descrivere. Le possibilità pressoché infinite per la conservazione e il restauro di opere d’arte sono già state presentate in diversi convegni e pubblicazioni. Tuttavia davanti ad una precisa descrizione dei procedimenti il successo delle applicazioni pratiche dipende spesso da specifici dettagli nella manipolazione del materiale e dal contesto in cui si opera. Il Ciclododecano è giustamente descritto come una sostanza di natura cerosa, ma che si differenzia da una cera nelle sue proprietà fondamentali. Tutte le cere presentano una certa “appiccicosità”, caratteristica che nel Ciclododecano manca. La cera, è un materiale morbido e plasmabile nella fase di passaggio dallo stato solido al liquido. Questa caratteristica non è presente nel Ciclododecano. Esso si trasforma immediatamente e senza gradualità dallo stato fluido allo stato solido. Pertanto, quando uno strato di Ciclododecano deve aderire solidamente ad un supporto, la conoscenza di tali caratteristiche e comportamenti ricopre un ruolo molto importante. Bisogna conoscere abbastanza bene il supporto, la sua tolleranza ad una temperatura elevata e bisogna conoscere anche la capacità di assorbimento del supporto per essere in grado di decidere se un risultato ottimale può essere ottenuto con l’aggiunta di solvente nel Ciclododecano oppure no. Poiché la complessità di questi dettagli è già emersa nel corso dei vari incontri seminariali, si arrivò all’idea di offrire uno stage per i colleghi nell’ambito del quale venisse principalmente trasmesso un approccio pratico all’utilizzo del Ciclododecano . Da questo spirito parte il percorso che ha condotto a questo nuovo Quaderno n.8 del CESMAR7. Hans Michael Hangleiter

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individuazione del sito operativo e dei test da condurre

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Le giornate studio della parte pratica si sono svolte all’interno del Chiostro Maggiore o delle Arche dell’ex convento di S. Francesco a Bergamo (Figura 1). Il Chiostro fu edificato nel corso del XIV sec. ed è costituito da un ampio cortile centrale delimitato da un porticato ad archi a tutto sesto, coperti da volte a crociera poggianti su colonne che insistono su un basso muro stilobate continuo. Il porticato fu modificato probabilmente nella seconda metà del quattrocento con la costruzione delle volte esistenti che sostituirono la precedente copertura a capriate. I dipinti murali oggi visibili sono relativi a due campagne decorative differenti. La più antica, riportata parzialmente alla luce nel 1931 in occasione di un piano di recupero dell’intero complesso, risale al ‘300 con scene votive che si sviluppavano sulle pareti e che furono completamente coperte nel settecento dal ciclo dedicato ai Miracoli di S. Antonio, realizzato sulle lunette sotto alle volte del porticato. Il cattivo stato conservativo dei dipinti dipende principalmente da due riassumibili fattori: forte presenza di umidità con conseguenti inevitabili problemi di fuoriuscita e migrazione di sali, tipologia dei materiali utilizzati nei restauri effettuati negli anni ‘30, ai quali seguirono nel tempo altri interventi manutentivi. Questi ultimi, sebbene non documentati, hanno lasciato traccia sulle opere con largo impiego di malte cementizie e resine sintetiche (viniliche e acriliche). In tale sede si è voluto sperimentare l’impiego e il comportamento del Ciclododecano, per fare ciò abbiamo individuato diverse porzioni architettoniche delle superfici a nostra disposizione, in modo tale da poter eseguire una diversa tipologia d’intervento per ogni zona. Dovendo compiere singole e limitate prove si sono predilette zone periferiche, che hanno coinvolto anche materiali non originali ma impiegati durante i restauri precedenti e i vari interventi conservativi. Oltre a quanto simulato in tale Chiostro, molte sono state le prove e le osservazioni condotte in seguito, unitamente allo specifico bagaglio personale di tutti i partecipanti. Questa combinazione ha fatto si che in breve tempo fosse creato un gruppo di lavoro efficace e capace di assemblare in modo abile, conoscenze presenti e passate. In questo volume quindi si affiancano, oltre a quanto sopra descritto, proposte per l’impiego del Ciclododecano nella ricomposizione ed il riposizionamento di frammenti murali in altri siti e inoltre l’utilizzo del Ciclododecano come preconsolidante, senza dimenticare le possibilità operative in contesti archeologici siano essi collocati in ambienti umidi che asciutti.

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IMPIEGO Del CICLODODECANO COME IDROFOBIZZANTE L’applicazione del Ciclododecano può rappresentare un valido aiuto per fornire un effetto “barriera” all’acqua, nel caso in cui si debba agire con impacchi prolungati di soluzioni acquose o con compresse estrattive per l’eliminazione di sali ed efflorescenze su superfici idrosensibili (ad esempio tempere) o con problemi di forte decoesione dei materiali costitutivi. Nei casi in cui c’è la necessità di solubilizzare sostanze che sono affiorate superficialmente o che si sono depositate nel tempo o che desideriamo estrarre dagli strati superficiali della materia, senza però intaccare la materia originale dell’opera, è necessario che il Ciclododecano, posto come barriera per i trattamenti da eseguire, arrivi a penetrare anche in profondità per proteggere l’originale. Si procede, dunque, a un’applicazione di Ciclododecano in soluzione con un solvente idrocarburico a percentuali variabili tra il 10% e il 50% per abbassare il punto di ebollizione e favorire così l’assorbimento della miscela nel materiale da idrobofizzare. La scelta della diluizione e del tipo di solvente da impiegare, dipende dal grado di penetrazione che si desidera ottenere. Per ottenere la giusta e desiderata impregnazione del substrato si rende indispensabile procedere in più passaggi. Ogni passaggio successivo va fatto prima che lo strato precedente sia solidificato, per permettere un’omogeneità d’impregnazione senza avere stratificazioni diverse. La soluzione va mantenuta fluida e a temperatura costante con piastre termoriscaldanti o pentole termiche. Davanti a supporti poco porosi è possibile facilitare l’operazione veicolando il Ciclododecano prima della sua stesura con un solvente e/o alzando di alcuni gradi la temperatura del materiale da trattare. Si consideri che in presenza di murature e intonaci fortemente umidi la presenza di acqua libera, occludendo le porosità, potrebbe rendere difficoltoso tale procedimento. Ultimata la stesura della miscela, come fase successiva si rende necessario attendere la sublimazione superficiale del Ciclododecano, in modo tale da poter intervenire esclusivamente sulle sostanze superficiali da eliminare e non sull’originale, reso coeso e protetto dal Ciclododecano. Un riferimento da considerare al processo di sublimazione del Ciclododecano rimane quello fornito dai dati sperimentali, che indicano una sublimazione di 1 mm di Ciclododecano al mese ad una temperatura stabile di 20°C con costante ventilazione. Dato, però, che solitamente si opera su dei materiali che, per le loro caratteristiche chimico-fisiche e per la loro ubicazione ambientale e microclimatica, sono completamente diversi, non è possibile dare indicazioni precise sul tempo di sublimazione, ma è consigliato eseguire caso per caso delle prove di verifica. Empiricamente si può attuare tale verifica con una semplice umidificazione superficiale, magari attraverso un nebulizzatore. Con le stesse modalità di preparazione e con medesima garanzia di buona idrofobizzazione di materiali porosi e superfici sensibili all’acqua, è possibile utilizzare il Ciclododecano anche sotto forma nebulizzata, impiegando sistemi, quali il vaporizzatore o un mini areografo portatile tipo Preval Sprayer. PROVA. CHIOSTRO DELLE ARCHE, LATO EST, CAMPATA 2A. MURATURA SOTTOSTANTE LA LUNETTA IN PIETRA Descrizione Blocchi di pietra arenaria squadrati a vista (Figura 2). Stato di conservazione Evidenti appaiono i problemi legati alla forte presenza di umidità che ha portato a una decoesione del materiale lapideo, a esfoliazione e distacco. Numerosi anche i depositi di polvere, la presenza di croste nere e patine grigie. Di tali stati conservativi, come anche dei successivi, è stato prodotto un relativo disegno per esemplificare al meglio la situazione1 (Disegno 1).

1. Elaborazione grafica a cura dell’Architetto Paola Belussi.

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Figura 2. Porzione di superficie selezionata per l’intervento.

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Scopo dell’operazione Idrofobizzare temporaneamente una superficie lapidea per consentire operazioni di pulitura e consolidamento. Applicazione del Ciclododecano Preparazione del prodotto Fusione a 90°C del Ciclododecano in pentole termoriscaldanti e successiva aggiunta di pari volume di benzina rettificata 100/140°C. Metodo applicativo 1. A pennello. Mantenendo a temperatura la miscela, si è proceduto a stenderla a pennello in diversi passaggi (Figura 3), cercando di impregnare il più possibile la superficie. L’operazione è stata resa difficoltosa dalla forte presenza di umidità che impediva la penetrazione desiderata della miscela. Si sono dunque fatti più tentativi per migliorare le possibilità di adesione della miscela: veicolando la soluzione con una precedente stesura di benzina rettificata 100/140°C, o facendo precedere all’applicazione un’evaporazione forzata con un phon termo graduabile (Figura 4). Nel primo caso non abbiamo avuto alcun vantaggio nelle operazioni d’imbibizione2. Nel secondo caso, invece, la ventilazione forzata dava migliori risultati, soprattutto se subito dopo il riscaldamento della parte interessata si faceva seguire velocemente la stesura del Ciclododecano 3. 2. A spruzzo. Applicazione a freddo con l’ausilio di aerosol con miniaerografo (Figura 5) e con nebulizzatore manuale(Figura 6). della soluzione di Ciclododecano, a una distanza di qualche centimetro dalla superficie. In questo caso la maggior difficoltà è stata evitare che gli ugelli della strumentazione si otturassero a causa del raffreddamento e relativo deposito del Ciclododecano nella fase di fuoriuscita attorno agli ugelli. Il sistema che abbiamo adottato per evitare l’intasamento degli ugelli è stato quello di non sospendere l’erogazione del Ciclododecano in modo tale che l’ugello rimanesse costantemente aperto ed a temperatura. Anche in questo caso si otteneva una maggiore penetrazione facendo precedere all’operazione una ventilazione forzata sul materiale da trattare, adoperando una temperatura non impostata oltre i circa 60°C. Verifica dell’operazione Durante e subito dopo l’applicazione, indipendentemente dalla metodologia adottata, si è controllato che non si formassero sbiancamenti per eccesso di prodotto. Per problemi di tempo e trattandosi di una zona di ridotta dimensione, è stato ridotto il tempo di attesa per la sublimazione superficiale del Ciclododecano, intervenendo solo dopo poche ore con le prove di umidificazione sopraccitate4. I test sono stati eseguiti bagnando la zona interessata e accertandosi che avvenisse un’impregnazione rapida e superficiale, segno che il Ciclododecano bloccava l’azione dell’acqua appena sotto la superficie, permettendo quindi l’utilizzo di eventuali impacchi di soluzioni acquose o compresse assorbenti, senza creare danni al materiale originale.

2. Anche attendendo del tempo tra la veicolazione del solvente e l’applicazione del Ciclododecano per consentire una recettività maggiore da parte delle porosità della pietra. 3. La ventilazione oltre a consentire l’evaporazione dell’acqua presente nel materiale, aumentava la temperatura dello stesso. 4. Per estensioni maggiori e maggiormente saturate sono necessarie anche diciotto/ventiquattro ore dall’applicazione.

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Figura 3. Stesura del Ciclododecano in soluzione al 50% in benzina rettificata 100/140°C a pennello.

Figura 4. Preparazione della superficie umida tramite riscaldamento con phon termograduabili.

Figura 5. Applicazione di Ciclododecano in soluzione al 50% in benzina rettificata con nebulizzatore spray.

Figura 6. Applicazione del Ciclododecano in solvente con vaporizzatore a mano.

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SIGILLATURE

Una valida applicazione del Ciclododecano è nelle fasi operative per il consolidamento in profondità degli intonaci. Tale prodotto può essere usato per sigillare, temporaneamente e senza lasciare residui, crepe e piccole fessurazioni, in modo da evitare la fuoriuscita dei prodotti utilizzati per le iniezioni di consolidamento; siano essi una maltina idraulica o una resina acrilica in emulsione acquosa. Non è consigliabile, invece, impiegare resine epossidiche in presenza di Ciclododecano, perché il contatto tra i due prodotti potrebbe interferire con la polimerizzazione delle resine. Quest’attenzione vale anche per le resine acriliche solubili in solventi polari, che in fase di solidificazione tendono a inglobare parte di Ciclododecano. Caratteristica che deve avere un materiale di chiusura temporaneo è: una buona aderenza e una sufficiente capacità di adesione verso la materia oggetto d’intervento, una facile e totale reversibilità e non deve interferire, né chimicamente, né fisicamente, con il materiale originale, nonché deve essere di facile utilizzo. Queste caratteristiche sono sicuramente rappresentate dal Ciclododecano. In queste trattamenti temporanei, dove è necessario limitare la penetrazione in profondità nel materiale originale, appare più appropriato usare il Ciclododecano sotto forma di spray. Infatti la nebulizzazione del prodotto a freddo ne provoca una solidificazione immediata e garantisce la sua permanenza, preminentemente in superficie. Tuttavia l’uso del Ciclododecano in versione fusa a 90°C ha sì una forza di adesione molto più elevata ed una consistenza molto più compatta, ma ha, anche, una più elevata penetrazione nella materia ed il suo utilizzo per la chiusura delle fessure diventa più difficile da gestire. L’uso del Ciclododecano spray, che facilmente occlude le fessurazioni, deve essere seguito da una pressione manuale della schiuma appena spruzzata, in corrispondenza della fessurazione da sigillare, per compattarla maggiormente, assicurando una perfetta aderenza e la creazione di una barriera omogenea e stabile. L’uso del Ciclododecano fuso diventa più idoneo nel momento in cui si devono fissare canule da iniezione, si devono fare dei trattamenti protettivi o idrorepellenti della superficie originale o per tutelare la superficie quando si ha la necessità di creare piccole vasche contenitive con materiali plastici (argilla, plastilina, ecc.). Questo trattamento garantisce sicuramente una stabilità maggiore della superficie trattata, rispetto all’impiego precedentemente illustrato con il sistema a spray5. I vantaggi di tale utilizzo sono indubbi, sia per la facilità di pulitura degli intonaci, con abbondante acqua a fine intervento, sia per la completa eliminazione del Ciclododecano una volta sublimato. La stesura del Ciclododecano a pennello può servire nella fase di pre-stuccatura per proteggere la superficie dipinta circostante, sia dagli sbiancamenti perimetrali6, sia dall’azione meccanica delle spatole che possono provocare bruniture marginali della policromia. PROVA. CHIOSTRO DELLE ARCHE, LATO EST, CAMPATA 8A. ZONA PERIMETRALE AD UNA STUCCATURA IN MALTA CEMENTIZIA Descrizione “Miracolo di S. Antonio” Autore: Giacomo Adolfi Epoca: primo quarto del XVIII sec. Stato di conservazione Nei precedenti lavori di restauro è stata impiegata della malta cementizia per realizzare salvabordi e stuccature, accentuando i problemi di efflorescenze saline e creando discontinuità materiche (Figura 7). 5. Si tenga presente che la sublimazione del Ciclododecano spray avviene prima rispetto a quella del Ciclododecano fuso ed è stimata di pochi giorni, vista la maggior superficie esposta dei cristalli {1.7.}; {2.17}. 6. Dovuti alla permanenza della calce nelle scabrosità dell’intonaco, spesso poco raggiungibili con i tradizionali metodi di risciacquo.

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I sali contenuti nella malta originale e quelli probabilmente rimasti come residuo di vecchie scialbature rimosse, sono stati disciolti dall’acqua di risalita e d’infiltrazione. Questi Sali sono migrati andando a depositarsi nei materiali più porosi e quindi più aggredibili, ovvero gli intonaci di calce e sabbia settecenteschi, provocando grossi problemi di de coesione (Disegno 2). La superficie è anche interessata da lacune, alcune delle quali stuccate e ritoccate con tempera a base colla, altre, come quella al centro della lunetta oggetto della prova con Ciclododecano, stuccate a intonaco a vista con gravi problemi di deadesione che interessano tutti gli strati d’intonaco fino al supporto murario. La presenza di resine viniliche, date come protettivi in anni recenti, ha aggravato i fenomeni sopra descritti, diminuendo la capacità traspirante dei materiali originali. Scopo dell’operazione Sigillare temporaneamente fessurazioni o lacune in previsione di operazioni di consolidamento in profondità. Applicazione del Ciclododecano La nostra operazione si è divisa in due fasi diverse. La prima fase è stata la chiusura delle fessurazioni, ove abbiamo adoperato un Ciclododecano spray, con una successiva prima prova d’iniezione. La seconda fase, dopo la chiusura della fessurazione, è stata il fissaggio delle canule per le iniezioni, ove è stato adoperato un Ciclododecano sciolto a caldo e steso a pennello e conseguente iniezione. 1) Tamponamento delle fessure con Ciclododecano spray Flüchting Metodo applicativo Dopo una pulitura superficiale con metodi a secco della zona in cui si presenta la fessurazione, s’iniettato nella fessura da chiudere, con l’ausilio di siringhe, poca acqua per osservare la presenza di possibili zone di fuoriuscita. Una volta evaporata tutta l’acqua si è poi spruzzato il Ciclododecano Spray Flüchting distanziando l’ugello a 1÷2 cm dalla superficie (Figura 8), preoccupandosi di favorire l’aderenza del prodotto pressandolo manualmente (Figura 9). Dopo aver preparato una maltina da consolidamento a base di calce idraulica e inerte ventilato, si è iniettata facendo precedere l’operazione da una soluzione veicolante di acqua e alcool etilico (Figura 10). Lasciata asciugare la maltina d’iniezione, si è quindi testata la possibilità di rimozione rapida e immediata del Ciclododecano impiegato, semplicemente asportandolo con tamponi imbevuti di un idrocarburo, quale il cicloesano. Verifica dell’operazione Essendo il Ciclododecano spray molto veloce nell’asciugatura, permette di testare immediatamente il buon esito della sigillatura iniettando il veicolante prima di passare all’applicazione della maltina da consolidamento. Inoltre tale formulazione dà la possibilità di intervenire anche su di una superficie umida, permettendo di richiudere eventuali nuovi punti di fuoriuscita, senza dover sospendere l’operazione. 2) Inserimento delle canule con Ciclododecano puro a 90°C Metodo applicativo Nella zona già trattata precedentemente per il consolidamento a iniezioni si è posizionata, in un punto molto fessurato, una canula di 5 mm di diametro, sigillando la sua unione con l’intonaco con del Ciclododecano puro fuso a 90°C (Figura 11). Dopo aver preparato una maltina da consolidamento a base di calce idraulica e inerte ventilato, si è iniettata nella fessurazione utilizzando la canula in precedenza predisposta (Figura 12).

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Figura 8. Applicazione di Ciclododecano spray sulla crepa.

Figura 9. Ulteriore sigillatura con pressione manuale sul Ciclododecano spruzzato.

Figura 10. Iniezione di maltina consolidante a base di calce idraulica.

Figura 11. Fissaggio di una canula con Ciclododecano puro fuso.


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Verifica dell’operazione Anche in questo caso durante l’iniezione della maltina si è verificata la perfetta tenuta del Ciclododecano, che ha impedito la fuoriuscita del materiale consolidante (Figura 13). Trattandosi, in questo caso, di Ciclododecano puro, una volta solidificato, si è visivamente riconosciuto il suo classico aspetto ceroso e biancastro, ben diverso da quello più farinoso della formulazione spray. Il Ciclododecano fuso, che rimane tale solo a temperatura costante ed elevata, si è dimostrato di più difficile applicazione rispetto al Ciclododecano spray; ciò è stato pagato però da una tenuta e una stabilità maggiore, durante tutte le operazioni e anche in fase operativa. A tre mesi dalla conclusione delle giornate di studio si è tornati nel Chiostro a compiere delle verifiche dello stato delle superfici prese in esame, constatando visivamente che il Ciclododecano impiegato nella prova proposta era completamente sublimato senza lasciare alcun residuo.

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oFigura 12. Iniezione di maltina consolidante dalla canula.

Figura 13. Tenuta delle sigillature eseguite con Ciclododecano.

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È possibile sfruttare il Ciclododecano anche per velinare superfici in alternativa ai classici metodi che prevedono l’uso di materiali poi difficilmente asportabili, come ad esempio le resine acriliche o le colle animali. In questo caso il Ciclododecano è utilizzato puro, fondendolo senza alcuna aggiunta di solvente a una temperatura di 90°C con piastre termoriscaldanti o in pentole termiche. È anche possibile fare alcune aggiunte di solvente (benzina rettificata 40/60°C), che diminuendo il punto di ebollizione, garantiscono l’adesione del Ciclododecano posticipando la solidificazione per un migliore contatto e penetrazione con la materia da trattare. L’applicazione del Ciclododecano può essere fatta a pennello, utilizzando armatura fogli di tessuto non tessuto, garze di cotone, feltro di polipropilene o altro materiale intessuto, purché abbiano una trama poco fitta e uno spessore tale da permettere il passaggio del ciclododecano. Durante l’applicazione il Ciclododecano deve essere mantenuto il più possibile a temperatura elevata per agevolare la stesura prima della solidificazione, processo che si accelera quanto più bassa è la temperatura dell’ambiente e del materiale de trattare. La necessità di avere una sorta di strato protettivo attraverso quest’utilizzo, fa sì che l’applicazione del Ciclododecano non abbia bisogno di andare in profondità e quindi ai nostri occhi ciò si traduce nella presenza di uno spesso strato, biancastro e ceroso. Nel caso opposto, la penetrazione più elevata apparirebbe invece come una stesura quasi impercettibile di un materiale trasparente. Un altro metodo di applicazione delle garze di protezione, adatto per piccole fermature, è quello di preparare fuori opera delle garze imbevute in Ciclododecano puro fuso, lasciate asciugare su di un foglio di Melinex e applicate in loco con ausilio di un termocauterio o con un ferro termo graduabile a una temperatura tra i 60°C e i 90°C, in grado di rifondere il Ciclododecano permettendo l’adesione. Nel caso di ampie velinature di superfici è possibile, inoltre, provocare la riattivazione del bendaggio con un phon a circa 60°C e garantire l’adesione pressando con una lama d’acciaio o utilizzando un sistema a sottovuoto sulla superficie. Essendo il Ciclododecano destinato a scomparire in tempi predeterminati, è chiaro che, nel caso di velinature o protezioni che devono durare nel tempo per mantenere in sicurezza l’oggetto da restaurare, la sua sublimazione diventa pericolosa se non si prendono dei provvedimenti. In questi casi si risolve il problema semplicemente creando una barriera sul prodotto stesso, che ne impedisce nel tempo la sua sublimazione, il materiale che noi abbiamo adoperato per tale intervento, è alluminio in fogli. Prima di anteporre tale barriera, però, si deve consentire l’evaporazione dell’eventuale solvente aggiunto nella miscela adesiva. Si consiglia quindi di aspettare ventiquattro ore dalla stesura del Ciclododecano per applicare lo strato di chiusura. Dopo l’incollaggio delle garze sulla superficie interessata dall’intervento, segue, dunque, l’applicazione di fogli di alluminio (spessore 25 mm), resi adesivi con una miscela di miele e silice micronizzata in proporzione di 1:2. La scelta del miele è dettata dalle sue proprietà adesive (nel tempo sempre costanti), antibatteriche naturali e dalla facilità di rimozione anche a distanza di tempo, con semplice apporto di acqua. L’aggiunta di silice micronizzata consente di supportare il miele, diminuendo la sua fluidità anche dopo il riscaldamento indispensabile per la stesura sui fogli di alluminio7.

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7. Esistono in commercio anche dei film di alluminio monoadesivi, ma il collante impiegato nella loro produzione tende a interferire con il Ciclododecano e a lasciare residui sulle superfici, sebbene amorfi, incoerenti e facilmente removibili.

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PROVA 1. CHIOSTRO DELLE ARCHE. LATO EST, CAMPATA 6A. RASATURA IN MALTA CEMENTIZIA E PORZIONE DI DIPINTO Descrizione “Miracolo di S. Antonio” Autore: Giacomo Adolfi Epoca: primo quarto del XVIII sec. Stato di conservazione L’intonaco a causa della presenza di umidità di risalita e di una forte solfatazione si è decoeso, diventando fragile e pulverulento. Il fenomeno è stato accentuato sia dalla presenza di nitrati, dovuti alle sostanze organiche presenti nel terreno sottostante8 e provenienti dai monumenti funerari realizzati nella parte sottostante alle pitture in esame, sia dalle stuccature in malta cementizia, fatte alla base della nicchia (Disegno 3). L’umidità ha portato anche a fenomeni di deadesione degli strati e alla caduta di quasi tutta la pellicola pittorica, portando alla luce tracce del disegno preparatorio. Mediante queste tracce abbiamo una parziale ricostruzione della raffigurazione originaria. Anche in questo caso s’ipotizza che sui dipinti sia stato steso un consolidante-protettivo a base di resine viniliche, le quali, dato il cattivo stato di conservazione e la tipologia di danno, non sono riuscite a sopperire allo scopo (Figura 14).

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Scopo dell’operazione

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Preparazione del prodotto

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1. Si è steso a pennello il Ciclododecano fuso sulla superficie da trattare, preriscaldando la zona per permettere la giusta penetrazione e la corretta tenuta dell’applicazione da eseguire. Dopo diverse prove con miscele a diverse percentuali. La soluzione del riscaldamento è stata adottata dopo una serie di tentativi di applicazioni del Ciclododecano, che partendo dal materiale puro, fuso, continuavano con l’aggiunta graduale di un solvente di diluizione. Tali adesioni, basate solo sull’adesione de Ciclododecano non hanno dato alcun buon risultato, ecco perché è stato scelto di riscaldare preventivamente la superficie. La spiegazione più plausibile di un tale anomalo comportamento, emersa dalle riflessioni tra i partecipanti e lo stesso docente, H. M. Hangleiter è l’interazione di un insieme di fattori: solfatazione pronunciata, stesura di resine viniliche in precedenti interventi di restauro, esasperata umidità e condizioni termoigrometriche sfavorevoli. 2. Si sono predisposti fuori opera i fogli di alluminio necessari alla creazione della barriera da applicare. In seguito si è unito il miele alla silice micronizzata (in rapporto 1:2) e si è miscelato il composto con un agitatore elettrico, provvedendo poi a scaldare il composto a bagnomaria.

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Velinatura degli intonaci con barriera anti-sublimazione. Applicazione del Ciclododecano

Ciclododecano puro fuso a 90°C in pentole termo riscaldanti. Metodo applicativo

8. Il Chiostro conteneva delle tombe.

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Figura 14. Porzione di superficie selezionata per l’intervento.

3.

4.

Disegno 3. Mappatura campata 6A, analisi dello stato di conservazione e prove d’intervento.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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Su fogli di carta, formato A4, si sono posti dei fogli di alluminio leggermente inferiori al formato indicato, questo per facilitare le operazioni di trattamento, trasporto e stoccaggio9 di tale lamina. Il miele fluidificato con il bagnomaria, tramite una siringa, è stato steso a striscia sulla sommità di ogni film di alluminio. L’impasto di miele e silice ancora fluido, tramite una spatola di plastica morbida, è stato distribuito uniformemente, in maniera omogenea, sbordando di un 1÷2 cm sulla carta (Figura 15). 3. Trascorse ventiquattro ore dalla stesura del Ciclododecano si sono applicati al muro, trattato con garza e Ciclododecano, i fogli di alluminio. Sfruttando la funzione portante del foglio di carta, la pellicola di alluminio, trattata a miele, è stata appoggiata sulla superficie, facendola aderire ed eliminando subito dopo il supporto cartaceo. I fogli sono stati fatti aderire in maniera regolare, dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra, facendoli sovrapporre perimetralmente di qualche centimetro (a scaglia di pesce). Eliminata la carta, si è tamponata la superficie con batuffoli di cotone per evitare la formazione di bolle tra gli strati e ripulire da eventuali residui di fuoriuscita di miele (Figura 16). 4. Nella giornata successiva si è poi rimossa parte della barriera di alluminio per sperimentare la facile rimozione dei composti con un semplice lavaggio acquoso, senza interferire con la superficie originale, ancora perfettamente protetta dal Ciclododecano. Si è poi provocata la rapida sublimazione del Ciclododecano con una ventilazione forzata tramite un phon a temperatura controllata. Verifica dell’operazione L’applicazione del Ciclododecano puro deve essere omogenea e ben aderente alla superficie, mostrando, ad avvenuto raffreddamento, una consistenza cerosa e opalina. Per evitare la sublimazione del Ciclododecano, la barriera di alluminio non deve presentare rotture e imperfezioni. Per verificare la tenuta della barriera nel tempo, è stata lasciata una porzione di copertura della velinatura, che è stata costantemente monitorata. A distanza di tre mesi la situazione di messa in sicurezza della superficie appare immutata, dando conferma che le caratteristiche fisiche del Ciclododecano possono rimanere per lungo tempo invariate se adeguatamente protetto.

9. Specialmente per grandi superfici, la preparazione dei fogli in alluminio può essere effettuata in anticipo, in modo da permettere un’attenta cura nella realizzazione della barriera ed una maggiore rapidità nelle operazioni di stesura sulla superficie da proteggere. Questa barriera può essere mantenuta sulla superficie per lungo tempo senza che si tema un cedimento da parte del Ciclododecano, né un’alterazione del composto di miele e silice che grazie all’alluminio sono completamente protetti dall’aria e dall’ambiente circostante.

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Figura 15. Miscelazione del miele con la silice micronizzata e sequenza della stesura del composto sui fogli-barriera di alluminio.

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Figura 16. Sequenza dell’applicazione di foglibarriera su di una superficie trattata con Ciclododecano.

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PROVA 2. FRAMMENTO DI UN DIPINTO MURALE

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Descrizione Frammento di dipinto murale decorato (circa 15 x 18 cm). Applicazione del Ciclododecano Preparazione del prodotto Ciclododecano puro fuso a 90°C in pentole termo riscaldanti. Metodo applicativo Appoggiata una garza di cotone sulla policromia, fino a ricoprire l’intero frammento, si è steso il Ciclododecano fuso a pennello, tenendo la temperatura costante (Figura 17). Per garantire una perfetta adesione del bendaggio, la garza è stata mantenuta sotto leggera pressione fino ad avvenuta solidificazione del Ciclododecano (Figura 18). Verifica dell’operazione L’applicazione del Ciclododecano deve essere omogenea con un aspetto superficiale di semitrasparenza. Provocando una lieve trazione della garza si deve avvertire una buona resistenza allo strappo e non si deve avere distacco. In questo caso è potuto anche capovolgere il frammento tenendolo sospeso tramite il bendaggio, testando così il potere adesivo del Ciclododecano (Figura 19). In altre zone del chiostro si sono tentate altre piccole garzature, ma la forte umidità e la probabile presenza di protettivi a base di resine sintetiche, applicati in precedenti interventi manutentivi, rendevano difficoltosa l’applicazione del bendaggio che risultava essere poco tenace e con una tenuta discontinua. Migliori risultati si avevano scaldando la superficie poco prima dell’applicazione, mentre non si aveva particolare beneficio nella preliminare veicolazione del Ciclododecano o favorendo la penetrazione con aggiunta di piccole percentuali di solvente (Figura 20).

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Figura 17. Stesura di Ciclododecan puro fuso a pennello per effettuare un bendaggio con garza in cotone.

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Figura 18. Bendaggio di un frammento di intonaco dipinto con Ciclododecano.

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Figura 19. Prova di tenuta del bendaggio.

Figura 20. Bendaggio di una superficie umida, dove si nota la scarsa adesione della garza e la poca uniformitĂ della stesura del Ciclododecano.

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IMPIEGO DEL CICLODODECANO PER LA RICOMPOSIZIONE ED IL RIPOSIZIONAMENTO DI FRAMMENTI DI DIPINTI MURALI IN SITU Nel corso di questa simulazione su modelli, si è riproposto l’intervento illustrato dal Prof. H. M. Hangleiter durante la parte teorica del workshop, relativo al riassemblaggio e alla ricollocazione in situ di frammenti di affresco, da lui effettuato presso la Chiesa dell’Assunzione a Wolotowo, in Russia, nel 2007. In questo caso, il Ciclododecano rende possibile tali delicate fasi di riassemblaggio dei frammenti, senza impregnare gli stessi con adesivi di varia natura, permettendo di trasportarli successivamente in loco impiegando un supporto leggero ma rigido come il poliuretano espanso che, nella modalità in seguito descritta, non entra a contatto con i frammenti. La successiva ricollocazione e adesione sulla parete, avviene senza il rischio di sbavature o impregnazione indesiderata di malta sull’affresco. Nel corso dell’esperimento sono emerse delle problematiche che hanno evidenziato l’importanza di una maggiore comprensione dei diversi comportamenti del Ciclododecano, secondo le variabili presenti al momento dell’impiego di questo materiale, quali la temperatura dell’ambiente di lavoro, nonché la temperatura del Ciclododecano stesso, gli svariati metodi applicativi e la scelta dei diversi solventi apolari in relazione all’obiettivo che si desidera raggiungere nell’intervento (ad esempio una maggiore o minore penetrazione del Ciclododecano nei sub-strati, con conseguenti tempi di sublimazione differenti). IMPIEGO DEL CICLODODECANO COME PRECONSOLIDANTE STRUTTURALE Preparazione della porzione di affresco 1. Per la sperimentazione vera e propria del polimero Ciclododecano, sono state utilizzate porzioni d’intonaco dipinto di piccole e medie dimensioni non più ricollocabili. Previa pulitura superficiale del retro, i campioni di affresco sono stati posizionati, con la policromia verso l’alto, su un piano in polistirene ad alta densità, cercando per quanto possibile di farli combaciare. Al fine di riproporre un ipotetico andamento della superficie originale, sulla quale sarebbero stati ricollocati i frammenti, era necessario interporre, fra il nostro piano di lavoro ed il retro dei campioni di affresco, piccoli spessori in polistirene10, che sono stati bloccati, ove necessario, mediante spilli d’acciaio, avendo cura che non interferissero poi sulla superficie dell’affresco (Figura 21). 2. Attorno al perimetro dell’affresco è stata posta una fascia di gomma piuma alta circa 5 cm, appuntata sul piano di lavoro mediante l’uso di spilli, realizzati a tal scopo con del filo in acciaio (Figura 22). 3. Gli interstizi tra un frammento e l’altro sono stati colmati e portati a livello della superficie pittorica, mediante un inerte, rappresentato in questo caso dalla sabbia di fiume11. È importante verificare che l’inerte sia secco al momento del suo impiego poiché l’umidità in esso contenuta potrebbe interferire con il polimero Ciclododecano: un materiale per sua natura idrofobo (Figura 23). Applicazione de Ciclododecano e sistema strutturale provvisorio 1. Una prima esigenza era di preconsolidare la sabbia e i frammenti, nell’intento di ottenere un unico blocco sufficientemente compatto. Per questa sperimentazione il Ciclododecano è stato impiegato in soluzione al 60% p/v con benzina rettificata 100/140°C, fondendo prima il Ciclododecano puro in apposita pentola12, dotata di resistenza elettrica esterna (in alternativa è possibile la fusione del polimero anche a bagnomaria) e dopo aggiungendo al medesimo il solvente selezionato (Figura 24). Trattandosi di una soluzione satura, la percentuale di Ciclododecano che si riesce a sciogliere nel solvente, varia in modo direttamente proporzionale alla temperatura della soluzione così preparata. Quest’ultima è stata stesa ben calda sull’intera superficie dell’affresco, applicandola a pennello e interponendo la carta velina (Figura 25). È necessario che la soluzione sia mantenuta a una temperatura di circa 90°C durante tutto l’intervento, affinché si abbia una penetrazione omogenea del materiale, che nel nostro caso ha 10. In alternativa si sarebbe potuto utilizzare dell’argilla fresca. 11. In alternativa si sarebbe potuta usare la perlite. 12. Rommelsbacher, Germany.

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Dall’alto in senso orario: Figura 21. Posizionamento dei frammenti di affresco mediante pezzetti di polistirene fissati con spilli di acciaio con particolare. Figura 22. Fissaggio della striscia di gomma piuma mediante spilli di acciaio. Figura 23. Riempimento degli interstizi con la sabbia fino a livello. Figura 24. Pentola munita di resistenza elettrica.

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2.

Dall’alto in senso antiorario: Figura 25. Stesura a pennello del Ciclododecano con interposizione della carta velina. Figura 26. Applicazione a pennello di benzina rettificata 100/140°C sopra la carta velina al fine di velocizzarne la sublimazione. Figura 27. Formazione di cristalli di Ciclododecano.

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raggiunto i 2 cm circa di profondità nel sub-strato, conferendo alla sabbia una consistenza simile a quella di un intonaco di buona qualità. Prima di procedere con le successive fasi di lavoro, sarebbe stato necessario attendere trentasei ore, ma a noi bastavano in realtà sedici/diciassette ore per avere la completa evaporazione della benzina rettificata 100-140°C; così che tutti gli strati del sistema affresco sarebbero stati liberi dal solvente e senza rischi d’interferenza per le fasi successive. Nella presente sperimentazione, al fine di velocizzare le varie fasi di lavoro, per ovvi motivi, si è ritenuto indispensabile accelerare la sublimazione del Ciclododecano presente sulla superficie dei frammenti, mediante l’applicazione a pennello di benzina rettificata 100/140°C (Figura 26). Il giorno seguente, sull’intera superficie, erano presenti cristalli di Ciclododecano, che sono stati asportati meccanicamente e con l’ausilio di un microaspiratore (Figura 27). 2. In questa fase dell’intervento ci si è serviti delle proprietà aggreganti del Ciclododecano che, utilizzato in soluzione con benzina rettificata 100/140°C al 60% p/v, ha favorito la coesione del sistema inerte-affresco. L’affresco era finalmente pronto per la velinatura della superficie, indispensabile per proteggere il film pittorico dai materiali che in seguito sarebbero stati impiegati sopra del medesimo, onde compierne in un secondo tempo la movimentazione. Sull’affresco, dopo aver eseguito la velinatura, avremmo dovuto applicare a strati la polpa di cellulosa e poi la schiuma di poliuretano bi-componente secondo i fini e le metodologie illustrate di seguito. In previsione dell’utilizzo del poliuretano bi-componente e della sua perfetta adesione alla superficie dell’affresco, si sono realizzati degli ancoraggi in filo di acciaio inossidabile (del diametro di 0,8 mm) modellati a forma di staffa di cavallo, con un’ampiezza corrispondente alla larghezza delle strisce di garza che avremmo usato successivamente. Sui vertici degli ancoraggi, o staffe, e per tutta la loro lunghezza sono state inserite due cannucce di plastica, con l’intento di evitare che il poliuretano bi-componente si aggrappasse ai fili di acciaio durante la colata. Inoltre, con le medesime finalità, sugli angoli inferiori delle staffe, tra il filo di ferro e le cannucce, sono stati inseriti pezzettini di gommapiuma. Queste staffe di ancoraggio sono state accostate sulla superficie in senso longitudinale e distanziate in senso trasversale di 10 cm pari all’altezza della garza utilizzata, quindi tutta la superficie è stata coperta con un doppio strato a incrocio di strisce della stessa. L’adesione della garza sulla superficie pittorica si è ottenuta con l’apporto di Ciclododecano fuso applicato a pennello a una temperatura di 90°C. Il materiale è penetrato 1 mm circa. L’adesione ottimale del Ciclododecano alle garze, nonché alla superficie di affresco, dipende molto dalla temperatura di applicazione e da quella ambientale. Un modo semplice per verificare la correttezza dell’intervento, consiste nell’accertarsi che su tutta la superficie velinata il Ciclododecano abbia mantenuto la sua trasparenza (Figura 28, 29). 3. Una volta che il Ciclododecano si è raffreddato, la superficie dell’affresco è stata rivestita con uno strato separatore idrofilo, potendo contare sulle caratteristiche idrofobe del Ciclododecano, che hanno garantito l’assenza totale d’interferenze con lo strato successivo, costituito da pezzi di carta assorbente inumiditi con acqua nebulizzata13 (Figura 30). 4. A questo punto si è proceduto con la colatura della resina poliuretanica bi-componente nel cassero così ottenuto, la quale è stata preparata a parte precedentemente, unendo i due componenti in proporzione 1:1 e ben mescolata per facilitare la catalisi. Va evidenziato che la catalizzazione di tale prodotto produce una reazione esotermica che è proporzionale alla quantità di prodotto che si va a utilizzare. Non va quindi dimenticato che noi stiamo operando sopra un materiale sensibile alle alte temperature, ed è per questo motivo che tale resina non va messa a spessori troppo elevati, e va distribuita progressivamente in maniera uniforme. Inoltre, tale composizione, può anche essere raffreddata in fase di asciugatura, usando dei panni leggermente umidi, stesi sulla pellicola superficiale che man mano si crea. Atteso il tempo necessario per l’ultimazione del processo di catalizzazione e la conseguente solidificazione della resina, le cannucce di plastica non erano più necessarie, pertanto, mediante una semplice azione meccanica, sono state sfilate dagli ancoraggi metallici. Questi ultimi alla sommità sono stati arrotolati più volte su se stessi, tramite uno strumento realizzato allo scopo. Con tale azione abbiamo così formato una molla che ci ha permesso di ottenere un vincolo elastico ma stabile, tra lo strato di resina e gli affreschi velinati e consentirne in un secondo tempo una sicura 13. In alternativa alla carta avremmo potuto usare della polpa di cellulosa con Tylose in uno spessore di 2÷3 mm, così come lo stesso Hangleiter ci aveva illustrato nell’esposizione dell’intervento eseguito nella Chiesa dell’Assunzione in Wolotowo.

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L’es fram mag Pur brev sup • Figura 28. Staffe in acciaio con cannucce e gommapiuma.

Figura 29. Sequenza: posizionamento delle staffe sulla superficie e applicazione delle garze con Ciclododecano fuso.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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movimentazione. Per opere di grandi dimensioni, ove è necessaria maggiore resistenza strutturale in fase operativa, è possibile migliorare la maneggevolezza dell’intero blocco inglobando delle traverse di legno nel poliuretano, quando esso è ancora in fase di catalizzazione (Figura 31, 32 , 33). 5. Si rendeva necessario ora, per continuare nelle fasi successive, eliminare le strisce di gommapiuma applicate in precedenza lungo tutto il perimetro. Per fare ciò sono stati sfilati gli spilli in acciaio che la fissavano al piano di lavoro, mediante una semplice azione meccanica. Dopodiché l’affresco è stato capovolto per procedere alla rimozione della sabbia interstiziale dal verso dei frammenti destinato ad ancorarsi alla parete (Figura 34). Riposizionamento dei frammenti in situ L’esperienza pratica sull’applicazione del Ciclododecano per la ricomposizione e il riposizionamento di frammenti di dipinti murali in situ, è così terminata nella consapevolezza di aver raggiunto una confidenza maggiore con questo straordinario materiale. Pur concludendosi a questo stadio la nostra esperienza sul campo, ci sembra doveroso elencare brevemente le ulteriori fasi d’intervento per la ricollocazione vera e propria dell’affresco ricomposto al supporto definitivo, sia esso parete o soffitto. • •

• •

Ancoraggio provvisorio dell’affresco nella sede definitiva, con l’ausilio di adeguate protezioni con pannelli e puntellamenti strutturali che fissano il nostro affresco nella posizione corretta durante le fasi operative successive. Sigillatura provvisoria dei bordi dell’affresco mediante impiego di gommapiuma rivestita con strisce di garza e Ciclododecano, al fine di creare un cassero di contenimento per la malta da utilizzarsi per l’adesione dell’affresco al supporto murario. Se necessario, in questa fase possono essere applicate delle canule per inezione. Successiva iniezione dal retro dell’apposita malta a schiuma, costituita da calce idraulica NHL5 e schiuma a base proteica. Si potrebbe usare benissimo anche una malta come PLMA o Ledan TB1 o altre malte simili. La presenza in questa fase del lavoro della sabbia interstiziale e della velinatura, allontana il rischio di sbavature della malta sulla superficie dei frammenti. Rimozione meccanica dello strato di poliuretano che avviene ad asciugatura ultimata della malta di adesione, previa tranciatura degli ancoraggi e bordura in gommapiuma, nonché asportazione dello strato separatore in carta. Attesa della completa sublimazione del Ciclododecano o sollecitazione del fenomeno stesso, mediante ventilazione e/o innalzamento della temperatura ambientale, che determina la conseguente disgregazione dell’inerte ovvero della sabbia ancora presente negli interstizi tra un frammento e l’altro.

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Figura 30. Applicazione in sequenza dello strato distaccante in carta inumidita.

Figura 31. Sequenza colata del poliuretano e fase dicatalizzazione.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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Figura 32. Eliminazione cannucce.

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Figura 33. Torsione dei fili d’acciaio e particolare dell’utensile utilizzato. Figura 34. Affresco capovolto.

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Applicazione del ciclododecano nel recupero di materiali in contesto archeologico

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Durante lo scavo, il momento del recupero di materiali archeologici è una delle fasi più delicate. In campo archeologico il Ciclododecano 14 può essere utilizzato nelle fasi di consolidamento temporaneo, recupero, movimentazione e immagazzinamento di reperti. L’emergenza conservativa, che può verificarsi in seguito ad uno scavo, richiede la messa a punto di tecniche rapide, economiche e il più possibile efficaci, ma anche la necessità di individuare prodotti che non interferiscano in alcun modo con i reperti, sia in fase di scavo sia per quanto concerne i successivi trattamenti conservativi; la capacità del prodotto Ciclododecano di sublimare risponde a questa esigenza. Prima di procedere alla descrizione dei modelli da noi preparati, bisogna ricordare che in quest’occasione abbiamo simulato una condizione “tipo” con materiale ceramico e lapideo; per tutti gli altri materiali che verosimilmente si possono trovare in uno scavo, la metodologia qui descritta subirebbe delle variazioni, in quanto si devono inoltre considerare: la natura del materiale, le caratteristiche chimico-fisiche nonché la sua interazione con l’ambiente circostante. Di solito nel recupero di reperti su scavo si utilizza il prelievo in blocco per oggetti molto frammentati, decoesi, deformati e in precario stato di conservazione; si devono liberare dal terreno solo le porzioni superiori del reperto, realizzare puntuali interventi di stabilizzazione (preconsolidamento), eseguire un primo taglio intorno all’oggetto da recuperare, considerando una distanza di sicurezza, cui far seguire un secondo taglio in corrispondenza della base del blocco. Per il prelievo definitivo è necessario realizzare una controforma con bende gessate o gesso, interponendo una pellicola di polietilene quale strato di separazione. L’utilizzo di Ciclododecano nel recupero “in blocco” dei materiali segue la stessa metodologia operativa, con il vantaggio di utilizzare un unico prodotto, sia per l’intervento di preconsolidamento che per l’esecuzione della controforma. La capacità di penetrazione del Ciclododecano dipende dall’applicazione del prodotto allo stato puro piuttosto che in diluizione e dalle caratteristiche fisico-chimiche del materiale da trattare. Nel caso di applicazione di Ciclododecano diluito in solvente (idrocarburi), previo test di compatibilità dello stesso sul materiale da trattare, si otterrà una maggiore penetrabilità con conseguente azione temporanea consolidante. L’applicazione può essere eseguita a pennello interponendo uno strato di garza, dove lo stato di conservazione del reperto lo consenta, o tramite vaporizzazione, in tal caso ottenendo una capacità di penetrazione più limitata. La percentuale di diluizione va testata a seconda dei casi e dello stato di conservazione dei reperti. L’intervento di velinatura o di bendaggio può essere eseguito utilizzando Ciclododecano puro, in fusione a 90°C su piastre termoriscaldanti o in pentole termiche, applicato a pennello su garza, per ottenere strati a contatto più rigidi e solidi. Va specificato che la massa fusa perde velocemente la sua temperatura, quindi il passaggio dal contenitore di fusione all’applicazione deve essere rapido. L’esecuzione di ulteriori controforme, soprattutto in presenza di materiale pesante, consentirà una movimentazione in sicurezza. Bisogna, inoltre, tenere presente l’apolarità del prodotto. Un recupero su terreno bagnato risulta difficoltoso, perché gli stress fisici, ai quali sono sottoposte le porzioni di terreno umide quando vengono asciugate rapidamente, si riflettono sui reperti, provocando tensioni di vario genere: smottamenti, fratture, distacchi di scaglie, strappi di strati di rivestimento o di colori ancorati debolmente (intonaci dipinti, ceramiche con rivestimento o decorazioni dipinte, strati corrosi). Per consentire la penetrazione del prodotto, quindi, in presenza di terra di scavo e materiale umido, sarà necessario procedere a cicli di disidratazione molto lenta e superficiale per non innescare stress meccanici. Viceversa l’utilizzo su materiale umido creerà uno strato a contatto deadeso e non coerente, e se utilizzato in forma fusa può diventare un possibile sostituto di gesso e bende gessate solitamente utilizzate in questi casi. 14. legante volatile capace di sublimare da solido a gas.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

Per ritardare o impedire la sublimazione del prodotto è necessario applicare un film barriera, ad esempio fogli di alluminio pretrattati con adesivi, consentono una buona aderenza al Ciclododecano 15. Vantaggi • • •

La possibilità di consolidare l’oggetto con un prodotto capace di sublimare evita l’utilizzo di materiali la cui reversibilità è strettamente legata all’uso di solventi (resine ed emulsioni acriliche), e la cui rimozione potrebbe provocare ulteriori perdite e alterazioni del contesto originario. L’esecuzione di una controforma rigida con Ciclododecano immobilizza completamente i frammenti, mantenendo stabili le condizioni di ritrovamento al momento della messa in luce, con vantaggi evidenti rispetto alla mobilità di un recupero con controforma in gesso. La sublimazione dello strato di controforma in Ciclododecano evita le fasi di manipolazioni necessarie per la rimozione della controforma eseguite con materiali tradizionali.

Svantaggi • •

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Sullo scavo, sarà necessario avere la disponibilità di energia elettrica o prevedere l’impiego di apparecchiature funzionanti a gas, a meno di utilizzare Ciclododecano del tipo spray, meno versatile e con minore capacità di penetrazione. I tempi di sublimazione del Ciclododecano applicato fuso con funzione contenitiva dell’oggetto, valutati sperimentalmente in un millimetro in un mese circa a temperatura di 20°C, rendono la messa in luce molto lenta. L’accelerazione della sublimazione, ottenuta con utilizzo di solventi, con aumento della temperatura e con ventilazione forzata, potrebbe risultare incompatibile con lo stato di conservazione dei materiali. In caso di ambienti bagnati, in presenza di oggetti particolarmente decoesi, l’applicazione di Ciclododecano risulta inefficace.

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ESPERIENZE E SIMULAZIONI

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L’esperienza sviluppata durante il corso in campo archeologico con l’utilizzo del Ciclododecano ha avuto come oggetto la simulazione di un recupero in situ di reperti archeologici quali frammenti d’intonaco dipinto e di elementi lapidei. La metodologia è trasferibile, con specifiche precauzioni, anche ad altri materiali quali ceramica, materiali organici e materiali metallici. Sono stati sviluppati due casi tipo: 1. Recupero di frammenti lapidei in ambiente umido, inglobati in terreno compatto e uniforme. 2. Recupero d’intonaci policromi frammentati in ambiente asciutto, in un piano di giacitura stratificato con terreno incoerente e friabile.

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ido, ress nte, ente 15. Durante il corso è stato proposto, quale adesivo, miele caricato con addensante (silice micronizzata), date le sue caratteristiche di facile reversibilità in acqua (solvente polare che non crea interferenze con l’apolarità del Ciclododecano sottostante), di durabilità e con proprietà antibatteriche naturali. Si rimanda all’articolo Impiego del Ciclododecano per velinature e bendaggi, Prova 1, Metodo applicativo.

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CASO 1. RECUPERO DI FRAMMENTI LAPIDEI IN AMBIENTE UMIDO, INGLOBATI IN TERRENO COMPATTO E UNIFORME Finalità della sperimentazione Attraverso quest’applicazione si è voluto simulare una situazione nell’ambito di uno scavo archeologico, dove si rendesse necessario il trasferimento o la rimozione temporanea di stratificazioni costituite da reperti pavimentali o murali quali ad esempio selciato, cotto, mosaici ed intonaci inseriti in substrato umido, compatto ed uniforme. La sede in cui si sono svolte le giornate di studio, ha provvidenzialmente suggerito e offerto le condizioni ideali per riprodurre fedelmente le circostanze ipotizzate nel progetto. Nel giardino interno al porticato, caratterizzato da un fitto selciato costituito da ciottoli, la piovosità che ha preceduto il periodo in cui si è svolto il corso, ha conferito al terreno particolari condizioni di umidità e compattezza, caratteristiche frequentemente riscontrabili in uno scavo archeologico. L’estemporaneità del progetto, nato per l’appunto grazie al favore delle fortuite condizioni ambientali riscontrate, ha permesso di sviluppare la sperimentazione limitatamente alla rimozione degli strati (ciottoli e strato di terreno ad essi connesso), nel solo intento iniziale di testare le qualità meccaniche ed adesive del Ciclododecano, dove le dimensioni ed il peso del materiale da estrarre richiedevano elevate qualità meccaniche. Caratteristiche del campione reale sottoposto a sperimentazione La porzione di pavimentazione selezionata era costituita da ciottoli circolari di dimensioni variabili (Ø cm 5÷8), tenacemente accorpati in un substrato terroso molto compatto e umido, sulla cui superficie affioravano colonie di muschi e licheni. Come già menzionato, la forte umidità assorbita a seguito delle piogge, aveva abbondantemente bagnato la superficie delle pietre ed il terreno circostante, creando il presupposto ideale per sperimentare il Ciclododecano in ambiente umido, caratteristica notoriamente poco compatibile con le proprietà idrofobe di questa sostanza. La saturazione creata dalla presenza di acqua (polare) all’interno della struttura porosa, forma infatti una barriera inaccessibile ad un materiale fortemente apolare quale il Ciclododecano. Preparazione del prodotto Ciclododecano puro fuso a 90°C in pentole termo riscaldanti. Il Ciclododecano offre caratteristiche meccaniche e adesive differenti in base alla sua velocità di solidificazione, variando la grandezza e la struttura dei cristalli che formeranno il prodotto solido. Ad un minor tempo di raffreddamento corrisponderà l’aumento dimensionale dei cristalli. La diversa conformazione della struttura cristallina, più o meno compatta fino a divenire amorfa, connota la sostanza di proprietà adesive diverse. L’adesione e la resistenza meccanica dello strato formatosi saranno tanto maggiori quanto più compatta sarà la sua struttura. Ad influenzare questo processo possono contribuire: la temperatura della sostanza e della superficie da trattare, il metodo di solubilizzazione, tramite fusione o soluzione e lo spessore dello strato raggiunto. In ogni caso un raffreddamento rallentato prolunga il tempo di solidificazione producendo una struttura meno compatta, quindi meno stabile. L’aggiunta del solvente, utilizzato nel caso di una soluzione, permettendo al Ciclododecano di cristallizzare gradualmente non prima della sua evaporazione, tende a generare una struttura più debole. Le superiori caratteristiche meccaniche richieste dalla sperimentazione potevano quindi essere garantite attraverso l’applicazione del Ciclododecano fuso. Considerata inoltre la compattezza del materiale lapideo da cui i ciottoli erano costituiti, una maggiore diffusione capillare favorita dal prodotto in soluzione, poteva essere giustificata soltanto per impregnare e consolidare il terreno di giacitura circostante caratterizzato, soprattutto se asciugato, da un’accentuata decoesione.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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Figura 36. Sequenza realizzazione della bordatura in sabbia e della gabbia strutturale.

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Preparazione del reperto Nel caso di un intervento reale, la porzione da estrarre dovrebbe essere delimitata in base alle seguenti considerazioni: dimensioni della superficie interessata, caratteristiche morfologiche, strutturali e conservative del materiale. La superficie delle pietre e del terreno è stata preventivamente ripulita meccanicamente dalla presenza di muschi e depositi superficiali estranei al manufatto, nell’intento di aumentare quanto possibile la superficie di contatto dotata di maggior coesione. Successivamente per favorire la rimozione dell’acqua presente in superficie, il manufatto è stato lavato con acetone steso a pennello. Questa sostanza molto volatile e ben miscibile con l’acqua per affinità polare, riesce ad interagire con questa, presente negli strati porosi più superficiali, facilitandone l’evaporazione anche attraverso un’asciugatura per tamponamento coadiuvata dall’apporto di calore con pistola termica. Il moderato riscaldamento della superficie con pistola termoregolabile predispone il reperto ad una migliore aderenza allo strato di Ciclododecano con cui verrà successivamente a contatto. Metodo applicativo 1. Ottenuta l’asciugatura superficiale, con il Ciclododecano fuso a 90°C, è stata eseguita una velinatura tramite uno strato di garze in cotone sulla porzione predestinata allo strappo (Figura 35). 2. Si è allestita un’armatura metallica munita di maniglie che, annegata nello strato di poliuretano di seguito sovrapposto, consentisse il successivo strappo del blocco. Figura 36). 3. Lo strato in resina poliuretanica bi-componente, elemento rigido di supporto al reperto (chimicamente compatibile con la sostanza Ciclododecano), richiedeva la creazione di un bordo perimetrale realizzato con della sabbia, che contenesse l’espansione del prodotto. Posta l’armatura sulla velinatura è stata versata la resina e distribuita su tutta la superficie in quantità sufficiente a raggiungere lo spessore di 5÷8 cm (Figura 37). 4. A questo punto il reperto poteva definirsi pronto per essere rimosso dal terreno. Con l’ausilio di barre metalliche che, infilate nelle maniglie, distribuivano il punto di forza esercitato in fase di estrazione, il blocco è stato sollevato mantenendo intatta la sua forma. L’elevato spessore (10÷15 cm) dello strato di terreno rimasto solidale ai ciottoli, si desume possa essere determinato dal grado di umidità presente in quella precisa condizione climatica e dalle radici della vegetazione, cresciuta negli interstizi dei ciottoli che hanno contribuito a mantenere il terreno coeso (Figura 38). Considerazioni A progetto ultimato si è riconfermato il sorprendente potere adesivo di questa sostanza, unitamente alla sua capacità di mantenere quasi inalterate le caratteristiche morfologiche della compagine materica trattata. Com’è stato descritto precedentemente, il mirato approccio operativo non ha considerato la fase di rimozione degli strati di supporto (bendaggi, poliuretano), mantenendo inalterate le caratteristiche formali del manufatto16. La ricollocazione definitiva del manufatto, ad esempio il riposizionamento a seguito delle opportune operazioni di risanamento del sito o ricollocazione del ritrovamento in ambiente museale, condizionerà le successive scelte operative.

16. Si rimanda all’articolo Impiego del Ciclododecano per la ricomposizione ed il riposizionamento di frammenti di dipinti murali in situ, che in maniera esaustiva ha affrontato la tematica di ancoraggi su controforma con caratteristiche di reversibilità.

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Figura 38. A fine intervento dopo l’estrazione del blocco dal terreno di giacitura.

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CASO 2. R ECUPERO DI INTONACI POLICROMI FRAMMENTATI IN AMBIENTE ASCIUTTO, IN UN PIANO DI GIACITURA STRATIFICATO CON TERRENO INCOERENTE E FRIABILE Lo scopo dell’operazione è dimostrare la versatilità del prodotto in riferimento alla messa in sicurezza degli elementi in fase di scavo, alla movimentazione, all’immagazzinamento temporaneo fino al trasporto in laboratorio. Preparazione del prodotto Ciclododecano puro fuso a 90°C in pentole termo riscaldanti. Preparazione del modello È stato necessario ricreare una condizione di scavo con l’esecuzione ex novo di un “pane di terra” contenente frammenti d’intonaco.

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1. È stato ideato un piano in polistirene ad alta densità, delimitato perimetralmente da fasce in polietilene espanso alte circa 10 cm, bloccate alla base con fili di acciaio inossidabile e sigillate al piano con fasce adesive; la dimensione del nostro modello era di circa 60 x 40 cm (Figura 39). 2. La struttura è stata riempita con del materiale incoerente (sabbia), nel quale sono stati collocati dei frammenti d’intonaco policromo, simulando uno strato di giacitura non omogeneo (Figura 40). Metodo applicativo 1. È stata eseguita una velinatura sull’intera superficie, mediante posizionamento di fasce di garza, fermate con Ciclododecano puro a 90°C, solo in corrispondenza dei frammenti (Figura 41). L’applicazione del Ciclododecano deve essere omogenea e superficiale, mostrando, ad avvenuto raffreddamento, un aspetto ceroso e biancastro il più possibile trasparente. Nel caso di frammenti particolarmente decoesi, è consigliabile compiere un preconsolidamento con Ciclododecano in solvente 60:40 p/v, aspettando circa ventiquattro ore prima di effettuare l’intervento di velinatura. 2. È stato necessario attendere alcuni minuti perché il Ciclododecano si asciugasse, prima di stendere un successivo strato di garza, incrociato rispetto al precedente (Figura 42). L’applicazione di Ciclododecano sul secondo strato è stata eseguita con prodotto puro sciolto a caldo. 3. Sulla velinatura sono stati posizionati dei canali di drenaggio a distanza di circa 20 cm uno dall’altro, costituiti da un tessuto plastico, spugnoso, non solvibile in benzina: poliuretano espanso a celle aperte (Figura 43). I canali di drenaggio hanno permesso, in seguito, l’accesso al solvente, consentendo la solubilizzazione del Ciclododecano anche all’interno del “sandwich” e il conseguente distacco dei frammenti dalla velinatura. 4. Un ultimo strato di Ciclododecano fuso a caldo con garza è stato applicato sui canali di drenaggio per bloccarli correttamente in posizione (Figura 44). 5. La porzione velinata è stata a sua volta ricoperta con resina poliuretanica espansa bicomponente, stesa a spatola, in strati successivi per evitare che l’aumento di temperatura, dato dalla reazione dei componenti della resina in fase di polimerizzazione, potesse riattivare il Ciclododecano compromettendo tutta la struttura (Figura 45). Nel caso fosse necessario inserire maniglie o punti di aggancio, per facilitare la successiva movimentazione, essi possono essere posti e inglobati prima della colata del poliuretano. Bisogna rilevare che la controforma, eseguita con resine poliuretaniche espanse, diminuisce drasticamente la possibilità di scambio con l’aria, impedendo, di fatto, la sublimazione del Ciclododecano, consentendo così la messa in sicurezza, durante l’immagazzinamento e/o la movimentazione dei reperti, per tempi lunghi. Di contro per la successiva rimozione della controforma, si deve prevedere la compatibilità dei reperti con solventi (idrocarburi), utilizzati quali agenti distaccanti/acceleranti per l’apertura della struttura.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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Figura 39. Creazione del modello.

Figura 40. Allettamento dei frammenti.

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Figura 41. Applicazione della garzatura con Ciclododecano.

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Figura 42. Dopo l’intervento di garzatura con Ciclododecano.

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Figura 43. Posizionamento dei canali di drenaggio.

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Figura 44. Garzatura dei drenaggi.

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Figura 45. Applicazione di resina poliuretanica espansa.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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Nel caso sperimentale qui decritto, la creazione sul campo di un modello non ha consentito di simulare la fase del prelievo in blocco dal terreno di giacitura; la rimozione del blocco andrebbe effettuata a seguito delle operazioni di velinatura o a seguito dell’esecuzione della controforma in poliuretano, secondo le esigenze di scavo e del materiale rinvenuto. Il pane di terra, prelevato con controforma, potrà essere movimentato e trasportato in sicurezza, nel luogo finale destinato all’intervento di microscavo. 1. Per liberare i reperti dalla terra di scavo, sul retro dei frammenti, è stato necessario girare il blocco e liberarlo dal perimetro di contenimento (Figura 46). Nel caso specifico, il blocco è stato tagliato perimetralmente per liberare i canali di drenaggio (Figura 47). Nel caso non fosse possibile segare il perimetro, si consiglia di lasciar eccedere all’esterno i drenaggi previsti. Così facendo si è ottenuta la seguente sequenza stratigrafica: poliuretano/drenaggio/garzatura/ frammenti d’intonaco/terra di scavo (Figura 48). Nel modello da noi proposto, è stato utilizzato del terreno incoerente (sabbia), quindi durante le operazioni di capovolgimento del blocco la fuoriuscita del materiale incoerente ha messo automaticamente in luce la porzione dei frammenti inglobati nel terreno di scavo. In presenza di terreno compatto e argilloso sarà invece necessario procedere meccanicamente alla rimozione degli strati terrosi. 2. È essenziale colmare i sottosquadri dei frammenti con materiale di riempimento non solubile in solventi idrocarburici, affinché gli strati che successivamente saranno applicati non intervengano sui reperti, creando stress meccanici. È necessario, inoltre, verificare l’entrata e l’uscita dei canali di drenaggio e, nel caso, liberare gli accessi dalla velinatura. 3. La parte inferiore del pane è stata isolata con uno strato di separazione e cioè tramite l’apposizione di un telo sottile in PE (polietilene) di dimensioni maggiori rispetto all’area rivestita; su questo è stata applicata a spatola nuovamente della resina poliuretanica bicomponente (Figura 49 e 50). Questo strato finale, sostituibile da altro materiale (es. gesso a presa rapida o bende gessate), deve prendere il più fedelmente possibile l’impronta dei reperti, poiché a completamento dell’intervento, diventerà la controforma d’appoggio dei nostri reperti. 4. Terminata l’asciugatura, solo quest’ultimo strato è stato chiuso con cura nel telo di nylon, sigillandolo con nastro adesivo, per isolarlo dal solvente utilizzato nel bagno successivo (Figura 51). 5. La struttura a “sandwich” è stata bloccata utilizzando del filo in acciaio inox. Apertura delle controforme 1. Per liberare i reperti dagli strati aderenti di velinatura a Ciclododecano e dalla struttura in poliuretano a essa ancorata, è stato necessario inserire il blocco in un contenitore apposito per eseguire un bagno in solvente (nel nostro caso è stata utilizzata una capiente busta in PE), con la seguente sequenza stratigrafica dal basso: controforma in poliuretano/telo di sacrificio/ frammenti d’intonaco/velinatura/canali di drenaggio/velinatura/poliuretano. Come solvente è stata utilizzata benzina 100/140°C17, inserita nel contenitore fino al livello dei canali di drenaggio; per sopperire a eventuale galleggiamento della struttura, sulla busta chiusa con nastro adesivo, è stato applicato un peso(Figura 52). 2. Dopo un’immersione durata sei ore18, si è proceduto a drenare il solvente, recuperato per successivi utilizzi (Figura 53). Il solvente, passando attraverso i drenaggi, ha liberato i frammenti dalle velinature e contemporaneamente sono stati eliminati i sigilli metallici, il poliuretano realizzato all’inizio dell’intervento, i canali di drenaggio e le garze, ottenendo così una controforma costituita da poliuretano e telo di separazione su cui poggiano i frammenti liberi da ogni vincolo e pronti per le successive fasi di restauro (Figura 54). Si è potuto osservare che la posizione dei frammenti nella controforma ha mantenuto la collocazione originaria di giacitura, senza nessuna modifica strutturale.

17. SIEDER GRENZEN BENZIN 100/140 LASCAUX. 18. I tempi del bagno sono condizionati dalla misura del blocco, è consigliabile un bagno di circa trentasei ore.

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Figura 46. Capovolgimento del blocco ed eliminazione perimetro di contenimento

Figura 47. Taglio perimetrale del modello.

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Figura 48. Sequenza stratigrafica del sandwich.

Figura 49. Applicazione di strato di separazione.

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Figura 50. Esecuzione della seconda controforma.

Figura 51. Sigillatura della seconda controforma e composizione finale per l’immersione.

Figura 52. Immersione nel bagno di solvente.

Figura 53. Estrazione del blocco dal bagno e apertura delle contro sagome.

Figura 54. Risultato finale.

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UN “RAGIONEVOLE DUBBIO”: I RESIDUI Durante la simulazione del recupero di frammenti archeologici dal sito abbiamo utilizzato un quantitativo di Ciclododecano piuttosto elevato. Oltre a porci il dubbio sui successivi tempi di sublimazione, abbiamo anche riflettuto sulla possibilità del permanere di tracce all’interno degli oggetti trattati. Uno dei problemi ancora aperti relativi all’uso del Ciclododecano riguarda la fase di sublimazione e in particolare la questione dei residui: benché il nostro lavoro non abbia potuto coprire quest’aspetto, riteniamo importante riportare una breve bibliografia ragionata, prevalentemente in lingua inglese, relativa all’argomento. Negli studi presi in esame, finalizzati a caratterizzare le proprietà del prodotto, la sua capacità di penetrazione attraverso differenti materiali e la capacità di sublimazione, è stata anche indagata l’eventualità della permanenza di residui all’interno dei manufatti trattati. Un interessante articolo di Sara Caspi ed Emily Kaplan19, pubblicato nel 2001, fornisce una parziale risposta ai nostri dubbi. In questa ricerca, dopo aver consultato studi precedenti (Stein e altri20, 2000; Jagers, 199921; Hiby, 199722), gli autori giungono alla conclusione che solo l’uso di Ciclododecano estremamente puro “è una fondamentale precondizione per l’applicazione di leganti volatili e per la completa ed assoluta evaporazione dei residui”. Il progetto di studio ha avuto origine dalla necessità di movimentare una serie di antichi manufatti in ceramica, tutti caratterizzati dalla presenza di frammenti fragili che avrebbero potuto essere danneggiati (o persi) nel trasporto e da problemi di sali solubili sulle superfici. Una volta scelto il ciclododecano come protezione temporanea, gli autori hanno effettuato una prima valutazione del prodotto applicandolo puro disciolto su vetrini da laboratorio; avendo constato dopo alcuni mesi che sui vetrini si potevano osservare aloni biancastri, i ricercatori hanno deciso di compiere indagini più approfondite. La sperimentazione è consistita nell’analisi di varie partite di Ciclododecano acquistate presso differenti fornitori23, facendo analizzare i campioni da diversi laboratori chimici24, in modo da poterne confrontare i risultati. Utilizzando metodi già testati in precedenza, gli autori hanno applicato del Ciclododecano disciolto su vetrini da microscopio. La scelta di non diluire con solventi il Ciclododecano è stata dettata dalla necessità di escludere “interferenze” nella lettura dei risultati. Dopo aver lasciato sublimare il Ciclododecano sono stati analizzati i residui sui diversi vetrini. I risultati delle analisi GC/MS fornite da due dei laboratori consultati hanno indicato, con alcune differenze, la presenza di una quantità minima di residui, costituita da composti chimici simili al Ciclododecano ma con un peso molecolare di circa il doppio. In aggiunta, sono state individuate tracce di idrocarduri come il Ciclododecene, Ciclododecano, Ciclododecanone, e Ciclododecanolo. Tutti i chimici coinvolti nelle indagini hanno concordato che le minuscole quantità (non misurabili con una bilancia a due decimali) di questo residuo non sarebbero state dannose per le ceramiche, oggetto della ricerca.

19. Sara Caspi end Emily Kaplan, Dilemmas in trasporting unstable ceramics: a look at cyclododecane, Objects specialty group, American Institute for Conservation, vol. 8 (2001), pp. 116-135. 20. Renée Stein, Jocelyn Kimmel, Michele Marcola end Friederike Klem, Observations on cyclododecane as a temporary consolidant for stone, Journal of the American Institute for Conservation, n. 39 (2000) pp. 344-369. 21. E. Jagers e E. Jagers, Volatile binder media - useful tools for conservation. Reversibility - does it exist?, British Museum Occasional Papers 135, 1999, pp. 37-42. 22. G. Hiby, Cyclododecan als temporare transportsicherung, Restauro 5, 1999, pp. 358-363. 23. Ciclododecano puro preso direttamente da tre diversi barattoli da gr 500 dalla ditta Kremer, un campione di Ciclododecano da un lotto prodotto dalla Chem Service e campioni di cristalli bianchi provenienti da uno strato prelevato da un mattone ricoperto di sali e sporcizia accumulata nell’esposizione all’esterno. 24. Jamie Martin dell’Orion Analytical a Williamstown, Massachussets per la Micro-Spettrografia all’infrarosso di Fourier; David Erhardt per la Gas Cromatografia e Spettrografia di Massa (GC/MS) e Walter Hopwood per l’FTIR, entrambi del Centro per la ricerca dei materiali e l’educazione dello Smithsonian; Richard Newman del Museum of Fine Arts di Boston per la GC/MS.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

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I residui sembrerebbero provenire da impurità del Ciclododecano risultanti dal processo di fabbricazione. Quando il Ciclododecano è prodotto industrialmente è, infatti, possibile che al suo interno siano presenti anche dei sottoprodotti (catalizzatori, reagenti, etc.), salvo che non sia stato utilizzato un processo di purificazione. Inoltre, i residui possono variare anche nei diversi lotti forniti dalla medesima ditta. Esistono, quindi, reali possibilità che nel Ciclododecano siano presenti minime quantità d’impurità. Tuttavia, gli autori affermano che, per gli oggetti in ceramica, le quantità sono talmente piccole da non interferire con ogni futura analisi o trattamenti come l’estrazione di sali o il consolidamento. Basandosi sulle loro analisi, Caspi e Kaplan raccomandano che ogni persona interessata all’uso del Ciclododecano lo acquisti in anticipo, applicandone un sottile strato sopra una piccola lastra di vetro e attendendone la sublimazione, al fine di verificare la presenza di aloni. Le analisi GC/MS potrebbero naturalmente fornire risposte più precise, nel caso si disponga di questa possibilità. I due autori sottolineano inoltre la necessità di indagare su fornitori e produttori per quanto concerne i metodi di fabbricazione e la possibile presenza di impurità: ogni informazione riguardante la produzione e i residui potrebbe essere importante e senz’altro da includere nella documentazione dei trattamenti sulle opere. Studi successivi25, nati da progetti differenti sia per le finalità sia per la natura dei materiali trattati, hanno indagato il Ciclododecano puro o diluito in vari solventi. Anche se con procedure analoghe, tutte le ricerche citate hanno dimostrato la possibilità di residui anche dopo la completa sublimazione del Ciclododecano, cioè quando l’oggetto trattato ha recuperato il peso precedente al trattamento (con pesature eseguite con bilance a quattro decimali di grammo) o se sulla superficie, nel caso il materiale sia poroso, non resti alcuna traccia. Solo l’applicazione su lastre di vetro consente di individuare il persistere di aloni. Tutti i gruppi di lavoro, dopo aver testato la possibile presenza di residui, hanno sempre auspicato la necessità di ulteriori approfondimenti26. La completa sublimazione del ciclododecano è la condizione fondamentale per il buon esito dell’intervento anche se richiede una puntuale programmazione dei tempi d’esecuzione e, di conseguenza, una corretta informazione agli organi preposti alla tutela. Si può concludere sottolineando come la necessità di informazioni sempre più approfondite sui materiali che utilizziamo nel restauro debba essere sempre un obiettivo prioritario del nostro lavoro.

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25. Jeffry P. Maish end Erik Risser, A case study in the use of Cyclododecane and latex in the molding of marble, Journal of the American Institute for Conservation vol. 41 n.2, 2002, pp. 127-137; Vanessa Muros e John Hirx, The use of Cyclododecane as a temporary barrier for water-sensitive ink on archaeological ceramics during desalination, Journal of the American Institute for Conservation, vol. 43 n.1, 2004, pp. 75-79; Rachel P. Arestein, Amy Davinson end Lisa Kronthal, An investigation of CICLODODECANO for molding fossil specimen, October 2004, http:www.vertpaleo.org/ methods/documents/Arenstein_et_al_2004.pdf. 26. Sarà a breve disponibile sul Journal of the American Institute for the Conservation una ricerca dal titolo The effect of Cyclododecane on the carbon 14 dating of archaeological material, condotta da Christie Pohl presso il Museum Conservation Institute dello Smithsonian Institute di Washington D.C.

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l’uso del ciclododecano in ambiente umido Le particolari condizioni meteorologiche di pioggia e freddo, unite al fatto che il cantiere si trovava all’aperto, hanno reso più difficoltose del previsto le sperimentazioni che prevedevano l’ancoraggio del Ciclododecano sulle superfici maggiormente umide. In particolare, nelle operazioni di velinatura provvisoria degli intonaci del chiostro, si sono riscontrate difficoltà nel far aderire il Ciclododecano al supporto murario. Un analogo problema si presentava nel caso del recupero di frammenti lapidei in ambiente umido, inglobati in terreno compatto e uniforme. Queste difficoltà sono state determinate dall’alta percentuale di umidità depositata sulle superfici ed hanno fatto sì che le normali procedure d’intervento fossero molto più problematiche. Tuttavia tali situazioni hanno permesso di compiere una serie di analisi critiche sul comportamento del materiale anche in questi casi estremi. Finalità della sperimentazione La sperimentazione approntata, aveva come obiettivo il recupero di frammenti bagnati affogati in un letto di sabbia anch’essa bagnata, in una condizione limite che non prevedesse la parziale disidratazione della superficie, non sempre possibile. Il successo dell’operazione può ampliare la già vasta gamma di possibilità d’impiego del prodotto, anche in condizioni di umidità estrema, per operare ad esempio su terreni di scavo e murature umide o materiali intrisi d’acqua fortemente decoesi. La penetrazione del Ciclododecano è condizionata da una serie di variabili che concorrono a determinare il tempo e il modo di cristallizzazione:

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- la presenza o meno di un solvente - la percentuale e la natura del solvente utilizzato - la temperatura di applicazione e dalla temperatura del manufatto L’intenzione era di misurare in modo empirico la valenza di queste variabili, attraverso il confronto diretto di possibili soluzioni. Preparazione del modello Per rendere paragonabili i risultati delle varie prove esposte nei capitoli precedenti, sono stati utilizzati dei modelli comparabili sia alla sperimentazione nella quale sono stati ricomposti frammenti di dipinti murali per riposizionarli in situ, sia a quella riguardante il recupero d’intonaci policromi frammentati in ambiente asciutto, in un piano di giacitura stratificato con terreno incoerente e friabile. Sono state create nove situazioni confrontabili con pari condizioni di partenza per ridurre al minimo le variabili. Ogni modello era costituito da tre frammenti d’intonaco policromo affogati in un letto di sabbia. La sabbia, bagnata con abbondante acqua, è stata preparata in un’unica soluzione e distribuita dentro vaschette realizzate con fogli di alluminio, a loro volta distribuite in tre secchi per essere facilmente trasportate. La sperimentazione infatti prevedeva un lasso di tempo oltre ai tempi concessi dal workshop per ultimare la sperimentazione. I frammenti sono stati immersi simultaneamente in acqua per dieci minuti e immediatamente annegati nella sabbia, lasciando in evidenza solamente la superficie dipinta.

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Preparazione del prodotto I modelli preparati avevano lo scopo di essere paragonati con il Ciclododecano puro fuso e steso a caldo sulla superficie. L’intento era di verificare le variazioni delle capacità riaggreganti ed adesive, in funzione sia del solvente utilizzato che della percentuale di diluizione. Sono così stati scelti due idrocarburi con diverso punto di ebollizione rispettivamente il Cicloesano 60/80°C e la Benzina 100/140°C.

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Figura 55. Da sinistra a destra: Ciclododecano 50%, Benzina 100/140°C 50%; Ciclododecano 60%, Benzina 100/140°C 40%; Ciclododecano 75%, Benzina 100/140°C 25% dopo una settimana dall’applicazione.

Figura 56. Da sinistra a destra: Ciclododecano 50%, Cicloesano 60/80°C 50%; Ciclododecano 60%, Cicloesano 60/80°C 40%; Ciclododecano 75%, Cicloesano 60/80°C 25% dopo una settimana dall’applicazione.

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Figura 57. Da sinistra a destra: Ciclododecano 90%, Benzina 100/140°C 10%; Ciclododecano 90%, Cicloesano 60/80°C 10%; Ciclododecano puro dopo una settimana dall’applicazione.

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Figura 61. Cristallo di Ciclododecano 60%, Cicloesano 60/80°C 40%.

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Con questi sono state preparate quattro soluzioni in percentuali diverse per ciascun solvente, come viene illustrato nella tabella seguente (Tabella I).

Proporzione in percentuale Ciclododecano

Puro

Ciclododecano + Cicloesano 60/80°C

50:50

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90:10

Ciclododecano + Benzina 100/140°C

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60:40

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Tabella I. Proporzioni di Ciclododecano/solvente in p:v preparate per le stesure sui modelli.

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Metodo applicativo Il Ciclododecano, nelle sue varie formulazioni è stato steso a caldo sia sui frammenti (proprietà adesiva) sia sulla sabbia (capacità riaggregante), inframmezzando una velina per non trascinare i grani di sabbia con il passaggio del pennello. Mentre per le percentuali più blande di Ciclododecano (fino al 75%), è stato possibile rimuovere la velina in seguito all’applicazione della miscela consolidante, per quella dove il Ciclododecano raggiungeva il 90%, la velina è stata sostituita da una garza in cotone che è stata mantenuta definitivamente a contatto dei frammenti. La minima percentuale di solvente non è infatti sufficiente per ritardare la solidificazione del prodotto, avvenuta contemporaneamente alla stesura (Figura 55-58). La stesura di Ciclododecano puro sul modello di paragone, è avvenuta contestualmente a quella successivamente praticata sugli altri campioni. Ad una settimana di distanza, le facce esposte dei frammenti sono state pulite dalle cristallizzazioni superficiali di Ciclododecano con Cicloesano (più volatile dell’altro idrocarburo utilizzato, Benzina 100/140°C), per permettere un miglior ancoraggio del Ciclododecano fuso. Questo è stato steso a caldo sullo stesso tipo di garza in cotone a maglia larga utilizzata in precedenza per la formulazione al 90%. Come nei casi di simulazione per il recupero di materiale archeologico, sulla velinatura è stata stesa una controforma in poliuretano bicomponente PUR 460 BS, nella quale sono state annegate all’interno, durante la polimerizzazione, maniglie in acciaio inox di 0,7 mm di diametro, una sezione resistente anche a forti trazioni ma ancora malleabile. Le maniglie hanno facilitato l’operazione di stacco dei campioni che sono stati tutti documentati fotograficamente, sia sul verso sia di profilo, per avere una memoria quantitativa del risultato. Considerazioni Il primo dato visibile è stata la formazione di cristalli di Ciclododecano in superficie, di diversa forma ed entità, in relazione alla percentuale impiegata ma soprattutto al tipo di solvente scelto. Le soluzioni contenenti Benzina 100/140°C hanno immediatamente dato luogo alla formazione di una consistente quantità di cristalli di 5÷10 mm di diametro di forma tondeggiante, più circolari nelle basse percentuali di solvente (25%), (Figura 59) e leggermente più informi nelle percentuali maggiori (50%) (Figura 60). Nelle miscele con Cicloesano 60/80°C, i cristalli si sono invece formati a distanza di diverse ore, non sulla superficie dei campioni ma lungo i margini delle vaschette in carta stagnola contenenti i modelli, segno che avendo trovato una barriera compatta superficiale di Ciclododecano solidificato, il Ciclododecano ancora in soluzione, veicolato dal solvente, ha cercato sfogo lungo i margini, cristallizzandosi in spettacolari concrezioni a forma di corallo, di dimensioni almeno doppie rispetto a quelle tondeggianti della benzina (Figura 61). Escludendo la variabile polarità, in quanto simile per entrambi i solventi, la differente tendenza del Ciclododecano a condensarsi in superficie, è da relazionarsi al diverso punto di ebollizione dei solventi, ovvero alla velocità di formazione dei cristalli.

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La Benzina 100/140°C, con punto di ebollizione più alto, ha mantenuto per un tempo più lungo il Ciclododecano in soluzione, dando tempo alla Benzina 100/140°C, nella quale era diluito, di separarsi considerevolmente dall’acqua. Il Cicloesano 60/80°C, seppur più volatile, è riuscito a diffondere maggiormente il Ciclododecano, in quanto l’ha veicolato all’interno ma evaporando velocemente non ne ha consentito il riaffioramento e la conseguente separazione dal letto di sabbia bagnato. Per entrambi i solventi le concentrazioni di solvente al 10% non sono state sufficienti a formare aggregazioni di cristalli degni di nota se si esclude la formazione superficiale di una crosta compatta opalescente. Per le concentrazioni al 25% di solvente, il Ciclododecano si concentrava maggiormente in isole compatte e lisce, alternate ad aree più rade, dove i grani della sabbia si percepivano nettamente. Per quelle più basse, 40% e 50% la superficie appariva uniforme (escludendo i cristalli delle soluzioni con Benzina 100/140°C), con una maggior trasparenza nella soluzioni 1:1. Dalla visione di profilo dei modelli, è stato possibile constatare che il peggior risultato è stato ottenuto con il Ciclododecano fuso, che è stato in grado unicamente di ancorarsi ai frammenti d’intonaco dipinto (Figura 62 e 63). A seguire, le prove al 90% di Ciclododecano, dove il solvente è stato in grado di veicolare solo minimamente l’adesivo; questi test possono quindi essere comparati alla scarsa efficacia del Ciclododecano fuso (Figura 27-30). Un sensibile miglioramento si ottiene con il 75% di adesivo che riesce a legare la sabbia per pochi millimetri (Figura 68-71). Il miglior risultato si ottiene con la miscela al 60% di Ciclododecano in Cicloesano 60/80°C, nella quale tutto lo strato di sabbia è compattato e ben resistente anche alle sollecitazioni di una manipolazione (Figura 72-75). Nelle percentuali al 50%, seppur lo strato di sabbia è interamente compattato, questo risulta più delicato e friabile del precedente (Figura 76-79). In conclusione, dalle prove empiriche di distacco dei frammenti per trazione, effettuati per valutare la resistenza allo scollamento, è emersa una relazione direttamente proporzionale tra i modelli più coesi e quelli con una maggiore adesione.

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Figura 62. Ciclododecano puro dopo lo stacco, verso.

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e la si e Figura 63. Ciclododecano puro dopo lo stacco, profilo.

Figura 64. Ciclododecano 90%, 100/140°C 10% dopo lo stacco, verso.

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Figura 65. Ciclododecano 90%, 100/140°C 10% dopo lo stacco, profilo.

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Figura 66. Ciclododecano 90%, Cicloesano 60/80째C 10% dopo lo stacco, verso.

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Figura 67. Ciclododecano 90%, Cicloesano 60/80째C 10% dopo lo stacco, profilo.

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Figura 68. Ciclododecano 75%, Benzina 100/140째C 25% dopo lo stacco, verso.

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Figura 69. Ciclododecano 75%, Benzina 100/140째C 25% dopo lo stacco, profilo.

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Figura 70. Ciclododecano 75%, Cicloesano 60/80째C 75% dopo lo stacco, verso.

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Figura 71. Ciclododecano 75%, Cicloesano 60/80째C 25% dopo lo stacco, profilo.

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Figura 72. Ciclododecano 60%, 100/140째C 40% dopo lo stacco, verso.

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Figura 73. Ciclododecano 60%, Benzina 100/140째C 40% dopo lo stacco, profilo.

[Quad e r n i C e s m a r 7]

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Il

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Figura 74. Ciclododecano 60%, Cicloesano 60/80째C 40% dopo lo stacco, verso.

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Figura 75. Ciclododecano 60%, Cicloesano 60/80째C 40% dopo lo stacco, profilo.

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Figura 76. Ciclododecano 50%, 100/140째C 50% dopo lo stacco, verso.

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Figura 77. Ciclododecano 50%, Benzina 100/140째C 50% dopo lo stacco, profilo.

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Figura 78. Ciclododecano 50%, Cicloesano 60/80°C 50% dopo lo stacco, verso.

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Figura 79. Ciclododecano 50%, Cicloesano 60/80°C 50% dopo lo stacco, profilo.

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Il ciclododecano nel restauro dei manufatti ar tistici

[Quad e r n i C e s m a r 7]

Indice

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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Hans Michael Hangleiter con traduzione di Silvia Invernizzi Individuazione del sito operativo e dei test da condurre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 6

Silvia Baldi, Silvia Baldis, Irene Colombo, Katia Grassi, Andrea Lutti, Greta Medici, Amelio Micheli Impiego del Ciclododecano come idrofobizzante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 7

Silvia Baldi, Silvia Baldis, Irene Colombo, Katia Grassi, Andrea Lutti, Greta Medici, Amelio Micheli

Impiego del Ciclododecano per sigillature provvisorie e temporanee. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 11

Silvia Baldi, Silvia Baldis, Irene Colombo, Katia Grassi, Andrea Lutti, Greta Medici, Amelio Micheli

Impiego del Ciclododecano per velinature e bendaggi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 16

Silvia Baldi, Silvia Baldis, Irene Colombo, Katia Grassi, Andrea Lutti, Greta Medici, Amelio Micheli

Impiego del Ciclododecano per la ricomposizione ed il riposizionamento di frammenti di dipinti murali in situ

p. 24

Serena Battistello, Enrica Boschetti, Franco Del Zotto, Vera Fedrigo, Francesca Anna Quintieri, Chiara Stella Sasso, Cristiana Sburlino, Arianna Splendore

Applicazione del Ciclododecano nel recupero di materiali in contesto archeologico. . . . . . . . . . .

p. 32

Paola Currò Dossi, Francesca Dalrì, Lilia Gianotti, Marella Labriola, Patrizia Schievano Un “ragionevole dubbio”: i residui. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 44

Silvia Ottolini

L’uso del Ciclododecano in ambiente umido. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 46

Davide Riggiardi

Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

p. 56

Hans Michael Hangleiter, Enrica Boschetti, Franco Del Zotto, Vera Fedrigo

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© il prato casa editrice Via Lombardia 43 35020 Saonara (PD) tel. 049-640105 • fax 049-8797938 www.ilprato.com • info@ilprato.com Finito di stampare nel mese di Marzo 2010 presso le Arti Grafiche Padovane di Saonara (PD)


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