La Crocifissione di Dro Un’esperienza di minimo intervento su un dipinto di grandi dimensioni Contributi di:
Barbara Tomasoni, Paola Orsolon, Cristiana Sburlino, Luisa Landi, Roberto Bestetti, Erminio Signorini, Stefano Volpinn, Paolo Cremonesi, Alberto Finozzi
A cura del Cesmar7
La Crocifissione di Dro (TN)
L’associazione CESMAR7, per gli studi e la ricerca scientifica sui materiali usati nella conservazione e restauro delle opere policrome mobili, è nata nel Dicembre 2000, per volontà di sette soci fondatori, con l’intento di colmare, con azioni specifiche, alcune lacune esistenti nel settore: • la scarsità di prodotti specifici realizzati con le caratteristiche che l’impiego nel restauro richiederebbe, ed il conseguente utilizzo di materiali creati per tutt’altre applicazioni; • il poco scambio di informazioni e la scarsa circolazione delle informazioni scientifiche; • nell’ambito operativo, una condizione di prevalente isolamento del restauratore nel suo laboratorio. Tra le attività del Centro, quella didattica e divulgativa occupa un posto fondamentale, e si concretizza attraverso corsi di aggiornamento professionale per restauratori, organizzazione e partecipazione a convegni e gruppi di studio, e produzione editoriale scientifica. In questa linea si inserisce la collana editoriale “I Quaderni del CESMAR7”, resa possibile dalla collaborazione con la casa editrice il prato, partner del CESMAR7. Per informazioni: www.cesmar7.it - cesmar7@cesmar7.it Il coodinatore scientifico Paolo Cremonesi
PREMESSA Allo studio OCRA Restauri di Arco (TN) sono stati affidati sette dipinti da restaurare, che si trovavano, e tutt’ora sono situati, nella vicina piccola chiesa di Dro dedicata a S. Antonio da Padova. Tutte le opere presentavano danni comuni dovuti a molteplici fattori di degrado (sia umani che animali); fra questi, un dipinto era stato posto e “dimenticato” dietro l’altare maggiore della chiesa: una grande pala raffigurante la crocifissione, quasi irriconoscibile sotto un notevole strato di polvere, che aveva le caratteristiche di un grande quadro. Proprio per questo dipinto è iniziata la collaborazione tra la ditta titolare del restauro ed il Cesmar7. Nonostante una lacerazione centrale lo abbia investito per più punti lungo la sua altezza, esso ha conservato un suo tensionamento che lo ha portato ai giorni nostri ancora sul suo telaio originale. Il danno principale riportato, è appunto questa lacerazione, anche sul retro del telaio si rivedono i medesimi danni: dato che è stato tagliato o addirittura spaccato in più punti, ci si è chiesti l’origine di questa rottura, e guardando intorno, se ne è compresa la causa: il dipinto non era nato certamente in quella chiesa, vi era stato portato in un secondo momento, ma da dove? L’ipotesi più accreditata, visionando anche gli archivi, è che quasi tutti i quadri della chiesetta (eccezion fatta per il S. Antonio posto sull’altare che da sempre risiede qui) provengano dalla chiesa di S. Sisinio, chiesa curziale del paese, per la quale furono fatti lavori di ampliamento nell’800 che comportarono lo spostamento delle opere in essa contenute. La particolarità sta nel fatto che l’opera ripropone, rivisitata e con una tecnica minore, la grande crocifissione eseguita dal Tintoretto nel 1565 per la parete di fondo della Sala dell’Albergo nella scuola di San Rocco, in Venezia. Dato che a tutt’oggi l’artefice è ancora sconosciuto sono state formulate delle ipotesi sulle fonti che egli poteva aver usato. Le strade che si potevano percorrere erano due: L’artista aveva soggiornato a Venezia ed aveva visto l’ originale, o aveva visto delle stampe che lo avevano ispirato, o tutte e due le cose. Ma allora perché riproporlo in maniera speculare? Si ritiene probabile che abbia visto delle stampe, in particolare quella di Egidio Sadeler che realizzò una copia in controparte dell’incisione eseguita da Agostino Carracci durante un suo soggiorno veneziano del 1582 (nel Gabinetto Nazionale delle Stampe si trovano altri due esemplari di questa stampa - F.C. 00119, vol.26 F8; F.Pio vol.21 - F.N. 2866 (36596), privi del margine inferiore recante la dedica e gli otto distici latini). In questo modo si può anche spiegare l’attenta riproduzione dei personaggi e della composizione, anche se l’opera raffigura la sola crocifissione del Cristo, senza i ladroni e senza perdere la sua drammaticità, amplificata dalla grandezza della tela e dalla presenza centrale della Croce, con il Cristo morente che irradiato dalla luce divina diviene egli stesso Luce.
Un particolare: si è notato che nel gruppo delle pie donne non vi sono alcuni personaggi, tra cui l’omissione di un uomo anziano che già Sadeler aveva modificato nelle vesti, riportandolo dall’incisione del Carracci. Dopo la pulitura si è potuta apprezzare tutta la composizione, ritrovando particolari e dettagli che conferiscono all’opera una grande forza espressiva e narrativa.
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Il punto di partenza di questo lavoro si è basato su alcune domande: Questa tela cinquecentesca non ha mai subito alcun intervento di restauro ed è arrivata abbastanza integra ai giorni nostri: fino a che punto è giustificato interporsi in questo suo equilibrio apportando materiali, nuove tensioni e quant’altro? (Foto 1) A prima vista il danno maggiore pare sia causato dalle lacerazioni della tela, ma verosimilmente la stessa invece di cedere rovinosamente ha trovato una sua stabilità ed un tensionamento: quanto è giusto pensare di alterare questo suo equilibrio con una foderatura? Nel caso di una foderatura, l’intervento riguarderebbe anche la riduzione dei lembi delle cuciture, si innescherebbe così un meccanismo di continua ri-foderatura nel tempo. Quanto è giusto che i restauratori intervengano imponendo una metodologia che non permette di tenere conto delle condizioni di partenza dell’opera? È più corretto consegnare un’opera restaurata in maniera impeccabile o considerare lo stato in cui ci viene consegnata e da questo partire, “ascoltando” veramente quelle che sono le sue esigenze?
FOTO 1. Il Professor Mehra a Dro
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PRIMA PARTE
1. DESCRIZIONE DELL’OPERA Autore: anonimo Titolo: Crocifissione Periodo: fine XVI inizio XVII sec. Ubicazione: Dro (TN), Chiesa di S. Antonio da Padova Tecnica esecutiva: olio su tela Dimensioni: 463,5 x 307,5 cm
FOTO 2. Fronte dell’opera prima dell’intervento di restauro
L’opera riproduce in modo speculare il dipinto eseguito da Tintoretto tra il 1565 e il 1567 per la Scuola Grande di S.Rocco a Venezia1, e rappresenta al centro Cristo crocifisso, dal corpo possente, isolato sullo sfondo del cielo ottenuto per toni di grigio. Ai piedi della croce vi è Maria, sorretta dalle Pie donne e da S. Giovanni, rappresentato in piedi con veste verde e rossa. Circondano le figure principali, soldati a piedi e a cavallo con armature, lance e turbanti. Alla croce è appoggiata una scala sulla quale un uomo con una veste rossa è colto nell’atto di infilzare con un bastone la spugna che gli viene posta su un piatto da un altro uomo rappresentato di spalle, con una veste giallo ocra. (Foto 2) In alto sulla destra, un soldato a cavallo si sporge per allungare la lancia verso il corpo del Cristo. In basso a destra si trovano gli strumenti da falegname usati per costruire la croce: tenaglie, martello, ascia, sega e trapano, mentre sulla sinistra a terra vicino ad un albero tagliato tre soldati si giocano ai dadi la veste bianca.
1 Cfr. Chiara Paoli, La crocifissione di S. Antonio a Dro, una sperimentezione di minimo intervento, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trento, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali, anno accademico 2004-2005, p. 31, fonte alla quale si rimanda per una più esaustiva contestualizzazione degli aspetti storico artistici legati a questo dipinto.
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[Quaderni Cesmar7] CESMAR7 La Crocifissione di Dro
Sullo sfondo un paesaggio montuoso e sulla sinistra, dietro ad alcuni alberi che incorniciano la rappresentazione, vi sono degli edifici. La composizione è piuttosto articolata e la disposizione delle figure sembra essere dettata da una sorta di orror vacui, nel quale lo spazio è occupato completamente dalle figure, con la sola esclusione del cielo, a volte con qualche indecisione che lascia confondere i piani della rappresentazione. La derivazione da un’opera del Tintoretto, sia essa per visione diretta sia per tramite di un’ incisione2, potrebbe giustificare la migliore composizione e la distribuzione spaziale meglio riuscita, di questa rispetto alle altre opere conservate nella chiesa di S. Antonio da Padova, la cui esecuzione potrebbe essere riferita allo stesso autore. La pittura sembra condotta alla prima, per stesure a corpo e non si distingue per una tecnica pittorica molto elaborata, non si sono rilevate particolari finiture o velature, né l’uso di dettagli decorativi particolarmente raffinati, con le eccezioni della veste della Maddalena, e i dettagli dell’abbigliamento del soldato a cavallo sulla destra, uniche concessioni al decorativismo. Il dipinto, che probabilmente in origine doveva essere collocato nella chiesa di S. Sisinio a Dro, fu trasferito nel corso dell’800 a quella vicina di S. Antonio da Padova, dove la tela è stata fino ad oggi conservata, dietro all’altare, montata ancora sul telaio originale. Questo è costituito da una struttura lignea in abete con incastri a mezzo corpo fissati con chiodi ripiegati; le aste verticali, per raggiungere la dimensione desiderata, sono state prolungate con degli elementi lignei collegati con incastri a mezzo corpo bloccati con chiodi ribattuti. (Foto 3) A rinforzare il telaio vi sono delle diagonali rompitratta agli angoli e una traversa orizzontale alla metà del lato lungo. La traversa non è posizionata in modo perfettamente ortogonale alle aste del FOTO 3. Retro dell’opera prima dell’intervento di restauro telaio ma è leggermente inclinata.3
2 Chiara Paoli, op.cit., pp. 32-35. 3 Non sembra possibile che una struttura costruita con una tale cura e precisione riporti un errore di questo genere, inoltre non sono presenti tracce di eventuali spostamenti, motivo per cui bisogna considerare volontario il posizionamento della traversa leggermente inclinata. Una simile disposizione della traversa è visibile in: Domenico Cretti: Telaio: “... struttura di sostegno, formata da quattro elementi uniti in modo da formare un’armatura stabile, alla quale vengono ancorati gli organi che compongono il dipinto”, in “Atti del Convegno IGIIC, Lo stato dell’arte. 3”, Palermo, Palazzo Steri, 22-24 Settembre 2005.
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La planarità e la robustezza della struttura sono garantite da questi rinforzi, non incastrati in spessore ma inchiodati dietro alla struttura principale in modo tale da conferire ad essa una maggiore stabilità. La tipologia costruttiva è quella comunemente in uso nei dipinti di questo periodo: telaio fisso e ridotta sezione delle aste (8,7 x 2.3 cm). Il supporto tela, è risultato4 essere costituito da fibre di lino; “il tessuto è costruito con armaFOTO 4. Particolare di una cucitura tura tela, piuttosto compatta e con un numero di fili e battute simili (densità di 14 x 14 fili). I filati di ordito (in senso verticale) e trama (in senso orizzontale) sono caratterizzati da titolo variabile”; sul retro sono visibili dei nodi e fili cadenti. La tela, costituita da quattro teli larghi 70 cm circa ciascuno e da uno largo 35 cm circa, cuciti sulle cimose (Foto 4), è vincolata al telaio con una chiodatura piuttosto rada (la distanza tra i chiodi varia da 18 a 20 cm circa); questi chiodi in ferro forgiato, presentano una testa molto larga e solida. I risultati delle analisi stratigrafiche5 (Foto 5-8), condotte su due campioni, mostrano come la superficie pittorica sia composta da una mestica preparatoria molto sottile (costituita da un
FOTO 5. Punto del prelievo del campione n. 1, decorazione gialla sul manto verde personaggio femminile in primo piano voltato verso la croce
FOTO 6. Sezione stratigrafica (campione n. 1)
FOTO 7. Punto del prelievo del campione n. 2, veste verde-bruna di S. Giovanni; prelievo lungo la cucitura fra due tele
FOTO 8. Sezione stratigrafica (campione n. 2)
4 Analisi a cura del Dott. Giovanni Testa, Stazione Sperimentale Carta e Paste per Carta, Milano. 5 Analisi a cura del Dott. Stefano Volpin, Padova.
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impasto ad olio di Ocre gialle ed occasionali particelle di Minio), al di sopra del quale vi è la presenza di un sottile film di olio, sul campione n. 1, e di uno spesso film leggermente fluorescente composto in prevalenza da sostanze lipidiche e resinose sul campione n. 2; vi è poi uno strato pittorico composto da pigmenti in medium oleoso (campione 1: Biacca impura di Calcite, poco Verderame e occasionali particelle di Nero Carbone, con una sottile e discontinua velatura sovrastante composta da Ocra gialla; campione n. 2: miscela di Verderame e Biacca). Il campione n. 1 presenta inoltre uno strato intermedio fra la mestica e lo strato pittorico (formato da pigmenti - Biacca e Nero Carbone Vegetale - in olio siccativo) ma non sembra avere tracce di vernice superficiale, presumibilmente identificabile invece con il film sottile di materiale bruno dorato trovato al di sopra dello strato pittorico verde del campione n. 2, che all’esame ultravioletto presenta una leggera fluorescenza UV.
2. STATO DI FATTO In occasione del trasferimento dell’opera nell’800, il telaio era stato segato per essere piegato a metà nel senso verticale (Foto 9-12), probabilmente a causa del fatto che per la sua dimensione il dipinto non passava dalla porta e permettendone così il suo ingresso in chiesa. Sono da imputare a questo momento le più importanti lesioni strutturali presenti sull’opera. In coincidenza con i punti del telaio segati anche la tela era stata tagliata ed in queste zone presentava notevoli lacerazioni e mancanze con ampie e diffuse cadute di colore (Foto 13). Le aste del telaio erano state successivamente ricomposte grossolanamente con listelli di legno inchiodati, anche attraverso la pittura, in corrispondenza dei punti di rottura, o legati con filo di ferro nel caso della traversa. La diagonale inferiore sinistra che era stata spezzata, era stata mal riposizionata e l’asta inferiore, rotta in due punti, era stata riassemblata in modo scorretto senza ricrearne l’andamento rettilineo e causando una perdita di tensione della tela in questa zona. L’errato posizionamento di questa porzione di telaio è misurabile in circa 5 cm nel punto centrale dell’asta. Il supporto presentava un centinaio di lacerazioni, in primo luogo causate dal trauma subito dal telaio, ad urti ed alla presenza di volatili che in passato avevano nidificato dietro al dipinto: a questi può essere imputabile l’asportazione di tutti i fili intorno alle lacune del tessuto che in molti casi, infatti, apparivano quasi ritagliate. FOTO 9. Grafico del telaio visto dal retro, che mette in evidenza i punti di rottura
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FOTO 10-11. Particolari delle aste del telaio: le foto si riferiscono all’asta inferiore, spezzata in due punti
FOTO 12. La traversa, che, spezzata al centro, era stata riassemblata con un listello di legno legato con filo di ferro
FOTO 13. La grande mancanza di tela al centro del dipinto, in corrispondenza del punto di rottura della traversa
Il retro della tela era coperto da una grande quantità di polveri, depositi superficiali ed anche schizzi di guano e residui di nidificazione; la zona centrale era interessata da un’ampia gora, probabilmente causata da un’infiltrazione d’acqua, che interessa tutta l’altezza del dipinto. Lungo il perimetro del dipinto a causa dei numerosi urti e sollecitazioni subiti si erano formate numerose lacerazioni della tela, alcune delle quali di 10-15 cm, in prossimità dei chiodi, sui quali si erano ovviamente concentrate le forze. Nello spazio che intercorre tra l’uno e l’altro si erano formate le classiche deformazioni a festone sulla tela, più marcate lungo i lati verticali, dove anche le lacerazioni della tela erano di maggior entità (Foto 14, 15). Lungo il lato superiore, che doveva sopportare tutto il peso della tela, le lacerazioni in corrispondenza dei chiodi erano di piccola entità e vi era invece un abbassamento generalizzato del lembo rispetto al bordo del telaio di circa 1 cm; nella parte centrale di questo lato dove il telaio era stata segato, vi era una grande mancanza di tessuto, ed i lembi di questa lacuna erano ripiegati su sé stessi. La zona inferiore del dipinto presentava i danni strutturali più gravi: lungo il lato sinistro, le lacerazioni in corrispondenza dei chiodi aumentavano di entità via via che si procedeva dall’alto verso il basso fino ad arrivare all’angolo inferiore (Foto 16), dove vi erano delle pieghe ed ondulazioni e la tela era
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FOTO 14-15. Particolari delle lacerazioni della tela in prossimità dei chiodi sui lati verticali
staccata dal telaio per quasi 60 cm; al centro del bordo inferiore vi era poi una mancanza di supporto di circa 80 cm di larghezza e le porzioni di tela adiacenti erano vincolate al telaio solo in modo parziale (Foto 17, 18). Nonostante i vari danni subiti il tessuto aveva mantenuto una residua planarità ed una certa tenacia ed elasticità, probabilmente, a nostro parere, anche per l’assenza di interventi di restauro precedenti, i cui materiali nel tempo avrebbero potuto incrementare il degrado della tela stessa, rendendola fragile e FOTO 16. Particolare dell’angolo inferiore sinistro del quindi più soggetta a danneggiamenti6. dipinto, dove si erano formate grandi pieghe della tela, quasi totalmente staccata dal telaio Si è supposto che l’opera non avesse mai subito interventi di restauro sia per il fatto che l’esame stratigrafico non ha rilevato la presenza di materiali sovrammessi, sia perché visivamente non vi erano tracce sul dipinto di sostanze che, stese sul fronte, avrebbero potuto passare attraverso la crettatura o le eventuali cadute di colore ed impregnare la tela. Date le notevoli dimensioni del dipinto, le problematiche del degrado erano molto diversificate a seconda del tipo e dell’entità dei danni subiti e delle differenze intrinseche nell’opera stessa. La superficie pittorica aveva problemi localizzati di coesione ed adesione e presentava scodellature differenziate per campiture cromatiche (Foto 19, 20). I problemi di coesione riguardavano i rossi, gli ocra e i mezzi toni. Le campiture scure e più ricche di legante presentavano invece ampi cretti ed una pronunciata scodellatura con problemi di adesione. Le lacune di colore riguardavano tutti gli strati pittorici: solo nella campitura gialla corrispondente al cielo intorno alla croce, si notava la separazione della pellicola pittorica dalla preparazione.
6 Adesivi proteici, allume di rocca e vernici a base di resine naturali sono infatti materiali acidi in partenza che con l’invecchiamento lo divengono ancora di più, capaci di contribuire alla rottura idrolitica dei legami della cellulosa, degrado che rende il tessuto fragile e più facilmente soggetto a danneggiamenti. Inoltre la rigidità che questi materiali conferiscono alla complessa stratificazione di un dipinto su tela deve essere considerata un fattore di rischio, soprattutto sulla grande dimensione.
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FOTO 17. Particolare del lato inferiore del dipinto
FOTO 18. Particolare del lato inferiore del dipinto
Nei pressi delle cuciture vi era un cretto caratteristico con andamento ortogonale alla giunzione dei teli e uno scodellato differenziato per campiture cromatiche, sempre in relazione alle campiture scure (Foto 21, 22). Le piÚ importanti perdite di pellicola pittorica e preparazione erano localizzate nelle aree del dipinto che avevano subito i danni maggiori (Foto 23, 24): quella centrale, dove vi era la grande mancanza di supporto, lungo la linea longitudinale di piegatura del dipinto e nella zona inferiore, dove vi era l’altra grande lacuna e si erano formate ondulazioni e piegature per il rilassamento della tela. In particolare le zone interessate da scodellatura erano quelle interessate maggiormente da problemi di adesione del film pittorico al supporto. Sulla superficie pittorica, oltre a polveri e sporco superficiale, vi erano numerosi depositi di guano e residui di nidificazione di volatili e schizzi di calce (Foto 25) proveniente da lavori di imbiancatura della chiesa, segno evidente della scarsa considerazione in cui l’opera era tenuta. FOTO 19-20. Particolari della superficie pittorica in cui si nota come la scodellatura fosse differenziata per campiture cromatiche
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FOTO 22. Crettatura lungo una cucitura
FOTO 21. Crettatura lungo una cucitura
FOTO 23. Lo stato di conservazione del colore con lacune e scodellature della pellicola pittorica
FOTO 24. Fotografia in transilluminazione del dipinto, in cui sono ben visibili le lacune della pellicola pittorica
FOTO 25. Schizzi di calce sulla superficie pittorica
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3. VALUTAZIONI FISICO-STRUTTURALI Telaio Come già descritto, e facilmente comprensibile dal grafico (Foto 26), nonostante la ridotta sezione delle aste del telaio rispetto alla dimensione del dipinto, la solidità e la planarità della struttura sono garantite dalla presenza delle diagonali e della traversa che distribuiscono in misura proporzionata lungo tutto il perimetro le forze derivanti dalla tensione della tela. L’attacco da parte di insetti xilofagi, probabilmente della famiglia Anobium Punctatum, ha interessato per lo più l’asta inferiore del telaio, ma non in modo così grave da compromettere le caratteristiche meccaniche della struttura. Le sedi di assemblaggio del telaio sono in buono stato dal punto di vista funzionale e, nonostante l’incollaggio non sia più attivo, l’unione degli elementi è garantita dall’efficienza dei chiodi ripiegati verso il fronte. Tela Un’altra valutazione che è stata presa in esame è quella che riguarda lo stato della tela e la sua capacità o meno di svolgere la funzione di supporto. Sulla tela di Dro si è effettuata l’analisi del Grado di Polimerizzazione7, il valore riscontrato, pari a 255 indica “la marcata depolimerizzazione del polimero cellulosico. Il modesto valore di DP riscontrato
FOTO 26. Grafico del telaio visto dal retro
7 DP: è la misura del grado di polimerizzazione della cellulosa che costituisce il filato di un tessuto. ..“ il grado di polimerizzazione rappresenta uno dei più importanti parametri strutturali poichè condiziona le proprietà chimiche, fisiche e meccaniche dei materiali polimerici”, da E. Rossi, Misure del grado di polimerizzazione per la valutazione dello stato di deterioramento di un materiale fibroso cellulosico, in Dipinti su tela. Metodologie d’indagine per i supporti cellulosici, a cura di G. Scicolone, Firenze, Nardini, 2005; cfr. inoltre l’introduzione di G. Scicolone allo stesso volume.
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porta a ritenere inoltre che le caratteristiche di resistenza meccanica dei filati (per es. la loro tenacità) siano praticamente compromesse”.8 A questo proposito, si è considerato che il test è stato effettuato su una porzione di tela prelevata proprio in corrispondenza della grande lacuna della zona centrale del dipinto, zona interessata da estese cadute di colore. Il valore ottenuto descrive la situazione di degrado di quella singola porzione di tela: si tratta però di una porzione di tessuto di un’area già molto compromessa, sia perché lembo di una lacuna, sia perché tela a vista e più esposta ad agenti di degrado. La parte analizzata ha inoltre un colore leggermente più scuro rispetto al resto della tela: anche questa valutazione visiva indica una maggiore ossidazione. L’analisi del Grado di Polimerizzazione poi valuta la tenacia delle fibre del filato, mentre quel che ci si trova di fronte è un insieme di fili ritorti ed intrecciati tra loro a formare l’armatura di un tessuto, ricoperto o in parte rivestito, quindi protetto, dagli strati preparatori e di colore sovrastanti che in una certa misura possono contribuire ad aumentare la tenacia del supporto. Nonostante questo, il valore riscontrato era comunque molto basso e indicava una situazione di forte degrado di cui non si poteva non tener conto nel valutare sia localmente che globalmente il trattamento del supporto. A parte la zona centrale, ben delimitata, il resto della tela dimostrava ancora una buona resistenza e tenacità alle sollecitazioni meccaniche. Queste valutazioni sono alla base della scelta operativa di non foderare il dipinto; viste anche le dimensioni dell’opera, si può dire che l’area centrale più degradata subisce meno, o non subisce quasi per niente, le forze dovute al tensionamento, e non è dunque necessario, come lo è invece per le zone perimetrali e in particolare per il lato superiore, che abbia una grande tenacia. Le cuciture dei 5 teli che compongono il supporto, sono in buono stato di conservazione ed hanno funzionato da vero e proprio scheletro di sostegno per l’opera; il fatto che i chiodi che vincolano la tela al telaio erano posti in modo preciso in corrispondenza di tutte e quattro le cuciture ha garantito il loro funzionamento come struttura di sostegno limitando deformazioni e spanciamenti e contribuendo a sostenere il peso dell’opera (Foto 27, 28). Pur essendo linee di discontinuità nella distribuzione delle tensioni, che possono portare a movimenti disomogenei della tela e conseguenti problemi sugli strati pittorici, nel dipinto di Dro, considerata anche la sua dimensione, le cuciture hanno svolto la funzione di distribuzione del peso.
FOTO 27-28. Particolari dei punti di vincolo in corrispondenza delle cuciture (27 lato inferiore, 28 lato superiore)
8 Analisi a cura del Dott. Giovanni Testa, Stazione Sperimentale Carta e Paste per Carta, Milano.
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4. FINALITÀ Conseguente alla scelta di non smontare l’opera dal telaio originale, uno dei punti principali considerati in questo intervento è stato quello di valutare se la struttura lignea fosse in grado di sostenere il peso del dipinto, e quindi di poter essere mantenuta così com’era, oppure se fosse necessario irrobustirla. Il caso dei telai lignei dei dipinti su tela è singolarmente l’unico esempio di elemento originale per la cui conservazione in loco generalmente non si fa alcuno sforzo concreto. Spesso si sente parlare di storicizzazione del telaio ligneo poichè presenta scritte o numeri di inventario o altre testimonianze, ma non si riflette sul fatto che il telaio va storicizzato in quanto parte fondamentale della struttura, ed elemento costitutivo originale, in quanto a volte realizzato secondo indicazioni dell’artista, e testimonianza di un’attività artigianale che un tempo deteneva capacità tecniche e tradizione che oggi non sono più riproducibili; il telaio di questo dipinto con la sua comprovata efficienza nel tempo ne è una dimostrazione. Per queste ragioni si è ritenuto che, opportunamente risanato, il telaio avrebbe potuto continuare a svolgere la sua funzione di elemento portante dell’intera struttura. Si è deciso quindi di lavorare senza staccare la tela dal telaio in modo tale da conservare l’unità e non perdere la tensione residua presente, operando il risanamento del supporto in loco. Il rimontaggio della tela su un telaio dopo il suo smontaggio, sia su un telaio nuovo che sull’originale risanato, avrebbe richiesto di imprimere sulla struttura lignea una forza che avrebbe potuto compromettere la struttura. Pur molto danneggiato, il dipinto aveva resistito per anni in una situazione molto precaria, e manteneva una certa tensione residua: il solo smontaggio della tela dal telaio avrebbe significato la rottura dell’equilibrio dell’insieme dipinto che non sarebbe più stato recuperabile e la modifica, anzi la perdita, di questa tensione residua.9
9 Cfr. Roberto Bestetti, Cristiana Sburlino, Minimo intervento e grandi dimensioni, una strada percorribile? La crocifissione di Dro, un approccio minimale ad un caso particolare, a cura del CESMAR7, in “Atti Secondo Congresso Internazionale del CESMAR7 Colore e Conservazione, Minimo intervento conservativo nel restauro dei dipinti”, a cura del CESMAR7, Padova, il prato, 2005.
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5. PRECONSOLIDAMENTO E PULITURA L’assenza di un vero e proprio strato protettivo e lo stato di conservazione di molte aree rendevano l’operazione di pulitura molto difficoltosa: lo sporco superficiale e soprattutto il guano e gli schizzi di calce provenienti da lavori di imbiancatura della chiesa erano infatti ben aderiti alla superficie cromatica. Data la precarietà degli strati pittorici era praticamente impossibile in molte parti eseguire qualsiasi operazione senza prima aver effettuato un fissaggio della cromia. A causa dello sporco superficiale depositato sia sul fronte che sul retro, che altrimenti si sarebbe fissato al colore ed alla tela, non è stato possibile attuare il consolidamento definitivo come fase iniziale; si è preferito quindi effettuare ripetuti passaggi con l’adesivo a basse percentuali intervallando la pulitura al fissaggio del colore, quando questo si rendeva necessario, lavorando sempre per campiture cromatiche. Per il preconsolidamento si sono scartati materiali quali colle animali (per il notevole apporto di acqua che avrebbe comportato). Questo apporto di acqua sul dipinto avrebbe portato alla formazione di macchie, a causa dei materiali costitutivi, che probabilmente con l’invecchiamento avevano aumentato il loro carattere idrofilo. Dopo aver testato varie possibilità si è intervenuti utilizzando un derivato della cellulosa, il Klucel G, in Alcool Etilico 99° % (preventivamente sbiancato con carbone decolorante). Ad un primo passaggio generalizzato di Klucel G all’1% in Alcool, ne sono seguiti altri a diverse percentuali, dove necessario, applicando il prodotto con siringhe e pennellini. Alla fase di preconsolidamento è seguita la messa a punto della pulitura che ha dovuto tenere conto del fatto che si era forse in presenza di una vernice originale, che non sembrava deturpante per la lettura dell’opera. Per cercare di capire la natura di questo protettivo, e valutare in modo preciso il livello di pulitura cui si voleva arrivare, sono state provate sia le soluzioni di solventi attraverso un test di solubilità (le miscele si sono rivelate attive sui residui dello strato di protettivo ad un valore di Fd attorno al 60)10 o varie tipologie di gel come i gel di Carbopol e Resin soaps e gel rigido di Agar-Agar. Dopo questi test si è optato per una pulitura riguardante solo la rimozione dello sporco di superficie e non la rimozione di materiali filmogeni. Lo strato finale dell’opera, cioè i residui di vernice, era sensibile all’acqua, ci si è quindi trovati nel caso da manuale di pulitura da effettuarsi con acqua in emulsione di solventi apolari, ossia in emulsione grassa, cioè la rimozione di materiali di deposito che si rimuoverebbero facilmente in un mezzo acquoso, al di sopra di uno strato che tollera male il contatto con l’acqua. L’Emulsione Grassa11 è ottenuta per emulsionamento sotto forte agitazione di poca acqua in un solvente apolare, nel caso specifico la ligroina12, tramite un tensioattivo non ionico, il polietossilato Tween 20.
10 Cfr. Paolo Cremonesi, Un approccio più scientifico alla pulitura dei dipinti. Il test di solubilità di Feller, in “Progetto Restauro”, 8, 1998, pp. 38-42; Paolo Cremonesi, Un approccio più scientifico alla pulitura dei dipinti. Il triangolo delle solubilità, in “Progetto Restauro”, 7, 1998; Paolo. Cremonesi, Erminio Signorini, L’uso dei solventi organici neutri nella pulitura dei dipinti: un nuovo test di solubilità, in “Progetto Restauro”, 31, 2004, pp. 2-15. 11 Cfr. Paolo Cremonesi, L’uso di tensioattivi e chelanti nella pulitura di opere policrome, Padova, il prato, 2004, pp. 59-62. 12 Cfr. Paolo Cremonesi, Parola d’ordine: Ligroina (ovvero considerazioni sull’utilizzo di certi solventi organici), in “Progetto Restauro”, 24, 2002, pp. 4-15.
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Questo sistema ha permesso di utilizzare l’acqua su questa superficie che non ne sopportava il contatto ma che era necessaria per un’ efficace pulitura. La parte più consistente dei depositi di sporco e di guano sono stati asportati a secco, con stecchini in bambù, bisturi o punte in metallo anche lavorando sotto lente. L’emulsione grassa è stata applicata con un pennello e lasciata agire con tempi di applicazione variabili da 1 a 3 minuti, dopo di che il gel è stato asportato con un tamponcino di cotone asciutto, seguito da lavaggi della zona trattata con ligroina. La pulitura ha interessato soltanto la rimozione dei materiali di deposito superficiali, variando il valore di pH tra 7 e 8,5 a seconda delle esigenze della pulitura e della resistenza delle campiture(Foto 29, 30). Subito dopo la pulitura, la zona trattata appariva saturata; non si è riusciti a capire bene le ragioni di questa saturazione, ma è stato notato che dopo un certo tempo, circa 2 settimane, l’effetto svaniva. La spiegazione più plausibile è che lo strato pittorico trattenesse a lungo qualcuno dei componenti della emulsione usata in pulitura. Lo stesso effetto di saturazione si aveva sia con le emulsioni leggermente basiche che neutre: questo porta ad escludere il coinvolgimento della Trietanolammina, presente nelle prime come alcalinizzante ma assente nelle seconde. In ultima analisi si è considerato responsabile l’aumentato carattere idrofilo dello strato pittorico, capace così di una più lunga permanenza negli strati dell’acqua o del tensioattivo. Questo fenomeno è stato accettato come limite del nostro intervento di pulitura, valutando che i due componenti potevano arrecare solo limitato danno anche se trattenuti a lungo. Studi approfonditi condotti da vari ricercatori negli Stati Uniti (D. Stulik, D. Miller, H. Khanjian, N. Khandekar, R. Wolbers, J. Carlson, W. C. Petersen, Solvent Gels for the Cleaning of Works of Art. The Residue Question, Edited by V. Dorge, Research in Conservation Series, The Getty Conservation Institute, Los Angeles, California 2004), hanno infatti affrontato questo problema. Si applicavano tensioattivi non ionici ad una superficie pittorica ad olio, che veniva esposta a luce e calore in camera d’invecchiamento, e poi campionata ed analizzata per gascromatografia- spettrometria di massa (GC/MS), paragonando tra loro zone trattate col tensioattivo e zone non trattate. I tensioattivi non ionici polietossilati presi in considerazione, Triton X100, Triton XL80N, Brij 700, mostravano chiaramente l’assenza di interazioni con il materiale oleoso. In altre parole, la presenza e l’invecchiamento di questi tensioattivi, lasciati come residui sulla superficie pittorica ad olio, non interferiscono con il normale processo di invecchiamento dell’olio stesso. La somiglianza strutturale del Tween 20 ci permette di rapportarlo a questi risultati.
FOTO 29. La fase di pulitura, applicazione a pennello dell’emulsione grassa
FOTO 30. La fase di pulitura, rimozione dell’emulsione grassa e lavaggio della superficie
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La pulitura è stata eseguita con emulsione grassa, resa basica per piccole aggiunte di Trietanolammina13 oppure mantenuta neutra a seconda delle campiture su cui si operava. Dopo il trattamento con l’emulsione grassa si è notato che nelle zone del dipinto interessate da scodellatura era avvenuto un certo abbassamento dei bordi delle scaglie, segno che il piccolo apporto d’acqua era stato sufficiente ad ammorbidirle. Il precario stato di conservazione della pellicola pittorica, con numerose lacune e diffusi sollevamenti, ha sicuramente reso difficile l’asportazione completa dei residui dell’emulsione utilizzata, che facilmente possono essersi insinuati in lacune o crettature oppure essere stati assorbiti dalla tela. Vista l’azione solo superficiale della pulitura e la composizione del gel, questo non è stato considerato un fattore di rischio anche se la ligroina e l’acqua fossero state a lungo trattenute dagli strati. Per fissare le scaglie sollevate è stata utilizzata una miscela composta di Klucel G al 2% e di Primal AC 33 al 4%, quest’ultimo scelto perchè miscibile in Alcool. Non è stato possibile utilizzare il Klucel G in percentuali più alte in quanto la maggiore viscosità assunta dalla soluzione avrebbe impedito una buona penetrazione. Per questo motivo, dato che al 2 % il potere adesivo del Klucel G non era ancora sufficiente a fissare le scaglie al supporto, è stato aggiunto alla miscela del Primal AC-33, fino al 4% (percentuale massima utilizzata). La logica che si è seguita è stata quella di cercare di utilizzare la minima quantità di adesivo capace di fissare stabilmente una scaglia di colore completamente staccata dalla tela. Le fasi di preconsolidamento della cromia sono state effettuate utilizzando delle piccole tavole aspiranti che hanno anche espletato il compito dell’asportazione delle polveri dal retro dell’opera (Foto 31). FOTO 31. Tavola aspirante in funzione sul retro del dipinto
6. MOVIMENTAZIONE E MESSA IN SICUREZZA DELL’OPERA In una fase iniziale, il dipinto è stato posizionato in orizzontale appoggiato ad una struttura di sostegno, con una pannellatura scomponibile di polistirolo del retro per sostenere la tela ed evitarne lo spanciamento. In un secondo momento ci si è resi conto che la movimentazione dei pannelli non era agevole e le vibrazioni date dal loro sfregamento sul retro della tela rischiavano di creare nuovi sollevamenti nel colore; per questo motivo si è iniziato a studiare un sistema che, pur mantenendo il dipinto in orizzontale, rendesse accessibile il retro dell’opera e allo stesso tempo ne evitasse lo spanciamento.
13 Cfr: Paolo Cremonesi, L’uso di tensioattivi e chelanti nella pulitura di opere policrome, Padova, il prato, 2004, p. 42.
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FOTO 32. Particolare del reticolo di sostegno interinale
FOTO 33. Schema, in sezione, del reticolo di sostegno
Si è inoltre riscontrato che la posizione orizzontale, a causa della diversa distribuzione del peso a cui viene sottoposto il dipinto, rischiava di creare nuove lesioni al tessuto e un ulteriore avanzamento delle lacerazioni ai bordi. Si è quindi iniziato a pensare di realizzare un reticolo14 di sostegno interinale che permettesse di effettuare parte delle operazioni in questa posizione (Foto 32, 33). A seguito di tutto ciò, è emersa l’importanza della posizione del dipinto durante gli interventi eseguiti: alla fine si è scelto quindi di operare la maggior parte del lavoro strutturale con il dipinto posizionato in verticale (Foto 34, 35).
FOTO 34. Il posizionamento in verticale del dipinto
FOTO 35. Fronte del dipinto durante gli interventi di restauro
14 Cfr: Lilia Gianotti, Sistema di supporto provvisorio reticolare per un dipinto su tela temporaneamente privato del suo telaio ligneo, in “Atti Secondo Congresso Internazionale del CESMAR7 Colore e Conservazione, Minimo intervento conservativo nel restauro dei dipinti”, a cura del CESMAR7, Padova, il prato, 2005.
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Il reticolo di sostegno realizzato è costituito da una serie di fili di Nylon tensionati all’interno della luce del telaio attraverso tiranti e tenuti sullo stesso piano della tela, e da una serie di blocchetti in legno avvitati al telaio di sostegno, provvisti di sede ed asola per la fuoriuscita del filo sotto al telaio in prossimità del tirante ancorato al telaio di sostegno. Non è stato possibile mantenere sempre i fili di questo reticolo paralleli a trama e ordito perché si è scelto di posizionare i blocchetti in legno ed i tiranti al centro dello spazio tra chiodo e chiodo in modo da lasciare spazio libero nelle zone vicino ai vincoli, dove erano presenti numerose lacerazioni e presso le quali bisognava imbastire tutto il lavoro di ripristino dei punti di vincolo originali. Alcuni dei blocchetti di sostegno dei fili sono provvisti di una sottile L in alluminio avvitata ad essi e appoggiata tra tela e telaio, che ha la funzione di impedire il ribaltamento dell’opera al momento in cui questa sarebbe stata messa in verticale, ma l’ancoraggio vero e proprio è svolto da 4 sostegni posti dall’esterno agli angoli del dipinto e da dei blocchetti di legno a C avvitati al telaio di sostegno che bloccano in modo stabile la traversa e le diagonali. Nessuno di questi elementi era fissato direttamente al telaio originale del dipinto. Il reticolo provvisorio di sostegno ha permesso di lavorare senza dover capovolgere l’opera per accedere al retro, consentendo di avanzare contemporaneamente le operazioni sul fronte e sul retro. Vista la complessità del montaggio, la dimensione della tela e la quantità di pezzi da costruire si è ragionato su questa e parte delle successive operazioni da eseguire su un modello in scala 1:4 del telaio su cui si sono riportate le posizioni dei chiodi e si è effettuata tutta la fase progettuale del reticolo di sostegno, anche in relazione alle successive operazioni.
7. INTERVENTI STRUTTURALI Messa in sicurezza delle lacerazioni Durante la movimentazione del dipinto ed il successivo tensionamento per punti dei bordi, finalizzato a chiudere le lacerazioni in prossimità dei chiodi, i numerosi strappi e lacune della tela avrebbero potuto subire un allargamento. Le lacune di tela sono state messe in sicurezza posizionando un reticolo di filo 100% poliestere applicato sul retro del dipinto per punti con EVA Helmitherm 42036 (Etilen Vinil Acetato). L’applicazione di questo reticolo aveva come fine la creazione di ponti che consentissero di collegare le zone sane della tela intorno a quella lacerata, in modo da ricreare la tensione minima necessaria all’insieme del dipinto. Il reticolo è stato ottenuto attraverso un telaio con luce interna di 30 cm, con il passo di 1 cm, ed il filo poliestere scelto cromaticamente simile alla tela originale; ad ogni incrocio è stata posta una goccia di Plextol B500 addensato in Klucel G all’1% per bloccare i fili nella loro posizione (Foto 36, 37). L’adesivo EVA, applicato con il termocauterio in quantità abbondante, è stato sciolto all’incrocio dei fili e poi successivamente fatto freddare sulla tela con una pressione leggera aiutata
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FOTO 36-37. La messa in sicurezza delle mancanze con reticoli provvisori applicati dal retro con punti di EVA Helmitherm 42036
da un film distaccante di melinex siliconato. I punti di incollaggio dovevano essere removibili, perciò si è pensato di fondere l’adesivo sul reticolo e non direttamente sulla tela. Questo ha evitato di far penetrare materiale nella tessitura originale, salvaguardandola anche da un eccessivo surriscaldamento. La pressione successiva sul punto di Eva ancora caldo lo ha modellato sulla superficie e ha creato un giusto equilibrio tra buon ancoraggio e reversibilità. A questo punto ci si è posti il problema se il reticolo per la messa in sicurezza delle lacerazioni dovesse essere anziché provvisorio definitivo. In questo modo l’applicazione di un solo reticolo anziché due avrebbe ridotto le operazioni eseguite sul dipinto: applicare però un reticolo definitivo in questa fase dei lavori, prima cioè di aver ridato la tensione con la messa in verticale del dipinto e senza ancora aver ricostruito la continuità delle lacerazioni, non è sembrato conveniente. Una griglia definitiva inoltre non avrebbe consentito di lavorare al risarcimento dal retro in modo agevole e avrebbe potuto interferire con i punti di saldatura. Una griglia provvisoria poteva invece consentire di rimuovere volta per volta i fili che potevano interferire con il lavoro sugli inserti, lasciandone sempre qualcuno per sicurezza. Una griglia provvisoria avrebbe poi consentito di sostenere le zone più fragili del dipinto e dopo aver ristabilito la tensione ritenuta necessaria del dipinto, si sarebbero potuti applicare inserti appositamente studiati. Rimuovere la griglia provvisoria dopo aver ristabilito la continuità strutturale della tela, consentiva una ridistribuzione della tensione anche nella lacuna stessa. La messa in sicurezza delle lacerazioni e dei tagli è stata effettuata con striscioline a ponticelli di Stabiltex (tessuto in Poliestere 13 g per mq) e Beva film applicati con termocauterio per lo più dal fronte, o dal retro dove non vi era tela libera per l’ancoraggio delle fascette sul davanti (Foto 38). FOTO 38. La messa in sicurezza di una lacerazione con ponticelli di Stabiltex e Beva film
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Rinforzo della zona dei chiodi Un aspetto importante della messa in sicurezza del supporto tela in previsione del posizionamento in verticale ha riguardato il rinforzo dei punti di vincolo di chiodatura15 (dei quali nessuno è stato estratto) e delle zone in cui l’unione tra tela e telaio era precaria, o dove vi erano degli strappi nella tela che avrebbero potuto allargarsi se sottoposti a tensioni. I primi interventi di messa in sicurezza delle zone di chiodatura sono stati effettuati sul margine superiore con il dipinto in posizione orizzontale in modo tale che, una volta in verticale, questo lato fosse in grado di sostenere il peso della tela. Il lavoro sui vincoli degli altri lati è stato invece portato avanti con il dipinto in posizione verticale, dopo aver riavvicinato i lembi delle lacerazioni presenti. L’intervento ha riguardato solo i vincoli che realmente necessitavano di un rinforzo, o magari anche solo di un sostegno per svolgere la loro funzione. In corrispondenza delle lacerazioni delle zone di chiodatura si è deciso di applicare un rinforzo sul retro del dipinto che coprisse tutta l’area interessata e si andasse ad incastrare sotto la testa del chiodo, tra tela e telaio, in modo da rinforzare la tela in questi punti. Prima di procedere all’inserimento e applicazione di questi rinforzi è stato asportato lo sporco e la ruggine sotto la testa dei chiodi con una lama piatta e sottile, e pulito il bordo della tela sotto il telaio facendo passare delle sottili lastre metalliche coperte di panni in modo da consentire l’adesione del rinforzo al retro della tela. Data la grande aderenza che vi era tra chiodo e tela si aveva la necessità di trovare un materiale che fosse resistente, sottile ma soprattutto rigido, perchè doveva essere spinto sotto la testa del chiodo senza danneggiarsi. Con queste caratteristiche è stata trovata una tela in Dacron utilizzata per le vele, trattata da un lato con Beva 371, diluito con piccole aggiunte di solvente (White Spirit) fino a renderlo stendibile a pennello. Si è preferito il Beva 371 al Beva film in quanto garantiva una migliore adesione con minor apporto di pressione e calore in fase di riattivazione. Il rinforzo (Foto 39) è ottenuto da una striscia di Dacron in forma rettangolare piuttosto lunga e larga dai 3 ai 5 cm, a seconda dell’entità delle lacerazioni presenti. Per consentirne l’inserimento sotto al chiodo lo si è tagliato verticalmente per parte dell’altezza e in cima al taglio si è praticato un foro in cui si andava a posizionare lo stelo del chiodo. Per poterlo far passare dal retro del dipinto verso l’esterno, è stato sagomato lasciando molto lunghe le due estremità adiacenti al taglio; su queste sono stati applicati due fili che erano stati precedentemente fatti passare dall’esterno ai lati del chiodo tra tela e telaio. Tirando poco alla volta dall’esterno i fili si è riusciti a posizionare il rinforzo sotto al chiodo FOTO 39. Il rinforzo, in tela di Dacron, dei punti di (Foto 40). vincolo 15 Cfr. Cristiana Sburlino, Riposizionamento di un dipinto mediante trazionamento graduale. Appunti di un intervento conservativo, in “Progetto restauro”, 31, 2004, pp. 25-30.
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FOTO 40-41. Sequenza di inserimento (40) e fissaggio del rinforzo (41) in prossimità di un vincolo
Per consentire l’attivazione dell’adesivo con un termocauterio sono state modificate le punte con una prolunga costituita da una lamina di rame o di ottone abbastanza sottile da poter esser infilata tra tela e telaio ed evitare di apportare calore dal fronte. Una volta posizionato, si è applicato, sempre con Beva 371, un ponte sul rinforzo per FOTO 42. Mostra un vincolo a cui, oltre al rinforzo di congiungere il taglio perpendicolare (Foto 41). Dacron, è stata applicata una porzione di pelle di A migliore garanzia di tenuta, o dove non daino, per dare maggiore sostegno era necessario un rinforzo vero e proprio, è stata inserita tra la tela e la testa del chiodo una porzione di pelle di daino, forata al centro e trattata da un lato con Beva 371 (Foto 42).
8. MIGLIORAMENTO DEL TENSIONAMENTO DEL DIPINTO La tensione residua che il dipinto presentava, per quanto disomogenea, è stata oggetto di molte riflessioni. Partendo dalla considerazione che il dipinto presentava questo residuo di tensione e che era possibile un rientro delle deformazioni ci si è orientati per il mantenimento della tela sul telaio originale. Attraverso la pesatura di alcuni frammenti di dipinto (tela e pellicola pittorica), si è risaliti ad un dato che si è ritenuto importante nelle valutazioni sulla tensione: il peso approssimativo totale della tela e del colore, che è risultato essere di circa 7,5 kg. Per un dipinto di queste dimensioni (14,25 mq) il peso è minimo e si può pensare che la forza necessaria a mantenerlo planare sia ridotta e di conseguenza che anche la forza imposta sulla struttura lignea sia limitata. Il tensionamento non è stato eseguito come comunemente si intende attraverso la schiodatura della tela e la sua messa in tensione tramite azione manuale con tenditela; sono stati invece applicati dei tensori in modo da agire in maniera localizzata (Foto 43), in una logica di rispetto degli elementi costitutivi che ha compreso anche i chiodi originali, dei quali nessuno è stato estratto.
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Le operazioni di tensionamento sono state effettuate per lo più con il dipinto in posizione verticale, in modo tale da partire con una tensione iniziale favorita dal peso del dipinto stesso. Nella zona inferiore, dopo aver messo in sicurezza i pochi punti di vincolo ancora funzionanti, si sono schiodati la diagonale sinistra e i listelli di rinforzo applicati sulle lesioni dell’asta inferiore del telaio, e si è poi cominciato a riallinearla in modo graduale, attraverso uno spingitore applicato al telaio interinale FOTO 43. La chiusura di una lacerazione in prossimità di un chiodo con l’uso di un tensore su cui poggiava l’opera. L’operazione, iniziata quando il dipinto era ancora in orizzontale, è stata portata avanti con il posizionamento in verticale, che ha facilitato questa spinta verso il basso. Il tensionamento della tela ed il riposizionamento dell’asta del telaio, sono stati condotti separatamente. Alla tela è stata applicata una grande fascia di tensionamento di poliestere in corrispondenza della grande mancanza di tessuto qui presente (Foto 44); la fascia, che segue l’andamento del lembo di tela cui è attaccata, è stata applicata sul retro FOTO 44. La grande fascia di tensionamento applicata del dipinto con Beva 371 (diluito con piccole sul bordo inferiore aggiunte di solvente fino a renderlo stendibile a pennello), sovrapponendolo per circa 0,5-0,8 cm. Il margine inferiore della fascia è stato ripiegato su se stesso a creare un’asola per contenere un filo metallico in corrispondenza del quale sono stati fissati i fili di nylon collegati ai tiranti. Questo tondino metallico ha assolto alla funzione di distribuire il trazionamento dei tiranti su tutto il fronte della lacuna. I tiranti consistono in barre filettate cui è stato praticato un foro per l’inserimento del filo, posti su delle squadrette metalliche applicate sul telaio interinale. Attraverso la rotazione di un “galletto” si è ottenuto il tensionamento dei fili e quindi dell’intera fascia; in questo modo la forza di trazione è stata calibrabile e direzionabile a seconda delle necessità e ha consentito un tensionamento graduale. A questo tensionamento si adeguava l’azione di allineamento dell’asta del telaio attraverso l’avvitamento degli spingitori (Foto 45, 46). Nel lavoro di riposizionamento dell’asta, non si è cercato di ottenere la perfetta linearità, ma si è tenuto conto della leggera curvatura presente anche sugli altri tre lati. Si è deciso poi di operare cercando di richiudere, dove possibile, i lembi delle lacerazioni della tela in prossimità dei vincoli sui due lati verticali. Il riavvicinamento dei lembi lungo i margini della tela è stato effettuato con il dipinto in posizione verticale, dopo aver riposizionato verso il basso l’asta inferiore, in modo tale da operare in una situazione di buona planarità. Questa chiusura dei tagli è stata portata avanti in modo graduale contemporaneamente su entrambi i lati procedendo dall’alto verso il basso; data la fragilità della tela nella zona supe-
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FOTO 45. Il riposizionamento dell’asta inferiore del telaio
riore del lato destro, si è deciso di non effettuare il riavvicinamento dei lembi degli strappi in quest’area, ma di accettare il ritiro avvenuto, rinforzando la zona con l’applicazione di un reticolo. Il sistema di trazionamento messo in opera è essenzialmente quello utilizzato per la grande fascia applicata sul bordo inferiore, cioè costituito da una fettuccia in Poliestere applicata alla tela con Beva film, all’interno della quale un perno metallico permette l’ancoraggio di un filo collegato al tirante. Reticolo provvisorio sul bordo superiore destro
FOTO 46. Schema del sistema utilizzato per riposizionare l’asta inferiore
Lungo la zona superiore del lato destro, dove la tela si presentava fragile e deteriorata, con lacerazioni in prossimità dei chiodi e strappi anche in corrispondenza della battuta del telaio, dato il pessimo stato di conservazione della tela, si è intervenuto rinforzando la zona non solo in modo puntuale con i rinforzi sottotela e sottochiodo, ma anche con l’applicazione di un reticolo di rinforzo sul retro della tela (Foto 47). Il reticolo, con il passo di 0,5 cm, costituito da fili di poliestere impregnati di Beva 371 applicato a pennello, è stato inserito dal retro del dipinto, facendolo fuoriuscire fino a comprendere tutte le zone danneggiate ed indebolite all’altezza dei chiodi (Foto 48). La scelta dell’adesivo è caduta ancora sul Beva 371, per la sua facile riattivazione al calore, apportato con le punte modificate del termocauterio.
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FOTO 47. Il reticolo applicato sul retro di parte del bordo destro del dipinto
FOTO 48. Il reticolo inserito
9. RISARCIMENTO DI PICCOLE LACERAZIONI Sfruttando il peso della tela posizionata in verticale si sono operate le suture necessarie.16 L’adesivo utilizzato per il risarcimento strutturale tramite saldature di testa dei fili, è un polimero Etilen Vinil Acetato (EVA)17 l’Helmitherm 42036 prodotto dalla Forbo Helmitherm, attivato a caldo tramite l’utilizzo di cauteri da chirurgia (Aaron low temperature cautery cod.A002) che funzionano a batteria per cui non hanno fili che possono intralciare il lavoro eseguito sulle impalcature. Questi cauteri sono dotati di una punta a filo metallico che permette una certa versatilità di impiego e permettono una regolazione della temperatura. Per le lacerazioni più piccole, qualora non fossero perfettamente combacianti, si è inserito un filo di lino incollato con EVA rinforzando poi la sutura con ponticelli posti a cavallo della lesione.18 (Foto 49-51) Un altro sistema che è stato valutato per il rinforzo di piccoli inserti è stato quello di applicare del velo di Lione o dello Stabiltex (tessuto in poliestere a basa grammatura) apprettato con resina. Lo Stabiltex è abbastanza sottile da essere applicato all’interno dello spessore del colore e si sono già sperimentate con successo sia le applicazioni a caldo, usando come resina il Beva
16 Sul risarcimento delle lacerazioni ed il trattamento delle deformazioni ad esso connesse cfr. Winfred Heiber, Thread-by-thread tear mending method, in AA.VV., Alternative to linings, the structural treatment of paintings on canvas without lining, Preprints of the UKIC Conference, London, Mary Bustin and Tom Caley, 2003. 17 Cfr. Paolo Cremonesi, Leonardo Borgioli, Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome, Padova, il prato, 2005, pp. 97-100 e Luisa Landi, La forza degli adesivi nella saldatura degli strappi, in Paolo Cremonesi, Leonardo Borgioli, Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome, Padova, il prato, 2005, pp. 175-178. 18 Cfr. Knut Nicolaus, Il restauro dei dipinti, Köln, Könemann, 2001, pp. 105-112.
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FOTO 49. Una delle numerose lacune del supporto
FOTO 50. Particolare dell’applicazione dei ponticelli di rinforzo
FOTO 51. Particolare dell’applicazione dei ponticelli di rinforzo
FOTO 52. L’uso dei magneti nel lavoro di risarcimento strutturale
371 oppure trattandolo a colletta e riattivandolo per immersione in acqua calda prima del suo posizionamento. Nel lavoro di risarcimento, non avendo un piano d’appoggio, ci si è serviti di alcune piastre metalliche (delle comuni rasiere da imbianchino in acciaio armonico senza manico) sulla parte opposta della tela rispetto alla zona da trattare, mantenute in loco da magneti (Foto 52). Le piastre sono state preventivamente rivestite di carta siliconata per evitare il loro incollaggio sul retro durante il lavoro di sutuFOTO 53. Schema dell’utilizzo dei magneti ra (Foto 53). Questo sistema pratico ed economico è stato utilizzato anche per tenere fermi i lembi delle lacerazioni e i bordi degli inserti durante la saldatura oppure per effettuare un appianamento localizzato dei lembi di tela deformata. In qualche caso è stata utilizzata una piccola tavola aspirante per fermare i lembi delle lacerazioni oppure un sistema di tiranti del tipo usato per il rimarginamento delle lesioni sui bordi, per rimarginare i tagli non combacianti dove la resistenza della tela lo ha permesso.
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10. TAVOLE ASPIRANTI Al fine di eseguire le operazioni strutturali e di consolidamento sono stati realizzati alcuni prototipi di tavole aspiranti appositamente costruite per le operazioni da eseguirsi su questo dipinto (Foto 54). Una tavola 40x40 cm funzionante con una pompa a bassa pressione è stata realizzata montando una lastra forata con fori del diametro di tre millimetri su un grosso imbuto da enologia. Il piano forato è stato rivestito da un foglio di poliuretano espanso a celle aperte19 (materiale in grado di attutire le imperfezioni della tela, le cuciture e lo spessore dei fili di nylon del reticolo di sostegno che altrimenti si sarebbero marcati sulla superficie pittorica, ma anche sufficientemente rigido in modo da non creare avvallamenti). Si sono inoltre realizzate una serie di tavole FOTO 54. Schema di una piccola tavola aspirante aspiranti di piccole dimensioni che consistono in una struttura simile alle precedenti ma sono dotate di un becco dello spessore di 1,5 mm in grado di lavorare nello spazio tra tela e telaio. Queste tavole aspiranti hanno permesso l’omogeneità di trattamento e la possibilità di utilizzare l’aiuto dell’aspirazione per la chiusura dei lembi di uno strappo, oppure il consolidamento localizzato anche nelle parti inaccessibili alle normali tavole aspiranti a causa della presenza del telaio. Queste tavole sottili sono costituite da una lastra forata dello spessore di 8\10 di mm appoggiata su una sottile rete metallica che permette il circolo d’aria, e chiusa da una sottostante lamina in alluminio da 2\10 di mm. I vari elementi costitutivi sono assemblati attraverso del comune scotch carta e con del silicone in modo da poter smontare la tavola per effettuare operazioni di manutenzione o per rimuovere l’eventuale sporcizia che può essersi infiltrata.
11. SPERIMENTAZIONE SULLE CARATTERISTICHE DELLO STUCCO L’operazione di risanamento dei tagli e delle lacerazioni non si ferma alla sola scelta di un adesivo ritenuto idoneo per quel determinato dipinto, ma è possibile considerare l’ operazione di stuccatura come elemento che può contribuire alla migliore tenuta dell’adesivo utilizzato. La stuccatura, solitamente, viene considerata come semplice operazione preliminare all’intervento estetico, ma ne va vista anche una proprietà strutturale, in quanto permette di ripristinare il col-
19 Cfr: Davide Riggiardi, L’uso di un supporto rigido per trattamenti su tavola a bassa pressione e per protezione di opere d’arte, a cura del CESMAR7, in “Atti Secondo Congresso Internazionale del CESMAR7 Colore e Conservazione, Minimo intervento conservativo nel restauro dei dipinti”, a cura del CESMAR7, Padova, il prato, 2005.
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legamento tra aree di film pittorico separate da cadute di colore. In questo modo si protegge il perimetro del bordo degli strati pittorici che, compromesso dalle cadute dei frammenti adiacenti, è maggiormente esposto al processo di degrado. Una buona stuccatura, inserita all’interno di questo progetto di restauro, deve possedere, quindi, rilevanti caratteristiche di elasticità e resistenza alle sollecitazioni. Inoltre, tenendo conto che l’intervento di stuccatura interessa zone piuttosto estese, è necessario che il materiale applicato abbia un ritiro minimo nella fase di asciugatura, per non compromettere l’andamento planare della superficie pittorica adiacente. Le riflessioni di cui sopra hanno portato a studiare e sperimentare differenti tipologie di stuccature, per cercare di raggiungere il risultato più vicino agli scopi prefissati. Gli inerti testati a questo scopo sono l’arbocel, la polyfilla, ed il gesso. L’arbocel, caratterizzato da microfibre spezzate e da una basso peso specifico, ha un utilizzo che, insieme ad un altro inerte, poteva essere di aiuto per costituire uno stucco più resistente e meno soggetto alla fessurazione. In questo caso, tuttavia, se aggiunto in quantità elevata, portava ad ottenere uno stucco non rasabile e disomogeneo, se utilizzato in quantità minima, non sembra conferire particolare elasticità allo stucco ottenuto. La polyfilla, con leganti caratterizzati da una minima quantità di acqua, usata come inerte da sola ha dato origine a stuccature troppo plastiche di difficile rasatura; unita al gesso non si è amalgamata, con il risultato di non poter stendere facilmente lo stucco ottenuto. Il miglior inerte è risultato il gesso, che mescolato a qualsiasi tipo di adesivo è stato capace di imparentarsi bene, sia con materiali a base acquosa che con materiali a base organica. Nella scelta del legante per prima cosa si è cercato di limitare la quantità di acqua a contatto con il supporto e per questo si sono testati adesivi come il Plextol B500 addensato con circa il 40% White Spirit (rapporto in volume) e il Klucel G diluito con Alcool Etilico in varie percentuali. Si è potuto paragonare gli stucchi tra loro applicandoli su di una tela tesa entro un telaio e stendendo le varie miscele vicine in strisce di 10x1 cm (Foto 55). Con il Plextol B500 saturato con gesso si è ottenuto uno stucco molto elastico, ben rasabile e stendibile, ma considerando la materia pittorica sottile e la debolezza della tela libera nelle zone da trattare è sembrato più idoneo lo stucco ottenuto con il Klucel G saturato con gesso, che ha formato una pasta omogenea e stendibile anche a pennello; una volta asciutto è risultato poi avere buone caratteristiche di elasticità e, dato importante, osservando in radenza il retro della tela su cui è stato applicato ha prodotto deformazioni minime al supporto, se paragonate con quelle degli altri stucchi. Il miglior stucco ottenuto con il Klucel G è stato quello in cui l’adesivo è stato diluito in Alcool Etilico al 4% ed addensato con la quantità maggiore di gesso; percentuali minori sono risultate troppo povere di legante e la superficie una volta asciutta tendeva a spolverare.
FOTO 55. Modello con prove di stuccatura
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12. DISINFESTAZIONE IN ATMOSFERA CONTROLLATA Nonostante l’attacco da parte di insetti xilofagi sulla struttura lignea di questo dipinto fosse limitato, si è comunque deciso di procedere con un intervento di disinfestazione. Si è utilizzato a questo scopo una busta di plastica termosaldata (Foto 56, 57) all’interno della quale, ad opportuna distanza dal dipinto, sono stati posizionati gli assorbitori di ossigeno ATCO®20. É stato scelto questo sistema perché semplice, economico ed atossico, non prevede l’applicazione di materiali sull’opera. Inoltre la busta in plastica trasparente ha permesso la fruizione dell’opera per tutta la durata del trattamento, e ha offerto un minimo di protezione dell’opera durante i lavori che hanno interessato la chiesa subito dopo la fine dei lavori strutturali sul dipinto É stato scelto questo sistema perché semplice, economico ed atossico, non prevede l’applicazione di materiali sull’opera. Inoltre la busta in plastica trasparente ha permesso la fruizione dell’opera per tutta la durata del trattamento, e ha offerto un minimo di protezione dell’opera durante i lavori che hanno interessato la chiesa subito dopo la fine dei lavori strutturali sul dipinto21.
FOTO 56. Immagini durante l’applicazione e la chiusura della busta per il trattamento di disinfestazione in atmosfera controllata
20 Cfr. Dispensa del corso Materiali e metodi per l’analisi, la disinfezione e la pulitura dei dipinti, a cura di Stefano Volpin, Paolo Cremonesi, Roberta Gasperini, CESMAR7, 2004. 21 Roberta Gasperini, Maria Fratelli, Davide Riggiardi, Atmosfere modificate con assorbitori di ossigeno ATCO®, caso applicativo di utilizzo per la disinfestazione e la protezione dei dipinti conservati nella Galleria d’Arte Moderna di Milano, a cura del CESMAR7, in “Atti Secondo Congresso Internazionale del CESMAR7 Colore e Conservazione”, Minimo intervento conservativo nel restauro dei dipinti, a cura del CESMAR7, Padova, il prato, 2005.
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SECONDA PARTE
Per la disinfestazione da insetti xilofagi il dipinto fu posto in atmosfera controllata entro sacco chiuso ermeticamente, e ci rimase in coincidenza con un periodo di sospensione del restauro, a causa della rintonacatura delle pareti interne della chiesa. La lunga pausa permise una riflessione sulle operazioni fino allora eseguite e sul completamento del progetto esecutivo dell’intervento. Si valutò che la tela aveva mantenuto la sua tensione e che la superficie pittorica non aveva subito sostanziali alterazioni rispetto all’inizio dell’intervento: numerose disomogeneità tra zona e zona, un aspetto generalmente arido. La tenuta dei bordi rinforzati in corrispondenza dei chiodi risultava soddisfacente.
13. IL CONSOLIDAMENTO Alla riapertura del sacco si sono trovate alcune scaglie di colore staccate. Ciò era stato dovuto forse ad alcune movimentazioni per i lavori nella chiesa o all’eccessiva durata della chiusura in un ambiente troppo freddo. Siccome il problema riguardava varie zone dell’opera si è imposta la necessità di riprendere l’operazione di consolidamento. Dopo alcune prove è stato scelto di eseguire un’applicazione dal retro di una soluzione di Plexisol P550 al 5-7% in Ligroina. Durante l’applicazione la resina è stata tenuta costantemente alla sua temperatura di rammollimento per favorirne la penetrazione, ed è stata stesa a scacchiera a partire dall’alto per non caricare troppo di peso il dipinto. Si è curata l’applicazione nelle zone perimetrali già rinforzate con Beva 371, che tuttavia sono state ricontrollate dopo la completa evaporazione del solvente.
14. INSERTI E STUCCATURE La difficoltà a recuperare quantità sufficienti di tela con caratteristiche molto simili all’originale ha imposto la ricerca di una diversa soluzione. Inoltre la sensibilità all’acqua già evidenziata ha orientato la scelta di uno stucco “sintetico”. Sulla prima questione, agli intarsi si chiedevano alcune caratteristiche: - la leggerezza: - la possibilità di non subire modificazioni dimensionali - la non sensibilità all’umidità - buona resistenza al rilassamento e alle variazioni di tensione - assecondare i movimenti della tela originale.
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Di qui l’ipotesi di realizzare degli inserti già ricoperti da uno stucco per chiudere le mancanze di supporto, utilizzando una tela poliestere (Trevira CS) e uno stucco a base di Klucel G e Plextol B500, come leganti, con l’aggiunta di alcuni inerti.22 La tela è stata stesa e fissata sopra un piano rivestito con melinex siliconato e con una spatola liscia, non dentata, è stato applicato in maniera uniforme uno strato di stucco.23
FOTO 58. Grande mancanza di tela
FOTO 59. Intarsio applicato
Una volta asciutto è stato possibile trattare la superficie e ritagliare le forme degli intarsi. Così è stato possibile ottenere degli intarsi praticamente senza ritiro, poco igroscopici e molto più leggeri di quelli tradizionali. (Foto 58, 59) L’operazione è stata poi ulteriormente modificata, perché si è visto che era preferibile applicare sopra lo stucco una seconda mano di un altro stucco pigmentato più coerente con le caratteristiche degli strati pittorici. Questo stucco, definibile come estetico, è stato applicato sul precedente dopo aver leggermente inumidito la superficie.24 In questo modo sono stati preparati tutti gli inserti, a parte il grande risarcimento della mancanza in basso. Poiché qui era già stata applicata una tela (Tergal) per fissare al telaio questa porzione di lato, la stessa è stata utilizzata anche come inserto e trattata in superficie con lo stucco sintetico pigmentato fino al livello desiderato. Non tutte le lacune del dipinto sono state stuccate, secondo scelte concordate con la competente Soprintendenza. Sostegno degli inserti con ponti di tela ed EVA Applicati i singoli inserti nelle rispettive mancanze con saldature di testa dei fili con la resina EVA Helmitherm 42036, in molti casi è stato preferibile, per dare maggior sicurezza all’operazione, applicare degli opportuni sostegni.
22 lo stucco è stato preparato nel seguente modo: 11,5% legante (Plextol B500 addensato con 1-2% di Klucel G: la differenza è legata alle caratteristiche del Plextol disponibile); 46% inerti (gesso + Arbocell 1:1 in volume, pari a 3,75:1 in peso; l’Arbocell può essere scelto tra il tipo BC200 o BW40; 42,5% di acqua distillata. L’addensamento del Plextol è meglio sia eseguito con un po’ di anticipo. Al legante si aggiunge l’acqua e poi, poco alla volta, gli inerti ben mescolati tra loro, con una buona agitazione: utile si è rivelato ilsolito frullino per cappuccino. 23 All’inizio sembra che lo stucco non leghi con la tela, ma avendo l’accortezza di tenere piegata opportunamente la spatola esso rimane aderente, in modo solido ad asciugatura completa. 24 Lo stucco estetico è preparato nel seguente modo: alcool etilico addensato in Klucel G al 6%, preparato con un po’ di anticipo, e gesso con pigmento (qui ocra rossa), fino alla consistenza desiderata.
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È stato scelto di applicare lungo il perimetro dei ponti di tela sottile (velo di Lione o Tetex) preparata con una stesura di EVA Helmitherm 42036.25 In questo modo si è sostituito un più abituale metodo eseguito con il Beva 371.
15. Il telaio ligneo ed il reticolo di sostegno
FOTO 60.Spaccatura del telaio
FOTO 61.Traversa inferiore rinforzata
FOTO 62. Diagonale rompitratta inscatolata
Ricreata la continuità del supporto tela e distribuita in maniera più uniforme la tensione grazie al rinforzo dei punti di chiodatura, il successivo passaggio ha riguardato il telaio. Come già detto, il telaio originale fu malamente riordinato in epoca antica, in particolare l’asta inferiore risultava fuori assetto in maniera marcata. Quindi nell’arco di alcuni mesi, per mezzo di “spingitori” lentamente è stata abbassata e riportata pressoché alla posizione originale. Una volta riposizionata è stata rinforzata e bloccata con tre listelli di legno di larice collocati nello spessore, (Foto 60) operazione ovviamente eseguita sul lato posteriore. A rinforzo è stato poi applicato un listello di compensato di faggio con viti autofilettanti da legno. (Foto 61) La stessa operazione è stata eseguita sull’asta superiore. Anche la traversa centrale era stata spezzata, mentre la diagonale inferiore destra risultava più corta dell’originale. Per riposizionare questi due elementi nell’asseto originale è stato deciso di seguire un altro percorso: i legni sono stati inseriti in profilati d’alluminio ad U, (Foto 62), fissati con viti autofilettanti. Così è stata recuperata una buona tensione anche della parte centrale del dipinto. A questo punto era possibile sganciare il dipinto dalla struttura lignea interinale con il suo reticolo di sostegno. Durante tutte le fasi dell’intervento il reticolo si era dimostrato utile per limitare i movimenti della tela e quindi è stato ipotizzato di conservarlo anche quale struttura di sostegno a lavori ultimati. Allo
25 L’EVA, in varie percentuali, viene sciolta in Ligroina 100-140°: la si lascia nel solvente almeno un giorno e poi viene scaldata a bagnomaria fino a completa solubilizzazione (operazione da eseguirsi con le dovute cautele!). Poi viene stesa a pennello in maniera omogenea sulla tela tensionata come prima. Se si desidera ottenere un film ancora più omogeneo, una volta evaporato tutto il solvente, si può riattivare l’adesivo con il calore, in sottovuoto.
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scopo sono state predisposte delle aste in alluminio leggero per costruire un controtelaio inserito nella luce e nello spessore del telaio in legno restaurato. (Foto 63) Fissate le quattro aste perimetrali, sono stati ricollocati i fili a formare il reticolo di sostegno della tela, a loro volta fissati sul nuovo telaio interno. Per impedire flessioni nelle aste perimetrali sono state poste in modo simmetrico, rispetto alla traversa centrale del telaio in legno, altre due traverse e quattro angolari. I due telai sono fissati tra loro con delle viti. Il reticolo mantiene anche lo scopo di contrastare il rilassamento della tela, grazie al leggero attrito che esso crea, un po’ come fanno le tele libere appoggiate. Dopo queste operazioni è stato realmente possibile asportare il telaio interinale esterno.
FOTO 63. Particolare del controtelaio in alluminio
16. VERNICIATURA E INTEGRAZIONE PITTORICA Verificato che lo stato del consolidamento degli strati pittorici si manteneva soddisfacente, rimanevano le fasi conclusive del restauro. Complessa è stata la scelta delle vernici per non alterare il tono delle cromie dopo i diversi interventi eseguiti. È stata scelta una vernice mat della Winsor & Newton nebulizzata. L’integrazione pittorica, finalizzata all’unione della trama narrativa della rappresentazione, è stata eseguita con colori a tempera, raccordati in tono con velature a vernice (colori a vernice Maimeri) dopo una seconda nebulizzazione della stessa vernice mat. Con un’ultima nebulizzazione della stessa vernice si è concluso l’intervento di restauro. (Foto 64)
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FOTO 64. Dipinto dopo il restauro
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17. CONSIDERAZIONI SU ALCUNI ASPETTI DEL RESTAURO DI DRO A LAVORO ULTIMATO Dovrebbe essere abbastanza normale che alla fine di un restauro sorgano ripensamenti, dubbi e quant’altro, ma anche che si ritrovino soddisfazioni e conferme alle verifiche della tenuta dell’impianto progettuale nel suo complesso, con mantenute le finalità iniziali e le ipotesi di soluzioni generali e specifiche studiate ed applicate durante il lavoro. Tra questi confini, del ripensamento e della soddisfazione, si possono trovare degli elementi di riferimento che hanno svolto una funzione determinante per lo svolgimento del restauro, ma anche delle zone d’ombra dove le variabili incontrate, per di più su un’intervento così complesso, sono risultate di difficile comprensione. In tutto ciò in qualche momento si è rischiato anche di perdere la coerenza delle sequenze operative e dei materali impiegati. Cercando tra elementi di riferimento e le zone d’ombra, dentro il lavoro sulla Crocifissione di Dro, due sono le questioni che rendono ancora attuale e non conclusa completamente l’esperienza di questo restauro. Motivi di riflessione sono: l’Open Studio allestito dal Cesmar7 appositamente per questo restauro e l’intervento assai complesso di consolidamento e riadesione del colore. 1. L’Open Studio, è stato un luogo virtuale e concreto, comunque ricco di dinamiche diverse e molteplici, in cui si è concentrata una vera ricchezza di patrimoni professionali individuali che si sono misurati su un piano di confronto dialettico, corretto ed onesto, partendo dai rispettivi diversi percorsi formativi e di lavoro. Il Cesmar7 ha contribuito al successo di questa esperienza con il coinvolgimento della Commissione Minimo Intervento, costituita da restauratori dalle riconosciute capacità e con un bagaglio pluriventennale di restauro strutturale, aventi un ulteriore pregio di essere infaticabili ed inesauribili sperimentatori, curiosi ed in grado ancora dopo tanti anni di attività di mettersi in discussione. Alla stessa maniera e con le stesse qualità ne hanno fatto parte anche operatori scientifici e conservatori. Le informazioni raccolte attraverso una serie di indagini sul dipinto e di monitoraggio ambientale della Chiesa, furono stampate su un CD e mandate a tutti i membri della Commissione Minimo Intervento del Cesmar7, affinchè le studiassero e preparassero i loro suggerimenti e proposte. Attraverso un Forum, per alcuni mesi si tenne uno scambio di opinioni tra il gruppo, per poi arrivare ad un incontro seminariale aperto, tenutosi a Dro con il dipinto in visione ancora senza che gli sia stato praticato alcun tipo di intervento. Lo scambio di vedute ed il confronto di proposte fu approfondito e riguardò molti aspetti del restauro: approccio al minimo intervento, foderatura o non foderatura, problemi e conseguenze del consolidamento, la movimentazione e la messa in sicurezza del dipinto durante i lavori, ricerca di soluzioni per non alterare troppo gli equilibri raggiunti con l’ambiente. Tutto in considerazione del dato rilevantissimo che l’opera non era mai stata restaurata. Nella nostra valutazione è stato forse questo il momento più significativo del percorso, in netta contrapposizione alla normale condotta, prevalentemente individuale con cui si eseguono i restauri. Se dal lavoro eseguito sul quadro di Drò si possono prelevare spunti e soluzioni esportabili, quello che non può essere riproposto automaticamente è proprio l’Open Studio, la sua attività di gruppo e di competenze che ha caratterizzato e condizionato particolarmente l’esperienza di Dro. Il metodo del confronto sulle finalità del minimo intervento, non dà garanzie in sè sul successivo miglior restauro possibile, ma si è rivelato nevralgico nell’impostare e nel procedere dei lavori e anche nel portarli a conclusione. (Foto 65)
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FOTO 65. Incontro a Dro dell'Open Studio
2. Consolidamento e riadesione del colore. Alla fine l’intervento certamente si è discostato dalle nostre aspirazioni e previsioni. Volevamo evitare la foderatura, mantenere la tensione acquisita della tela limitandoci ad interventi mirati e localizzati, quindi riducendo l’invasività a vantaggio comunque dell’obiettivo di un miglioramento conservativo, attraverso anche il mantenimento di tutti gli elementi costitutivi originari, e su questa parte del lavoro il risultato ottenuto ci sembra egregio, e pure soddisfacente anche il cambiamento da condizione di precarietà a quello di sufficiente stabilità strutturale di questo grande dipinto. Per ottenere questo abbiamo adottato qualche soluzione, innovativa in senso assoluto, ma anche altre soluzioni, “innovative” soltanto perchè siamo in Italia, mentre in altri paesi dell’Europa l’attenzione alla specificità del degrado e la critica alla serialità degli interventi è un atteggiamento consolidato oramai da diversi decenni (dalla conferenza di Greenwich del 1974, quantomeno). Diverso e complesso è stato il lavoro di consolidamento della pellicola pittorica. Quello che abbiamo cercato, immaginando una metodologìa e una scelta dei materiali rispettosi delle prerogative di minimo intervento, è stato di tentare di evitare la completa impregnazione degli strati, come abitualmente avviene in questa fase. Abbiamo provato e puntato molto sulla possibilità di collocare l’adesivo soltanto nella zona tra la preparazione e la tela, questo con l’addensamento di una resina diluibile in alcool per evitare l’apporto di umidità e l’aiuto di tavolette aspiranti, in maniera di poter svolgere l’operazione dal davanti, sfruttando il cretto presente sulle parti a rischio distacco o già in parte sollevate. Apparentemente valide inizialmente, queste applicazioni in brevissimo tempo, subivano la prova ambientale. Una volta asciugatasi la composizione adesiva, il risultato che nella migliore delle situazioni riuscivamo ad ottenere era un effetto di preconsolidamento, utile per procedere con la pulitura, ma decisamente insufficiente come giunto adesivo tra le parti distaccate.
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È stato in questa fase che siamo rimasti veramente sorpresi ed impreparati per il comportamento “ingannevole” che il dipinto stava dimostrando verso un’attività necessaria. Il metodo e i materiali impiegati, anche variando le percentuali non funzionava. Non ha funzionato forse principalmente per la forte dipendenza del dipinto con l’ambiente. Le condizioni di UR all’interno della Chiesa, nell’arco dei mesi di durata del restauro, hanno subito variazioni spesso elevate: nel giro di qualche settimana si potevano misurare intervalli di UR dal 45 al 75%, con cicli più o meno lunghi. Non si può certo dire che l’ambiente della Chiesa di S. Antonio di Dro sia stabile. La tela, anche per le sue dimensioni dimostrava tangibilmente questo rapporto, con manifestazioni evidenti di interazione. Si alternavano stadi di tensione da minima ad elevatissima, fino a farci anche preoccupare per le capacità di resistenza del supporto e delle cuciture dei teli. Non siamo stati in grado di indagare a fondo questo fenomeno, ed ancora adesso siamo alle prese con le ipotesi del nostro insuccesso. Esse possono essere diverse e provenire da fattori o sistemi semplici ma anche complessi. Semplice è darsi la risposta che i movimenti della tela provocano il distacco del colore, ma sinceramente, almeno per questo caso di manifesta ribellione, sarebbe una mascheratura superficiale di uno stato d’ignoranza, riguardante la complessità e la conoscenza dei fenomeni comportamentali delle opere su tela. È vero che esiste una bibliografia sull’argomento, da Berger a Roche,26 tanto per citare gli autori delle opere più recenti, ma sono studi principalmente di modelli teorici, alla ricerca del Dna si fa per dire, mentre il sistema dipinto potrebbe essere una composizione caotica, se il mondo scientifico ci consente questa affermazione. Per ritornare al dipinto, questo fenomeno di igrosensibilità che finalmente anche noi, alla fine abbiamo metabolizzato come una condizione naturale di esistenza per l’opera, ci ha costretti a retrocedere. Con il “collaudo ambientale” è stato necessario ripensare in termini più tradizionali l’intervento di consolidamento-fissaggio del colore. Alla fine un trattamento dal retro di Plexisol P550 dato a pennello ha comportato questi effetti: riadesione del colore, saturazione degli strati decoesi e minor igroscopicità della tela. Tutto bene quindi? Oppure questa impregnazione di resina avvierà una nuova fase di degrado sul dipinto? Cioè il degrado dei materiali di restauro, che sembra essere molto più celere di quelli originali. Ma, e poi l’inevitabile, poteva essere evitato? nel salutare esercizio del dubbio sostenuto da Erasmus Weddigen.27 L’impregnazione ha comportato una serie di aggiustamenti in corso d’opera, alcuni lavori di risarcimento hanno subìto l’aggressione del solvente utilizzato, compromettendone la stabilità. È stato difficile a questo punto sovrapporre la fase impregnazione alla fase risanamento. Nonostante che la scelta dei materiali sia stata ragionata su criteri di incompatibilità reciproca, in fase operativa comunque sono emersi una serie di inconvenienti. Certamente alcuni risultati sono stati raggiunti: la strada si è dimostrata praticabile nelle particolari condizioni di questo restauro. Condizioni ambientali, nella Chiesa in cui esso si trova, che sono molto lontane dai parametri prescritti per una buona conservazione, il comportamento di adattamento subirà dei continui cicli variabili, e potrebbero questi incidere sensibilmente nella tenuta del restauro. Complessivamente però gli interventi eseguiti permettono una ripetibilità nel tempo, qualora fosse necessario, o eventualmente di eseguire quanto non è stato fatto nel corso di questo intervento, nell’eventualità si manifestassero nuovi problemi di tenuta generale del dipinto. 26 Cfr. G. A. Berger with W. H. Russel, Conservation of paintings, Research and Innovation, Archetype Pubblications, London, 2000 e A. Roche, Comportament mècanique des pintures sur toile-Degradation et prevention, Paris, CNRS Edition, 2003. 27 Cfr. Erasmus Weddigen, La storia infinita e salutare del dubbio, in “Atti primo Congresso Internazionale del CESMAR7. Colore e Conservazione, Materiali tradizionali ed innovativi nella pulitura delle opere policrome mobili”, a cura di P. Cremonesi, Padova, il prato, 2003, pp. 23-31.
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Open Studio per Dro, del Cesmar7: Lilia Gianotti, Roberta Gasperini, Maria Fratelli, Alberto Finozzi, Paolo Cremonesi, Matteo Rossi Doria, Ezio Buzzegoli, Erminio Signorini, Davide Riggiardi, Stefano Volpin., con la partecipazione di Vishwa Raj Mehra.
Restauratori a vario titolo intervenuti nel corso del lavoro: Barbara Tomasoni, Paola Orsolon, Elena Burti, Chiara Paoli, Cristiana Sburlino, Roberto Bestetti, Luisa Landi, Paolo Roma, Piero Lechner. Ringraziamenti e crediti Si ringrazia per il contributo erogato per il restauro: la Soprintendenza per i Beni Storico-Artistici di Trento, la Dott.ssa Laura Dal Prà ed il Dott. Elvio Mich ed il restauratore Roberto Perini per la sensibilità dimostrata verso questo progetto. Ed il Comitato S.Antonio, in modo particolare Remigio Flessati e Sebastiano Matteotti, e la comunità di Dro per la pazienza e l’attenzione che hanno dimostrato nel permettere di portare avanti un lavoro non privo di difficoltà in tempi che si sono vistosamente allungati creando molti disagi. La foto n. 64 è di F. Pellegrini.
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Š il prato casa editrice via lombardia 41/43 35020 Saonara (PD) tel. 049 640105 fax 049 8797938 ilprato@libero.it www.ilprato.com finito di stampare nel mese di marzo 2006 presso le Arti Grafiche Padovane