E. Beltrami, M. Berzioli, M. Cagna, A. Casoli, V.E. Selva Bonino
La pulitura dei dipinti murali: uno studio di applicabilitĂ di sistemi tradizionali e sistemi addensati con gel acquosi di poliacrilato
L’associazione CESMAR7, Centro per lo Studio dei Materiali per il Restauro, è nata nel Dicembre 2000, per volontà di sette soci fondatori, con l’intento di colmare, con azioni specifiche, alcune lacune esistenti nel settore: • la scarsità di prodotti specifici realizzati con le caratteristiche che l’impiego nel restauro richiederebbe, ed il conseguente utilizzo di materiali creati per tutt’altre applicazioni; • il poco scambio di informazioni e la scarsa circolazione delle informazioni scientifiche; • nell’ambito operativo, una condizione di prevalente isolamento del restauratore nel suo laboratorio. Tra le attività del Centro, quella didattica e divulgativa occupa un posto fondamentale, e si concretizza attraverso corsi di aggiornamento professionale per restauratori, organizzazione e partecipazione a convegni e gruppi di studio, e produzione editoriale scientifica. In questa linea si inserisce la collana editoriale “I Quaderni del CESMAR7”, resa possibile dalla collaborazione con la casa editrice il prato, partner del CESMAR7. Per informazioni: www.cesmar7.org cesmar7@cesmar7.org
PREMESSA
Il gruppo di lavoro dipinti murali del Cesmar7 è composto da due figure professionali: il restauratore, con esperienza sul campo, senso pratico e capacità di lettura del manufatto, e la figura scientifica che fa ricerca con rigore. Mettendo insieme le due competenze, si è cercato di fornire dati e informazioni utili agli operatori del settore dipinti murali in merito ad alcuni metodi di pulitura utilizzati e utilizzabili nella pratica. Inoltre il restauratore può cogliere l’approccio che sta alla base di alcuni concetti propri della ricerca scientifica e che determinano la spendibilità dei risultati che ne derivano. Lo scopo del lavoro qui presentato è duplice: verificare come, a parità di condizioni, diversi sistemi di pulitura interagiscano con il supporto carbonatico, e valutare l’azione di soluzioni chelanti, gelificate con derivati dell’acido poliacrilico (Carbopol® Ultrez 21), durante applicazioni finalizzate alla pulitura di superficie. L’obiettivo non è, quindi, dimostrare quale sia un metodo migliore rispetto ad un altro, ma piuttosto fornire dati sulla base dei quali il restauratore sul campo opterà per la soluzione migliore per il caso specifico. In particolare, il secondo punto, ossia lo studio dell’interazione di soluzioni chelanti gelificate con Carbopol® con il supporto carbonatico, crediamo sia interessante e propedeutico per futuri lavori di ricerca e applicazione nell’ambito della pulitura di superficie dei manufatti murali. In merito alle operazioni di pulitura in cantiere, si assiste di frequente all’utilizzo di sistemi che, seppur rivolti alla pulitura di superficie, vanno in realtà ad interessare tutta la stratificazione dell’opera dalle cromie, intonachini, arricci, fino alle murature, moltiplicando così i rischi operativi e i possibili effetti collaterali dell’intervento. Similmente, l’uso generalizzato di alcuni prodotti può portare ad un’azione non specifica e selettiva, come ad esempio l’impiego di soluzioni acquose di sali d’ammonio. Si spiegano così le motivazioni per cui nel presente studio si sia indagata l’interazione tra il gel contenente la soluzione chelante e il supporto carbonatico: la sola pratica di cantiere, nonostante possa sembrare esaustiva, non è sufficiente ed è quindi necessario fare delle verifiche analitiche. In questo saggio, come in altri scritti dello stesso gruppo di lavoro, si potrà cogliere come l’analisi scientifica sia stata utilizzata come strumento di verifica di diversi metodi di pulitura ottenuta per confronto tra i materiali, prima e dopo trattamento. Si insiste sul concetto di analisi “finalizzate a verificare e ricercare”. Altre nozioni che la figura scientifica ha insegnato a noi restauratori, sono: il protocollo di intervento, ossia la standardizzazione delle prove di verifica che devono essere ripetibili e confrontabili; il riferimento a delle normative comuni, come ad esempio le raccomandazioni UNI Normal; le repliche sperimentali, ossia il dato analitico non può essere acquisito solo dall’analisi di un solo campione ma, appunto, deve essere più volte replicato e infine il controllo, comunemente chiamato “bianco”, ossia un
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
campione di riferimento non trattato per poter dare significato al dato analitico ottenuto. Concetti e nozioni che il restauratore deve conoscere per poter dialogare con i ricercatori, altrimenti lo scollamento tra i due ambiti lavorativi sarà, anche per questo motivo, incolmabile. La ricerca scientifica, così come l’abbiamo utilizzata noi, fornisce la consapevolezza dell’intervento che il restauratore, con i suoi strumenti di osservazione (vista, tatto), non può avere. Nel caso specifico, come esposto in seguito, le verifiche analitiche su matrici contenenti gesso trattate con soluzione chelante di citrato di sodio, hanno mostrato non solo il processo di dissoluzione, ma anche la formazione di un nuovo composto. Questo dato è estremamente interessante ed inaspettato e dà inizio ad una serie di approfondimenti e di prospettive. Concludendo, il nostro obiettivo è stato quello di fornire elementi conoscitivi su una serie di materiali e metodi. L’applicazione del protocollo proposto in questo studio potrà portare alla verifica di altri metodi di pulitura utilizzati e utilizzabili. L’augurio è quello di fornire all’operatore maggiori strumenti di conoscenza, in particolare per poter finalizzare la pulitura alla sola superficie e possibilmente con “solventi” idonei alla specifica casistica. Costruire, per il settore dipinti murali, un metodo ragionato per affrontare la pulitura, come lo è stato per le policromie di manufatti mobili (test di solubilità, ecc), è il nostro auspicio per il futuro.
Marco Cagna Coordinatore del gruppo dipinti murali
4
INTRODUZIONE
Nei trattamenti di pulitura delle pitture murali è consuetudine utilizzare inerti, quali la polpa di cellulosa o argille come la sepiolite e l’attapulgite, oppure veri gelificanti, come la tradizionale sodio carbossimetilcellulosa, per supportare le soluzioni acquose, al fine di prolungarne il tempo di contatto con la superficie, localizzarne l’azione e diminuire la diffusione del mezzo acquoso dentro l’intonaco e la muratura. Più recentemente si è diffuso anche l’uso di un altro materiale, un derivato acrilico, il Carbogel, che potremmo quasi considerare come una via di mezzo tra un supportante ed un gelificante. Ovviamente, ognuno di questi materiali permette di conseguire certi vantaggi, ma è anche affetto da limitazioni. I supportanti sicuramente permettono di realizzare un impacco, ma la loro effettiva capacità di limitare la diffusione dell’acqua è discutibile. Innegabilmente hanno il vantaggio, rispetto ai veri gelificanti, di non avere quasi potere adesivo e quindi permettono una più agevole rimozione al termine dell’applicazione. I gelificanti come gli eteri di cellulosa, a cui appartiene il sale sodico della carbossimetilcellulosa, sono sicuramente molto efficaci nell’incrementare la viscosità delle soluzioni acquose a cui sono aggiunti, diminuendone così di molto la velocità di diffusione nel supporto poroso. Questi polimeri sono però, di fatto, degli adesivi, e la loro rimozione da un supporto poroso può essere problematica, e richiedere un notevole apporto di acqua di risciacquo per la rimozione dei residui. Il Carbogel certamente ha limitato potere adesivo, ma la consistenza dei gel che forma è tale da rendere problematica l’applicazione su una superficie verticale, su una volta o un soffitto. Così in questi ultimi anni assistiamo sempre più frequentemente all’utilizzo di altri materiali gelificanti, principalmente il Carbopol® e l’Agar, le cui applicazioni nel restauro sono però supportate da studi analitici che però, fino ad ora, hanno riguardato principalmente solo le opere policrome mobili. La compattezza di uno strato pittorico a legante organico, magari ulteriormente “protetto” da uno strato di vernice, è ben altra cosa rispetto alla porosità di un intonaco o di un materiale lapideo; così diviene davvero difficile legittimare questo “trasferimento di tecnologia” ad un supporto così profondamente diverso, come composizione, struttura e morfologia, senza adeguata verifica analitica delle interazioni col substrato. Certo, l’efficacia può essere diagnosticata semplicemente ad occhio – l’occhio esperto del restauratore – ma questa da sola non rende l’utilizzo legittimo. Così il Carbopol® è divenuto oggetto di questo studio, studio applicativo inteso come contributo alla verifica e alla “certificazione” di materiali idonei per i trattamenti di restauro. A questo gelificante si sono abbinati due composti di particolare importanza nel restauro, appartenenti alla classe dei chelanti: i sali dell’EDTA e dell’acido citrico. Anche questi composti, teoricamente di fondamentale importanza per trattamenti di rimozione di incrostazioni e concrezioni dal supporto murale e lapideo, stanno però diventando di utilizzo troppo disinvolto, senza il fondamento di adeguati studi sulle interazioni con il substrato. Proprio per la loro azione a carico di ioni metallici, il loro uso desta particolare preoccupazione su un supporto così marcatamente inorganico come l’intonaco, dove lo ione calcio è la specie predominante. Questo ione è presente tanto nel legante dell’intonaco, in forma di car-
5
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
bonato, quanto nei suoi prodotti di degrado, come solfato o ossalato: è lecito ipotizzare, senza una verifica sperimentale, che i chelanti siano capaci di distinguere tra il calcio “buono”, da conservare il più inalterato possibile, e quello da rimuovere all’interno dei prodotti di degrado? Anche se certi parametri numerici, precisamente le costanti di formazione dei chelanti con uno ione metallico ed i prodotti di solubilità dei composti, sembrano rassicurarci su questa selettività, è necessario ricordare che questi parametri sono grandezze nell’ambito della termodinamica, quando cioè i processi chimici decorrono all’equilibrio; nelle applicazioni pratiche, probabilmente, non arriviamo mai alle condizioni di equilibrio, e siamo invece in condizioni cinetiche. Da questo dubbio, e dal desiderio di maggiore chiarezza, è partita la sperimentazione di questo studio.
6
CAPITOLO I GENERALITÀ SUL Carbopol® E SUGLI AGENTI CHELANTI Il gel di Carbopol®
Carbopol® è il nome commerciale di una serie di materiali a base di acido poliacrilico, utilizzati da parecchi decenni come gelificanti nell’industria cosmetica. Dall’acido acrilico, CH2=CH-COOH, per polimerizzazione si ottengono svariati derivati, gli acrilici appunto, tra cui l’acido poliacrilico che si rappresenta con la classica simbologia dei polimeri –[-CH2-CH-(COOH)-]n-: una lunga catena di atomi di carbonio, con gruppi carbossilici, acidi, (-COOH) su atomi di carbonio alternati. In fase di polimerizzazione si aggiunge anche un reticolante, ad esempio il divinilglicole mostrato nella Fig. 1. Ognuna di queste molecole, una volta inglobata nelle catene del polimero acido poliacrilico che si forma, grazie alla presenza dei due gruppi ossidrilici -OH, può reticolare due gruppi carbossilici, esterificandoli (HO-C-C-OH + 2 R–COOH R-COO-C-C-OOC-R), collegandosi ad altre due catene, oppure ad altre due zone remote della sua stessa catena. Un microscopico granello di Carbopol® è costituito da migliaia di queste catene legate tra loro, ed ogni catena ha una forma sostanzialmente globulare. Nel corso degli anni si sono sviluppati materiali diversi, a diverso peso molecolare e diverso grado di reticolazione; il prodotto oggi più facilmente reperibile nel settore della conservazione dei beni culturali è il Carbopol Ultrez 21® che ha una struttura un po’ più complessa: è definito infatti “polimero reticolato di poliacrilato, modificato idrofobicamente: acrilato/C10-30 alchil acrilato” [1]. Osservando la Fig. 2 (dove, per semplicità, sono omesse le reticolazioni) si nota che la catena lineare di acido poliacrilico presenta dei gruppi carbossilici in forma esterificata, con catene di 10-30 atomi di carbonio, frammenti fortemente apolari che modificano il carattere globale della macromolecola, aggiungendovi anche un forte carattere idrofobo e rendendola così capace di agire come emulsionante, un “emulsionante polimerico”. Per i vecchi tipi di Carbopol® erano indicati Pesi Molecolari già molto elevati, tra 1.000.000 e 4.000.000 u.m.a.; dei nuovi tipi, reticolati, si dice che ogni catena abbia un Peso Molecolare dell’ordine di 500.000 u.m.a., ma la singola particella infinitesima, costituita da migliaia di catene reticolate, di fatto ha Pesi Molecolari dell’ordine di miliardi di u.m.a. [2]. Molecole, dunque, di dimensioni enormi. È importante descrivere certe proprietà salienti di questo materiale, caratteristiche che dovranno essere valutate in relazione al caso specifico da trattare, per poter fare una scelta ragionevolmente accurata sulla compatibilità del materiale gelificante con il supporto, sui suoi vantaggi e sui suoi limiti, a confronto con altri possibili gelificanti, come ad esempio i ben noti Eteri di Cellulosa comunemente utilizzati in vari settori del restauro [3]. Nella formulazione del Carbopol Ultrez 21® si è ottenuto un grado di reticolazione adeguato a far sì che questo materiale solido, una volta messo a contatto con l’acqua, si idrati con relativa facilità: non diviene solubile, ma le catene iniziano a “srotolarsi” e ogni singola particella inizia a rigonfiarsi. Questo processo comunque risulta essere troppo lento per produrre l’aumento di viscosità e di fatto è necessaria una vera reazione chimica per ottenere questo: la neutra-
7
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
lizzazione, anche solo parziale, con una base. La neutralizzazione accelera enormemente questo processo, perché crea delle cariche negative ionizzando i gruppi carbossilici (-COOH) ad anioni carbossilato (-COO-); queste cariche negative, per la loro prossimità nello spazio, si respingono l’una con l’altra per effetto elettrostatico e questa repulsione fa distendere i segmenti della molecola. Ogni particella si dilata fino a 1000 volte il volume originario (e 10 volte il diametro originario) e di fatto questo provoca le gelificazione della soluzione, cioè l’inglobamento dell’acqua nel reticolo idrofilo rigonfiato. A stretto rigore, quindi, il Carbopol Ultrez 21® non si scioglie nell’acqua, ne è semplicemente rigonfiato. Non si tratta più, dunque, di un gelificante “diretto”, per il quale basta il mescolamento per provocare la gelificazione della soluzione. Basi adatte alla neutralizzazione possono essere svariate sostanze alcaline: inorganiche, come idrossido di sodio (NaOH), idrossido di potassio (KOH) e idrossido d’ammonio (NH4OH), o ammine, come la trietanolammina (TEA) o la trometamina (Tris Base o Trizma®). La Tabella I mostra, per vari composti alcalini, le quantità in peso necessarie per ottenere l’esatta neutralizzazione a pH 7, espresse rispetto ad una parte di gelificante (applicabile a tutti i tipi di Carbopol®) [4]. Tabella I. Valori in peso di composti alcalini necessari a neutralizzare una parte di gelificante a pH 7.
I derivati dell’acido poliacrilico sono acidi deboli, con valori di pKA tra 5.5 e 6.5; si può quindi dire, con una certa approssimazione, che se li neutralizziamo con un base forte, come una soluzione di idrossido di sodio, avremo anche una capacità tamponante in un intervallo di pH compreso tra 4.5 e 7.5. Il vantaggio dell’uso di queste basi è dunque quello di permettere di utilizzare il gelificante anche come sostanza tampone, capace di mantenere costante il valore di pH della soluzione gelificata: una proprietà decisamente importante quando l’applicazione è fatta su superfici artistiche particolarmente acide. In accordo con la sua natura di gelificante ionico, il Carbopol® produce soluzioni acquose addensate caratterizzate da un alto valore di conducibilità, come direttamente misurabile con un conduttivimetro. Ad esempio, un gel ottenuto da 100 ml di acqua demineralizzata con 1 g di Carbopol® neutralizzato a pH 6.7 con aggiunta di 0.5 ml di Trietanolammina, TEA, presenta un valore di conducibilità di 1.7 mS/cm. Un valore che, di per sé, non è da intendere né alto né basso, ma che può acquistare il significato di “troppo alto” o “troppo basso” a seconda del contenuto ionico della superficie su cui verrà applicato. Ricordiamo che, almeno idealmente, nell’applicazione di soluzioni acquose a superfici da rispettare, perché di pregio artistico, un elevato gradiente di concentrazione tra la soluzione stessa e la superficie potrebbe causare eccessivi movimenti di migrazione ionica – e, in certe condizioni, di molecole d’acqua per fenomeni osmotici – che potrebbero risultare disgreganti per la superficie stessa. La Fig. 3 mostra il tipico profilo della curva concentrazione-viscosità per il Carbopol Ultrez 21®. Come si può vedere, all’inizio, quando il Carbopol® si idrata in acqua, l’acqua acquisisce pH acido, circa 3.5, ma non viscosità. Appena si aggiunge la base, il pH e la viscosità aumentano: molto velocemente fino a pH 4 e poi un poco più lentamente. La soluzione raggiunge il
8
[Quaderni Cesmar7]
massimo di viscosità, oltre 60.000 cps, a pH 5-6; ulteriore aggiunta di base, con innalzamento del pH tra 6 e 11, fa diminuire la viscosità fino a 50.000 cps (una diminuzione che, nell’applicazione pratica, non viene neppure percepita). Il limite di pH è il valore 11, sopra, la viscosità della soluzione si perde molto velocemente. Si deve comunque notare che questo è un valore di pH molto alcalino, che non dovrebbe essere usato troppo frequentemente su superfici artistiche. È importante osservare che questa curva si riferisce ad una concentrazione di Carbopol® decisamente bassa, pari allo 0.5%. Il grande vantaggio di poter operare con concentrazioni così basse sta nel fatto che dopo l’applicazione risulta più semplice la procedura di lavaggio per la rimozione dei residui solidi del gelificante. La viscosità dei gel di derivati dell’acido poliacrilico è leggermente influenzata dalla concentrazione di ioni monovalenti, come il sodio: alte concentrazioni possono ridurla. Invece ioni divalenti, come calcio (Ca2+) e magnesio (Mg2+) e trivalenti, come alluminio (Al3+) fanno precipitare il gelificante perché formano sali insolubili. Gli idrossidi di questi ioni non possono dunque essere utilizzati come basi per la neutralizzazione del polimero. Per la loro natura anionica, questi polimeri dell’acido acrilico hanno compatibilità limitata con componenti cationici, che potrebbero – reagendo con la base utilizzata per la neutralizzazione del Carbopol® - far retrocedere la neutralizzazione del polimero e provocare la liquefazione della soluzione gelificata. Un’osservazione sulla conservazione di questi materiali: in forma di polveri secche i gelificanti sono stabili per periodi prolungati, ma sono comunque igroscopici (in condizioni di U.R. 50%, l’assorbimento di umidità all’equilibrio è 8-10%), devono quindi essere protetti dall’assorbimento di umidità, conservandoli in contenitori ben chiusi. Infine, i derivati poliacrilici non favoriscono la crescita di biodeteriogeni, ma non possono prevenirla nelle soluzioni contenenti materiali organici deperibili, soprattutto in condizioni di conservazione sfavorevoli (cioè UR e temperatura elevate).
Gli agenti chelanti Molecole contenenti gruppi funzionali che possono donare doppietti elettronici, quindi costituiti da atomi di ossigeno e azoto, hanno la capacità di coordinare cationi metallici cioè di legarli attraverso un particolare legame, il legame di coordinazione o legame dativo. A seconda del numero di questi gruppi donatori, la molecola in questione, cioè il legante, viene definita uni-, bi-, tri-, tetra-, penta- o esa-dentata. Le strutture aperte ottenute da leganti monodentati o complessanti, come l’ammoniaca, NH3, vengono definite complessi di coordinazione; quelle cicliche ottenute da leganti pluridentati o chelanti, invece, sono dette chelati. Diversa è l’affinità dei vari ioni metallici per diversi tipi di chelanti. Questo può essere espresso dai valori numerici delle costanti di formazione: più alto è il valore, migliore è la selettività del chelante in questione per quel certo catione metallico. Le proprietà del catione metallico in forma chelata vengono modificate rispetto alla forma libera. In generale è la solubilità la proprietà che più interessa: i chelanti sono utilizzati proprio per solubilizzare in ambiente acquoso sali e composti scarsamente idrosolubili e più in generale come strumento di misura della quantità di ioni metallici in ambiente acquoso. Nel restauro dei beni culturali, i chelanti sono utilizzati come disincrostanti (del solfato e del carbonato di calcio) sul supporto murale e lapideo e per la rimozione di patine di corrosione sui manufatti metallici. Quando il chelante contiene gruppi funzionali ionizzabili acidi (gruppi carbossilici, COOH) o basici (gruppi amminici, -N=), come nelle classi degli amminoacidi, degli ammino-
9
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
alcoli e degli acidi idrossicarbossilici, il chelante può ionizzarsi a seconda del pH del mezzo in cui si trova e formare cariche negative (in ambiente alcalino, quando i gruppi carbossilici si ionizzano ad anioni carbossilato, -COO-) o cariche positive (in ambiente acido, quando i gruppi amminici si ionizzano a formare cationi amminio, -N+H=). L’insorgenza di queste cariche, quindi la disponibilità o meno di doppietti elettronici, può modificare drasticamente il potere chelante. I chelanti di uso più comune nel restauro dei beni culturali sono l’acido citrico (un acido idrossicarbossilico) Fig. I e l’acido edetico o EDTA (acido etilendiamminotetraacetico, un amminoacido) Fig. II. È noto che la massima capacità chelante si ha in ambiente alcalino, quando i gruppi carbossilici sono ionizzati e nel caso dell’EDTA quando anche i gruppi amminici sono deprotonati, cioè in forma non ionizzata con i doppietti elettronici disponibili ad agire da gruppi donatori. Di fatto, quando l’anione dell’acido citrico si comporta da chelante tetra-dentato (tre gruppi carbossilato ed il gruppo alcolico, -OH), e l’anione dell’EDTA come chelante esadentato Fig. III (quattro gruppi carbossilato e due gruppi amminici). [5,6]
Figura I. Formula di struttura dell’acido citrico.
Figura II. Formula di struttura dell’EDTA.
Figura III. Formula di struttura del complesso esadentato metallolegante con EDTA.
Bibliografia [1] Carbopol Ultrez 21 Polymer. Noveon - Lubrizol, 2002 [2] Molecular Weight of Carbopol and Pemulen polymers. Noveon - Lubrizol, 2002 [3] P. CREMONESI, L’ambiente acquoso per il trattamento di opere policrome, I Talenti - Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 20, Il Prato, Padova 2012. [4] Neutralizing Carbopol and Pemulen polymers in aqueous and hydroalcoholic systems. Noveon - Lubrizol, 2002 [5] SKOOG, WEST, HOLLER, CROUCH, Fondamenti di chimica analitica, II° Edizione, Edises s.r.l., 2005. [6] KIRK - OTHMER, Encyclopedia of Chemical Technology, IV° Edition, Wiley Interscience, Vol. 4, 5, 6.
10
CAPITOLO II SCOPO DELLO STUDIO La prima parte del lavoro si è incentrata sul confronto sistematico di diversi sistemi di pulitura, tradizionali e non, col fine di verificare il loro effetto sul supporto murale carbonatico. In particolare, si sono considerati i seguenti materiali e metodi: 1. impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa applicato con interposizione di carta giapponese; 2. impacco di carbonato d’ammonio con sepiolite applicato con interposizione di carta giapponese; 3. impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa e sepiolite applicato con interposizione di carta giapponese; 4. applicazione di gel acquoso di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; 5. applicazione di gel acquoso di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese. I primi tre metodi sono comunemente utilizzati nel campo dei dipinti murali per operazioni generalizzate di pulitura e desolfatazione, mentre i gel di Carbopol®, prevalentemente utilizzati nel campo delle policromie mobili, si sono dimostrati estremamente utili nelle pitture murali per interventi di pulitura superficiale localizzata, di rimozione di ridipinture, fissativi e di stesure di prodotti filmogeni di restauro. Due tipi di supporti carbonatici sono stati trattati, a parità di condizioni, con i diversi metodi di pulitura: provini in calce aerea carbonatati in modo accelerato e frammenti di intonaco risalenti al 1600. Prima e dopo l’applicazione dei materiali sono state effettuate una serie di analisi per misurare eventuali cambiamenti delle proprietà chimico-fisiche delle superfici, e in generale dei supporti, ad opera dei trattamenti. Scopo della seconda parte del lavoro è stato lo studio dell’interazione tra gel di Carbopol® contenenti soluzioni chelanti e il supporto carbonatico costituente i dipinti murali. Gli agenti chelanti sono spesso impiegati nella pulitura di questi supporti, soprattutto di superfici interessate da patine di varia natura, come ricarbonatazioni superficiali, solfatazioni o concrezioni di ossalato di calcio. L’azione sequestrante dei chelanti nei confronti dello ione calcio, rende possibile l’asportazione di questi prodotti di degrado. Essendo il carbonato di calcio costituente, non solo del materiale da asportare, ma anche del supporto stesso, la selettività dell’azione del chelante diviene parametro fondamentale. In particolare, il presente studio si è concentrato su due tipi di soluzioni contenenti agenti chelanti, tra le più comunemente utilizzate: - EDTA trisodico diidrato in concentrazione 0.1M a pH 8.60; - citrato di sodio tribasico diidrato in concentrazione 0.5M a pH 8.35. Il progetto si è quindi articolato in due fasi: 1. Studio dell’interazione tra le soluzioni di agenti chelanti con i composti inorganici in polvere maggiormente presenti sull’intonaco: carbonato di calcio, solfato di calcio biidrato e ossalato di calcio monoidrato; 2. Studio dell’interazione tra i gel di Carbopol® contenenti soluzioni chelanti e provini di malta di calce aerea, applicati per 15 min di contatto con e senza interposizione di carta giapponese.
11
CAPITOLO III PROCEDURA SPERIMENTALE IIIa. CONFRONTO TRA METODI TRADIZIONALI E GEL DI Carbopol® Scelta dei supporti carbonatici, preparazione e caratterizzazione Si è scelto di utilizzare due tipi di supporti di natura carbonatica, provini in calce aerea preparati ad hoc simulanti supporti murali (Fig. 4) e frammenti di intonaco del 1600 provenienti da un manufatto privato in provincia di Milano (Fig. 5); entrambi privi di stesura cromatica e di “sporco” superficiale erano in grado di subire un’applicazione acquosa e un successivo lavaggio e si sono ritenuti supporti semplici e omogenei, adatti a rendere più riproducibile il trattamento coi diversi materiali. La scelta di questi materiali è stata dettata, inoltre, dalla necessità di poter effettuare il maggior numero di prove distruttive, non praticabili sul materiale storico artistico. I provini sono stati preparati con un impasto di calce (idrossido di calcio) e sabbia vagliata 0/4 mm (rapporto 1:3 v/v) e si sono ottenuti dischetti di diametro 6 cm con l’aiuto di stampi. La superficie è stata lisciata con l’aiuto della cazzuola. Dopo essicazione a temperatura ambiente per 25 giorni, i provini sono stati carbonatati in modo accelerato mediante esposizione prolungata di anidride carbonica (CO2) all’interno di una camera a tenuta (glove-box). (Fig. 6) Per verificare l’avanzamento e la completa carbonatazione dei provini sono stati eseguiti via via test, quali, il test colorimetrico con fenolftaleina (Fig. 7), l’analisi chimica dei campioni mediante spettroscopia FTIR-ATR e diffrazione a raggi X (XRD) e misure di conduttività e pH. I test hanno permesso di verificare la scomparsa di calce (idrossido di calcio), di pH fortemente alcalino e di alta conducibilità, e la formazione di carbonato di calcio (calcite) a completamento della reazione di carbonatazione. Entrambi i supporti sono stati quindi caratterizzati mediante: - osservazione allo stereomicroscopio per caratterizzare la morfologia; - analisi su sezioni stratigrafiche, per avere indicazioni sulla composizione mineralogica, sulla struttura e tessitura; - analisi diffrattometrica (XRD) e spettroscopica (FTIR-ATR e Raman) con cui è stata verificata la composizione mineralogica dei materiali; - analisi morfologica e analisi chimica semi-quantitativa del materiale costitutivo mediante microscopia elettronica a scansione accoppiato a microsonda (SEM-EDS), seguendo le indicazioni presenti nella UNI Normal 12/83.
Preparazione ed applicazione dei diversi sistemi di pulitura I provini di intonaco sono stati trattati con ogni sistema di pulitura almeno in due repliche, ossia ripetendo la stessa applicazione su almeno due campioni dalle stesse caratteristiche. Sulla base dei risultati sui provini, si è deciso di trattare i frammenti di intonaco del 1600 col
12
[Quaderni Cesmar7]
metodo dell’impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa applicato con interposizione di carta giapponese e con l’applicazione di gel acquoso di acido poliacrilico salificato con idrossido di sodio a pH 8 con e senza interposizione di carta giapponese. Le caratteristiche dei materiali utilizzati sono riportate in Appendice I. 1. Impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa applicato con interposizione di carta giapponese L’impacco è stato preparato facendo dapprima rigonfiare la polpa di carta in acqua distillata (in rapporto 1:5 circa in peso) poi aggiungendo carbonato d’ammonio (in rapporto 1:4 in peso rispetto alla polpa bagnata). Sulla superficie dei campioni è stata stesa la carta giapponese con un pennello precedentemente bagnato con acqua distillata, quindi si è eseguito l’impacco, condotto con l’ausilio di uno stampo, ed applicato per una durata di 30 minuti. Dopo l’asportazione dell’impacco, le superfici sono state lavate accuratamente mediante ripetuti risciacqui con una spugna imbibita di acqua distillata. Ogni operazione è stata accompagnata da una pesatura su bilancia analitica di precisione in modo tale da verificare la quantità di materiale applicato sui campioni e quello assorbito durante il trattamento. 2. Impacco di carbonato d’ammonio con sepiolite applicato con interposizione di carta giapponese La preparazione dell’impacco è iniziata con l’imbibizione della sepiolite con acqua distillata (in rapporto 1:2 circa in peso) quindi è stato aggiunto carbonato d’ammonio (in rapporto 1:4 in peso rispetto all’impasto di sepiolite e acqua). Sulla superficie dei campioni è stata applicata la carta giapponese con un pennello precedentemente bagnato con acqua distillata, quindi si è eseguito l’impacco, con l’ausilio di una spatola, di durata 30 minuti. Dopo l’asportazione dell’impacco, le superfici sono state lavate accuratamente mediante ripetuti risciacqui con una spugna imbibita di acqua distillata. Ogni passaggio è stato pesato con bilancia analitica per misurare la quantità di materiale applicato sui campioni e quello assorbito durante il trattamento. 3. Impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa e sepiolite applicato con interposizione di carta giapponese L’acqua distillata è stata fatta assorbire dalla miscela in polvere di polpa di cellulosa (70%) e sepiolite (30%) in rapporto di circa 4:1 in peso. Si è proceduto con l’aggiunta di carbonato di ammonio in rapporto 1:4 in peso rispetto al supportante. L’impacco è stato poi applicato con uno stampo sui campioni, con l’interposizione di carta giapponese preventivamente bagnata. Il trattamento è durato, come nei casi precedenti, 30 minuti. L’impacco è stato poi rimosso a secco, quindi le superfici sono state risciacquate con una spugna imbibita d’acqua. Anche per questa applicazione, la pesatura di ogni passaggio ha permesso di misurare la quantità di materiale applicato e quello rilasciato nei campioni. 4. Applicazione di gel acquoso di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese Il gel è stato preparato disperdendo con agitatore magnetico 1g di Carbopol® in 100 ml di acqua distillata e aggiungendo gradualmente la soluzione di idrossido di sodio 2M fino a raggiungere pH 8.
13
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Il gel è stato applicato con l’ausilio di una spatolina sulle superfici dei campioni interponendo carta giapponese. L’impacco è stato mantenuto per 15 minuti. Dopo l’asportazione del gel mediante tamponi di cotone inumiditi con acqua distillata, la superficie è stata risciacquata ripetutamente con una spugna imbibita di acqua distillata. Come sopra, ogni passaggio è stata accompagnato da una pesatura su bilancia analitica di precisione. 5. Applicazione di gel acquoso di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese La procedura è identica a quella descritta nel punto 4 con l’eccezione del fatto che l’applicazione di gel è stata fatta direttamente sulla superficie dei campioni senza carta giapponese.
Test prima e dopo applicazione È stato sviluppato un protocollo analitico per verificare l’effetto dei metodi di pulitura testati sui due tipi di supporti carbonatici. Sono state condotte le seguenti analisi sui campioni: - osservazione delle superfici e delle sezioni stratigrafiche mediante stereomicroscopio, microscopio ottico e microscopio elettronico a scansione (Normal 8/81, Esame delle Caratteristiche Morfologiche al Microscopio Elettronico a Scansione - SEM) per verificare eventuali cambiamenti morfologici delle superfici e dei supporti e presenza di residui dovuti al trattamento; - analisi colorimetriche delle superfici mediante scanner multispettrale (Normal 43/93, Misure colorimetriche di Superfici opache) per verificare eventuali cambiamenti di colore dovuti al trattamento; - analisi del materiale superficiale dei supporti mediante spettrofotometria FT-IR (ATR) per identificare eventuali residui o prodotti di neoformazione; - misura della permeabilità al vapore d’acqua (Normal 21/85, Permeabilità al Vapor d’Acqua) per misurare eventuali cambiamenti di traspirabilità dei supporti ad opera dei trattamenti; - misure di conducibilità e pH del materiale proveniente dai supporti; - misura della quantità di acqua che penetra nel supporto con metodo ponderale (Normal 41/93, Misura ponderale dell’Umidità in Superfici murarie); - misura della penetrazione dell’acqua (test con Rodamina B) per osservare l’entità della diffusione dei materiali di trattamento; - analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+ provenienti dai supporti e rimossi a seguito dei trattamenti. I dati ottenuti sono stati confrontati con quelli di campioni non trattati; questi campioni, costituiscono il cosiddetto “bianco”, ossia un riferimento utile per poter interpretare correttamente i dati dei campioni trattati. [7,8] Le procedure utilizzate sono riportate in Appendice II.
Bibliografia [7] E. BELTRAMI, M. BERZIOLI, M. CAGNA, A. CASOLI, P. CREMONESI, N. CUAZ, V. E. SELVA BONINO, La pulitura dei dipinti murali: studio comparativo di materiali e metodi, in “Progetto Restauro”, n. 58 - primavera 2011, pp. 2-15. [8] E. BELTRAMI, Trattamento di pulitura di pitture murali con metodi tradizionali e gel acquosi: studio di applicabilità, tesi di laurea specialistica in Scienze per i Beni Culturali, Università degli Studi di Parma, A.A. 2009-2010.
14
[Quaderni Cesmar7]
IIIb. IL GEL DI Carbopol® COME ADDENSANTE DI SOLUZIONI CHELANTI Valutazione del grado di complessazione di ioni Ca2+ da parte di agenti chelanti. Tra gli agenti chelanti, i più diffusi in ambito conservativo sono: l’EDTA (acido etilendiamminotetracetico) trisodico diidrato e il citrato di sodio tribasico diidrato. In prima istanza è stata studiata l’interazione tra i tre principali composti presenti nell’intonaco (carbonato di calcio, solfato di calcio biidrato e ossalato di calcio monoidrato) e soluzioni chelanti. Ci si è avvalsi di tecniche analitiche quali la spettrofotometria IR in trasformata di Fourier in ATR (FTIR-ATR), la diffrazione di polveri a raggi X (XRD) e la spettroscopia al plasma a corrente indotta (ICP). Le reazioni sono state compiute sui seguenti composti in polvere: carbonato di calcio (CaCO3 calcite), solfato di calcio biidrato (CaSO4•2H2O), ossalato di calcio monoidrato (CaC2O4•H2O wewhellite). Gli agenti chelanti impiegati sono stati: EDTA trisodico diidrato C10H13N2Na3O8•2H2O (50 ml di soluzione acquosa 0.1M) e citrato di sodio tribasico diidrato C6H5Na3O7•2H2O (50 ml di soluzione acquosa 0.5M). La soluzione di EDTA trisodico è stata ottenuta dal sale di sintesi disponibile in commercio e non miscelando il sale bi- e tetra-sodico, come comunemente avviene nella pratica di restauro. L’ormai nota sensibilità del carbonato di calcio alle sostanze acide ha necessariamente indotto all’utilizzo di soluzioni a pH basico. Gli agenti chelanti di cui sopra sono stati preferiti ad altri della stessa specie, in ordine ai valori di pH che si ottengono senza l’aggiunta di soluzioni tampone. Nel caso dell’EDTA trisodico diidrato, il valore del pH si attesta intorno a 8.33 – 8.35; nel caso del citrato trisodico diidrato, intorno al 8.51 – 8.60. Le polveri dei tre composti sono state pesate nella quantità di 1 g cadauno; a queste, separatamente, è stato aggiunto 1 g di silice, per un totale di 2 g di polveri per campione. Le sei miscele carbonato di calcio/silice, solfato di calcio/silice e ossalato di calcio/silice, sono state miscelate e mescolate intimamente per mezzo di un mortaio in ceramica; sono state poi osservate e fotografate allo stereomicroscopio prima e dopo mescolamento. Successivamente le miscele ottenute sono state poste in stufa, preriscaldata a 80°C, per 1 h per eliminare l’umidità; poi lasciate raffreddare in essiccatore per 30 min. Le polveri essiccate sono state caratterizzate, prima del trattamento, per mezzo delle analisi spettrofotometriche FT-IR in ATR e spettroscopiche XRD. Tre miscele sono state destinate alla reazione con EDTA trisodico, le altre tre con citrato di sodio, trasferite in sei palloni (Fig. 8a) e sono state ciascuna addizionate di 50 ml di soluzione chelante. I valori di pH delle soluzioni sono stati monitorati per mezzo di un pH-metro digitale, sia prima che a reazione ultimata. Il sistema così ottenuto è stato fatto reagire per 24 h, in costante agitazione, su piastra magnetica. Le operazioni di separazione e recupero del soluto dal solvente dopo trattamento sono state eseguite per mezzo di un filtro Büchner con carta da filtro, montato su una beuta codata, in cui è stato fatto il vuoto (Fig. 8b). Sono stati compiuti successivi lavaggi del solido con acqua distillata, addizionati alla soluzione madre. Tutti i lavaggi successivi sono stati eliminati. Le soluzioni ricavate dalle filtrazioni sono state poi trasferite in matracci da 100 ml (Fig. 8c): sono state aggiunte 2 gocce di acido cloridrico concentrato al 37%, per eliminare l’eventuale
15
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
corpo di fondo; una volta portate a volume con acqua distillata, i sei matracci, insieme al campione di bianco1, sono stati diluiti 1:1000 e analizzati con ICP allo scopo di quantificare la concentrazione, in ppm2, degli ioni Ca2+, estratti dalle polveri durante le reazioni. Il solido trattenuto dal filtro, è stato trasferito in stufa, riscaldata a 80°C, per 1h, in modo da eliminare l’acqua dovuta al trattamento e successivamente lasciato raffreddare in essiccatore per 30 min, prima di essere pesato e analizzato mediante spettroscopia FT-IR in ATR e XRD. In seconda istanza, le polveri di carbonato di calcio, solfato di calcio biidrato e ossalato di calcio monoidrato sono state combinate in miscele binarie: 1 g carbonato di calcio/1 g solfato di calcio biidrato e 1 g carbonato di calcio/1 g ossalato di calcio monoidrato. Anch’esse hanno subito il medesimo trattamento. Sono state preparate sei miscele in totale, tre destinate al trattamento con EDTA trisodico e tre con citrato di sodio. La composizione delle miscele vede come elemento costante la presenza di carbonato di calcio; si è ritenuta idonea a rappresentare le condizioni reali di una pittura murale. Proprio pensando a questa combinazione di materiali nel manufatto, con genesi e destino diversi (in generale, solfato e ossalato di calcio da eliminare e carbonato di calcio da conservare il più possibile inalterato), è interessante per lo studio determinare, se presente, l’eventuale selettività dei chelanti, nei confronti dei due componenti la miscela. Le miscele binarie hanno ricevuto la medesima preparazione vista sopra e sono state analizzate mediante spettroscopia FT-IR e XRD; anche per quanto riguarda le modalità di reazione e i reagenti impiegati, sono stati i medesimi della fase precedente, così come i pH delle soluzioni, le concentrazioni, il trattamento e l’analisi dei campioni [9].
Applicazione di soluzioni di chelanti gelificate con Carbopol® su provini di calce aerea. La seconda parte dello studio delle proprietà chelanti di EDTA trisodico e citrato di sodio si è concentrata sull’applicazione su supporti a imitazione dell’intonaco, provini di calce aerea realizzati ad hoc. Come supportante alle soluzioni chelanti è stato scelto il gel di Carbopol®. Il supporto carbonatico è stato caratterizzato prima del trattamento per mezzo di: test colorimetrico della fenolftaleina, spettrofotometria IR in trasformata di Fourier e diffrattometria a raggi X. Inoltre, sono state verificate le seguenti caratteristiche e proprietà: osservazione e documentazione fotografica al microscopio ottico; analisi superficiale in microscopia elettronica a scansione (SEM-EDS) e prova di permeabilità al vapor d’acqua (Normal 21/85). L’osservazione preliminare della superficie del campione prima del trattamento è stata condotta mediante stereomicroscopio, attraverso cui è stato possibile apprezzare le caratteristiche tessiturali del campione e documentarle fotograficamente e successivamente con un’analisi più approfondita al SEM accoppiato all’analisi composizionale EDS. Queste osservazioni sono state compiute sia prima che dopo trattamento, permettendo così di evidenziare eventuali differenze intercorse in fase di applicazione degli agenti chelanti gelificati. I provini sono stati destinati al trattamento con gel di Carbopol® contenenti, rispettivamente, EDTA trisodico diidrato 0.1M e il citrato di sodio tribasico diidrato 0.1M, steso adottando due modalità di applicazione: con e senza interposizione di carta giapponese. Trovandoci nella fase applicativa su intonaco simulante un supporto reale, e non più in una fase preliminare di studio, la concentrazione del citrato di sodio è stata abbassata da 0.5M a 0.1M; questo sia per motivi pratici, sia per rendere maggiormente confrontabili tra loro i risultati delle due applicazioni, sia per avvicinarsi alle condizioni operative adottate nelle fasi di pulitura.
16
[Quaderni Cesmar7]
Le applicazioni sono state effettuate in tre repliche per ogni tipo (per un totale di 12) e hanno avuto la durata di 15 minuti ciascuna. Per la preparazione del gel sono stati impiegati i seguenti materiali: Carbopol Ultrez 21® al 2%, soluzioni 1M, 2M e 0.1M di idrossido di sodio, acqua distillata e una soluzione 0.1M di EDTA trisodico diidrato e una 0.1M di citrato di sodio tribasico diidrato. Per preparare il gel alla concentrazione di 2% sono stati pesati 2 g di Carbopol®, poi aggiunti, in un becker, a 60 ml di acqua distillata. Nei minuti successivi, la polvere di gel è stata fatta lentamente rigonfiare e mescolata poi, con l’aiuto di uno specillo. A questo punto sono state sgocciolate le soluzioni di idrossido di sodio, base necessaria a salificare l’acido poliacrilico fino a raggiungimento di un pH di circa 7 dell’intero volume del gel (pH misurato con un pH-metro da contatto). L’aggiunta della base provoca la gelificazione del Carbopol®, ancora di aspetto molto denso. A parte, in un becker sotto agitazione, sono stati preparati 40 ml di una soluzione acquosa 0.1M di EDTA trisodico diidrato. La soluzione, con un valore di pH di 8.35, è stata aggiunta al gel precedentemente preparato e mescolato con cura. La preparazione del gel così ottenuto è stata ultimata sgocciolando poco per volta, una soluzione di idrossido di sodio 0.1M, fino a raggiungimento del pH desiderato, fissato a 8.35. La stesso è stato fatto per il gel con 40 ml di soluzione acquosa 0.1M di citrato di sodio tribasico diidrato. Le applicazioni del gel sono state eseguite con e senza interposizione di carta giapponese. Per essere certi di applicare la stessa quantità di gel su ogni provino e poter quindi confrontare i risultati analitici, è stata compiuta una stesura di prova su un campione a parte, con la quantità di gel steso in uno spessore massimo di 3 mm. Il provino è stato pesato prima e dopo l’applicazione, giungendo a stabilire la quantità ottimale di gel in 5 g per campione. Per ogni campione sono stati pesati 5 g di gel, che sono stati applicati sulla superficie del provino per mezzo di una spatolina. Ogni applicazione ha avuto la durata di 15 minuti e l’intervallo tra la prima e la successiva è stato di 5 minuti. Una volta trascorso il tempo stabilito, il gel è stato rimosso con l’ausilio della stessa spatolina e raccolto in un becker. La rimozione è stata molto accurata e il gel quasi completamente recuperato. Per completare l’asportazione dei residui e non perdere quantità significative di ioni Ca2+ movimentati dall’applicazione, si è scelto di lavare la superficie con acqua distillata e di raccoglierla nello stesso becker contenente il gel (Fig. 9). I provini sono stati accuratamente puliti sia con una spugna imbibita d’acqua distillata, sia per mezzo di tamponcini di cotone, sempre imbibiti d’acqua. Sono stati, poi, pesati e destinati alla prova di permeabilità dopo trattamento e successivamente all’osservazione al microscopio ottico e all’analisi morfologica al microscopio elettronico a scansione (SEM-EDS). Ai becker contenenti i campioni di gel, più l’acqua distillata di lavaggio, sono stati aggiunti 30 ml di acido nitrico 65%, per distruggere completamente il gel e liberare gli ioni Ca2+ eventualmente rimossi durante le applicazioni. Le soluzioni ottenute sono state poste su piastra riscaldante per 30 min alla temperatura di 100°C, mescolando occasionalmente. Una volta lasciate raffreddare, le soluzioni sono state filtrate con il metodo della pompa dell’acqua per il vuoto. Il solido raccoltosi sul filtro è stato lavato con 20 ml di acqua distillata acidificata3 e la soluzione madre, raccolta nella beuta, è stata trasferita in un matraccio da 100 ml e portata a volume. Per l’analisi ICP sono state preparate soluzioni diluite 1:10. Lo stesso procedimento di acidificazione e filtrazione è stato seguito per la realizzazione del bianco di riferimento, costituito da 5 g di gel contenente EDTA trisodico.
17
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Per l’applicazione e rimozione del gel con interposta carta giapponese il procedimento è stato il medesimo, se non per l’apposizione, tra la superficie del provino e il gel con il chelante, di un foglio di carta giapponese. Essa è stata ritagliata di forma quadrangolare e di dimensioni poco più grandi del provino; è stata apposta sulla superficie e fatta aderire spennellandola con acqua distillata. Poi sono stati applicati 5 g di gel per ogni provino e lasciati agire per 15 minuti. Al termine del suddetto tempo, la velina è stata delicatamente rimossa e con essa il gel soprammesso, recuperato con l’ausilio di uno specillo e raccolto in un becker. La superficie del provino è stata accuratamente sciacquata con acqua distillata, spugna e tamponcino di cotone (Fig. 10). Il gel raccolto ha seguito lo stesso procedimento di acidificazione e filtrazione di cui sopra; in questo modo si sono ottenute le soluzioni, in un secondo momento diluite 1:10, destinate all’ICP.
Note 1 2
Soluzione realizzata con due gocce di HCl in 100 ml di acqua distillata. Unità di misura che, in chimica analitica, indica generalmente la concentrazione di elementi in tracce (1 ppm=1 mg/L). 3 Soluzione 1:1 di acqua distillata e acido nitrico 65%.
Bibliografia [9] V.E. SELVA BONINO, Studio di applicabilità di Gel di Poliacrilato contenenti agenti chelanti per la pulitura di dipinti murali, tesi di laurea specialistica in Scienze per i Beni Culturali, Università degli Studi di Parma, A.A. 2010-2011.
18
CAPITOLO IV RISULTATI E DISCUSSIONE IVa. CONFRONTO TRA METODI TRADIZIONALI E GEL DI Carbopol® Caratterizzazione dei supporti carbonatici Provini in calce aerea I provini presentano una superficie rugosa, chiara, di colore grigio-bianco (Fig. 11), ha avvallamenti ed è fratturata (Fig. 12). L’analisi chimica, condotta al SEM-EDS, XRD, FT-IR e Raman, ha identificato una composizione a base di calcite (carbonato di calcio), quarzo e in minor quantità dolomite (carbonato doppio di calcio e magnesio) (Fig. 13). I clasti dell’intonaco sono a grana grossolana, di dimensione medie di 1,03 mm (granulometria arenaceo medio grossolana), con forme da subangolose ad angolose, di media sfericità. La frazione clastica è costituita per la totalità da frammenti di roccia, quarzo, feldspati di potassio e di sodio (albite), titanite e pirite. Gli inerti sono distribuiti in modo omogeneo all’interno della matrice, con un alto addensamento (50%). La matrice è abbastanza compatta, composta da calcite e sabbie silicee, ha una media porosità (30%) prodotta dall’interazione clasto-matrice. I pori sono reniformi, con dimensioni medie di 0,268 mm e si osservano fessure di forma irregolare.
Frammenti di intonaco del 1600 I frammenti sono composti da tre strati, dall’interno all’esterno: arriccio, intonachino e tracce di scialbatura. La superficie, su cui è presente lo strato eterogeneo di scialbatura, è molto fratturata, rugosa, con mancanze (Fig. 14, 15). L’analisi chimica, condotta al SEM-EDS, XRD, FT-IR e Raman, ha identificato una composizione della superficie a base di quarzo, calcite (carbonato di calcio) e in minor quantità dolomite (carbonato doppio di calcio e magnesio) con particelle di nero di carbone. L’inerte dell’intonaco è a grana grossolana con forme da subangolose ad angolose, di medio bassa sfericità. I granuli hanno dimensioni medie di 0,414 mm, quelli più piccoli, gli altri hanno dimensioni medie di 1,510 mm (granulometria arenaceo medio grossolana). I clasti sono formati soprattutto da frammenti di roccia, quarzo, feldspati di potassio e di sodio (albite). La loro distribuzione all’interno della matrice è omogenea, con un addensamento alto (50%). La matrice si presenta compatta, composta per la maggior parte da calcite, ha una porosità medio bassa (20-30%), sotto forma di micro fratture e i pori sono bollosi (aventi diametro medio di 0,167 mm).
19
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
1. Impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa applicato con interposizione di carta giapponese Provini in calce aerea Figura IV. Istogramma della differenza di colore (∆E*) calcolata, delle superfici dei provini in calce aerea prima e dopo trattamento (P+CG=impacco di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; PS + CG= impacco di polpa di cellulosa e sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; S + CG= impacco di sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; C+CG=applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; C= applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese).
Figura V. Istogramma relativo alle misure della quantità di acqua contenuta nei provini in calce aerea, non trattati e trattati, con metodo ponderale secondo la Normal 41/93. La misura ponderale dell’umidità (U), espressa in percentuale, è stata calcolata dal rapporto (PU-PS)/PS*100, dove PU è la massa (g) della polvere prelevata dal campione e PS la massa (g) della stessa polvere essiccata in stufa fino a peso costante. (P+CG=impacco di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; PS + CG= impacco di polpa di cellulosa e sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; S + CG= impacco di sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; C+CG=applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; C= applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese).
L’osservazione delle superfici dei campioni trattati mostra una morfologia superficiale e una porosità non significativamente differente dai campioni non trattati, i cosiddetti “bianchi” di riferimento (Fig. 16). Non si osserva una rimozione di strati, né si rilevano residui dovuti all’applicazione. I campioni non mostrano alterazioni cromatiche dovute al trattamento: la differenza di colore misurata ΔE* è minore del valore 3, limite massimo generalmente considerato, sotto cui la variazione di colore non è percepibile dall’oc-
chio umano (Fig. IV). La diffusione della soluzione salina di ammonio carbonato ha interessato l’intero spessore del campione, ossia 1 cm (Fig. 17). L’umidità (U%) rilevata nei campioni a seguito di questo trattamento è pari a circa il 10% (Fig. V). Per quanto riguarda la diffusione del vapore d’acqua, i provini di calce aerea trattati presentano un comportamento simile ai campioni non trattati, mostrando un basso coefficiente di permeabilità (Fig. VI). La conduttività ed il pH delle superfici sono risultate pressoché invariati e comunque confrontabili con i non trattati. Inoltre è stata effettuata un’analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+
20
[Quaderni Cesmar7]
Figura VI. Istogramma relativo alle misure di permeabilità al vapor d’acqua condotte sui provini in calce aerea prima e dopo trattamento, secondo la normativa italiana Normal 21/85. (P+CG=impacco di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; PS + CG= impacco di polpa di cellulosa e sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; S + CG= impacco di sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; C+CG=applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; C= applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese).
Figura VII. Istogramma della differenza di colore (∆E*) calcolata, delle superfici trattate dei frammenti di intonaco del 1600 rispetto alle superfici prima del trattamento (P+CG=impacco di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; C+CG=applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; C= applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese).
rimossi, mediante cartine indicatrici e i valori ottenuti hanno una concentrazione di 25-50 mg/l Ca, indicando una modesta dissoluzione del substrato carbonatico. Le analisi mediante FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostra segnali riconducibili ai materiali di applicazione.
Frammenti di intonaco del 1600 Anche per i frammenti di intonaco non si sono rilevati cambiamenti morfologici delle superfici trattate. Si è osservata, invece, alterazione cromatica delle superfici che hanno assunto una cromia tendente al marrone. La differenza di colore ΔE* prima e dopo trattamento risulta superiore al limite 3. La differenza di colore è soprattutto data da un aumento dei valori b*, ossia i colori si spostano verso una cromia giallo-verde, quello che visivamente dava un aspetto marroncino (Fig. 18, VII). Anche in questo caso, l’acqua ha diffuso in tutto lo spessore dei campioni (Fig. 19). L’umidità (U%) rilevata nei campioni a seguito di questo trattamento è pari a circa il 18% (Fig. VIII). I frammenti d’intonaco trattati presentano valori di permeabilità leggermente più alti rispetto ai frammenti non trattati (Fig. IX). La conduttività ed il pH delle superfici sono risultate pressoché invariati e comunque confrontabili con i non trattati.
21
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Inoltre è stata effettuata un’analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+ rimossi, mediante cartine indicatrici e i valori ottenuti hanno una concentrazione di 50 mg/l Ca, indicando una modesta dissoluzione del substrato carbonatico. Le analisi mediante spettroscopia FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostra segnali riconducibili ai materiali di applicazione.
Figura VIII. Istogramma relativo alle misure della quantità di acqua contenuta nei frammenti di intonaco del 1600, non trattati e trattati, con metodo ponderale secondo la Normal 41/93. (P+CG=impacco di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; C+CG=applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; C= applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese).
Figura IX. Istogramma relativo alle misure di permeabilità al vapor d’acqua condotte sui frammenti di intonaco del 1600 prima e dopo trattamento, secondo la normativa italiana Normal 21/85. (P+CG=impacco di polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese; C+CG=applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; C= applicazione di gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese).
2. Impacco di carbonato d’ammonio con sepiolite applicato con interposizione di carta giapponese Provini in calce aerea I provini trattati non mostrano cambiamenti morfologici superficiali evidenti, così come tracce di residui, né cambiamenti cromatici visivamente percepibili (Fig. IV). Per marcare la diffusione dell’acqua nel campione, non è stato possibile utilizzare il colorante Rodamina B a causa delle proprietà fortemente assorbenti della sepiolite; si è quindi deciso di nebulizzare sulla sezione dei provini trattati una soluzione satura del colorante blu metilene che vira di colore (dal blu al viola) in presenza di ambiente alcalino; questa proprietà ha permesso di marcare la diffusione di carbonato d’ammonio, di natura alcalina, nei campioni. (Fig. 20). In termini di diffusione, la soluzione di carbonato di ammonio interessa la quasi totalità degli spessori dei provini, appena al di sotto di 1 cm. Questo dato è verificato dall’umidità (U%) rilevata nei campioni a seguito di questo trattamento, che è pari a circa 8%, contro il 10% dell’applicazione con polpa di cellulosa (Fig. V).
22
[Quaderni Cesmar7]
Su tutti i provini trattati, inoltre, la permeabilità al vapore acqueo aumenta di circa il 30% (Fig. VI). I valori di pH delle superfici dei provini sono risultati pressoché invariati rispetto ai non trattati, mentre la conducibilità si è alzata di un ordine di grandezza a seguito del trattamento (da 75 µS/cm a 550 µS/cm). La sepiolite contiene, come impurezze, valori elevati di ioni Ca2+, tali per cui è risultato impossibile misurare l’eventuale dissoluzione del carbonato di calcio ad opera delle operazioni di pulitura. Le analisi spettroscopiche FTIR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostra segnali riconducibili ai materiali di applicazione ma solo dei materiali costituenti i provini (calcite e silicati).
3. Impacco di carbonato d’ammonio con polpa di cellulosa e sepiolite applicato con interposizione di carta giapponese Provini in calce aerea Non si notano cambiamenti morfologici superficiali, così come tracce di residui dovuti a questo trattamento. I test colorimetrici non evidenziano alcun cambiamento di colore superficiale, infatti il valore relativo alla differenza di colore non supera mai il limite di 3 (Fig. IV). La diffusione della soluzione di ammonio carbonato, marcata con Rodamina B, ha interessato l’intero spessore del campione, ossia 1 cm (Fig. 21). I valori di umidità dei provini dopo trattamento sono del tutto analoghi al trattamento con impacco di polpa di carta e sola sepiolite, attestandosi sul 9% circa (Fig. V). Su tutti i provini trattati, inoltre, la permeabilità al vapore acqueo aumenta, non in modo così netto come il caso dell’impacco di solo sepiolite, ma di circa il 9% (Fig. VI). Il pH delle superfici dei provini sono risultati pressoché invariati rispetto ai non trattati, mentre la conducibilità si è alzata di un ordine di grandezza a seguito del trattamento (da 75 µS/cm a 610 µS/cm). La sepiolite presenta valori elevati di ioni Ca2+, tale per cui è risultato impossibile misurare l’eventuale dissoluzione del carbonato di calcio ad opera delle operazioni di pulitura. Le analisi spettroscopiche FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostra segnali riconducibili ai materiali di applicazione ma solo dei materiali costituenti i provini (calcite e silicati).
23
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
4. Applicazione di gel acquoso di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese. Provini in calce aerea Riguardo i campioni trattati con gel di Carbopol® a pH 8 con interposizione di carta giapponese si sono trovati alcuni residui superficiali dovuti al gel (zone lucide). Nonostante questo, le osservazioni della superficie e delle sezioni stratigrafiche non mostrano cambiamenti nella morfologia superficiale e nella porosità e non sembra esserci stata rimozione di strati. La differenza di colore ΔE* rientra nei valori medi della percezione visiva (ΔE* ≤ 3) e la diffusione è dell’ordine di qualche millimetro (massimo 5 mm) (Fig. IV, 22). L’umidità (U%) registrata si attesta attorno al 3% e il coefficiente di permeabilità non cambia sostanzialmente dai provini non trattati (Fig. V, VI). La conduttività ed il pH delle superfici sono risultati pressoché invariati rispetto ai non trattati. Inoltre è stata effettuata un’analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+ rimossi, mediante cartine indicatrici e i valori ottenuti hanno una concentrazione di 10-25 mg/l Ca2+, indicando una modesta dissoluzione del substrato carbonatico. Le analisi spettroscopiche FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostrano segnali riconducibili ai materiali di applicazione ma solo dei materiali costituenti i provini (calcite e silicati).
Frammenti di intonaco del 1600 Anche nei frammenti di intonaco trattati sono stati trovati residui superficiali dell’applicazione del gel (zone lucide) (Fig. 23) ma senza alterare la morfologie e la porosità dei supporti. La differenza cromatica è qui invece superiore al limite 3 (Fig. VII) e l’entità della diffusione e dell’umidità acquistata dai campioni è dello stesso ordine di grandezza dei provini (di qualche millimetro e intorno al 4%, rispettivamente) (Fig. 24, VIII). Per questo trattamento non si evidenziano significative differenze del coefficiente di permeabilità (Fig. IX). La conduttività ed il pH delle superfici sono risultate pressoché invariati e comunque confrontabili con i non trattati. Inoltre è stata effettuata un’analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+ rimossi, mediante cartine indicatrici e i valori ottenuti hanno una concentrazione di 10 mg/l Ca2+, indicando una leggerissima dissoluzione del substrato carbonatico. Le analisi spettroscopiche FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostrano segnali riconducibili ai materiali di applicazione ma solo dei materiali costituenti i provini (calcite e silicati).
5. Applicazione di gel acquoso di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese. Provini in calce aerea Riguardo gli effetti del trattamento con gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 senza interposizione di carta giapponese, l’osservazione allo stereomicroscopio ha permesso di notare la presenza di fibre di cotone, restanti dall’operazione di risciacquo con tamponcino. La superficie è pulverulenta e presenta delle micro cavità forse attribuibili alla reazio-
24
[Quaderni Cesmar7]
ne tra il gel applicato direttamente sul supporto e il supporto stesso. Non si sono osservati residui, né cambiamenti nella porosità. La differenza di colore ΔE* risulta entro il valore limite di 3 (Fig. IV). Il coefficiente di permeabilità aumenta a seguito del trattamento (Fig. V). La diffusione dell’acqua all’interno di entrambi i provini è dell’ordine di qualche millimetro (massimo 8 mm) (Fig. 25). Per questo trattamento, l’umidità (U%) misurata è molto variabile con valori medi di circa 3% (Fig. VI). Prima e dopo trattamento, sono state condotte misurazioni di conduttività e pH delle superfici, che sono risultate pressoché invariati e comunque confrontabili con i non trattati. Inoltre è stata effettuata un’analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+ rimossi, mediante cartine indicatrici e i valori ottenuti rientrano nel range 10-25 mg/l Ca2+, indicando una modesta dissoluzione del substrato carbonatico. Le analisi spettroscopiche FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostrano segnali riconducibili ai materiali di applicazione ma solo dei materiali costituenti i provini (calcite e silicati).
Frammenti di intonaco del 1600 Si è notata, anche in questo caso, la presenza di fibre di cotone dovuta al risciacquo e non si sono osservati residui, né cambiamenti nella porosità. La differenza di colore ΔE* risulta superiore al limite (ΔE* ≥ 3) (Fig. VII). Il coefficiente di permeabilità aumenta, similmente ai provini in calce aerea, ma con più bassa entità (Fig. VIII). La diffusione dell’acqua all’interno di entrambi i provini è dell’ordine di qualche millimetro (massimo 8 mm) (Fig. 26). L’umidità misurata sui frammenti trattati va da valori di 4 al 9% e, confrontando i campioni trattati con quelli non trattati, si presentano significative differenze di umidità (Fig. IX) Le misurazioni di conduttività e pH delle superfici sono risultate pressoché confrontabili con i frammenti non trattati. Come per i provini, il trattamento ha causato una modesta dissoluzione del substrato carbonatico (25 mg/l Ca2+). Le analisi spettroscopiche FT-IR della polvere ottenuta dalle superfici dei campioni trattati non mostrano segnali riconducibili ai materiali di applicazione ma solo dei materiali costituenti i provini (calcite e silicati). [10,11]
Conclusioni I risultati ottenuti confrontando sistemi di pulitura tradizionali, come la polpa di cellulosa e sepiolite con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese, con prodotti introdotti di recente (gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con e senza interposizione di carta giapponese), applicati su provini in calce aerea e frammenti di intonaco del 1600, hanno reso possibile alcune considerazioni: i gel di Carbopol® si comportano come un vero e proprio supportante che garantisce sulla superficie di contatto l’azione solvente del mezzo acquoso, senza variarne la morfologia, né la porosità. Le analisi colorimetriche confermano variazioni cromatiche al di sotto del limite di percezione umana, almeno per i provini in calce aerea. Per i frammenti di intonaco del 1600 tutte le applicazioni hanno apportato modifiche visibili del colore, probabilmente a seguito di un’interazione dei materiali di trattamento con materiali costitutivi di natura organica.
25
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
L’apporto di umidità da parte del gel è nettamente inferiore rispetto ai trattamenti con polpa di carta. I metodi di pulitura studiati in questo progetto, non sono risultati aggressivi nei confronti dei supporti, in quanto il test per la dissoluzione del carbonato ha fornito valori molto bassi e il pH si è mantenuto stabile. È necessario, però, asportare il gel prima che raggiunga la secchezza ed eseguire un lavaggio accurato della superficie per asportare residui del materiale solubilizzato e del gel. Questo comporta tempi di applicazione molto limitati rispetto ad un tradizionale impacco con polpa di carta. I tempi di applicazione sono nell’ordine di pochi minuti, in funzione delle condizioni ambientali e della porosità del supporto sul quale viene applicato il gel. Tuttavia si sottolinea come, grazie all’uso di gel di Carbopol®, si possa fare un’azione pulente solo di superficie interessando limitatamente lo spessore del supporto, riducendo così il rischio di veicolazione verso la superficie di sostanze idrosolubili presenti nel supporto del manufatto. È importante sottolineare che, sempre a confronto con impacchi tradizionali, a parità di superficie trattata, la quantità di “prodotto pulente” è nel caso dei gel, drasticamente inferiore. Per quanto riguarda lo studio dei residui lasciati dopo trattamento, le analisi spettroscopiche FT-IR condotte a questo scopo non li hanno rivelati, sarebbe auspicabile però utilizzare una metodica o una tecnica analitica più sensibile e specifica.
Bibliografia [10] E. BELTRAMI, M. BERZIOLI, M. CAGNA, A. CASOLI, P. CREMONESI, N. CUAZ, V. E. SELVA BONINO, La pulitura dei dipinti murali: studio comparativo di materiali e metodi, in “Progetto Restauro”, n. 58 - primavera 2011, pp. 2-15. [11] E. BELTRAMI, Trattamento di pulitura di pitture murali con metodi tradizionali e gel acquosi: studio di applicabilità, tesi di laurea specialistica in Scienze per i Beni Culturali, Università degli Studi di Parma, A.A. 2009-2010.
26
[Quaderni Cesmar7]
IVb. IL GEL DI Carbopol® COME ADDENSANTE DI SOLUZIONI CHELANTI 1. Valutazione del grado di complessazione di ioni Ca2+ da parte di agenti chelanti. I campioni solidi ottenuti dalle filtrazioni delle soluzioni, essiccati in stufa, sono stati pesati prima di essere analizzati, allo scopo di valutare l’eventuale perdita di peso in seguito al trattamento. Ciò dà indicazioni sull’attività del chelante rispetto a l’uno o l’altro composto. Nel caso dell’EDTA trisodico si assiste alla diminuzione decrescente di perdita in peso, dal campione di solfato di calcio a quello di ossalato di calcio. Il risultato è in linea con il comportamento atteso: il solfato di calcio è un sale più solubile rispetto al carbonato (ancor più rispetto all’ossalato) come indicato dai valori pKS (si ricorda, di circa 4 ordini di grandezza inferiore rispetto a quello del carbonato e all’ossalato), quindi ancor più facilmente chelabile grazie alla relativa prevalenza della forma di ione libero. Anche nel caso del citrato di sodio, il comportamento del carbonato e dell’ossalato ricalca quello del caso precedente, ma l’entità della perdita di peso del campione è minore, considerato che il citrato di sodio è un agente chelante più debole per il calcio rispetto all’EDTA trisodico. Fa eccezione il campione di solfato di calcio/silice: infatti si è rilevato un aumento di peso del campione dopo il trattamento, in seguito giustificato dalla formazione di un composto secondario. Una considerazione importante: la perdita di peso dei campioni è dovuta sì all’asportazione di calcio dal campione, ma anche al contributo della silice che, in alcuni casi, può non essere stata correttamente trattenuta dal filtro per la formazione di particelle colloidali ultrafini. Una volta pesati, i campioni sono stati analizzati mediante spettroscopia FT-IR, al fine di rilevare i cambiamenti intercorsi in seguito al trattamento. Confrontando gli spettri prima del trattamento e trattati con EDTA trisodico, si osserva l’indebolimento dei segnali caratteristici del carbonato di calcio, la silice non ha invece subito variazioni; i segnali dovuti al solfato di calcio sono pressoché assenti o decisamente meno intensi; infine, anche nel campione ossalato di calcio/silice, i picchi attribuiti all’ossalato di calcio diminuiscono di intensità dopo il trattamento. Gli stessi campioni sono stati analizzati in diffrazione a raggi X, confermando i risultati dell’indagine precedente. La spettroscopia al plasma a corrente indotta (ICP) è stata compiuta sulle soluzioni ottenute dalle filtrazioni dei campioni fatti reagire con gli agenti chelanti, opportunamente diluite. I valori riportati in Tabella II riguardanti il trattamento con EDTA, sono in linea con le osservazioni di perdita di peso e con i prodotti di solubilità dei sali di calcio: il solfato mostra la maggiore tendenza a passare in soluzione, seguito dal carbonato; l’ossalato risulta decisamente più resistente all’attacco complessante del chelante.
27
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Tabella II Risultati dell’analisi ICP: concentrazione di ioni Ca2+ nelle soluzioni dei campioni trattati con EDTA trisodico e citrato di sodio tribasico.
Il citrato di sodio svolge maggiormente la sua azione sequestrante, nell’ordine: sul campione solfato di calcio/silice, poi sul campione carbonato di calcio/silice e infine sul campione ossalato di calcio/silice. Tale comportamento è in linea con quanto atteso. Una prima osservazione sull’attività dei due chelanti sulle stesse matrici, è quella che entrambi manifestano la propria azione sequestrante sul solfato di calcio, in maniera più efficace rispetto agli altri due composti; inoltre, l’EDTA trisodico diidrato risulta essere più forte rispetto al citrato di sodio tribasico diidrato. Nei campioni trattati con citrato di sodio si osservano comportamenti diversi a seconda che si tratti di carbonato di calcio e ossalato di calcio, rispetto al campione di solfato di calcio. Nei primi due casi si manifesta una diminuzione di massa del campione, maggiore nel caso del carbonato di calcio, rispetto all’ossalato di calcio (come atteso). Il campione di solfato di calcio presenta, invece, l’anomalia di un aumento di peso. Particolare attenzione è stata data alla determinazione della causa di questo comportamento, con l’effettuazione di ulteriori analisi. Così come per i campioni trattati con EDTA trisodico, anche quelli trattati con citrato di sodio sono stati analizzati mediante spettroscopia FT-IR in modalità ATR. Come nel caso precedente, gli spettri relativi al dopo trattamento mostrano la diminuzione dell’intensità di assorbimento dei picchi relativi al carbonato di calcio. Ancora una volta si può affermare che il citrato sia stato efficace nel complessare il calcio costituente questo sale. Il discorso si può estendere anche al campione ossalato di calcio/silice. Un discorso a parte va fatto per il campione solfato di calcio/silice; infatti gli spettri riportati in Fig. 27 mostrano come, da quello di partenza, si sia verificato un notevole cambiamento dopo trattamento. Nel range 1300-1650 cm-1 sono ben evidenti le bande di assorbimento che caratterizzano il citrato. Anche nella zona tra i 500-800 cm-1 si assiste alla comparsa di altri picchi, diversi da quelli del solfato di calcio o della silice, caratteristici, invece del citrato. Tale reazione si verifica solo nel campione solfato di calcio/silice ed essendo il citrato di sodio solubile in acqua, non avrebbe dovuto rimanerne traccia a seguito dei lavaggi. Si è supposta, quindi, la formazione di un composto secondario, tesi avvalorata anche dai risultati della diffrazione a raggi X. Sovrapponendo i diffrattogrammi del prima e dopo trattamento, si nota come i picchi del solfato di calcio siano scomparsi (Fig. 28). È da sottolineare, inoltre, la comparsa di picchi diversi da quelli del composto iniziale. I campioni solidi derivati dal trattamento delle miscele sono stati pesati, prima di essere analizzati. Nel caso del citrato di sodio entrambe le miscele, carbonato di calcio/solfato di calcio e carbonato di calcio/ossalato di calcio, mostrano una leggere perdita di massa, leggermente superiore per la prima, dovuto al fatto che il solfato di calcio risulta più solubile del carbonato, quindi l’azione sequestrante da parte del chelante, colpisce di preferenza il primo. I campioni trattati con EDTA trisodico, invece, presentano variazioni più significative, soprattutto nel campione carbonato di calcio/ossalato di calcio. Questo risultato è in controtendenza rispetto
28
[Quaderni Cesmar7]
al caso precedente, in quanto l’azione chelante ha interessato meno il campione con solfato di calcio, rispetto a quello con ossalato di calcio. Probabilmente la perdita di massa non è imputabile esclusivamente all’azione del chelante, ma anche alla formazione di colloidi ultrafini difficilmente filtrabili. Gli spettri FT-IR delle miscele di carbonato di calcio/solfato di calcio e carbonato di calcio/ossalato di calcio prima dei trattamenti sono stati confrontati con gli stessi dopo il trattamento. L’azione chelante del citrato di sodio sulla miscela è molto limitata. Si può supporre che il calo della massa del campione sia dovuto al contributo, pressoché paritetico, di entrambe le specie. Lo spettro della miscela carbonato di calcio/solfato di calcio prima e dopo trattamento mostra la scomparsa della banda del solfato a 1100 cm-1, lasciando il posto alle bande di assorbimento tipiche del citrato di sodio. Anche la banda del carbonato a 1389 cm-1 mostra, oltre ad un leggero shift, la comparsa di assorbimenti aggiuntivi, dovuti sempre al citrato di sodio. Nella regione tra i 3400-3600 cm-1, infine, i due assorbimenti caratteristiche dell’acqua di idratazione del solfato di calcio risultano alterati dalla presenza delle bande di assorbimento del citrato di sodio. Questo risultato conferma quello ottenuto per le singole polveri: il citrato di sodio, in presenza di solfato di calcio, dà origine ad un composto secondario. I risultati ottenuti con le indagini spettroscopiche FT-IR, sono stati confermati dai diffrattogrammi relativi al campione carbonato di calcio/solfato di calcio. Nel diffrattogramma del campione carbonato di calcio/ossalato di calcio, invece, non appare un significativo calo di intensità relativa tra i picchi delle due specie. Dalle analisi diffrattometriche si evidenzia la scomparsa di alcuni picchi: i valori dei 2θ circa 12°, 21° e 23° sono le riflessioni basali caratteristiche del solfato di calcio; il picco a 2θ intorno a 30°, del carbonato, risulta indebolito. Di intensità molto minori si riscontra, inoltre, la comparsa di altre riflessioni dovute, probabilmente alla presenza di un composto diverso. Nel caso delle miscele trattate con EDTA trisodico, le analisi spettroscopiche FT-IR mostrano come i segnali del solfato di calcio siano diminuiti in intensità dopo il trattamento; il campione contenente ossalato di calcio, non ha mostrato variazioni di intensità significative. I diffrattogrammi relativi alle miscele prima e dopo trattamento sono risultati non confrontabili dal punto di vista semi-quantitativo, in quanto l’intensità dei segnali prima del trattamento è molto debole per entrambe le miscele. L’intensità maggiore dei segnali mostrata dai diffrattogrammi dopo il trattamento con EDTA tribasico diidrato, può essere giustificata dall’effetto chimico – fisico del chelante, di smussamento e di riduzione che migliora l’efficacia della diffrazione, e ciò si traduce nell’aumento dell’intensità assoluta. Nel caso specifico del campione carbonato di calcio/ossalato di calcio, i picchi di quest’ultimo appaiono relativamente più intensi rispetto a quelli della calcite e ciò suggerisce che il calcio rilasciato provenga in misura maggiore dalla calcite. L’analisi quantitativa mediante spettroscopia ICP ha determinato che la concentrazione di ioni calcio nella soluzione ottenuta dalla miscela carbonato di calcio/solfato di calcio si attesta su valori decisamente maggiori rispetto al campione carbonato di calcio/ossalato di calcio. Ciò va a confermare quanto detto pocanzi riguardo alla maggiore efficacia del chelante nei confronti della miscela contenete solfato di calcio, in quanto composto più solubile. Nella seconda miscela, il valore della concentrazione, comunque diversa da zero, mostra un’attività sequestrante da parte del citrato di sodio ai danni del carbonato di calcio. Questo campione ha mostrato una cospicua perdita di peso, che è stata motivata dalla mancata riten-
29
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
zione del solido sul filtro durante le operazione di filtraggio. I valori ottenuti con la spettroscopia ICP hanno confermato questa interpretazione escludendo così la sola azione del chelante. Questi risultati denotano, ancora una volta, una preferenza del chelante nei confronti della miscela contenente solfato di calcio. Si può osservare, anche nel caso delle miscele, una maggiore attività dell’EDTA trisodico rispetto al citrato di sodio tribasico e che entrambi esplicano maggiormente la loro azione sui composti contenenti solfato di calcio (Tabella III). Tabella III. Risultati dell’analisi ICP: concentrazione di ioni Ca2+ nelle soluzioni delle miscele trattate con citrato di sodio tribasico e con EDTA trisodico.
2. Applicazione di soluzioni di chelanti gelificate con Carbopol® su provini di calce aerea. Prima di applicare il gel sui provini sono state condotte misurazioni di pH e conducibilità, sia sul Carbopol® non ancora gelificato, sia sui gel pronti per i trattamenti; lo stesso è stato fatto al termine dei 15 min di applicazione (Tabella IV). Tabella IV. Valori di pH e conducibilità del gel di Carbopol® prima e dopo trattamento.
30
[Quaderni Cesmar7]
Sia nel caso dell’EDTA trisodico che del citrato di sodio tribasico, si assiste alla diminuzione dei valori del pH dopo il trattamento; ciò è dovuto alla minore ionizzazione dei gruppi carbossilici. Il risultato non sorprende, in quanto ai pH utilizzati nel presente studio, il Carbopol® non espleta la propria azione tamponante, che si limita a valori di pH compresi tra 4 e 6.5. Per quanto riguarda la conducibilità, il brusco abbassamento dei valori per entrambi i gel contenenti chelanti, è dovuto alla perdita di componenti ionici che diffondono nel supporto. I provini di malta sono stati preventivamente osservati allo stereomicroscopio e documentati fotograficamente: le superfici sono di colore bianco omogeneo, con le crettature tipiche dovute alla carbonatazione superficiale della calce. Lo strato di calce è omogeneo e mostra una leggera brillantezza, risultato del trattamento con la cazzuola. Le stesse superfici sono state campionate e osservate al SEM-EDS: appaiono ben compatte e le rare crettature visibili non sono dovute a fenomeni di degrado, ma alla normale morfologia di questo tipo di supporti. È stata inoltre condotta una microanalisi tramite microsonda EDS su una zona di malta non trattata, per chiarirne la composizione ed escludere la presenza di sodio, elemento che, ci si attende, possa comparire nei campioni trattati (perché contenuto negli agenti chelanti applicati). La malta è composta da calcio, silice, alluminio e magnesio in tracce, indicando la presenza di grassello e sabbia silicea, priva di impurità.
Applicazione della soluzione di EDTA trisodico diidrato gelificato con Carbopol® senza interposizione di carta giapponese. Già da una sommaria osservazione visiva si è potuta constatare una decisa alterazione delle caratteristiche della superficie, che è risultata, in alcuni punti, abrasa (Fig. 29). Ciò è stato confermato, dallo stereomicroscopio prima e dal SEM-EDS dopo. Con quest’ultima analisi è possibile mettere in luce un fenomeno non visibile ad occhio nudo, ovvero una macro e micro corrosione della calce, che fa apparire la superficie fitta di piccoli crateri (Fig. 30) e limitatamente ad alcuni punti, grandi vuoti. Non si è riscontrata la presenza di residui di gel, né a livello macroscopico, né a livello microscopico.
Applicazione della soluzione di EDTA trisodico diidrato gelificato con Carbopol® con interposizione di carta giapponese. Il fenomeno di abrasione superficiale è decisamente diminuito. La velina, infatti, non permette il contatto diretto del gel con la superficie e ciò limita parzialmente l’azione invasiva del chelante, da una parte e dall’altra facilita la rimozione dell’impacco, riducendo l’azione meccanica necessaria all’asportazione completa e al risciacquo. Il fenomeno della micro corrosione sottolineato nel campione trattato senza carta giapponese, si rileva anche in questo caso, ma con una modalità differente. Mentre in precedenza la corrosione della superficie è stata omogenea, qui si rilevano delle “macchie”, più o meno corrose. Le immagini al SEM-EDS rendono evidente questo comportamento (Fig. 31). Da ingrandimenti ancora maggiori è stato possibile stabilire che le zone più scure visibili nelle immagini di cui sopra, sono più lisce o meglio, meno corrose di quelle parti che appaiono più chiare. Anche con questa modalità applicativa, non si è riscontrata la presenza di residui di gel, né a livello macroscopico, né a livello microscopico. Lo stesso tipo di applicazioni è stato attuato sui campioni trattati con citrato di sodio tribasico diidrato.
31
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Applicazione della soluzione di citrato di sodio tribasico diidrato gelificato con Carbopol® senza interposizione di carta giapponese.
La superficie è apparsa abrasa: l’entità del danno è solo leggermente inferiore rispetto al campione trattato con le stesse modalità, ma con EDTA trisodico. Dall’osservazione al SEM di un frammento, la superficie appare polverulenta, ed è ben visibile la corrosione dello spessore superficiale della calce.
Applicazione della soluzione di citrato di sodio tribasico diidrato gelificato con Carbopol® con interposizione di carta giapponese. I risultati migliori, dal punto di vista del rispetto del supporto, sono stati ottenuti dalla serie trattata con gel di Carbopol® e citrato di sodio tribasico diidrato, con interposizione di carta giapponese: la superficie appare molto meno abrasa che negli altri tre trattamenti. L’interposizione della carta giapponese fa si che l’azione del chelante non sia così invasiva da abradere l’intonaco. L’immagine al SEM a 1000X, mostra una superficie priva di alterazioni, se confrontata con l’immagine agli stessi ingrandimenti dei campioni trattati con EDTA trisodico; non appare, infatti, nessun fenomeno di micro corrosione (Fig. 32). Anche dopo questo trattamento, non si è riscontrata la presenza di residui di gel. Sui frammenti dei campioni che hanno subito le quattro diverse applicazioni, è stata condotta la microanalisi EDS in alcuni punti, per rilevare l’eventuale presenza di sodio, dovuto al trattamento con i chelanti. I risultati di tutti i campioni hanno dato esito positivo, come ci si attendeva. La microanalisi ha rilevato la presenza del sodio, ma si tratta di quantità in tracce, quasi al limite di rilevabilità dello strumento. La prova di permeabilità al vapor d’acqua è stata eseguita sui 12 provini, prima che fossero sottoposti ai trattamenti e dopo (Tabella V). Tabella V. Valori mediati di permeabilità calcolati sui 12 provini, prima e dopo trattamento.
In tutti e quattro i set di campioni, il valore medio della permeabilità è diminuito in valore assoluto. Tradotto in termini qualitativi, la diminuzione del valore significa un aumento della permeabilità dei provini. Infatti, il flusso di vapore acqueo attraverso le due superfici del campione, non risulta ostacolato in alcun modo dai residui, ma anzi è favorito dall’apertura delle macroporosità dovute alla corrosione superficiale, causata dai trattamenti. Questo fenomeno potrebbe essere dovuto anche all’azione chelante delle soluzioni gelificate: l’asportazione di ioni calcio dalla matrice, può aver aumentato la microporosità dei campioni. Per questo motivo la perdita di peso del sistema è stato più efficace e il valore numerico è risultato inferiore a quello iniziale. Per quanto concerne il confronto tra i due chelanti si osserva che nel caso del campione trattato con gel e citrato di sodio, con interposizione di carta giapponese, la permeabilità aumenta
32
[Quaderni Cesmar7]
del 23.7%; senza interposizione di carta giapponese aumenta del 3.85%. Nel caso dei provini trattati con EDTA trisodico, la permeabilità aumenta del 25.9% nel caso dell’applicazione senza velina e del 14.8%, con la velina. Se si considera come determinante l’apertura di macroporosità superficiali dovute alla corrosione, nel primo caso, l’aumento contenuto dei provini trattati senza carta giapponese, si discosta da tale ragionamento. Infatti l’aumento di permeabilità maggiore, caratterizza l’applicazione con la velina. Si può supporre che eventuali residui di Carbopol®, dovuti all’applicazione senza carta giapponese, rimasti sul campione dopo il risciacquo, abbiano limitato le conseguenze della corrosione, portando ad un aumento della permeabilità più modesto. L’andamento dei dati dell’EDTA trisodico è più in linea con le considerazioni fatte sopra: infatti si rileva un aumento del 25.9% nel caso del trattamento senza velina e del 14.8% con la velina. In questo caso predomina l’effetto dovuto all’aumento della macroporosità. Le soluzioni ricavate dai gel di trattamento sono state analizzate mediante spettroscopia ICP per determinare la concentrazione di ioni calcio eventualmente estratti dai provini durante le applicazioni (Tabella VI). Tabella VI. Valori mediati delle concentrazioni di ioni Ca2+ restituiti dall’ICP sulle soluzioni ottenute dai gel dopo trattamento e valore % di calcio estratto dai provini. 1 Valore % di calcio estratto dai provini, da 5 g di gel applicato.
Da una prima osservazione si evince che l’interposizione della carta giapponese fa abbassare, in entrambi i casi, la concentrazione del calcio nelle soluzioni e ciò può essere dovuto a due fattori: che l’azione dei chelanti nella complessazione del calcio contenuto nell’intonaco sia effettivamente limitato dalla velina o che parte degli ioni rimossi, non sia stata contenuta nel gel recuperato, ma sia rimasta legata alla carta giapponese in fase di rimozione e quindi andati persi. Una seconda osservazione vede, invece, la differenza tra i due tipi di agenti chelanti: il citrato di sodio tribasico diidrato estrae maggiormente in modalità senza carta giapponese interposta e in minore entità con l’interposizione della stessa; l’EDTA trisodico diidrato, al contrario, estrae maggiormente in presenza di carta giapponese e in quantità minore, senza la stessa. [12]
Conclusioni 1. Valutazione del grado di complessazione di ioni Ca2+ da parte di agenti chelanti. Le reazioni tra le due soluzioni chelanti e i campioni di singole polveri, hanno confermato ciò che si osserva nella pratica del restauro durante le operazioni di pulitura dei dipinti murali con agenti chelanti in soluzione. L’EDTA trisodico diidrato, chelante considerato forte, impiegato in soluzione a pH 8.35 espleta la propria azione sequestrante in modo più efficace rispetto al citrato di sodio tribasico
33
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
diidrato, impiegato di soluzione a pH 8.60 e considerato un chelante più debole; inoltre il prodotto di solubilità di quattro ordini di grandezza inferiore del solfato di calcio biidrato rispetto al carbonato di calcio e all’ossalato di calcio monoidrato, ha fatto si che questo sia stato il composto maggiormente interessato dall’azione sequestrante dei chelanti nei confronti dello ione calcio. Le analisi condotte mediante spettroscopia FT-IR e XRD hanno permesso, inoltre, di ricondurre l’aumento di peso del campione di solfato di calcio trattato con citrato di sodio tribasico diidrato, alla formazione di un composto secondario, attualmente in fase di studio. Nel caso delle miscele, le concentrazioni di ioni calcio in soluzione rilevate mediante spettroscopia ICP, confermano un’azione sequestrante, maggiore sulla miscela carbonato di calcio/solfato di calcio (per la maggiore solubilità del secondo) e più efficace da parte della soluzione di EDTA tribasico diidrato, rispetto a quella del citrato di sodio tribasico diidrato. Inoltre lo spettro FT-IR della miscela carbonato di calcio/solfato di calcio biidrato, conferma che la formazione del composto secondario sia una conseguenza della reazione del citrato di sodio in presenza di solfato di calcio biidrato, a prescindere dalle concentrazioni del chelante e della forma in cui si trova il composto inorganico. Questo risultato è di fondamentale importanza per le applicazioni pratiche nel restauro: la pulitura di superfici interessate da solfatazioni per mezzo di soluzioni di citrato di sodio tribasico diidrato potrebbe avere come azione collaterale la formazione di un sale secondario insolubile, che di fatto induce un’alterazione di composizione e morfologica del manufatto. È indubbio come si imponga l’approfondimento e la determinazione di tale composto.
2. Applicazione di soluzioni di chelanti gelificate con Carbopol® su provini di calce aerea.
Dalle applicazioni, sono emerse le seguenti considerazioni: nel caso dell’applicazione del gel di Carbopol® contenente EDTA trisodico diidrato 0.1M con e senza interposizione della carta giapponese, si ha una decisa abrasione della superficie, visibile anche ad occhio nudo, più intensa nel caso della stesura senza velina. Con interposta velina, è stato possibile osservare, la comparsa di macchie sulla superficie, di zone più lisce e zone più scabre, dovute al fenomeno della micro-corrosione. Il trattamento con gel di Carbopol® contenente citrato di sodio tribasico diidrato 0.1M si differenzia nei risultati, a seconda che sia eseguito con o senza interposizione di carta giapponese: nel primo caso la superficie si presenta molto meglio conservata. Al contrario, senza interposizione della velina, si ripropone il fenomeno dell’abrasione superficiale. In generale non si è riscontrata la presenza di residui di gel. La microanalisi EDS ha rilevato, come atteso, la presenza di sodio all’interno dei provini a seguito dei trattamenti, ad indicare la permanenza di residui, verosimilmente di sali di sodio dei chelanti. Questo dato giustifica anche la diminuzione della conducibilità dei gel al termine delle prove. La spettroscopia ICP condotta sulle soluzioni ricavate dai gel, conferma che l’interposizione della velina, inibisce l’estrazione di ioni calcio (si ricorda, però, che tali ioni potrebbero non essere stati assorbiti dal gel, quindi rimasti sulla carta e andati perduti), rispetto al gel a contatto diretto. Si osserva la maggiore efficacia del citrato di sodio rispetto all’EDTA tribasico, diversamente da quanto preventivato. Ciò può essere dovuto al fatto che, i valori di pH, sia del gel contenente EDTA trisodico che di quello contenente citrato di sodio tribasico diidrato, diminuiscono al termine dell’applicazione. L’EDTA, essendo un acido più debole rispetto all’acido citrico, risente maggiormente dell’abbassamento del pH; l’acido citrico, al contrario, essendo un acido più forte, risente meno dell’acidificazione dell’ambiente, dato che si protona meno facilmente,
34
[Quaderni Cesmar7]
quindi l’azione complessante ne risente meno, come invece accade per l’EDTA trisodico. Il dato può essere interpretato anche considerando le conducibilità dei due gel ed i conseguenti movimenti osmotici di acqua, ipotizzando un’azione di membrana semi-impermeabile da parte della pellicola del Carbopol®: se il gel fosse ipotonico, rispetto al supporto, la migrazione di acqua sarebbe favorita all’interno del manufatto, dove potrebbe lasciare più residui; al contrario, se il gel fosse ipertonico, la migrazione di acqua sarebbe verso il gel dove potrebbe trasferire più ioni calcio. Un’ultima osservazione: nel capitolo I si è menzionata l’incompatibilità dei gel di Carbopol® con ioni bivalenti come il calcio, che causano la precipitazione del polimero in forma di sali insolubili, e la “liquefazione” del gel acquoso. Ovviamente, questi ioni bivalenti devono essere realmente disponibili nel mezzo acquoso, cioè essere all’interno di composti almeno parzialmente solubili in ambiente acquoso. Eppure, nelle prove condotte in questo studio i gel a base di acido poliacrilico hanno sempre mantenuto la loro viscosità, anche se venivano applicati su supporti dove lo ione calcio era probabilmente la specie prevalente. Questo fatto si può giustificare in due modi. Per quanto riguarda i provini, la completa carbonatazione della calce in carbonato di calcio origina un composto praticamente insolubile, che non dà luogo a ioni calcio solubili nel mezzo acquoso, capaci di interferire con il Carbopol®. In più, la matrice carbonatica è integra, non affetta da processi di solfatazione che genererebbero un sale più solubile, il solfato di calcio. Quando invece i gel di Carbopol® contengono chelanti, gli ioni calcio rimossi dal supporto carbonatico non sono in forma libera, ma in forma appunto chelata, cioè non “disponibile”. Ma nel valutare l’idoneità di questo gelificante ad applicazioni su un reale supporto murale invecchiato si dovrà sicuramente tener conto dell’eventuale presenza di composti di calcio almeno parzialmente solubili, come ad esempio il solfato di calcio; questi composti, originando ioni calcio liberi, potrebbero causare la liquefazione del gel e la conseguente diffusione della soluzione acquosa all’interno dell’intonaco. Lo studio tra l’interazione di due classi di sostanze chelanti, i sali dell’EDTA ed i Citrati, con l’intonaco a malta di calce e precisamente la capacità di chelare lo ione calcio presente in vari composti, ha grande importanza nella pratica operativa. Quest’interazione può essere sfruttata per la rimozione di materiali indesiderati provenienti dal degrado della matrice carbonatica costitutiva, ma può anche avvenire a carico del carbonato di calcio stesso, rappresentando così un fattore di degrado per il manufatto. La necessità di uno studio specifico emerge con chiarezza se si considerano le scarse e frammentarie informazioni disponibili nella letteratura specifica del restauro. L’impressione è che questi materiali siano utilizzati in modo istintivo, approssimativo, privo di quei requisiti indispensabili a minimizzare l’interazione sfavorevole col manufatto. Lo studio proposto ha fornito numerose conferme analitiche a ciò che era conosciuto solo in teoria, ma ha anche sollevato diversi interrogativi, che spingono a considerare tutt’altro che completa la conoscenza di questi materiali e le loro interazioni con i manufatti.
Bibliografia [12] V.E. SELVA BONINO, Studio di applicabilità di Gel di Poliacrilato contenenti agenti chelanti per la pulitura di dipinti murali, tesi di laurea specialistica in Scienze per i Beni Culturali, Università degli Studi di Parma, A.A. 2010-2011.
35
APPENDICE I MATERIALI E STRUMENTI Materiali Acetato di calcio Purezza 99%, Gruppo Montedison, Farmitalia Carlo Erba S.p.a., Via C. Imbonati 24, Milano. Acido Cloridrico puriss. min 37% 30721 RIEDL-DE HAEN Acido Nitrico 65% 133255.1611 PAN REAC QUIMICA S.A.U. Ammonio carbonato C.T.S. S.R.L, Via Piave 20/22, 36077 Altavilla Vicentina (VI). www.ctseurope.com Blu Metilene Gruppo Montedison, Farmitalia Carlo Erba S.p.a., Via C. Imbonati 24, Milano, www.carloerbareagenti.com Calcium Test Merckoquant®, prodotte da Merck KGaA, 64271 Darmstadit, R.F.A. Carbonato di calcio Purezza 99%, Janssen Chimica, B-2440 Geel Belgium. Carbopol® Ultrez 21 Polymer. Noveon – Lubrizol, 2002. Carta Giapponese Fine, senza acido, prodotta manualmente in Giappone, secondo tecniche antiche, con fibre naturali quali Gampi, Kozu, Mitsumata. Bib Tengujo (foglio), grammatura 11g/m2, 75 x 48cm, CTS Srl - Via Piave 20/22 - 36077 Altavilla Vicentina (VI), www.ctseurope.com Citrato di sodio tribasico diidrato Purezza 99%, Fluka, Industriestrasse 25, CH-9471 Buchs SG, Schweiz. EDTA trisodico diidtrato Purezza ≥98%, Fluka, Industriestrasse 25, CH-9471 Buchs SG, Schweiz, www.sigmaaldrich.com Fenolftaleina Gruppo Montedison, Farmitalia Carlo Erba S.p.a., Via C. Imbonati 24, Milano, www.carloerbareagenti.com Filtri di carta SeS Filter Paper Circles, diameter 110mm, 5891 black ribbon ashless, P.O. Box 4, D-3354 Dassel W., Germany. Idrossido di Sodio Pellets puriss., Sigma-Aldrich Chemie GmbH, Riedstrasse 2, 89555 Steinheim, Germany. O ring
36
[Quaderni Cesmar7]
In gomma nitrilica, RS Components S.p.a., Via de Vizzi 93/95, Cinisello Balsamo, Milano. Ossalato di calcio monoidrato Purezza 99%, Gruppo Montedison, Farmitalia Carlo Erba S.p.a., Via C. Imbonati 24, Milano. Polpa di cellulosa Arbocel BC 1000, C.T.S. S.R.L, Via Piave 20/22, 36077 Altavilla Vicentina (VI). www.ctseurope.com Rodamina B Gruppo Montedison, Farmitalia Carlo Erba S.p.a., Via C. Imbonati 24, Milano, www.carloerbareagenti.com Sepiolite C.T.S. S.R.L, Via Piave 20/22, 36077 Altavilla Vicentina (VI). www.ctseurope.com Silice Silicagel, 40-63mm, MERCK & CO., INC, Whitehouse Station, NJ 08889, USA. www.merck.com Solfato calcio biidrato Purezza 99%, Gruppo Montedison, Farmitalia Carlo Erba S.p.a., Via C. Imbonati 24, Milano, www.carloerbareagenti.com
Strumenti Termo-igrometro “METEO & GIFT” di Centro Style. Temperatura interna min-max: -20 ÷+50 °C Umidità interna min-max: 35 ÷ 75% Conduttimetro HANNA HI 86304: Misuratore portatile di EC. Precisione: ±2% f.s Scala: da 0.00 a 19.99 mS/cm Risoluzione: 0.01 mS/cm Soluzione di calibrazione: 5,00 mS/cm Conduttimetro HANNA HI 983303 GRO’CHECK® Precisione (a 20°C) : ±2% f.s Scala: da 0 a 1999 mS /cm Risoluzione: 10 mS/cm Soluzione di calibrazione: 1430 mS/cm pH-metro HANNA HI 98109 Precisione: ±2 pH Scala pH: da 0.00 a 14 pH Risoluzione: 0.01 pH Soluzioni tampone: pH 7 e pH 4 Stereomicroscopio della serie SZM, OPTIKA Fotocamera digitale Canon PowerShot A630 Stufa da laboratorio modello: TL 99, SMEG Elettrodomestici S.p.a, Guastalla (RE).
37
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Bilancia analitica modello CP225D, SARTORIUS AG Weender Landstrasse 94-108, 37075 Goettingen, Germania. www.sartorius.com Per le analisi FTIR si è utilizzato uno spettrofotometro FTIR modello Nicolet - Nexus 5PC, equipaggiato di Smart Orbit Diamond Crystal (400-4000 cm-1); sono state condotte misurazioni in modalità ATR (Riflettanza Totale Attenuata). Per la analisi difrattometriche si è utilizzato lo strumento Thermo Electron – WinXRD cone le seguenti condizioni sperimentali: lunghezza d’onda Kα1: 1,540562, lunghezza d’onda Kα2: 1,544390, Scan Type: 2Theta Scan 112, Start Angle: 5 deg, Stop Angle: 70 deg, Num Points: 688, Step Size: 0,08 deg, Scan Rate: 2.400 (°/min), Scan Mode: Step. Lo strumento impiegato per la determinazione della concentrazione di calcio è stato: Plasma a corrente indotta, modello PU 7450 ICP Spectrometer della Leeman/Philips coi seguenti parametri: Temperatura plasma: 10000°C, Riga di emissione Ca2 (λ): 396.85, n° di colpi (elettroni): 38004000, Gas: Argon, Soluzioni standard Ca2+: 1, 3, 5, 7 ppm1. Il microscopio elettronico a scansione (SEM-EDS) utilizzato è un Jeol 6400 (15KV,0,28nA) accoppiato ad uno spettrometro a dispersione di energia per la rivelazione dei raggi X (equipaggiato con un Oxford per microanalisi e composto da: un rivelatore allo stato solido, dall’elettronica di conteggio e dai dispositivi per l’elaborazione del segnale a cui devono essere applicate delle correzioni (“correzione ZAF”). È stato usato lo spettrometro micro-Raman Jobin-Yvon Horiba LabRam con Laser He-Ne λ= 633 nm, risoluzione spaziale circa 1 µm, risoluzione spettrale circa 2 cm-1. Lo strumento è equipaggiato con un microscopio confocale Olympus con gli obiettivi 10x, 50x, 50x ULWD (Ultra Long Working Distance) e 100x. Lo strumento è dotato di tavolo motorizzato XY per l’acquisizione di mappe spettrali e di una ruota di filtri per il controllo della potenza del laser.
1 Calcium 1000 mg/ml Ca2+ (± 2mg – 20°C) AAS, Baker Analyzed, 5.892g Ca(NO )2.4H2O/2 to 5% HNO , 3 3 Mallinckrodt Baker B.V., 7400 AA Deventer-The Netherlands.
38
APPENDICE II SEZIONE SPERIMENTALE Spettrofotometria Infrarossa in Trasformata di Fourier (FTIR) La spettrofotometria IR è una tecnica analitica che è stata applicata, frequentemente e con successo, nel campo dei beni culturali. Si può effettuare su quantità esigue di campione; è un’analisi diretta poiché non richiede preparazione preliminare dello stesso. Fornisce informazioni qualitative e semi-quantitative sia su sostanze organiche che inorganiche. Teoria dell’assorbimento IR A temperature sopra lo zero assoluto le posizioni degli atomi fluttuano continuamente. I principali modi vibrazionali sono: - Stiramenti (stretching), che provocano il cambiamento della distanza di legame; - Deformazioni (bending), che provocano variazioni dell’angolo compreso tra due legami. La radiazione IR (4000-500 cm-1) non ha energia sufficiente da causare transizione elettroniche tra livelli energetici, ma solo salti quantici di energia vibrazionale e rotazionale: la molecola assorbe la radiazione quando la frequenza della radiazione IR è uguale alla frequenza di una specifica vibrazione. Quando avviene l’assorbimento, l’energia associata può essere trasformata in moti vibrazionali. L’analisi restituisce uno spettro, cioè un tracciato dell’intensità dell’assorbimento in funzione del numero d’onda. Questa tecnica permette di determinare i vari gruppi funzionali IR attivi presenti nel campione, che assorbono a caratteristiche frequenze. Tramite comparazione con banche dati contenenti spettri di sostanze pure è possibile identificare i costituenti del materiale indagato. Quindi l’identificazione di un composto si realizza tramite lo spettro nel quale si visualizza la posizione (che indica quali gruppi funzionali sono presenti), la forma delle bande (che dà informazioni sul gruppo funzionale e sulla purezza del materiale) e l’intensità relativa (rispetto all’intensità di altre bande fornisce informazioni sulla quantità del gruppo funzionale all’interno della molecola). Diffrazione di polveri a Raggi X (XRPD) La tecnica della diffrazione di raggi X si basa sullo scattering elastico coerente: il fenomeno macroscopico della diffrazione nasce infatti dalla somma coerente di tutte le onde elettromagnetiche diffuse dagli atomi che si trovano lungo una stessa famiglia di piani reticolari. Per manifestarsi, richiede necessariamente la presenza di un ordine a lungo raggio, come si riscontra nei cristalli. A seconda della natura del campione in esame si divide in: diffrazione su cristallo singolo (SCXRD, single crystal X-ray diffraction) e diffrazione di polveri (XRPD, X-ray powder diffraction). Teoria della diffrazione Le lunghezze d’onda dei raggi X sono comprese approssimativamente tra 0.02 e 100 Å . Poiché nell’intervallo 0.2 – 2.5 Å le lunghezze d’onda sono all’incirca dello stesso ordine di grandezza
39
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
delle distanze interatomiche, il reticolo cristallino delle sostanze solide è capace, con i piani reticolari ordinati, di provocare fenomeni di diffrazione nei confronti di un fascio di raggi X opportuni, che lo investa secondo una determinata angolazione. In pratica i cristalli possono essere considerati come reticoli con fenditure (gli atomi diffondenti) poste a distanze adatte a dare una figura di diffrazione che contenga memoria della struttura atomica del cristallo. Tale diffrazione da parte dei vari piani cristallini forma una serie di riflessi, variabili per posizione ed intensità, che costituiscono quindi un profilo caratteristico del cristallo che l’ha provocato. La formazione dei riflessi è regolata dal’ equazione di Bragg che esprime la dipendenza della diffrazione di una radiazione elettromagnetica dalle dimensioni del reticolo cristallino: nλ = 2d senΦ, dove n= numero intero (0, 1, 2, ecc.), λ=lunghezza d’onda del fascio di raggi X utilizzato, d= distanza tra due piani del reticolo cristallino e Φ= angolo di incidenza del raggio. Dall’analisi del profilo di diffrazione è possibile risalire sia alla natura della sostanza che alla sua forma cristallina. La tecnica XRD, per quanto non distruttiva in senso analitico, richiede quasi sempre il prelievo di una piccola quantità di campione che va ridotta in polvere. Un fascio monocromatico di raggi X che attraversa il minerale è deviato dagli atomi che costituiscono il minerale stesso. Ad uno specifico angolo di incidenza, i raggi X sono in fase e producono una fascio secondario intensificato. Questo fenomeno è noto come diffrazione che può essere rappresentata come una riflessione del fascio di raggi X sul piano degli atomi. Il fascio diffratto prende il nome di riflessione del primo ordine. La direzione del fascio primario di RX rimane costante perché il campione ruota intorno ad un asse normale al fascio primario. I fasci diffratti arrivano al detector. Così mentre il campione ruota di un angolo θ, il detector ruota di 2θ, ampiezza registrata dal goniometro. La geometria del diffrattometro è tale che, soltanto i grani dei minerali i cui piani di reticolo sono paralleli alla superficie del portacampione contribuiranno al fascio secondario di riflessione che arriverà al detector. È per questa ragione che le particelle della polvere devono essere molto fini in modo da assicurare la presenza di un gran numero di grani ben posizionati. Spettroscopia al plasma a corrente indotta (ICP) Nella spettroscopia di emissione atomica a plasma ad accoppiamento induttivo il campione viene riscaldato in un plasma ad argon ad una temperatura che produca la dissociazione in atomi dei costituenti del campione e che ecciti una frazione degli atomi; dagli stati eccitati essi tendono a ritornare a stati con energia inferiore con concomitante emissione di energia radiante. La radiazione emessa viene inviata in uno spettrometro in modo da disperdere e rilevare la posizione delle righe spettrali. Dall’entità di emissione ad una lunghezza d’onda tipica di ciascun elemento si risale alla concentrazione dell’elemento stesso. L’analisi quantitativa richiede il ricorso a soluzioni standard per la calibrazione. Microscopia elettronica a scansione (SEM) accoppiato a microsonda (EDS) Il microscopio elettronico a scansione e uno strumento elettro-ottico che sfrutta diversi tipi di segnale prodotti dall’interazione tra un fascio di elettroni e il campione. Il fascio primario è prodotto dalla zona prossima alla punta di un filamento in tungsteno (sorgente di elettroni) con forma a V, portato alla temperatura di 2700-2900 K e attraversato da una corrente di circa 1,74 A/cm2 in vuoto a 10-4 Pa. Gli elettroni vengono fatti convergere attraverso un sistema di focalizzazione (lenti magnetiche) su un piccolo spot del campione. Un sistema di deflessione e spostamento del fascio realizza una scansione della superficie del
40
[Quaderni Cesmar7]
campione che potrà essere ingrandita fino a 300.000 volte; tale sistema è composto da due coppie di bobine ognuna delle quali produce un campo magnetico uniforme in prossimità dell’asse ottico, dando luogo ad una deflessione del fascio di elettroni secondo un angolo proporzionale al campo stesso. Dopo aver attraversato le coppie di bobine il fascio passa attraverso una lente elettromagnetica necessaria per rimpicciolire ulteriormente lo spot. In seguito all’interazione tra il fascio elettronico e il campione è possibile rivelare diversi segnali che provengono da diversi livelli di profondità. L’interazione stessa interessa una certa quantità di campione la cui forma e volume dipendono dagli elementi presenti: in caso di elementi a basso numero atomico si ottiene un grado di penetrazione più profondo di quanto avverrebbe per elementi pesanti. L’interazione del fascio primario con il campione produce tre tipi di segnali: elettroni retrodiffusi, elettroni secondari e raggi X caratteristici, che possono essere rivelati attraverso l’uso di sistemi differenti: a. rivelatore a scintillazione: per la rivelazione degli elettroni secondari b. rivelatore a semiconduttore: per la rivelazione degli elettroni retro diffusi Si riportano di seguito procedure di preparazione dei campioni non spiegate durante il testo:
Misura della carbonatazione della malta: test con Fenolftaleina L’intonaco non carbonatato è caratterizzato da un pH estremamente basico, perché costituito in larga parte da idrossido di calcio, mentre l’intonaco asciutto è caratterizzato da un pH più basso, dovuto alla presenza di carbonato di calcio. La carbonatazione avviene in presenza di CO2, di conseguenza l’abbassamento del pH avviene, prima nelle zone in prossimità della superficie e solo successivamente in quelle più interne. Per verificare il livello di carbonatazione si è adoperato come indicatore la fenolftaleina (3,3bis(4-idrossifenile)-1,(3H)-isobenzofuranone)) che è incolore in ambiente acido o neutro, rosa in ambiente basico. Nelle zone a pH superiore a 9 (ricche di idrossido di calcio) la fenolftaleina vira colorazione assumendo un colore violetto intenso, mentre lascia incolori quelle zone a pH inferiore (ricche di carbonato di calcio).
Prova di Permeabilità al Vapor d’Acqua (Normal 21/85) Il riferimento adottato per testare la permeabilità dei provini al vapore acqueo è la normativa italiana Normal 21/85, secondo cui viene definita “Quantità di vapore acqueo che fluisce, nell’unità di tempo, per unità di superficie e in condizioni stazionarie, attraverso un corpo di spessore determinato, tra due superfici, normalmente ad esse, sotto l’effetto di una differenza di pressione parziale di vapore acqueo tra le due superfici”. La misura di permeabilità viene espressa in g/m2 *24h ed è calcolata come la variazione di massa divisa per l’area, entro 24 ore. Prima della pesata, ogni campione è stato essiccato in stufa ventilata ad una temperatura di 60°C e raffreddato in essiccatore, per arrivare a temperatura ambiente, fino al raggiungimento della massa costante. Si considera raggiunta la massa costante quando la differenza tra due pesate successive, a distanza di 24 ore, è inferiore allo 0,01% della massa del campione. Ogni provino poi, è stato posto in un contenitore cilindrico in plastica, in modo da fare da tappo, all’interno del quale è stata inserita una quantità pesata di cotone idrofilo (1,5 g) e 20 ml di acqua distillata. I bordi del provino sono stati sigillati con l’impiego delle guarnizioni (Oring). I campioni di intonaco del 1600, trattandosi di frammenti di forma irregolare, sono stati contornati da cera d’api per farli assumere forma cilindrica.
41
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
In questo modo l’intero flusso di vapore acqueo passa attraverso il provino, con una superficie esposta direttamente al vapore acqueo e l’altra all’esterno. Tutto il sistema contenitore/provino viene poi conservato in essiccatore. Le pesate sono state effettuate ogni 24 h, fino a quando la perdita di acqua fra due pesate successive non diviene costante: in queste condizioni il flusso di vapore è in regime stazionario. Si considera raggiunto il regime stazionario quando le variazioni di peso registrate in due pesate successive differiscono meno del 5%. Per ottenere la permeabilità dei singoli campioni è stato calcolato il valore medio della variazione di peso, prendendo in considerazione gli ultimi valori registrati in regime stazionario. Tale valore medio è stato poi diviso per la superficie (in m2) del campione attraversata dal flusso di vapore. La prova di permeabilità è stata effettuata sia prima che dopo trattamento.
Misura di conducibilità e pH Per verificare un eventuale cambiamento dei supporti, rispetto ai non trattati, sono stati misurati i valori di conduttività e pH dei supporti considerati dopo aver subito il trattamento di pulitura. Dopo aver pesato ogni polvere proveniente dalla superficie di ogni campione (78 mg) è stato aggiunto 1 ml di acqua distillata e sulla soluzione surnatante si sono misurati entrambi i parametri e confrontati coi non trattati.
Misura ponderale di umidità in superfici murarie dipinte La Normal 41/93 descrive la procedura per la determinazione del contenuto d’acqua in un campione di materiale lapideo con metodo ponderale e si applica a campioni di massa compresa tra 2 e 50 g. Il principio su cui si basa la procedura è la determinazione della perdita di massa di un campione dopo essiccazione per riscaldamento a temperatura massima di 105°C. Terminato ogni trattamento di pulitura, il campione è stato macinato in un mortaio in agata ed una parte del campione è stato depositato in contenitore pirex, subito coperto e successivamente pesato. Dopo la pesata, ogni campione è stato essiccato in stufa alla temperatura di 105°C fino al raggiungimento della massa costante. Prima di ogni pesata il campione è stato lasciato raffreddare in essiccatore fino al raggiungimento della temperatura ambiente.
Misura della penetrazione dell’acqua: test con Rodamina B Per controllare la diffusione dei materiali di trattamento nei campioni, l’acqua utilizzata è stata marcata con un colorante fluorescente, idrosolubile, la Rodamina B. Alcuni grammi di colorante sono stati aggiunti al materiale utilizzato per il trattamento. Terminato il tempo di applicazione, ogni campione è stato sezionato, inserito in una camera oscura per essere osservato in luce ultravioletta, impiegando un lampada UV con lunghezza d’onda di 365 nm. Dopo la rimozione dell’impacco non è stata quindi effettuata la spugnatura con acqua, perché avrebbe falsato la misura. L’analisi è consistita nell’osservazione in luce ultravioletta della diffusione dell’acqua nel materiale.
42
[Quaderni Cesmar7]
Analisi semi-quantitativa di ioni Ca2+ L’obiettivo della seguente indagine è stato quelli di verificare l’eventuale dissoluzione del substrato carbonatico attraverso un’analisi semi-quantitativa, che prevede l’uso di indicatori di ioni Ca2+ presenti nei materiali impiegati per l’applicazione dei trattamenti di pulitura. Il Calcium Test è un test colorimetrico che permette rilevare la concentrazione degli ioni calcio2+, comparando la zona di reazione dell’apposita striscia indicatrice reattiva, con una serie di zone a scala colorimetrica presenti nei riferimenti. Il materiale di trattamento è stato sciolto e/o lavato in acqua distillata e l’acqua è stata analizzata mediante cartine ed opportuni reagenti del kit. Questa operazione è stata eseguita anche per tutti i materiali utilizzati per il trattamento ma non applicati su nessun supporto.
43
APPENDICE III RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI P. CREMONESI, L’uso di tensioattivi e chelanti nella pulitura di opere policrome, Collana I Talenti, Il Prato, 2004. P. CREMONESI, L’uso dei solventi organici nella pulitura di opere policrome, Collana I Talenti, Il Prato, 2004. E. CAMPANI, A. CASOLI, P. CREMONESI, I. SACCANI, E. SIGNORINI, L’uso di Agarosio e Agar per la preparazione di Gel Rigidi – Use of Agarose and Agar for preparing Rigid Gels”, traduzione di D. Kunzelman. Quaderni del CESMAR7, 4, il prato, Padova 2007. M. ANZANI, M. BERZIOLI, M. CAGNA, E. CAMPANI, A. CASOLI, P. CREMONESI, M. FRATELLI, A. RABBOLINI, D. RIGGIARDI, Gel rigidi di Agar per il tratatmento di pulitura di manufatti in gesso – Use of Rigid Agar Gels for Cleaning Plaster Objects, traduzione di D. Kunzelman. Quaderni del CESMAR7, 6, il prato, Padova 2008. NORMAL 8/81: Esame delle Caratteristiche Morfologiche al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM) Si indicano le modalità da adottare in laboratorio per la caratterizzazione (attraverso l’esame al SEM) dei materiali lapidei, valutazione qualitativa della degradazione e controllo degli effetti dei trattamenti conservativi. NORMAL 12/83: Descrizione chimico - mineralogico - petrografico - morfologica dei materiali lapidei artificiali. Aggregati artificiali di clasti e matrice legante non argillosa: schema di descrizione. NORMAL 20/85: Interventi conservativi: progettazione, esecuzione e valutazione preventiva. NORMAL 21/85: Permeabilità al Vapor d’Acqua. NORMAL 23/87: Tecnologia tecnica: definizione e descrizione delle malte. NORMAL 26/87: Caratterizzazione delle malte da restauro. NORMAL 27/88: Caratterizzazione di una malta. NORMAL 41/93: Caratterizzazione fisica dei materiali lapidei artificiali. Misura ponderale dell’Umidità in Superfici murarie NORMAL 43/83: Misure Colorimetriche di Superfici Opache.
44
[Quaderni Cesmar7]
Note biografiche - Erika Beltrami, laureata in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Parma: erikabeltrami@libero.it - Michela Berzioli, laureata in Scienze dei Beni Culturali, ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Scienze Chimiche presso l’Università degli Studi di Parma; lavora nel settore della distribuzione dei prodotti e tecnologie per il restauro. È project manager del Cesmar7: michela.berzioli@libero.it - Marco Cagna, restauratore diplomato presso il centro di formazione professionale Enaip Botticino (BS). È project manager del Cesmar7: marcocagna@libero.it - Antonella Casoli, professore straordinario di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Parma, è presidente del Consiglio di Corso di Laura Magistrale in Scienze per la Conservazione e il Restauro. È membro del Comitato Scientifico del Cesmar7: antonella.casoli@unipr.it - Valentina Emanuela Selva Bonino, diplomata come Tecnico del restauro di dipinti murali e materiali litoidei presso il centro di formazione professionale Enaip Botticino (BS), laureata in Scienze dei Beni Culturali, è iscritta al primo anno di Dottorato in Scienze Chimiche presso l’Università degli Studi di Parma. È project manager del Cesmar7: vselvab@gmail.com
Si ringrazia il Dott. Paolo Cremonesi, per il suo prezioso contributo alla realizzazione di questo studio. Si ringraziano, inoltre, il Prof. Claudio Mucchino, il Prof. Giovanni Predieri, la Dott.ssa Clelia Isca, la Dott.ssa Claudia Nardinocchi, il laureando Francesco Mascolo, il Sig. Giuseppe Foroni e la Sig.ra Roberta Magnani del Dipartimento di Chimica, il Sig. Luca Barchi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Parma.
45
FIGURE
[Quaderni Cesmar7]
Figura 1. Polimerizzazione dell’acido acrilico in presenza di divinilglicole.
Figura 2. Struttura schematizzata del Carbopol®.
Figura 3. Curva concentrazione-viscosità per il Carbopol Ultrez 21®. Figura 4. Provino di calce area preparato ad hoc di diametro 6 cm.
49
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Figura 5. Frammento di intonaco del 1600.
Figura 6. Glove box contenente i provini, collegata al sistema Kipp.
Figura 7. Test della fenolftaleina prima (a sinistra) e dopo (a destra) la carbonatazione accelerata.
Figura 8. pallone di reazione con la polvere del campione e la soluzione chelante (8a); beuta codata con filtro Buchner collegata alla pompa per il vuoto (8b); matraccio con la soluzione campione e cristallizzatore con il residuo solido del campione (8c).
50
[Quaderni Cesmar7]
Figura 9. Sequenza operativa di applicazione e rimozione del gel di CarbopolÂŽ con agenti chelanti su provini di malta di calce aerea: applicazione per mezzo di una spatolina (in alto a sinistra); provino durante il trattamento (in alto a destra); rimozione del gel con la spatolina, raccolto poi nel becker (al centro a sinistra); lavaggio della superficie con acqua distillata (al centro a destra); risciacquo con spugna imbibita di acqua distillata (in basso a sinistra); rifinitura con tamponcino imbibito d'acqua (in basso a destra).
51
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Figura 10. Sequenza operativa di applicazione e rimozione del gel di CarbopolÂŽ con agenti chelanti su provini di malta di calce aerea: applicazione della carta giapponese con pennellessa bagnata con acqua distillata (in alto a sinistra); stesura del gel con la spatolina (in alto a destra); rimozione della velina e del gel (in basso a sinistra); recupero del gel e raccolta nel becker (in basso a destra).
Figura 11. Immagine allo stereo microscopio della superficie del provino di intonaco (7X).
52
Figura 12. Immagine SEM-SE della superficie del campione di intonaco (400X).
[Quaderni Cesmar7]
Figura 13. Diffrattogramma della polvere del campione di intonaco (Q=quarzo, C= calcite, D= dolomite, A= albite).
Figura 14. Immagine allo stereomicroscopio della superficie del frammento di intonaco del 1600 (10X).
Figura 15. Immagine al SEM-SE della scaglia del frammento del 1600.
Figura 16. Immagini SEM-SE della superficie di una scaglia del provino in calce aerea prima (a sinistra) e dopo (a destra) trattamento con polpa di cellulosa con carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese.
53
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Figura 17. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del provino in calce aerea sul quale è stato applicata per 30 minuti polpa di cellulosa, carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese. L’acqua è stata marcata con rodamina B, fluorescente all’UV.
Figura 18. Immagine allo stereo microscopio della superficie del frammento di intonaco del 1600 dopo trattamento con impacco di polpa di cellulosa e carbonato di ammonio con interposizione di carta giapponese (10x).
Figura 19. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del frammento del ‘600 sul quale è stato applicato per 30 minuti polpa di cellulosa, carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese, tinto con rodamina B.
Figura 20. Fotografia della sezione del provino in calce aerea sul quale è stato applicato per 30 minuti sepiolite e carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese (blu metilene).
Figura 21. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del provino in calce aerea sul quale è stato applicato per 30 minuti polpa di cellulosa, sepiolite e carbonato d’ammonio con interposizione di carta giapponese (rodamina B). Figura 22. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del provino in calce aerea sul quale è stato applicato per 15 minuti gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; l’acqua di preparazione del gel è stata tinta con rodamina B, di marcata fluorescenza UV-.
54
[Quaderni Cesmar7]
Figura 23. Immagine SEM-SE della superficie del frammento del 1600 dopo trattamento con gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8 con interposizione di carta giapponese; si nota la presenza di un residui superficiali di materiale gelificante.
Figura 24. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del frammento del 1600 sul quale è stato applicato per 15 minuti Carbopol® salificato con NaOH (2M) con interposizione di carta giapponese, tinto con rodamina B.
Figura 25. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del provino in calce aerea trattato per 15 minuti con gel di Carbopol® salificato con idrossido di sodio a pH 8, tinto con rodamina B.
Figura 26. Fotografia in luce ultravioletta della sezione del frammento del 1600 sul quale è stato applicato per 15 minuti Carbopol® salificato con NaOH (2M), tinto con rodamina B.
55
[Quaderni Cesmar7] La pulitura dei dipinti murali
Figura 27. Spettri FTIR del campione di solfato di calcio/silice, dopo trattamento con citrato di sodio (sopra), prima del trattamento (in mezzo), del citrato di sodio tribasico diidrato Fluka (in basso).
Figura 28. Diffrattogrammi sovrapposti dei campioni di solfato di calcio/silice prima (in nero) e dopo (in rosso) il trattamento con citrato di sodio.
Figura 29. A sinistra, provino E3C, trattato con gel di CarbopolÂŽ e EDTA trisodico, senza interposizione di carta giapponese. A destra, particolare delle zone abrase del campione (7X).
56
[Quaderni Cesmar7]
Figura 30. Immagini al SEM in elettroni secondari della superficie del campione E3C, trattata con EDTA trisodico, senza interposizione di carta giapponese: a sinistra microcrateri (400X); al centro e a destra, è ben evidente la micro corrosione (al centro a 400X e a dx a 1000X).
Figura 31. Immagini al SEM in elettroni secondari della superficie del campione E6V, trattata con EDTA trisodico con interposizione di carta giapponese: a sinistra in modalità elettroni secondari, a destra in elettroni retro diffusi. (400X) Sotto: particolari, a sx della zona liscia e a dx della zona “rugosa” (1000X).
Figura 32. Provino C5V, trattato con gel di Carbopol® a citrato di sodio tribasico, con interposizione di carta giapponese (a sinistra). Particolari della superficie: al centro a 7X e a destra immagine al SEM in elettroni secondari (1000X).
57
INDICE
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
3
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
5
Capitolo I. Generalità sul Carbopol® e sugli agenti chelanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
7
Capitolo II. Scopo dello studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 11 Capitolo III. Procedura sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 12 - Capitolo IIIa. Confronto tra metodi tradizionali e gel di Carbopol® . . . . . . . . . . . p. 12 - Capitolo IIIb. Il gel di Carbopol® come addensante di soluzioni chelanti . . . . . . . p. 15 Capitolo IV. Risultati e discussione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 19 - Capitolo IVa. Confronto tra metodi tradizionali e gel di Carbopol® . . . . . . . . . . . p. 19 - Capitolo IVb. Il gel di Carbopol® come addensante di soluzioni chelanti . . . . . . . p. 27 Appendice I. Materiali e strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 36 Appendice II. Sezione sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 39 Appendice III. Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 44 Figure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 47
Š il prato casa editrice via lombardia 41/43 35020 Saonara (PD) tel. 049 640105 fax 049 8797938 ilprato@libero.it www.ilprato.com finito di stampare nel mese di marzo 2012 presso le Arti Grafiche Padovane