Quaderni Cesmar7 07 Verifica 2011

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Michela Berzioli, Antonella Casoli, Paolo Cremonesi, Maria Fratelli, Davide Riggiardi, Irene Zorzetti

VERIFICA ANALITICA DELL’IDONEITÀ DELLE SOLUZIONI ACQUOSE NELLA PULITURA DI SCULTURE IN CERA


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RINGRAZIAMENTI Si ringrazia il Dott. Sandrino Schiffini, direttore della Galleria d’Arte Moderna di Milano per aver accolto e approvato il progetto di questa ricerca. Un ringraziamento a Marina Pugliese conservatore e responsabile del progetto del nuovo Museo del Novecento per aver concesso di ampliare le indagini a opere che saranno di pertinenza della collezione del nuovo Istituto. Un ringraziamento al Dott. Giovanni Antonioli e al Dott. Remo Reverberi del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Parma per le misure colorimetriche effettuate con lo scanner multispettrale. L’autorizzazione ad effettuare campionatura sulle opere è stata concessa dalla Soprintendenza per i Beni storici artistici ed etnoantropologici per le provincie di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia, Sondrio, Varese, Soprintendente Dott.ssa Sandrina Bandera, Funzionario responsabile Dott.ssa Isabella Marelli.


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INTRODUZIONE Metafora della memoria Il progetto volto alla ricerca di approcci più corretti al restauro delle sculture in cera nasce, nell’ambito della collaborazione, ormai non più episodica, tra la Galleria d’Arte Moderna di Milano (GAM) e il Centro per lo Studio dei Materiali per il Restauro Padova (CESMAR7). Il Museo, quale responsabile di un cospicuo patrimonio di oltre 3.000 opere, trova nel centro un consulente capace di affiancare il lavoro del conservatore con competenze e studi che l’istituzione, per mancanza di personale e risorse, non potrebbe promuovere. Tramite il CESMAR7 il Museo ha instaurato una ulteriore collaborazione con diversi Istituti Universitari che hanno consentito di incrementare e sviluppare con le necessarie argomentazioni e strumentazioni nuove indagini e nuovi progetti, finalizzati alla conoscenza del patrimonio e quindi alla sua più efficace conservazione. Per questa ricerca, imprescindibile è stato il gruppo di lavoro del Dipartimento di Chimica Generale ed Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica dell’Università degli Studi di Parma, che ha impostato e condotto con noi le procedure analitiche di verifica dei materiali costitutivi di un nucleo di cere del Museo, procedendo poi al riscontro di alcune applicazioni idonee alla loro pulitura. Nella collezione si trovano infatti le ragioni e le fonti primarie per la messa a punto di indagini, prove e approfondimenti delle ricerche condotte, in questo caso a fronte della necessità di impostare un progetto di pulitura di integrazioni con frammenti originali e cere di nuova produzione su un gruppo di opere realizzate tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Conservate da decenni nei medesimi locali del Museo, hanno un passato conservativo e quindi anche danni e degradi, simili o perlomeno imputabili ad un comune criterio di gestione. Coperte da depositi di polvere, avevano subito traumi inflitti da incaute movimentazioni ed erano uscite, proprio per la loro fragilità, dal percorso museale. Con i referenti del progetto sono quindi state individuate quattro sculture: Il ritratto del pittore Fortuny, 1873 ca. e Il vasaio, 1915, di Vincenzo Gemito, Il velo di Pietro Cendali, 1890-1910 ca., , La madre dormiente di Raffaele Scorzelli, 1947, sulle quali testare un metodo di ricerca. Prima di questa indagine, era infatti uso delle passate direzioni affidare gli interventi di conservazione e restauro a nomi di rinomata competenza, esaurendo, in questo, la funzione del Museo. Oggi, prima di procedere con nuovi incarichi, il proposito del Museo è quello di essere in grado di valutare le proposte e gli interventi dei restauratori, alla luce di una maggiore conoscenza del materiale e con un maggior grado di consapevolezza nelle scelte del progetto. Senza nascondere un’ambizione ancora più grande cioè quella di arrivare, come nel caso dell’Agar, alla messa a punto nonché alla successiva certificazione, di un prodotto sicuro e di una metodologia d’intervento realizzabile con applicazioni prudenti e calibrate su superfici delicate quali i gessi [1]. Ancor più delicata della collezione dei gessi pare infatti la raccolta delle cere: dai piccoli capolavori di Gemito fino alla serie di Rosso attraverso varie declinazioni del materiale nel bassorilievo e nel tuttotondo, nel bozzetto e nell’opera finita, in una gamma amplissima di colori. In Museo sono catalogate una trentina di opere in cera, due i nuclei più consistenti, quello di Medardo Rosso, su cui torneremo e quello di Vincenzo Gemito, di quest’ultimo opere di spettacolare bellezza il Pescatorello, il Carlo V, la Testina di acquaiolo, la Testina di donna caprese Rosa, la Testina di prete, le quattro teste di Medusa1. Il prodotto naturale cera, così vulnerabile alla temperatura e alla movimentazione, affascina gli scultori dell’Ottocento che pongono, con il suo uso, le premesse della “non durabilità” dell’arte, anticipando temi e considerazioni propri del contemporaneo. Nonostante sia da sempre materia dello scultore, la cera trova un suo compimento quale materiale grezzo alla svolta dell’ultimo secolo, in opere finite proprio grazie alla sua “instabilità”. Metafora prediletta della memoria e dei suoi processi, da Aristotele a Freud, la cera era trattata per le sue proprietà da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Materiale incantato perché quasi animato, la cera è stata usata, nel corso dei secoli, per le sue caratteristiche antropomorfe; duttile e biologica era particolarmente adatta a descrivere l’anatomia umana, fino ad applicazioni di spettacolare teatralizzazione nei

1. Queste cere hanno subito un intervento di pulitura di superficie con sola rimozione a pennello delle polveri e pochissime localizzate incollature di parti mobili che rischiavano di trasformarsi in lacune durante il trasporto a Napoli delle opere per la mostra monografica dedicata all’autore. Anche in questo caso si è preferito non procedere ad interventi di restauro proprio per potersi avvalere di ulteriori studi e ricerche. La documentazione fotografica dettagliata delle cere di Gemito con dettagli dello stato di conservazione è consultabile presso la GAM.

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musei delle cere. Tra i più noti il Musée Grevin di Parigi e il Madame Tussaud di Londra dove, con intenti paragonabili a quelli delle Wunderkammern, lo scopo delle sculture era quello di sorprendere e affascinare lo spettatore, messo di fronte a scene ed eventi storici interpretati da personaggi veri. Quale materiale modellabile di così stretta relazione cromatica e materica con la materia vivente, la cera era quindi elemento costitutivo di molte opere pertinenti all’artigianato artistico per la fornitura di materiali di studio o a carattere votivo. A Firenze, in Orsammichele, come alla Santissima Annunziata, nel Rinascimento e per tutto il Seicento, le pareti erano ricoperte di ex-voto raffiguranti membra, organi, oggetti, sculture a grandezza naturale. Nel XVI secolo si affermano le scuole di anatomia artistica, dove vengono create raffigurazioni in cera a scopo scientifico, necessarie alla didattica e allo studio e alla costituzione dei musei scientifici settecenteschi come quello di Anatomia Umana dell’Università di Bologna o quello della Specola di Firenze. Lo studio dell’anatomia così utile sia agli artisti, basti citare il lavoro di vivisezione condotto da Leonardo per potersi addentrare nei meandri del corpo umano, sia per lo studio della medicina, poteva essere protratto anche lontano dai tavoli anatomici e i casi di interesse particolare potevano essere fermati nel modello in cera, per ulteriori studi e comparazioni. La realizzazione di un modello anatomico in cera poteva infatti richiedere più di duecento cadaveri, perché non esisteva un modo per conservare i corpi. Una volta preparato dai dissertori il pezzo anatomico, veniva calcato; bagnato a lungo in modo da renderlo impermeabile e spalmato di sapone, il calco veniva riempito di cera; tra le più usate la bianca di Smirne, quella di Venezia e la cera cinese, rese elastiche con l’aggiunta di trementina, dove venivano sciolti i coloranti. Una volta aperto il calco, al pezzo venivano aggiunti vasi, nervi e tutto quanto serviva a renderlo identico al modello. La verniciatura ultimava il lavoro. Questa possibilità di riprodurre in modo iperrealistico parti anatomiche e anche, nella cultura del presepe napoletano, ogni singola componente naturale, persone, animali o vegetali, ad opera di artigiani di grande fama, circoscrive la cera in un ambito alternativo e complementare a quello comunemente inteso della scultura e della statuaria, affidate a materiali più nobili e duraturi [2, 3]. Lasciando sfumare nell’ambito delle conoscenze tecniche, poco note ai fruitori del prodotto finito, quanto la cera sia, anche per queste ultime elemento costitutivo da un lato dell’idea e dei diversi bozzetti utili alla ideazione dell’opera, dall’altro quale parte fondamentale del processo di fusione. Nei calchi a cera persa, infatti, quello che si va a sciogliere nel bronzo è il modellato in cera realizzato per mano dell’artista. In Asia minore e in Egitto le tecniche di fusione del bronzo a cera persa erano state messe a punto fin dal III millennio avanti Cristo permettendo la realizzazione di oggetti molto complessi ma, considerata la capacità di operare in un solo getto, relativamente di piccole dimensioni (Il Suonatore di flauto del Museo di Samo è alto 42 cm). Fu quindi necessario elaborare un modello in cera dotato di un’anima in terra per arrivare a realizzare la statuaria di tipo monumentale, in questo caso la fusione andava a sostituire la cera in una intercapedine creata tra la struttura interna dell’opera e la forma esterna, realizzando quindi fusioni leggere e omogenee. Questa tecnica di fusione a cera persa con un’anima di argilla passò dall’Egitto alla Grecia, nella prima metà del VI secolo, consentendo effetti di naturalismo impensabili nella statuaria in pietra, nella quale gli aggetti delle membra richiedevano una serie di puntelli che erano inutili nel bronzo (Zeus Artemision, 460 a.C., Museo Nazionale di Atene). Un nucleo di terra riceveva quindi una forma sommaria modellata poi con precisione in uno strato di circa 2 cm di cera. Prima della fusione venivano aggiunti dei condotti in cera a guisa di sfiatatoi e poi il tutto era rivestito di uno spessore di terra sufficiente a sostenere il getto metallico. Questo guscio veniva fissato alla forma con un’armatura con chiodi di tenuta. La cottura della terra nel forno portava poi all’uscita della cera e quindi alla creazione di un’intercapedine vuota dove colare il bronzo. A partire dal III secolo, il procedimento venne sostituito dalla tecnica a tasselli che consentiva la conservazione del modello e la sua tiratura in più esemplari ma questo comportò la sostituzione della cera con l’argilla. La cera era nuovamente necessaria quando, smontata la forma in gesso a tasselli, costruita direttamente sulla creta, questa veniva ricomposta e poi, premuta o spalmata o versata allo stato liquido, rivestita di cera. Riempita ancora di terra a formare una matrice, la forma esterna veniva smontata, la cera ripulita e riordinata dove necessario, rivestita di argilla e nuovamente cotta, con il risultato di salvare il modello originario. La cera usciva però, in questo modo, dal cuore del processo di modellazione, per essere parte di un procedimento tecnico. Si separava quindi molto spesso il compito dell’artista da quello del tecnico fonditore. Nel Rinascimento italiano anche l’impiego dei due procedimenti differenzia l’artista creatore, che lavora a cera persa, dall’esecutore che ricava repliche da modelli già esistenti. Ghiberti modellò e poi fuse nella

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cera le porte del Battistero di Firenze e il processo della fusione, nelle sue specifiche di opera prima e opera di bottega, è descritto dallo stesso Ghiberti nel suo Trattato della scultura del 1568 [4]. Nell’Ottocento, la separazione non solo teorica tra i due procedimenti, avrebbe portato l’artista sempre più lontano dalla fonderia, dove la sua presenza si limitava alla necessità di rifinire le cere e pulirle dalle bave corrispondenti ai tasselli prima della fusione definitiva, lasciando al fonditore la pulitura finale del bronzo dagli sfiatatoi e dai chiodi. Una reazione forte a queste prassi, comincia però a profilarsi a opera dei grandi scultori del secolo che, lontani da procedimenti di bottega, ripercorrono, con altri criteri di valutazione e giudizio, il percorso creativo della scultura, che ritrova nella cera una sua anima. Un solo esempio, oltremodo significativo di questa trasformazione, è perfettamente e compiutamente leggibile nelle opere di Medardo Rosso. A partire dai bronzi dove si nota con prepotenza la cura con cui il maestro segue tutte le tappe della fusione, la non presenza di procedimenti di pulitura e occultamento delle finiture ad opera del fonditore e la costante presenza del suo intervento nel modello in cera. Questo ritorno alla modellazione in cera, in una rivalutazione della materia quale raccoglitore di memoria, lo condurrà alla modellazione di opere destinate a sopravvivere in questo materiale senza ulteriori successive fusioni o eventualmente in fusioni che non precludono la conservazione di un primo modello mai replicato, ma sempre variato nei successivi esemplari alla ricerca di altri effetti e variazioni del tema. A partire dal 1883 l’uso della cera diventa costante; in quell’anno, sulla Domenica Letteraria, Vittoria Pica descriveva la Petite danseuse de quatorze ans di Degas presentata a Parigi nel 1881 con notevole riscontro da parte degli Impressionisti che vi riconoscevano capacità notevoli di resa del vero con effetti addirittura illusionistici nelle stoffe dell’abito e nei capelli, che riportano alle esperienze della ceroplastica. Rosso disse di Degas: “Dipingeva le ballerine come un giorno gli Egiziani avevano scolpito i loro Re. Non si trovava niente che non appartenesse al soggetto” [5]. Alla morte di Degas si contavano 74 sue sculture in cera, poi fuse da Hérard nel 1919 in bronzo, anche se non pensate in questo materiale dall’autore, perché ciò che lo interessava era il movimento e per seguirlo aveva spostato la sua ricerca verso l’argilla e la cera per la loro malleabilità. Si potrebbe quindi tracciare una linea virtuale che da Degas, attraverso Rosso, arriva a Rodin, e torna poi, anche se il francese non riconobbe a sufficienza la qualità del giovane amico, nell’alveo della tradizione della fusione in più esemplari, agli scultori italiani del primo Novecento. Scriveva infatti Guillame Apollinaire dopo il 17 novembre 1917: “La morte di Rodin non ha spinto i critici a parlare di Medardo Rosso che è ora, senza dubbio, il più grande artista scultore vivente. L’ingiustizia di cui questo prodigioso scultore è sempre stato vittima non è riparata. Intanto Medardo Rosso lavora in silenzio a Parigi. Nella quiete del suo studio egli evoca quegli artisti del Rinascimento, maestri e artigiani nello stesso tempo, che facevano tutto da sé” [6]. Solo i recenti studi stanno portando alla luce uno scultore il cui operato è completamente condotto nella ricerca di una soluzione tecnica che diventi poetica non tanto della dissoluzione della forma quanto della sua possibilità di comprendere l’atmosfera che circonda il soggetto, il suo essere parte di uno spazio in un processo in atto che trasferisce nella forma, quale spazio aperto, la continuità spaziale come relazione tra corpo e ambiente, interno ed esterno, vuoto e pieno. Nel suo mimetismo materico, nello sfoggio di abilità, nella sua scelta di materiali poveri e nel processo in qualche modo interrotto al substrato della memoria e non obbligatoriamente concluso del bronzo, Medardo Rosso prova che “la materia risulta dagli atti dell’artista” [5] o, per dirla con Ovidio che “Materiam superabat opus” [7]. Sono stati gli ultimi studi di Paola Mola e Fabio Vitucci, lettori attenti di tutto il percorso fotografico e di tutta la ricerca di Rosso a giungere, attraverso l’apprendimento degli elementi e degli accorgimenti tecnici, alla scoperta della sua autografia dentro le scabrosità del bronzo, nello scivolare e incespicare nelle superfici di cera, nei lati oscuri della struttura. Il risultato è stato quello di restituire a pochi capolavori l’originalità soffocata da una pletora di multipli che negli ultimi anni hanno contribuito a diffondere l’opera dell’artista nel mondo, ma anche ad occultarne le specificità che fanno di ogni singolo pezzo quasi un reperto di valore etnografico. Strepitoso l’incipit del volume: “Rosso è uno di quei pochi dove il genio scorre diretto nell’opera, travolgente e indifferenziato, con la “Naturale oscurità delle cose”... Al valico tra moderno e contemporaneo ha introdotto una scultura del transitorio, esposta al rotto e al disfatto, disponibile al Caso, di materia assorbente... Ha riportato l’antico come un presente al di qua della storia: l’unità luminosa dell’Egitto, il tragico dello scavo gotico, l’instabilità barocca, il flusso e l’indecisione dello stiacciato donatellesco. Eliminando lo stile con uno scarto sconcertante, ha raccolto tutto tra i musei d’Europa” [8]. Interessante la possibilità di ripercorrere la collezione del Museo, ricca di oltre sedici opere dell’artista e di confrontare i risultati della ricerca storico critica attuale, con la lettura visiva della materia fatta da

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Sergio Angelucci in occasione del restauro2. Scriveva infatti nella relazione sulle cere: “Vi è una caratteristica comune, seppure in varia misura, ad alcune di queste e precisamente a: La portinaia, L’età d’oro, Bambino all’asilo dei poveri, Dama della veletta. Si tratta di sculture che hanno un recto “finito” in cera e mostrano sul verso il gesso di supporto. Il confine tra queste due parti e quindi il bordo nel quale, al perimetro dell’immagine i due materiali si incontrano, nelle sculture di Rosso che ho visto in passato e quanto mai frastagliato e incerto, giungendo in alcuni casi ad includere anche la “portata” della forma, con le sue chiavi di riferimento. La superficie del gesso sul verso inoltre è sempre molto movimentata e mostra chiaramente i segni del modo nel quale il gesso è stato applicato. Non così invece per le sculture che ho elencato e che presentano tagli netti al bordo e/o gesso tirato, rifinito, dopo l’applicazione... Noto che queste opere sono state tutte acquistate dal figlio dello scultore nel 1953, mi domando quindi se non si tratti di repliche postume tratte da modelli originali, rimasti nello studio di Rosso e passati, alla sua morte, agli eredi” [9]. L’ipotesi di Angelucci è oggi attestata dal catalogo ragionato che cita tra le opere di Rosso eseguite da Francesco, quindi autentiche ma non originali, La portinaia, cera su gesso inv. 2030, Aetas aurea, cera su gesso, inv. 7534, Bambino alle cucine economiche, cera su gesso, inv. 7537 e Femme à la voilette, cera su gesso, inv. 7535 oltre a Bambina ridente, cera su gesso, inv. 7536; il confronto tra diverse e differenti tipologie di ricerca e la condivisone dei risultati è controprova di quanto si integrino le varie funzioni di conservazione e ricerca che il Museo deve condurre3. L’interesse per il carteggio tra la direzione e Angelucci è avvalorato dal fatto che, solo eccezionalmente il Museo procedeva con indagini preliminari così accurate e con un progetto complessivo di documentazione in occasione di un restauro4. La ricerca preliminare ai restauri di Rosso prende infatti le mosse da una serie di inventariazione e analisi diagnostiche: descrizione allo stereomicroscopio, analisi spettrofotometrica, analisi gascromatografica e analisi chimiche motivate dalla necessità di definire la composizione della cera e riconoscere la presenza di coloranti e pigmenti5. Le schede del laboratorio di restauro raccolgono poi i dati in forma essenziale: i consueti dati anagrafici, elementi come le misure, il peso, materiali costitutivi principali, materiali costitutivi secondari, materiali di supporto, tecniche di esecuzione della struttura, tecniche di qualificazione della superficie, tecniche di esecuzione dei supporti; successivamente, i tipi di degrado: modificazioni strutturali, meccaniche e chimiche, mancanze, alterazioni superficiali meccaniche e chimiche, alterazioni del supporto, interventi di restauro già effettuati, per poi procedere alla descrizione degli interventi effettuati sulla struttura, sulla superficie, sul supporto. Comune la tipologia dei danni riscontrati: lacune determinate da cause accidentali, da calore incidente, qualche cedimento di origine non completamente accertata, il riscontro in alcune figure di problemi di statica, per tutte, la presenza di impolverature che snaturano l’aspetto della materia6. Già dalla partizione delle schede si evince come il restauratore intenda la scultura quale opera polimaterica composta appunto da struttura, supporto e superficie. Dove alla superficie spetta però l’essenza dell’opera ovvero quei millimetri di cera nella quale Rosso ha impresso nel materiale “la vita, e trattiene l’esistente tra gli anfratti della sostanza molle, in una forma instabile che appare e scompare con la luce che cambia, o con il nostro movimento, lasciando grumi insensati di materia”[8].

2. Il lavoro di Angelucci risale al 10 settembre 1993, come si evince dalla autorizzazione concessa dalla Soprintendenza che affidava la direzione del lavoro alla dott.ssa Luisa Arrigoni. 3. Agli atti è il documento di consegna di copia delle relazioni di restauro alla signora Daniela Marsure Rosse e quindi alla curatrice del catalogo. Le considerazioni di Angelucci hanno concorso alla attribuzione delle opere a Francesco. 4. Sulla ricostruzione delle volontà e delle intenzioni espresse dal Museo in merito alla progettazione e realizzazione di restauri i lavori sono iniziati con una prima serie di indagini nell’ambito del progetto ASRI, cfr. Restauri e restauratori alla GAM 1927-1949. Primi esiti di una ricerca, a cura di Maria Fratelli con Studi e Ricerche di Anna Affede e Eva Berti, Il prato casa editrice, Saonara (PD) 2009 e la versione ampliata del saggio su Progetto Restauro, in corso di stampa. 5. La documentazione completa delle analisi e disponibile presso l’archivio della GAM, allegata alla relazione di restauro e alla ricca documentazione fotografica. 6. Di grande interesse perché la conoscenza delle opere ha sempre delle ricadute sul piano museologico e museografico sono le considerazioni che Angelucci fa sull’allestimento della Galleria: “Oltre ad entrare in competizione con la levità delle opere in cera, per la pesantezza del suo disegno e dei materiali con cui è realizzato, offre soluzioni tecniche inutili come i supporti girevoli per sculture definite dall’autore stesso, nei suoi scritti, non a tutto tondo ma con un preciso punto di vista. Si crea inoltre per le opere una situazione di pericolo ad ogni apertura delle vetrine che avviene sollevando con ventose pesantissime teche di vetro al di sopra di fragilissime sculture, operazione per la quale sono necessarie più persone” Sergio Angelucci, si veda nota 2.

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Interessante come per Angelucci sia fondamentale condurre, oltre a pratiche di consolidamento, re-incollaggi, rimozioni di elementi ritenuti non funzionali alla lettura, come alcune pagine di giornale, procedere su tutte le cere con una finitura di superficie capace di restituire alla materia effetti di lucidità e trasparenza. Gli interventi di pulitura sono stati condotti con Acetone e Metiletilchetone, o con Desogen e acqua deionizzata sempre con azione meccanica del batuffolo di cotone, i consolidamenti con resina epossidica e/o Gesso da presa, le reintegrazione con Stearina colorata, le integrazioni di frammenti originali incollate con Cianacrilato7. Nelle relazioni sono inoltre documentati l’uso di sostanze come il Diluente nitro oggi ritenute tossiche e non più in uso tra i prodotti di restauro. Da queste relazioni si evince quanto improbabile sia oggi progettare un intervento con gli stessi parametri: a partire dall’uso iterato del tampone che crea un attrito notevole sulla superficie alla tipologia dei prodotti utilizzati, storicamente datati, per arrivare alla scelta di una patinatura finale con un gusto equivalente a quello di una vernice finale su un dipinto, altra questione oggi seriamente discussa dopo le ultime ricerche sulla tecnica e sui materiali dell’Ottocento. Dopo quasi dieci anni, il presente lavoro intende compiere un passo ulteriore perché, oltre al riconoscimento del materiale, è intenzione di questa ricerca testare i diversi prodotti utilizzabili per procedere alla pulitura delle superfici con lucidature a tampone con Gommalacca. La molteplicità di possibilità pratiche, incrementata dai nuovi prodotti messi a disposizione dai rinomati produttori di prodotti ad uso di pittori e scultori, rende necessario riconsiderare la tradizione alle luce di nuove possibilità di sperimentazione. Da qui il bisogno di rileggere tutta la questione dell’uso della cera quale “nuovo” materiale per opere scultoree partendo dalle analisi delle sostanze che comunemente passano sotto questo appellativo tra Otto e Novecento, verificando l’esistenza di ulteriori declinazioni rispetto alla tradizione e di nuove pratiche di coloritura8. Così quando il Museo si era trovato a dover affrontare il tema nel 2001 per inviare la Maschera dell’Imperatore Alessandro, realizzata da Gemito ad una mostra, senza disporre di tempi che consentissero la predisposizione di ricerche, ha scelto un intervento di pulitura che appariva abbastanza rispettoso del materiale. Innovativa pareva la scelta del collante usato per far riaderire la cera al supporto in gesso senza esercitare inutili apporti di calore e pressione per far ricombaciare perfettamente le parti. Questa esperienza è stata condotta grazie al fatto che, nella collezione, esistono opere coeve e affini per tipologia ma danneggiate in modo irreversibile e tali da non consentire loro una fortuna critica ed espositiva ma che possono essere materiali preziosi sui quali condurre, con minori rischi, la campionatura dei vari solventi, senza manomettere i capolavori nemmeno per piccole prove di pulitura. In previsione di ulteriori restauri, questa soluzione non può però essere considerata soddisfacente se non dal puro punto di vista estetico. La necessità di partire fuori dalla ormai consueta prassi dell’emergenza con i tempi necessari alla messa a punto di una ricerca da parte di un gruppo di lavoro con competenze specifiche, di potersi avvalere di strumentazioni opportune, di non dover arrivare per forza a una soluzione operativa ma di compiere solo uno studio passibile di altri necessari approfondimenti, fino all’individuazione di soluzioni appropriate e certificate, è un privilegio per il quale non posso che ringraziare i curatori scientifici del progetto, auspicando che, anche questo primo importante lavoro sulle cere, alimenti quel patrimonio di conoscenze capace di dare vita, con e per il Museo, a nuovi futuri progetti di ricerca.

7. Tra gli interventi più strutturali si annovera l’inserimento sotto la Donna alla veletta di uno zoccolo per tener sollevata la scultura e restituirle la giusta inclinazione, le singole dettagliate relazioni di restauro sono depositate presso la GAM. 8. Per modellare direttamente la cera questa deve risultare plasmabile, di solito è composta da 5 parti di paraffina, 2 di cera d’api, 1 di colofonia; per pennellare o riempire a risciacquo 1 parte di paraffina, 2 parti di cera d’api, ½ parte di colofonia; la cera per pennellare invernale è composta da 6 parti di paraffina, 3 di cera d’api e 2 di colofonia; per pennellare estiva 6 parti di paraffina, 3 di cera d’api e 4 di colofonia. Queste ricette e altre indicazioni sul colore finale nonché sulla messa in opera cfr. Augusto Giuffredi, Manuale delle tecniche di Formatura e fonderia, Calenzano (Firenze) Alinea 2006, pp. 61-63.

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Figura 1. Vincenzo Gemito, Maschera dell Imperatore Alessandro, prima del restauro.

Figura 2. Vincenzo Gemito, Maschera dell Imperatore Alessandro, dopo il restauro.

Figura 3. Giuseppe Rito, Ritratto di una giovane donna, visione frontale della scultura evidentemente deformata.

Figura 4. Giuseppe Rito, Ritratto di una giovane donna, particolare dei tasselli di pulitura.


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Maschera dell’Imperatore Alessandro. Il restauro Il restauro della scultura in cera raffigurante la Maschera dell’Imperatore Alessandro, realizzata da Vincenzo Gemito nel 1920 circa, è stato l’occasione per effettuare delle prime prove empiriche per cercare un sistema di pulitura rispettoso della cera. La sola presenza dello storico dell’arte e del restauratore ha fatto sì che l’esito della pulitura si basasse prevalentemente sulla percezione estetica, senza la certezza di non aver interferito con la materia costitutiva. L’opera è stata realizzata dall’artista plasmando cere chiare di diverse tonalità. Con la prima cera, Gemito ha modellato la maschera dell’Imperatore, realizzando il solo volto, privo della nuca e terminante all’attaccatura delle spalle. La seconda, lavorata più grossolanamente e addirittura con inclusioni di peli di pennello, è stata impiegata come elemento di raccordo per un cilindro (probabilmente in cartone), utilizzato come sostegno interno di collegamento tra il busto e la base. La terza, ben levigata, è stata stesa con uno spessore variabile tra 2 e 3 mm, su un’anima in gesso piena, tornita per ricavare il piedistallo modanato, di base circolare. L’opera, alta 51 cm, larga 27 cm e profonda 34 cm, pesa complessivamente 4,7 kg. Nel 2001, data del restauro, la scultura doveva essere concessa in prestito per una mostra9 e non versava in ottimo stato di conservazione (Figura 1). I danni erano provocati da due fattori: l’ambiente di conservazione e la coesistenza di due materiali molto diversi tra loro: la cera ed il gesso. La scultura era conservata nei depositi della Galleria d’Arte Moderna di Milano, un ambiente climaticamente stabile, ma parecchio umido e presentava notevoli depositi di particellato atmosferico, maggiormente concentrati nelle zone aggettanti. I movimenti del gesso, materiale estremamente igroscopico, avevano coinvolto anche la finitura cerosa e implicavano in più punti il distacco e la perdita di porzioni di cera. La levigatezza del gesso del piedistallo sul quale avrebbe dovuto aggrappare la cera, unita al problema della movimentazione di questi delicati manufatti, non hanno contribuito alla perfetta adesione tra i due materiali. La base, posata plausibilmente facendo leva su uno spigolo anziché distribuendo simultaneamente la forza sull’intera superficie d’appoggio, ha subito delle sollecitazioni meccaniche tali da aver provocato lo scalzamento di scaglie di cera. Negli anni prima del riordino dei depositi, di fatto coincidente con l’epoca del restauro, le sculture erano conservate accostate tra loro, spesso non isolate dal contatto diretto con il suolo umido e si erano addirittura verificati episodi di vandalismo. Fortunatamente tutti i frammenti importanti (alcuni riccioli e una porzione terminale della parte posteriore del collo) erano stati recuperati nei pressi della scultura, mente mancavano alcune parti di cera riconducibili al basamento. Una crepa tra i 3 ed i 5 mm percorreva totalmente una delle zone di maggior fragilità: quella dalla nuca alla base del collo e terminante con un’ampia lacuna riconducibile ad uno dei frammenti staccati. In Museo erano già state restaurate dal restauratore Sergio Angelucci le più note cere di Medardo Rosso, esposte in una sala del Museo dedicata all’artista. La storia conservativa di quest’opera suggeriva però un’attenzione diversa rispetto alle sculture di Rosso e in particolare a due aspetti primari: A. Il distacco tra la cera e il gesso. B. La rimozione dei depositi che ne condizionavano negativamente l’aspetto. A. Le variazioni dimensionali del gesso, in risposta ai mutamenti climatici, avevano provocato distacchi anche consistenti della finitura cerosa. La cera ha così subito una deformazione plastica difficilmente recuperabile. Le soluzioni possibili per l’incollaggio erano: ricollocare in sede le parti staccate con calore (che avrebbe potuto provocare un’ulteriore arbitraria deformazione della cera), • ottenere il riavvicinamento praticando una pressione, con il rischio di spezzare dei frammenti, • bloccare la situazione allo stato di fatto. •

9. Frammenti, La nostalgia dell’unità perduta nella scultura del XIX e XX secolo - Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente - Milano 25 ottobre-29 novembre 2001.

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Si trattava di trovare un adesivo in grado di colmare lo scostamento tra i due materiali, con caratteristiche sia idrofile per aggrappare sul gesso, che lipofile per far presa sulla cera e che mantenesse, anche nel tempo, una certa elasticità. Il collante che è stato scelto è un adesivo della Lascaux, spesso utilizzato nel restauro dei dipinti per far aderire distacchi consistenti o per incollare fasce perimetrali: Acrylkleber 498 20X. Si tratta di una resina acrilica in dispersione acquosa (Plextol D498) addensato con il 20% di Xilolo. La resina acrilica si lega al gesso, lo Xilolo è in grado di agire sulla componente cerosa, l’addensamento dell’adesivo permette di colmare lo spessore e di far agire i solventi in esso contenuti solo sull’interfaccia. Gli incollaggi sono così avvenuti mantenendo le parti scollate sotto leggera pressione, esercitata fino a completa asciugatura a freddo dell’adesivo, che avviene in un tempo relativamente breve. La forza esercitata è stata determinata rimanendo nell’ambito della deformazione elastica della cera per recuperare parzialmente il distacco. Lo scostamento tra cera e gesso ha permesso di distribuire il gel adesivo su entrambe le facce da incollare. Con questa modalità sono stati ricollocati anche i frammenti recuperati. Per le parti mancanti e per la grossa crepa che attraversava il retro del busto, l’integrazione è avvenuta con cera d’api sbiancata e cera d’api naturale, miscelate tra loro o addirittura pigmentate, a seconda delle differenti cere da integrare. Le miscele di cera per le integrazioni sono state mantenute in fusione su una piastra riscaldante e prelevate man mano per modellare le integrazioni con una spatola mantenuta calda sulla piastra termica e con un termocauterio al quale sono state modificate le punte con sagome in lamierino di rame. Il tono delle integrazioni è stato mantenuto più basso dell’originale, al fine di renderle facilmente riconoscibili. B. Per pulire le sculture di Medardo Rosso, nel 1993 Angelucci aveva adottato miscele di solventi chetonici (Acetone e Metiletilchetone 4:1 v:v.), tranne che per una: Ritratto di Roualt, pulita con Desogen (soluzione acquosa di Benzalconio Cloruro) e acqua deionizzata in rapporto 1:1. A dieci anni di distanza, i sistemi tradizionali di pulitura dei dipinti erano stati messi in discussione, con le più recenti ricerche, che proponevano sistemi acquosi calibrati nella quantità minima necessaria di additivi e che introducevano supportanti per formare gel in grado di limitare la diffusione sottosuperficiale e migliorare la la capacità bagnante dei solventi proposti. La mancanza di riferimenti prevedeva però una serie di test, che seppur di piccole dimensioni non lo erano in numero. Una scultura in cera con analoghi materiali costituenti, ma irrimediabilmente deformata a causa del cedimento di un supporto interno inadeguato di listelli lignei tra loro legati, presentava gli stessi problemi di depositi superficiali, in quanto era stata conservata per decenni nello stesso ambiente. Si tratta della scultura Ritratto di una giovane donna eseguita da Giuseppe Rito antecedentemente il 1938, acquistata alla Mostra Sociale Primaverile alla Permenente di Milano dalle Civiche Raccolte d’Arte (Figura 2). Su questa sono state testate attraverso piccoli tasselli di circa 1 cm2 l’uno, sul bordo posteriore destro della scultura, le seguenti miscele (Figura 2): acqua, acqua e Tween 20 1%, saliva artificiale (soluzione acquosa molto diluita di Mucina), una soluzione basica con la base Tris (tris-Idrossimetilamminometano) a pH 8, acqua ed Alcool Etilico 1:1, acqua e Acetone 1:1, acqua addensata con Klucel G (Idrossipropilcellulosa) al 4% p:v e acqua addensata con Carbopol Ultrez 10 (Acido Poliacrilico) neutralizzato a pH 7 con Trietanolammina. Tutti quanti, senza apparentemente interferire con il modellato ceroso, ottenevano un effetto di pulitura possibile. Selezionando alcune delle miscele, ed in particolare quelle addensate, sono stati effettuati sempre sulla scultura deformata campioni più ampi. Il livello di asportazione dei consistenti depositi compatti e ben adesi, unito ad un’uniformità cromatica superficiale, senza però eccedere oltre i livelli di buona leggibilità, è stato ottenuto addensando acqua deionizzata con Carbopol Ultrez 10 neutralizzato a pH7 con Trietanolammina. L’effetto ottico era quello desiderato anche se una vaga percezione al tatto era di una superficie minimamente appiccicosa, quasi se l’azione chimica del Carbopol, seppur salificato a pH neutro, avesse potuto ammorbidire sensibilmente la cera. A nove anni di distanza, si vuole analizzare criticamente l’intervento fatto, in particolare la fase della pulitura, alla luce di nuovi materiali a disposizione e di un approccio più scientifico. La direzione della GAM, incontrando la disponibilità della Soprintendenza, del CESMAR7, dei chimici dell’università e del restauratore ad approfondire scientificamente la ricerca, ha messo a disposizione alcune delle proprie opere realizzate in cera e conservate nel deposito sculture del museo.

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Bibliografia 1. M. ANZANI, M. BERZIOLI, M. CAGNA, E. CAMPANI, A. CASOLI, P. CREMONESI, M. FRATELLI, A. RABBOLINI, D. RIGGIARDI, Gel rigidi di Agar per il trattamento di pulitura di manufatti in gesso, Quaderno n. 6/CESMAR7, Il Prato casa editrice, Saonara (PD) 2008 2. M. FRATELLI, La scultura colorata, Il colore del vero, Milano Skira 2001 3. M. LEMIRE, Artistes et mortels, Paris Chabaud, 1990, Encyclopaedia Anatomica, Collezione completa di cere anatomiche, Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze sezione di zoologia la Specola, Köln Taschen 1999 4. AA.VV, Le tecniche artistiche, ideazione e coordinamento di Corrado Maltese, Mursia, Milano 1973, p. 33 5. C. DE SAINTE-CROIX, Medardo Rosso “Mercure de France” p. 379, il passo è citato in Jole de Sanna, Medardo Rosso o la Creazione dello Spazio Moderno, Mursia Milano 1985, p. 64 6. G. APOLLINAIRE, “L’Europe Nouvelle”, Parigi 13 luglio 1918, il passo è citato in Jole de Sanna, op. cit. p. 104 7. PUBLIO OVIDIO NASONE, Metamorfosi. a cura di Piero Bernardini Marzolla, Torino Einaudi, p. 46, la citazione è scelta quale titolo del saggio di Maria Fratelli in corso di stampa per la mostra Fuoco, Milano Palazzo Reale 4 marzo 2010 8. P. MOLA, La noia di Baudelaire, in Paola Mola, Fabio Vitucci, Medardo Rosso. Catalogo ragionato della scultura, Skira, Milano 2009, p. 9, p. 25 9. S. ANGELUCCI, Rilevamento dello stato di conservazione di otto sculture in cera di Medardo Rosso della Civica Galleria d’Arte Moderna di Milano, Relazioni di restauro dattiloscritte ACRA, presso GAM.

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CAPITOLO I I PROBLEMI CONSERVATIVI DELLE SCULTURE IN CERA DELLA GAM Le sculture in cera della GAM sono depositate in tre diversi spazi all’interno del Museo: le cere di Medardo Rosso fanno bella mostra di sé nel corridoio dedicato all’artista, dentro una teca unitaria composta sulla base di una fotografia eseguita dell’artista di un allestimento temporaneo realizzato nel cortile dello studio (Figura 3). Le cere di Rosso permangono in uno stato conservativo abbastanza critico nonostante siano ancora in buone condizioni di presentazione: i degradi maggiori sono infatti costituiti dai distacchi della cera dal supporto sottostante per cui, una minima pressione, potrebbe fratturare la cera deformata e sollevata. Numerose sono le fessurazioni a correre lungo le superfici e un effetto diffuso di “scioglimento” a causa della loro esposizione per anni in un allestimento non idoneo e in sale a tratti eccessivamente calde. Diversa la situazione del nucleo di cere conservate nei depositi sotterranei del Museo (Figura 4), dove il danno descritto per le opere di Rosso si è trasformato in sollevamenti pericolanti, distacchi di grandi porzioni di cera dal supporto e lacune verosimilmente imputabili ad errate manipolazioni e movimentazioni. Di questi e di tante delle lacune si conservano i frammenti. Da questo gruppo sono state selezionate le opere più bisognose di interventi di restauro urgenti e anche funzionali alla ricerca. Il deposito sotterraneo ha una temperatura invernale di circa 17 °C con il 35% di umidità ma è riuscito, in estate, a raggiungere livelli di umidità del 90%. Non essendo documentate o testimoniate le ragioni di molte lesioni, oltre a incaute movimentazioni, è lecito ipotizzare anche un degrado dovuto a questi cambiamenti climatici, che possono aver sollecitato, con adattamenti diversi, cera e supporti. Lo spazio attualmente individuato per la loro collocazione è un tavolo posto in una piccola sala, dove le condizioni microclimatiche paiono essere più stabili, una controprova di questa “impressione” verrà dal monitoraggio ambientale in corso di realizzazione. Altre cere, molto piccole, sono allocate in scaffali metallici chiusi, nello spazio del Museo Marino Marini. Le cere presentano numerosi danni dovuti a imballaggi in carte veline e pluriball che hanno impedito a chi movimentava le opere di vederne le fragilità, come si capisce dalle molte piccole fratture degli aggetti. In considerazione delle migliori condizioni di sicurezza ottenute dopo il riordino dei depositi sotterranei, anche queste opere sono state progressivamente trasferite in questi spazi dove possono essere esposte senza imballaggio. Le fratture più evidenti non superano i pochi centimetri ma sono devastanti su opere realizzate con gusto miniaturistico, soprattutto sulle piccole Meduse o sul Pescatorello di Vincenzo Gemito. Le varie destinazioni conservative sono frutto di scelte dettate da temperatura e umidità e con attenzione alla tipologia delle fonti luminose naturali e artificiali; saranno i prossimi lavori di monitoraggio ambientale condotti dal Politecnico di Milano con strumentazioni più sofisticate e ulteriori parametri di controllo a provare la effettiva efficacia delle scelte operate o, con una ricaduta dal punto di vista museografico, a dettare successivi cambiamenti di luogo (Figura 5). Tutto il Museo, ad oggi, non ha un impianto di climatizzazione ma affida la conservazione delle opere alle qualità dell’edifico. La Villa è stata costruita con accurati accorgimenti ingegneristici nel sistema di riscaldamento antico ottenuto con una veicolazione dell’aria dal sotterraneo nelle sale, che si vorrebbero ripristinare, con le stesse logiche e precauzioni in un restauro condotto su beni mobili. I danni alle sculture in cera infatti, come descriveva Angelucci nelle sue antiche relazioni, sono in gran parte imputabili al loro rammollimento, oggi ancora in agguato nelle sale dove soprattutto in inverno l’attuale sistema di distribuzione del calore, con una caldaia che alimenta sia l’impianto ad aria modificato sia i caloriferi, non è uniforme e non è regolabile a dovere. Si aggiunga a questo il fatto che, come alcuni testimoni ancora ricordano, nelle sale del Museo dove erano esposte le opere di Rosso, venivano allestite cucine temporanee. Sono state scelte quattro opere le cui condizioni di conservazione sono nel complesso molto omogenee e abbastanza gravi, soprattutto perché la situazione delle lacune e dei distacchi è tale da innescare ulteriori processi di degrado.

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Figura 3. Sala dedicata a Medardo Rosso. Figura 4. Collocazione delle sculture in cera nei depositi sotterranei del Museo.

Figura 5. Galleria d Arte Moderna, mappature della temperatura, dell umidita` relativa UR e dell umidita` specifica US nella saletta dove sono conservate le opere in gesso, cera e terracotta, acquisite il 2 febbraio 2010 tra le 17:00 e le 17:10. Dati esterni: T=8,8 °C, UR=27,0%. Range rilevati all interno della saletta: T=14.65-16 °C, UR=33.5-43.5%, US=3.75-4.45 gr/mc. L UR e` mediamente 10-11 punti percentuali superiore a quella esterna. La T e` superiore di circa 7 °C. L ambiente e` piuttosto stabile aria relativamente ferma . La parete verso il giardino e` debolmente evaporante. La mappa dell US presenta un differenziale positivo in alto, verso il giardino, probabilmente dovuto ad un po di evaporazione dalla parete verso l interno del locale. Il picco che si vede nelle parte alta delle tre mappe e` dovuto alla presenza di una persona nella stanza e della ventola del suo PC. Rilievi a cura del Politecnico di Milano, Laboratorio di Analisi e Diagnostica del Costruito DiAP , Arch. Davide Del Curto - Arch. Luca Valisi.

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Vincenzo Gemito, Il vasaio, (1915) inv. GAM 6256 altezza 76 cm, larghezza 26 cm, profondità 42 cm. La scultura in cera appare allo spettatore in una torsione innaturale, dando l’impressione di perdere da un momento all’altro il baricentro, come provata dal peso del vaso che regge nelle mani (Figura 6). La scultura ha destato più di un sospetto sul possibile peggioramento della tenuta della sua struttura tanto che per un certo periodo è stata conservata in orizzontale. In realtà la sua struttura di sostegno alla quale la figura si appoggia, in parte mascherata da un tronco a contatto con la figura nel polpaccio destro e in una natica, consente ancora oggi la sua conservazione in posizione eretta anche se alcuni punti di contatto tra la figura e il tronco sono ormai scostati, con delle scollature anche di un paio di millimetri. Il vaso, interamente realizzato in cera, ha una tonalità più chiara e più fredda rispetto alla figura che assume un tono più ambrato. Il tema delle variazioni del colore della materia è costante in tutte le sculture di Gemito analizzate, a confermare un gusto “pittorico” ribadito poi nelle fusioni in bronzo patinate con diverse finiture di superficie a seconda che si tratti di un incarnato, della capigliatura o di una veste. Piccoli frammenti staccati dal basamento e una lacuna nell’alluce sinistro segnano l’opera, mentre a una piccola lacuna sulla base non corrisponde un frammento. Sulla superficie, pesantemente macchiata da consistenti depositi stratificati e inglobati, spiccano macchie biancastre, prevalentemente concentrate sulla gamba sinistra, non riconducibili a materiale di deposito ma molto più simili a un affioramento (Figura 6). Lello Scorzelli, La madre dormiente, (1947) inv. GAM 7379 altezza 31 cm, larghezza 50 cm, profondità 40 cm. La scultura, contrariamente alle altre tre analizzate, non è un’opera plasmata in cera dall’artista, bensì una replica da un calco a tasselli, come si evince dalla presenza dei segni di giunzione tra le varie sezioni della controforma lasciati in evidenza (Figura 7). Il supporto in gesso, è verosimilmente stato colato nello stampo successivamente alla cera (con il procedimento descritto nell’introduzione). Sulla fronte è evidente una grossa lacuna, mentre i margini della cera sono minimamente scollati dal supporto. Da questa lacuna, si ha la riprova della colata del gesso all’interno della camicia in cera perché sono presenti alcune bave di materia rimaste inglobate nel gesso e le numerose cavernosità delle bollicine d’aria, rimaste imprigionate all’interno della colata, nella parte a contatto con la cera. La superficie, tendenzialmente levigata e dalle forme tondeggianti, presenta diffuse piccole macchie scure generalmente annidate nelle irregolarità della superficie, vista la tipologia dell’opera è ipotizzabile che si tratti dei resti di un distaccante. La sezione frontale a vista del gesso è stata patinata ad imitazione della terracotta. Tutta la superficie è offuscata da un deposito omogeneo di polveri inglobate (Figura 7). Vincenzo Gemito, Il ritratto del pittore Fortuny, (1873 ca.) inv. GAM 6258 altezza 68 cm, larghezza 50 cm, profondità 46 cm. La scultura è composta da una sagoma in gesso di sostegno, abbozzata dall’artista per determinare i volumi (da una lacuna della cera si leggono chiaramente le impronte digitali sul gesso) nella quale è affogato un listello in legno per sostenere la testa. Gemito ha plasmato la cera in spessori variabili, ma comunque consistenti, per definire col modellato la fisiognomia del pittore Fortuny, poco più grande del vero e leggermente proteso in avanti ad accentuare la volontà di interloquire con lo spettatore. Gemito si è servito di due cere brune di diversa tonalità. La più chiara, sottostante la scura sul basamento a base circolare, nella figura ricompare a tratti alternandosi e/o sovrapponendosi alla scura, che è plasmata direttamente sull’anima in gesso. La superficie è impolverata, specie nelle zone di deposito ma non appare strutturalmente alterata, considerato anche il colore scuro che assorbe le polveri di deposito. Profonde fessurazioni della cera percorrono, fino al gesso, il volto e in generale il busto. La cera non sembra più ancorata al gesso, si avvertono infatti ampie isole pericolanti, specialmente laddove il modellato e i sottosquadra non concorrono a tenerla unita (Figura 8). Alla base, oltre a lacune che riguardano quasi tutto il perimetro d’appoggio, è riscontrabile uno sfogliamento anche tra la cera chiara e la soprastante cera più scura. Un’ampia lacuna riguarda la guancia e la mascella destra mentre risulta scheggiata sul mento, plausibilmente a causa di un urto. Oltre alle fonti documentali fotografiche storiche che rappresentano l’opera prima del danno, il Museo del Prado di Madrid possiede una traduzione in bronzo della scultura con la quale sono possibili alcune comparazioni.

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Figura 6. Scultura Il vasaio: a sinistra la figura intera e a destra particolare della struttura di sostegno alla quale la scultura appoggia.

Figura 7. Scultura La madre dormiente: il busto intero, un particolare sul braccio con in evidenza le linee di giunzione e una fotografia macro della superficie.

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Pietro Cendali, Il velo, (1890-1910 ca.) inv. GAM 7343 altezza 43 cm, larghezza 53 cm, profondità 22 cm. La figura è modellata con un sottile strato di cera di un paio di millimetri su una forma in gesso spessa tra i due ed i quattro centimetri, poggiante su un basamento in marmo chiaro a forma di mezza luna, il retro è concavo con gesso a vista. Tutto il foglio di cera è completamente staccato dal gesso e resta in sito solo grazie all’appoggio continuo sul basamento, il bordo della figura risulta spezzato in più punti con frammenti e parti staccate in sito o conservate accanto all’opera. La cera, di colore giallo chiaro, assume in superficie una colorazione bruna scura, più intensa nelle zone di deposito (Figura 9) dove concrezioni addirittura materiche, simili come aspetto al bitume raggrumato, corrugano la superficie. Nelle zone più protette invece si intravede ancora un po’, a macchia di leopardo, il giallo sottostante.

Figura 8. Scultura Il ritratto del pittore Fortuny: a sinistra l intero busto e a destra un particolare della fessurazione che percorre la guancia.

Figura 9. Scultura Il velo: a sinistra l intero volto e a destra particolare del deposito sulla superficie.

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CAPITOLO II VERIFICA DELL’APPLICABILITÁ DEI METODI ACQUOSI La scelta delle condizioni operative in relazione al supporto Scopo di questo lavoro era verificare, nelle applicazioni pratiche, l’azione di materiali a base acquosa che ritenevamo, in base ad una serie di considerazioni, idonei alla pulitura superficiale delle sculture in cera. Per la rimozione di materiale superficiale (sporco di deposito, materiale proveniente dalla manipolazione degli oggetti, ecc.) da manufatti di varia natura, è richiesto proprio l’ambiente acquoso, e giocando su parametri come il valore di pH e la concentrazione ionica delle soluzioni utilizzate si può minimizzare il rischio di interazioni con vernici, leganti ed altre sostanze filmogene organiche [1, 2]. Come si può apprezzare dalle macrofotografie delle superfici delle sculture oggetto dello studio, su un materiale termoplastico, come la cera, questa separazione tra il materiale di deposito e la superficie del manufatto non è così netta: proprio la plasticità del materiale porta ad un progressivo inglobamento della particella di “sporco” all’interno della cera stessa, formando in pratica una specie di strato pigmentato. Anche l’aspettativa sul risultato di pulitura deve dunque tener conto di questa situazione; in particolare si dovrà accettare l’idea di una possibile disomogeneità nel livello di pulitura. L’unica alternativa possibile sarebbe quella di utilizzare un solvente organico di adeguata polarità, ma questo sarebbe efficace proprio perché scioglierebbe la cera stessa che ingloba il materiale di deposito, e dunque un simile approccio non sarebbe eticamente accettabile. Le considerazioni che abbiamo seguito nella progettazione dei metodi e nella scelta dei rispettivi materiali, possono essere riassunte così. La cera d’api è un materiale marcatamente idrofobo, come ben evidente dalla collocazione della sua zona di solubilità nell’angolo destro del Triangolo di Teas (Figura 10): elevato valore di Fd (Forze di dispersione, ovvero il contributo apolare alle forze di interazione intermolecolari), basso valore di Fp (Forze polari) e di Fh (Forze di Legame a Idrogeno) [3]. Così solventi organici apolari/poco polari, la cui posizione relativa nel Triangolo cada all’interno della zona di solubilità, scioglierebbero il materiale. Solventi più polari, collocati al di fuori della zona di solubilità, non riescono invece a sciogliere la cera. Tuttavia forse non è corretto considerarli completamente privi di interazione: infatti, quelli a media polarità (come gli Esteri) potrebbero avere una qualche, seppur minima, interazione con i composti un po’ più polari presenti nella cera: gli Acidi Grassi e gli Alcoli Grassi. Probabilmente non sufficiente a “sciogliere” letteralmente il materiale, ma forse tale da provocarne un certo fenomeno di leaching, cioè di asportazione di certi componenti. Preferibile dunque, per prima cosa, evitare del tutto l’uso di solventi organici. L’acqua, invece, è il solvente con la polarità più distante dalla cera, come indicato dalla sua posizione relativa nel Triangolo, e infatti istintivamente la pensiamo come assolutamente priva di rischio su questo materiale. Anche in questo caso, però, dobbiamo ragionare ad un livello un po’ più approfondito. I composti su cui focalizzare la nostra attenzione in questo caso sono proprio gli Acidi Grassi liberi, quei composti presenti per il 12-14% nella cera d’api. Trattandosi di composti a 22-34 atomi di Carbonio (l’Acido Grasso principale ha 24 atomi di Carbonio) hanno fortissimo carattere idrofobo, e non sbagliamo se affermiamo che praticamente sono assolutamente insolubili in acqua quando sono in questa forma. Il fatto però che siano acidi, cioè che possiedano il gruppo Carbossilico -COOH, li rende suscettibili a ionizzarsi in ambiente alcalino secondo la reazione R-COOH→R-COO-. In questa forma anionica, o salificata, l’Acido Grasso aumenta di molto il suo carattere idrofilo, potendo arrivare ad acquisire persino una certa idrosolubilità. Pensiamo ad esempio all’Acido Grasso a 18 atomi di Carbonio, l’Acido Oleico, e valutiamone il valore del Numero HLB (il Numero HLB è il parametro che definisce, per le molecole con azione di tensioattivi, il loro carattere idrofilo/lipofilo e precisa la loro solubilità, precisamente lipo-solubilità quando HLB<10 e idro-solubilità quando HLB>10). L’Acido Oleico passa da HLB=1, assolutamente non idrosolubile, quando in forma di acido (-COOH), a HLB=18 quando in forma di sale sodico (-COO-Na+), ben solubile in acqua (al punto da essere un tensioattivo anionico, cioè un sapone).

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Figura 10. Zona di solubilita` della cera d api C.V. Horie - The Manchester Museum .

Nel caso degli Acidi Grassi presenti nella cera, parliamo di catene idrocarburiche ancora piĂš lunghe dell’Acido Oleico, da 22 a 34 atomi di Carbonio, quindi sicuramente dobbiamo aspettarci minore idrosolubilitĂ quando questi acidi siano salificati: sappiamo infatti che la cera d’api a pH alcalino diviene disperdibile in acqua. “Disperdereâ€? è certamente meno di “solubilizzareâ€? ma comunque è giĂ un forte livello di interazione, interazione che vogliamo assolutamente evitare se usiamo un mezzo acquoso per pulire superficialmente un manufatto in cera. Il punto fondamentale diviene dunque questo: quale valore di pH è critico al fine della ionizzazione degli Acidi Grassi presenti nella cera? Per affrontare correttamente questo problema ci viene in aiuto la Chimica, con le nozioni di pH, cioè la misura dell’aciditĂ (concentrazione di ioni Idrogeno H+) o della alcalinitĂ (concentrazione di ioni Idrossido OH-) delle soluzioni e di pKA, cioè l’espressione numerica della costante di dissociazione, utile per descrivere quanto un acido o una base siano forti (=completamente dissociati) o deboli (=solo parzialmente dissociati) in soluzione acquosa. Sussiste comunque un po’ di incertezza, nel caso specifico degli Acidi Grassi, per quanto riguarda la determinazione dei valori di pKA, e in letteratura troviamo infatti valori anche piuttosto diversi tra loro. La difficoltĂ nella misura è data dal fatto che queste lunghe catene di Carbonio in soluzione possono dare dei fenomeni aggregativi che complicano la corretta determinazione. Con una scelta ragionata assumiamo come valore medio per questi Acidi Grassi un pKA=8. C’è una relazione matematica, nota come Equazione di Henderson-Hasselbalch, che sostanzialmente ci dice questo: se sciogliamo in acqua un acido debole (che ha un certo valore pKA) e modifichiamo il valore di pH della soluzione fino a portarlo ad essere numericamente uguale al valore pKA, il 50% dell’acido passa a forma dissociata, il rimanente 50% resta in forma non dissociata. Se il pH della soluzione invece è di un’unitĂ sopra il valore di pKA, la percentuale di acido dissociato aumenta al 91%, se di due unitĂ al 99%, e cosĂŹ via in progressione logaritmica; nell’altra direzione, è vero l’opposto: se il pH della soluzione è un’unitĂ sotto il pKA, la percentuale di acido dissociato è pari al 9%, due unitĂ sotto 1% e cosĂŹ via. Trasferiamo questi dati alla nostra applicazione specifica. Nel nostro caso l’acido debole in questione non è in soluzione, ma sono i componenti acidi della cera del manufatto; per questi Acidi Grassi assumiamo il valore di pKA uguale a 8, come detto sopra. La soluzione che noi usiamo sulla superficie per pulirla è invece caratterizzata dal valore di pH in questione. Se adoperiamo sulla superficie una soluzione acquosa a pH=8 (cioè siamo nella condizione sopra, pH=pKA) può succedere che questi Acidi Grassi si ionizzino per ben il 50%: il loro carattere idrofilo aumenta molto, passando alla forma salificata (si veda sopra l’esempio dell’Acido Oleico) e potrebbero iniziare a divenire almeno in parte solubili; se la soluzione fosse a pH=9, potrebbero ionizzarsi fino al 91%, con ancor maggior carattere idrofilo, e ancor maggiore possibilitĂ di sciogliersi. Se invece andiamo nella direzione opposta, con una soluzione a pH=7 il rischio sarebbe

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di produrre al massimo il 9% di ionizzazione degli Acidi Grassi, e a pH=6 solo l’1%, il che vuol dire che sarebbero praticamente inalterati dalla nostra azione acquosa. Ecco dunque che, nelle ipotesi fatte, la condizione di rispetto dell’integrità del materiale ceroso può essere ipotizzata così: operare ad un pH intorno al 6-7. Nelle nostre prove abbiamo in generale usato pH=7; una delle soluzioni usate, per confronto, è stata tamponata anche a pH=6. Aggiungiamo solo una cosa a completamento di questo argomento. Recentemente [4] i valori di pKA di Acido Stearico (C-18, saturo), Acido Elaidinico (C-18, insaturo), Acido Oleico (C-18, insaturo), sono stati determinati rispettivamente in 10.15, 9.95 e 9.85, di almeno un’unità superiore al nostro valore ipotizzato di pKA=8. Siamo dunque stati ancora più prudenti, nella realtà forse il nostro intervallo di sicurezza potrebbe alzarsi fino a pH=7-8. Proseguendo nella considerazione della idoneità dei materiali, una volta stabilito un “intervallo di sicurezza” del pH delle soluzioni acquose da usare per la pulitura, c’è un’ulteriore precauzione: quella di rendere le soluzioni acquose capaci di mantenere costante nel tempo il loro valore di pH, anche quando applicate su superfici acide (come nel nostro caso la cera, e più in generale la maggior parte dei materiali organici filmogeni, soprattutto se invecchiati e ossidati) o alcaline. Questa capacità è garantita dalla soluzioni tamponate, piuttosto che dai semplici acidi/basi. Il pH dell’acqua viene dunque modificato per aggiunta non di soli acidi o basi, ma di sostanze cosiddette tampone o buffers: in pratica acidi deboli (ad esempio Acido Acetico) o basi deboli (ad esempio Trietanolammina) in presenza del loro sale (nell’esempio, rispettivamente, Sodio Acetato e Trietanolammonio Cloruro). Questi Sali possono essere aggiunti come tali, oppure più convenientemente dal punto di vista pratico, possono essere formati in loco, all’interno della nostra soluzione iniziale dell’acido o della base debole, aggiungendovi progressivamente l’altro componente (nell’esempio, rispettivamente Sodio Idrossido e Acido Cloridrico) e monitorando la variazione di pH con un piaccametro fino al valore desiderato. Per la nostre prove abbiamo utilizzato il tampone Fosfato, preparato sciogliendo 0.5 g di Acido Fosforico in 100 ml di acqua deionizzata, e tamponando poi a pH 6 o 7, a seconda dei casi, per aggiunta graduale di una soluzione 1M (M, Molare, cioè moli di soluto in un litro di soluzione, è il modo di esprimere la concentrazione delle soluzioni) di Sodio Idrossido (preparata sciogliendo 4 g di Sodio Idrossido solido in 100 ml di acqua deionizzata). Questa quantità equivale ad una concentrazione circa 50 mM (milliMolare, cioè 1/1000 Molare), molto bassa dunque, ma anche questa scelta non è casuale. Aggiungere materiali solidi, non volatili, alle soluzioni acquose significa sempre che questi materiali possono permanere come residui solidi, una volta che l’acqua sia evaporata; pertanto è sempre opportuno minimizzare la quantità di solidi disciolti, e quando possibile effettuare delle procedure di lavaggio acquoso dopo le applicazioni. Seppure bassa, questa concentrazione è comunque efficace: ad esempio, anche ammettendo che la superficie di cera fosse molto acida, diciamo a pH 5, questo corrisponderebbe ad una concentrazione di ioni Idrogeno 10-5 M cioè 0.05 mM: questa sarebbe la concentrazione di ioni Idrogeno, diciamo pure la “quantità di acidità” che la nostra soluzione acquosa tamponata, di concentrazione 50 mM, potrebbe trovare quando la applichiamo su quella cera acida; come si vede dal confronto dei valori, la nostra soluzione sarebbe comunque 1000 volte più concentrata, e quindi comunque capace di mantenere la sua azione tampone. Tamponare le soluzioni acquose per la pulitura ha dunque l’importante scopo di mantenerne costante il pH durante l’applicazione, garantendo così uniformità di azione su tutta la superficie con la possibilità di riprodurre l’operazione in periodi successivi. Un altro parametro che è opportuno monitorare nelle soluzioni acquose per la pulitura è la loro concentrazione ionica totale. Acidi, Basi e Sali, infatti, dissociandosi in acqua producono ioni. Ioni positivi monovalenti (Na+, K+, NH4+...) sono di aiuto nella pulitura, perché attraverso meccanismi di scambio ionico possono contribuire a “sganciare” altri ioni legati a ponte tra i gruppi acidi della superficie e particellato di deposito di natura anch’esso acida. Una concentrazione troppo elevata di ioni, però, può rappresentare un rischio: quando queste soluzioni sono applicate su superfici che a loro volta, bagnandosi, diventano delle “quasi-soluzioni”, si possono infatti verificare fenomeni osmotici, che danno luogo a un movimento di molecole d’acqua, la cui risultante pressione osmotica potrebbe danneggiare superfici disgregate, particolarmente fragili. Ioni sì, dunque, ma non troppi. Un modo pratico per monitorarne indirettamente la quantità in soluzione è quello di misurare la conducibilità delle soluzioni con un conduttivimetro. Wolbers, per le pellicole pittoriche a legante oleoso suggerisce di mantenere la conducibilità delle soluzioni acquose per la pulitura in un intervallo intorno a circa 5 mSiemens/cm. Abbiamo applicato questo stesso limite al nostro caso della

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cera, pensando al fatto che Acidi Grassi, sebbene di tipo diverso rispetto a quelli degli olii siccativi, sono comunque presenti anche nella cera. Anche in questo caso forse abbiamo peccato di eccesso di prudenza: la condizione fondamentale perché questi movimenti osmotici avvengano è che la superficie trattata si bagni, che l’acqua diffonda in essa; nel caso della cera, abbiamo già detto che si tratta di un materiale fortemente idrofobo, che è persino difficile da bagnare. Potrebbe dunque essere immune da questo problema. D’ogni modo, per verificare empiricamente se questo rischio possa essere reale, una delle semplici soluzioni tamponate a pH 7 è stata testata a due diversi valori di conducibilità (in pratica, metà della soluzione tamponata è stata diluita con acqua per abbassarne la conducibilità). Proprio in considerazione della difficoltà a bagnare una superficie cerosa da parte delle soluzioni acquose, abbiamo deciso di valutare anche l’efficacia di soluzioni addensate con gelificanti. Ci siamo orientati verso un gelificante neutro, con discreta capacità gelificante (circa 2000 mPas al 1.5% in peso/volume) e con carattere pseudo-plastico (cioè capace di fluire sotto lo stimolo applicato, come la semplice azione del pennellino o del tamponino di cotone) per una migliore applicazione sulla superficie: la Gomma Xantano (il prodotto Vanzan NF-C® della R.T. Vanderbilt Company, Inc.). Ovviamente, le applicazioni di soluzioni gelificate erano seguite da una procedura di asportazione a secco del gel e da lavaggi con un tampone inumidito delle stesse soluzioni, al fine di asportare completamente il materiale gelificante. Un’altra azione che abbiamo voluto testare è l’azione chelante: sostanze complessanti come i Sali dell’Acido Citrico e dell’EDTA (Acido Etilendiamminotetracetico) hanno la capacità di legarsi agli ioni metallici, cambiandone le proprietà, in particolare la solubilità. Rappresentano dunque un modo di solubilizzare Sali e composti insolubili in semplice acqua. Nel nostro caso l’ipotetica utilità dei Chelanti era questa: per agire su quegli ioni metallici abbondantemente contenuti nel materiale di deposito in forma di Ossidi e Sali, provenienti dalla disgregazione di minerali, senza dover esasperare le condizioni di alcalinità della soluzione. Per questa semplice azione di pulitura superficiale sono sufficienti concentrazioni molto contenute di Chelante, tipicamente dello 0.1-0.2% in peso/volume, così da limitare la quantità di materiali disciolti, al fine di non incrementare troppo la concentrazione ionica (i Chelanti danno un forte contributo alla quantità di ioni liberi) e limitare la capacità chelante. A riguardo di quest’ultimo punto, infatti, occorre mettere in evidenza possibili rischi nell’utilizzo di Chelanti: eventuali pigmenti, in quanto contenenti ioni metallici chelabili, possono essere solubilizzati, così come saponi metallici, cioè Sali di Acidi Grassi. Poichè questi ultimi potrebbero avere una genesi endogena, essendo prodotti dalla stessa cera costituente il manufatto, il loro destino è anche una questione etica: anche se possono dar luogo a delle velatura biancastre o opacizzanti, che in qualche modo possono modificare la percezione della superficie (e questo potrebbe giustificarne la rimozione) dovrebbero probabilmente essere considerate come “patine da rispettare”, proprio perché inevitabile prodotto dell’alterazione degli stessi materiali costitutivi. Proprio per questa ragione abbiamo ritenuto opportuno contenere la “capacità chelante”, e ci siamo orientati verso un Chelante “debole” (cioè caratterizzato da costanti di formazione verso tutti gli ioni metallici più basse rispetto al Chelante “forte”, l’EDTA): l’Acido Citrico salificato con Sodio Idrossido. Soprattutto in un intervallo di pH tra 6 e 7 (quando cioè l’Acido Citrico non è completamente ionizzato) questo Chelante non ha la capacità di agire sui Sali degli Acidi Grassi. Nelle nostre soluzioni lo abbiamo utilizzato in concentrazione 0.1% in peso/volume. Infine, l’ultima azione che abbiamo voluto esplorare è stata quella dei Tensioattivi, con la consapevolezza che potesse essere la più aggressiva, proprio per il fatto che i Tensioattivi – in opportune condizioni – hanno la capacità di disperdere in acqua materiali lipofili, come la cera appunto. D’altro canto, l’azione dei Tensioattivi potrebbe essere utile a rimuovere un materiale di deposito particolarmente lipofilo, magari perché cementato dagli ubiqui inquinanti atmosferici a carattere idrocarburico, ma ancora una volta il fatto che nel caso specifico sarebbe sopra un materiale costitutivo altrettanto lipofilo sarebbe una condizione di scarsa selettività. Tra i vari parametri che possono guidare la scelta dei Tensioattivi, ne abbiamo di fatto preso in considerazione solo uno, perché lo ritenevamo il più critico nel caso specifico: il numero HLB di cui abbiamo discusso sopra. Ci siamo orientati verso un Tensioattivo attivo a bassa concentrazione (per poterne usare poco), ad alto numero HLB (per essere facilmente idrosolubile), ma comunque di tipo non ionico (in modo da non avere un potere emulsionante troppo elevato, troppo rischioso per gli Acidi Grassi). Certo, anche in questa scelta si possono teoricamente individuare dei fattori di rischio: un Tensioattivo non ionico di questo tipo

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ha un basso valore di CMC (Concentrazione Micellare Critica, la minima quantità necessaria a formare quegli aggregati, le micelle appunto, che sono responsabili dell’azione emulsionante e detergente) e quindi ha una forte componente di carattere lipofilo, che potrebbe voler dire una forte tendenza ad aderire ad un supporto ceroso. Abbiamo comunque ipotizzato che il male peggiore sarebbe stato il valore HLB più elevato, tipico dei Tensioattivi ionici, e abbiamo scelto di conseguenza un non ionico polietossilato, il Tween 20. Ne abbiamo utilizzato poche gocce in soluzione. Riassumendo, le considerazioni fin qui esposte ci hanno portato alla formulazione delle seguenti cinque soluzioni acquose da testare sulle superfici della sculture in cera. Da ciascuna soluzione si è ottenuto anche il corrispondente gel. 1. soluzione tampone a pH 6, conducibilità 4,5 mS/cm 2. soluzione tampone a pH 7, conducibilità 4,5 mS/cm 3. soluzione tampone a pH 7, conducibilità 6,4 mS/cm 4. soluzione tampone a pH 7, conducibilità 4,5 mS/cm, contenente Tensioattivo Tween 20 5. soluzione tampone a pH 7, conducibilità 12,4 mS/cm, contenente Chelante Citrato Caratterizzazione delle cere delle sculture Da ciascuna scultura sono stati prelevati due campioni: uno superficiale e uno da uno strato più interno. Dal confronto dei risultati ottenuti fra i due strati, si voleva verificare, prima di tutto, se l’esposizione agli agenti esterni avesse determinato dei cambiamenti nella cera, ma anche l’uso da parte dell’artista di preparazioni diverse per i due strati. Questi campioni sono stati analizzati attraverso la micro-spettroscopia FT-IR in ATR (riflessione totale attenuata) e la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS). Sono state inoltre condotte su questi campioni delle prove di estrazione con diversi solventi ed è stata fatta un’analisi FT-IR dei residui degli estratti. I risultati di queste prove ci hanno permesso di individuare segnali di altri materiali oltre alla cera. Scultura “Il vasaio”. I due campioni (Figura 11) sono stati prelevati sul retro del piedistallo in due zone di colore diverso, una più superficiale e più scura (CV1) e uno strato più interno di colore più chiaro (CV2). La fotografia allo stereomicroscopio dei campioni prelevati mette in evidenza la disgregazione che caratterizza la superficie della scultura (Figura 11). Le analisi µFT-IR e GC-MS condotte sui due campioni permettono di affermare che siamo di fronte ad una scultura realizzata con cera d’api. Gli spettri IR (Figura 12), identici per i due campioni, mostrano le tipiche bande di assorbimento degli idrocarburi alifatici a lunga catena (stretching CH3 a 2953 (asimmetrico) e a 2865 (simmetrico) cm-1, stretching CH2 a 2916 (asimmetrico) e a 2848 (simmetrico) cm-1, bending CH3 a 1462 (asimmetrico) e a 1376 (simmetrico) cm-1, scissoring CH2 a 1473cm-1, rocking CH2 a 719, 729 cm-1) e di bande attribuibili ai gruppi carbonilici degli acidi (stretching C=O a 1710 cm-1) e degli esteri (stretching C=O a 1736 cm-1 e stretching C-O-C a 1172 cm-1). La cera sembra quindi composta da Idrocarburi, Acidi Grassi liberi ed Esteri. Anche i cromatogrammi sono risultati pressoché identici per i due campioni (Figura 13). In entrambi i casi si tratta di una miscela composta da Idrocarburi, Acidi Grassi e alcoli. Gli Idrocarburi sono principalmente saturi composti da un numero di atomi di Carbonio dispari, salvo l’eccezione del C26 e C28, con catene comprese tra C21-C31, con il principale C27. Sono inoltre presenti degli Idrocarburi non ben identificati, probabilmente caratterizzati da più insaturazioni. Per quanto riguarda il gruppo degli Acidi Grassi e degli Alcoli, la metodica scelta per l’analisi dei campioni, non permette di discriminare tra quelli liberi e quelli che provengono dall’idrolisi degli Esteri. In particolare per gli Acidi la grande abbondanza del C16 lascia pensare la presenza di Esteri composti principalmente da questo acido. Gli altri sono Acidi con numero di atomi di Carbonio pari compresi tra C18-C28 con C24 come principale. È presente anche l’acido oleico (C18:1). Gli Alcoli presenti sono a lunga catena con numero di atomi di Carbonio pari tra C24-C30 con C24 principale. Inoltre sono presenti dei composti acidi difficili da identificare, forse derivanti da processi di ossidazione degli Acidi presenti nella cera (non si riscontrano infatti in campioni di cera d’api fresca). Il confronto con dati di letteratura ci permette di dire che si tratta di cera d’api, infatti

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Figura 11. Punti di prelievo dei campioni CV1 e CV2 e fotografia allo stereomicroscopio x450 della superficie del campione CV1.

Figura 12 Spettro IR del campione CV1. Spettro tipico di una cera d api. stretching CH3 a 2953 asimmetrico e a 2865 simmetrico cm-1, stretching CH2 a 2916 asimmetrico e a 2848 simmetrico cm-1, bending CH3 a 1462 asimmetrico e a 1376 simmetrico cm-1 scissoring CH2 a 1473cm-1 rocking CH2 a 719, 729 cm-1 stretching C=O acidi a 1710 cm-1 stretching C=O esteri a 1736 cm-1 e stretching C-O-C esteri a 1172 cm-1

concordano sia il profilo degli Idrocarburi che quello degli Acidi e Alcoli. Resta ancora da chiarire la natura di alcuni segnali, in particolare di alcuni acidi forse derivanti da processi di ossidazione di acidi presenti nella cera. Scultura “La madre dormienteâ€?. La cera è di colore chiaro e sembra stesa in due strati sovrapposti. Allo stereomicroscopio la superficie dei campioni appare ricoperta da un deposito di materiale di granulometria e colore diversi. Il prelievo dei campioni è stato effettuato sul retro vicino alla testa (Figura 14). Gli spettri R dei campioni mostrano le tipiche bande di Idrocarburi alifatici a lunga catena (stretching CH3 a 2955 (asimmetrico) e a 2871(simmetrico) cm-1, stretching CH2 a 2916 (asimmetrico) e a 2848 (simmetrico) cm-1, bending CH3 a 1462 (asimmetrico) e a 1377 (simmetrico) cm-1, scissoring CH2 a 1472 cm-1, rocking CH2 a 719, 729 cm-1). L’assenza di bande nelle regione tra 1870-1640 cm-1 permette di escludere la presenza di cere caratterizzate da gruppi carbonilici quali gli Esteri e gli Acidi Grassi. Si tratta per entrambi i casi di paraffina. Si riporta a titolo di esempio lo spettro IR del campione CM1 (Figura 15). L’analisi cromatografica di entrambi i campioni conferma i risultati ottenuti con la spettroscopia IR. I cromatogrammi (Figura 16) mostrano esclusivamente la presenza di idrocarburi saturi a lunga catena con numero di atomi di Carbonio sia pari che dispari (C21-C34). La loro distribuzione a campana con l’idrocarburo C27 principale risulta essere il profilo cromatografico tipico di una paraffina.

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Scultura “Il ritratto del pittore Fortuny”. Il campionamento è stato effettuato sul retro della scultura sul bordo di una vasta lacuna dove è stato possibile campionare uno strato più esterno scuro e uno interno più chiaro. La superficie dei campioni osservata allo stereomicroscopio appare ricoperta da una cristallizzazione di colore più chiaro rispetto alla cera sottostante (Figura 17). Gli spettri IR sono risultati identici per i due campioni. Si osservano le bande tipiche delle catene idrocarburiche e le bande relative ai gruppi carbonilici degli Acidi e degli Esteri. I cromatogrammi mostrano principalmente la presenza di Idrocarburi e una presenza meno significativa di Acidi Grassi. I due cromatogrammi non coincidono perfettamente: se nel campione CP1 troviamo Idrocarburi saturi con numero di atomi di Carbonio pari e dispari nell’intervallo C21-C33, ma anche C26-C28-C30-C32-C34 insaturi, con C27 principale, nel campione CP2 invece troviamo Idrocarburi solo saturi con una catena di atomi di Carbonio compresa tra C21 e C30 con principale C26. Anche gli Acidi sono distribuiti in modo diverso nei due campioni. In entrambi troviamo gli Acidi C16 e C18, ma solo nel campione dello strato più esterno sono presenti due Idrossiacidi a 16 atomi di Carbonio che differiscono tra loro per la diversa posizione del gruppo OH. Si può comunque affermare per entrambi i casi che la cera risulta composta principalmente da Idrocarburi che suggeriscono una componente principale di natura paraffinica, infatti sono presenti Idrocarburi sia pari che dispari con la tipica distribuzione a campana, alla quale è stata aggiunta una componente grassa, forse trigliceridi visto che allo spettro IR si hanno le tipiche bande dei composti esterei. Da precisare l’origine degli Idrocarburi insaturi e degli Idrossiacidi. Le prove di estrazione condotte sul campione CP1 hanno fornito dei dati significativi anche se di complessa interpretazione. Sono stati infatti individuati nuovi segnali oltre a quelli attribuiti alla cera. In particolare sono presenti le tipiche bande di assorbimento di materiale poliammidico probabilmente usato in un precedente restauro per l’incollaggio di un frammento staccato. Il campione infatti è stato prelevato sul bordo di una lacuna probabilmente già sottoposta in passato ad un tentativo di restauro. Inoltre alcuni segnali possono essere attribuiti a carbonati ed altri ad un materiale di natura polisaccaridica. Si può ipotizzare la presenza di amido, additivo comunemente aggiunto alla cera. Scultura “Il velo”. In questo caso non si distinguono due strati di cera ma piuttosto uno strato superficiale molto sottile e di colore scuro. Sono stati prelevati comunque due campioni: uno più superficiale e l’altro più interno, entrambi raccolti su un frammento staccato. Guardando allo stereomicroscopio i campioni sono evidenti le macchie scure e la disomogeneità che caratterizzano la superficie (Figura 18). Gli spettri IR di entrambi i campioni hanno mostrato le tipiche bande degli Idrocarburi alifatici a lunga catena già viste negli spettri dei campioni relativi alle altre sculture. Nello spettro del campione CVE2 risultano del tutto assenti segnali relativi agli Acidi e agli Esteri, mentre nello spettro del campione CVE1 in queste stesse regioni si colloca un segnale molto disturbato. L’analisi cromatografica ha rivelato diversità importanti per i due campioni In entrambi i casi sono stati trovati Idrocarburi, con una catena di atomi di Carbonio compresa tra C21-C34 con C26 principale per CVE1 e tra C21-C33 con C25 principale per CVE2. Nel campione prelevato dalla superficie sono stati trovati però segnali relativi agli acidi C16:0, C18:0 e C18:1 e segnali attribuibili a composti di una resina di conifere tipo colofonia (Figura 19). Non tutti sono di facile attribuzione, ma alcuni sono stati ben identificati. In particolare un segnale molto intenso è da attribuire all’Acido Deidroabietico. Nonostante le lievi differenze nella distribuzione degli Idrocarburi si può affermare che la cera utilizzata è di natura paraffinica alla quale sono state aggiunte sostanze grasse e una resina terpenica. Anche in questo caso l’analisi degli estratti è risultata di difficile interpretazione. Nel campione CVE1 sono però riconoscibili oltre alla cera altri materiali sia di natura organica che inorganica. In particolare alcuni segnali indicano la presenza di carbonati e silicati idrati, forse dovuti al pulviscolo depositato sulla superficie. Inoltre sono presenti delle bande IR attribuibili a composti aromatici. Di seguito la Tabella 1 riassuntiva con i risultati ottenuti dalle analisi dei campioni di cera delle sculture esaminate.

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Figura 13 Cromatogramma del campione CV1 della scultura Il vasaio ed elenco dei composti individuati. Si tratta dei composti costituenti la cera d api. T.R.=tempo di ritenzione in minuti, SI=standard interno, %SI =rapporto percentuale dell area del singolo analita rispetto all area del picco dello standard interno, n.d.=non determinato, b.a.=composto riconducibile al bianco analitico .

Figura 14. Punto di prelievo dei campioni CM1 e CM2 e immagine allo stereomicroscopio 450 della superficie del campione CM1.

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Figura 15. Spettro IR del campione CM1. Il composto e` paraffina.

stretching CH3 a 2955 asimmetrico e a 2871 simmetrico cm-1 stretching CH2 a 2916 asimmetrico e a 2848 simmetrico cm-1 bending CH3 a 1462 asimmetrico e a 1377 simmetrico scissoring CH2 a 1472 cm-1 rocking CH2 a 719, 729 cm-1

Figura 16. Cromatogramma del campione CM2 ed elenco dei composti riconosciuti. La cera e` una paraffina. R.T=tempo di ritenzione in minuti, SI=standard interno, %SI=rapporto percentuale dell area del singolo analita rispetto all area del picco dello standard interno, b.a.=segnale riconducibile al bianco analitico .

Figura 17. Punti di prelievo dei campioni CP1 e CP2 e fotografia allo stereomicroscopio 450 del campione CP1 dove e` visibile la cristallizzazione superficiale.

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Figura 18. Punto di prelievo dei campioni CVE1 e CVE2 e fotografia allo stereomicroscopio 70 della superficie del campione CVE1.

Figura 19. Cromatogramma relativo al campione di cera CVE1 della scultura Il velo ed elenco dei composti identificati nel cromatogramma. Si tratta di una cera paraffinica alla quale sono state aggiunte sostanze grasse e una resina terpenica R.T=tempo di ritenzione in minuti, SI=standard interno, %SI=rapporto percentuale dell area del singolo analita rispetto all area del picco dello standard interno, n.d=non determinato, b.a.=composto riconducibile al bianco analitico .

Tabella 1. Risultati della caratterizzazione dei campioni prelevati delle sculture.

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Prove di pulitura: analisi e discussione dei dati analitici Le soluzioni acquose erano applicate con tamponcini di cotone, preparati con cotone precedentemente lavato con acqua e Esano e poi asciugato. Per ogni prova si sono realizzati dei tasselli di pulitura all’incirca delle stesse dimensioni (c.a 1 cm2). Per quanto riguarda le soluzioni, si sono contati 10 passaggi del cotone sulla superficie facendo roteare il tamponcino con una minima pressione. Per quanto riguarda i gel, è stata fatta un’applicazione di 5 minuti, la rimozione e il lavaggio della superficie sono state effettuate con un tamponcino imbevuto delle soluzioni corrispondenti in forma libera. I tamponcini così ottenuti sono stati analizzati attraverso la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa. Confrontando i cromatogrammi dei tamponcini di pulitura con quelli dei campioni di cera è possibile verificare l’eventuale presenza di segnali riconducibili ai composti della cera, cioè verificare se l’operazione di pulitura ha comportato asportazione di materiale. Scultura “Il vasaio”. Le prove di pulitura con le sole soluzioni acquose sono state realizzate sul retro del piedistallo (Figura 20). La cera che compone questa scultura è stata identificata come cera d’api, quindi una miscela di Idrocarburi, Acidi Grassi Alcoli ed Esteri. L’osservazione allo stereomicroscopio del campione dello strato esterno indica la presenza di una superficie deteriorata. Osservando visivamente il risultato della pulitura sembra che le soluzioni dalla 1S alla 4S siano in ordine di efficacia, mentre la 5S sembra dare un risultato inferiore alla 4S. Nei tamponcini di pulitura sono stati trovati segnali relativi a Idrocarburi, in particolare sono stati identificati in modo certo gli Idrocarburi C21, C23, C25, C26 che si trovano nella cera. Sono presenti inoltre due segnali che anche se hanno lo stesso tempo di eluizione di alcuni composti della cera hanno uno spettro di massa differente. In particolare lo spettro ha l’andamento tipico degli Idrocarburi. Probabilmente si tratta di composti che nel cromatogramma della cera sono sovrapposti ad altri analiti che li hanno completamente coperti. Trattandosi di Idrocarburi è possibile imputare la loro presenza sui tamponcini ad una semplice azione meccanica. Il grafico (Figura 21) mette a confronto la quantità in mg dei composti asportati dalla superficie della scultura per ogni prova di pulitura. Confrontando le diverse soluzioni emerge che è la soluzione con il tensioattivo (4S) ad essere più aggressiva, seguita dalla soluzione con il chelante. Scultura “La madre dormiente”. Le prove di pulitura sulla scultura La madre dormiente sono state realizzate sotto il braccio sinistro (Figura 22). La cera di partenza è composta esclusivamente da Idrocarburi. Visivamente i gel sembrano dare dei risultati migliori delle soluzioni, con un effetto di maggiore sbiancamento, in particolare il gel con il tensioattivo (4G) e quello con il chelante (5G). L’istogramma (Figura 23) mette a confronto la quantità calcolata in mg dei composti della cera asportati con i tamponcini di pulitura delle diverse prove. La serie 1-2-3-4-5 S è relativa alle soluzioni, la serie 12-3-4-5 G ai gel delle rispettive soluzioni. La soluzione acquosa più aggressiva sembra essere quella con il chelante (5S), mentre quella che interagisce meno è la soluzione acquosa a pH 6 (1S). Per quanto riguarda i gel, non è nettamente individuabile quello più aggressivo e neanche quello meno, ma in generale sembrano avere un’interazione maggiore con la cera rispetto alle soluzioni. Probabilmente, trattandosi di soli Idrocarburi, la loro presenza sui tamponcini può essere dovuta semplicemente all’azione meccanica di sfregamento del cotone, e non dovuta a una reale interazione (chimica, come ionizzazione, idrolisi, o chelazione, o chimico-fisica, come emulsionamento) con le diverse soluzioni. Infatti la superficie del campione dello strato più esterno, osservata allo stereomicroscopio, appare ricoperta da una cristallizzazione biancastra, probabilmente dovuta alla disgregazione della superficie. Inoltre il fatto che, al contrario delle soluzioni, i gel rimangono a contatto con la superficie per alcuni minuti, e che sia necessaria maggiore azione per l’asportazione del gel, potrebbe spiegare la maggior quantità di Idrocarburi ritrovati nei tamponcini con i gel. Scultura “Il ritratto del pittore Fortuny”. Le prove di pulitura sono state eseguite sul piedistallo (Figura 24).

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La cera è composta principalmente da Idrocarburi ma si trovano anche segnali relativi agli Acidi Grassi C16 e C18 e due Idrossiacidi a 16 atomi di Carbonio. Visivamente confrontare i risultati delle diverse applicazioni è stato molto difficile a causa del colore scuro della cera. Nei cromatogrammi dei tamponcini si trovano segnali relativi agli acidi solamente, mancando i segnali degli Idrocarburi. Nei campioni delle soluzioni acquose questi sono risultati confrontabili con i segnali del bianco analitico e del bianco delle soluzioni, quindi possiamo dire che non si sono trovate tracce dei composti della cera. Per i gel invece questi segnali sono risultati significativi. Il grafico (Figura 25) mette a confronto i segnali degli Acidi C16 e C18 in mg calcolati in base al rapporto tra l’area dell’analita e quello dello standard di concentrazione nota. Si può notare come per i gel 3 (tampone a pH 7 e conducibilità 6,4 mS/cm) e 5 (Chelante tamponato a pH 7 e conducibilità 12,4 mS/cm) l’interazione sia meno significativa rispetto agli altri gel. Pur trattandosi di una cera a base idrocarburica come la precedente, in questo caso si sono trovati i segnali relativi ai soli Acidi e non agli Idrocarburi. Questo potrebbe dipendere da un’interazione chimica con una sostanza grassa usata come trattamento di finitura o protettivo per la superficie. Scultura “Il velo”. I tasselli di pulitura sono stati eseguiti su un frammento staccato della scultura (Figura 26). In questo caso lo strato superficiale della scultura risulta composto da una miscela di una cera a base idrocarburica, una sostanza grassa e una resina terpenica. Visivamente il tassello di pulitura realizzato con la soluzione con il Tensioattivo in forma di gel (4G) sembra dare il risultato migliore, anche se un confronto tra le diverse prove è piuttosto difficile a causa dell’eterogeneità della superficie. Nei tamponcini di pulitura sono stati trovati segnali relativi agli Acidi, agli Idrocarburi e a composti riconducibili alla resina terpenica. Il grafico (Figura 27) mostra la quantità in mg dei composti della cera asportati con le diverse prove di pulitura. Per quanto riguarda gli Acidi la soluzione più aggressiva è quella con il tensioattivo in forma acquosa (4S), seguita poi dal rispettivo gel (4G). Gli idrocarburi sono invece maggiormente asportati dai gel tra i quali i più aggressivi sono quelli con il Tensioattivo (4G) e il Chelante (5G). Nel caso degli idrocarburi l’asportazione è riconducibile ad un fatto meccanico (anche qui la superficie della scultura appare disgregata) mentre per gli Acidi si può pensare ad un’interazione chimica con le soluzioni. Invece i composti relativi a composti della resina terpenica sono stato trovati solo nella soluzione a pH7 e conducibilià 6,4 mS/cm in forma gelificata (3G). Di seguito la Tabella 2 che riassume i risultati ottenuti dalle prove di pulitura. Sono stati messi a confronto i dati della GC-MS ottenuti dai campioni di cera dello strato superficiale interessato dalla pulitura e dai tamponcini di cotone.

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Figura 20. Tasselli delle prove di pulitura con le soluzioni eseguite sulla scultura Il vasaio.

1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm 4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato

Figura 21. Istogramma dei composti della cera asportati tramite l operazione di pulitura sulla scultura Il vasaio. La quantita` e` calcolata in mg. 1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm;

4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20; 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato. Cx idrocarburi con x atomi di Carbonio, n.d. composto non determinato.

Figura 22. Tasselli delle prove di pulitura sulla scultura La madre dormiente delle soluzioni sopra e dei gel sotto numerati da destra verso sinistra .

1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm 4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato 1G-5G gel delle rispettive soluzioni

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Figura 23. Istogramma dei composti della cera asportati tramite l operazione di pulitura sulla scultura La madre dormiente. La quantita` e` calcolata in mg. 1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm;

4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con tensioattivo Tween 20; 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato. 1G-5G gel delle rispettive soluzioni. Cx idrocarburi con x atomi di Carbonio.

Figura 24. Tasselli delle prove di pulitura eseguite sulla scultura Il ritratto del pittore Fortuny delle soluzioni sopra e dei gel sotto.

1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm 4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato 1G-5G gel delle rispettive soluzioni

Figura 25. Istogramma dei composti della cera asportati tramite l operazione di pulitura sulla scultura Il ritratto del pittore Fortuny. La quantita` e` calcolata in mg. 1G gel della soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 2G gel della soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 3G gel della soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm; 4G gel della soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20; 5G gel della soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato. AGx Acido Grasso a x atomi di Carbonio.

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Figura 26. Tasselli delle prove di pulitura eseguite sulla scultura Il velo delle soluzioni sopra e dei gel sotto.

1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm 4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato 1G-5G gel delle rispettive soluzioni

Figura 27. Istogramma dei composti della cera asportati tramite l operazione di pulitura sulla scultura Il velo. La quantita` e` calcolata in mg. 1S soluzione tampone a pH 6 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 2S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 4,5 mS/cm; 3S soluzione tampone a pH7 e conducibilita` 6,4 mS/cm; 4S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 4,5 mS/cm con

Tensioattivo Tween 20; 5S soluzione tampone a pH 7 e conducibilita` 12,4 mS/cm con Chelante Citrato, 1G-5G gel delle rispettive soluzioni. Ix Idrocarburi con x atomi di Carbonio. AGx:y Acido Grasso a x atomo di Carbonio e y insaturazioni, c.t. composto terpenico.

Tabella 2. Presentazione complessiva dei risultati ottenuti dalle prove di pulitura sulle sculture n.c.: nessun composto, n.d.: non determinato in quanto le prove non sono state eseguite .

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Conclusioni Abbiamo voluto verificare l’idoneità dell’utilizzo delle soluzioni acquose nella pulitura di manufatti in cera. Sono state prese come base dello studio quattro sculture conservate alla GAM di Milano. Per prima cosa è stata caratterizzata la cera delle sculture tramite spettroscopia FT-IR e analisi gascromatografica accoppiata alla spettrometria di massa. Successivamente sono state testate diverse soluzioni in forma acquosa e in forma di gel e si è proceduto con l’analisi dei tamponcini di pulitura tramite GC-MS. Sono state testate le seguenti soluzioni: - soluzione tampone a pH 6 e conducibilità 4,5 mS/cm - soluzione tampone a pH7 e conducibilità 4,5 mS/cm - soluzione tampone a pH7 e conducibilità 6,4 mS/cm - soluzione tampone a pH 7 e conducibilità 4,5 mS/cm con Tensioattivo Tween 20 - soluzione tampone a pH 7 e conducibilità 12,4 mS/cm con Chelante Citrato Le prove sono state condotte con le soluzioni sia in forma libera che in forma di gel. L’analisi GC-MS ha evidenziato: • l’asportazione, in alcuni casi, di idrocarburi e di acidi grassi • un’azione relativamente più aggressiva delle soluzioni in forma di gel rispetto alla forma acquosa Tali risultati non permettono di esprimersi sull’idoneità dell’utilizzo delle soluzioni acquose in quanto aprono alcune problematiche. Infatti se per la componente acida è possibile ipotizzare una reale interazione chimica con le soluzioni, la presenza degli idrocarburi è imputabile invece ad una esclusiva azione meccanica. Inoltre l’azione più aggressiva dei gel, rispetto alle soluzioni libere, può essere imputabile ad una maggiore azione meccanica in quanto il contatto con la superficie è protratto per alcuni minuti e anche all’utilizzo di un addensante di tipo polisaccaridico (Gomma Xantano) che può avere agito come emulsionante. Il problema allora è: interazione chimica sì o no? Questi risultati non ci permettono di escluderla completamente. Abbiamo quindi deciso di fare nuove prove di pulitura su stesure di cera realizzate in laboratorio. Bibliografia 1. R.C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione Italiana: R.C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato casa editrice, Saonara (PD) 2005 2. R. WOLBERS, Un approccio acquoso alla pulitura dei dipinti, Quaderni CESMAR7, n. 1, Il Prato, Padova 2004 3. C.V. HORIE. Materials for Conservation. Organic Consolidants, Adhesives and Coatings, ButterworthHeinemann, Oxford 1987 4. J.R. KANICKY - D.O. SHAH. Effect of Degree, Type, and Position of Unsaturation on the pkA of Long-Chain Fatty Acids, Journal of Colloid and Interface Science, 256, (1), 2002, p. 201

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CAPITOLO III PROVE DI PULITURA SU STESURE DI RIFERIMENTO Sono state scelte tre cere di uso comune di tipo commerciale: cera d’api vergine, cera d’api sbiancata e paraffina. Con queste sono state realizzate tramite fusione delle stesure di cera di circa mezzo cm all’interno di capsule Petri (Figura 28). Lo scopo è verificare l’esistenza di un’interazione chimica tra le soluzioni individuate per questo studio e i composti della cera in un sistema di studio con meno variabili rispetto a quello rappresentato dalle sculture. Infatti le stesure realizzate in laboratorio, al contrario delle sculture, non hanno subito il passaggio nel tempo con le forme di degrado che esso accompagna, infatti le superfici osservate al microscopio appaiono perfettamente compatte senza quella disgregazione che invece caratterizza la superficie delle sculture, riducendo così al minimo l’eventuale asportazione meccanica per sfregamento. Per le prove di pulitura sono state usate solo due soluzioni con i rispettivi gel: la soluzione n°1 a pH 6 e conducibilità 4,5/cm mS e la n°4 a pH 7, conducibilità 4,5 mS/cm con il tensioattivo, considerate teoricamente la meno e la più aggressiva (per via, nel primo caso, del valore acido di pH, non ionizzante nei confronti di Acidi Grassi, e, nel secondo caso, del valore di pH non acido e della capacità emulsionante del Tensioattivo sempre nei confronti di componenti lipofili come Esteri e Acidi Grassi). Sia i campioni di cera delle stesure che i tamponcini delle prove di pulitura sono stati analizzati tramite gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa allo scopo di verificare l’eventuale presenza di segnali riconducibili ai composti della cera sui cromatogrammi relativi ai tamponcini di pulitura. Inoltre approfittando della realizzazione di queste stesure abbiamo voluto verificare se l’invecchiamento induce dei cambiamenti di colore nella cera. A questo scopo, preliminarmente alle prove di pulitura, sono state eseguite delle misure colorimetriche prima e dopo irraggiamento UV (lunghezza d’onda 254 nm) per 24 ore. È ormai opinione condivisa che la radiazione UV non rappresenti adeguatamente i processi di invecchiamento naturale; abbiamo comunque utilizzato questo semplice metodo solamente per indurre sui materiali recenti una certa alterazione fotossidativa in tempi molto brevi. Caratterizzazione delle cere delle stesure I campioni di cera sono stati prelevati dalle stesure, preparate per fusione, dopo aver subito l’irraggiamento UV. Avendo scelto di effettuare le prove di pulitura solo dopo le misure colorimetriche, per un confronto corretto con la cera di partenza anche questa è stata analizzata dopo le prove colorimetriche. La cera è stata indagata tramite GC-MS. Cera d’api vergine commerciale. Il campione di cera d’api vergine commerciale analizzato dopo irraggiamento UV risulta composto prevalentemente da Idrocarburi sia saturi che insaturi (Figura 29). In particolare quelli saturi hanno una catena di atomi di Carbonio compresa tra C23 e C33 con eccezione del C30, C32, mentre quelli insaturi sono il C26:1, C28:1, C30:1, C32:1, C33:1 e C34:1. È presente solo un Acido: l’Acido Palmitico a 16 atomi di Carbonio. Si tratta sicuramente di una cera adulterata con paraffina, inoltre il basso tenore di Acidi e l’assenza degli Alcoli non rispecchiano i dati che comunemente vengono riportati per una cera d’api. Cera d’api sbiancata commerciale. La cera d’api sbiancata è una miscela di Acidi Grassi, Alcoli e Idrocarburi (Figura 30). Gli alcoli sono il C24, C26, C28 e C30 con C24 come principale. L’Acido Palmitico (C16) e l’Acido Stearico (C18) sono gli unici trovati e, insieme agli alcoli, derivano principalmente dall’idrolisi degli Esteri. Infine gli Idrocarburi, quelli saturi sono presenti con una catena di atomi di Carbonio compresa tra C21 e C31 ad eccezione del C30, mentre sono presenti anche il C30 e C33 monoinsaturi. Paraffina commerciale. Dall’analisi GC-MS (Figura 31) risulta che la cera non è composta esclusivamente da idrocarburi come invece ci si sarebbe aspettato, è presente infatti l’Acido Palmitico. Sono presenti gli idrocarburi con una catena di atomi di Carbonio compresa tra C22-C29 con C23 come principale. Si tratta probabilmente di paraffina alla quale è stata addizionata della Stearina.

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Figura 28. Stesure di cera realizzate in laboratorio: da sinistra verso destra cera d api vergine, cera d api sbiancata e paraffina.

Figura 29. Cromatogramma del campione di cera d api vergine usata per la stesura ed elenco dei composti riconosciuti. La distribuzione dei composti non rispecchia la composizione tipica riportata in letteratura di una cera d api. T.R.=tempo di ritenzione in minuti, SI=standard interno, %SI=rapporto percentuale dell area del singolo analita rispetto all area del picco dello standard interno .

Figura 30. Cromatogramma relativo alla cera d api sbiancata usata per la stesura ed elenco dei composti identificati. T.R.=tempo di ritenzione in minuti, SI=standard interno, %SI=rapporto percentuale dell area del singolo analita rispetto all area del picco dello standard interno .

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Prove di pulitura sulle stesure di cera I tasselli di pulitura sono stati delimitati con l’aiuto di una mascherina in modo che fossero tutti di un’area di 1 cm2 (Figura 32). Anche in questo caso per le prove con le soluzioni acquose si sono contati dieci passaggi successivi con il cotone “sterile” con un leggero movimento rotatorio, e per i gel un’applicazione di 5 minuti e la rimozione con lavaggio della superficie con la rispettiva soluzione. Sono state provate solo due soluzioni sia in forma acquosa che gelificata: quella a pH 6 e conducibilità 4,5 mS/cm e quella a pH 7, conducibilità 4,5 mS/cm e il Tensioattivo Tween 20, considerate a livello teorico rispettivamente la meno e la più aggressiva. L’analisi GC-MS dei tamponcini di pulitura ha evidenziato che in nessun caso si è verificata l’asportazione di composti riconducibili alla cera delle preparazioni. Quindi si è verificato che per le stesure realizzate in laboratorio non c’è stata alcuna interazione tra le soluzioni e i gel con i tre tipi di cera. Misure colorimetriche Sono state eseguite delle prove colorimetriche sulle stesure di cera realizzate in laboratorio prima e dopo irraggiamento di 24 ore sotto luce ultravioletta. Si è voluto verificare se l’invecchiamento induce nella cera un cambiamento di colore. Le coordinate CIE L*a*b* sono state calcolate su un’area selezionata sulle stesure di cera. Dal confronto tra i dati ottenuti prima e dopo l’invecchiamento sulla stessa cera si è calcolata la differenza di colore ΔE. In questo caso abbiamo ottenuto: per la cera d’api vergine ΔE=2,29 per la cera d’api sbiancata ΔE=2,25 • per la paraffina ΔE=2,51 • •

In tutti e tre i casi la differenza di colore è compresa tra 2-3, cioè il colore è cambiato, ma in modo poco percepibile all’occhio umano. Conclusioni Per verificare l’esistenza o meno di un’interazione chimica tra la cera e le soluzioni usate per la pulitura delle sculture della GAM abbiamo realizzato delle stesure di cera di riferimento. Sono state scelte tre cere commerciali di uso comune: cera d’api vergine, cera d’api sbiancata e paraffina. Tramite fusione sono state realizzate delle stesure di circa mezzo cm di spessore. Vista la possibilità di realizzare delle prove colorimetriche abbiamo misurato, preliminarmente alle prove di pulitura, la variazione di colore prima e dopo invecchiamento di 24 ore sotto luce UV. Le misure effettuate permettono di dire che c’è stata una minima variazione di colore, ma non percepibile dall’occhio umano. Solo dopo è stata caratterizzata la cera e sono state realizzate le prove di pulitura. In questo caso abbiamo deciso di ridurre le soluzioni testate limitando il numero a due: sono state scelte, tra quelle provate sulle sculture della GAM, le due considerate agli estremi di una ipotetica scala di aggressività: la soluzione n°1 a pH 6 e conducibilità 4,5/cm mS (non ionizzante nei confronti degli Acidi Grassi per il suo valore acido di pH) e la n°4 a pH 7, conducibilità 4,5 mS/cm con il Tensioattivo (ionizzante e emulsionante nei confronti di componenti lipofili per il valore non acido del pH e la presenza del Tensioattivo). Queste soluzioni sono state provate sia in forma acquosa che gelificata. I campioni di cera e i tamponcini delle prove di pulitura sono stati analizzati tramite GCMS. Dalle analisi effettuate emerge che per le cere commerciali di differente tipologia, ossia la cera d’api vergine, la cera d’api sbiancata e la paraffina, non si è verificata l’asportazione dei composti della cera. Quindi si può escludere l’interazione chimica tra le soluzioni testate e i tre tipi di cera.

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Figura 31. Cromatogramma relativo alla paraffina commerciale e elenco dei composti riconosciuti. T.R.=tempo di ritenzione in minuti, SI=standard interno, %SI=rapporto percentuale dell area del singolo analita rispetto all area del picco dello standard interno . Tabella 3. Tabella riassuntiva dei dati raccolti dalle analisi dei campioni di cera e dei tamponcini di pulitura n.c.: nessun composto, n.d.: non determinato, Sol: soluzione .

Figura 32. Prove di pulitura sulla stesura di cera d api vergine.

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CONCLUSIONI In questo lavoro abbiamo voluto verificare l’idoneità dell’utilizzo delle soluzioni acquose nella pulitura di manufatti in cera. Sono state prese, come base dello studio, quattro sculture conservate alla GAM di Milano. Per prima cosa è stata caratterizzata la cera delle sculture tramite spettroscopia FT-IR e analisi gascromatografica accoppiata alla spettrometria di massa. Per ogni scultura sono stati prelevati due campioni: uno superficiale e uno più interno. Successivamente sono state testate diverse soluzioni acquose in forma libera e in forma di gel e si è proceduto con l’analisi dei tamponcini di pulitura. In particolare si è prestata attenzione all’interazione tra le soluzioni ed eventuali sostanze acide presenti. Sulle sculture sono state testate le seguenti soluzioni: 1. soluzione tampone a pH 6 e conducibilità 4,5 mS/cm 2. soluzione tampone a pH 7 e conducibilità 4,5 mS/cm 3. soluzione tampone a pH 7 e conducibilità 6,4 mS/cm 4. soluzione tampone a pH 7 e conducibilità 4,5 mS/cm contenente Tensioattivo non ionico Tween 20 5. soluzione tampone a pH 7 e conducibilità 12,4 mS/cm contenente Chelante Citrato La tabella 3 riassume i risultati ottenuti dalle analisi dei campioni di cera e dalle prove di pulitura. Accanto al nome di ogni scultura si riportano i campioni di cera prelevati con il materiale identificato tramite la spettroscopia di assorbimento FT-IR e la gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa. A fianco i dati ottenuti dalle prove di pulitura. Poiché i tamponcini sono stati analizzati tramite GC-MS, è interessante il confronto tra i composti identificati con la stessa tecnica nello strato più superficiale delle sculture, interessato dalla pulitura, e i composti ritrovati sul cotone. L’analisi GC-MS dei tamponcini di pulitura ha evidenziato: • l’asportazione in alcuni casi di Idrocarburi e di Acidi Grassi • un’azione relativamente più aggressiva delle soluzioni in forma di gel rispetto alla forma acquosa, al contrario di quello che ci si sarebbe aspettato. Nel formulare le prove da svolgere avevamo sviluppato un procedimento logico che ci sembrava adeguato al comportamento chimico dei materiali in questione, a carattere ceroso, e finalizzato a definire quali condizioni dovessero avere le soluzioni acquose per la pulitura, così da risultare efficaci e il più selettive possibile. I risultati ottenuti su reali manufatti artistici, le sculture in questione, sembravano invece smentire la validità di questo ragionamento: le soluzioni acquose testate interagivano coi manufatti, asportandone componenti idrocarburiche e grasse. Per i componenti acidi della cera sarebbe stato possibile ipotizzare, come abbiamo visto, una reale interazione chimica con le soluzioni; però, il fatto che quest’interazione non sembrasse avere una relazione col valore di pH, ci ha indotto a pensare ad un’altra possibilità: una semplice azione di asportazione meccanica di materiale ormai solo parzialmente coeso da superfici disgregate, rese tali dalle inevitabili alterazioni associate all’invecchiamento dei manufatti. Per verificare questa nuova ipotesi, che appariva comunque credibile esaminando sotto ingrandimento le superfici delle sculture, abbiamo deciso di ampliare lo studio, prendendo come termine di paragone delle stesure fresche di materiali cerosi, sottoposte all’azione delle stesse soluzioni acquose. L’analisi dei tamponcini ha evidenziato che in nessun caso la pulitura comportava l’asportazione di materiale riconducibile alla cera; quindi non si era verificata alcuna interazione con i composti della cera, nemmeno di tipo chimico con gli acidi presenti, a conferma della nostra ipotesi. In effetti, uno dei fenomeni che contribuiscono al degrado della cera è la migrazione degli Idrocarburi saturi, gli Alcani, in superficie, migrazione che si manifesta sottoforma di una cristallizzazione biancastra [1]. Lo stesso fenomeno si manifesta quando alla cera vengono addizionate delle sostanze grasse: anche in questo caso si assiste ad una migrazione degli Acidi Grassi in superficie [2]. L’osservazione allo stereomicroscopio dei campioni prelevati dalle sculture evidenziava proprio la presenza sulla superficie di una cristallizzazione biancastra mista ad un deposito di polvere di colore scuro. Questa osservazione conferma dunque l’ipotesi di un’asportazione meccanica dei composti della cera, ulteriormente confermata dall’osservazione della superfici delle stesure di cera che invece appaiono perfettamente compatte. Diviene così possibile razionalizzare anche il dato dell’azione più aggressiva dei gel, rispetto alle soluzioni libere: la maggiore interazione può essere imputabile ad una maggiore azione meccanica nel caso dei gel, in quanto il contatto con la superficie è protratto per alcuni minuti, ed anche al fatto che l’addensante utilizzato (Gomma Xantano) potrebbe avere agito come emulsionante grazie alla sua struttura polisaccaridica.

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Sulla base di questi risultati possiamo dunque formulare delle conclusioni, e riteniamo opportuno suddividerle in due parti: una prima conclusione sugli aspetti più propriamente scientifici, ed una seconda sulle implicazioni pratiche per il restauro di questi manufatti. La prima può essere riassunta così. Le prove condotte sulle stesure appositamente prodotte dimostrano la correttezza delle considerazioni fatte. Usando soluzioni acquose a pH acido, inferiore al pKA degli Acidi Grassi costituenti il materiale ceroso, si minimizza la ionizzazione di questi Acidi, che conservano di conseguenza un carattere nettamente idrofobo, e risultano praticamente insolubili in acqua. Anche un valore di pH un poco più alto, intorno al 7, sembra produrre minima ionizzazione, e questo sarebbe in accordo con valori di pKA decisamente alti, intorno al 10, come suggerito negli studi citati nel secondo capitolo. In queste condizioni anche la soluzione acquosa ritenuta potenzialmente più rischiosa, la n°4, a pH 7 e conducibilità 4,5 mS/cm contenente il Tensioattivo, si dimostrava priva di rischio di interazione chimica: possiamo pensare che l’azione emulsionante non sia comunque sufficiente a disperdere in acqua, in condizioni di pH non alcaline, i componenti delle cere. Infine, le prove colorimetriche condotte su questa stesure artificiali prima e dopo l’invecchiamento hanno mostrato che la differenza di colore ΔE per tutti e tre i tipi di cera è stata compresa tra i valori 2-3, a significare che le differenze nella cromia non sono percepibili ad un occhio poco allenato. Le conclusioni più propriamente applicative, possono invece essere riassunte così. Le proprietà chimiche dei materiali costituenti non sono di fatto l’unica variabile che gioca nella selettività dell’intervento di pulitura di questo tipo di manufatti: la morfologia della superficie si è rivelata essere il fattore determinante, al punto da compromettere anche un’azione acquosa che era “sicura” dal punto di vista dell’assenza di interazioni chimiche. Una superficie invecchiata, decoesa e alterata dalla presenza di componenti migrati sulla superficie, rappresenta dunque un fattore di rischio intrinseco per il manufatto. Non è facile ipotizzare quale possa essere, in queste condizioni, una modalità applicativa delle soluzioni acquose capace di garantire la minima azione meccanica: di sicuro non lo sono quelle testate in questo studio, cioè l’applicazione a tampone di soluzioni libere, e quella di soluzioni gelificate. Sicuramente, viene messa in luce la necessità dell’osservazione della superficie di un manufatto in cera con adeguato ingrandimento, osservazione che dovrebbe essere preliminare anche alla decisone stessa sulla opportunità di pulire o meno il manufatto in questione. Bibliografia 1. M. REGERT, J. LANGLOIS, S. COLINART, Characterisation of wax works of art by gas chromatographic procedures, Journal of Chromatography A, 1091, 2005, pp. 124-136 2. S. COLINART, F. DRILHON, G. SCHERF, Sculpture en cire de l’ancienne Egypte à l’art abstrait, Ministère de la Culture et de la Communication, Edition de la Réunion des musées nationaux, Parigi 1987

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APPENDICE I. LA CERA Introduzione Molti composti alifatici appartenenti a diverse classi funzionali, quando hanno un numero di atomi di carbonio sufficiente a determinarne lo stato solido, sono caratterizzati da un aspetto che può essere definito ceroso: appaiono cioè traslucide e “cerose” al tatto. In senso chimico stretto con il termine cere si identifica una famiglia specifica di composti naturali costituiti da una miscela di sostanze diverse, in particolare: Esteri di Acidi e Alcoli, Alcoli, Acidi Grassi liberi e idrocarburi a lunga catena. Poiché sono composte per la maggior parte da una miscela di sostanze sature, le cere manifestano un’elevata inerzia chimica verso qualsiasi tipo di alterazione, per tanto sono poco soggette a reazioni di ossidazione e polimerizzazione. Per lo stesso motivo non presentano qualità filmogene, per cui sono poco usate come leganti in modo diretto, l’unica eccezione è la tecnica pittorica dell’encausto [1]. Le cere naturali sono delle sostanze amorfe e per questo motivo è possibile parlare non solo di un punto di fusione, ma anche definire una temperatura di rammollimento. La cera d’api, per esempio, rammollisce ad un intervallo di temperatura tra 40-45 °C e fonde a 60-70 °C. Le cere artificiali invece durante il processo di lavorazione possono subire anche un cambiamento della struttura e diventare cristalline. Le cere hanno un basso punto di fusione (generalmente sotto i 100 °C), e per tale motivo sono state usate frequentemente nella composizione di adesivi e consolidanti, per la possibilità di realizzare adesivi termofusibili a bassa temperatura. Un esempio è il consolidamento del colore nei dipinti e la reintelaiatura fatta con adesivi a base di cera d’api e resine. Infatti le proprietà adesive e coesive delle cere sono piuttosto scarse, ma l’unione di resine permette di realizzare delle miscele bassofondenti capaci di penetrare facilmente nella porosità della materia in quanto le cere sono sostanze non polimeriche a basso peso molecolare. Per le sue proprietà fisiche e chimiche la cera è stata usata anche come materiale plastico da modellare [1]. Inoltre la cera ha anche un’elevata idrorepellenza, per tale caratteristica è stata usata come protettivo per diversi materiali in pietra e in metallo e nella formulazione di vernici per dipinti. In tempi più recenti le cere sono state impiegate per formare delle emulsioni acquose adatte a supportare solventi per la pulitura di dipinti [1]. Le cere naturali, essendo costituite principalmente da composti con lunghe catene idrocarburiche, sono scarsamente polari, pertanto risultano solubili in solventi organici, come clorurati e idrocarburi. Questa solubilità, vista l’inerzia chimica verso processi di alterazione, rimane pressoché inalterata nel tempo. Di seguito si riporta la classificazione dei materiali cerosi che si ritrova in numerosi testi [1,2,3]. Le cere possono essere classificate in base all’origine, si distinguono così le cere naturali, sia animali che vegetali, e le cere minerali ed artificiali. Cere animali Cera d’api. La cera di gran lunga più usata è quella prodotta dall’insetto Apis mellifera L., anche se è possibile trovarne prodotte dalle specie asiatiche Apis dorsata, Apis florea, Apis indica, e da quella africana Apis mellifera adansonii. Le api usano la cera per costruire le celle dei favi dove vengono allevate le larve e depositati miele e polline. La composizione di queste cere è qualitativamente piuttosto simile, mentre ciò che le distingue è la percentuale con cui i composti sono presenti. La composizione è variabile anche all’interno di ciascuna specie, mediamente è composta da [4]: 1. Acidi Grassi liberi (12-14%), la maggior parte dei quali saturi (ca. 85%) con una catena compresa tra C22-C34 con il principale C24. 2. Alcoli Grassi liberi (ca. 1%) con una catena di atomi di Carbonio pari compresa tra C28-C36. 3. monoesteri e idrossimonoesteri lineari (35-45%) con una catena di atomi di Carbonio pari compresa tra C40-C48. Gli esteri derivano quasi esclusivamente dall’Acido Palmitico (C16) e dall’Acido 15-Idrossipalmitico, e in parte minore dall’Acido Stearico (C18). La variazione nel numero di atomi di Carbonio dipende invece dalla lunghezza degli Alcoli con cui questi Acidi sono esterificati. Gli Alcoli hanno una catena idrocarburica tra C24-C34 con il principale C24. 4. Esteri complessi (15-27%) contenenti acido15-idrossipalmitico o dioli che attraverso il loro gruppo ossidrilico sono in grado di legarsi ad un altro Acido Grasso. Oltre a questi diesteri anche triesteri possono essere trovati. 5. Idrocarburi lineari con numero di atomi di Carbonio dispari (12-16%) con catena compresa tra C21-C33 con principale C27. Con l’aumentare della lunghezza delle catene aumenta in proporzione la frazione degli idrocarburi insaturi (oltre C33 sono presenti solo le specie insature).

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Queste sono le componenti principali, in realtà la cera d’api è una miscela ancora più complessa che comprende anche Dieni, Trieni, Dioli, Flavonoidi, Terpeni e altre sostanze che ancora non sono state identificate. La composizione della cera d’api dipende dalla specie di insetto, ma anche dalle circostanze ambientali e climatiche nelle quali è avvenuta la sua produzione [5]. La cera vergine ha un colore variabile dal giallo dorato al giallo chiaro e odora di miele, è fragile ma ha delle proprietà adesive e coesive. Sul commercio esiste anche la cera sbiancata che può essere ottenuta naturalmente esponendo la cera al sole e all’aria. Si innescano infatti delle reazioni fotochimiche che comportano lo schiarimento del colore. Lo stesso risultato si ottiene più rapidamente con il trattamento di sostanze ossidanti come perossidi, ozono, cloro o per assorbimento delle impurezze colorate con carboni attivi o terre decoloranti. In questo caso però si perdono alcune delle proprietà fisiche della cera grezza che ne limitano quindi l’uso. La cera d’api è solubile, meglio a caldo, in solventi clorurati (CHCl3, C2HCl3, CCl4) e idrocarburici (Benzina, Essenza di Trementina, Etere di petrolio). Fonde tra 60-70 °C ma comincia a rammollire già a basse temperature, tanto è vero che con la sola manipolazione delle mani è possibile modellarla facilmente a temperatura ambiente. La cera d’api che viene commercializzata non di rado è adulterata con l’aggiunta di altre sostanze cerose di poco pregio come sego, paraffina e grassi vegetali, o anche addizionata di poveri di minerali (talco, gesso e caolino). Cera cinese. È il prodotto di secrezione dell’insetto Coccus ceriferus Farb., insetto simile alle api allevato in Cina. È composta essenzialmente da esteri (83%) tra C48-C60 con massimo C52 (Cerotato di Cerile, Acido C26 e Alcol C26). In Oriente è stata impiegata per gli stessi usi per cui l’Occidente si è servito della cera d’api. Risulta più dura e chiara di questa, fonde a 80-83 °C, ed è solubile a caldo in Benzene, Toluene e Tricloroetilene. Cera di gommalacca. La gommalacca è conosciuta con il nome di shellac in inglese. La sua componente cerosa costituisce circa il 3-4 % del materiale grezzo. Questa è una resina prodotta dalla femmina di una specie di insetti (coccidi) che infestano gli alberi su cui viene poi depositata la resina. La gommalacca grezza si presenta come una massa bruno-rossa che viene poi purificata. La sua composizione non è completamente nota, sappiamo però che contiene Poliesteri di vari Ossiacidi, solubili in Alcol, percentuali minori di sostanze cerose, insolubili in Alcol, e una quantità ancora inferiore di un colorante rosso-bruno solubile in acqua (lac dye). Viene separata dalla parte resinosa come residuo insolubile in Etanolo a freddo. È costituita da piccole quantità di Idrocarburi, Alcoli liberi (C28, C30, C32 e C34 in quantità decrescenti), Esteri da C42 a C68 distribuiti in due bande con massimi a C44 e C64. È una sostanza dura, fragile, di colore rosso-bruno, fonde a 78-87 °C, solubile in Trementina. È simile alla cera carnauba ed è stata usata per impieghi simili. Lanolina. È il grasso secreto dalla pelle della pecora che si accumula sulla lana ed ha funzione protettiva ed emolliente. È costituita da Idrocarburi, Esteri di Acidi Grassi superiori (14-24%), Acidi e Alcoli alifatici liberi e da Steroli (Lanosterolo e Colesterolo) (45-65%) e Terpeni (4-5%). Le catene di Acidi Grassi contengono un numero di atomi di Carbonio che varia tra 14-45. Dopo la raffinazione è di aspetto giallo-bruno, pastoso, appena colorata. È solubile in cloroformio, la sua più importante proprietà è di formare con grande facilità emulsioni con l’acqua. Queste emulsioni, che vengono vendute sul mercato col nome di lanoline, hanno spiccate proprietà ammorbidenti e vengono utilizzate nel trattamento delle pelli e del cuoio anche a scopo di restauro. Spermaceti. Si ricava dalla testa del capodoglio (o balena bianca) e di altre specie di cetacei che vivono nell’Oceano Pacifico. Il nome fu dato nel passato quando si riteneva che si trattasse del seme dell’animale. Il Palmitato di Cetile (C32) ed il Miristato di Cetile (C30) sono gli Esteri maggiormente presenti (6595%), sono presenti anche trigliceridi (5-30%), Alcoli liberi (1-5%) e Acidi (0-3%). È stata usata in Inghilterra nel XV secolo in campo medico. È usata nella cosmesi e nella fabbricazione delle candele, poco nella statuaria e qualche volta nel restauro. Fonde a bassa temperatura (44 °C) e per questo motivo è stata usata nella composizione delle cere da modellare e da fondere. Oggi la spermaceti non viene più prodotta naturalmente ed è stata sostituita da Palmitato di Cetile sintetico.

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Cere vegetali Carnauba. È il prodotto di essudazione della palma brasiliana Copernica cerifera. La cera è essudata dai piccioli della pianta per prevenire la disidratazione delle foglie in un clima tropicale. Contiene circa 85% di Esteri, il 3% di Acidi Grassi liberi, altrettanto di Idrocarburi e Alcoli liberi e circa 5% di componenti resinosi che conferiscono alla cera una particolare durezza risultando tra le più dure delle cere naturali. Fonde a 80-86 °C, è fragile e di solito colorata (verdastra, grigia, giallastra). A temperatura ambiente è solubile solo in Cloroformio e Etere Etilico, poco in Etanolo bollente. In commercio si trova spesso adulterata con cere meno costose come la paraffina. Raramente è usata da sola ma piuttosto come additivo di altre cere per conferire maggiore durezza e lucentezza e per elevarne il punto di fusione. La troviamo come ingrediente nella fabbricazione di lucidi per scarpe, cosmetici, candele, inchiostri e vernici. Nel restauro la troviamo spesso addizionata alla cera d’api. Ouricuri. È estratta dalla palma Syagrus cozonata che cresce nel Sud America. Ha proprietà simili alla cera carnauba, l’aggiunta di una minima quantità di questa sostanza alla paraffina fa aumentare considerevolmente il punto di fusione, per questo motivo è usata a scopi simili. La sua composizione è simile a quella della carnauba, contiene circa il 6% di Triterpeni che includono Acetato di Lupeolo, Acetato di Taraxerolo, Lupenone e Taraxenone. Cera giapponese. Si prepara dai frutti di un albero che cresce in Giapppone e in Cina. Non è propriamente una cera in quanto essendo costituita prevalentemente da Trigliceridi (Palmitina) e Acidi Grassi (Palmitico C16, Butirrico C4) può essere considerata più correttamente un grasso vegetale. Di solito è colorata, è fragile e ingiallisce facilmente per ossidazione all’aria. Rispetto alla cera d’api è più facilmente solubile nei solventi organici e fonde a temperature inferiori, circa 50-55 °C. Trova uso come legante nei pastelli, come ammorbidente per il cuoio, come additivo per altre cere per aumentarne le proprietà adesive e in Giappone è largamente usata per la fabbricazione di candele. Candelilla. Si estrae dall’arbusto di Euphorbia cerifera e Euphorbiaantisyphilitica che crescono prevalentemente in Messico. È composta da Idrocarburi (50% da C29 a C33), Esteri (28-29%), Alcoli, Acidi Grassi liberi (7-9%) e resine (12-14% Esteri Triterpenici), i componenti caratteristici sono l’Idrocarburo Entriacontano (C31) e l’Alcol Miricilico (C31). Ha un colore giallo o bruno giallastro, è dura e fragile. È usata per indurire altre cere, come la cera d’api, senza far innalzare il punto di fusione (fonde a 67 °C) [6]. È solubile in Acetone, Cloroformio, oli, Trementina e solventi organici clorurati, poco in Alcol e Etere. Esparto. Si ottiene come sottoprodotto della lavorazione dell’erba esparto, Stipa tenacissima, per la fabbricazione della carta. La sua composizione è piuttosto variabile, comprende Idrocarburi, Esteri in piccole quantità, Alcol C28 e Triterpenoidi non ben identificati. Secondo alcuni autori gli Idrocarburi consistono prevalentemente in Steroli e Terpeni. Olio di jojoba. È una cera liquida ottenuta dal seme simile al fagiolo della jojoba, Smmondsia spp., che si trova facilmente in Messico e negli Stati Uniti del Sud. È composta principalmente da esteri che derivano largamente da Acidi monoinsaturi e Alcoli lineari in particolare C20 e C22. È stata usata dagli Indiani per il trattamento dei capelli. Negli anni ha acquisito importanza perché usata al posto della spermaceti. Cere minerali ed artificiali Paraffina. È definita impropriamente una cera in quanto non contiene Esteri ma solo Idrocarburi ad elevato peso molecolare. È di aspetto bianco traslucido con struttura lamino-cristallina. È considerata di origine minerale in quanto viene estratta dagli scisti, dalle ligniti e dal petrolio. Sono costituite dal 4090% da Alcani lineari con un numero di atomi di Carbonio da 20 a 36 con principale C27 [7], isoalcani e cicloalcani da 18 a 38 atomi di Carbonio, ma la composizione dipende dal materiale di partenza. Ha un intervallo di fusione che va da 46 a 68 °C e in questo range si distinguono due picchi di fusione. È solubile in solventi organici apolari e con l’aumentare della solubilità diminuisce il punto di fusione [6]. È caratterizzata da una elevata inerzia chimica dovuta al fatto che sono presenti quasi esclusivamente Idrocarburi saturi, e questo la rende interessante nell’ambito del restauro anche se in realtà spesso si preferiscono altre sostanze cerose con proprietà adesive migliori come le cere microcristalline. È utilizzata come consolidante per oggetti in ferro arrugginiti, avorio, legno, affreschi e oggetti in pietra. È stata introdotta per la prima volta nella seconda metà del XIX secolo nella fabbricazione delle candele e nella ceroplastica in generale.

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Cera Montana. È estratta dalle ligniti ed è un vero e proprio composto ceroso in quanto costituita prevalentemente da Esteri. Chimicamente è composta da 53% di Esteri con Acidi con atomi di Carbonio da C22 a C32, dal 17% di Acidi liberi, dal 1-2% di Alcoli liberi, dal 3-6% di Chetoni (Cerotone e Montanone), dal 20-23% di resine e da circa 3% di idrocarburi alifatici. Quando greggia è di colore bruno scuro, quella raffinata ha un colore giallo chiaro e struttura cristallina fibrosa. È caratterizzata da un’elevata durezza e da alto punto di fusione (82-86 °C) che la rendono utile per molte applicazioni simili alla cera carnauba. Ozokerite. L’ozokerite si trova nei depositi bituminosi del Miocene. Contiene alcani con atomi di Carbonio da 18 a 60 distribuiti in due bande con picchi a 27 e 42 [7]. Poiché si tratta di materiale fossile, la distribuzione degli Alcani può dipendere dal processo naturale di formazione. Ceresina. Costituisce il prodotto di raffinazione della cera fossile Ozokerite e si estrae separandola dal materiale bituminoso in acqua bollente. Ha un colore da giallo bruno a nerastro. È costituita da Idrocarburi lineari e ciclici ad alto peso molecolare come la paraffina, ma è più dura e consistente ed ha una struttura cristallina più fine, fonde tra 52-75 °C. Nella pratica è preferita alla paraffina, anche perché ha una struttura più simile alla cera d’api alla quale molto spesso è aggiunta come additivo. Cere microcristalline. Sono materiali idrocarburici che derivano dal petrolio attraverso particolari metodi di raffinazione. Chimicamente sono composte da Idrocarburi saturi a catena lunga con 41-50 atomi di Carbonio, elevata quantità di idrocarburi ramificati e ciclici. Presentano una struttura granulare microcristallina. La loro consistenza a freddo varia in un ampio intervallo: da malleabile a dura e fragile, e ha un elevato potere adesivo sempre a freddo. Queste proprietà insieme all’elevata inerzia chimica hanno fatto in modo che sia impiegata nel restauro anche in sostituzione alla cera d’api. La reversibilità rimane ottima nel tempo e anche l’assenza di colore nelle varietà bianche, inoltre ha anche una elevata idrorepellenza. Fonde tra 70-90 °C. Permane invece uno dei difetti delle cere: l’appiccicosità dovuta al basso punto di fusione. Tra i tipi commerciali più diffusi ci sono le Cosmolloid e le Multiwax. Sono molto usate per la lucidatura a cera. Serve a rimuovere lo sporco in superficie e a dare una finitura protettiva ad una vasta varietà di materiali: cuoio, metalli, marmo e pietre. Esistono poi altri tipi di materiali cerosi di origine sintetica come: • polimeri dell’Etilene a basso peso molecolare • cere ottenute per idrogenazione di oli minerali e vegetali • cere siliconiche • cere chetoniche Molto usata è la Stearina, nome commerciale di una miscela di Acido Palmitico e Stearico, studiata da Chevreul all’inizio del XIX secolo. A partire dal 1831 è fabbricata industrialmente per idrolisi di grassi ed è stata usata come sostituente della cera d’api. La Stearina viene mescolata sia alla cera d’api che alla paraffina. Essa modifica la malleabilità della cera alla quale è aggiunta e, nel caso della cera d’api, ne diminuisce l’ammontare e quindi il costo. L’abbondanza dei due Acidi può variare, dipende dal metodo di fabbricazione [8]. La ceroplastica La cera è stata ampiamente usata nelle botteghe degli artisti, soprattutto per la realizzazione di bozze e modelli destinati ad essere poi trasferiti in altro materiale. La cera è facile da lavorare ma comporta utensili e tecniche particolari. È possibile compiere una lavorazione a caldo con una cera malleabile o a freddo con una cera dalla consistenza dura [8]. La forma può essere sempre ripresa per aggiunta, per asportazione o rimodellazione se la zona viene portata ad una temperatura conveniente. Può essere paragonata alla terra cruda anche se rispetto a questa mostra dei vantaggi: non ritira raffreddandosi e rimane meglio ancorata ad eventuali armature presenti, anche se col tempo diventa fragile e possono comparire dei craquelures sulla superficie. Rispetto alla terra cruda è anche più facile da lavorare, presentando la possibilità di essere fusa in stampi. Inoltre durante la fase di lavorazione mostra sempre un aspetto finito, motivo per il quale è stata utilizzata per la realizzazione di bozze da sottoporre al giudizio dei committenti. Si presta quindi ad essere utilizzata per le prime tappe della creazione dell’opera: bozzeti e prove. Ha dunque un carattere effimero e nei secoli precedenti al Diciannovesimo solo una combinazione favorevole di circostanze ha potuto assicurare la sua conservazione. Infatti se non è stata distrutta dall’artista stesso, è difficile che si salvasse nella dispersione della bottega essendo fragile, a volte ingombrante e vista anche la pratica abbastanza diffusa del recupero della cera. Solo verso la metà del XVIII secolo le bozze di sculture in cera cominciano a suscitare l’interesse di alcuni collezionisti.

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Rispetto all’argilla e ad altri materiali inoltre offre grandi possibilità alla policromia. Può ricevere un film pittorico, come anche una doratura o un’argentatura, ma anche accogliere il pigmento nella sua massa. La cera appare leggermente traslucida, liscia e colorata è quella che per molto tempo, fino alla comparsa di alcune resine acriliche, meglio si è prestata alla riproduzione degli incarnati. Inoltre la cera viene associata facilmente ad altri materiali usati come supporto come il legno, il gesso, il vetro e l’ardesia, raggiungendo risultati molto interessanti come la possibilità di evocare le fattezze di un cammeo. Anche altri materiali possono essere associati alla cera, non solo come supporto ma anche come armature o come materiale di riempimento, è il caso della carta, del cartone, della stoffa e degli elementi metallici. Additivi. Sicuramente la cera più utilizzata è la cera d’api, ma raramente veniva usata tale e quale, molto più spesso in miscela e con l’aggiunta di additivi [8]. Alla cera d’api gli scultori potevano aggiungere la carnauba in piccole quantità per aumentarne il grado di durezza e il punto di fusione. Nel XIX secolo si usa sempre più spesso la paraffina per ridurre la quantità di cera d’api impiegata e la Stearina che è in grado di modificarne la malleabilità oltre che essere un materiale meno costoso da usare come sostitutivo. Diversi prodotti inoltre potevano essere aggiunti alla cera per modificarne le proprietà fisiche e il colore. Sostanze grasse. Tra i materiali grassi vengono menzionati sego e strutto ma anche olio di oliva, materiali che rendono la cera più malleabile [8]. Questi grassi sono composti da trigliceridi, Esteri del Glicerolo e di Acidi Grassi saturi e insaturi. Sego e strutto si distinguono per la presenza di una piccola quantità di Acido C17. L’invecchiamento di questo materiale grasso comporta una parziale idrolisi di questi Esteri con la formazione di Acido Palmitico e Stearico e di digliceridi e monogliceridi. Questo degrado si rende visibile sulla superficie della cera con la formazione di una cristallizzazione biancastra ricca di Acido Palmitico e stearico. Questa cristallizzazione compare anche quando nella cera è presente la Stearina. Resine naturali. Le resine potevano essere aggiunte alla cera per aumentarne la durezza e anche per ottenere una certa colorazione, si trovano citate in letteratura la trementina e la colofonia. Sono entrambe delle resine diterpenoidi formate da composti triciclici (abietani e pimarani) e composti biciclici (labdani). I composti che si trovano più frequentemente sono gli Acidi Carbossilici che, per quanto riguarda il gruppo degli abietani, sono l’Acido Abietico, Neoabietico, Levopimarico e Palustrico. In resine antiche si trovano come composti principali l’Acido Deidroabietico e l’Acido 7-Oxo-deidroabietico che si formano come prodotti di degradazione dagli Acidi Abietadienici. Gli acidi pamararadienici sono il Pimarico, il Sandaracopimarico e l’Isopimarico, quelli Labdanici il Turosolico, l’Agatico, l’Agatolico e il Communico. Queste resine si estraggono da alberi della famiglia delle Pinacaee, in particolare da diverse specie di Pinus [2]. La trementina contiene come biomarker l’Acido Pimarico, Isopimarico, Palustrico, e Abietico e come prodotto di degrado l’acido deidroabietico. La colofonia contiene l’acido deidroabietico e il deidro-7-deidroabietico come componenti principali, l’Acido Pimarico, Isopimarico e Abietico in minore quantità e anche il 7-Oxo-deidroabietico. La trementina contiene una quantità minore di prodotti di degrado rispetto alla colofonia, questo si spiega con il fatto che la trementina si ottiene direttamente dalla resina della pianta mentre la colofonia è il residuo che si ottiene dalla distillazione della resina di pino [7]. Coloranti e pigmenti. Numerosi coloranti e pigmenti potevano essere aggiunti alla cera per colorarla. Potevano essere incorporati direttamente nella cera fusa o dispersi in diluenti a freddo della cera (ad esempio l’essenza di trementina).

Tabella 4. Principali pigmenti e coloranti usati nella ceroplastica 8,9,10 .

Colore Rosso Blu Verde Giallo Nero Bianco

Nome Ocra, robbia, Alcanna spuria, sangue di drago, cinabro, minio Blu di Prussia, azzurrite, lapislazzuli, indaco Malachite, verdegris Ocra, orpimento, realgar, giallo di cromo, zafferano, fustic, curcuma Ossidi di ferro, nero fumo, nero carbone, pece, aniline Cerussite, ossido di zinco, gesso, calcite

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A partire dalla metà del XIX secolo fanno la comparsa le aniline (ammine aromatiche) che si dissolvono molto facilmente nella cera fusa e servono per una colorazione bruno-nera. I pigmenti minerali, generalmente poco costosi e più facilmente disponibili, sono molto usati. La cerussite se aggiunta in grandi quantità dava una colorazione bianca, mentre invece in quantità minori e finemente frantumata serviva a opacizzare la cera in presenza di altri pigmenti o coloranti. Veniva anche usata come inerte per diminuire il ritiro della cera durante il raffreddamento. Alcune cere policrome sono realizzate con un film pittorico steso a olio o a cera. L’impiego di foglie o di polvere metalliche poteva permettere la realizzazione di opere che imitassero altri materiali, coma ad esempio il bronzo. Nel caso in cui i pigmenti minerali non siano perfettamente macinati, i grani più grossi possono decantare durante la fase di lavorazione quando la cera è ancora fusa. Questo fenomeno si manifesta con l’affioramento di questi grani in superficie. Farina, fecola e amido. L’amido si trova in tutti i semi e tuberi delle piante. Le fonti principali di amido sono il mais, le patate, il riso e il grano. Anche i legumi ne sono ricchi. L’amido è un polisaccaride composto da due polimeri del glucosio: l’Amilosio (20-25%) di struttura lineare e l’Amilopectina (75-80%) di struttura altamente ramificata. L’uso di questi prodotti sembra attestarsi nel XIX secolo, per i periodi precedenti non si hanno testimonianze [8]. Senza conferire particolari proprietà alla cera d’api, servivano solo per una questione di economia della cera. Si rivelano per la presenza di grani di amido dalla forma ovale e regolare. Se aggiunti in grandi quantità possono essere causa di fragilità riducendo la scultura ad un’opera di grani di amido tenuti insieme da una piccola quantità di cera. Lavorazione della cera Due sono i modi principali di lavorazione: la modellatura a freddo e a stampo [8]. La modellatura a freddo è molto vicina alla lavorazione dell’argilla. La cera, manipolata con le mani, diventa malleabile, viene lavorata in palline o colombine che si appongono le une sulle altre fino ad arrivare al volume desiderato. Il modellato è poi lavorato con spatole e scalpelli a caldo o a freddo. Con questa tecnica possono essere realizzati altorilievi, bassorilievi, medaglioni e ritratti applicando la cera su un supporto più o meno pregiato, ma anche sculture a tutto tondo. Sculture di piccola taglia sono realizzate con palline lavorate con le mani e non necessitano di alcuna armatura. Invece per rappresentazioni con morfologie complesse può essere indispensabile l’uso di una o più armature. Queste sono generalmente in metallo, di rado in legno, e servono a mantenere l’orientazione e la giusta posa dell’opera. Questa tecnica si presta particolarmente per le opere transitorie, destinate ad essere sottoposte al giudizio del committente e poi tradotte in altro materiale. La bozza è più piccola di quella che sarà l’opera definitiva, è modellata sommariamente, i singoli panetti sono evidenti, spesso con dei vuoti tra gli uni e gli altri. Per opere finite invece la tecnica più usata è quella che prevede l’uso di uno stampo e la fusione della cera. Questo tecnica consiste nella produzione di sculture tuttotondo o rilievi. La tecnica prevede l’uso di stampi ottenuti a partire da un modello in argilla o gesso o presi direttamente dal corpo umano. Questi stampi possono servire per la realizzazione di una prova unica o di riproduzioni in serie. I calchi possono essere anche divisi in diverse parti e assemblati dopo. Prima di colare all’interno la cera, le pareti interne dello stampo vengono spazzolate e pulite con l’acqua. Per facilitare la colatura della cera, gli stampi sono immersi nell’acqua per diversi giorni fino a saturazione. Un’ora prima di mettere la cera questi stampi vengono immersi nell’acqua bollente in modo da impermeabilizzare le pareti e facilitare la penetrazione della cera in tutti i dettagli. Al momento della colata la cera entra in contatto con le pareti calde e rimane quindi fluida evitando la formazione di bolle d’aria. Inoltre l’umidità impedisce alla cera di attaccarsi alle pareti di gesso nel momento del raffreddamento. Le diverse parti vengono assemblate, un buco viene praticato nella parte superiore per permettere l’entrata della cera fluida. La cera viene quindi colata e può riempire interamente lo stampo o ricoprire solamente le pareti. In questo caso se lo spessore non è sufficiente a garantire solidità all’opera dopo il raffreddamento della cera si applica del gesso all’interno. Oppure la cavità può essere colmata con materiale di riempimento: gesso, stoppa, legno associato o meno a delle armature metalliche. Piccole statuine bivalve sono spesso realizzate in questo modo. La cera può essere anche apposta all’interno tramite pressatura. La pressatura è una tecnica a metà tra lavorazione a freddo e a caldo. La cera è applicata in palline lavorate con le mani e poi schiacciate fortemente contro le pareti. Lo spessore che si raggiunge è notevolmente superiore a quello della cera fusa e si presta particolarmente per quelle opere che prevedono una modifica delle forme nel corso della loro realizzazione. Successivamente il manufatto è estratto dallo stampo e può presentare in superficie le linee di giunzione delle diverse parti che sono eliminate con l’uso di utensili caldi. I difetti e le bolle sono eliminati e colmati con della cera. La superficie è lisciata e levigata

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con del cotone imbevuto di Alcool. Una volta finito il trattamento l’opera può essere ultimata con una policromia, l’applicazione di dettagli in cera colorata, incrostazioni di pietre e perle. Il degrado delle opere in cera Sono responsabili dei cambiamenti della cera sia processi chimici che fisici [11]: prima di tutto l’idrolisi degli Esteri e la trasformazione chimica dei flavonoidi, ma anche la sublimazione di alcuni composti presenti nella cera fresca o prodotti dai processi di degradazione appena detti. In particolare la sublimazione è responsabile del cambiamento del profilo degli Alcani in quanto interessa in maniera preferenziale gli Idrocarburi più leggeri. Inoltre la sublimazione dell’Acido Palmitico, formatosi dall’idrolisi degli Esteri, può spiegare la sua assenza in campioni archeologici in cui gli Alcoli invece, risultanti sempre dall’idrolisi, sono presenti. Inoltre la letteratura riporta: la modifica del profilo degli Esteri, in particolare la diminuzione degli Esteri a basso peso molecolare che sono i primi che idrolizzano e conseguentemente un aumento degli Acidi e degli Alcoli liberi. Si assiste quindi ad un aumento di acidità, un aumento di polarità ed un irrigidimento, similmente a quanto accade negli oli siccativi, tranne per il fatto che non sussiste nessuna struttura polimerica. Si può anche avere la sublimazione degli Alcoli a più basso peso molecolare. Inoltre si fa notare un aumento degli Idrossiacidi (C16-C24) e dei Dioli (C24-C32) (in rapporto 5:1) rispetto alla percentuale di Esteri (mono, di- e tri-); l’Idrossiacido che si forma più abbondantemente è il 15-idrossidecanoico, e la diminuzione degli idrocarburi insaturi. Possono mancare gli Idrocarburi leggeri sia per una reazione di sublimazione favorita da un clima secco sia a causa di una preparazione della cera che prevede la fusione. Con il tempo si può assistere inoltre ad una migrazione degli alcani in superficie. Questo è stato riscontrato su alcune sculture sulle quali si poteva notare una cristallizzazione biancastra, che analizzata, è risultata composta da Idrocarburi [7]. In generale comunque le cere possiedono una buona stabilità nel tempo, poiché sono caratterizzate da legami covalenti e saturi e, per cere non antiche, il profilo dei composti rimane paragonabile a quello delle cere fresche. Oltre al naturale invecchiamento della cera bisogna considerare anche i fattori esterni e il degrado di eventuali materiali che possono essere associati alla cera. Prima di tutto il calore, che è responsabile di modificazioni gravi e irreversibili data la possibilità della cera di ammorbidirsi ad una temperatura appena superiore a 30° C. La luce influisce in modo meno rilevante sulla conservazione della cera, a meno che non vi siano dei pigmenti di origine organica mescolati alla cera sensibili alla luce. Poco influisce l’umidità, visto che la cera è un materiale idrorepellente e non igroscopico, anche se comunque può favorire l’idrolisi dei legami esterei, e se alcalina, promuovere la saponificazione. Maggiormente sono invecchiate, più forte sarà l’effetto di un pH alcalino: il grado di saponificazione comunque dipende, oltre che dal contenuto di Esteri, anche dalla forza della base e dalle condizioni (tempo, temperatura) di idrolisi. Certe cere sono in particolare più sensibili di altre, come ad esempio la lanolina che è in grado di assorbire almeno due volte il suo peso in acqua dando un’emulsione consistente e di aspetto omogeneo già da giovane. L’umidità inoltre incide molto su altri materiali con cui la cera può essere associata nell’opera, come ad esempio il legno. A questi fattori bisogna aggiungere le vibrazioni e lo spostamento degli oggetti, la cui pericolosità viene di solito poco considerata. Sicuramente una causa importante di degrado è la polvere che si accumula facilmente sulla superficie a causa della sua elevata ritenzione a temperatura ambiente. La polvere viene inglobata dalla cera a causa della sua termoplasticità formando dei depositi nerastri che alterano il colore. I cambiamenti di colore della cera nel tempo sono piuttosto lievi, piuttosto possono sbiadire i pigmenti o gli additivi che eventualmente possono essere stati aggiunti. Tutto questo si traduce visivamente in: formazione di una cristallizzazione biancastra dovuta alla presenza di Acido Palmitico e Stearico derivati dall’idrolisi dei trigliceridi eventualmente aggiunti o dalla Stearina. • cristallizzazione biancastra dovuta alla migrazione in superficie degli alcani più leggeri • muffe dovute alla presenza di amido • irrancidimento e trasudazione oleosa dovuta al sego e allo strutto • alterazione del colore per deposito superficiale della polvere o per degrado dei coloranti o pigmenti aggiunti. •

Molto spesso a scopo protettivo le opere venivano verniciate. In un’opera in cera si possono verificare anche scollamenti dal supporto o dalle armature. Inoltre quest’ultime, se sono metalliche, possono presentarsi corrose e non svolgere più la funzione per la quale erano nate.

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Bibliografia 1. M. MATTEINI, A. MOLES, La chimica nel restauro, i materiali dell’arte pittorica, Nardini editore, Firenze 2002 2. L. CAMPANELLA, A. CASOLI, M.P. COLOMBINI, R. MARINI BETTOLO, M. MATTEINI, L.M. MIGNECO, A. MONTENERO, L. NODARI, C. PICCIOLI, M. PLOSSI ZAPPALA, G. PORTALONE, U. RUSSO, M.P. SAMMARTINO, Chimica per l’arte, Zanichelli editore, Bologna 2007 3. J.S. MILLS, R. WHITE, The organic chemistry of Museum Object, 1994 4. P.M. KUZNESOF, Beeswax, Chemical and Technical Assessment 65th JECFA, 2005 5. R. BUCHWALD, M.D. BREED, A.R. GREENBERG, The thermal properties of beeswaxes: unexpected findings, The Journal of Experimental Biology 211, 2008, pp. 121-127 6. U. KNUUTINEN, A. NORRMAN, Wax Analysis in conservation objects by solubility studies, FTIR and DSC, 15th World conference on Nondestructive Testing, Roma 15-21 ottobre 2000 7. M. REGERT, J. LANGLOIS, S. COLINART, Characterisation of wax works of art by gas chromatographic procedures, Journal of Chromatography A, 1091 (2005), pp. 124-136 8. S. COLINART, F. DRILHON, G. SCHERF, Sculpture en cire de l’ancienne Egypte à l’art abstrait, Ministère de la Culture et de la Communication, Edition de la Réunion des musées nationaux, Parigi 1987 9. M. REGERT, J. LANGLOIS, E. LAVAL, A.-S. LE HÔ, S. PAGÈS-CAMAGNA, Elucidation of molecular and elementary composition of organic and inorganic substances involved in 19th century wax sculptures using an integrated analytical approach, Analytica Chimica Acta 577 (2006), pp. 140-152 10. L. CAMPANELLA, F. CHICCO, M. COLAPIETRO, T. GATTA, E. GREGORI, M. PANFILI, M.V. RUSSO, Characterization of wax manufactures of historical and artistic interest, Annali di chimica, 95, 2005 11. M. REGERT, S. COLINART, L. DEGRAND, O. DECAVALLAS, Chemical alteration and use of beeswax through time: accelerated ageing tests and analysis of archeological samples from various environmental contexts, Archaeometry 43, 4 (2001), pp. 549-569

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APPENDICE II. SEZIONE SPERIMENTALE Prove di pulitura Le prove di pulitura sono state eseguite con tamponcini di cotone inumiditi con diverse soluzioni in forma libera ed addensata. Sono state realizzate su stesure di cera fatte in laboratorio e sulle sculture conservate alla GAM. Per quanto riguarda le stesure sono stati presi in considerazione tre tipi di cera: cera d’api vergine, cera d’api sbiancata e paraffina. La cera è stata fusa all’interno di capsule Petri fino ad ottenere un materiale solido dello spessore di circa mezzo cm. Sono state poi irraggiare sotto una lampada UV a Mercurio con irradiamento 0,15 W/mq (potenza misurata a 10 cm di distanza, lunghezza d’onda 254 nm, temperatura massima circa 25 °C) per 24 ore. Reagenti • Acido Fosforico in polvere • soluzione acquosa NaOH 1M • Acido Citrico in polvere • Tween 20 (Poliossietilensorbitanmonolaurato), CMC 0,06 mM e HLB 16,7, Sigma-Aldrich • Vanzan NF-C (gomma Xantano), R.T.Vanderbilt Company, distribuito da Eico Novachem srl Procedimento • Soluzione tampone pH 6 e conducibilità 4,5 mS/cm A 100 ml di acqua deionizzata si aggiungono 0,5g di Acido Fosforico (pari a 5,1·10-2 M). Si aggiusta il pH con la soluzione NaOH 1M fino a raggiungere il valore di pH 6. La conducibilità viene portata ad un valore di 4,5 mS/cm per semplice diluizione con acqua. • Soluzione tampone pH 7 e conducibilità 6,4 mS/cm Dalla prima soluzione si preleva circa metà volume e si aggiunge nuovamente la soluzione NaOH 1M fino ad arrivare a pH 7. La conducibilità risulta 6,4 mS/cm. • Soluzione tampone pH 7 e conducibilità 4,5 mS/cm Si preleva circa metà volume della soluzione precedente e per sola aggiunta di acqua deionizzata si porta la conducibilità a un valore di 4,5 mS/cm. • Soluzione tampone pH 7, conducibilità 4,5 mS/cm con Tensioattivo Si prelevano 25 ml dalla soluzione precedente e si aggiungono 5 gocce di Tensioattivo Tween 20. • Soluzione tampone pH 7, conducibilità 12,3 mS/cm con Chelante A 100 ml di acqua deionizzata si aggiungono 0,25 g di Acido Fosforico (pari a 2,55·10-2 M) e 0,1 g di Acido Citrico (pari a 5,2·10-6 M). Si aggiunge la soluzione NaOH 1M fino ad arrivare a pH 7. La conducibilità di questa soluzione è 12,3 mS/cm. Le soluzioni così preparate sono state anche addensate con Vanzan NF-C al 1,5% (w/v). La gelificazione avviene a temperatura ambiente. Realizzazione delle prove. Le prove di pulitura sono state realizzate con l’utilizzo di cotone “sterile” (lavato con acqua e Esano). Per ogni prova si sono fatti dei tasselli di pulitura di circa 1 cm2. Per quanto riguarda le soluzioni, si sono contati 10 passaggi del cotone sulla superficie facendo roteare il tamponcino con una minima pressione. Per quanto riguarda i gel, è stata fatta un’applicazione di 5 minuti; la rimozione e il lavaggio della superficie sono state effettuate con un tamponcino imbevuto delle soluzioni corrispondenti. Spettroscopia µFT-IR in modalità ATR È stato usato uno spettrofotometro FTIR modello Nicolet Nexus, in grado di operare in trasmissione, in riflessione, in riflettanza totale attenuata (ATR), corredato di microscopio ThermoNicolet Continumm™. Gli spettri infrarossi sono stati collezionati in modalità µATR nell’intervallo di misura di 650-4000 cm-1, con risoluzione di 4 cm-1 e numero di scansioni pari a 120. Prove di estrazione. Sono state condotte delle prove di estrazioni (a caldo per 30 min) su alcuni frammenti dei campioni di cera provenienti dalle sculture della GAM. In particolare sono state eseguite due prove con due set di reagenti diversi: • Esano, Etil Acetato, Toluene e acqua • Isoottano e Etanolo Gli estratti sono stati depositati su lastrine di Alluminio e analizzati attraverso spettroscopia µFT-IR in riflessione (intervallo di misura 650-4000 cm-1, risoluzione 4 cm-1 e numero di scansioni pari a 120) dopo evaporazione del solvente.

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Analisi GC-MS: ricerca di Idrocarburi, Acidi Grassi e Alcoli Reagenti • Potassa metanolica al 5% (w/v), Idrossido di Potassio J.T. Baker e Metanolo Sigma-Aldrich • Esano, VWR • soluzione in Esano di Eicosano 50 ppm (standard interno), Fluka • soluzione acquosa di Acido Cloridrico 6N. Si prepara per diluizione con acqua distillata da HCl 12N, Riedel-de Haën • Etere Dietilico, VWR • Bistrimetilsililtrifluoroacetamide con 1% di Trimetilclorosilano (BSTFA), Fluka. Procedimento. Nel caso dell’analisi dei campioni di cera si pesa 1 mg di materiale mentre i tamponcini di pulitura vengono analizzati interamente. I campioni vengono introdotti in provette con tappo a vite, nelle quali si aggiunge 1 ml di Potassa Metanolica al 5%. In questo modo si procede all’idrolisi degli Esteri e alla prima reazione di derivatizzazione dei gruppi acidi. Le provette vengono scaldate a 80 °C per 60 minuti, sotto costante agitazione magnetica. Una volta raffreddate a temperatura ambiente si aggiungono 2 ml di Esano e 1 ml di Eicosano in esano 50 ppm. Si agitano per 1 minuto e si lasciano riposare. Si ottengono in questo modo due fasi ben distinte: la fase apolare sopra e quella polare sotto. Si separa la fase Esano sovrastante con una pipetta Pasteur e si mette in una vial con tappo a vite. Si ripete l’estrazione con la sola aggiunta di 2 ml di Esano. Alla fase metanolica si aggiunge 1 ml di HCl 6N e si agita per circa 1 minuto. Successivamente si aggiunge 1 ml di Etere Dietilico e si agita nuovamente per 1 minuto circa. Si ha di nuovo la formazione di due fasi e, dopo aver atteso qualche minuto per la loro netta separazione, si separa la fase apolare soprastante con una pipetta Pasteur e si mette nelle stesse vials usate in precedenza. Si ripete l’estrazione con la sola aggiunta di 1 ml di Etere Dietilico. Le soluzioni risultanti dall’estrazione con Esano e con Etere Dietilico vengono portate a secco sotto flusso di azoto. Una volta a secchezza, sul residuo si procede con l’ultima derivatizzazione, con 100 µl di BSTFA in ogni vials e si scalda a 60 °C per 30 minuti. Condizioni dello strumento GC-MS. Lo strumento utilizzato è un gascromatografo AGILENT TECHNOLOGIES (modello 6890) con iniettore Split-Splitless e rivelatore spettrometro di massa AGILENT TECHNOLOGIES (modello 5973A) ad impatto elettronico ed a singolo quadripolo. La colonna capillare usata è la DB5 in silice fusa (J&W Scientific) con Fenil-Metil-Silossano (al 5% di Fenile) come fase stazionaria in uno spessore di 0,25 µm, con diametro interno pari a 0,25 mm e lunghezza 30 m. Il gas carrier usato è l’Elio ad una pressione di 24 psi. È stata usata la seguente programmata di temperatura: 80 °C per 2 minuti, 10 °C/minuto fino a 200 °C, 200 °C per 5 minuti, 20 °C/minuto fino a 280 °C, 280 °C per 20 minuti. Lo spettrometro di massa usato ha le seguenti caratteristiche: solvent delay 4,5 minuti, temperatura dell’iniettore 280 °C usato in modalità split, intervallo di frammentazione m/z=40-500. La quantità di campione iniettata è 1µL, la durata complessiva della corsa 43 minuti. Analisi colorimetrica L’analisi colorimetrica è stata fatta sulle stesure di cera preparate in laboratorio prima e dopo l’irraggiamento con lampada UV. Per le analisi colorimetriche è stato utilizzato lo scanner multi spettrale. Dopo aver fatto la calibrazione col bianco e col nero di riferimento di cui si conosce il coefficiente di riflessione, questo strumento dà informazioni spettrofotometriche, cioè misura l’intensità della luce riflessa in funzione della lunghezza d’onda, dalle quali, per normalizzazione rispetto al riferimento, si ottiene il fattore di riflessione spettrale del campione. Inoltre, attraverso calcoli matematici, è possibile ricavare per ogni campione le coordinate colorimetriche (CIE L*a*b*) nel diagramma di cromaticità. Lo scanner multispettrale utilizzato è dotato di: un obiettivo (50mm), uno spettrofotometro (con fenditura d’ingresso di 30-40 µm) e una telecamera monocromatica in bianco e nero (1280x1000). La geometria di illuminazione-rivelazione è la 45/0º, si acquisiscono spettri di riflettanza nell’intervallo 380-700 nm. Per i calcoli colorimetrici, l’illuminante scelto è il D65, mentre l’osservatore è il CIE 1931 (CIE: Commission International de l’Éclarage). Le coordinate CIE L*a*b* sono state calcolate su un’area selezionata sulle stesure di cera. Dal confronto tra i dati ottenuti prima e dopo l’invecchiamento sulla stessa cera si è calcolata la differenza di colore ΔE. Si definisce ΔE la distanza geometrica tra i 2 punti di colore calcolati nello spazio CIELAB e si determina con la formula: ΔE

=

(L2-L1)2+(a2-a1)2+(b2-b1)2

In genere per valori ΔE>3 le differenze sono notevoli e dovrebbero essere distinte facilmente anche da un occhio non allenato. Per 2<ΔE<3, le differenze ci sono ma non sono vistose. Se invece ΔE<1 l’occhio umano non è in grado di effettuare una distinzione.

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BIBLIOGRAFIA S. ANGELUCCI, Rilevamento dello stato di conservazione di otto sculture in cera di Medardo Rosso della Civica Galleria d’Arte Moderna di Milano, ACRA, Relazioni di restauro dattiloscritto, presso GAM. M. ANZANI, M. BERZIOLI, M. CAGNA, E. CAMPANI, A. CASOLI, P. CREMONESI, M. FRATELLI, A. RABBOLINI, D. RIGGIARDI, Gel rigidi di Agar per il trattamento di pulitura di manufatti in gesso, Quaderno n. 6/ Cesmar7, Il Prato casa editrice, Saonara (PD) 2008 G. APOLLINAIRE, “L’Europe Nouvelle”, Parigi 13 luglio 1918, il passo è citato in Jole de Sanna, op. cit. p. 104. AA.VV, Le tecniche artistiche, ideazione e coordinamento di Corrado Maltese, Mursia, Milano 1973, pp. 33-62. R. BUCHWALD, M.D. BREED, A.R. GREENBERG, The thermal properties of beeswaxes: unexpected findings, The Journal of Experimental Biology 211, 2008, pp. 121-127 L. CAMPANELLA, A. CASOLI, M.P. COLOMBINI, R. MARINI BETTOLO, M. MATTEINI, L.M. MIGNECO, A. MONTENERO, L. NODARI, C. PICCIOLI, M. PLOSSI ZAPPALA, G. PORTALONE, U. RUSSO, M.P. SAMMARTINO, Chimica per l’arte, Zanichelli editore, Bologna 2007 L. CAMPANELLA, F. CHICCO, M. COLAPIETRO, T. GATTA, E. GREGORI, M. PANFILI, M.V. RUSSO, Characterization of wax manufactures of historical and artistic interest, Annali di chimica, 95, 2005 S. COLINART, F. DRILHON, G. SCHERF, Sculpture en cire de l’ancienne Egypte à l’art abstrait, Ministère de la Culture et de la Communication, Edition de la Réunion des musées nationaux, Parigi 1987 C. DE SAINTE-CROIX, Medardo Rosso “Mercure de France”, pag. 379, il passo è citato in Jole de Sanna, Medardo Rosso o la Creazione dello Spazio Moderno, Mursia Milano 1985, p. 64 M. FRATELLI, La scultura colorata, Il colore del vero, SKIRA, Milano 2001 M. FRATELLI a cura di , Restauri e restauratori alla GAM 1927-1949. Primi esiti di una ricerca, Il Prato casa editrice, Saonara (PD) 2009 A. GIUFFRESI, Manuale delle tecniche di Formatura e fonderia, Calenzano (Firenze) Alinea 2006, p. 61 C.V. HORIE, Materials for conservation, Organic Consolidant, Adhesives and Coating, Butterworth Heinemann, 1987 M. LEMIRE, Artistes et mortels, Paris Chabaud, 1990, Encyclopaedia Anatomica, Collezione completa di cere anatomiche, Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze sezione di zoologia la Specola, Köln Taschen 1999 M. MATTEINI, A. MOLES, La chimica nel restauro, i materiali dell’arte pittorica, Nardini editore, Firenze 2002 J.S. MILLS, R. WHITE, The organic chemistry of Museum Object, 1994 P. MOLA, La noia di Baudelaire, in Paola Mola, Fabio Vitucci, Medardo Rosso. Catalogo ragionato della scultura, Skira, Milano 2009, p. 9, p. 25 J. R. KANICKY - D. O. SHAH. Effect of Degree, Type, and Position of Unsaturation on the pkA of Long-Chain Fatty Acids, Journal of Colloid and Interface Science, 256, (1), 2002, pp. 201-207 U. KNUUTINEN, A. NORRMAN, Wax Analysis in conservation objects by solubility studies, FTIR and DSC, 15th World conference on Nondestructive Testing, Roma 15-21 ottobre 2000 P.M. KUZNESOF, Beeswax, Chemical and Technical Assessment 65th JECFA, 2005 PUBLIO OVIDIO NASONE, Metamorfosi. II, a cura di Piero Bernardini Marzolla, Torino Einaudi, p. 46, la citazione è scelta quale titolo del saggio di Maria Fratelli in corso di stampa per la mostra Fuoco, Milano Palazzo Reale 4 marzo 2010 M. REGERT, S. COLINART, L. DEGRAND, O. DECAVALLAS, Chemical alteration and use of beeswax through time: accelerated ageing tests and analysis of archeological samples from various environmental contexts, Archaeometry 43, 4, 2001, pp. 549-569 M. REGERT, J. LANGLOIS, S. COLINART, Characterisation of wax works of art by gas chromatographic procedures, Journal of Chromatography A, 1091, 2005, pp. 124-136 M. REGERT, J. LANGLOIS, E. LAVAL, A.-S. LE HÔ, S. PAG ÈS-CAMAGNA, Elucidation of molecular and elementary composition of organic and inorganic substances involved in 19th century wax sculptures using an integrated analytical approach, Analytica Chimica Acta 577, 2006, pp. 140-152 R.C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione Italiana: R.C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato casa editrice, Saonara (PD) 2005 R. WOLBERS, Un approccio acquoso alla pulitura dei dipinti, Quaderni CESMAR7, n. 1, Il Prato casa editrice, Saonara (PD) 2004

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Quaderni Cesmar7 M. Berzioli, A. Casoli, P. Cremonesi, M. Fratelli, D. Riggiardi, I. Zorzetti

NOTE BIOGRAFICHE Michela Berzioli, laureata in Scienze per i Beni Culturali nel 2007 presso l’Università degli Studi di Parma, attualmente è dottoranda in Scienze Chimiche presso la stessa Università. È Project Manager del Cesmar7. Indirizzo email: michela.berzioli@nemo.unipr.it Antonella Casoli, docente di “Chimica dei Beni Culturali” presso l’Università degli Studi di Parma. È Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali (Università degli Studi di Parma). È membro del Comitato Scientifico del Cesmar7. Indirizzo email: casoli@unipr.it Paolo Cremonesi, chimico con formazione anche nel restauro, lavora come libero professionista. Dal 2000 è Coordinatore Scientifico del Cesmar7. Indirizzo email: paolocremonesi57@gmail.com Maria Fratelli, storico dell’arte, è conservatore della Galleria d’Arte Moderna di Milano. È membro del Comitato Scientifico del Cesmar7. Indirizzo email: maria.fratelli@comune.milano.it Davide Riggiardi, restauratore diplomato presso il centro di formazione professionale ENAIP di Botticino (BS), si è specializzato in restauro dell’arte contemporanea e lavora come libero professionista. È membro del Consiglio Direttivo del Cesmar7. Indirizzo email: davide@riggiardi.it Irene Zorzetti, laureata in Scienze per i Beni Culturali nel 2009 presso l’Università degli Studi di Parma. Indirizzo email: irene.zorzetti@gmail.com

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INDICE Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo I. I problemi conservativi delle sculture in cera della GAM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo II. Verifica dell’applicabilitå dei metodi acquosi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo III. Prove di pulitura su stesure di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendice I. La cera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendice II. Sezione sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Note Biografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.

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© il prato casa editrice via Lombardia 43, 35020 Saonara (PD) tel. 049 640105 • fax 049 8797938 www.ilprato.com • info@ilprato.com Finito di stampare nel mese di marzo 2010 presso le Arti Grafiche Padovane di Saonara (PD)


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