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Marilena Anzani, Michela Berzioli, Marco Cagna, Elisa Campani, Antonella Casoli, Paolo Cremonesi, Maria Fratelli, Alfiero Rabbolini, Davide Riggiardi
GEL RIGIDI DI AGAR PER IL TRATTAMENTO DI PULITURA DI MANUFATTI IN GESSO
Traduzione di Diane Kunzelman
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Gel rigidi di Agar per il trattamento di pulitura di manufatti in gesso Quaderni Cesmar7
INTRODUZIONE In un precedente Quaderno [1] alcuni di noi descrivevano uno studio su due polimeri polisaccaridici, l’Agarosio e l’Agar, come materiali gelificanti di soluzioni acquose, capaci di produrre veri “gel rigidi” caratterizzati da forte ritenzione del mezzo acquoso. Questi gelificanti possono essere considerati idonei all’uso in operazioni di pulitura di opere policrome: lo studio effettuato applicando i gel rigidi su supporti molto porosi (mattonelle ceramiche non vetrificate), ed analizzando successivamente i supporti stessi con la tecnica gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS), non ha infatti rivelato la presenza di materiale polisaccaridico come residuo all’interno dei supporti stessi. Questi gel rigidi rappresentano uno straordinario mezzo di apporto di umidità ad una superficie, in modo controllato, quando sia necessaria l’azione dell’acqua per operazioni di pulitura, o più in generale per operazioni finalizzate al trattamento strutturale (ad esempio, per poter rigonfiare residui di adesivi di foderatura sul verso di dipinti su tela, così da poterli poi rimuovere con una leggerissima azione meccanica). Altrettanto importante è la capacità di questi gel di agire per così dire come “spugne molecolari”, assorbendo dentro di sé materiali eventualmente sciolti dal contatto dell’acqua col supporto. In generale, queste applicazioni non richiedono un post-trattamento di lavaggio dalla superficie, visto lo scarsissimo potere adesivo di questi gel. Nel testo affermavamo che il limite principale dei gel rigidi di Agarosio e Agar era proprio la loro intrinseca rigidità, che di fatto rendeva possibile solo l’applicazione a delle superfici sostanzialmente planari. Queste conclusioni solleticarono la curiosità di alcuni degli scriventi, restauratori; in particolare, due di loro, specializzati nella conservazione di terrecotte e sculture in gesso e marmo, oggetti cioè spiccatamente tridimensionali. Possibile ipotizzare un’applicazione diversa dell’Agar, non come gel rigido preformato ma quando, durante il raffreddamento, è ancora in una forma semi-solida, così da poterlo stendere su una superficie tridimensionale? Le prime prove su gessi davano risultati a dir poco davvero incoraggianti: il risultato di pulitura era efficace, e l’osservazione della superficie trattata non rivelava erosione o altri segni di interazione. Era necessaria però un’ulteriore verifica analitica, più oggettiva, per stabilire l’eventuale diffusione di componenti e la permanenza di residui nel manufatto trattato. Precisamente, lo studio precedente, condotto con le mattonelle preformate di gel rigidi, aveva dimostrato che non si verificava il trasferimento di materiali polisaccaridici dentro supporti molto porosi; in questo caso, invece, si trattava di applicare l’impacco di Agar in una forma ancora semi-liquida, e l’incognita era la maggior diffusione del mezzo acquoso prima di potersi gelificare completamente sulla superficie, diffusione che avrebbe potuto portare alla penetrazione di Agar, o di suoi frammenti polisaccaridici, nel supporto. Altra incognita, un’applicazione in questa forma avrebbe portato ad una maggior potere adesivo del gel sulla superficie? Così decidemmo di avviare questo secondo studio e, unendo le varie persone che avevano studiato gli aspetti teorici o quelli applicativi di questi materiali, nacque il gruppo di lavoro qui rappresentato al completo. Anche in questo caso lo studio ha portato ad una conclusione positiva, e siamo in grado di “certificare” anche questo nuovo modo di applicazione dell’Agar, che permette un trattamento di pulitura dei gessi davvero efficace ed innovativo, e rispettoso nei confronti di supporti così porosi e così potenzialmente suscettibili all’acqua.
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LA GALLERIA D’ARTE MODERNA DI MILANO. LE RAGIONI DELL’OPERA E IL LUOGO DELLA CONSERVAZIONE. Con la consapevolezza di quanto fosse facile commettere un errore più grave dell’incuria, cinque anni or sono è iniziata, a cura del conservatore e ad opera dei restauratori incaricati, coadiuvati dal personale di custodia del museo, la campagna di recupero delle oltre seicento sculture della Galleria d’Arte Moderna di Milano – tra le quali si annoverano circa duecento manufatti in gesso – da troppo tempo abbandonate in depositi e magazzini animati dalla sola polvere del tempo, quando non da qualche vandalica incursione (Figura 1). Tra le varie operazioni condotte: riordino, riconoscimento e schedatura, trasferimento in sede delle opere ospitate in magazzini esterni, non sono mancati i restauri1 (Figura 2). È in questo ambito che le prove empiriche, condotte dai restauratori per mettere a punto un metodo in grado di raggiungere livelli di lettura della superficie individuati per ogni singola scultura, sono diventate, con la consulenza del Cesmar7 e dell’Università degli studi di Parma, sperimentazioni scientifiche, e hanno portato ai risultati qui proposti sull’uso dell’Agar. La poetica dell’opera d’arte si esprime nella forma che l’artista ha impresso alla materia; a questa, dopo oltre un secolo, si sono aggiunti il sentimento del tempo – altro irrefrenabile scultore – e la sorte conservativa del pezzo. Nel suo incarico di conservatore museale, lo storico dell’arte concorre, suo malgrado, a queste trasformazioni individuando, per l’insieme della collezione, i migliori criteri di conservazione possibili, nel limite delle sue possibilità di azione. A lui spetta, quale extrema ratio, la promozione dell’intervento di restauro e l’individuazione delle ragioni e delle direzioni in cui deve procedere la manomissione della materia. Ogni opera conserva e racconta, scritta nella sua pelle, la propria storia creativa e conservativa, a partire dalla sua tipologia che, nel caso dei gessi, implica specifiche caratterizzazioni tecniche: impronta dal vero, una fase di un procedimento di realizzazione o di traduzione di un manufatto in altri materiali, una copia realizzata in una forma piena, cava o con il leggerissimo metodo a sciacquo, un modello con i suoi richiami o un’opera prima, che conserva ancora l’impronta delle mani del suo creatore o la freschezza della creta. Tutte queste e molte altre possibilità sono scritte sulla superficie: là dove le linee di giunzione della forma a tasselli di un calco non sono state levigate, dentro i punti di misurazione, nei trattamenti che alterano il colore di finitura e possono rivelare l’esistenza di una replica. Compito dello storico, per reperire i confronti possibili, è quello di verificare in quale posizione della sequenza sta, il pezzo al restauro, all’interno di una serie: può essere tratto direttamente dalla creta, essere la copia di marmo antico, aver dato forma ad un bronzo o essere stato calcato e riprodotto ad uso degli studenti. Il Beethoven di Grandi, sotto la vernice che lo copriva, era nero per l’alterazione dei distaccanti e degli oli impiegati per tradurlo in bronzo, prodotti rimossi per ridare leggibilità alla freschezza della superficie ancora pregiata dai segni del modellato. Quanto spesso, infatti, queste opere prime sono sopravvissute fatalmente al loro destino di materiale di sacrificio? Addirittura addicendo ragioni conservative, in tempi non sospetti, gessi storici sono stati usati per fusioni in bronzo senza alcuna attenzione all’integrità del modello (basterebbe citare l’opera Linee e forze di una bottiglia di Boccioni, della quale le Civiche Raccolte d’Arte possedevano il gesso). Di fronte a ogni variabile, il problema non è come intervenire ma scegliere quale è la superficie del gesso che soddisfa la verità dell’opera. Non tutti i gessi, infatti, devono tornare ad essere bianchi come la loro materia grezza. Nell’esperienza abbiamo incontrato molte sculture bianche solo prima del restauro, dopo il quale, per esempio, non è più stata bianca la Ebe di Antonio Canova; perché non è ancora chiaro cosa differenzia il rosa del suo incarnato dal grigio che ombra le sue vesti dopo la rimozione delle scialbature. Fino a quando non sapremo riconoscere con certezza se siamo di fronte a un residuo di un processo di lavorazione (ma perché non sugli incarnati?) o all’alterazione di una patinatura, non potremo decidere se rimuovere questa cromia. Non potremo sapere quale visione corrisponde alla poetica dell’opera (Figure 3 e 4). Anche i gessi del Monumento alle Cinque Giornate di Grandi erano scuri: un poco grigi e un poco gialli. Storie diverse di depositi di polvere, di materiali usati per mascherare interventi di ricostruzione, di 1. Tutti i restauri sono stati autorizzati e seguiti dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Pavia, Sondrio, Varese.
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degrado di sostanze organiche usate come distaccanti o come ridipinture non volute dall’artista ma introdotte come mascherature di restauri. Quanto è facile leggere oggi gli interventi sulle opere dell’Ottocento appellandoli come riparazioni, scialbi, assemblaggi, non degnandoli della parola restauro, perché operazioni da rimuovere e da cancellare per restituire leggibilità all’opera. Cautela e rispetto sono le parole guida di ogni operazione di conservazione perché, a nostra volta, dovremo rispondere delle nostre scelte. E non sarà certo l’applicazione di un prodotto migliore, perché più rispettoso della superficie del gesso, a mettere al sicuro da critiche la scelta operata: il metodo corretto non esonera il curatore del restauro dall’individuazione di uno dei possibili livelli di pulitura, quello capace di conservare le “impronte digitali” dell’opera, lasciate dall’artista, dalle tecniche, dal tempo. Quante volte non è più possibile riconoscere una copia da un modello? Quante volte si cancellano tracce e dati che non devono essere persi perché con loro se ne va il profilo dell’opera, il segno della gradina o la crocetta a matita che delimita i punti di misura? Un busto di Mazzini, durante la pulitura con Agar ha rivelato una serie di punti di misura (si veda più oltre nella Figura 14), illeggibili quando è asciutto, elementi che hanno consentito la sua attribuzione, fino allora solo sospetta, allo scultore Spertini del quale il museo conserva un busto di Garibaldi con la stessa identica lavorazione. Oltre al confronto tra le opere che costituiscono la serie di appartenenza di un’opera in gesso, è utile anche il confronto all’interno della monografia del suo autore o il confronto con opere analoghe e coeve, cosa facilitata dentro le stanze dei ricchi depositi dei musei italiani, dove tante opere aspettano con speranza di rivelare ancora una volta l’estrema utilità della loro presenza. La peculiarità dei nostri musei è infatti la ricchezza dei lori depositi. Tutte insieme, le oltre duecento opere in gesso della Galleria d’Arte Moderna, presentano una gamma completa di variazioni, questioni inedite, curiosità, elementi di analogia e, a gruppi, di sorte comune. Dentro il deposito è avvenuta la trasformazione del tempo in patina e la superficie delle opere è lo schermo su cui è impressa la storia della loro durata. Che valore dare a questo tempo è una ulteriore riflessione, indispensabile e prioritaria, a qualsiasi intervento di restauro. Avvicinarsi alla pelle delle opere, recuperandola senza riportarla alla nudità del materiale costitutivo, al nuovo, all’ipotetico bianco immacolato della prima colata, significa identificarle ad una ad una e ravvisarne la trasformazione. La scelta dei metodi di pulitura deve essere infatti correlata a ciò che si vuole riconoscere alla singola opera: sono solo applicazioni funzionali a quello che si vuole cercare e a quello che si vuole sacrificare. Spesso i metodi tradizionali (a umido, a secco e a strappo), da decenni usati per la pulitura delle sculture in gesso, non garantiscono a sufficienza l’inalterabilità di certe superfici, troppo spesso sono impotenti davanti a gore e percolature di acqua o a sporchi coesi con patine o a residui dei processi di lavorazione. Le opere al restauro richiedono invece altri esiti, differenziati anche in piccole aree; si è così deciso di cercare nei territori di confine, tra i prodotti impiegati per altri supporti (ma le preparazioni di molti dipinti non contengono forse gesso?), soluzioni inedite capaci di garantire meglio la gestione del limite dell’intervento di pulitura. Tra questi, efficace ai nostri scopi è stato l’Agar, un materiale già agli atti del Cesmar7. L’esperienza del restauratore ha fatto il resto: ha adattato il materiale al supporto, ai suoi sottosquadri, alle sue asperità, alla scabrosità della superficie da trattare. La ricchezza dei depositi ha consentito di accompagnare i test di pulitura su campioni a esperimenti su frammenti di bassorilievo provenienti da una scuola storica di formazione artistica, casualmente archiviati con le opere da alcuni decenni. Questi frammenti hanno infatti in comune, con le sculture o i frammenti dei grandi autori, l’invecchiamento nelle stesse condizioni conservative; hanno la stessa tipologia di degrado e di sporco di superficie, sono materiali di sacrificio sui quali comparare senza timori diversi tipi di Agar. L’aiuto del chimico, con la verifica analitica, ha, di fatto, confermato l’assenza di residui di prodotto nel manufatto trattato e l’inesistenza di danni legati all’acqua che l’Agar consente di utilizzare quale solvente. Sui gessi l’Agar ha ampliato le possibilità di calibrare al meglio il livello dell’intervento. L’integrità delle superfici è stata inoltre verificata con lo scanner 3D InfiniteFocus, Alicona, sperimentato in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Pavia nella Galleria d’Arte Moderna di Milano (Figura 5). Il lavoro in equipe, il confronto tra diverse specializzazioni, la possibilità di avere a disposizione dei modelli, ci ha consentito di promuovere un progetto di ricerca che ha sortito la messa a punto, per il gesso, di un prodotto: l’Agar, efficace e sicuro quanto lo è sui dipinti e sulle carte. Nulla però potrà metterci al riparo dai nostri errori di valutazione, dalle cattive scelte, dalla dolosa manipolazione della superficie di una scultura, rischi sempre in agguato quando viene meno l’umiltà che il conservatore deve sempre avere davanti all’opera guardandola e ascoltandola molto bene prima di agire, sempre. Anche solo per decidere di non fare nulla.
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L’UTILIZZO DI AGAR: UN METODO DI PULITURA INNOVATIVO IL BIANCO - il materiale costitutivo, il gesso I manufatti in gesso sono sicuramente tra i materiali lapidei che creano maggiori difficoltà nell’affrontare la pulitura; trovare un procedimento adatto a questa sostanza così problematica apre le possibilità di utilizzo per una gamma molto più ampia di materiali. Parlando del metodo di pulitura delle opere in gesso, è necessario sottolineare alcuni aspetti relativi alla loro natura chimico-fisica e alle operazioni di trasformazione che avvengono durante la formatura. Senza descrivere i vari tipi di gesso, gli strumenti e i processi di lavorazione, vogliamo sviluppare delle osservazioni in relazione agli interventi da effettuare. Più che la natura del tipo di sporco, sono le caratteristiche morfologiche, colore, consistenza, porosità e igroscopicità, a costituire i parametri prioritari per la valutazione dell’intervento. La prima caratteristica è il colore, il bianco, che suggestiona l’impatto visivo e che condiziona la nostra immediata capacità di riconoscimento della materia, ma che basta un leggero deposito di polvere ad alterare. Sapendo distinguere le superfici volutamente bianche da quelle che presentano varie coloriture, dovute ad interventi pittorici o a residui di patinature o di trattamenti di lavorazione (sostanze distaccanti), che, per quanto possibile, devono essere conservate, è necessario affrontare il tema di estrema importanza di decidere dove si vuole arrivare e quanto si vuole “insistere” per riuscire ad ottenere una superficie priva di macchie, aloni, aree più scure. Mantenendo la regola prioritaria del minimo intervento, diventa fondamentale acquisire una metodologia in grado di agire senza sottoporre l’opera ad inutili traumi, per non alterare la leggibilità, annullando l’immagine reale acquisita. Un ulteriore punto critico è conseguente alle caratteristiche strutturali della materia, caratterizzata da un’elevata porosità, causata dall’evaporazione dell’acqua presente nell’impasto, associata a scarse proprietà di resistenza meccanica. Per sculture e calchi viene generalmente usato il gesso da forma o scagliola,2 ma il risultato che si ottiene non è sempre uniforme, perchè a determinarne la qualità incidono vari fattori, come la percentuale di acqua utilizzata nella formatura, che può variare da un minimo del 65% del peso della polvere, fino all’85%, se si vuole ottenere un impasto più fluido, che più si adatta alla forma e maggiormente lavorabile. Di conseguenza tutta l’acqua aggiunta, rispetto al 25 % necessario alla trasformazione del Solfato di Calcio semiidrato in Solfato di Calcio biidrato, fuoriesce in seguito alla presa lasciando una porosità intrinseca, quantificabile nella differenza di peso specifico dal gesso minerale al gesso lavorato3. Più aumenta la quantità di acqua nell’impasto, più aumentano i vuoti e diminuiscono le caratteristiche di resistenza meccanica. Ne risulta una struttura materica fortemente porosa, capace di assorbire l’umidità ambientale, insieme a polvere e sporco. L’elevata permeabilità del gesso verso l’acqua provoca una perdita fino ad 1/3 delle sue proprietà meccaniche in caso di saturazione, inoltre la presenza all’interno di rinforzi in stoffa, di perni e di strutture di sostegno in legno e ferro, che in condizioni di umidità possono degradarsi e provocare macchie sulla superficie, costituisce un ulteriore parametro di valutazione quantitativa. Di conseguenza, qualsiasi intervento effettuato immettendo sostanze liquide libere, senza l’impiego di un impacco, può essere molto rischioso, perchè il gesso, essendo fortemente permeabile, inevitabilmente assorbe. Non si è però sicuri di quanto sporco disciolto possa rimanere in superficie e quanto invece si disperda nella porosità del gesso, migrando negli strati più interni e fissandosi in modo irreversibile, formando aloni scuri che causano una “colorazione” del gesso. Lo strato superficiale, più compatto della materia interna anche a causa del leggero aumento di volume e della pressione esercitata contro la forma durante il processo di lavorazione, è sensibile a tutte le influenze esterne, dall’umidità ad ogni riferimento tattile e presenta fragilità in relazione a pressioni, sfregamenti, abrasioni4. Infine, un’ osservazione relativa alla forma tridimensionale dei gessi, spesso di grandi dimensioni, ricchi di elementi aggettanti e di zone poco accessibili: queste caratteristiche strutturali generano difficoltà
2. Il gesso (CaSO4 • 2H2O) diventa, in seguito alla cottura e alla successiva macinazione, gesso semiidrato CaSO4 • ½H2O 3. La resistenza meccanica e la porosità sono inversamente proporzionali. Il peso specifico del gesso naturale è di 2,3 Kg /dm3; diventa circa 0,8 Kg/dm3 in seguito alla presa. 4. La fragilità è l’attitudine dei minerali a rompersi in seguito ad azione meccanica. La durezza è determinata dalla capacità di un minerale di scalfire o essere scalfito da altri minerali e si misura secondo la scala di Mohs, con valori crescenti da 1 a 10. Il gesso fa parte dei minerali teneri che si scalfiscono con l’unghia: ha durezza 2 nella scala di Mohs.
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durante i procedimenti operativi e introducono, per la valutazione dell’intervento, il concetto dell’ampiezza delle zone da trattare, caratterizzate da diversità significative tra i piani di caduta della polvere e i sottosquadra più protetti. Considerando anche la tecnologia di realizzazione, basata sul collegamento di elementi formati separatamente, a più strati, si possono riscontrare diverse condizioni conservative presenti sulla stessa opera. IL NERO - lo stato di conservazione Lo stato di conservazione dei modelli e calchi in gesso è il risultato della relazione tra la “materia”, con tutte le caratteristiche legate alla qualità, al tipo di gesso utilizzato, ai processi di lavorazione interessati da numerose variabili, come la quantità e la temperatura dell’acqua, e l’intervento umano. Le opere in gesso fanno parte di un patrimonio che in passato non ha sempre beneficiato della dovuta attenzione, provengono spesso da depositi più o meno idonei e riflettono una condizione di conservazione dovuta oltre che al materiale costitutivo, alle condizioni di esposizione e alla storia conservativa di ciascun oggetto. Il naturale degrado, infatti, incide meno rispetto alle conseguenze derivate dalla sottovalutazione del valore di questo tipo di manufatti, connesse alla fragilità della materia. Le opere si possono suddividere tra quelle con le principali condizioni di degrado riferito alle superfici, interessate da depositi di polvere e sporco più o meno aderenti o penetrati nel gesso, e altre a cui si aggiunge uno stato di precarietà strutturale, con situazioni di frammentarietà, scagliature, lacune e mancanze di elementi fondamentali. In questo lavoro affrontiamo il caso delle superfici, che appaiono generalmente annerite, con segni bianchi dovuti ad abrasioni o a fratture recenti, o con grossi aloni bruni causati dall’ossidazione dei ferri interni, che, aumentando di volume in presenza di umidità, possono provocare anche fessurazioni e distacchi. Le velature, più o meno omogenee, dovute a sostanze residue dei processi di formatura, sono da tenere presente anche quando non sono di immediata percezione e possono essere individuate soltanto osservando i sottosquadra. In ogni caso agiscono come una parete d’intervento, che media la nostra azione sulla superficie dell’opera da trattare: infatti è su questa pellicola che si opera, limitando un’interazione diretta tra il gesso e il materiale per l’intervento. Molte sculture hanno subito, nel corso degli anni, operazioni di restauro che hanno modificato lo sporco, facendolo diventare più tenace e insolubile. Non sono rare le ridipinture con vernici, scialbature con gesso o stuccature in aree fortemente annerite, riprese con colorazioni scure, stese anche sulle zone limitrofe, per mimetizzare l’intervento. Questi problemi, legati alle caratteristiche del materiale da trattare, creano dei vincoli nella scelta delle soluzioni da adottare, ed impongono una riflessione sui metodi finora utilizzati. L’azione della pulitura si differenzia tra i due tipi principali di condizioni: - Il livello superficiale - la penetrazione all’interno della materia. Difficilmente si trovano casi in cui non sia presente una componente di sporco penetrato, conseguente a trattamenti superficiali come patinature, interventi conservativi o per cause accidentali, che danno luogo alla formazione di composti con una consistenza superiore a quella del gesso (es. Ossalati). Lo sporco di deposito5 non crea particolari problemi per la rimozione, perchè non essendo il contatto vincolato con la materia, dopo aver rimosso i depositi più incoerenti con pennelli morbidi, con aria aspirata o a bassa pressione, è sufficiente far aderire lo sporco rimasto ad una sostanza capace di incorporarlo, senza provocare degradazioni della superficie. Diventa molto più difficile intervenire nei casi in cui occorre trovare una metodologia in grado di attrarre lo sporco penetrato, o di trattare, con un’azione chimica, le alterazioni cromatiche avvenute nella materia. I sistemi di pulitura tradizionali si possono suddividere principalmente in: metodi umidi, operazioni a strappo e utilizzo del laser6. I primi si basano sull’azione solvente dell’acqua, sottoforma di miscele con 5. Il generico particellato di deposito è costituito sia da elementi inorganici (sali e ossidi metallici da minerali disgregati, polveri cementizie, composti carboniosi...) che da composti organici (idrocarburi, inquinanti, pollini...) che possono agire come cementanti nel tenere le particelle coese [2]. 6. Tra le sostanze indicate in letteratura, per le puliture a secco vengono usate spugne e gomma pane; come metodi umidi con supportanti o per puliture a tampone segnaliamo: 3A (Alcool Etilico, Acetone, acqua deionizzata), usati anche da soli; DA (Dimetilformammide e Acetato d’Amile); DIDAX (Dimetilformammide 35 ml, White Spirit 25 ml, Acetone 20 ml, Xilene 10 ml); ABD (acqua, Butilammina, Dimetilformammide); acqua e Ammoniaca
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altri solventi o usata con saponi e detergenti. L’intervento avviene applicando il solvente scelto, servendosi di sostanze supportanti come tamponi, velinature o materiali organici, a cui segue l’ asportazione dello sporco disciolto, con un’azione meccanica di rimozione dei residui sulla superficie. Il risultato, anche nel caso di una pulitura ottimale, lascia la superficie “impastata”, perchè l’azione dell’acqua indebolisce lo strato più esterno del gesso e lo sfregamento con il tampone, per quanto delicato, provoca una levigatura della superficie. Lo stesso avviene con puliture effettuate a tampone con solventi puri o miscelati in base alle caratteristiche di polarità, o con soluzioni basiche (Figure 6 e 7). Utilizza un procedimento completamente diverso il metodo basato sullo strappo. In questo caso si applica a pennello una sostanza filmogena termoplastica, in genere una resina vinilica in dispersione acquosa come il Vinavil®7, con una viscosità tale da non poter penetrare all’interno della materia, ma capace di catturare lo sporco. Viene stesa ripetendo l’operazione in passaggi successivi, per permettere una parziale solidificazione che impedisca che si depositi in modo eccessivo negli avvallamenti del modellato e che non scivoli dalle superfici verticali, per ottenere una pellicola il più possibile uniforme. Successivamente si toglie delicatamente inducendone il distacco, individuando il momento in cui detiene le migliori caratteristiche di elasticità, tagliando la pellicola in settori. Rimangono in evidenza gli eventuali interventi subiti, puliture con mezzi non idonei che hanno segnato la superficie, stuccature e integrazioni cromaticamente contrastanti, macchie di varia natura penetrate nel gesso, zone annerite all’interno della porosità. Il trattamento a strappo non è però idoneo in caso di materiale decoeso, in presenza di lavorazioni particolarmente elaborate con rilievi dettagliati e minuziosi e, una volta completato il compito di inglobare le particelle di sporco, non ha nessuna capacità di agire con un’azione chimica sulle macchie; diventa quindi inutile e pericoloso ripetere l’operazione, che comunque è contraddistinta da un notevole rischio di interazione con la superficie. Inoltre, un ulteriore fattore negativo è dato dal pH acido della dispersione, al quale si aggiungono la non conoscenza delle sostanze presenti nella formulazione (plastificanti, antifermentativi, tensioattivi e disperdenti, fillers...), i disturbi causati al restauratore dall’inalazione dei vapori acetici, conseguente ad ampie stesure in ambienti scarsamente areati, e una relativa difficoltà di esecuzione. Il laser [6] richiederebbe un discorso a parte, proprio per la specificità del metodo, per i costi significativi, per la necessità di conoscenze approfondite, che lo rendono di difficile diffusione. Abbiamo voluto sperimentare questa tecnologia effettuando delle prove di pulitura con il laser8 su due sculture in gesso, fortemente annerite da sporco di deposito e dalle conseguenze di interventi di ricomposizioni parziali, con residui non omogenei di una pellicola di sostanza organica presente sulla superficie di entrambi i campioni. Dopo il trattamento le zone interessate dall’azione del laser risultavano pulite, ma con una significativa alterazione cromatica tendente al giallo, che confermava il problema frequente dell’ingiallimento prodotto dal laser sui manufatti lapidei, con un effetto di consolidamento del tassello pulito. Si è osservato inoltre che le modalità di utilizzo e i tempi necessari per sublimare lo sporco erano tali da escludere il laser come metodo ideale per questo intervento su modelli di grandi dimensioni, con forme dinamiche, ricche di sottosquadra.
in diverse percentuali; acqua 70%, acqua ossigenata 130 vol. 20%, Ammoniaca 10%; sostanze Chelanti come Acido Citrico e Citrato Trisodico a pH controllato; sapone di Marsiglia in soluzione acquosa; Primal AC 33 applicato con garze; pasta di legno umidificata in acqua deionizzata, mescolata con Formammide e Carbossilmetilcellulosa; Vinavil NPC®, lattice di gomma, per la tecnica a strappo [3, 4]. Si noti come purtroppo rientrino in questo elenco numerosi solventi particolarmente problematici tanto per la salute dell’operatore e la sicurezza del luogo di lavoro, per il loro elevato potenziale di tossicità, quanto per l’integrità strutturale del manufatto trattato, per le loro caratteristiche di bassa volatilità, forte capacità di penetrazione in materiali porosi, e talora anche carattere acido o alcalino [5] 7. VINAVIL S.p.A., Via Valtellina, 63 - 20159 Milano, Tel. +39 02 695541, www.vinavil.it 8. Il laser usato è il modello ART LIGHT LASER II (Lambda Scientifica Srl) a fibra ottica (tipo laser Nd:YAG 1064 nm). In particolare abbiamo provato sulle sculture in gesso sia la modalità Q-SWITCH sia la modalità NORMAL MODE (si veda catalogo CTS 2006 pg. 249-250). Si ringrazia C.T.S. S.r.l. Filiale di Milano, Via A.F. Stella n. 5 20125 Milano, Tel. +39 02 67493225, www.ctseurope.com, che ha fornito la strumentazione.
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Criteri di valutazione della procedura sperimentale La necessità di trovare un metodo innovativo deriva sostanzialmente dalla considerazione dei limiti dei risultati che si riuscivano ad avere, con i metodi tradizionali, su alcune opere in fase di restauro9. Alcuni gessi sono risultati particolarmente problematici, a causa dello stato di conservazione conseguente ai vari interventi subiti in passato, che avevano praticamente reso irreversibile l’aspetto annerito delle superfici (Figura 8). Il nostro obiettivo era trovare una metodologia capace di effettuare una pulitura simile allo strappo, ma più delicata, più semplice da usare e più veloce nei tempi di asciugatura, con in più la proprietà, tipica dei metodi umidi, di sciogliere lo sporco con un rilascio di acqua controllato e senza dover in alcun modo intervenire sulla superficie per rimuovere lo sporco o le sostanze utilizzate. La ricerca di un sistema di pulitura così efficace, ha trovato una risposta teorica nei materiali polisaccaridici a base di Agarosio, che hanno la capacità di formare gel rigidi, validi come sistema di umidificazione dove sia necessario un rigoroso controllo dell’apporto di acqua. L’opportunità di continuare lo studio avviato dal Cesmar7 sui supporti pittorici, per applicarli ai gessi, con un tipo di utilizzo completamente diverso per la tridimensionalità dei manufatti, ha dato un forte stimolo alla sperimentazione. Avendo una chiara consapevolezza sulle finalità del metodo, si è partiti dai risultati analitici del Dipartimento di Chimica Generale e Inorganica, Chimica Analitica, Chimica Fisica dell’Università degli Studi di Parma, e insieme a colleghi operanti in altri settori di restauro10 è iniziata una sperimentazione, in primo luogo su generici campioni in gesso, poi su materiali “di sacrificio”, fino ad elaborare un procedimento, in base all’esperienza acquisita in anni di lavoro sui gessi, per poter intervenire sui casi reali. I criteri di valutazione sull’idoneità del metodo in relazione alla materia, contemporaneamente agli studi analitici svolti per monitorare la sicurezza del trattamento, si sono basati sul controllo dei seguenti valori: 1. apporto e rilascio d’acqua 2. penetrazione 3. efficacia nella pulitura 4. integrità delle superfici 5. alterazione cromatica 6. presenza di residui Avendo ottenuto una risposta positiva da tutti questi parametri, si trattava quindi di elaborare una metodologia di applicazione, considerando anche il tempo e il costo dei materiali come variabili significative nella valutazione complessiva. La messa a punto della metodologia Per una descrizione dettagliata dell’Agar e delle sue proprietà rimandiamo alla precedente pubblicazione ed ai riferimenti bibliografici lì riportati [1]. Qui ricordiamo semplicemente che l’Agar è un polisaccaride composto di Agarosio, un polimero lineare a base di Galattosio, e di Agaropectina, una frazione composta di polisaccaridi simili ma contenenti gruppi Solfato, Piruvato e Metile. In basse concentrazioni in acqua l’Agar forma gel termoreversibili: scaldando la dispersione a 80-90° C e poi raffreddandola al di sotto della temperatura di gelificazione (30-50° C, a seconda dei tipi), specifiche associazioni delle catene polimeriche portano alla formazione di un reticolo capace di intrappolare enormi quantità di acqua, che può poi essere rilasciata (fenomeno detto sineresi). Il colloide elastico che si forma è capace di ritenere la forma del contenitore: si tratta dunque di un cosiddetto “gel rigido”. Il reticolo macromolecolare contiene cavità regolari, piuttosto larghe, attraverso le quali possono diffondere anche molecole relativamente grandi. L’Agarosio possiede migliore capacità gelificante rispetto all’Agar; ma rilascia una maggiore quantità di acqua e forma una pellicola con una ridotta elasticità, più difficile da rimuovere.
9. I restauri dei modelli in gesso di Giuseppe Grandi e delle varie sculture della Galleria d’Arte Moderna di Milano, su cui è iniziata l’applicazione pratica dell’Agar, sono stati eseguiti dalla società ACONERRE srl, Arte Conservazione Restauro di Marilena Anzani e Alfiero Rabbolini. 10. Prove effettuate con i restauratori Marco Cagna, che ha sperimentato l’uso dei gel di Agar per la pulitura degli affreschi, e Davide Riggiardi per i dipinti su tela.
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La nostra scelta si è orientata sull’utilizzo di un tipo di Agar ad uso alimentare11. Nelle applicazioni pratiche si comportava allo stesso modo dei tipi più pregiati, disponibili dai fornitori di prodotti chimici e biologici, e lo abbiamo privilegiato per la facile reperibilità e per il minor costo, dato che l’uso era finalizzato alla pulitura di modelli in gesso di grandi dimensioni con concentrazioni di sporco elevate. La caratterizzazione analitica ne ha verificato l’identica composizione, sempre rispetto ai tipi di “di grado reagente da laboratorio”, con un comportamento simile in termini di residui lasciati. La preparazione In un contenitore graduato si mette una determinata quantità di acqua deionizzata (es. 1 litro), si aggiunge l’Agar in polvere in quantità proporzionata alla densità che si vuole ottenere, e si miscela accuratamente. Dopo numerose prove si è verificato che si ottengono buoni risultati con concentrazioni in peso/volume della polvere in acqua deionizzata tra il 2,5% e il 5%, in funzione della necessità di penetrazione o di ritenzione dell’acqua sul supporto. Con una percentuale inferiore il gel risulta troppo fluido e rilascia una maggiore quantità di acqua, mentre con concentrazioni molto elevate il gel diventa più rigido e più difficile da applicare. Si versa la miscela in una vaschetta di plastica con il coperchio, senza sigillarlo, si porta all’ebollizione utilizzando un comune forno a microonde, avendo cura che un riscaldamento troppo veloce non faccia fuoriuscire la soluzione che si sta formando, mescolando occasionalmente. Per produrre 1 kg di gel sono necessari circa 10 minuti, che possono variare in base alla quantità della sostanza e alla temperatura. Poi si toglie dal forno e si lascia raffreddare a temperatura ambiente, fino a gelificazione. Il risultato ottimale si ottiene facendo risciogliere il gel dopo la prima solidificazione perchè in parte si modifica, diventando molto più omogeneo e con migliori capacità di ritenzione di acqua in seguito ad una seconda cottura, di fatto più breve, rispetto alla trasformazione dalla polvere al gel. Se si fonde ripetute volte, non avvengono altre variazioni e il tempo di cottura non incide sul risultato, ma occorre ripristinare nella miscela la quantità di acqua evaporata. Nel complesso i tempi di preparazione sono brevi. È meglio non conservare nel tempo i gel di Agar, ma utilizzarli subito dopo averli preparati: Agarosio e Agar, stabili in forma di polveri asciutte, sono invece facilmente biodeteriorabili in forma gelificata, proprio per l’elevato contenuto di acqua, e per il fatto che nelle normali condizioni di lavoro sui manufatti artistici è praticamente impossibile lavorare in condizioni sterili. Le modalità di applicazione La novità principale di questo lavoro, rispetto alle sperimentazioni precedenti di gel rigidi, sta nella modalità di applicazione, che avviene in fase fluida in modo che la massa del gel possa aderire ai volumi delle sculture. In questo caso l’attenzione risiede nella relazione tra la temperatura di gelificazione (38°) e la temperatura di utilizzo che dovrà essere intorno ai 45° per poter usufruire della sostanza non solidificata12. Ottimale è mantenere il grado di calore costante, conservando il gel in contenitori termici che rallentano la velocità di raffreddamento. Praticamente, la soluzione ormai semi-solida viene spalmata sulla superficie da trattare con un pennello piatto, coprendo in modo uniforme le aree da pulire, fino a quando la sostanza si mantiene scorrevole (Figura 9). La relativa velocità di gelificazione dello strato che si spalma, permette di girare la scultura in fase di lavorazione, se si vogliono ottenere stesure uniche, uniformi, senza linee di giuntura e sovrapposizioni di livello. Il procedimento è molto simile a quello delle resine viniliche, ma la densità del gel lo rende di fatto più semplice e veloce.
11. Agar-Agar Powder (Food additive) prodotto in Tailandia, importato da Tang Freres S.A, 48 Avenue d’Ivry 75013 Parigi, acquistato da un importatore internazionale. 12. La solubilità del gesso in acqua varia dallo 0,241% a 0° C, con una tendenza all’aumento fino a circa 36-38° C dove raggiunge il massimo dello 0,25%, che diminuisce successivamente con l’elevarsi della temperatura, diventando dello 0,222% a 100° C.T. Turco Il gesso [7].
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Il tempo di applicazione Possiamo descrivere la pulitura con il gel di Agar come l’azione di una sostanza gelificante, porosa, leggermente adesiva, a pH neutro, che messa su un materiale altamente igroscopico e permeabile come il gesso, produce un’estrazione dello sporco, mentre completa il processo di trasformazione fisica da fluida a solida. Nella precedente pubblicazione veniva spiegata la formazione del reticolo di catene molecolari nel processo di gelificazione dell’Agar. Questo reticolo agisce in modo da richiamare al proprio interno le sostanze solubilizzate dalla superficie dei materiali trattati. Non è semplice razionalizzare il modo d’azione: ipotizziamo processi come gradienti di concentrazione, osmosi (tra le due soluzioni a contatto: la prima, lo strato di gel applicato, e la seconda il gesso stesso una volta che l’acqua vi ha diffuso), migrazione di composti ionici. Qualunque sia il reale meccanismo, l’impressione che si ha praticamente è che questa migrazione del materiale di deposito avvenga direttamente durante l’applicazione; di conseguenza il tempo necessario per l’azione pulente è relativo al tempo di gelificazione, proporzionato allo spessore della pellicola spalmata e alle dimensioni dell’area d’intervento. In pratica dal momento in cui si stende il gel, inizia l’azione di scambio tra le due sostanze, il gesso e il gel, con una prima forte attrazione dello sporco verso l’addensante, al quale segue, dopo l’avvenuta gelificazione, il lento rilascio dell’acqua all’interno del gesso. Per questo se si vuole intervenire solamente sullo strato superficiale, è sufficiente rimuovere la pellicola subito dopo il raffreddamento. Con un tempo di soli 3 minuti, ripetutamente testato, il gesso è risultato pulito con un rilascio minimo di acqua all’interno della materia. Quando si vogliono eliminare aloni penetrati nel gesso o in presenza di sali che, come abbiamo potuto riscontrare, sono in grado di attraversare lo strato di gel e depositarsi al di sopra, in fase di essiccazione, può essere utile lasciare il gel fino a secchezza (Figura 10). In caso di superfici non omogenee, è possibile ripetere l’operazione in modo localizzato, dove risultino aree di deposito particolarmente consistenti. Ne deriva un metodo di pulitura stratificato che, partendo dal piano superficiale più esterno, incorpora le sostanze presenti sul gesso, permettendo di scegliere il livello del risultato da raggiungere (Figura 11). La rimozione La pellicola di Agar che si forma sulla superficie risulta molto facile da rimuovere (Figura 12). Le caratteristiche di trasparenza, morbidezza associata ad una elevata elasticità, rendono l’operazione di asportazione molto semplice. Eventuali residui, che possono rimanere in prossimità dei margini delle zone trattate, si staccano autonomamente in seguito all’essiccazione. Con l’evaporazione, la pellicola tende infatti a separarsi in modo naturale dal supporto. La superficie liberata dal gel non viene in nessun modo manipolata, conserva integralmente le minime tracce delle impronte di lavorazione e dei segni incisi dalla gradina. La verifica sensoriale del risultato Il motivo principale, che ci indotto a prediligere il metodo dell’Agar per la pulitura della sculture in gesso, è sicuramente determinato dal risultato ottenuto. Prima di queste sperimentazioni, con l’azione di strappo della pellicola vinilica, si riusciva ad eliminare soltanto lo sporco presente come uno strato superficiale, anche se perfettamente aderente al supporto, mentre era impossibile da rimuovere la parte più tenace, penetrata nella struttura materica del gesso. L’Agar, al contrario, è in grado di compiere un’azione di attrazione dello sporco che, migrando verso la superficie, rimane in parte assorbito e inglobato nel gel e in parte crea una leggera membrana di depositi incoerenti sulla parete interna del gel, a contatto con la superficie (Figura 13). Questo diverso grado di assorbimento sembra essere in relazione alla porosità del materiale trattato: più l’oggetto è poroso e più avviene uno scambio tra le due sostanze, mentre in materiali meno sensibili come il marmo13 si verifica in misura maggiore il deposito superficiale. L’applicazione può essere ripetuta fino ad ottenere un risultato ottimale, potendo selezionare le zone in cui risulta necessario insistere a causa di macchie o di linee di percolazione dell’acqua causate da interventi con metodi umidi. La facilità della stesura, che avviene con pennelli anche di minime dimensioni, favorisce la selezione precisa delle parti da trattare. 13. Su tutti i materiali lapidei l’uso dell’Agar si è rivelato un ottimo metodo che agisce come un impacco di acqua a contatto della superficie
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Il risultato sensoriale è di una superficie integra, preservata nei minimi dettagli, con tutte le patinature perfettamente conservate, senza variazioni di colore o di saturazione. Le prove che avevamo effettuato con il laser, che, proprio per la presenza di sostanze organiche, aveva provocato un’alterazione cromatica della superficie, sono state corrette proprio con il gel di Agar. La “pelle” dei gessi non riporta modificazioni, non essendo sottoposta a nessun contatto da sfregamento meccanico, in presenza di acqua. Si può ipotizzare, come possibile variazione, un effetto di consolidamento che si verifica quando il materiale risulta leggermente decoeso. Come per gli altri prodotti usati per lo strappo, bisogna agire con molta attenzione nel caso di materiale disgregato o in presenza di residui di frammenti della forma del calco, la camicia, che spesso si trova in tracce nei sottosquadra e che può rimanere inglobata nella pellicola e distaccata. Di fronte a questi problemi, abbiamo sentito l’esigenza di effettuare delle prove sporadiche su alcuni campioni, per testare eventuali possibilità di consolidamento del gesso prima della pulitura, trattando localmente delle zone con Ciclododecano. L’impregnazione non influiva sulla pulitura, ma è necessario approfondire lo studio verificando ad esempio la successiva velocità di sublimazione. Gli aloni e le fluorescenze visibili con la lampada a radiazione ultravioletta sulle superfici del gesso, dopo pulitura, e che sui nostri campioni seguivano i segni delle colate riproducendo i movimenti del gesso versato nella forma, sono da attribuire alla sensibilità del gesso verso l’acqua e non a residui di gel nella materia, come confermato anche in modo analitico, dalle prove di semplice applicazione dell’acqua. Dall’analisi visiva sui campioni appositamente realizzati (si veda più oltre) per monitorare queste diverse sperimentazioni, si percepiva che la quantità di acqua rilasciata nel gesso era minima, ma le considerazioni induttive erano poi da ricondurre ad una casistica generale, che comprendeva i casi reali sui quali, con molta attenzione, si sono iniziate le sperimentazioni pratiche. Abbiamo effettuato una verifica su alcuni calchi raffiguranti elementi anatomici in gesso, per misurare la quantità di acqua assorbita durante la pulitura. La differenza di peso prima dell’intervento, con la stesura del gel, dopo la rimozione e in seguito al completo essiccamento, ha dato risultati analoghi su tutti gli esemplari. Ad esempio, applicando 300 grammi di gel di Agar al 4% in acqua deionizzata sulla superficie totale di un piede in gesso a grandezza naturale, dopo un tempo di posa di circa 10 minuti, pesato in seguito alla rimozione della sostanza gelificata, il gesso è aumentato di soli 20 grammi, con un incremento del 2% sul peso totale, precisamente da 1015 a 1035 grammi. In una situazione di lavoro normale, non mediata quindi dalle condizioni ottimali, replicabili, necessarie per i test, è risultato che si può raggiungere un livello di pulitura adeguato, con un apporto limitato di acqua. Il monitoraggio visivo, nel tempo, sui grandi modelli del Monumento alle Cinque Giornate di Giuseppe Grandi, restaurati nella primavera del 2007, a distanza di oltre un anno, conferma lo stato di conservazione: non si osserva nessuna trasformazione in seguito alla pulitura, non si sono formati quegli aloni gialli che spesso sono conseguenti agli interventi più svariati. Considerazioni sul trattamento e sviluppi futuri Possiamo considerare l’Agar come una sostanza che si plasma perfettamente sulle forme tridimensionali, che induce un’azione di distacco/assorbimento del particellato di deposito, che non rilascia residui, che permette di ripetere l’applicazione, che non modifica la superficie, che riesce meglio di qualsiasi altro materiale tradizionale finora impiegato ad ottenere una pulitura controllata ed approfondita. Il gel di Agar quando viene spalmato mostra un effetto di saturazione che mette in evidenza lo stato di conservazione, visualizzando tutti i dettagli relativi alle specifiche condizioni di una scultura (Figure 14 e 15). Quando la natura del materiale di deposito sia tale da impedirne un’efficace rimozione con la sola azione solvente dell’acqua, possiamo ipotizzare l’uso dell’Agar per formare gel rigidi contenenti specifiche attività: attività chelante, rivolta in particolare verso la solubilizzazione di sali poco solubili, oppure attività tensioattiva, rivolta all’emulsionamento di certe componenti oleose, grasse, idrofobe dello sporco. Di più, semplicemente inglobando nel mezzo acquoso opportune sostanze tampone, si possono ottenere dei gel rigidi con valori di pH acidi o alcalini, che possano affrontare la rimozione di specifici materiali (ammesso, ovviamente, che questi valori di pH siano privi di rischio per il supporto di gesso, per eventuali “finiture” superficiali, ecc.). Chiaramente, per operare in sicurezza queste aggiunte, cioè per passare da semplice acqua gelificata a soluzioni acquose gelificate, sono indispensabili ulteriori considerazioni affinché l’integrità del manufatto sia tutelata. A titolo di esempio, la semplice considerazione di certe grandezze chimico-fisiche, come il Prodotto di Solubilità del gesso e le Costanti di Formazione dei chelati col Citrato, ci porterebbero a definire “sicura” l’azione dei Citrati sui gessi, intendendo con questo che l’azione chelante non sarebbe diretta verso
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gli ioni Calcio del gesso stesso. Tutto ciò a patto, ovviamente, di lavorare con soluzioni a concentrazioni moderate di chelante (inferiori all’1% in peso) e soprattutto a valori di pH vicini alla neutralità. Sono però necessarie ulteriori verifiche analitiche per poter proporre queste metodologie, e pertanto le presentiamo qui solamente come una possibilità da considerare. Le variabili sono molte e nella nostra ricerca sono state fatte varie sperimentazioni che riguardavano l’aggiunta di sostanze al gel e le modalità di stesura. Ad esempio abbiamo provato a stendere l’addensante in strati successivi a composizione differente: applicando il primo strato di semplice acqua deionizzata gelificata con Agar a contatto del gesso, e poi su questo strato stendendone un secondo contenente una soluzione tamponata chelante. Questo è per dimostrare la versatilità del metodo, e le enormi potenzialità da verificare in base alle esigenze di ogni caso specifico. Nonostante sia possibile, per le pietre in genere, usare l’acqua senza limitazioni, attraverso varie metodologie che nei due estremi possono andare dall’immersione al vapore, gli ottimi risultati ottenuti sui gessi ci hanno indotto a provare questo metodo anche per la pulitura dei marmi. L’Agar su questo tipo di materiale è come se creasse un’ impronta perfettamente aderente alla scultura, realizzata con una riserva di acqua, che lasciata a contatto per un breve tempo, aiuta ad estrarre lo sporco che rimane depositato sulla superficie, ma in modo completamente disgregato e che basta un leggero lavaggio con acqua deionizzata a rimuovere. Conclusioni Le considerazioni positive che emergono da questo lavoro, e che sono il risultato di oltre un anno di sperimentazioni e di prove reali, non devono indurre alla convinzione che i risultati raggiunti, e ancor più la metodologia di applicazione, siano generalizzabili senza criticità: come ogni pulitura, anche l’utilizzo dell’Agar modifica in modo irreversibile le condizioni dell’opera che si sta trattando, perchè vengono rimosse le sostanze presenti sulla superficie che, ovviamente, racchiudono la storia dell’oggetto. Per questo ogni nostra azione deve seguire un processo di osservazione accurata, consapevolezza di quanto si vuole rimuovere, attenzione ad ogni particolarità e, solo a questo punto, scelta del metodo d’intervento. Riteniamo l’uso dell’Agar fondamentale e risolutivo per una grande quantità di situazioni, ma più che proporlo in alternativa o come complemento ai metodi tradizionali, invitiamo a proseguire questo nostro lavoro, continuando la ricerca sull’utilizzo di materiali sempre meno invasivi sulle opere d’arte e più sicuri per i restauratori, nella logica della valorizzazione delle sensibilità individuali, relative ad ogni ambito d’intervento, ma nel fondamentale interscambio delle conoscenze.
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SPERIMENTAZIONE SU MODELLI IN GESSO Gli obiettivi La sperimentazione su modelli in gesso prodotti artificialmente, complementare allo studio condotto su calchi e copie eseguite dagli allievi della Scuola d’Arte del Castello Sforzesco e conservati alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, è nata dall’esigenza di: - esaminare la diffusione e la quantità di acqua introdotta nei gessi con i vari modi di applicazione dell’Agar - confrontare l’Agar con una resina vinilica in dispersione acquosa (il Vinavil®) e con l’acqua applicata tramite un impacco di cotone - verificare la capacità dell’Agar di estrarre sali solubili. La ricerca La sperimentazione dell’Agar è iniziata in modo empirico con la produzione di supporti per provare il livello di pulitura in varie situazioni, l’eventuale estrazione di pigmenti o coloranti presenti nel gesso, l’alterazione dell’aspetto cromatico. Dopo questi primi risultati, si è passati ad un secondo livello di sperimentazione: sono stati formati dei modelli uniformi, da poter confrontare fra loro, per acquisire alcuni valori numerici di riferimento atti a comparare le varie applicazioni. La ricerca sui modelli era finalizzata alla sperimentazione su campioni facilmente riproducibili, sui quali verificare e testare caratteristiche e proprietà dell’Agar, differenti utilizzi e metodologie di applicazione. Il loro valore dimostrativo è nella loro omogeneità e nella possibilità di effettuare prove confrontabili distruttive, necessarie per misurare la penetrazione dell’acqua dentro al gesso, con la consapevolezza che i modelli in gesso, in quanto prodotti seriali omogenei, hanno un valore puramente dimostrativo, che non può essere messo in relazione diretta con le opere reali. Rispetto alle sculture sulle quali i gel di Agar si applicano a scopo di pulitura, ad esempio, a questi modelli manca lo strato superficiale di “sporco”, come interfaccia tra il gel e il gesso. È necessaria un’osservazione a carattere generale: propriamente, i modelli sarebbero utilizzabili solo a seguito della loro validazione sperimentale, che permette di conoscerne limiti di applicabilità e difetti. Visto che a questi modelli non chiedevamo che fossero totalmente paragonabili ai manufatti originali, validarli consisteva sostanzialmente nel verificare che fossero un supporto poroso in gesso, uniforme, con caratteristiche superficiali non troppo diverse da quelle dei manufatti. Alcune indicazioni favorevoli sono già emerse dal lavoro preliminare svolto, descritto nel seguito; ma, di fatto, il pieno raggiungimento di questo obiettivo va considerato ancora un lavoro in corso. La preparazione dei modelli I modelli sono stati realizzati colando gesso scagliola in stampi metallici teflonati. Da ciascuna colata sono state ricavate 12 modelli identici, con le stesse caratteristiche di impasto, per poter effettuare miniserie di test confrontabili. Ogni modello del peso di circa 80 grammi, ha la forma di cono tronco la cui base minore ha un diametro di cinque centimetri. I test sono stati eseguiti su tale superficie. Per la prova di estrazione di sali solubili, sono stati miscelati all’acqua Nitrato di Sodio e Nitrito di Sodio, prima dell’aggiunta del gesso in polvere, ciascun sale in quantità dell’1% in peso rispetto al gesso. Ad un mese dalla produzione, sulla superficie di questi modelli si iniziò la sperimentazione, stendendo gel di Agar a diverse concentrazioni, e variandone i tempi di applicazione. Dopo il trattamento, all’osservazione con lo stereomicroscopio, tutte le superfici mostravano evidenti segni di erosione. Se avessimo lavorato solo sui modelli in gesso, verosimilmente a quel punto la sperimentazione con l’Agar si sarebbe interrotta. Fortunatamente, aver avuto una risposta diametralmente opposta – l’Agar è molto rispettoso delle superfici trattate – dai restauratori che avevano eseguito test preliminari di pulitura delle sculture in gesso, ci ha permesso di supporre che il problema fosse non tanto nell’impacco di Agar quanto nei modelli: probabilmente contenevano ancora troppa acqua di formatura. Si decise così di attendere un periodo di sei mesi, lasciandoli esposti in un ambiente con umidità relativa compresa tra il 50 e il 70% e temperatura variabile tra i 18 e 25° C. Dopo tale periodo di “stagionatura”, replicando i test iniziali, si verificava la totale stabilità strutturale dei modelli. Questa osservazione è di fondamentale importanza se letta nel contesto, descritto sopra, della procedura
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di validazione sperimentale: effettivamente, questi modelli soddisfacevano il requisito di adeguata coesione, così da poter essere utilizzati per i successivi studi di diffusione dell’acqua. I prodotti testati Si sono utilizzati il Vinavil®14 nella sua formulazione originale e l’Agar15, preparato come descritto precedentemente, con due cicli di riscaldamento/gelificazione per ottenere un gel trasparente ed omogeneo. Il Vinavil® è stato steso a pennello sulla superficie e rimosso al suo massimo grado di elasticità. Il gel di Agar, preparato al 2% e al 4% in acqua deionizzata, è stato spalmato a pennello sulla superficie nel momento in cui da fluido iniziava a diventare viscoso. Nella sperimentazione l’Agar è stato rimosso dopo 3 minuti, dopo 20 minuti e lasciato fino a secchezza. Prove di diffusione sono state praticate anche su modelli tenuti immersi in acqua per 48 ore. L’impacco di cotone imbevuto d’acqua è stato mantenuto sulla superficie per 3 minuti. La diffusione Per osservare la diffusione, la semplice acqua, i gel di Agar e la dispersione vinilica sono stati marcati con un colorante fluorescente, idrosolubile: la Rodamina B16. Quest’analisi non è praticabile sul materiale storico artistico, in quanto comporta oltre alla colorazione del gesso, anche il sezionamento del supporto, per osservare in luce ultravioletta dove e quanto l’acqua si sia diffusa nella materia. Osservando i test effettuati si può considerare come la Rodamina B riesca a marcare la diffusione dell’acqua. Il riscontro visivo è chiaro e immediato, non ci sono rischi di interferenza cromatica. Tuttavia si è osservato che il colorante veicolato dal mezzo acquoso in alcuni casi migra all’interno della porosità del gesso durante la fase di asciugatura, senza registrare il livello massimo di diffusione; siamo comunque certi che l’acqua è penetrata almeno fin dove rileviamo una colorazione. Il Vinavil® mostra una bassissima penetrazione dell’acqua (Figura 16). Si tratta di un prodotto filmogeno che ha un contenuto in acqua paria al 50% del suo peso. Inoltre, tra i vari additivi non resi noti dalla casa produttrice, proprio perché caratterizzanti la formulazione commerciale, sono sicuramente presenti tensioattivi per stabilizzare la dispersione. Questi, grazie alla loro azione sulla tensione superficiale del mezzo acquoso, contribuiscono a limitarne la diffusione interna. Con un gel di Agar al 4% in acqua deionizzata, la marcatura della diffusione dopo l’applicazione di 3 minuti è nell’ordine del millimetro, che aumenta limitatamente fino a circa due millimetri dopo 20 minuti, (Figure 17 e 18), mentre utilizzando un gel di Agar al 2% in acqua, con una permanenza di 20 minuti, raggiunge la profondità di 4 millimetri (Figura 19). La stessa propagazione si ottiene su modello rimasto imbibito 72 ore in acqua, utilizzando lo stesso gel al 2% sempre per 20 minuti (Figura 20). Questa prova è stata effettuata per controllare il comportamento del gesso già impregnato, situazione che a volte può verificarsi nelle condizioni di lavoro sulle opere. I gel di Agar al 4%, mantenuti fino a secchezza sulla superficie, marcano il gesso fino ad una profondità di 7-8 millimetri (Figura 21). Per confronto, un sottile strato di cotone imbibito di acqua e lasciato a contatto sulla superficie, solo 3 minuti, ha marcato uno strato di 5-6 millimetri di gesso (Figura 22).
14. Vinavil NPC Stella Bianca®, prodotto da VINAVIL S.p.A., Via Valtellina, 63 - 20159 Milano, Tel. +39 02 695541, www.vinavil.it, distribuito da UHU BISON S.p.A., Via Pirelli, 19 - 20124 Milano, tel. 02 677508, www.bostik.it 15. Agar Fluka 05040, distribuito da Sigma-Aldrich, s.r.l., Via Gallarate, 154 - 20151 Milano; tel. 02 33417 310; www.sigma-aldrich.com 16. Rhodamin B, Kremer Pigmente GmbH & Co. KG, Hauptstr. 41-47, DE 88317 Aichstetten, Germania; tel. +49 75 65 911 20; www.kremer-pigmente.de
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Tabella I. Determinazione della percentuale di acqua residua nei modelli, a intervalli di tempo prestabili.
Grafico 1. Percentuale di acqua residua nei modelli di gesso, rilasciata da gel di Agar applicati per tempi diversi.
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L’acqua rilasciata Per misurare la quantità di acqua rilasciata dal gel di Agar applicato sui modelli, in quantità variabile tra i 2,1 e i 2,9 grammi (differenze dovute unicamente alla stesura del gel sui modelli), dopo una permanenza di 3 minuti, 20 minuti e dopo 4 ore, sono state effettuate delle pesate dei modelli prima e dopo l’applicazione del gel, su una bilancia a 4 cifre decimali17. Le quantità di acqua trasferite dai gel ai modelli in gesso, espresse come percentuali riferite alle quantità di acqua contenute nei gel, erano: 18,7% dopo 3 minuti, 65,6% dopo 20 minuti e 53,6% dopo 4 ore. Nell’applicazione più lunga si osserva una quantità di acqua minore rispetto ai 20 minuti, a causa del processo di evaporazione già in atto. Dopo la rimozione dei gel, si sono effettuate altre pesate, a scadenze prefissate, proprio per valutare in quanto tempo evaporasse l’acqua penetrata nei modelli. I tempi di evaporazione e le relative quantità di acqua residue (sempre espresse come percentuali rispetto all’acqua inizialmente presente nei gel) sono riportati in Tabella I, e rappresentati nel Grafico 1. Facciamo notare che, ancora una volta, questi dati sono preliminari: per una più corretta validazione del modello, questi dati sarebbero da esprimere più precisamente come percentuali di acqua migrata, o assorbita, per unità di superficie trattata. I sali solubili Per questa prova sono stati miscelati al gesso sali facilmente solubili in acqua, per verificare la possibilità di estrarli con impacchi acquosi di Agar. I gel ancora umidi (3 e 20 minuti) sono stati messi a contatto con strisce reattive per la determinazione di ioni18. Il gel applicato fino a secchezza è stato reidratato tramite nebulizzazione con acqua deionizzata. In tutti i gel analizzati si è riscontrata una consistente presenza di Nitrati e di Nitriti (Figura 23). Questo test preliminare dimostra come l’Agar sia in grado assorbire sostanze idrosolubili contenute nel substrato a cui è applicato, confermando il potenziale utilizzo del gel d’Agar non solo per le puliture superficiali, ma come estrattore di sali solubili. Conclusioni Soltanto nel procedimento parallelo tra le prove su casi reali e la verifica sui modelli e sui calchi, è stato possibile individuare e monitorare le caratteristiche proprie del gel di Agar, per stabilire dei metodi di utilizzo specifici con i quali intervenire su opere in gesso. Fuori dalla sperimentazione, nella realtà, le variabili aumentano: le caratteristiche morfologiche dei supporti e la loro storia conservativa, la temperatura e l’umidità ambientale, il grado di calore del gel nel momento della stesura, la presenza o meno di sostanze sulla superficie del gesso, per fare solo qualche esempio, tutti elementi che rendono difficile sia la formulazione di una ricetta ideale che una comparazione diretta tra i dati. Comparazione possibile solo sui modelli ripetibili che possono offrire importanti dati relativi confrontabili tra loro ma che, per il livello di astrazione del modello, si discostano dai valori riscontrati sui gessi storicizzati del museo. Basti considerare che le quantità di acqua diffusa nei gessi restaurati, misurata attraverso le pesate sui calchi, è risultata minore di quella che ha bagnato i modelli. Questi primi risultati hanno dimostrato che i gel di Agar, rispetto ad altri metodi a rilascio d’acqua, possono essere una valida alternativa, con la possibilità di variare densità e tempi di applicazione in base alle caratteristiche del supporto ed alle diverse opportunità di utilizzo. Nei modelli, i migliori risultati di minimo apporto d’acqua con scarsa diffusione all’interno della materia si sono ottenuti con i tempi di applicazione più brevi (rivelatisi nella pratica spesso sufficienti per ottenere livelli di pulitura soddisfacenti), con concentrazioni di Agar nell’ordine del 4% in peso. Nel caso dell’estrazione di sali solubili, invece, la maggior diffusione concessa da tempi di permanenza più lunghi consente di agire più in profondità.
17. Si ringrazia la Dottoressa Maria Pia Riccardi, Professore associato del Laboratorio di Scienza dei Materiali Antichi, Dipartimento Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia, per averci messo a disposizione lo strumento. 18. Test strip Merckoquant, prodotte da Merck KGaA, Frankfurter Str. 250, 64293 Darmstadt, Germany; Tel. +49 6151 72 0; www.merck.de; filiale Italiana: Merck SpA, Via G. Stephenson, 94 20157 - Milano; Tel. +39 02 332035 1; www.merck-chemicals.com
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LA VERIFICA ANALITICA Scopo dello studio Al fine di studiare gli effetti del trattamento di pulitura con materiali polisaccaridici a base di Agarosio, sono state eseguite una serie di indagini mirate all’individuazione di residui del materiale applicato, eventualmente trattenuto dal supporto in gesso. Lo studio è stato effettuato su alcuni frammenti di bassorilievi in gesso, conservati da alcuni decenni nel magazzino, esterno alle sedi museali Milanesi, che prende il nome dalla località dove era ubicata la scuola che lo ospitava: San Colombano. Di seguito verranno indicati brevemente come “frammenti di S. Colombano”. I gessi in questione, riconducibili alla Scuola d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano, risalgono verosimilmente ai primi anni del Novecento. Pur essendo manufatti di esercitazioni scolastiche, per le loro caratteristiche tecniche e le vicende conservative, sono confrontabili con le sculture conservate nello stesso luogo. Si è scelto di lavorare con due tipi di Agar e uno di Agarosio, di diversa provenienza. Particolare attenzione è stata rivolta al confronto fra i materiali gelificanti utilizzati, in termini di modalità e tempi di applicazione. La procedura analitica seguita è stata la seguente: - Applicazione dei gel di Agar e Agarosio sui frammenti in gesso - Osservazioni in luce visibile e Ultravioletta - Osservazioni allo stereomicroscopio in luce riflessa e in luce radente - Estrazione acquosa di eventuali materiali costituenti i gel dai frammenti considerati - Analisi degli estratti mediante spettroscopia infrarossa FTIR e gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS). Procedimento Applicazione dei gel di Agar e Agarosio Come materiali gelificanti sono stati utilizzati i due tipi di Agar descritti più sopra, quello da laboratorio della Fluka e l’Agar di uso alimentare, e per confronto un tipo di Agarosio ad alta purezza19. Le applicazioni alle superfici dei frammenti di S. Colombano sono state condotte a pennello con soluzioni addensate di Agar e Agarosio al 2,5% (peso/volume) in acqua, in via di raffreddamento, ma non ancora gelificate. I tempi di contatto sono stati di 3 minuti, 20 minuti e fino a secchezza del gel; sono state effettuate, in totale, nove applicazioni. Si sono asportati i gel dal supporto e i frammenti trattati sono stati fatti asciugare. Osservazione dei frammenti trattati I frammenti trattati sono stati osservati in luce visibile e Ultravioletta (254 e 365 nm) per individuare l’eventuale presenza di residui superficiali. Le superfici sono state esaminate allo stereomiscroscopio, sia in luce riflessa che in luce radente, per osservarne la morfologia superficiale e verificare la presenza di eventuali tracce di residui dei gel non visibili ad occhio nudo. Estrazione dai supporti e analisi di eventuali residui trattenuti dal supporto Da ogni frammento, trattato con diversa modalità (tipo di gel e tempo di contatto), è stato prelevato un campione avente un’area superficiale di 1 cm2 e un peso di circa mezzo grammo. Sul materiale polverizzato è stata effettuata un’estrazione con acqua deionizzata a 100° C per 30 minuti. Le soluzioni così ottenute sono state filtrate con carta da filtro e portate a secco gradualmente utilizzando un bagnomaria alla temperatura di 90° C.
19. Multipurpose Agarose, distribuito da Tebu-Bio, Via Pretorio 4 - C.P. 70 - 20013 Magenta (MI); Tel. 02 9729 5010; www.tebu-bio.com
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Ogni residuo, dopo omogeneizzazione con mortaio in pietra d’agata, è stato suddiviso in quattro parti di uguale peso. Una parte è stata analizzata mediante spettroscopia infrarossa in Trasformata di Fourier (FTIR), le altre tre frazioni sono state indirizzate all’analisi in gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS) Per le specifiche strumentali e le modalità di preparazione dei campioni indirizzati all’analisi gascromatografica si rimanda all’Appendice II del precedente Quaderno [1]. Su un frammento di S. Colombano non trattato è stata fatta un’analisi di controllo per identificare eventuali materiali organici contenuti nei gessi. Prima con Esano poi con acqua, sono state fatte delle estrazioni a caldo; le soluzioni ottenute, una volta concentrate, si sono analizzate mediante spettroscopia FTIR e GC-MS. Risultati e Discussione Osservazione dei frammenti trattati A livello visivo non si è osservata modificazione morfologica della superficie a seguito dell’applicazione dei gel. Si è osservato che le striature e le irregolarità delle superfici dei gessi trattati si conservano (Figura 24). Le osservazioni in luce UV non evidenziano zone fluorescenti, se non debolmente ai bordi delle aree trattate dei frammenti (Figura 25). Questa leggera fluorescenza può essere dovuta sia ad un residuo secco e superficiale dei gel (di natura fluorescente) che all’azione dell’acqua. Per osservare l’effetto della sola acqua, su un frammento non trattato di S. Colombano, si sono eseguite due prove facendo cadere 2 gocce d’acqua distillata sulla superficie e facendo rotolare delicatamente un tamponcino di cotone intriso d’acqua distillata per 30 secondi. Una volta asciutto, il frammento è stato osservato sotto lampada UV. In entrambe le zone trattate con l’acqua, si è notato un alone fluorescente (Figura 26). Allo stereomiscoscopio le aree trattate appaiono di colore bianco-giallastro con striature e porosità che appartengono alla naturale conformazione della superficie. Lungo i bordi dei frammenti, talora si possono notare pellicole sottili trasparenti adese o leggermente compenetrate di materiale gelificante (Figura 27). Queste pellicole sono state sollevate e rimosse con bisturi, al microscopio. Le zone di campionamento scelte per ottenere gli estratti sono state quelle centrali, che non presentavano questo problema. Analisi degli estratti acquosi dei supporti trattati Analisi mediante spettroscopia FTIR. Sono state preventivamente analizzate polveri pure dei gel impiegati e in seguito gli estratti secchi ottenuti dai frammenti di S. Colombano trattati. Gli spettri dei tre materiali considerati (Figura 28) presentano un tracciato simile, caratteristico dei materiali polisaccaridici: le bande a 3300 e 2800 cm-1 relative rispettivamente agli stretching dei legami OH, e C-H, il segnale intorno a 1630 cm-1 dovuto alla presenza di acqua intramolecolare e al gruppo C=O, un debole picco a 1370 cm-1 dovuto allo stretching del gruppo C-O e alla deformazione dei legami C-OH e C-H, e le bande a circa 1150 e 1040 cm-1 relative alle deformazioni del gruppo C-O-H. Gli spettri degli estratti indicano la sola presenza di Solfato di Calcio bi-idrato (gesso), dovuto al supporto. A titolo di esempio, in Figura 29 si riporta lo spettro dell’estratto relativo ad un frammento di gesso trattato con gel di Agarosio (Tebu-bio) per 3 minuti, in cui si evincono le bande del gesso. Si nota la banda dei Solfati a 1100 e 1000 cm-1 (stretching e bending del legame S-O), dell’acqua di idratazione a 3500 e 3400 cm-1 e a 1680 e 1620 cm-1 (stretching dei legami OH), e le bande dell’impronta digitale a circa 670 e 600 cm-1. Si è osservato, quindi, che gli spettri degli estratti indicano la sola presenza di Solfato di Calcio bi-idrato e che non mostrano le bande di materiale polisaccaridico, che avrebbe potuto permeare all’interno dei frammenti trattati. Gli spettri IR relativi all’estratto acquoso e in esano dal frammento di S. Colombano non trattato presentano, nel primo caso, i segnali relativi al gesso, e nel secondo caso assenza di segnale.
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Analisi GC-MS. I cromatogrammi ottenuti dai materiali puri (circa 1 mg di ciascun gelificante) presentano il picco del monosaccaride principale costituente i gel: il Galattosio (Figure 30 e 31). Le indagini eseguite sugli estratti relativi alle operazioni condotte sui frammenti mostrano debolissimi segnali del Galattosio, da considerarlo composto in traccia (Figura 32). Per ogni indagine cromatografica si è scelto di utilizzare lo standard interno Sorbitolo, avendo cura di aggiungere, ad ogni campione, tale composto in quantità costante20, per avere un riferimento sia dal punto di vista delle capacità separative della tecnica cromatografica sia per potere disporre di uno strumento in grado di darci la quantità relativa del composto di interesse, il Galattosio. Per conoscere il tenore di Galattosio presente nei campioni, si è calcolato il rapporto dell’area del picco cromatografico del Galattosio rispetto all’area del picco dello standard interno (Sorbitolo), sia per i materiali puri che per gli estratti (per quest’ultimo caso si sono mediati i rapporti derivanti dalle indagini condotte su tre replicati per ciascun campione) (Tabella II).
Tabella II. Rapporto delle aree dei picchi cromatografici del Galattosio Gal e del Sorbitolo SI dei tre materiali puri e degli estratti relativi alle applicazioni effettuate.
Dalla tabella si può notare come il rapporto riferito agli estratti dai frammenti trattati con l’Agar (Fluka) per le applicazioni di 3 e 20 minuti sia comparabile, e che risulti essere di circa 1000 volte inferiore allo stesso rapporto nel materiale puro; tale rapporto aumenta di circa 5 volte per l’applicazione a secchezza. Il rapporto relativo alle applicazioni con Agarosio (Tebu-bio) cresce all’aumentare del tempo di applicazione, e per l’applicazione fino a secchezza risulta essere di un ordine di grandezza maggiore rispetto alle applicazioni di 3 e 20 minuti. Per le applicazioni con l’Agar ad uso alimentare (Tang Freres) l’applicazione di 3 minuti risulta essere quella che rilascia maggior quantità rispetto alle altre applicazioni, nonostante si parli comunque di quantità infinitesime. Questo valore può essere dovuto ad una particolare eterogeneità del campione, ed il comportamento di questo materiale è del tutto paragonabile agli altri due materiali di uso microbiologico. I risultati ottenuti permettono di ritenere che in tutti i casi considerati il gel permeato all’interno dei supporti risulta essere presente in quantità infinitesime. I cromatogrammi relativi all’estratto acquoso e quello in esano dal frammento di S. Colombano non trattato non presentano picchi significativi.
20. 50 ml di soluzione di Sorbitolo 0.01 M.
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Conclusioni La caratterizzazione analitica eseguita preliminarmente, tramite la tecnica GC-MS e la spettroscopia FTIR, sui materiali gelificanti a base di Agarosio utilizzati, ha confermato la loro composizione polisaccaridica con Galattosio come monosaccaride principale. Nelle osservazioni effettuate sui frammenti di S. Colombano, talora si evidenzia la presenza di residui superficiali di gel lungo i bordi delle aree trattate. Questo non sorprende: viste le dimensioni e la forma dei campioni, era inevitabile la formazione di pellicine sui bordi. Inoltre, l’Agar è stato tolto con attenzione solo al centro delle superfici trattate, proprio perché lì si concentrava l’interesse analitico. Le aree centrali, infatti, appaiono prive di residui e inalterate da un punto di vista morfologico. Si ritiene che i bordi dei frammenti siano più soggetti a trattenere materiale gelificante e costituiscano le zone di maggior rilascio di acqua durante l’applicazione dei gel. Nelle applicazioni su sculture in gesso, questo aspetto si minimizza, in quanto si opera sì per piccole zone contigue, ma l’una sovrapposta all’altra. Eventuali pellicole residue sono rimosse con estrema facilità, semplicemente inumidendole o con un leggero sfregamento delle dita. Per quanto riguarda l’altro aspetto, ben più critico, dei residui, quelli eventualmente penetrati nel gesso, le indagini condotte mediante la tecnica GC-MS su tutti i frammenti trattati hanno evidenziato, tramite il monitoraggio del picco di Galattosio, la presenza di gelificante solamente a livello di traccia. La constatazione che non è avvenuta nessuna modificazione morfologica delle superfici e che i residui siano presenti in quantità infinitesime permette di affermare come l’uso di questi materiali gelificanti, sia ad uso microbiologico che alimentare, sia adatto per trattare manufatti in gesso. Bibliografia 1. 1. E. CAMPANI - A. CASOLI - P. CREMONESI - I. SACCANI - E. SIGNORINI. L’uso di Agarosio e Agar per la preparazione di “Gel Rigidi” - Use of Agarose and Agar for preparing “Rigid Gels”, Quaderni del Cesmar7, n. 4, Il Prato, Padova 2007. 2. R.C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione italiana: R.C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato, Padova 2005. 3. AA.VV. I gessi di Antonio Canova nella Gipsoteca di Possagno, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Veneto, Zoppelli Srl,. Dosson (Treviso) 1999. 4. L. D’ALESSANDRO - F. PERSEGATI. Scultura e calchi in gesso (storia, tecnica e conservazione), “L’erma” di Bretschneider, Roma 1987. 5. P. CREMONESI. L’uso dei solventi organici nella pulitura di opere policrome, I Talenti - Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 7, Seconda Edizione, Il Prato, Padova 2004. 6. A. BRUNETTO. L’utilizzo della strumentazione laser per la pulitura delle superfici nei manufatti artistici, I Talenti - Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 8, Seconda Edizione, Il Prato, Padova 2004. 7. T. TURCO. Il Gesso, Ed. Hoepli, Milano 1961. Testi di consultazione generale AA.VV. Sculture, calchi e modelli di Antonio Canova nella gipsoteca di Possagno, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Veneto, Zoppelli Srl. Dosson (Treviso). A cura di G.L. NICOLA. De gypso et Coloribus, Cedit, Torino, 2002. UNA DOLCE ANNOTAZIONE FINALE... Budino alle mandorle 0,5 l di latte di mandorla una stecca di vaniglia o vaniglia in polvere 3 cucchiai di malto di riso 3 cucchiai di Agar 1 pizzico di sale la buccia grattugiata di un limone. Sciogliere sul fuoco l’Agar nel latte di mandorla facendolo bollire. Aggiungere il sale, il malto, la vaniglia e la buccia di limone. Raffreddare in una teglia e poi frullare. Servire nelle coppette decorando con qualche filo di buccia di limone.
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FIGURE | FIGURES
Figura 1. I gessi nel magazzino esterno delle Civiche Raccolte d Arte di San Colombano prima del disallestimento e del loro recupero nel deposito della Galleria d Arte Moderna di Milano. Figure 1. The plaster pieces in the external storage site at the Civiche Raccolte d Arte di San Colombano, before their reorganization and recovery in the deposit of the Galleria d Arte Moderna di Milano.
Figura 2. Il Monumento alle Cinque Giornate di Milano di Giuseppe Grandi, esposto in sala 21, Galleria d Arte Moderna di Milano. La presentazione al pubblico e` un anteprima dell allestimento completo. Figure 2. The Monumento alle Cinque Giornate di Milano by Giuseppe Grandi, exhibited in room 21, Galleria d Arte Moderna di Milano. This presentation to the public was an anticipation of the final, complete arrangement.
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Figura 3. La Ebe di Antonio Canova dopo il primo riordino dei frammenti ad opera dei restauratori. Figure 3. Ebe by Antonio Canova after the first re-ordering of the fragments by the restorers.
Figura 4. La Ebe di Antonio Canova dopo il restauro, esposta nella sala 4, Galleria d Arte Moderna di Milano. Si nota la presenza di cromie diverse sul corpo e sulla veste. Figure 4. Ebe by Antonio Canova after restoration, exhibited in room 4, Galleria d Arte Moderna di Milano. Note the different chromatic appearances present on the body and on the dress.
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Figura 5. Tassello di pulitura della superficie di un frammento in gesso proveniente dal Deposito di San Colombano visto dallo scanner 3D InfiniteFocus, Alicona Figure 5. Cleaning test on the surface of a gypsum fragment from the San Colombano Deposit, seen with the 3D Scanner InfiniteFocus, Alicona
Figura 6. Test di pulitura con Agar a sinistra e tamponi di acqua deionizzata 2 prove , sul frammento di una lastra in gesso Figure 6. Cleaning test with Agar on the left and with deionized water poultices 2 tests , on a fragment of a gypsum plate
Figura 7. Confronto tra la superficie pulita con Agar, risultata integra a sinistra e la parte visibilmente erosa, trattata con tampone di acqua deionizzata a destra Figure 7. Comparison between the surface cleaned with Agar, which resulted intact on the left , and the visibly eroded part treated with deionized water poultice on the right
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Figura 8. Giuseppe Grandi, Incitamento alle barricate. Depositi di sporco insolubili, rimasti dopo la pulitura con il VinavilÂŽ Figure 8. Giuseppe Grandi, Incitamento alle barricate. Deposits of insoluble dirt, remaining after cleaning with VinavilÂŽ
Figura 10. Giuseppe Grandi, Incitamento alle barricate. Eliminazione degli aloni causati dall ossidazione dei ferri interni al braccio, con Agar lasciato fino a secchezza Figure 10. Giuseppe Grandi, Incitamento alle barricate. Elimination of the stains caused by the oxidation of iron pieces inside the arm, using Agar left on until dry
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Figura 9. Stesura dei tre tipi di gel testati, con Agarosio Tebu-Bio , Agar Fluka e Agar Tang Freres , su un frammento di un calco della formella raffigurante Adamo ed Eva dal portale dell Abbazia di Nonantola Figure 9. Application of the three types of gel tested, Agarose Tebu-Bio , Agar Fluka and Agar Tang Freres , on a fragment of the cast of the relief representing Adam and Eve from the portal of the Abbey of Nonantola
Figura 11. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini.Il gel di Agar solidificato raccoglie lo sporco e lascia in evidenza le patinature non omogenee dovute a sostanze residue dei processi di formatura Figure 11. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. The solidified Agar gel attracts the dirt, making evident the non-homogeneous patinas due to the presence of substances residual from the casting process
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Figura 12. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. Dopo la rimozione della pellicola di Agar, rimangono le linee di percolazione dello sporco penetrato nel gesso Figure 12. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. After removal of the Agar film, the lines from percolation of dirt penetrated into the gypsum remain
Figura 13. Giuseppe Grandi, Incitamento alle barricate. Migrazione del materiale di deposito dal piede della scultura al gel di Agar Figure 13. Giuseppe Grandi, Incitamento alle barricate. Migration of deposit material from the foot of the sculpture to the Agar gel
Figura 14. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. Per la trasparenza e l effetto di saturazione dell Agar, sono evidenziati tutti i dettagli specifici dello stato di conservazione Figure 14. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. The transparency and effect of saturation given by Agar have evidenced all the specific details of the state of conservation
Figura 15. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. Steso fluido il gel di Agar aderisce al supporto e mantiene in memoria la forma dopo la rimozione Figure 15. Giovanni Spertini, Giuseppe Mazzini. Applied liquid, the Agar gel adheres to the support and maintains the memory of its shape after removal
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Figura 16. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello sul quale e` stato applicato un film di VinavilÂŽ tinto con Rodamina
Figura 17. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello sul quale e` stato applicato per 3 minuti un gel di Agar al 4% in acqua, tinto con Rodamina
Figure 16. UV photograph of the cross-section of a sample to which a film of VinavilÂŽ tinted with Rhodamin has been applied
Figure 17. UV photograph of a cross-section of a sample on which an Agar gel at 4% in water, tinted with Rhodamin, has been applied for 3 minutes
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Figura 18. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello sul quale e` stato applicato per 20 minuti un gel di Agar al 4% in acqua, tinto con Rodamina
Figura 19. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello sul quale e` stato applicato per 20 minuti un gel di Agar al 2% in acqua, tinto con Rodamina
Figure 18. UV photograph of a cross-section of a sample on which an Agar gel at 4% in water, tinted with Rhodamin, has been applied for 20 minutes
Figura 19. UV photograph of a cross-section of a sample on which an Agar gel at 2% in water, tinted with Rhodamin, has been applied for 20 minutes
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Figura 20. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello bagnato sul quale e` stato applicato per 20 minuti un gel di Agar al 2% in acqua, tinto con Rodamina
Figura 21. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello sul quale e` stato applicato ad essiccamento un gel di Agar al 4% in acqua, tinto con Rodamina
Figure 20. UV photograph of a cross-section of a wet sample on which an Agar gel at 2% in water, tinted with Rhodamin, has been applied for 20 minutes
Figure 21. UV photograph of a cross-section of a sample on which an Agar gel at 4% in water, tinted with Rhodamin, has been left on until dry
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Figura 22. Fotografia a luce Ultravioletta della sezione di un modello sul quale e` stato applicato per 3 minuti acqua supportata da cotone, tinta con Rodamina Figure 22. UV photograph of a cross-section of a sample on which water in a cotton compress, tinted with Rhodamin, has been applied for 3 minutes
Figura 23. Test con strisce reattive per rilevare la presenza di Nitrati e Nitriti nel gel di Agar applicato su un modello contenente sali solubili. Figure 23. Test with strips reactive for the presence of Nitrates and Nitrites in the Agar gel applied to samples containing soluble salts
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Figura 24. Fotografia di un frammento di S. Colombano: sopra, prima della pulitura; sotto, dopo trattamento con gel di Agar Fluka per 3 minuti meta` di sinistra e 20 minuti meta` di destra . Figure 24. Photograph of a S. Colombano fragment: top, before cleaning; bottom, after treatment with Agar gel Fluka for 3 minutes left half and 20 minutes right half
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Figura 25. Frammento di S. Colombano, irradiato con radiazione UV 365 nm , dopo applicazione del gel di Agar Tang Freres fino a secchezza. Si nota una leggera fluorescenza lungo i bordi del frammento. Figure 25. S. Colombano fragment, under UV radiation 365 nm , after application of the Agar gel Tang Freres left on until dry. A slight fluorescence is visible along the edges of the fragment
Figura 26. Aloni fluorescenti, a seguito dell applicazione di sola acqua, sul frammento di controllo di S. Colombano 254 nm . L alone circolare e` dovuto all azione di due gocce d acqua e quello piu` esteso al tamponcino di cotone bagnato con acqua distillata. Figure 26. Fluorescent stains following the application of water alone, on the control S. Colombano fragment 254 nm . The circular halo is due to the action of two drops of water, while the larger one to that of the cotton wet with distilled water
Figura 27. Particolare allo stereomicroscopio 15x del bordo di un frammento di S. Colombano, trattato con gel di Agarosio Tebu-bio fino a secchezza. Tra la zona trattata e non trattata si osserva un residuo superficiale di materiale gelificante. Figure 27. Detail under the stereomicroscope 15x of the edge of a S. Colombano fragment, treated with Agarose Tebu-bio gel left on until dry. Between the treated zone and the part not treated, a surface residue of gelling material may be seen
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Gel rigidi di Agar per il trattamento di pulitura di manufatti in gesso | Use of Rigid Agar Gels for Cleaning Plaster Objects
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Figura 28. Spettri FTIR relativi ai campioni puri di Agar Fluka 1 , Agar Tang Freres 2 e Agarosio Tebu-bio 3 utilizzati nei trattamenti di pulitura dei gessi di S. Colombano. Figure 28. FTIR spectra relative to the pure samples of Agar Fluka 1 , Agar Tang Freres 2 and Agarose Tebu-bio 3 used to clean the S. Colombano plasters.
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Figura 29. Spettro FTIR ottenuto dall estratto relativo al frammento di gesso trattato con gel di Agarosio Tebu-bio per 3 minuti. Si osservano le bande del Solfato di Calcio biidrato bande a 3500, 3400, 1680, 1620, 1100, 670 e 600 cm-1 . Figure 29. FTIR spectrum derived from the extract relative to the gypsum fragment treated with Agarose gel Tebu-bio for 3 minutes. The bands for bi-hydrated Calcium Sulfate are observed bands at 3500, 3400, 1680, 1620, 1100, 670 and 600 cm-1 .
Figura 30. Cromatogramma relativo all Agar Fluka Sor = Sorbitolo standard interno , Gal = Galattosio Figure 30. Chromatogram relative to Agar Fluka Sor = Sorbitol internal standard , Gal = Galactose
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Figura 31. Cromatogramma relativo all Agar Tang Freres Sor=Sorbitolo standard interno , Gal=Galattosio Figure 31. Chromatogram relative to Agar Tang Freres Sor=Sorbitol internal standard , Gal=Galactose
Figura 32. Cromatogramma relativo all estratto del campione prelevato dal frammento con l applicazione di Agarosio Tebu-bio per 3 min Sor=Sorbitolo standard interno , Gal=Galattosio . Figure 32. Chromatogram relative to the extract from the sample taken from the fragment with Agarose application Tebu-bio for 3 min Sor=Sorbitol internal standard , Gal=Galactose .
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USE OF RIGID AGAR GELS FOR CLEANING PLASTER OBJECTS
Translation by Diane Kunzelman
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INTRODUCTION Several of the authors of the present study have previously experimented the use of two polysaccharide polymers, Agarose and Agar, for gelling aqueous solutions, publishing the results in a recent Quaderno [1]. These materials, which are able to form true “rigid gels” characterized by a particularly high degree of water retention, have proven appropriate for cleaning polychrome artworks. These rigid gels were tested applying them to very porous supports (unglazed ceramic plates), examined after treatment with Gas Chromatography coupled with Mass Spectrometry (GC-MS), which revealed no residual polysaccharide material in the samples. These rigid gels are very efficient for supplying surfaces with controlled quantities of humidity, when water is necessary for cleaning operations, or more in general for various types of structural intervention (for example, swelling remains of lining adhesives on the rear of canvases, to favor removal by bland mechanical action). Equally important, Agar gels act as a sort of “molecular sponge”, absorbing from the support any materials dissolved by contact with water. Furthermore, thanks to their very limited adhesive power, there is generally no need for treatment of the surface such as washing after usage. The main limit attributed to Agarose and Agar gels was their intrinsic stiffness, as stated in our previous publication; this in fact restricts their application only to practically flat surfaces. These conclusions stimulated the curiosity of several of the authors, in particular two restorers specialized in three-dimensional objects, terracottas, plaster objects, and marble sculpture. Might a different method for applying Agar be hypothesized, no longer using it in the form of a pre-prepared rigid gel, but rather during the cooling phase when the material is still in a semi-solid state, thus allowing it to be distributed over an irregular surface? The results of initial testing on plaster objects were very promising, to say the least: adequate cleaning appeared to have been achieved, while observation of the treated surface revealed no signs of erosion or other forms of interaction. More complete and objective analysis was necessary, however, to verify eventual diffusion of any of the gel’s components, or presence of residue in the objects after treatment. The previous study of rigid gels demonstrated that no transfer of polysaccharide materials into the very porous test plates had taken place. In the present case, since Agar must be applied while still in a semiliquid state, it was essential to investigate whether greater diffusion of the aqueous material was taking place in the time necessary for gelation to complete on the surface. It was also necessary to verify whether Agar or fragments of its polysaccharides penetrated into the substrate, and whether there was an increase in the adhesive power of the gel on the surface. We therefore decided to proceed with research, forming a work group which united the various persons who had already examined the theoretical aspects or performed practical applications of these materials, all of whom are represented here. Our studies have again achieved positive results, enabling us to “certify” this new system for Agar application. The new methodology permits cleaning plaster objects in an efficient and innovative way, while remaining respectful of the porous nature of the substrates, which are potentially quite sensitive to treatment with water.
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THE GALLERIA D’ARTE MODERNA DI MILANO. ABOUT THE WORKS AND THEIR CONSERVATION SITE. Five years ago, well aware of how easy it is to commit errors certainly no better than negligence itself, the conservator and the restorers involved, with the aid of the staff of museum custodians, undertook a campaign of recuperating more than six hundred sculptures belonging to the Galleria d’Arte Moderna in Milan. Among these were approximately two hundred plaster pieces, abandoned in storage far too many years ago, in sites animated only by the dust deposited by time and the occasional incursion of vandals (Figure 1). The operations included: re-organization and recognition, report writing, transfer of works deposited in external storage sites to the museum, and restoration1 (Figure 2). Consulting was provided in this context by Cesmar7 and the University of Parma, which permitted scientific experimentation to replace the empirical trial-and-error methods used by restorers to determine how to achieve an acceptable level of restoration for each single work. The results of this collaboration are the methods for using Agar proposed here. The poetic nature of the work of art is expressed in the form impressed by the artist on the material; after more than a century, we may also discern sentiments added by the passage of time – another uncontrollable sculptor – and the traces left by the history of its conservation. Any art historian engaged in museum conservation will be involved despite himself in such transformations, when striving to choose the best possible criteria to preserve the collection in its entirety, of course within the limits of the possibility to intervene. It will be his responsibility to promote restoration, in extrema ratio, and to identify the reasons and directions for proceeding to interfere in this way with the material nature of the artworks. Every work conserves inscribed upon it, and is able to communicate to us a personal history of creation and conservation, beginning with its typology. In the case of plasters objects, this implies specific technical characteristics: perhaps the piece has been modelled from the real, or is a phase of production of a work or its rendering in a different material; a copy taken full from the mould, or a hollow cast, or just the thin pouring reproducing the surface; again, it may be a model containing points of reference, or an actual primary work which still conserves the handprints of its creator or the fresh appearance of clay. Traces of all of these variants and many more may be found inscribed on the surfaces: for instance, in still visible lines where the pieces of a multiple cast have been joined, within the points of measurement, in the results of treatments which have altered the color of the finish and may reveal the existence of a replica. The historian in search of possible comparisons must understand what position the single piece occupies in relation to the moment of its restoration, in the series which forms the entire sequence: has it been obtained directly from a clay model, or is it the copy of an antique marble, or something that has given form to a bronze, or a reproduction perhaps cast for teaching purposes? Beneath the material covering the surface, Grandi’s Beethoven appeared blackened due to the presence of altered detaching materials and oils applied when making it into bronze. These products have been removed to recover the surface qualities of the plaster and allow appreciation of the significant and still visible signs of the modelling process. How often, in fact, have such works corresponding to the initial phases of production survived their fatal destiny of sacrifice? Historically significant plasters have been used to cast bronzes without any attention to the integrity of the original models, even sometimes supported by conservation motives (it will be sufficient to cite the case of Boccioni’s Linee e forze di una bottiglia, whose corresponding plaster model was in the Civiche Raccolte d’Arte). In the face of all such possible variables, the problem does not consist so much in how to intervene, but in choosing what surface of the plaster actually corresponds to the work’s true nature. Not all plaster objects, in fact, have to become as white again as their original basic material. Experience has shown that many sculptures are white only prior to restoration: for example, Antonio Canova’s Ebe was no longer white after treatment, although it is still not clear why the pinkish flesh tone which appeared after removal of the white surface material differs from the greyish tonality shading the
1. All restoration has been authorized and supervised by the Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Pavia, Sondrio, Varese.
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drapery. Until we are able to distinguish with certainty whether what we are looking at is a residue of the production process (but why only on the flesh tones?), or an altered patination, we cannot decide whether to interfere with such chromatic differences. We are unable to understand which vision corresponds to the true poetic nature of the artwork (Figures 3 and 4). The plaster casts of the Monumento alle Cinque Giornate by Grandi also appeared darkened, somewhat grey and yellowish. This appeared to be the result of various episodes: dust deposits, materials used to mask reconstruction operations, remains of decayed organic substances used as detaching agents or for re-painting, not according to the artist’s desires but rather to mask restoration. How easy it is today to refer to operations carried out on 19th century works simply as repair work, rewhiting, re-assembly, thus refusing to acknowledge such intervention as actual restoration, so that the eventual removal and cancelling of the results of such operations may be justified to render the works more comprehensible. Caution and respect should be the guidelines for any form of conservation, since we too will be called to answer for our decisions. And it certainly will not be just the application of a superior product, considered more respectful of the surface of the plaster, to ensure our decisions against criticism. Choice of the correct method does not exonerate the curator responsible for restoration from determining the most appropriate level of cleaning among those possible: the one able to conserve the work’s “fingerprints”, those left by the artist, by the techniques themselves, by time. How often is it arduous to distinguish a copy from a model? How often have traces and data been cancelled which should have instead been preserved, since the very profile of the work can disappear together with them, as do the chisel marks or the crossed pencil marks which fix the points of measurement? During the Agar cleaning process a bust of Mazzini revealed a series of such measurement points (see below Figure 14), which were instead invisible on the dry surface. These elements allowed the work to be attributed for the first time with certainty to the sculptor Spertini, on the basis of precisely identical workmanship of a bust of Garibaldi by the same artist conserved in the museum. Besides comparing the various works which form the series to which a plaster belongs, comparisons within the author’s monographic oeuvre will also be useful, as well as with similar and contemporary works. This is facilitated by the wealth of objects stored in Italian museums, where so many works hopefully await the moment for them to be adquately considered. The peculiarity of our museums is in fact the richness of their deposits. Taken all together, the over two hundred plasters in the Galleria d’Arte Moderna represent a complete variety of cases: variations, previously unknown pieces, curiosities, analogies, and grouped together, of works which have had a common destiny. The transforming of time into patina has taken place in these storage rooms, and the surface of the works is the blackboard on which the history of their survival has been written. The value to attribute to such time factors is a further matter for reflection, an indispensable priority for any type of restoration activity. Getting close to the skin of the objects, recovering the surface without restoring it to the nudity of the raw material, to the hypothetical immaculate white of its initial pouring, means identifying the various passages one by one and recognizing their transformed state. The choice of cleaning procedures should be correlated in fact with what one has recognized as pertinent to each single work, and will be basically functional to achieving what is being looked for as opposed to what should be sacrificed. Traditional methods (wet, dry, or detaching), employed for decades to clean plaster sculptures, often do not sufficiently guarantee the inalterability of certain surfaces, or have proved ineffective in the presence of water drips or stains, or for removal of dirt solidified by patinas or residues of the manufacturing process. Works undergoing restoration instead require the possibility to differentiate the approach, which may need to be diverse even for limited areas of a single piece; for this reason we decided to look into materials used on other support typologies (but aren’t many paintings prepared with gesso?), investigating new solutions which would be more respectful of the limits defined for cleaning. Among these, use of Agar, a material already investigated by Cesmar7, proved to be appropriate for our purposes. The restorers’ experience has done the rest: the product has been rendered suitable for use on this type of art object, adaptable to the various levels and irregularities of the sculptural surfaces to treat. The riches of our storage deposits have permitted us to perform cleaning tests not only on samples, but also on fragments of actual plasters, remains of bas-reliefs from a well-known historical art school which had been stored by chance for several decades with the other works. Exposed to the same conditions as
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the sculptures and other fragmentary pieces by important artists, this expendable material presented similar decay and surface deposits as the museum objects, thus offering the opportunity to test the various types of Agar and compare results without problems. Chemical analysis has confirmed the positive results: no traces of the product remain on the artefact after treatment, nor was there any evidence of damage resulting from the action of water which Agar permits to use as a solvent. The integrity of the cleaned surfaces was further verified by means of a 3D scanner, Alicona InfiniteFocus, experimented in the Galleria d’Arte Moderna in Milan in collaboration with the Department of Earth Sciences of the University of Pavia (Figure 5). This group research endeavour, confronting various specializations and with the aid of the various models available, has succeeded in perfecting a product for use on plaster: Agar, as efficient and safe as it is for use on paintings and paper. Naturally nothing can completely ensure against the risk of errors of judgement, erroneous decisions, faulty manipulation of the surface of a sculpture. Any of these are possible when what is lacking is the humility every conservator must have when facing the work of art, observing and tuning one’s ear to it as closely as possible before undertaking any action, any at all. Even when the decision is to do nothing at all.
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THE USE OF AGAR: AN INNOVATIVE CLEANING METHOD WHITE - the constituent material, gypsum Plaster artefacts are certainly among the most difficult lithoid objects to clean. Establishing a suitable method for cleaning this type of artwork is indeed very problematic, open to a very wide choice of possible materials for intervention. Several aspects regarding the cleaning of plaster works should be emphasized, including their chemical-physical nature, and the material transformations which take place during casting. Leaving aside the description of all the various forms of plaster materials, instruments, and work procedures involved, we prefer making several observations on possible methods of intervention. More than the nature of the dirt to remove, it will be the morphology, color, consistency, porosity and hygroscopicity of the object itself which constitute the chief parameters for evaluating intervention. The primary characteristic of the constituent material is its basic white color, which conditions the visual impact and our immediate capacity to recognize it, but which even the slightest dust deposit can alter. It is necessary to understand how to discriminate among intentionally white surfaces, and those which present various colorations, which it may be desirable to conserve as far as possible. This may be the case whether the result of pictorial intervention, or the remains of patinas, or of phases of production (such as substances applied for detaching purposes). Close attention must be paid to the extremely important theme of choosing the point of arrival, how far one should “insist” on going in the attempt to regain a surface free of spots, stains, darkened areas. Maintaining the priority of minimal intervention, it will be fundamental to adopt a work method which avoids exposing the object to pointless traumas, so that it remains legible without cancelling the true image regained. A further critical point is linked to the structural characteristics of the material: its high degree of porosity resulting from evaporation of the water present in the mixture, associated with its scarce mechanical strength. Sculptures and casts are usually made of plaster of Paris or scagliola gesso2, although differences may result from various factors influencing quality. Important among these is the percentage of water used for casting, which may range from a minimum of 65% of the weight of the gypsum in powdered form, to 85% when a more fluid material is desired, more readily adaptable to the mould and easier to work. All the water added, beyond the 25% necessary to transform semi-hydrated Calcium Sulfate into bi-hydrated Calcium Sulfate, is expelled upon hardening. This leaves an intrinsic porosity, which may be quantified in the difference of specific gravity of mineral gypsum in comparison to that of the processed variety3. The more water there is in the mixture, the more empty spaces there will be and the less mechanical strength the plaster will have. Such a highly porous structure is capable of absorbing ambient humidity, together with dust and dirt. The great water permeability of gypsum produces a loss of up to 1/3 of its mechanical properties in the case of saturation. Furthermore, the internal presence of cloth reinforcements, pins, or wooden and iron support elements, whose decay in the presence of humidity may provoke staining on the surface, are a further parameter for quantitative assessment. Consequently, any intervention which entails emission of free liquids without using a poultice may constitute a risk, because the substances will inevitably be absorbed by the very permeable plaster. It is impossible to be sure how much dissolved dirt will remain on the surface and how much will be dispersed instead into the porosity of the material, migrating towards the innermost layers and fixing there irreversibly, forming dark stains which cause the plaster to take on a certain “coloration”. The surface layer is more compact than the internal material, also because of a slight increase in volume and pressure exerted within the mould during casting: it is sensitive to all external influences, from humidity to any touching, and is fragile in response to pressure, rubbing, abrasions4. A final observation regards the three-dimensionality of plaster objects, which are often very large and rich both in jutting elements and negative areas difficult to access, which cause various difficulties during intervention. These structural features induce us to include in the evaluation process the parameter of the
2. Gypsum (CaSO4 • 2H2O) becomes semi-hydrated (CaSO4 • ½H2O ) after heating and grinding. 3. Mechanical strength and porosity are inversely proportional. The specific gravity of natural gypsum is 2.3 Kg/dm3; this becomes about 0.8 Kg/dm3 after hardening. 4. Fragility is the tendency of minerals to break with mechanical action. Hardness is determined by the capacity of a mineral to scratch or be scratched by other minerals and is measured on the Mohs scale, with values increasing from 1 to 10. Gypsum is among the soft minerals which may be scratched by fingernail: its hardness on the Mohs scale is 2.
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extension of the areas to treat. Furthermore, these are often characterized by significant differences between flat planes on which dust has been able to accumulate and parts which have remained more protected. The single piece itself may present different states of conservation, resulting from a production procedure which has entailed uniting separately cast elements, in various layers. BLACK - the state of conservation The conservation of plaster models and casts is the result of the relationship between the “material�, with all of the characteristics associated with quality, type of gypsum, production procedures which themselves include numerous variables such as water quantity and temperature, and human intervention. Plaster works belong to a patrimony which has not always benefited in the past from the necessary attention. Often kept in more or less appropriate sites, the works may be found in a state of conservation which not only reflects the constituent material, but also storage conditions and each single piece’s conservation history. Natural degradation, in fact, counts less than the consequences deriving from underestimating the value of this type of artefact, linked to the fragile nature of the material. The works may be subdivided into those whose decay problems mainly involve the surface, affected by dust and dirt deposits more or less adhered or penetrated into the plaster, and those which are also structurally precarious, either fragmentary or chipped, with lacunae or loss of important elements. In this case we have been concerned mainly with surface deterioration, usually in the form of a darkened appearance, with whiter marks due to abrasions or recent fractures, or noticeable brown spotting, caused by the internal presence of iron pieces which often provoke cracking and disconnections by increasing in volume in the presence of humidity. Any slight, more or less homogeneous coloration due to substances residual from casting must be taken into account. These areas may be considered a reference point for surface intervention, even when not immediately perceptible and visible only in the more protected areas. The surfaces, being in fact what is directly involved in intervention, impose limits to any direct interaction between the plaster and the material used for treatment. Numerous sculptures have undergone operations of restoration in the course of the years, which have modified the layers of dirt, rendering them more tenacious and insoluble. Episodes of repainting, gessoing, filling in of strongly darkened areas are frequently encountered, as well as the presence of dark colorations, sometimes extended to adjacent areas to minimize intervention. These problems are linked to the characteristics of the material to treat, which create obligations in choosing what to do, and impose reflections on the methods used until now. Different cleaning action will be sought for the two main conditions of: - superficial soiling - penetration of dirt inside the material. It is unusual to encounter cases without any penetrated dirt, which may be the consequence of surface treatments such as application of patinas, conservation operations, or accidental causes, resulting in the formation of compounds of greater consistency than that of the plaster itself (for example, Oxalates). Particulate deposits5, when not closely adhered to the material with which they are in contact, are usually not particularly difficult to eliminate. After having removed the less compact deposits with soft brushes, vacuum or low pressure cleaning, it will be sufficient to adhere the remaining dirt to something capable of absorbing it without damaging the surface. It becomes far more difficult to treat cases which require attracting penetrated dirt, or treatment of chromatic alterations with chemical action. Traditional cleaning methods may be divided into the following main categories: wet methods6, separation methods, and laser cleaning. The first are based on the solvent action of water, mixed with other sol5. Generic particulate deposit is composed of inorganic elements (salts and metallic oxides from disaggregated minerals, cementing dusts, carbon compounds...), and organic compounds (hydrocarbons, pollutants, pollen...) which can function as cementing agents and maintain the particles cohesive [2]. 6. Among the substances indicated in literature for dry methods of cleaning are sponges and erasers; for wet methods using support materials and poultices we may cite: 3A (Ethyl Alcohol, Acetone, deionised water), also used singly; DA (Dimethylformamide and Amyl Acetate); DIDAX (Dimethylformamide 35 ml, White Spirit 25 ml, Acetone 20 ml, Xylene 10 ml); ABD (water, Butylamine, Dimethylformamide); water and Ammonia in various percentages; water 70%, Peroxide 130 vol. 20%, Ammonia 10%; chelating substances such as Citric Acid and Trisodium Citrate with controlled pH; Marseilles soap in water solution; Primal AC 33 applied with gauze; wood
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vents or used with soaps and detergents. Intervention consists in applying the solvent with the aid of support materials such as poultices, facing, or organic materials, followed by removal of the dissolved dirt with mechanical action to eliminate residue from the surface. The results, even when cleaning is optimal, tend to leave the surface looking “pasty”, because the action of water weakens the outermost portion of the gypsum, and even the most delicate contact with the compress will provoke slight surface smoothing. The same happens with cleaning done with poultices containing solvents pure or mixed for polarity, or with basic solutions (Figures 6 and 7). The method based on detachment relies on a completely different process. In this case a thermoplastic coating substance is applied by brush, usually a water-dispersed vinyl resin such as Vinavil®7, whose viscosity does not permit penetration into the material while allowing capture of the dirt. The resin is laid down in a series of applications, thus permitting the material to partially solidify. This avoids the formation of deposits in the negative portions of the modelling and slipping from vertical surfaces, making the resulting film as uniform as possible. The coating is then removed as delicately as possible to induce detachment of the soiled matter, identifying the moment of optimal elasticity and cutting the film away in pieces. Any previous interventions will remain evident: inappropriate cleaning which has left marks on the surface, differently colored fills and integration of lacunae, various types of spots penetrated into the plaster, darkened areas of porosity. Separation treatments are not suitable, however, when the plaster suffers from cohesion problems, or when very elaborate workmanship has produced particularly detailed and minute portions of relief. Furthermore, once the particulates have been totally incorporated in the film, the system does not consent any further chemical treatment of stains. It therefore becomes useless and dangerous to repeat the operation, which in any case always entails noticeable risks of interaction with the surface. Further negative factors are the acid pH of the dispersion, and the possible presence of unknown substances in the formula (plasticizers, anti-fermentation, surfactant and dispersion additives, fillers...). We may also cite potential harm to the health of the restorer from inhaling acetic vapours during extensive applications in insufficiently aerated spaces, and also the relative difficulty of application. Laser treatment would require a completely separate discussion, considering the specific nature of the method, the noticeable costs involved, and the need for particularly specialized knowledge, all of which tend to limit diffusion of the technology. We decided to experiment laser8 cleaning, effecting tests on two plaster sculptures heavily darkened by dirt deposits and the results of partial recomposing, together with non-homogeneous remains of a layer of organic material present on the surface of both. The areas treated by laser appeared clean, but also with a significantly yellowish chromatic alteration. This confirmed the frequently encountered problem of yellowing when using laser on stone objects, together with a consolidation effect produced on the cleaned test area. Furthermore, it must be observed that difficultly with handling the laser equipment and the time needed for the dirt to sublimate, exclude this method from being an ideal solution for use on large scale models whose dynamic shapes are rich in negative parts.
paste humidified with deionised water, mixed with Formamide and Carboxymethylcellulose; Vinavil NPC®, rubber latex, for the detaching (strappo) technique [3, 4]. It may be noted that this list unfortunately contains numerous solvents particularly problematic both for the health of the user and safety in the work site because of their high level of toxicity, and for the structural integrity of the artefact to treat, because of their low degree of volatility, strong penetrating capacity into porous materials, and sometimes their acid or alkaline nature. [5] 7 .VINAVIL S.p.A., Via Valtellina, 63 - 20159 Milano, Tel. +39 02 695541, www.vinavil.it 8 The laser used was an ART LIGHT LASER II Lambda model equipped with fibre optics (laser type Nd:YAG, 1064 nm). Both the Q-SWITCH mode and the NORMAL MODE (see catalogue of CTS 2006 pg. 249 - 250) were tested on the plaster sculptures. We would like to thank C.T.S. S.r.l. Filiale di Milano, Via A.F. Stella n. 5 20125 Milano, Tel. +39 02 67493225, www.ctseurope.com, for supplying the equipment.
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Criteria for evaluating the experimental procedure The need to identify an innovative method was mainly the result of having recognized the limits of traditional methods for restoring several of the works9. The state of conservation of several plasters was particularly problematic: various past interventions had rendered the darkened appearance of the surfaces practically irreversible (Figure 8). Our aim was to identify a method capable of producing cleaning results similar to those attainable with separation methods, but more delicate, easier to user, and with more rapid drying times. However, the system ought to also have the property typical of wet methods, of dissolving grime by means of a controlled release of water, but without the necessity to intervene in any way on the surface to remove either the dirt or the substances used for cleaning. A theoretical answer to the search for such an efficient cleaning method was found in the polysaccharide materials based on Agarose, capable of forming rigid gels. These are also valid systems for humidification when rigorous control of the quantity of water is required. The opportunity to continue the study begun by Cesmar7 on paintings, to seek appropriate ways to apply the method to plaster artefacts by means of a completely different approach, designed for their three-dimensionality, was a prime stimulus to experimentation. Well aware of this method’s aims, we began experimentation with assessment of the results of analytical testing, performed by the Department of General and Inorganic Chemistry, Analytical Chemistry, Physical Chemistry of the University of Parma, in collaboration with colleagues from other restoration fields10. Testing was initiated on generic samples of plaster, then continued on “expendable” materials, after which it was possible, on the basis of years of experience working on plaster objects, to elaborate a procedure suitable for actual cases. Criteria for judging the suitability of the method in relation to the material, and at the same time analytical studies aimed at monitoring the safety of the treatment, were based on control of the following: 1. supply and release of water 2. penetration 3. cleaning efficiency 4. integrity of the surfaces 5. chromatic alteration 6. presence of residue Having obtained positive responses for each of these parameters, it was next necessary to elaborate a system for application, taking into account such significant variables as the time required and the cost of the materials, in order to make a complete, overall evaluation of the technique. Perfecting the methodology A detailed description of Agar and its properties may be found in the previous publication, with its relative bibliography [1]. We will simply mention here that Agar is a polysaccharide composed of Agarose, a linear polymer based on Galactose, and Agaropectine, a fraction composed of similar polysaccharides but also containing Sulfate, Piruvate, and Methyl groups. Low concentrations of Agar in water form thermo-reversible gels: by heating the dispersion to 80-90° C and then cooling it below gelation temperature (30-50° C, depending on the type), specific associations of the polymeric chains reticulate to form a system capable of trapping enormous quantities of water, which the gel can subsequently release (phenomenon known as synerisis). The elastic colloid retains the shape of the container in which it forms, therefore gaining the definition of a “rigid gel”. The macromolecular reticule contains regularly shaped cavities, sizable enough to permit diffusion of relatively large molecules. Agarose gels better than Agar, but also releases a greater amount of water, and forms a scarcely elastic film which is more difficult to remove.
9. The restoration of the plaster models by Giuseppe Grandi and the various sculptures in the Galleria d’Arte Moderna in Milan, on which the practical application of Agar was started, were carried out by ACONERRE srl, Arte Conservazione Restauro di Marilena Anzani e Alfiero Rabbolini. 10. Tests were carried out with the restorers Marco Cagna, who experimented the use of Agar gel for cleaning frescoes, and Davide Riggiardi for canvas paintings.
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Our choice focused on a kind of Agar used as a food additive11, whose behavior during practical applications proved similar to the purer types, available only from suppliers of chemical and biological products. We therefore preferred this readily available and less expensive type, especially since it was to be used for cleaning large plasters with noticeable concentrations of dirt. Analysis confirmed that its composition was identical to the varieties defined as “laboratory reagent grade”, and that it behaved in the same way as far as residue was concerned. Preparation A determined quantity of deionized water is placed in a graduated beaker (ex. 1 litre), adding the quantity of powdered Agar needed to obtain the desired density, followed by accurate mixing. After numerous trials, good results have been validated for weight/volume concentrations of powder in deionized water ranging between 2.5% and 5%, according to the required water retention or release and penetration into the substrate. Lower percentages produced an overly fluid gel which released a greater quantity of water, while at very high concentrations the gel appeared too stiff and more difficult to apply. The mixture is poured into a lidded plastic container without being sealed, then is brought to boiling in a normal microwave oven, taking care that too rapid heating does not make the solution boil over as it forms, mixing occasionally. About 10 minutes will be needed to produce 1 kg of gel, although this may vary depending on the quantity of material and temperature. The substance is then removed from the oven and left to cool to room temperature, until gelation takes place. Best results are obtained re-dissolving the gel after the initial solidification; this partially modifies it, since the second heating, more rapid than the first needed to transform the powder into gel, renders it more homogeneous and with better water retention. Melting the gel again more than once will produce no further variations. Heating time does not influence the results, although it will be necessary to replace the quantity of water evaporated from the mixture. All in all, prepration times are brief. It is advisable to avoid lengthy conservation of the Agar gels, using them immediately after preparation: Agarose and Agar, while stable in the dry powdered form, bio-deteriorate when gelled, because of their high water content, and because it is practically impossible to maintain sterile conditions when working on art objects. Modes of application The principle innovation in comparison to previous experiments with rigid gels consists in the modes of application, which take place in the fluid phase so that the gel mass may adhere to the sculptural volumes. In this case, attention must be turned to the difference between the gelation temperature (38°) and that necessary for work, about 45° in order to have a substance which has not yet solidified12. It is best to maintain temperature constant, conserving the gel in a thermos to slow down the cooling speed. As far as the practical application is concerned, the semi-solid solution may be spread over the surface with a flat brush, covering the areas to clean uniformly and working as long as the substance remains fluid (Figure 9). The relatively moderate gelation speed of the layer being brushed on permits the sculpture to be turned around during application. This will help to achieve a single uniform layer free of joint lines or superimposed levels. The procedure is quite similar to that adopted for vinyl resins, but the density of the gel makes it even simpler and faster.
11. Agar-Agar Powder (Food additive) produced in Thailand, imported by Tang Freres S.A, 48 Avenue d’Ivry 75013 Paris, purchased from an international importer. 12. Solubility of gypsum in water varies from 0.241% at 0° C, with a tendency to increase up to about 36/38° C when it reaches a maximum of 0.25 %, which subsequently diminishes as temperature increases, becoming 0.222% at 100° C. T. Turco Il gesso [7].
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Application times We may describe cleaning with Agar gel as the action of a porous, slightly adhesive gelling substance with neutral pH, capable of extracting dirt from such a highly hygroscopic and permeable material as plaster, while completing its own physical process of transformation from a fluid to a solid. The reticulation of the molecular chains during Agar gelation has been explained in the previous publication. The action of the reticulating gel is that of attracting into it the substances dissolved on the surface of the materials to which it has been applied. It is not easy to realize exactly how this works: we may hypothesize processes of gradients of concentration, as well as osmosis (between the two solutions in contact: the first being the layer of gel applied, and the second the plaster itself once the water has been dispersed), and migration of ion compounds. Whatever the actual mechanism, the impression is substantially that of migration of the deposited material directly during application of the gel; consequently the time necessary for the cleaning action to take place is related to gelation time, proportionate to the thickness of the layer brushed on and the dimensions of the area of intervention. The exchange action between the two materials, plaster and gel, initiates practically from the moment in which the gel is laid down, with a first strong attraction of the dirt towards the thickener, followed after gelification by the slow release of water into the plaster. For this reason, if cleaning is aimed only at the layer lying on the surface, it will be sufficient to remove the film immediately after cooling. After only 3 minutes, repeated testing showed that the plaster appeared clean with only a minimum release of water into the material. When there is a need for eliminating stains penetrated into the plaster, or salts, which as already seen can pass through the gel layer and deposit beneath it during the operation, it may be useful to leave the gel on until it dries totally (Figure 10). The operation can be repeated locally, on non-homogeneous surfaces with areas of particularly consistent deposits. This constitutes a method for cleaning by layers, starting from the outermost superficial one which incorporates the substances present on the plaster, and permits choosing the level to achieve (Figure 11). Removal The Agar film which forms on the surface is easily removable (Figure 12). Its characteristic transparency and softness, associated with a high degree of elasticity, make taking the film off quite simple. Eventual residues which may remain near the margins of the areas treated will detach spontaneously after drying. After evaporation, in fact, the film tends to separate naturally from the support. The surface freed from the gel has suffered no manipulation, and totally conserves any minimum traces of workmanship and blade marks left by the scraper. Sensorial verification of results The main reasons for preferring Agar for cleaning plaster sculptures derived primarily from observation of the results. Prior to these experiments, we relied on the detaching action achieved by the vinyl-based coatings, successful in eliminating surface deposits, even those well adhered to the surface, but unable to remove the more resistant portion penetrated into the material structure of the plaster. Agar is instead able to attract internal soiling, which tends to migrate towards the surface, and is partially absorbed and incoporated into the gel, and in part forms a thin film of incohesive deposit on the inner face of the gel in contact with the surface (Figure 13). This different degree of absorption appears to be related to the porosity of the material treated: the more porous the object, the more exchange there will be between the two substances; on less sensitive materials such as marble13, there will be more surface deposit. Operations may be repeated until reaching the desired results, with the possibility of selecting the areas to re-treat, either because stained, or presenting lines of water percolation resulting from use of wet methods of intervention. The possibility to use even the smallest of brushes is an aid for precise application. The sensation was that of a surface left perfectly intact, whose most minute details and patinas were all preserved, and without color variations or saturation. The tests done by laser had instead altered the sur-
13. Use of Agar has proved to be an excellent method for use on all the stone-based materials, acting as a water poultice in contact with the surface.
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face chromatically due to the presence of organic substances; Agar gel solved this problem. No modifications of the plaster “skin” took place, having avoided any rubbing by contact in the presence of water. An hypothetical variation might be a certain consolidating effect when the material shows problems of cohesion. Similarly to the other products which induce separation, extreme care must be taken when treating materials lacking in cohesion, or when traces of fragments of the casting mould are found, as is often the case in the negative parts of the modelling. Such remains may be entrapped in the film and detached by it. Awareness of such problems prompted us to carry out tests on several samples for the eventual possibility of consolidating the plaster before cleaning, through local treatment with Cyclododecane. This sort of impregnation did not interfere with the cleaning process, although futher studies are necessary, for example to verify the time necessary for sublimation. Haloes and fluorescence, visible on the plaster surfaces as on our samples with UV examination after cleaning, tended to follow the marks left by the casting process, which reproduce the movements of the plaster as it is poured into the mould. This may be attributed to the sensitivity of gypsum to water rather than to residues of gel in the material; this has also been confirmed analytically, by simply testing with water. The visual analysis of the samples, specially prepared to monitor the various experiments (see below), indicated that a minimum quantity of water was released into the plaster. These subjective observations needed to be more generalized, however, including real cases on which we began practical experimentation with the greatest of caution. We tested several plaster casts of anatomical elements, measuring the quantity of water absorbed during cleaning. The difference in weight before intervention, at the moment of gel application, after its removal, and after complete drying, gave similar results for all specimens examined. For example, in the case of 300 grams of Agar at 4% in deionized water applied over the entire surface of a life-sized plaster foot, left for about 10 minutes and then removed after gelling, the plaster had increased only 20 grams, an increase of 2% of the total weight, precisely from 1015 to 1035 grams. In normal working conditions, without the optimal conditions required for replicable testing, it has been seen that an acceptable level of cleaning may be achieved with quite a limited amount of water. Visual control of Giuseppe Grandi’s large models for the “Monumento alle Cinque Giornate”, after more than a year from their restoration in the spring of 2007, confirmed the state of conservation: cleaning had produced no visible transformations, nor yellow staining as frequently appear after various other types of intervention. Observations on the treatment method and future developments Agar may be considered a substance capable of shaping itself perfectly to three-dimensional forms. It produces detachment/absorption action on particulate deposits, does not leave residue, leaves open the possibility to repeat the operation, and does not modify the surface of the support. It is better able than any other traditional material used until now to achieve successful, controlled, in-depth cleaning. When first brushed on, Agar gel produces a temporary effect of saturation which helps to evidence the state of conservation, by visualizing every detail of the specific conditions of each individual sculpture (Figures 14 and 15). When efficient removal of certain deposits is impossible relying only on the solvent action of water, we may hypothesize forming rigid Agar gels with ingredients aimed at specific types of action: addition of chelating agents, in particular for dissolving otherwise scarsely soluble salts; or surfactants to emulsify eventual oily, greasy, or water repellent grime components. Moreover, rigid gels with acid or alkaline pH, obtained just by incorporating adequate buffering substances in the aqueous vehicle, may be suitable for removal of specific materials (of course, only when such pH values are not risky for the plaster itself, or for eventual surface “finishes”, etc.). Obviously, further reflections and safety precautions must be taken to assure the integrity of an artefact when operating with additives which turn a simple water gel into a gelled aqueous solution. For example, just taking into account certain chemical-physical quantities, such as the Solubility Product of gypsum and the Formation Constants of chelates using Citrate, we might be able to define as “safe” the action of Citrates on plaster. Meaning by this that the chelating action would not be directed towards the Calcium ions of the gypsum itself. Of course, this means restricting the solutions only to moderate concentrations of chelating agents (less than 1% in weight), and above all whose pH values are as neutral as possible. In any case, further analytic verification is necessary before proposing such methods for actual use, and we are only presenting them here as an eventual possibility to take into consideration. The numerous variables induced us to conduct research experiments by adding various substances to the
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gel, and adopting different application techniques. For example, we experimented layering the thickener, each layer having a different composition: the first layer in contact with the plaster simply deionized water gelled with Agar, a second layer containing a buffered chelating solution. The aim was to demonstrate the versatility and great potentiality of the method, to be verified on the basis of the requirements of each specific case. Although the amount of water that may be used on stone-based materials is generally unlimited, ranging according to the method adopted from immersion to vapor, the excellent results obtained on plaster objects with our cleaning system prompted us to also try it on marble. Agar acts as a water reserve when used on this type of material, forming a layer capable of adhering perfectly to the surface of the sculpture; left in contact for a brief length of time, it helps to extract the dirt and deposit it on the surface, in a form loose enough to permit removal by gentle washing with deionized water. Conclusions The positive observations emerging from this study, result of over a year of experimentation and testing on real cases, should not lead to the conviction that what has been achieved, and even more so, that the methods of application may be generalized without previous critical assessment: as for any cleaning operation, treatment with Agar modifies the conditions of the artwork in an irreversible way, removing substances from the surface which have obviously contributed in some way to form the history of the object. This makes it imperative that any action be the consequence of a process of careful observation, awareness of what to remove, attention to every detail, and only at this point choice of the method for intervention. We believe that the use of Agar may be considered fundamental and resolutive in a wide range of situations, but rather than just proposing it as an alternative or complementary to traditional methods, we invite you to continue our work and advance with research on the use of these materials, which are proving to be ever less invasive of the works of art and safer for restorers. This follows the idea of attributing value to individual sensitivity, in relation to each specific intervention, but at the same time always according fundamental importance to a mutual exchange of knowledge.
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EXPERIMENTATION ON GYPSUM MODELS Aims Experimentation was carried out on artificially made gypsum models, parallel to the study also done on casts and copies made by the students of the Castello Sforzesco Art School, conserved in the Galleria d’Arte Moderna in Milan. This was done in consideration of the need to: - investigate the different diffusion and quantity of water introduced into the gypsum material, according to the various methods for applying Agar; - compare use of Agar with that of a vinyl-based resin in an aqueous solution (Vinavil®), and with water applied using a cotton compress; - verify the capacity of Agar to extract soluble salts. Research Experimentation with Agar was initially empirical, done preparing supports to determine the level of cleaning achieved in various situations, the eventual extraction of pigments or dyes present within the gypsum, and alterations of chromatic appearance. Following these first results, we proceeded to a second level of experimentation by casting a series of homogeneous, therefore comparable, models. This aimed at acquiring certain numerical reference values for comparing the various methods of application. Research conducted on models was aimed at experimenting with easily reproducible samples, on which the characteristics and properties of Agar, as well as the various uses and application methods could be tested and verified. The experimental validity of the models derived from their homogeneity and from the possibility to effect comparable destructive tests, necessary to measure the penetration of water into the gypsum. We were quite aware in any case that the validity of the gypsum models, which consisted in their being serial-produced and homogeneous, would be purely demonstrative, and not directly related to real objects. In comparison with the sculptures on which Agar gels were applied for cleaning, for example, we must note that these models lack the surface layer of “dirt”, which acts as an interface between gel and gypsum. A general consideration may be made: in reality such models may be utilized only after being experimentally validated, which permits understanding the limits for application and defects. Since these models were not expected to be totally analogous to original artefacts, their validation consisted essentially in verifying that they constituted a porous gypsum support, were uniform, and with surface characteristics not too different from those of the objects themselves. Several favourable indications have already emerged from the preliminary work described below; although this should still be considered work in progress in relation to full achievement of our objectives. Preparation of the models The models were made pouring scagliola gypsum into teflon-coated metal moulds. 12 identical samples of the same consistency were obtained from each pouring, thus allowing mini-series of comparable tests to be done. Each sample weighed about 80 grams, and had the shape of a truncated cone; the lower base, five centimeters in diameter, was the surface on which testing was performed. For testing extraction of soluble salts, Sodium Nitrate and Sodium Nitrite were mixed with the water before adding powdered gypsum, each salt in a quantity of 1% in weight in proportion to the gypsum. A month after having prepared these models, experiments were begun on the surface by laying down the Agar gel at different concentrations, and varying application times. Observation with the stereomicroscope after treatment revealed that all of the surfaces showed evident signs of erosion. If testing had been limited only to working with the gypsum models, experimentation with Agar would probably have been interrupted at this point. Fortunately, we received a totally opposite response – that Agar is extremely respectful of the surfaces treated – from the restorers who had carried out the preliminary cleaning tests on the gypsum sculptures; this induced us to hypothesize that the problem wasn’t so much with the Agar poultice, but rather with the models, which probably contained too much of the water used for casting. We therefore waited six months, leaving the samples exposed to an environment with RH between 50 and 60% and temperature varying between 18 and 25° C. After this period of “weathering”, the earlier tests were repeated, resulting in the determination of the maintaining of the models’ complete structural stability. This observation is of fundamental importance if considered within
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the context described above, of the procedure for experimental validation: in reality, these models satisfied the requirements of sufficient cohesion, allowing them to be used successfully for the subsequent water diffusion tests. Products studied Testing was carried out using original formula Vinavil®14, and Agar15 prepared as formerly described, with two heating/cooling cycles in order to obtain a transparent and homogeneous gel. Vinavil® was applied to the surface by brush and removed at the moment of greatest elasticity. The Agar gel, prepared at 2% and 4% in deionized water, was brushed onto the surface at the moment in which it began to become viscous as it gelled from the fluid state. The experiments foresaw removing the Agar after 3 minutes, after 20 minutes, and after letting it dry out. Diffusion tests were also carried out on models held immersed in water for 48 hours. The water soaked cotton compress was kept on the surface for 3 minutes. Diffusion To observe diffusion, simple water, the Agar gels, and the vinyl dispersion were marked with a watersoluble fluorescent coloring agent, Rhodamin B16. This type of analysis cannot be used directly on artistic materials: besides coloring the gypsum, it requires sectioning the plaster sample to be able to analyze it under Ultraviolet light, to establish where and how much water has diffused into the support. Observation of the tests effected shows that Rhodamin B has been successful in marking water diffusion. The results are visually clear and immediate, without risk of chromatic interference. However it has been noted that the coloring agent in its aqueous vehicle sometimes migrates into the porosity of the gypsum during the drying phase, without registering the maximum level of diffusion; we are certain in any case that the water has penetrated at least up to the point where coloration is detectable. Vinavil® demonstrates very low water penetration (Figure 16). This film-producing product has a water content equal to 50% of its weight. Furthermore, among the various additives present in it, which the manufacturer tends not to communicate because they are just what characterizes the commercial formula, there are certainly surfactants added to stabilize the dispersion. These, thanks to their action on the surface tension of the water vehicle, contribute to limiting internal diffusion. Agar gel at 4% in deionized water shows diffusion marking of about one millimetre after a 3 minute application, which increases slightly up to about two millimetres after 20 minutes (Figures 17 and 18), while a 2% Agar gel in water after 20 minutes reaches a depth of 4 millimetres (Figure 19). The same propagation is obtained on the sample which remained immersed in water for 72 hours, using the same 2% Agar gel again for 20 minutes (Figure 20). This test was carried out to control the behaviour of already impregnated gypsum, a situation which may sometimes be encountered when treating actual works. The 4% Agar gels, left on the surface until dry, marked the gypsum up to a depth of 7-8 millimetres (Figure 21). For the purpose of comparison, a thin layer of cotton soaked in water was left in contact with the surface for only 3 minutes, resulting in coloration of a 5-6 millimetre layer of gypsum (Figure 22). Release of water To measure the quantity of water released by the Agar gel laid down on the samples, amounting to a quantity which varied between 2.1 and 2.9 grams (differences depending only on the laying down of the gel on the models), the samples were weighed on a 4-decimal scale17 before and after gel application of 14. Vinavil NPC Stella Bianca®, produced by VINAVIL S.p.A., Via Valtellina, 63 - 20159 Milan, Tel. +39 02 695541, www.vinavil.it, distribuited by UHU BISON S.p.A., Via Pirelli, 19 - 20124 Milan, tel. 02 677508, www.bostik.it 15. Agar Fluka 05040, distributed by Sigma-Aldrich, s.r.l., Via Gallarate, 154 - 20151 Milan; tel. 02 33417 310; www.sigma-aldrich.com. 16. Rhodamin B, Kremer Pigmente GmbH & Co. KG, Hauptstr. 41-47, DE 88317 Aichstetten, Germany; tel. +49 75 65 911 20; www.kremer-pigmente.de 17. We would like to thank Dr. Maria Pia Riccardi, Associate Professor at the Laboratorio di Scienza dei Materiali Antichi, Dipartimento Scienze della Terra, Università degli Studi di Pavia, for having made the equipment available.
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3 minutes, 20 minutes, and 4 hours. The quantity of water transferred from the gels to the gypsum models, expressed as percentages in comparison to the quantity of water contained in the gels, were: 18.7% after 3 minutes, 65.6% after 20 minutes, and 53.6% after 4 hours. The longest application time determines a lesser amount of water in comparison to the 20 minute application, because evaporation is already taking place. More weighing was done at regular intervals after removal of the gel, for the specific purpose of evaluating how long the water penetrated into the samples took to evaporate. Evaporation times and the relative quantities of residual water (again expressed as percentages in relation to the water present in the gel from the start) are shown in Table I, and represented in Graph 1.
Table I. Determination of the percentage of residual water in the samples, at pre-established time intervals.
Graph 1. Percentage of residual water in the gypsum samples, released by the Agar gel after different application times.
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We would like to point out once more that the data provided are to be considered preliminary: for a correct validation of the models, the data should be expressed more precisely as the percentages of water which has migrated, or has been absorbed, per unit of treated surface. Soluble salts This test entailed mixing salts readily soluble in water with the gypsum, to verify whether it is possible to extract them using aqueous Agar poultices. The still damp gels (3 and 20 minutes) were placed in contact with strips reactive for ion detection18. Gel applied until drying was re-hydrated by means of nebulizing deionized water. All the gels analysed revealed a consistent presence of Nitrates and Nitrites (Figure 23). This preliminary test showed that Agar is able to absorb water-soluble substances contained in the substrate to which it has been applied, confirming the potential use of Agar gel not only for surface cleaning, but also to extract soluble salts. Conclusions Only through proceeding in a parallel way with trials on real cases and verification on models and casts has it been possible to determine and test out the actual characteristics of Agar gel, to establish specific applications which may be used to intervene on plaster objects. Beyond experimentation, in real situations the variables will increase: the morphological characteristics of the supports and their conservation history, environmental temperature and humidity, heat of the gel when applied, the presence or not of substances on the plaster surface, just to give a few examples. These are all elements which may make difficult both the formulation of an ideal recipe and direct comparison of data. Such comparison may be possible only with the replicable models, which are able to offer important comparable data themselves, but because of the degree of the models’ abstraction, may not be assimilated with values gathered for historical museum plaster pieces. It will be sufficient to take into consideration that the amount of water diffused in the restored plasters, measured by weighing the casts, was lesser than that which wet the samples. These first results have demonstrated that Agar gels may constitute a valid alternative to other methods for providing water release, with the possibility of varying density and times of application according to the characteristics of the support and the different possible uses. For the samples, the best results which entailed a minimum addition of water, and the least diffusion inside the material were obtained with the shortest application times (which during practical applications have often resulted sufficient to achieve satisfactory levels of cleaning), with an Agar concentration around 4% in weight. In the case of extraction of soluble salts, instead, the greater diffusion provided by longer application times allows acting more in depth.
18. Test strip Merckoquant, produced by Merck KGaA, Frankfurter Str. 250, 64293 Darmstadt, Germany; Tel. +49 6151 72 0; www.merck.de; Italian branch : Merck SpA, Via G. Stephenson, 94 20157 – Milan; Tel. +39 02 332035 1; ww.merck-chemicals.com
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ANALYTICAL TESTING Aim of the study For the purpose of studying the effects of cleaning by means of polysaccharide materials based on Agarose, a series of tests were performed to determine whether any residues of these substances were retained by the plaster supports. Our study was carried out on fragments of plaster bas-reliefs, conserved for several decades in a depository, San Colombano, named for the location of the school housing the storage site, external to the Milanese museums. The objects in question will be called now the “S. Colombano fragments”. These plasters, coming from the School of Applied Arts in the Castello Sforzesco in Milan, likely date from the early 20th century. Despite the fact that they are school exercise pieces, their technical characteristics and conservation history make them comparable to the sculptures conserved in the same site. We choose two types of Agar and one of Agarose of different provenance for testing. Special attention was turned to comparing these gelling materials, in terms of method and application times. The analytical procedure was as follows: - Application of Agar and Agarose gels on the plaster fragments - Observation in visible and Ultraviolet light - Observation under the stereomicroscope in reflected and raking light - Aqueous extraction of eventual gel constituent materials from the fragments tested - Analyses of the extracts by Fourier Transform Infrared Spectroscopy (FTIR) and Gas Chromatography coupled with Mass Spectrometry (GC-MS). Procedure Application of Agar and Agarose gels The two types of Agar described above, Fluka laboratory grade and food additive Agar, were used for gelling, as well as a very high grade pure Agarose19 for the purpose of comparison. The materials were applied by brush to the surfaces of the S. Colombano fragments, in thickened solutions of Agar and Agarose at 2.5% (weight/volume) in water, in the course of cooling but before gelation. Contact times were 3 minutes, 20 minutes, and until drying out of the gel, for a total of nine applications. The gels were removed from the support and the treated fragments dried. Observation of the treated fragments The treated fragments were observed in visible and Ultraviolet light (254 and 365 nm) to detect the eventual presence of surface residue. The surfaces were examined under the stereomicroscope, in reflected and raking light, to observe the surface morphology and verify the presence of eventual traces of gel residue invisible to the naked eye. Extraction from the supports and analysis of eventual residues retained by the support A sample was taken from each fragment treated in a different way (type of gel and contact time); each sample had a surface area of 1 cm2 and weighed about half a gram. Extraction from the powdered material was performed with deionized water at 100° C for 30 minutes. The solutions obtained were filtered through paper filters and gradually dried out in a double boiler at a temperature of 90° C. Each residue was homogenized in a pestle with an agate stone and then divided into four parts equal in weight. One part was analyzed with Fourier Transformed Infrared Spectroscopy (FTIR), while the other three fractions were analyzed with Gas Chromatography-Mass Spectroscopy (GC-MS). For instrumentation specifics and methods of sample preparation for GC-MS analysis, see Appendix II in the former Quaderno [1].
19. Multipurpose Agarose, distributed by Tebu-Bio, Via Pretorio 4 - C.P. 70 - 20013 Magenta (MI); Tel. 02 9729 5010; www.tebu-bio.com
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One untreated S. Colombano fragment was control tested to identify any organic materials eventually contained in the plaster. Hot extractions were carried out, first with Hexane and then with water; the solutions obtained, once concentrated, were analyzed with FTIR spectroscopy and GC-MS. Results and Discussion Observation of the fragments treated From a visual point of view, no morphologic modifications were evident on the surface after gel application. The marks and irregularities on the surfaces of the plasters had all been conserved (Figure 24). Observation with UV light did not evidence fluorescent zones, except weak areas at the margins of the treated parts of the fragments (Figure 25). This slight fluorescence may be due either to a dry, superficial residue of gel (fluorescent by nature) or to action of the water. To observe the effect of water alone, on a non-treated S. Colombano fragment two tests were carried out, letting 2 drops of distilled water drip on the surface, and gently rotating a cotton swab soaked in distilled water for 30 seconds. Once dry, the fragment was observed with the UV lamp. In both areas treated with water, a slight fluorescent halo was observed (Figure 26). The areas treated appeared under the stereomicroscope of a yellowish white color, with streaks and porosity belonging to the natural surface conformation. Along the edges of the fragments, thin, transparent films of gelling material, adhered or slightly penetrated, were sometimes observed (Figure 27). These films were lifted and taken off with a surgical blade under the microscope. The areas sampled for extraction were central, free of this type of problem. Analysis of the aqueous extracts obtained from the treated supports FTIR spectroscopy analysis. Pure powders of the gels used were first analyzed, followed by testing of dry extracts obtained from the S. Colombano fragments. The spectra of the three materials taken into consideration (Figure 28) present similar curves characteristic of polysaccharide materials: the bands at 3300 and 2800 cm-1 related respectively to the stretching of the OH, and C-H bonds, the signal around 1630 cm-1 due to the presence of intramolecular water and the C=O group, a weak peak at 1370 cm-1 corresponding to the stretching of the C-O group and to the bending of the C-OH and C-H bonds, and the bands at around 1150 and 1040 cm-1 relative to the bending of the C-O-H group. The spectra of the extracts only indicate the presence of bi-hydrated Calcium Sulphate (gypsum), coming from the support. As an example, Figure 29 shows the spectrum of the extract from a fragment of gypsum treated with Agarose gel (Tebu-bio) for 3 minutes, where the gypsum bands are detectable. Note the band corresponding to Sulphates at 1100 and 1000cm-1 (stretching and bending of the S-O bond), to hydration water at 3500 and 3400 cm-1 and at 1680 and 1620 cm-1 (stretching of the OH bonds), and the fingerprint band at about 670 and 600 cm-1. It may therefore be seen that the spectra of the extracts indicate the sole presence of bi-hydrated Calcium Sulphate, and do not show the bands of polysaccharide material, which might have permeated inside the treated fragments. The IR spectra derived from the aqueous and hexane extracts from the untreated S. Colombano fragment, show in the first case the signals pertaining to gypsum, while in the second case the signals are absent. . GC-MS analysis. The chromatograms obtained from the pure materials (about 1 mg of each gelling material was sufficient) show the peak relative to the main monosaccharide constituting the gels: Galactose (Figures 30 and 31). The tests on the extracts relative to the operations carried out on the fragments show very weak signals for Galactose, to the point where they may be considered traces (Figure 32). We chose to use the internal standard Sorbitol for each chromatographic test, taking care to add a constant amount of this compound to each sample20, in order to have a reference both from the point of view of the separating capacity of the chromatographic technique, and to have a means available for determining the relative quantity of the compound we were interested in, Galactose.
20. 50 ml of Sorbitol solution 0.01 M.
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In order to know the quantity of Galactose present in the samples, we calculated the ratio of the area of the chromatographic peak of Galactose, to the area of the peak corresponding to the internal standard (Sorbitol). This was done both for the pure materials and the extracts (for the latter, the ratios deriving from the tests performed were calculated averaging three repeated tests for each sample). (Table II).
Table II. Ratios of the areas of the chromatographic peaks for Galactose Gal and Sorbitol SI , of the three pure materials and the extracts relative to the applications carried out.
We may see from the Table that the values for the extracts from the fragments treated with Agar (Fluka) with 3 and 20 minute applications are similar, being about 1000 times less than the same value for the pure material; this ratio increases about 5 times for the dried out application. The ratios related to the applications with Agarose (Tebu-bio) increase together with the time of application, and for application until drying are about one time more than the applications of 3 and 20 minutes. For the applications of Agar of the food use variety (Tang Freres), the 3 minute application is the one which releases the most in comparison with the other application times, although we are still speaking of infinitely small quantities. This value may be attributed to a particularly heterogeneous nature of the sample, while the behaviour of this material results totally comparable to the other two materials for micro-biological use. The results obtained permit to affirm that in all cases taken into consideration, the gel permeated into the supports is present in infinitely minute quantities. The chromatograms relative to the water extract and to the one in hexane of the untreated S. Colombano fragment do not present any significant peaks. Conclusions The analytic characterization first carried out, using the GC-MS technique and FTIR spectroscopy, of the gelling materials based on Agarose, confirmed their polysaccharide composition with the principle monosaccharide Galactose. Observation of the S. Colombano fragments sometimes evidenced the presence of superficial residues of gel found along the margins of the areas treated. This is not surprising, given the size and shape of the samples which made the forming of little bits of film at the edges inevitable. Furthermore, Agar was removed carefully only from the central part of the treated surfaces, where analytical testing was to be concentrated. These central areas, in fact, appear free of residue and unaltered morphologically. It is likely that the edges of the fragments were more subject to retaining gelling material and are the areas with the greatest release of water during gel application. This aspect was minimized In the applications on the plaster sculptures, since while operations are carried out on small adjacent areas, these are each superimposed one on the other one. Eventual residual films are extremely easy to remove, simply by slightly humidifying them or with a light rubbing by finger. As far as the other, far more critical aspect is concerned, that of residues penetrated into the plaster, the tests done with GC-MS on all the treated fragments have revealed through checking the Galactose peak that the gelling material is present only in the form of traces. The determination that no morphologic modifications of the surface have taken place and that the residues are only present in infinitely small quantities, permit us to affirm that the use of these gelling materials, whether of the microbiological or food additive type, are suitable for use on plaster artefacts.
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Bibliography 1. 1. E. CAMPANI - A. CASOLI - P. CREMONESI - I. SACCANI - E. SIGNORINI. L’uso di Agarosio e Agar per la preparazione di “Gel Rigidi” - Use of Agarose and Agar for preparing “Rigid Gels”, Quaderni del Cesmar7, n. 4, Il Prato, Padova 2007. 2. R.C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione italiana: R.C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato, Padova 2005. 3. AA.VV. I gessi di Antonio Canova nella Gipsoteca di Possagno, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Veneto, Zoppelli Srl,. Dosson (Treviso) 1999 4. L. D’ALESSANDRO - F. PERSEGATI. Scultura e calchi in gesso (storia, tecnica e conservazione) “L’erma” di Bretschneider, Roma 1987 5. P. CREMONESI. L’uso dei solventi organici nella pulitura di opere policrome, I Talenti - Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 7, Seconda Edizione, Il Prato, Padova 2004. 6. A. BRUNETTO. L’utilizzo della strumentazione laser per la pulitura delle superfici nei manufatti artistici, I Talenti - Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 8, Seconda Edizione, Il Prato, Padova 2004. 7. T. TURCO. Il Gesso, Ed. Hoepli, Milano 1961. General texts AA.VV. Sculture, calchi e modelli di Antonio Canova nella gipsoteca di Possagno, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Veneto, Zoppelli Srl. Dosson (Treviso) A cura di G.L. NICOLA. De gypso et Coloribus, Cedit, Torino, 2002
A LAST SWEET NOTE... Almond pudding 0.5 l almond milk a vanilla stick or powdered vanilla 3 tablespoons of rice malt 3 tablespoons of Agar 1 pinch of salt 1 grated lemon rind. Dissolve the Agar boiling it in the almond milk. Add salt, malt, vanilla, and lemon rind. Cool in a pan and then blend. Serve in cups decorated with pieces of lemon rinds.
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NOTE BIOGRAFICHE Marilena Anzani, laureata in architettura, dal 1977 si occupa del restauro di materiale archeologico e lapideo, nel 1986 ha fondato la società Aconerre Arte Conservazione Restauro. Indirizzo email: aconerre@tiscali.it Michela Berzioli, laureata in Scienze per i Beni Culturali nel 2007 presso l’Università degli Studi di Parma, attualmente è dottoranda in Scienze Chimiche presso la stessa Università. Indirizzo email: michela.berzioli@nemo.unipr.it Marco Cagna, restauratore diplomato presso il centro di formazione professionale ENAIP di Btticino (BS), lavora come libero professionista. È Project Manager del Cesmar7. Indirizzo email: marcocagna@libero.it Elisa Campani, dottore di ricerca in Scienze Chimiche, è titolare di assegno di ricerca nell’ambito della Chimica dell’ambiente e dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Parma. E’ Project Manager del Cesmar7. Indirizzo email: elisa.campani@unipr.it Antonella Casoli, docente di “Chimica dei Beni Culturali” presso l’Università degli Studi di Parma. E’ Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali (Università degli Studi di Parma). E’ membro del Comitato Scientifico del Cesmar7. Indirizzo email: casoli@unipr.it Paolo Cremonesi, chimico con formazione anche nel restauro, lavora come libero professionista. Dal 2000 è Coordinatore Scientifico del Cesmar7. Indirizzo email: plcremon@inwind.it Maria Fratelli, storico dell’arte, è conservatore della Galleria d’Arte Moderna di Milano. E’ membro del Comitato Scientifico del Cesmar7. Indirizzo email: maria.fratelli@comune.milano.it Alfiero Rabbolini, laureato in architettura, dal 1977 si occupa del restauro di materiale archeologico e lapideo, nel 1986 ha fondato la società Aconerre Arte Conservazione Restauro. Indirizzo email: aconerre@tin.it Davide Riggiardi, restauratore diplomato presso il centro di formazione professionale ENAIP di Botticino (BS), si è specializzato in restauro dell’arte contemporanea e lavora come libero professionista. È membro del Consiglio Direttivo del Cesmar7. Indirizzo email: davide@riggiardi.it
BIOGRAPHIES Marilena Anzani, degree in architecture, since 1977 restorer of archaeological and stone materials, founder in 1986 of the company Aconerre Arte Conservazione Restauro. Email: aconerre@tiscali.it Michela Berzioli, degree in Scienze per i Beni Culturali in 2007 from the Università degli Studi di Parma, presently doing her doctorate in Scienze Chimiche at the same University. Email: michela.berzioli@nemo.unipr.it Marco Cagna, restorer, diploma in restoration from the professional training center ENAIP at Botticino (BS), works as private restorer. Project Manager of Cesmar7. Email: marcocagna@libero.it Elisa Campani, doctor in Scienze Chimiche, research fellow in Chimica dell’ambiente e dei beni culturali at the Università degli Studi di Parma. Project Manager of Cesmar7. Email: elisa.campani@unipr.it Antonella Casoli, professor of “Chimica dei Beni Culturali”at the Università degli Studi di Parma. President of the Consiglio di Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali (Università degli Studi di Parma). Member of the Scientific Committee of Cesmar7. Email: casoli@unipr.it Paolo Cremonesi, chemist, also with restoration training, works professionally in the private sector. Since 2000, Scientific Coordinator of Cesmar7. Email: plcremon@inwind.it Maria Fratelli, art historian, conservator of the Galleria d’Arte Moderna di Milano. Member of the Scientific Committee of Cesmar7. Email: maria.fratelli@comune.milano.it Alfiero Rabbolini, degree in architecture, since 1977 restorer of archaeological and stone materials, in 1986 founder of the company Aconerre Arte Conservazione Restauro. Email: aconerre@tin.it Davide Riggiardi, restorer, diploma in restoration from the professional training center ENAIP at Botticino (BS), specialized in restoration of contemporary art, works professionally in the private sector. Member of the Direction of Cesmar7. Email: davide@riggiardi.it
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INDICE | INDEX Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 3 La Galleria d’Arte Moderna di Milano. Le ragioni dell’opera e il luogo della conservazione . . . . . p. 4 L’utilizzo di Agar: un metodo di pulitura innovativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 6 Sperimentazione su modelli in gesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 14 La verifica analitica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 18 Figure | Figures . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 22 Introduction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. The Galleria d’Arte Moderna di Milano. About the works and their conservation site . . . . . . . . . p. The use of Agar: an innovative cleaning method . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Experimentation on gypsum models . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Analytical testing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
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Note biografiche | Biographies . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 55
© il prato casa editrice via Lombardia 43 35020 Saonara (PD) tel. 049-640105 • fax 049-8797938 www.ilprato.com • info@ilprato.com Finito di stampare nel mese di novembre 2008 presso le Arti Grafiche Padovane di Saonara (PD)