Quaderni Cesmar7 - 04 Agarosio 2007

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Elisa Campani, Antonella Casoli, Paolo Cremonesi, Ilaria Saccani, Erminio Signorini

L’USO DI AGAROSIO E AGAR PER LA PREPARAZIONE DI “GEL RIGIDI”

Traduzione di Diane Kunzelman


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© il prato casa editrice via Lombardia 41/43 35020 Saonara (PD) tel. 049 640105 • fax 049 8797938 www.ilprato.com • ilprato@libero.it Finito di stampare nel mese di marzo 2007 presso le Arti Grafiche Padovane di Saonara (PD)


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L Uso di Agarosio e Agar per la Preparazione di Gel Rigidi Quaderni Cesmar7

PREMESSA Nel 2003 il Cesmar7 ha organizzato a Verona con un suo membro del Comitato Scientifico, il Prof. Richard Wolbers, della University of Delaware statunitense, un corso teorico-pratico di aggiornamento professionale per restauratori sui metodi di pulitura acquosi. In quell’occasione il Prof. Wolbers ci ha introdotto ad un nuovo utilizzo nell’ambito delle sostanze addensanti: i cosiddetti “gel rigidi” a base di Agarosio, o del suo parente... più povero (in termini di costo), l’Agar. Così è nato l’interesse per questo “nuovo” materiale, materiale che ci siamo resi conto subito aver straordinarie potenzialità non solo come agente gelificante, ma come vero mezzo di umidificazione controllata di superfici. Considerando la letteratura specifica del restauro, al meglio della nostra conoscenza e di quella del Prof. Wolbers stesso, non risultavano descrizioni dell’uso di questo materiale addensante, né tanto meno studi più “scientifici”. Era dunque interessante pensare di intraprendere questo studio, anche perché dopo le prime applicazioni pratiche, sentivamo la necessità di riscontri analitici alla domanda: permangono residui nel supporto trattato? Domanda troppo spesso lasciata senza risposta, nel settore del restauro, quando ci si accontenta di stabilire visivamente se un trattamento sia stato invasivo o meno. Il nostro desiderio di approfondire questo studio ha avuto la fortuna di potersi conciliare con le esigenze di una studentessa del Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Parma, e così da questa collaborazione è nato questo primo capitolo nello studio sistematico dei gel rigidi. Primo capitolo che, però, come cercheremo di evidenziare nel seguito, già ci permette di “legittimare” l’uso di questo materiale su manufatti così “delicati” come i Beni Culturali (in particolare, i dipinti mobili), grazie all’osservazione che i gel rigidi così preparati non hanno tendenza a rilasciare il materiale di cui sono composti, o eventuali suoi componenti, all’interno di un supporto molto poroso, contaminandolo. Auspichiamo di poter scrivere un secondo capitolo in questo studio, mirato ad una migliore caratterizzazione di quale tipo di materiali questi gel siano in grado di “sciogliere” e far migrare al proprio interno. Ma questo è futuro, concentriamoci sul presente...

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INTRODUZIONE L’acqua è la sostanza necessaria, talora addirittura insostituibile, a compiere varie operazioni nel restauro dei dipinti: operazioni “strutturali” come il rigonfiamento o proprio la dissoluzione di materiali idrofili che devono essere asportati (residui di colle amilacee o proteiche, e loro combinazioni come le colle di farina o le colle di pasta), l’umidificazione controllata di supporti cellulosici al fine di correggere certe deformazioni, oppure operazioni di pulitura dell’immagine pittorica. Possiamo riassumere così la “versatilità” dell’acqua, ciò che la rende unica fra i solventi: • essa ha un intrinseco potere solvente nei confronti di materiali idrofili (organici come certo materiale proteico e polisaccaridico, inorganici come certi sali); • dove questo potere solvente non sia sufficiente, l’aggiunta di sostanze come tensioattivi e chelanti lo può ampliare estendendolo a, rispettivamente, materiali lipofili e sali insolubili; • infine, essa può comportarsi come un “ambiente di reazione”, un mezzo in cui avvengono vere reazioni chimiche come la ionizzazione e dissociazione di sostanze acide/basiche [1]. L’intrinseca composizione degli strati del dipinto, ed il loro stato di alterazione, possono però rappresentare un fattore di rischio nell’utilizzo dell’acqua: nel primo caso, per l’eventuale presenza di materiali costitutivi idrofili (tali fin dalla loro applicazione, o divenuti tali a per l’aumento di polarità conseguente a fenomeni di ossidazione), nel secondo caso perché l’aumentata porosità e/o le alterazioni superficiali (craquelures, cadute, lacune) aumentano la diffusione dell’acqua e permettono l’accesso agli strati preparatori, ai supporti, o comunque a strati suscettibili di modificazioni chimico-fisiche o variazioni dimensionali e di forma. Da qui nasce l’esigenza, a volte imprescindibile, di controllare l’apporto di acqua, limitandone la quantità che possa diffondere sulla superficie o essere assorbita al di sotto di essa, nella porosità degli strati e dei supporti. Si fa allora ricorso, comunemente, ad una strategia operativa: l’impacco. Svariate sostanze, minerali o organiche, possono aumentare la viscosità dell’acqua e delle soluzioni acquose a cui vengono aggiunte. Solitamente, nell’utilizzo pratico, queste sostanze sono ulteriormente distinte in semplici “supportanti” quando siano solamente impastate o rigonfiate in acqua (argille come la Sepiolite, o materiali organici come la polpa di Cellulosa), oppure in veri “gelificanti” quando riescono a sciogliersi completamente nell’acqua/soluzione. Gli Eteri di Cellulosa sono forse le sostanze più comuni di questa seconda classe [2, 3]. Ormai diffusi da un buon numero di anni nel settore del restauro, comprendono vari tipi di derivati. In particolare, tra i prodotti commercialmente disponibili, appropriati per l’addensamento di acqua e soluzioni acquose (ve ne sono, infatti, anche tipi da utilizzare invece per solventi organici meno polari), ricordiamo quelli a base di Metilcellulosa (MC), come il Tylose MH della Hoechst, di Idrossipropilcellulosa (HPC) come il Klucel della Aqualon/Hercules, e di Metilidrossipropilecllulosa (MHPC), come il Culminal della Aqualon/Hercules. Queste sostanze offrono innegabili vantaggi, come: • economicità e facile reperibilità; • semplicità di preparazione; • in generale trasparenza dei gel così formati, ed assenza di colorazione propria (ovviamente, quando si considerino prodotti di una certa purezza e non le più grezze “colle da parati”); • complessivamente, buone caratteristiche di durata. Tra gli svantaggi di queste sostanze, invece, in genere si annoverano: • la “limitata” capacità addensante, in relazione alla quantità di materiale solido; intendendo con questo che, ovviamente, se si sale al 10-15% di materiale addensante la viscosità è elevata, ma è altrettanto vero che una quantità così elevata di gelificante aumenta proporzionalmente la possibilità di lasciarne un residuo solido; • di conseguenza, una limitata capacità di ritenzione dell’acqua; • un certo potere adesivo che, in qualche caso, a seconda del tipo di superficie, può rappresentare un ostacolo ad un’agevole rimozione. Più recentemente, a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo appena trascorso, un materiale addensante appartenente ad un’altra famiglia chimica è stato proposto negli Stati Uniti da Richard Wolbers [4], e si è poi diffuso anche nella pratica del restauro del nostro paese [5, 6] Si tratta di un derivato acrilico, precisamente l’Acido Poliacrilico, la cui formulazione commerciale più universalmente nota della Noveon va sotto il nome di Carbopol, disponibile in vari tipi (934, 940, 951, EZ10, Ultrez 10). In concentrazione di appena 1-1.5% (in peso/volume) questo gelificante è in grado di produrre elevatissime viscosità, anche 40-50 volte superiori a quelle ottenibili con gli Eteri di Cellulosa. Si tratta però di

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un materiale che agisce da gelificante solo dopo neutralizzazione (anche solo parziale) con una base: tradizionalmente la Trietanolammina, oppure per certe applicazioni in particolare sul materiale cartaceo, gli Idrossidi di Ammonio o di Sodio. Operativamente, è concorde la sensazione che già questo materiale sia meno “appiccicoso”, e quindi di più facile rimozione rispetto agli Eteri di Cellulosa. Lo svantaggio, in questo caso, è che si tratta però di un materiale decisamente ionico, in particolare acido (quindi non compatibile con soluzioni a pH sotto il 5.5-6), e che necessita in ogni caso di una certa quantità, seppur minima in qualche caso, di un altro componente, la sostanza neutralizzante alcalina. In questo contesto, un materiale come l’Agarosio/Agar rappresenta un’ulteriore possibilità di aumentare la viscosità di acqua e soluzioni acquose fino a valori elevatissimi, ottenendo così gel talmente densi da essere chiamati, appunto, “rigidi”. Certo, a bilanciare questo aspetto positivo di eccezionale ritenzione di acqua, ora c’è una limitazione che in qualche caso può essere anche determinante: a differenza dei gel tradizionali, di Eteri di Cellulosa o di Acido Poliacrilico, che comunque possono essere applicati anche su superfici irregolari in quanto ancora facilmente stendibili (a pennello, a tampone di cotone, a spatola...), i gel di Agarosio/Agar, vista la relativa “rigidità”, richiedono per un’applicazione omogenea superfici che siano il più planari possibile, così da permettere un contatto abbastanza uniforme. In generale si tratterà quindi di superfici, piuttosto che oggetti tridimensionali. È vero che in quest’ultimo caso si potrebbe pensare, almeno teoricamente, ad una calco dell’oggetto stesso che permetta poi di creare una controforma in gel da applicare, ma sicuramente è un po’ difficile ipotizzare questa procedura nella pratica quotidiana del restauro! Bibliografia 1. R. WOLBERS. Un approccio acquoso alla pulitura dei dipinti, Quaderni CESMAR7, n. 1, Il Prato, Padova 2004. 2. R.L. FELLER - M. WILT. Evaluation of Cellulose Ethers for Conservation, The Getty Conservation Institute, Marina del Rey, California 1990. 3. L. BORGIOLI - P. CREMONESI. Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 17, Il Prato, Padova 2005. 4. R. C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione italiana: R. C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato, Padova 2005. 5. P. CREMONESI. L’uso dei Solventi Organici nella pulitura di opere policrome, Seconda Edizione, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 7, Il Prato, Padova 2004. 6. S. BERTOLUCCI - E. BIANCHINI - C. BIAVE - F. CALIARI - P. CREMONESI - S. GRAVINA - B. ZANGANI - M. ZAMMATARO. Preparazione e utilizzo di soluzioni acquose addensate, reagenti per la pulitura di opere policrome, Progetto Restauro, Il Prato, Padova 2001, 17, pp. 28-33.

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CAPITOLO I GENERALITÀ SULL’AGAR: CENNI STORICI, STRUTTURA CHIMICA E PROPRIETÀ Agarosio e Agar trovano largo impiego in varie applicazioni: in primo luogo nell’industria alimentare, e secondariamente in ambito medico-biologico (ad esempio, come terreno di coltura nelle scienze biologiche e per calchi dentali di precisione). È pertanto un materiale di cui sono ormai ben caratterizzate le proprietà chimico-fisiche e il modo d’azione. Nella descrizione di queste generalità ci rifacciamo pertanto ad informazioni già ampiamente divulgate [7-9, e riferimenti bibliografici lì citati]. Cenni storici e produzione L’Agar è definibile come un complesso polisaccaride derivato dalle alghe marine dell’ordine delle Gelidiales e Gracilariales; esso si accumula nella parete cellulare delle agarophyta tra le fibre di Cellulosa cristallizzata, costituendo un’importante riserva per la pianta ed è per tale ragione quindi che il contenuto di Agar varia a seconda della stagioni. Questo materiale è in grado di formare gel ad altissima viscosità, che nei secoli, proprio grazie alle loro proprietà colloidali, sono stati utilizzati in numerosi campi, principalmente quello alimentare. È opinione comune che esso sia stato utilizzato per la prima volta in Giappone da Tarazaemon Minoya1 e che da qui poi il materiale abbia avuto una larga diffusione negli altri paesi orientali tra XVII e XVIII secolo. Il suo utilizzo perciò è antecedente alle altre categorie di fitocolloidi come alginati o carraghenani, scoperti solo negli ultimi 200 anni. In Occidente il materiale arrivò prima sotto forma di componente dei cibi cinesi e successivamente fu utilizzato per applicazioni in campo microbiologico2; fu solo però nel 1906 che Smith e Davidson arrivarono a spiegare in maniera esaustiva la struttura degli agarani e ad illustrarne le modalità produttive utilizzate tradizionalmente in Giappone, ampliandone così i campi applicativi. La moderna produzione industriale di Agar, mediante la tecnica per congelamento, ebbe inizio nel 1921 in California (tuttora negli Usa la più grande industria di agarani è a San Diego, la American Agar Company) e durante la Seconda Guerra Mondiale prese il via anche in Portogallo e Spagna. In Giappone ben due terzi dei produttori usa ancora il metodo tradizionale legato alla stagione invernale, mentre i rimanenti si servono di mezzi meccanici per il ciclo di gelo-disgelo. In Cina, nelle stagioni in cui non è possibile servirsi delle naturali condizioni atmosferiche, viene utilizzata una tecnica sostitutiva di estrazione, basata su processi diffusivi e successivamente presse per ottenere l’Agar in polvere. Oggigiorno l’estrazione di Agar avviene prevalentemente dalle alghe rosse facenti parte dei generi, Gracilaria (Gracilariaceae), Gelidium (Gelidiaceae) Pterocladia (Gelidiaceae) e Ahnfeltia (Phyllophoraceae); tra di essi, la fonte più abbondante e promettente per il futuro è sicuramente data da Gracilaria, a causa del numero di specie (più di 150), della loro larga diffusione in zone temperate e subtropicali e anche della relativa facilità di raccolta ed estrazione. I dati relativi alla produzione del materiale nel mondo indicano il Giappone al primo posto, seguito da Spagna e Cile. Struttura chimica I componenti dell’Agar furono analizzati negli anni tra il 1859 e il 1938 e si verificò che consistevano principalmente in unità di D-Galattosio e 3,6-Anidro-L-galattosio a cui si accompagnavano gruppi sostituenti, quali Metili, Solfati e Piruvati. Araki nel 1937 sottolineò l’eterogeneità dell’Agar separando il composto in due differenti polisaccaridi, l’Agarosio e l’Agaropectina, arrivando poi a precisarne nel 1956 la struttura [10]. Successivamente si definì che l’Agarosio era composto da subunità del disaccaride Agarobiosio, costituito legando 1,3-b-DGalattopiranosio a 3,6-anidro-a-L-Galattopiranosio tramite legami 1 4 glicosidici (Figura 1). La formula dell’Agarosio può dunque essere rappresentata come in Figura 2. 1. Minoya è tradizionalmente legato alla prima modalità di produzione nota per quanto concerne l’Agar: essa si basa sulla sostanziale insolubilità del composto se sottoposto a raffreddamento; l’estrazione pertanto avviene mediante cicli ripetuti di gelo-disgelo (freezing-thawing method) da cui il nome giapponese dell’Agar, Kanten, che significa appunto stagione fredda. 2. Utilizzato ad esempio come mezzo di coltura nel celeberrimo esperimento condotto da Koch, nel 1882, sui batteri della tubercolosi.

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L’Agaropectina sembra conservare questa struttura di base, ma possiede in più numerosi gruppi, come i Solfati, che fanno di essa un polimero a carattere acido. Dagli anni ’60 in poi è stato possibile precisare ulteriormente la struttura dell’Agar tramite tecniche strumentali, e nel 1991 Lahaye e Rochas [11] sono arrivati ad asserire che esistono svariati tipi di Agarobiosio, la cui struttura è da mettere in relazione con le caratteristiche genetiche delle alghe, ma anche con fattori ecologici, quali la composizione del substrato, la disponibilità di nutrienti e le condizioni idrodinamiche durante la crescita. È importante considerare la struttura di questo componente, perché da esso dipendono molte caratteristiche interessanti per il nostro tipo di applicazione, come la temperatura di gelificazione e di solubilizzazione dell’Agar. Modalità di formazione del gel Come detto, l’Agar è formato da due tipi di polisaccaridi, Agarosio e Agaropectina; di essi, solo il primo costituisce la frazione gelificante, perchè possiede un alto peso molecolare (100.000-150.000 Dalton) ed ha una bassa percentuale di gruppi Solfati (0.15%) caratteristica che, come vedremo in seguito, non favorisce la formazione del gel. L’Agarosio è in grado di formare legami detti ‘legami a Idrogeno’3: proprio a causa di ciò, si parla di ‘physical gel’ (gel fisici)4, in cui cioè ciascuna molecola è indipendente dalle altre, perché si tratta di un’attrazione elettrostatica, non di una vera e propria polimerizzazione. È questa modalità unica di gelificazione che conferisce all’Agar la capacità di trattenere nel macroreticolo formato (Figura 3) enormi quantità d’acqua, che può essere poi rilasciata lentamente sul supporto, condizione ideale nel nostro caso, ossia in molte applicazioni del restauro dei beni culturali. Le modalità di formazione del gel di Agarosio sono state studiate da Medin nel 1995 [12]: si è visto nei paragrafi precedenti come nell’Agarobiosio si alternino legami 1 3 a legami 1 4 e proprio questo espediente permette alle catene di unirsi, adottando una forma a doppia elica sinistrorsa (Figura 4); le due catene si avvolgono così saldamente da chiudere ogni spazio tra di esse e l’acqua viene intrappolata efficacemente al loro interno. A temperature superiori a quella di “fusione” (intendendo con questo termine il processo di scioglimento o liquefazione del gel) intervengono meccanismi di agitazione termica che prevalgono sulla tendenza del materiale a formare queste eliche, per cui esso è presente in soluzione sotto forma di gomitolo disordinato (random coil). Durante il raffreddamento, la forma a doppia elica prevale: le due catene hanno le quattro terminazioni che non prendono parte alla formazione dell’elica, rimanendo in forma di gomitolo; in tal modo esse sono in grado di unirsi ad altre terminazioni, dando origine ad un esteso reticolo tridimensionale di tubi ad elica contenenti acqua. La quantità di estremità libere in forma di gomitolo statistico determina il grado di reticolazione e perciò anche la forza del gel. Come si può vedere dalla Figura 5, nella formazione del gel di Agar coesistono due processi ed il prevalere dell’uno o dell’altro avviene a seconda della velocità di raffreddamento: la prima strada (Rees, [13]) vede due eliche asimmetriche (2a) che per stadi successivi di aggregazione arrivano alla formazione di un macroreticolo; nel secondo caso (Foord e Atkins, [14]) sono osservabili eliche semplici (2b) che si uniscono tramite ponti Idrogeno e producono strutture ripiegate (doppie eliche simmetriche), arrivando sempre allo stadio finale 4 di macroreticolo. Si è detto in precedenza che solo la frazione di Agarosio è in grado di gelificare efficacemente. La spiegazione è comprensibile solo ora, alla luce di quanto detto poc’anzi: la presenza di gruppi Solfato nell’Agaropectina risulta infatti ‘ingombrante’, tanto da impedire la formazione della doppia elica; se invece essi non sono presenti, la catena è più ordinata e lineare, ha maggiore capacità di formare doppie eliche e questo non fa che aumentare la forza finale del gel. In natura questo processo di aggiunta-rimozione di gruppi Solfato viene utilizzato a seconda delle condizioni ambientali o trofiche: ad esempio, se l’alga è immersa in acque profonde, i gruppi Solfato, che agiscono a sfavore della formazione delle doppie eliche, vengono aggiunti, così che il gel diventi più morbido, per permettere ai nutrienti di permeare al meglio. La situazione si inverte naturalmente se l’alga è in condizioni di disidratazione oppure è bagnata solo dalle onde: in tal caso per trattenere una quantità maggiore d’acqua i gruppi Solfato vengono rimossi, aumentando la forza del gel.

3. Il legame a Idrogeno si instaura tra un H legato ad un atomo elettronegativo (in cui quindi l’H risulta portatore di una parziale carica positiva) ed un altro atomo portante parziale carica negativa situato su un’altra molecola, polare, ad esempio l’O. 4. I gel chimici al contrario formano legami covalenti tra le molecole del polimero (questa può essere considerata come una vera e propria polimerizzazione).

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Per quanto riguarda le proprietà dei gel di Agar e Agarosio, una delle caratteristiche principali è la reversibilità: essi infatti si sciolgono solo con apporto di calore e gelificano durante il raffreddamento; questo tipo di processo può essere ripetuto indefinitamente, a patto che non vengano utilizzate sostanze aggressive per la molecola, che possano danneggiare l’Agarosio e idrolizzarlo parzialmente. Altro dato importante nella caratterizzazione dei gel è la così detta isteresi di gelificazione, intendendo con ciò la differenza tra la sua temperatura di gelificazione (38°C)5 e quella di scioglimento o liquefazione (85°C); tale caratteristica dipende strettamente dalla quantità di Agarobiosio presente nell’alga prima dell’estrazione e può raggiungere i 45°C. I gel di Agarosio hanno poi altissima porosità, misurabile attraverso un parametro chiamato limite di esclusione (la dimensione della più grossa proteina che può attraversare il gel in soluzione acquosa) che in tal caso è di 30.000.000 Dalton; la frazione di Agaropectina invece riduce la larghezza dei pori del reticolo del gel e di conseguenza il limite di esclusione. Continuando nell’elenco delle proprietà, il gel di Agar è caratterizzato dalla capacità di sineresi, collegata alla sua possibilità di eliminare l’acqua contenuta negli interstizi del reticolo. Il rilascio di acqua è accelerato dalla pressione che può essere convenientemente applicata alla superficie del gel: in tali condizioni un gel di Agar o Agarosio all’1% può espellere una cospicua quantità d’acqua accumulata nelle sue cavità e ciò significa che ben il 95% dell’acqua in cui è stato sciolto l’Agarosio o l’Agar viene eliminata. Se tale residuo di gel viene poi re-immerso in acqua, esso torna esattamente alla forma iniziale e ciò significa che la struttura del gel è mantenuta durante la perdita d’acqua (gelling memory). Bibliografia 7. R. ARMISÉN - F. GALATAS. Agar, in: PHILLIPS G.O., WILLIAMS, P.A., Eds. Handbook of Hydrocolloids. CRC Press, Boca Raton, Florida 2000, pp. 22-40. 8. D.J. MCHUGH. A guide to the seaweed industry, FAO Fisheries Technical Paper 441, FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS, Rome 2003. 9. D.J. MCHUGH. Production and Utilization of Products from Commercial Seaweeds, FAO Fisheries Technical Paper 288, FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS, Rome 1987. 10. CH. ARAKI. Structure of agarose constituent of Agar-Agar, Bull. Chem. Soc. Japan, 1956, 29, pp. 43-44. 11. M. LAHAYE - W. YAPHE - C. ROCHAS. 13CNMR spectral analysis of sulfated and desulfated polysaccharides of the agar, Carbohydrate Research, Volume 143, 1 November 1985, pp. 240-245. 12. A. MEDIN. Studies of structure and properties of Agarose. Ph.D. Thesis, Acta Universitatis Upsaliensis, 1995, 126. 13. I C.M. DEA - D.A. REES, Affinity interactions between agarose and b-1,4-glycans: a model for polysaccharide associations in algal cell walls, Carbohydrate Polymers, Volume 7, Issue 3, 1987, pp. 183-224. 14. S.A. FOORD - E.D.T. ATKINS. Polymer conformation: 1. Calculation and mapping of helical constraint surfaces for polymers with special application to polysaccharides, International Journal of Biological Macromolecules, Volume 2, Issue 4, August 1980, pp. 193-198.

5. La temperatura di formazione del gel è il parametro con cui vengono classificate le varie agarofite da cui si estrae l’Agar e sembra che la differenza dipenda dal grado di metossilazione del C6 (maggiore è il grado di metossilazione, più è alta la temperatura di formazione del gel); la metossilazione sugli altri atomi di Carbonio invece riduce la temperatura di gelificazione e anche la forza finale del gel.

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CAPITOLO II PROCEDURA SPERIMENTALE Scopo dello studio L’obiettivo che ci prefiggevamo con questo lavoro [15] era duplice. In primo luogo, evidenziare eventuali differenze tra il gel ottenuto con Agarosio e quello a base di Agar, che, come visto in precedenza, del primo rappresenta la forma più impura e pertanto con minor potere gelificante; tale verifica è necessaria, dato che, ai fini dell’applicazione nel campo del restauro, verrebbe sicuramente privilegiato l’Agar, per via del costo molto più contenuto. In secondo luogo, in entrambi i casi era comunque di grande interesse verificare che i gel non trasferissero materiali (polisaccaridici o altro) al supporto poroso, dove potrebbero permanere come residui e, col tempo, indurre cambiamenti cromatici superficiali oppure accelerare processi di degrado mediante reazioni chimico-fisiche non previste. Il metodo sperimentale ideato per ottenere queste risposte può essere così riassunto: • reperire dei supporti inorganici adeguati • lavare questi supporti, e caratterizzare chimicamente eventuali materiali solubili, organici o inorganici, presenti in queste acque di lavaggio • applicare a questi supporti, una volta lavati, i gel di Agarosio e Agar • dopo il trattamento coi gel, lavare nuovamente questi supporti sbriciolati, ed analizzare le nuove acque di lavaggio, così da mettere in evidenza eventuali materiali trasferiti dai gel. 1. Scelta del supporto e lavaggio preliminare Si è scelto di utilizzare come supporto semplici materiali inorganici, per rendere più riproducibile l’applicazione, per via della porosità costante, e per semplificare la procedura analitica di caratterizzazione dei materiali presenti ed eventualmente immessi. Si sono così utilizzate semplici mattonelle grezze di ceramica non vetrificata, comunemente usate nel laboratorio chimico per asciugare i precipitati cristallizzati; tali supporti sono stati preventivamente lavati sia con acqua che con solventi organici (Cloroformio, CHCl3, e Etanolo CH3CH2OH), per evitare che impurità di origine organica o altri materiali eventualmente presenti nel supporto potessero inficiare l’analisi finale. Per quanto riguarda il lavaggio acquoso, le mattonelle sono state immerse per 2 ore in un contenitore in vetro con una quantità nota6 di acqua deionizzata (1 litro), sistemato all’interno di un bagnomaria riscaldato a 100°C. In queste condizioni, l’acqua nel contenitore raggiungeva i 58°C. Una volta estratti dal bagno, i supporti sono stati messi ad asciugare in stufa a 105°C per 15 ore. Poi sono stati sottoposti a lavaggio con solventi organici, Cloroformio e Alcool Etilico. I solventi di lavaggio, concentrati, hanno fornito il materiale per l’analisi spettroscopica all’infrarosso a trasformata di Fourier (FT-IR). L’acqua di lavaggio invece è stata trasferita in un cristallizzatore, e il volume è stato ridotto per semplice evaporazione controllata (senza portare ad ebollizione), ponendo il contenitore sempre nel bagnomaria. Dopo vari passaggi è stata ottenuta una riduzione in volume di 10 volte, da 1000 ml a 100 ml. Il residuo acquoso ottenuto è stato analizzato mediante cromatografia a scambio ionico con rivelatore a conducibilità. 2. Preparazione e applicazione dei gel di Agar e Agarosio Per l’ottenimento dei gel sono stati scelti Agarosio e Agar di buona purezza. Le caratteristiche di questi materiali sono specificate nell’Appendice I. Per la preparazione dei gel, 50 ml di acqua deionizzata erano riscaldati in un becker posto a bagnomaria su un agitatore magnetico riscaldante, fino alla temperatura di 80°C (misurata con un termometro ad immersione proprio nell’acqua contenuta nel becker). A questo punto veniva aggiunta gradualmente la quantità pesata di sostanza: 0.75 g Agarosio o 1.0 g Agar (Figura 6a), e si continuava il riscaldamento per 10 minuti, mescolando occasionalmente, fino a completa dissoluzione del materiale (Figura 6b). A questo punto si versava il contenuto in un cristallizzatore (diametro 55 mm), creando uno spessore di 10 mm circa (Figura 6c); si lasciava poi raffreddare il tutto a temperatura ambiente, indisturbato, per circa 1 ora e 30 minuti. 6. La quantità di partenza di acqua deionizzata all’interno del cristallizzatore dev’essere nota per poter esprimere nei risultati dell’analisi svolta, la concentrazione finale in mg/l e per ridurre tramite evaporazione il volume di circa 10 volte.

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Si rimuoveva con cura dal cristallizzatore il disco di gel così ottenuto, e lo si applicava alla piastrella porosa (Figura 6d). Man mano che l’acqua permeava nel supporto si notava la formazione di un alone sulla superficie della mattonella (Figura 6e), concentrico al disco di gel, che si allargava con precisione in forma circolare. Si attendeva che l’alone fosse di circa 25 mm di diametro. Si sono effettuate due prove per l’Agar (AGAR2 e AGAR3) e due per l’Agarosio (AGAROSIO2 e AGAROSIO3). In questa fase l’attenzione era rivolta soprattutto ai tempi con cui i dischi di gel rilasciano acqua alle mattonelle non vetrificate: per poterli confrontare tra loro si è annotato il tempo impiegato dalla capsula a formare un alone di 80 mm di diametro. Indipendentemente dal tempo necessario, la cosa rilevante è che i dischetti producevano un alone che si espandeva in maniera uniforme sia in verticale (diventava visibile nella parte posteriore della mattonella ) che orizzontalmente. L’altro parametro controllato era la manovrabilità dei dischetti, soprattutto durante la fase di asportazione dal supporto. 3. Estrazione dai supporti e analisi per l’individuazione di eventuali residui di gel Dopo l’applicazione dei gel le mattonelle sono state tagliate nei vari settori, esercitando semplice pressione dopo l’incisione con l’ausilio di un cutter da carta; ogni settore è stato ridotto in pezzi di dimensioni subcentimetriche rompendolo tra due fogli di Teflon per evitare la contaminazione. I frammenti relativi alle quattro prove (AGAR2, AGAR3, AGAROSIO2 e AGAROSIO3) sono stati inseriti separatamente in becker con acqua deionizzata (300 ml), posti a bagnomaria e fatti bollire mescolandolo con uno specillo per 30 minuti. Ogni contenuto è stato poi filtrato tramite un filtro di vetro, accelerando l’operazione con l’aiuto di una pompa per il vuoto ad acqua. Il volume del liquido ottenuto è stato ridotto per evaporazione controllata, inizialmente utilizzando il bagnomaria e poi con l’ausilio del flusso d’Azoto. L’analisi di questo residuo delle acque di lavaggio è stata condotta con due tecniche: la spettroscopia all’infrarosso (FT-IR) e la Gascromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS). Per una concisa descrizione delle tecniche e delle modalità operative si rimanda all’Appendice II. Bibliografia 15. I. SACCANI. Studio preliminare per l’utilizzo di gel rigidi di Agar e Agarosio nel restauro dei beni culturali. Tesi di laurea, Università degli Studi di Parma, Corso di laurea in Scienze e tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, Anno accademico 2005-2006.

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CAPITOLO III RISULTATI E LORO VALUTAZIONE 1. Il lavaggio iniziale della mattonelle Il residuo delle acque di lavaggio è stato analizzato mediante cromatografia a scambio ionico con rivelatore a conducibilità, ed il residuo dal lavaggio a solvente mediante analisi FT-IR. Si è messa in luce la sola presenza di componenti inorganiche provenienti dalla mattonella porosa usata come substrato, dimostrando così l’idoneità dei supporti allo studio ideato, vista l’assenza di materiali che potessero inquinare i risultati analitici nella determinazione di residui dopo l’applicazione dei gel. 2. La procedura di preparazione dei gel rigidi Oggi i materiali, in particolare l’Agar, sono facilmente disponibili da una varietà di fornitori, ad esempio negozi di erboristeria. Può essere più difficile però, per questi prodotti, avere informazioni precise su parametri importanti come la purezza e la temperatura di gelificazione. Ci sentiamo pertanto di raccomandare l’uso di materiali classificabili come reagenti chimici, ben caratterizzati, come quelli acquistati per questo studio dalla Fluka. Inizialmente, per l’Agarosio, date anche le indicazioni sulla scheda informativa della Fluka riguardanti la forza del gel, era stata utilizzata una concentrazione all’1% in peso/volume (AGAROSIO1); contrariamente alle aspettative, però, il gel formato, risultava fragile e pertanto non idoneo all’applicazione, perché sul supporto, dopo la rimozione, erano visibili residui di materiale. Si è quindi deciso di utilizzare, come detto in precedenza, la concentrazione all’1.5% in peso/volume. Per l’Agar, invece, la concentrazione ottimale è al 2% in peso/volume. Vogliamo sottolineare il fatto che con questo scritto abbiamo in mente soprattutto il restauratore di beni culturali; nel descrivere la procedura di preparazione facciamo dunque riferimento all’attrezzatura che troviamo comunemente in un laboratorio di restauro, e che può essere molto diversa da quella di un laboratorio chimico! Così, per quanto riguarda la fonte di calore, un qualunque fornello elettrico può essere adeguato: non c’è il pericolo di surriscaldamento, visto che comunque si lavora a bagnomaria. Se però è disponibile un agitatore magnetico riscaldante, è molto utile avere la possibilità di effettuare una leggera agitazione della soluzione, cosa che facilita la preparazione abbreviandone i tempi. I laboratori biologici comunemente utilizzano anche forni a microonde per la preparazione di questi gel. I contenitori in cui travasare la soluzione calda, e farla raffreddare in modo da formare il gel, sono quelli che determineranno la “forma” dei nostri gel rigidi. È conveniente utilizzare contenitori di una certa flessibilità, ad es. Polietilene, per poter più agevolmente distaccare il gel, una volta formatosi (Figure 6f e 6g). Una caratteristica molto interessante di questi gel rigidi, è che eventuali residui possono essere combinati (a patto, ovviamente, che non siano ancora stati applicati e quindi non abbiano assorbito sostanze estranee), riscaldati nuovamente a bagnomaria fino a “fusione” e poi colati nuovamente in una nuova forma. Questo processo può essere ripetuto indefinitamente. Per “rifondere” vari gel può essere molto conveniente l’utilizzo di un forno a microonde. L’Agar forma dei gel che anche visivamente rendono ragione della minor purezza del prodotto rispetto all’Agarosio: i dischetti infatti hanno un colore giallastro e risultano più torbidi; il gel comunque mostra una buona consistenza e la rimozione risulta semplice, senza lasciare residui visibili. L’Agarosio, invece, forma un gel quasi completamente trasparente e incolore; alla concentrazione utilizzata (1.5% in peso/volume) la capsula è compatta e facilmente asportabile senza lasciare tracce visibili sulla superficie del supporto. 3. L’applicazione dei gel rigidi Una volta pronti, entrambi i gel, da Agarosio e Agar, risultano facilmente “manovrabili”, avendo cura, ovviamente, di manipolarli delicatamente, soprattutto nella fase di distacco dai contenitori in cui si sono formati: l’intrinseca “rigidità” li rende suscettibili a rompersi piuttosto facilmente. Le “mattonelle” possono essere facilmente tagliate alla dimensione necessaria, con un bisturi o una spatola. Pensando proprio alle possibili applicazioni nel restauro, non solamente come gelificanti “estremi”, ma proprio come materiali per l’apporto controllato di umidità, abbiamo voluto valutare il tempo di rilascio dell’acqua sui nostri supporti porosi. Per i gel d’Agarosio la formazione dell’alone delle dimensioni volute avveniva in 40 minuti circa; decisamente più lentamente per quelli di Agar, in media intorno alle 2

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ore. La spiegazione risiede verosimilmente nel fatto che l’Agarosio non contiene Agaropectina, frazione che riduce notevolmente il limite di esclusione del gel (si veda al Capitolo I); la porosità in tal caso è quindi più ampia e ciò non fa altro che accelerare lo scaricamento dello stesso. In ogni modo, a parte la differenza di tempi tra Agar e Agarosio, il passaggio d’acqua avviene in maniera uniforme in entrambi i casi come voluto; inoltre è da sottolineare il fatto che i suddetti tempi, anche nel caso dell’Agarosio, sono comunque largamente sufficienti per rendere l’applicazione ben controllabile da parte dell’operatore. 4. L’analisi dei residui estratti dalle mattonelle Questo è stato il passaggio chiave del nostro studio: determinare se i gel rigidi di Agar e Agarosio lasciassero diffondere all’interno dei supporti porosi dei materiali (polisaccaridici o altro), capaci così di contaminare potenzialmente il manufatto artistico sui quali venissero applicati. Determinazione dei Solfati La determinazione dei solfati è stata effettuata mediante cromatografia ionica, con soluzioni standard di Solfato di Potassio (K2SO4) in acqua milliQ, deionizzata e filtrata per preparare la curva di calibrazione. Le soluzioni eluenti di Carbonato di Sodio (2.7 mM) e Bicarbonato di Sodio (1.0 mM), sono state preparate per dissoluzione dei sali in acqua milliQ deionizzata e filtrata.

Tabella I. Analisi dei Solfati per cromatografia ionica.

L’analisi (Tabella I) ha messo in evidenza che quantità sostanzialmente uguali di Solfato erano presenti sia nelle mattonelle trattate con Agarosio (che non contiene Solfati) che in quelle trattate con Agar (che invece contiene Solfati). Questi Solfati sono dunque da considerare come materiale contenuto nelle mattonelle porose, e non rilasciato dagli impacchi. Non deve sorprendere se le quantità di Solfati nei campioni dalle applicazioni dei gel di Agarosio e Agar sono in concentrazione minore che nella mattonella, proprio perché le mattonelle erano già state lavate una volta prima delle applicazioni dei gel rigidi Analisi FT-IR Inizialmente si sono registrati gli spettri dei due materiali di partenza, Agarosio e Agar, usando le polveri tal quali in pastiglia di KBr (Carlo Erba). Dai grafici a confronto (Figura 7) emerge che entrambi i campioni presentano una banda larga intorno ai 3410 cm-1, caratteristica dello stretching dei gruppi OH ed una a ~2900 cm-1, relativa allo stretching dei gruppi C-H. La banda a 1647 cm-1 è dovuta sia a legami dell’acqua intramolecolare sia alla presenza del gruppo Carbossile (-COOH). Ben più caratterizzanti per i materiali polisaccaridici sono le bande a ~1160 cm-1, ~1080 cm-1 e 931 cm-1 dovute all stretching del legame C-O. Successivamente sono stati analizzati i residui dopo evaporazione delle acque di lavaggio delle mattonelle trattate coi gel. Per l’Agar sono riportati gli spettri riguardanti l’Agar tal quale in KBr e i residui dei lavaggi in acqua relativi alle applicazioni AGAR2 e AGAR3. Come si osserva dai tracciati (Figura 8), negli spettri relativi ai residui non risultano le bande caratterizzanti i materiali polisaccaridici, mentre si evidenziano le bande relative ai residui inorganici del supporto: - ~1420- 873 cm-1: bande caratteristiche del Carbonato di Calcio (rispettivamente stretching del gruppo CO32- e deformazione di O-C-O) - ~ 1020 cm-1: relativo ai Silicati (banda dello stiramento asimmetrico di Si-O-Si) - ~1110 cm-1- 620 cm-1: bande relative al Solfato di Calcio (rispettivamente stretching asimmetrico del gruppo SO42-, e bending del medesimo gruppo).

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Simili risultati sono stati ottenuti per l’Agarosio, per i campioni AGAROSIO2 e AGAROSIO3 [15]. I dati che emergono dalla precedente discussione dei risultati indicano che all’interno del supporto non è permeato materiale organico in quantità rilevabile e che sono visibili solo le bande relative ai residui inorganici derivanti dalle mattonelle. Analisi GC-MS Il gascromatogramma ottenuto dal campione viene confrontato con una miscela standard di zuccheri semplici: Come si nota dalla Figura 9, il primo zucchero ad essere eluito è lo standard interno, il Sorbitolo a 11.86 minuti, mentre il Galattosio, componente fondamentale del gel sia di Agar che di Agarosio, è l’ultimo ad essere eluito a 29.10 minuti. I cromatogrammi relativi ai Campioni AGAR2 e AGAR3 (Figura 10) non mostrano alcun picco corrispondente agli zuccheri, per cui si può desumere che all’interno del supporto in tal caso non è permeato materiale polisaccaridico in quantità rilevabile. Nei tracciati cromatografici dei campioni relativi all’AGAROSIO2 (Figura 11) e Agarosio3, oltre al picco del Sorbitolo, è presente anche il picco, seppur debolissimo, del Galattosio, indice che una piccolissima quantità di materiale derivante dal gel è permeata nella mattonella. 5. Conclusioni Con questo studio ci prefiggevamo di stabilire se i gel rigidi di Agar e Agarosio potessero essere usati con sicurezza su supporti porosi, come i dipinti mobili, senza dar luogo alla migrazione di loro componenti che potessero permanere come residuo. Il dato cercato è stato confermato analiticamente: i gel sono in grado di apportare umidità in maniera uniforme e controllata, senza che all’interno del supporto permeino polisaccaridi in quantità significativa. In particolare l’Agar ha dato i migliori risultati, non lasciando alcun residuo nella mattonella, come ben sottolinea una tecnica così sensibile come la GC-MS. Questo fatto è particolarmente interessante, dato che uno dei presupposti dello studio era di operare un confronto tra i due materiali, per privilegiare in un futuro l’Agar nell’applicazione nel campo del restauro, dati i costi inferiori. La maggior impurezza del prodotto però poteva causare problemi, rischiando che permeassero sostanze organiche nel supporto: non solo questo non si è verificato, ma, anzi, le esperienze condotte hanno rivelato anche che l’Agar di fatto si comporta meglio dell’Agarosio nelle nostre applicazioni, poiché è caratterizzato da migliore ritenzione di acqua. Pur essendo uno studio preliminare, questo lavoro cerca anche di dare delle linee guida per rendere la preparazione dei gel, così come la loro successiva applicazione, allo stesso tempo riproducibile e sicura per gli operatori nel settore del restauro. Operativamente, una prima possibilità di utilizzo sta nel gelificare semplice acqua. Il gel rigido può allora rivelarsi efficace nei confronti di materiali superficiali che siano, ovviamente, idrosolubili: polisaccaridi come Amido o gomme vegetali (ad. es la Gomma arabica), proteine come le colle animali. Se il gel riesce effettivamente a sciogliere il materiale, può non essere necessario alcun post-trattamento di lavaggio/rimozione di materiali. In questo caso, dobbiamo pensare al gel semplicemente come ad un “serbatoio di umidità”, che viene rilasciata progressivamente. Il fattore da controllare sarà semplicemente il tempo di contatto: a seconda delle esigenze del trattamento specifico, il gel può essere lasciato applicato per un tempo limitato, fino a che ha rilasciato la quantità d’acqua necessaria allo scopo, oppure a “scaricamento” completo. In quest’ultimo caso, rimane una crosta solida agevolissima da rimuovere perché non aderita alla superficie. A riprova dell’azione, spesso si osserva una progressiva colorazione del gel, che assorbe dentro di sé i materiali che sono stati solubilizzati. In altri casi, non si arriva a completa dissoluzione del materiale superficiale che, sebbene idrofilo all’origine, può esserlo diventato meno con l’invecchiamento e l’ossidazione, oppure perché reticolatosi con altri materiali. Comunque il gel può essere utile nell’effettuare il rigonfiamento del materiale, ammorbidendolo così che possa essere asportato con una leggera azione di rimozione meccanica, con un tamponcino secco o appena inumidito o a bisturi. In questo caso, quindi, c’è di fatto un post-trattamento, che è però molto inferiore ad una procedura di lavaggio da effettuare dopo l’uso di gel convenzionali (Eteri di Cellulosa o Acido Poliacrilico) che tendono ad aderire alla superficie. Se, invece che semplice acqua, utilizziamo una soluzione acquosa contenente acidi/basi, chelanti o tensioattivi, allora si può avere un’azione più specifica su certi materiali, rispettivamente: • di ionizzazione di materiali acidi/basici (colle animali, certi polisaccaridi soprattutto se invecchiati, materiali lipofili come resine naturali, olii e cere soprattutto se invecchiati e/o ossidati) qualora si usino basi o acidi;

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• di solubilizzazione di sali insolubili (come ad esempio patine superficiali di sali di acidi grassi sui dipinti ad olio, oppure caseinati) qualora si usino chelanti come i sali dell’Acido Citrico o dell’EDTA • di emulsionamento/dispersione di materiali idrofobi, oleosi o grassi (olii e resine naturali) qualora si utilizzino tensioattivi In questo caso l’applicazione del gel rigido può essere vista come una variante estrema del comune utilizzo di metodi acquosi in forma gelificata [16-19]: o perché, per l’intervento specifico, sia necessaria un’azione estremamente localizzata, o perché la superficie non sia neppure compatibile con la pur leggera, ma inevitabile, azione meccanica del post-trattamento (lavaggio acquoso) necessario per rimuovere i residui dei tradizionali gel di Eteri di Cellulosa o di Acido Poliacrilico. I gel rigidi di Agar e Agarosio invece si applicano sottoforma di cuscinetti sull’opera, e non aderiscono al supporto poroso, rendendone più agevole la rimozione. Il post-trattamento, il più delle volte, si riduce ad una semplice rimozione del materiale superficiale rigonfiato, se non è stato sciolto e trasferito già all’interno del gel. In questo, però, sta anche il limite principale al loro utilizzo: l’intrinseca rigidità può rendere problematico il contatto con una superficie che non sia perfettamente planare. Se l’irregolarità della superficie è limitata, si può giocare sullo spessore di questi gel, altrimenti l’applicazione può risultare impossibile. È possibile applicare una leggera pressione ai gel, tenendo però conto che questo accelera il rilascio di acqua. Anche le soluzioni enzimatiche possono essere gelificate con Agarosio e Agar, poiché la dimensione dei pori del reticolo del gel (si veda Cap. I) è sufficientemente grande da permettere il movimento anche alle macromolecole proteiche di un enzima. Così siamo in grado di portare nel gel rigido “l’attività idrolitica” di Amilasi, Proteasi e Lipasi attive, rispettivamente, su Amido e sostanze amilacee (ad esempio le farine), proteine (colle animali, albume, caseina), lipidi (olii siccativi, grassi e cere) [20]. In quest’ultimo caso occorre però variare leggermente la modalità di preparazione: gli enzimi, infatti, sono termo-labili e sarebbero facilmente denaturati durante la fase di riscaldamento in bagnomaria bollente. Conviene dunque fare così: si prepara il gel rigido come descritto sopra, usando però solo la metà dell’acqua (cioè 50 ml per 2 g Agar o 1.5 g Agarosio); l’altra metà dell’acqua, tamponata al pH necessario, viene usata per preparare la soluzione enzimatica. Quando la soluzione di Agar/Agarosio viene versata nel contenitore per il raffreddamento, si attende che la temperatura si abbassi ai 45-50°C e vi si aggiunge la soluzione enzimatica, pre-riscaldata a 40°C, lasciando poi completare il raffreddamento e la gelificazione. Nell’uso della “mattonella enzimatica” il moderato apporto di calore (all’enzima stesso e alla superficie), necessario al raggiungimento di una temperatura “fisiologica” (37-40°C) per l’attività ottimale dell’enzima, sarà comunque sufficientemente lontano dalla temperatura critica di “fusione” del gel. Per quanto riguarda la conservazione di questi gel, facciamo notare che si tratta di materiali a base acquosa, che hanno quindi la tendenza intrinseca a sviluppare muffe. Occorre quel minimo di cura nella preparazione (vetreria pulita) e soprattutto evitare la contaminazione del gel fresco (maneggiarlo coi guanti, con strumenti puliti, ecc.). Le mattonelle di gel possono essere conservate indefinitamente in frigorifero, magari con la superficie sigillata da una membrana di plastica come ulteriore protezione. Infine, è superfluo far notare l’assoluta assenza di tossicità di questi materiali e di pericolosità per l’ambiente. Bibliografia 16. R. C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione italiana: R. C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato, Padova 2005. 17. R. Wolbers. Un approccio acquoso alla pulitura dei dipinti. Quaderni del Cesmar7, 1, Il Prato, Padova 2004. 18. P. CREMONESI. L’uso di Tensioattivi e Chelanti nella pulitura di opere policrome, Seconda Edizione, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 10, Il Prato, Padova 2004. 19. P. CREMONESI. Un Approccio Metodologico alla Pulitura dei Dipinti, in: Lo Stato dell’Arte. Conservazione e restauro, Confronto di Esperienze, atti del I Congresso Nazionale IGIIC, Torino 2003, pp. 100-109. 20. P. CREMONESI. L’Uso degli Enzimi nella Pulitura di Opere Policrome, Seconda Edizione, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 4, Il Prato, Padova 2002.

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CAPITOLO IV ESEMPI DI APPLICAZIONI AL RESTAURO Per esemplificare l’utilizzo pratico di questi gel rigidi, si descrivono di seguito alcune applicazioni di gel di Agar a dipinti reali. 1. Madonna col bambino. Maestro Veronese del XV Sec., olio su tavola, proprietà della Galleria d’Arte Moderna – Villa Belgiojoso Bonaparte di Milano. Il problema conservativo da affrontare era la rimozione di velinature localizzate sul recto del dipinto, applicate con una tradizionale colla animale. L’utilizzo di acqua, indispensabile vista la natura dell’adesivo, risultava però problematico perché l’intera superficie pittorica era stata saturata di colla animale in passati intervati di restauro, ed ora risultava molto sensibile all’umidità. Anche soluzioni ad alta viscosità, gelificate con l’Acido Poliacrilico (Carbopol ) risultavano comunque troppo aggressive, così come emulsioni acqua-in-olio con solamente il 10% (in volume) di acqua dispersa in Essenza di Petrolio. Un gel di Agar, preparato come descritto sopra, è stato tagliato, in spessore circa 0.5 cm, in piccoli quadratini di prova, che venivano applicati su una velina e lasciati in contatto libero. Queste prove in piccolo hanno permesso di verificare che dopo 20-30 secondi il trasferimento di acqua era sufficiente a poter effettuare meccanicamente, con un bisturi, il distacco della velina, senza comportare alterazioni della superficie sottostante o circostante. A questo punto, il gel è stato tagliato a riprodurre con una certa precisione la forma delle velinature da rimuovere, così da effettuare il trattamento, per ogni velina, in una sola applicazione. Le Figure 12a-c mostrano la sequenza delle fasi applicative, ed il dipinto liberato dalle veline. 2. Sacra famiglia. Anonimo, olio su tela, proprietà privata. Il dipinto presentava stesure differenti sia sul fronte (colle, vernici, patinature) che sul verso (un beverone? un materiale composito sensibile all’acqua e a solventi organici: al test di solubilità si dimostravano efficaci le miscele a polarità da Fd 56 in avanti, prossime all’Acetone). Le prove hanno evidenziato che, per l’alta polarità dei solventi necessari, non si riuscivano a formulare emulsioni capaci di affrontare contestualmente i differenti materiali da rimuovere, e che le applicazioni di soluzioni acquose gelificate (con Eteri di Cellulosa o Carbopol) rigonfiavano la tela, ma erano necessarie per eliminare un certo effetto barriera ai solventi creato probabilmente dai materiali proteici idrofili presenti. Di qui la proposta di utilizzare il gel rigido di Agar. Dopo alcune prove di soluzioni diverse si è dimostrata efficace l’applicazione della tavoletta di gel, preparata con una soluzione tampone a pH 8 con l’aggiunta di una piccola quantità di Triammonio Citrato. L’applicazione è stata piuttosto lunga, circa 1 ora, con un foglietto di Melinex appoggiato sulla tavoletta ed un piccolo peso, per migliorare il contatto. Con un tamponcino di cotone appena inumidito sono stati rimossi i materiali rigonfiati (Figure 13a-c). A prudente distanza di alcune ore, per completare la rimozione di ulteriori residui, è stata fatta un’applicazione di pochi minuti di un Solvent Gel di Acetone. 3. Rimozione di residui di colle e di colla-pasta da una tela defoderata. In questo caso si è operato con un gel di sola acqua deionizzata, applicato per circa 15 minuti, rimuovendo poi i residui come sopra (Figura 14). 4. Pulitura del retro di una tela. In questo caso, in presenza di uno strato molto coerente e compatto, si sono fatte prove a confronto con il gel di Agar di sola acqua deionizzata, ripetendo lo stesso trattamento una seconda volta sulla parte sinistra del tassello (Figure 15a-c), con un gel di Klucel con l’aggiunta di un chelante (Triammonio Citrato), sempre ripetendo parzialmente l’applicazione (Figure 15d-e), con gel di Carbopol Ultrez 10 neutralizzato a pH 8 con Trietanolammina, con la stessa ripetizione parziale (Figure 15f-g). Il confronto ha permesso di osservare che: • L’azione più prudente (che cioè inumidisse meno la tela) era quella con il gel di Agar (infatti si notava che il bordo tendeva ad asciugare prima, senza inumidire abbastanza); • ripetendo il trattamento continuava l’azione di rimozione, anche se forse non era necessario; • il gel di Klucel era efficace, anche per la presenza del chelante, ma necessitava di maggiori lavaggi per asportare i residui; • il gel di Carbopol era efficace per rigonfiare il materiale da rimuovere, ma comunque inumidiva la tela più dell’Agar.

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Ringraziamenti Un particolare ringraziamento a Diane Kunzelman, restauratrice di dipinti all’OPD, per la traduzione di questo manoscritto. Desideriamo ringraziare la Dott.ssa Maria Fratelli, conservatore della Galleria d’Arte Moderna - Villa Belgiojoso Bonaparte di Milano, per aver acconsentito al trattamento sulla Madonna con bambino, ed il restauratore Davide Riggiardi, di Milano, che lo ha eseguito. Un ringraziamento a Giuseppe Foroni, tecnico di laboratorio dell’Università di Parma, per il prezioso aiuto nella preparazione dei campioni per l’analisi.

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APPENDICE I MATERIALI E ATTREZZATURA Materiali Per maggior completezza, qui di seguito sono riportati i dati relativi alle materie prime utilizzate per la preparazione dei gel Agar 05040 FLUKA7 Temperatura di transizione8: gelifica ~ a 35°C (soluzione all’1.5%) Forza del gel9: >300 g/cm2 (soluzione all’1.5%) pH: 5-8 (50°C , 1.5% in acqua , 100°C/ 15 min.) Agarosio 05068 FLUKA Temperatura di transizione: gelifica tra 34°-37° (soluzione all’1.5% ) Forza del gel: ≥ 1500 g/cm2 (soluzione all’1.5%) Anioni in traccia: Cloruri (Cl): ≤3000 mg/kg; Solfati (SO4): ≤6000 mg/kg Cationi in traccia: Ca: ≤500 mg/kg; Cd: ≤10 mg/kg; Co: ≤10 mg/kg; Cr: ≤10 mg/kg; Cu: ≤10 mg/kg; Fe: ≤10 mg/kg; K: ≤500 mg/kg; Mg: ≤10 mg/kg; Mn: ≤10 mg/kg; Na: ≤5000 mg/kg; Ni: ≤10 mg/kg; Pb: ≤10 mg/kg; Zn: ≤10 mg/kg Attrezzatura Agitatore magnetico riscaldante Stirr, Velp Scientifica. Per la cromatografia ionica si è utilizzato uno strumento Dionex DX-100 equipaggiato con una colonna IC Dionex IonPac AS14 (250-mm × 4-mm i.d.), e una colonna di guardia Dionex IonPac AG14 (50-mm × 4-mm i.d.), che può separare i Solfati da potenziali interferenze. Per l’analisi FT-IR si è utilizzato uno spettrometro Nicolet–Nexus 5PC (intervallo di misura 4000-400 cm-1, 32 scansioni, risoluzione 4 cm-1); sono state effettuate misurazioni in trasmissione con pastiglia di KBr. Per l’analisi gascromatografica si è utilizzato uno strumento Agilent Technologies (modello: 6890N) accoppiato ad uno spettrometro di massa (Agilent Technologies, modello: 5973) ad impatto elettronico. Lo strumento è dotato di colonna capillare in silice fusa VF5, ricoperta con un film metilsiliconico (5% di fenile) di 0.25 mm (Factor Four, Varian Inc., USA); tale colonna ha una lunghezza di 30 m ed un diametro di 0.25 mm. Il rivelatore associato è uno spettrometro di massa dalle seguenti caratteristiche: solvent delay 3.00 min, temperatura del detector 280°C, temperatura della sorgente 162°C, impatto elettronico di 70 eV, velocità di scansione 1.5 scans/s con intervallo di frammentazione m/z = 40-450.

7. Fluka: Sigma-Aldrich, s.r.l. - Via Gallarate, 154 - 20151 Milano, Tel. 02 33417 310, servizio clienti: 02 33417 330, servizio tecnico: 02 33417 340, Website: www.sigma-aldrich.com, E-Mail: itorder@europe.sial.com 8. La temperatura a cui la soluzione acquosa contenente agar o agarosio forma il gel durante il raffreddamento. Nel nostro caso la soluzione mostra isteresi durante la transizione liquido-gel (vd. Capitolo I, Modalità di formazione del gel), ossia la temperatura di gelificazione non coincide con la temperatura di fusione. 9. Ovvero la forza che dev’essere applicata al gel per causarne la fratturazione.

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APPENDICE II SEZIONE SPERIMENTALE Per rendere più agevole la lettura del testo, si è deciso di eliminare dalla trattazione la descrizione delle tecniche analitiche utilizzate, nonché la descrizione approfondita delle caratteristiche degli strumenti. È stata creata quindi questa Appendice al fine di illustrare, seppur brevemente, i presupposti su cui si basano le varie metodologie. Spettroscopia Infrarossa a Trasformata di Fourier (FT-IR) La tecnica FT-IR è una delle più utilizzate nell’applicazione ai Beni Culturali, per le sue caratteristiche intrinseche: per la sua sensibilità, poiché necessita di esigue quantità di campione; perché fornisce informazioni qualitative e semi quantitative sia su sostanze organiche che inorganiche; il campione inoltre necessita di una minima preparazione (se il campione è solido, viene macinato con KBr e si forma una pastiglia), il che rende la tecnica veloce e relativamente economica. _ La regione infrarossa dello spettro comprende radiazioni con numero d’onda (n) compreso tra circa 12800 e 10 cm-1, o lunghezza d’onda (l) da 0.78 a 1000 mm; tuttavia di solito si utilizza solo il medio infra_ rosso (MIR) (n 400-4000 cm-1 ossia 2.5-25 mm). In generale, la teoria dell’assorbimento IR può essere riassunta così: a temperature sopra lo zero assoluto, le posizioni degli atomi in una molecola fluttuano continuamente. I principali modi vibrazionali sono: - stiramenti (stretching): cambiamento della distanza di legame; - deformazioni o bending: variazioni dell’angolo tra i due legami. La radiazione infrarossa non ha sufficiente energia da causare transizioni elettroniche: la molecola assorbe la radiazione quando la frequenza di una specifica vibrazione è uguale alla frequenza della radiazione IR. Quando avviene l’assorbimento, l’energia associata può essere trasformata in moti vibrazionali. L’analisi restituisce uno spettro, cioè un tracciato dell’intensità dell’assorbimento10 (asse y) in funzione del numero d’onda (asse x). Lo scopo principale di questa tecnica è determinare i vari gruppi funzionali, presenti nel campione, che assorbono frequenze caratteristiche della radiazione IR. Tramite una comparazione con banche dati contenenti spettri di sostanze pure è possibile identificare i costituenti del materiale studiato. Gascromatografia/Spettrometria di Massa (GC-MS) La gascromatografia è una tecnica separativa, che si basa sulla ripartizione degli analiti tra due fasi, una fase mobile gassosa ed una fase stazionaria solida depositata su una colonna capillare attraverso la quale vien fatto fluire il gas. Le fasi si scelgono in modo che le sostanze analizzate abbiano diverse capacità di ripartirsi in ciascuna fase; di conseguenza, i componenti del campioni sono separati l’uno dall’altro mentre percorrono la colonna capillare. Nel caso di molecole complesse, i materiali da analizzare devono essere scissi in frammenti più piccoli (reazione di idrolisi) prima di essere sottoposti alla separazione; inoltre, poiché la tecnica richiede analiti volatili, è necessaria una derivatizzazione del campione. Il rivelatore a spettrometro di massa fornisce informazioni sui composti in esame, ed è caratterizzato da alta sensibilità e selettività. Al termine dell’analisi si ottiene un cromatogramma, una rappresentazione grafica dei segnali del detector in funzione del tempo di eluizione degli analiti. Il tempo tra l’iniezione del campione e la comparsa del segnale nel detector è detto tempo di ritenzione (tR), mentre l’area dei picchi fornisce informazioni di tipo quantitativo, sull’abbondanza dell’analita nel campione. La GC-MS è una tecnica distruttiva, utile per una precisa identificazione di composti organici, o loro miscele, nei campioni. Nel caso dello studio di beni artistici questo metodo è particolarmente utile per l’identificazione di leganti pittorici (olio di lino, noce e papavero, uovo, latte, colla animale, gomme vegetali, o miscele di sostanze), consolidanti, adesivi, resine e altri materiali organici contenuti nell’opera. 10. Sebbene l’assorbimento coinvolga livelli energetici discreti, si osservano bande piuttosto che linee distinte, poiché i moti vibrazionali spesso si combinano con moti rotazionali.

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È quindi utile al fine di definire le tecniche artistiche utilizzate dall’artista, identificare e caratterizzare i materiali apportati successivamente negli interventi di restauro. Preparazione dei campioni Si riscalda il campione in vuoto a 40 °C per 30 minuti per eliminare l’acqua di idratazione, lo si trasferisce in provetta con 10 ml di Sorbitolo (standard interno) 0.01 M in soluzione - Idrolisi Si tratta il campione con 3 ml di Acido Trifluoroacetico 2M e lo si mantiene in provetta con tappo a vite per sei ore a 100°C in bagno d’olio. Il campione è poi tirato a secco sotto vuoto su piastra riscaldante con agitatore magnetico a 40°C. - Derivatizzazione Dopo evaporazione a secchezza, si aggiungono al residuo idrolizzato 60 ml di soluzione 2:1 in volume di Etantiolo (CH3CH2SH) e Acido Trifluoroacetico, e si lascia a temperatura ambiente per 40 minuti. Si evapora il solvente sotto vuoto, e si scioglie il residuo in 50 ml di Piridina, 30 ml di Acido Trifluoroacetico e 100 ml di Esametildisilazano (HMDS), lasciandolo a temperatura ambiente per 1 ora. Si evapora il solvente in vuoto, si scioglie il residuo in 0.2 ml di Esano. Per l’analisi gascromatografica viene usato 1 ml della soluzione risultante. Condizioni GC-MS Il flusso del gas di trasporto è mantenuto a 0.60 ml/min. L’iniettore splitless è regolato a 280°C con untempo di spurgo di 30 secondi. La linea di trasferimento MS è selezionata a 280 °C. Gli spettri MS sono stati registrati in TIC (Total Ion Current, range di massa 45-450). Per l’analisi dei derivati monosaccaridi è stata utilizzata la seguente programmata di temperatura: 165°C per 0 minuti; 2°C/min. fino a 190°C, 1°C/min. fino a 210°C; 20°C/min. fino a 235°C. La durata della corsa è di 34.75 minuti e l’iniettore è stato utilizzato in modalità split e splitless 0.2.

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APPENDICE III Di seguito sono indicati ulteriori riferimenti bibliografici per chi desideri approfondire la conoscenza di questi materiali gelificanti. E. BENSKIN - V. DAWSON V. The Conservation of a Japanese Painting, The East Asian Painting Conservation Studio, Smithsonian, Freer Gallery of Art and Arthur M. Sackler Gallery, Fall 2004. I.C.M. DEA. Industrial polysaccharides, Pure & App. Chem. 1989, 61, IUPAC, pp. 1315-1322. K. TRUUS - R. TUVIKENE - M. VAHER - T. KAILAS - P. TOOMIK - T. PEHK. Structural and compositional characteristics of gelling galactan from the red alga Ahnfeltia tobuchiensis (Ahnfeltiales, the Sea of Japan), Carbohydrate Polymers, 2006, 63, pp. 130-135, available on line at www.sciencedirect.com E. MARINHO-SORIANO. Agar polysaccharides from Gracilaria species (Rhodophyta, Gracilariaceae), Journal of Biotechnology, 2001, 89, pp. 81-84, available on line at www.sciencedirect.com B. MATSUHIRO - L.G. MILLER. Solubile Polysaccharides From Rhodymenia: Characterization By FT-IR Spectroscopy, Boletín de la Sociedad Chilena de Química, 2002, 47. K.A. ROSS - L.J. PYRAK-NOLTE - O.H. CAMPANELLA. The effect of mixing conditions on the material properties of an agar gel-microstructural and macrostructural considerations, Food Hydrocolloids, 2006, 20, pp. 79-87, available on line at www.sciencedirect.com A.F. BOCHKOV - G.E. ZAIKOV - V.A. AFANASIEV. Carbohydrates, VSP, Utrecht 1991. R.D. GUTHRIE - J. HONWYMAN. An Introduction To The Chemistry Of Carbohydrates, Oxford University Press, 1968.

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FIGURE | FIGURES

Figura 1. Agarobiosio.

Figura 2. Formula dell Agarosio.

Figure 1. Agarobiose.

Figure 2. Formula of Agarose.

Figura 3. Microfotografia a scansione elettronica di un gel di Agarosio al 2%. Figure 3. Electron scansion microphotograph of a 2% Agarose gel.

Figura 4. Meccanismo di gelificazione dell Agar: durante il raffreddamento viene costruito un reticolo tridimensionale in cui le eliche formano i punti di giunzione delle catene del polimero; procedendo col raffreddamento tali punti di giunzione tendono ad aggregarsi.

Figura 5. Due diverse modalita` di formazione del gel di Agarosio. Figure 5. Two different ways of Agarose gel formation.

Figure 4. Gelation mechanism of Agar: during cooling a threedimensional reticulum is constructed, in which the helices form the points of conjunction of the polymeric chain; as cooling proceeds, these conjunctions tend to aggregate.

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Figure 6a-g. Le varie fasi della preparazione e applicazione del gel di Agar. Figures 6a-g. The various phases of preparation of Agar gel.

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Figura 7. Spettri FT-IR di Agarosio e Agar.

Figura 8. Spettri FT-IR di Agarosio e dei residui del lavaggio in acqua delle applicazioni di AGAR 2 e AGAR3.

Figure 7. FT-IR spectra of Agarose and Agar. Figure 8. FT-IR spectra of Agarose and the residue of the aqueous washing after application of AGAR2 and AGAR3. Figura 9. Cromatogramma relativo agli zuccheri semplici. Sor = Sorbitolo standard interno , Xyl = Xilosio, Ara = Arabinosio, Rha = Ramnosio, Fuc = Fucosio, Glc = Glucosio, Man = Mannosio, Gal = Galattosio. Figure 9. Chromatogram corresponding to simple sugars. Sor = Sorbitol internal standard , Xyl = Xylose, Ara = Arabinose, Rha = Rhamnose, Fuc = Fucose, Glc = Glucose, Man = Mannose, Gal = Galactose.

Figura 10. Cromatogramma relativo al campione AGAR3. Figure 10. Chromatogram of sample AGAR3.

Figura 11. Cromatogramma relativo al campione AGAROSIO2. Figure 11. Chromatogram of sample AGAROSE2.

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Figure 12a-c. Figures 12a-c.

Figure 13a-c. Figures 13a-c.

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Figura 14. Figure 14.

Figure 15a-g. Figures 15a-g.

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USE OF AGAROSE AND AGAR FOR PREPARING “RIGID GELS”

Translation by Diane Kunzelman


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PREFACE In 2003, Cesmar7 organized a restoration workshop/seminar in Verona on the subject of aqueous cleaning methods, with a member of the Scientific Committee, Prof. Richard Wolbers of the University of Delaware, U.S.A. On this occasion, Prof. Wolbers introduced us to an innovative use of certain gelling materials for preparation of so-called “rigid gels”. In particular we became acquainted with Agarose, or its “poorer” cousin (as far as cost is concerned), Agar. This “new” material immediately stimulated our interest, as we realized this substance’s exceptional potentialities, not only for making gels, but also as an actual means of achieving controlled surface humidification. At least according to my and Prof. Wolbers’ knowledge, no use of this material has ever been described in literature specific to art conservation, not to mention any more “scientific” studies. The idea of undertaking research in this field was therefore all the more interesting. Also, after these initial practical applications, we felt the need to seek analytical responses to a fundamental question: is any residual matter left on the support after such treatment? This question is far too often left without an answer in conservation matters, often relying only on visual examination to determine whether or not treatment is invasive. Our desire to go further into this subject fortunately corresponded to the needs of a student enrolled in the Course of Science and Technology for Conservation and Restoration of Cultural Heritage at the University of Parma. This collaboration has lead to composing the first chapter of a systematic research project on rigid gels. However, as we will endeavor to explain later, this initial phase has already permitted us to affirm the “legitimacy” of this material’s use on artifacts as “delicate” as those belonging to the cultural heritage (in particular, easel paintings). We may observe, in fact, that when used on such porous supports, rigid gels prepared in this way have no tendency to release the material of which they are composed, nor any of their eventual components, thus risking contamination. We hope to be able to write a second chapter dedicated to this study project, aimed at better characterizing which categories of materials these gels are capable of “dissolving” and incorporating. This is already the future, however, so let’s concentrate on the present...

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INTRODUCTION Water is a substance which proves to be necessary, sometimes even practically irreplaceable, for carrying out various types of restoration interventions on paintings. Among these we may mention such “structural” operations as the swelling or actual dissolving of hydrophilic materials requiring removal (residues of starch or protein based glues, and their combinations with other materials in flour or glue pastes), controlled humidifying of Cellulose supports to correct certain forms of deformation, or operations involving cleaning of the painted surface. We may sum up what we mean by the “versatility” of water by mentioning what makes it unique among solvents: • it has intrinsic solvent power on hydrophilic materials (organic, as are certain protein and polysaccharide based substances, inorganic as are certain salts); • when insufficient, this solvent power may be increased by the addition of substances such as surfactants and chelators, for, respectively, hydrophobic materials and insoluble salts; • finally, it can behave as a “reactive environment”, a vehicle in which actual chemical reactions take place, such as the ionization and dissociation of acid/basic substances.[1] The intrinsic composition of the layers forming a painting, however, as well as their degree of alteration, may by a factor of risk when using water: in the first case, due to the eventual presence of hydrophilic constituent materials (those which are so since their original application, or have become so due to increased polarity resulting from oxidation phenomena); in the second case, because increased porosity and/or surface alterations (craquelures, losses, lacunae) have augmented the diffusion of water, allowing its penetration into the preparatory layers and the support, or in any case into layers susceptible of physicochemical modifications or variations of dimension or form. Control of the use of water is therefore often an absolute necessity, through limiting the quantity that may disperse over the surface, or be absorbed beneath it into the porosity of the various layers and support materials. A variety of intervention strategies are adopted for this purpose, in particular use of the compress or poultice. Various substances, either mineral or organic, are capable of increasing the viscosity of water and aqueous solutions when combined with them. These materials are usually further divided for practical purposes into two basic categories: those which may be defined as “supporting” agents, which only mix or swell in water (clays such as Sepiolite, or organic materials such as Cellulose pulps), and actual “gelling” materials, which dissolve completely in the water/solution. Perhaps the most common of the second group are Cellulose Ethers [2, 3]. It has been quite a few years that materials of this type derived from various sources have reached diffusion in the field of restoration. In particular, among the commercially available products appropriate for thickening water and aqueous solutions (there are in fact other types appropriate for use with less polar organic solvents), we may mention those based on Methylcellulose (MC), such as Tylose MH produced by Hoechst, Hydroxypropylcellulose (HPC), such as Klucel from Aqualon/Hercules, and Methyl hydroxypropylcellulose (MHPC), such as Culminal from Aqualon/Hercules. These substances offer undeniable advantages, for example: • they are readily available and economical; • simple to prepare; • usually form transparent gels, without any coloration of their own (obviously when speaking of products which guarantee a certain degree of purity, not the more brutal “wallpaper glues”); • generally well-lasting. Some of their most frequently noted disadvantages are: • their “limited” thickening capacity in proportion to the quantity of solid material necessary; obviously meaning by this that while 10-15% of thickener will permit obtaining a high degree of viscosity, at the same time so much gelling material will proportionately increase the possibility of leaving solid residue; • therefore, limited ability to retain water; • a certain degree of adhesive strength, which in certain cases depending on the surface typology, may constitute an obstacle to easy removal. More recently in the United States, a thickening material belonging to another chemical family was first proposed in the late 1980s by Richard Wolbers [4], and has been since adopted in restoration practice in our country as well [5, 6]. This is an acrylic based material, precisely Polyacrylic acid, generally known in the commercial form as Carbopol, produced by Noveon and available in various types (934, 940, 951, EZ10, Ultrez 10).

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At a concentration of just 1-1.5% (weight/volume), this gelling material is able to produce very high viscosities, even 40-50 times greater than those attainable with Cellulose Ethers. This material, however, gels only after (even partial) neutralization by means of a base: traditionally, Triethanolamine, or for certain applications in particular on paper materials, Ammonium or Sodium Hydroxides. In practical experience, this material generally gives the impression of being less “sticky”, and therefore more easily removable than Cellulose Ethers. The disadvantage in this case, however, is the fact that this is a decidedly ionic material, specifically acid (therefore incompatible with solutions having pH below 5.5-6). It therefore always requires a certain amount, although in certain cases minimal, of another component in the form of the alkaline substance to neutralize it. In this context, a material such as Agarose/Agar represents a further means of increasing viscosity of water and aqueous solutions to a very high degree, thus obtaining gels dense enough to permit being defined “rigid”. Of course, the positive aspect of exceptional water retention is counter-balanced by a sometimes decisive limit to their use. In fact, as opposed to the easy application (by brush, cotton swab, with a spatula, etc.) of traditional Cellulose Ethers or Polyacrylic Acid gels, which also allows them to be used on irregular surfaces, the relatively “rigid” Agarose/Agar gels require as flat a surface as possible to achieve uniform application and therefore contact. For this reason, treatment will generally be restricted to flat surfaces, and may be difficult to extend to three-dimensional objects. It is possible in the latter case to at least theoretically hypothesize taking a cast of the object itself, which will then permit creating a gel mold to be used for treatment, although it is difficult to imagine that a procedure as complicated as this could ever become part of actual daily restoration practice! Bibliography 1. R. WOLBERS. Un approccio acquoso alla pulitura dei dipinti, Quaderni CESMAR7, n. 1, Il Prato, Padua 2004. 2. R.L. FELLER - M. WILT. Evaluation of Cellulose Ethers for Conservation. The Getty Conservation Institute, Marina del Rey, California 1990. 3. L. BORGIOLI - P. CREMONESI. Le resine sintetiche usate nel trattamento di opere policrome, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 17, Il Prato, Padua 2005. 4. R. C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione italiana: R. C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato, Padua 2005 5. P. CREMONESI. L’uso dei Solventi Organici nella pulitura di opere policrome, Seconda Edizione, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 7, Il Prato, Padua 2004. 6. S. BERTOLUCCI - E. BIANCHINI - C. BIAVE - F. CALIARI - P. CREMONESI - S. GRAVINA - B. ZANGANI - M. ZAMMATARO. Preparazione e utilizzo di soluzioni acquose addensate, reagenti per la pulitura di opere policrome, Progetto Restauro, Il Prato, Padua 2001, 17, pp. 28-33.

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CHAPTER I GENERAL INFORMATION ON AGAR: HISTORICAL BACKGROUND, CHEMICAL STRUCTURE, AND PROPERTIES Agarose and Agar have found a great variety of uses and applications: first of all in the food industry, but also in medicine and biology (for example, as culture media for biological research, and for making precision dental moulds). The chemico-physical properties and the way this material functions have therefore been already well defined, so that this general description makes reference to widely divulged information [7-9, and cited bibliography]. Historical background and manufacturing Agar may be defined as a polysaccharide complex derived from marine seaweeds of the Gelidiales and Gracilariales orders. It accumulates in the cell walls of the agarophytes, imbedded in the fibers of crystallized Cellulose, thus forming an important reserve for the plant. For this reason, the Agar content of algae varies according to the season. This material is able to form highly viscous gels. Thanks to such colloidal properties, these gels have been used over the centuries in numerous fields, especially as a food additive. It is commonly held that it was first used by Tarazaemon Minoya1 in Japan, from where it widely expanded in the Orient between the 17th and 18th century. Its use therefore precedes that of other types of phytocolloids, such as alginates or carrageenans, discovered only in the last 200 years. In the West, the material first arrived as a component of Chinese foodstuffs, and was subsequently used in microbiology2; only in 1906, however, did Smith and Davidson thoroughly define the structure of Agar-producing raw materials and illustrate the tradition Japanese manufacturing processes, thus widening the fields of application. Modern industrial manufacturing of Agar by means of a freezing method dates from 1921, beginning in California (the largest Agar industry in the USA is still today the American Agar Company located in San Diego). During the Second World War it also began to be produced in Portugal and Spain. About two thirds of the Japanese manufacturers still use the traditional method relying on the winter season, while the remaining third employ mechanical means of reproducing the freeze-thaw cycle. In China, during the seasons when it is not possible to take advantage of natural atmospheric conditions, a substitute extractive method is used, based on diffusion and then press techniques to produce powdered agar. Today Agar is mainly extracted from red algae belonging to the orders of the Gracilaria (Gracilariaceae), Gelidium (Gelidiaceae), Pterocladia (Gelidiaceae), and Ahnfeltia (Phyllophoraceae). Among these, the most abundant source and the one most promising for the future is certainly Gracilaria, given the number of species (more than 150), their wide diffusion in temperate and subtropical zones, and relatively easy harvesting and extraction. Data relative to production of the material on a world-wide scale indicate that Japan holds first place, followed by Spain and Chile. Chemical structure The components of Agar were further analyzed between 1859 and 1938: they proved to be mainly units of D-Galactose and 3,6-Anhydro-L-galactose, accompanied by substitution groups, including Methyls, Sulfates, and Piruvates. Araki in 1937 emphasized the heterogeneous nature of Agar, and separated the composition into two different polysaccharides, Agarose and Agaropectin; in 1956, he defined the structure more precisely [10]. Subsequently, Agarose was seen to be composed of fractions of the disaccharide Agarobiose, formed linking 1,3-b-D-Galactopyranose to 3,6-Anhydro-a-L-galactopyranose through 1 4 glycosidic bonds (Figure 1). Agarose may therefore be formulated as in Figure 2. While Agaropectin seems to conserve this basic structure, it also contains numerous other groups, such as Sulfates, which make it an acid polymer. 1. Minoya is traditionally linked to the earliest known method of producing Agar, fundamentally based on the practically insoluble nature of the material when temperature is lowered. Extraction therefore takes place by means of freezing-thawing cycles. In fact, the Japanese name for Agar, Kanten, meaning cold season, derives from this. 2. For example, used as a culture media by Koch in 1882, for the famous experiment with tuberculosis bacteria.

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Since the 1960s, the structure of Agar has been further specified through instrumental testing, and in 1991, Lahaye e Rochas [11] affirmed the existence of various types of Agarobioses, whose structure is related to the genetic characteristics of the algae, as well as to ecological factors. These may be the composition of the substrate, the availability of nutrients, and the hydrodynamic conditions during growth. It is important to take all these factors into consideration, since many of the characteristics of Agar of interest to us, such as gelling temperature and solubility, depend on them. Gelation As mentioned above, Agar is composed of two types of polysaccharides, Agarose and Agaropectin; only the first fraction is responsible for gelation, because of its high molecular weight (100,000-150,000 Daltons), and low percentage of Sulfate groups (0.15%), which as we will see constitutes a characteristic which inhibits gelation. Agarose forms bonds known as ‘Hydrogen bonds’3: for this reason they are referred to as ‘physical gels’4. These are gels in which each molecule is independent from the others, since what we have is not an actual polymerization, but rather electrostatic attraction. This unique gelling property of Agar makes it able to retain enormous quantities of water in the macroreticulate structure formed (Figure 3). The water may therefore be released slowly into the support, which is ideal for applications such as ours entailing restoration of cultural heritage. The gelation processes of Agarose have been studied in 1995 by Medin [12]: similarly to Agarobiose, as we may see above, 1 3 bonds and 1 4 bonds alternate; this is precisely what permits the chains to link, taking on the form of double left helices (Figure 4). The two chains entwine so tightly that all spaces between them are closed, trapping water inside in a very effective way. Temperatures higher than “melting” temperatures (meaning by this the process by which the gel dissolves or liquefies) induce thermal agitation mechanisms which prevail over the tendency of the material to form the helices, so that it will be found in solution in the form of a random coil. During cooling, the double helix form predominates: the four terminations of the two chains do not take part in the formation of the helices, therefore remain in the coil form; this permits them to unite with other terminations, producing an extended three-dimensional reticulum of helices containing water. The number of free terminations in the form of statistical random coils determines the degree of reticulation and therefore also the strength of the gel. As may be seen in Figure 5, two processes co-exist during the formation of Agar gel, one or the other dominating according to the cooling speed: the first (Rees, [13]) shows the presence of two antisymmetrical helices (2a), which aggregate progressively until a macroreticulate structure is formed; in the second case (Foord e Atkins, [14]), two simple helices appear (2b) which unite by means of Hydrogen bonds to form folded structures (double symmetrical helixes), again finally arriving at the final macroreticulate stage 4. As previously mentioned, only the Agarose fraction is able to gel efficiently. What has already been said will clarify the reason for this: the presence of Sulfate groups in the Agaropectin are in fact “bulky”, to the point of inhibiting the formation of double helices; when instead these groups are absent, the result will be a more orderly and linear chain, with a greater capacity to form double helices. This contributes to increasing the final strength of the gel. In nature this process of addition-removal of Sulfate groups is utilized according to the environmental or trophic conditions: for example, if the alga is immersed in deep waters, Sulfate groups which constitute a negative factor for the forming of the double helices will be added, thus making the gels softer and allowing nutrients to permeate better. The situation will naturally invert when the alga is in a dehydrated condition or only wet by the washing of waves: in this case the Sulfate groups are removed to permit greater retention of water, thus also reinforcing the gel strength. One of the principle properties of Agar and Agarose gels is their reversibility: they in fact dissolve just by heating and gel again when cooled. This process may be repeated indefinitely, as long as there is absence of aggressive substances which might damage the Agarose molecules and partially hydrolyze them.

3. The Hydrogen bond forms between an H bound to an electronegative atom (in which H therefore has a partially positive charge) to another atom having a partially negative charge situated on another polar molecule, for example O. 4. Chemical gels instead form covalent bonds between the molecules of the polymer (this may be considered a true polymerization).

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Another important factor for characterizing gels is what is called gelling hysteresis, defined as the difference between the gelling temperatures (38°C)5 and the melting temperatures (85°C); this characteristic is closely linked to the quantity of Agarobiose present in the algae prior to extraction, and may reach 45°C. Agarose gels are also highly porous. The degree of porosity is measurable with a parameter called the exclusion limit (the greatest globular protein size that can traverse the gel in an aqueous solution), which in this case is 30,000,000 Daltons; the Agaropectin fraction instead will narrow the gel’s reticulum pores and consequently also reduce the exclusion limit. Other properties of Agar gel are its capacity for syneresis, connected to the possibility for it to eliminate water contained in the reticulum mesh. Water release is accelerated by pressure which may be opportunely applied to the surface of the gel: a 1% Agar or Agarose gel under such conditions is able to expel a considerable quantity of the water accumulated in the cavities, meaning the elimination of up to 95% of the water in which Agarose or Agar has been dissolved. If the residual gel is re-emerged in water, it will return exactly to its initial state, which means that the structure of the gel has been maintained during the period of water loss (gelling memory). Bibliography 7. R. ARMISÉN - F. GALATAS. Agar, in: PHILLIPS G.O.,WILLIAMS, P.A., Eds. Handbook of Hydrocolloids. CRC Press, Boca Raton, Florida 2000, pp. 22-40. 8. D.J. MCHUGH. A guide to the seaweed industry, FAO Fisheries Technical Paper 441, FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS, Rome 2003. 9. D.J. MCHUGH. Production and Utilization of Products from Commercial Seaweeds, FAO Fisheries Technical Paper 288, FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS, Rome 1987. 10. CH. ARAKI. Structure of agarose constituent of Agar-Agar, Bull. Chem. Soc. Japan, 1956, 29, pp. 43-44 11. M. LAHAYE - W. YAPHE - C. ROCHAS. 13CNMR spectral analysis of sulfated and desulfated polysaccharides of the agar, Carbohydrate Research, Volume 143, 1 November 1985, pp. 240-245. 12. A. MEDIN. Studies of structure and properties of Agarose. Ph.D. Thesis, Acta Universitatis Upsaliensis, 1995, 126. 13. I C.M. DEA - D.A. REES, Affinity interactions between agarose and b-1,4-glycans: a model for polysaccharide associations in algal cell walls, Carbohydrate Polymers, Volume 7, Issue 3, 1987, pp. 183-224. 14. S.A. FOORD - E.D.T. ATKINS. Polymer conformation: 1. Calculation and mapping of helical constraint surfaces for polymers with special application to polysaccharides, International Journal of Biological Macromolecules, Volume 2, Issue 4, August 1980, pp. 193-198.

5. The gelling temperature is the parameter according to which the various agarophytes from which Agar is extracted are classified It seems that the differences depend on the degree of methoxylation of C6 (the greater the degree of methoxylation, the higher the gelling temperature will be); the methoxylation of other Carbons atoms will instead reduce the gelling temperature and also the final gel strength.

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CHAPTER II EXPERIMENTAL PROCEDURE Aim of the research This study has been conducted following a two-fold aim. The first was to determine eventual differences between the gel obtained with Agarose and that based on Agar. As we have already seen, Agar is the more impure form of the two, and therefore has less gelling power. Verification was necessary since Agar would certainly be preferred over Agarose for application in the field of restoration, given its much lower cost. Secondly, it was very important to test whether application of either of these gels transfers any residual material (polysaccharides or other substances) to the porous supports. Such residues might in fact cause chromatic surface alterations over time, or accelerate decay processes through unforeseen physico-chemical reactions. The experimental procedure formulated to seek answers to these questions may be summed up as follows: • procuring of suitable inorganic sample supports; • after washing the supports, chemical identification of eventual organic or inorganic materials dissolved in the water used for washing; • application of the Agarose and Agar gels to the washed supports; • after gel application, crumbling of the supports, re-washing, and analysis of the water used for washing to evidence the eventual presence of materials coming from the gels. 1. Selecting the support material and preliminary washing Simple inorganic materials were chosen for use as sample supports. This aimed at making application parameters more replicable, by selecting materials with constant porosity, and at simplifying the analytical procedure for characterizing whatever materials might be present or eventually introduced. Simple ceramic plates with no finish or glaze, commonly used in the chemistry laboratory for drying crystallized precipitates, were chosen for the purpose. Preliminary washing of these supports was carried out with water and organic solvents (Chloroform, CHCl3, and Ethanol, CH3CH2OH), to eliminate the possibility that organic impurities or other materials present in the support material might influence the final analytical results. Washing with water was done by placing the plates in a glass container, emerging them for 2 hours in a known quantity (1 lt) of deionized water6. The container was double-boiled in water heated to 100°C, which brought the water inside the container to 58°C. After removal from the double-boiler, the sample plates were oven-dried at 105°C for 15 hours. They were then washed with organic solvents, Chloroform and Ethyl Alcohol. The solvents used for washing provided the concentrated material necessary for performing Fourier-transformed infrared spectroscopic analysis (FT-IR). The water used for washing was instead transferred to a crystallizer, and volume was simply reduced through controlled evaporation (without reaching the boiling point), again by placing the container in the double-boiler. Various passages reduced volume 10 times, from 1000 ml to 100 ml. The resulting residual water was analyzed by ion-exchange chromatography using a conductivity detector. 2. Preparation and application of Agar and Agarose gels The gels were prepared using materials having a good degree of purity. The specifications for these materials may be found in Appendix I. The gels were prepared putting 50 ml deionized water in a beaker, heated by double-boiler on a heated magnetic stirrer to a temperature of 80°C (measured with an immersion thermometer placed directly in the water in the beaker). At this point the previously weighed amount of material was gradually added: 0.75 g Agarose or 1.0 g Agar (Figure 6a). Heating continued another 10 minutes, mixing occasionally, until the material was completely dissolved (Figure 6b). The content was then poured into a crystallizer (diameter 55 mm), for a thickness of about 10 mm (Figure 6c), and was left to cool to room temperature without being touched, for about 1 hour 30 minutes.

6. The amount of deionized water initially contained in the crystallizer must be a known quantity, so that in the results of analysis the final concentration may be expressed as mg/l, and then volume reduced by evaporation about 10 times.

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The disk of gel thus formed was then carefully removed from the crystallizer, and applied to the porous plate (Figure 6d). As the water permeated the support, the forming of a precisely circular halo on the surface of the plate could be observed (Figure 6e). This halo was left to widen until it reached about 25 mm in diameter. Two such tests were made for Agar (AGAR2 and AGAR3), and two for Agarose (AGAROSE2 and AGAROSE3). In this phase, particular attention was paid to the time the gel disks took to release their water into the unglazed plates: to permit their comparison, the time taken by the capsules required to form a halo of 80 mm diameter was registered. Another parameter tested was the possibility to manipulate the disks, especially during removal from the sample supports. The time necessary for the disks to expand after application to the required dimensions varied: from 1 hour 30 minutes to 2 hours 40 minutes. The most important factor observed was that, independently from the time necessary, the disks produced a halo which expanded uniformly, both vertically (becoming visible on the rear face of the plate), and horizontally. Handling of the disks was another parameter to keep under control, especially during their removal from the support. 3. Extraction from the support and analysis to determine the presence of eventual residual gel material After gel application, the plates were cut into various sections, by simply exerting pressure after scoring with a paper cutter. Each section was then broken up into pieces, each smaller than one centimeter, placing the plate between two sheets of Teflon to avoid contamination. The fragments prepared for each of the four tests (AGAR2, AGAR3, AGAROSE2 and AGAROSE3) were put in separate beakers containing deionized water (300 ml), and boiled for 30 minutes, using a double-boiler and stirring with an explorer. Each content was then filtered through a glass filter, using a water vacuum pump to accelerate the operation. The volume of the liquid obtained was reduced through controlled evaporation, initially by double-boiling and then with the aid of a Nitrogen gas flow. The concentrated water from washing was analyzed using two different analytical methods: Fourier Transform Infrared Spectroscopy (FT-IR), and Gas Chromatography-Mass Spectrometry (GC-MS). For a brief description of the techniques and the operating parameters see Appendix II. Bibliography 15. I. SACCANI. Studio preliminare per l’utilizzo di gel rigidi di Agar e Agarosio nel restauro dei beni culturali. Dissertation thesis, Università degli Studi di Parma, Corso di laurea in Scienze e tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, Anno accademico 2005-2006.

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CHAPTER III RESULTS AND DISCUSSION 1. Preliminary washing of the plates The residue left from the water used for washing was analyzed by ion-exchange chromatography, using a conductivity detector, and the residue from solvent-washing by FT-IR analysis. These analytical techniques revealed the sole presence of inorganic components deriving only from the porous plate substrate. The sample supports were thus confirmed suitable for the research project as planned, given the absence of materials capable of interfering with the results of analysis aimed at characterizing eventual residue derived from application of the gels. 2. Procedure for preparing the rigid gels These materials, in particular Agar, are readily available today from a number of suppliers, including herbalists. It may prove difficult, however, to obtain precise information on these products, in reference to such important parameters as purity and gelling temperature. We therefore advise using materials which may be classified as chemical reagents, well specified such as those purchased from Fluka for this study. For Agarose, we initially used a concentration of 1% in weight/volume (AGAROSE1), also having relied on the information concerning gel strength contained in the technical specifications supplied by Fluka. Contrary to expectations, however, the resulting gel turned out to be too fragile for application; in fact, removal of the material left visible remains. We therefore decided to use a concentration of 1.5% in weight/volume, as previously referred. For Agar, instead, the ideal concentration was 2% in weight/volume. We would like to emphasize that our main reference point is the restorer of cultural property. The description of the procedure for preparation therefore refers to equipment that one can normally find in a restoration laboratory, often quite different from that typical of a chemistry lab! A normal electric hot plate may therefore be considered quite sufficient as a heat source, since in any case the danger of overheating is overcome by double-boiling. However, availability of a heated magnetic stirrer would prove to be very useful, since slight agitation of the solution facilitates preparation by shortening the time necessary. These gels are also commonly prepared in biology laboratories using microwave ovens. The containers which receive the hot solution, left to cool until gelling takes place, determine the “shape” of our rigid gels. Slightly flexible containers, for example those made of Polyethylene, will be useful in aiding detachment of the gel once it has formed (Figures 6f-g). A very interesting feature of these rigid gels is the fact that eventual residues may be re-combined (obviously only if they haven’t yet been applied and therefore have not absorbed extraneous substances). Heated again on the double-boiler until they “melt”, they can be poured out through a filter into a new form. This process may be repeated indefinitely. A microwave oven may prove to be very useful for “remelting” the various gels. Agar forms gels less pure than Agarose, apparent even to the naked eye: the disks are in fact yellowish in color and appear somewhat murky. However, the gel obtained has good consistency, and is easy to remove without leaving visible residual material. Agarose instead forms an almost completely transparent, colorless gel; at the concentration used (1.5% in weight/volume), the capsule results compact and easy to remove without leaving visible traces on the surface of the substrate. 3. Application of the rigid gels Once ready, both Agarose and Agar gels are easy to “handle”, although care must of course be taken, especially when detaching them from the containers in which they have formed: their intrinsic “rigidity” makes them somewhat prone to breakage. The little “tablets” can then be readily cut to the desired size with a surgical blade or a spatula. Considering their possible use in restoration, not only as “extreme” gelifiers, but also to obtain controlled humidification, we decided to evaluate the release times of the water into our porous supports. The Agarose gels formed the halo of the predetermined size in about 40 minutes; Agar instead took much more time to do so, an average of about 2 hours. The probable explanation is that Agarose does not contain Agaropectine, fraction which notably reduces the gel’s exclusion limit (see Chapter I): porosity is therefore greater, thus accelerating the water release.

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In any case, aside from the different rates of time for Agar and Agarose, in both cases the passage of water takes place uniformly as desired. It should be noted, furthermore, that even the rates of time recorded for Agarose are generally more than sufficient to allow the operator to maintain good control during application. 4. Analysis of residues extracted from the plates The most important phase of our study was to determine whether the Agar and Agarose rigid gels themselves diffused any material (polysaccharides or others) inside the porous supports, which might constitute potential contaminants for an art object. Detection of Sulfates Sulfate anion concentration were determined by ionic chromatography. Standard Sulfate anion samples, made with K2SO4 dissolved in milliQ filtered deionized water, were used to prepare the calibration curve. The eluent solutions of Sodium Carbonate (2.7 mM) and Sodium Bicarbonate (1.0 mM) were prepared dissolving the corresponding salts in milliQ filtered deionized water.

Table I. Sulphate analysis by ion chromatography.

Analysis (Table I) has evidenced that practically equal quantities of Sulfates were present in the plates treated with Agarose (which does not contain Sulfates) and in those treated with Agar (which does instead contain Sulfates). This means that the Sulfates detected should be interpreted as material contained in the porous plates themselves, and not released by the gelling materials used for treatment. It should not be surprising that the quantity of Sulfates found in the sample plates after Agarose and Agar gel application was less concentrated that that of the plates themselves, since the plates had already been washed beforehand, prior to application of the rigid gels FT-IR Analysis The spectra of the two basic materials, Agarose and Agar, in the form of powdered material used as is in KBr (Carlo Erba) tablets, were first measured. Comparison of the graphs (Figure 7) reveals that both samples show a broad band around 3410 cm-1, characteristic of the stretching of the OH groups, and another band at ~2900 cm-1, relative to the stretching of the C-H groups. The band at 1647 cm-1 is due partially to bonds of the intramolecular water, and in part to the presence of the Carboxyl group (-COOH). Much more characteristic of polysaccharide materials are the bands at ~1160 cm-1,~1080 cm-1 and at 930 cm-1 due to the stretching of the C-O bond. The residues obtained from evaporation of the water used for washing the plates after gel treatment were then analyzed. The spectra reported for Agar refer to Agar as such in KBr and to the residues from the water extracts relative to gel treatments AGAR2 and AGAR3. As can be seen in the graphs (Figure 8), the spectra of the residual material do not present the bands typical of polysaccharide materials; what we have instead are the bands corresponding to the inorganic residues coming from the supports: - ~1420- 873 cm-1: bands characteristic of Calcium Carbonate (respectively, stretching of the CO32group, and bending of O-C-O) - ~ 1020 cm-1: relative to Silicates (assymetrical stretching bands of Si-O-Si) - ~1110 cm-1- 620 cm-1: bands corresponding to Calcium Sulfate (respectively, assymetrical stretching of the group SO42-, and bending of the same group).

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Similar results were obtained in the case of Agarose, for tests AGAROSE2 and AGAROSE3 [15]. The data which results from the discussion outlined above confirm that no organic material in quantities sufficient for detection has permeated support, and that the only bands visible are those corresponding to the inorganic residues deriving from the plates. GC-MS Analysis The gas chromatograms obtained from the sample were compared with a standard mixture of simple sugars. As may be seen in Figure 9, the first sugar to undergo eluition is the internal standard, Sorbitol at 11.86 minutes, while Galactose, basic component of both Agar and Agarose gels, is the last to undergo eluition at 29.10 minutes. The chromatograms relative to AGAR2 and AGAR3 (shown in Figure 10) reveal no peaks corresponding to sugars. For this reason, it may be deduced that no polysaccharide material in detectable quantities has permeated the support. In the chromatograms related to Agarose samples, AGAROSE2 (Figure 11) and AGAROSE3, we may again see the presence of Sorbitol. In this case, however, we may also observe a peak, although weak, corresponding to Galactose, indicating that a very minute quantity of this material deriving from the gel has permeated into the porous plate. 5. Conclusions The aim of this study was to establish whether rigid gels based on Agar and Agarose are safe to use on such porous artifacts as easel paintings, without provoking migration of eventual residues of their own components. Analysis of the data confirmed that the gels are a satisfactory means of transferring humidity in a controlled and uniform way, without causing penetration of significant quantities of polysaccharides. Agar in particular has provided the most positive results. It did not leave any residue in the sample plates, as well evidenced by such a highly sensitive method as GC-MS. This is particularly interesting in the context of one of the aims of this study: comparison of the two materials to determine whether, considering its lower cost, Agar could be preferred over Agarose for conservation purposes. This made it necessary to verify if Agar’s lesser purity constituted a problem, creating the risk of organic substances permeating the support. Not only did this not occur, but testing revealed that the behavior of Agar for our purposes actually resulted superior to that of Agarose, because of its higher degree of water retention. Our research, although in the form of a preliminary study, also aimed at tracing guidelines for the preparation and subsequent application of the gels, indicating to those operating in the field of restoration safe and reproducible ways to use these materials. From a practical point of view, one of the first possible applications is to simply gel water. This rigid gel may in fact prove useful for treating certain, in this case obviously water soluble, surface materials: polysaccharides such as starch and vegetable gums (for example, gum Arabic), and protein-based materials such as animal glues. If the gel succeeds intrinsically in dissolving these substances, there may be no need to carry out further treatment such as washing/removal of matter. The gel must be thought of in this case simply as a “source of humidity”. This will be released gradually, so that contact time will be the sole factor to be kept under control. According to the requirements of the specific treatment, the gel may be left on for a limited amount of time, until the amount of water necessary to obtain the desired results has been released, or until the water has totally “discharged”. In the latter situation, what remains is a solid crust, which will be easy to remove because not adhered to the surface. Observation of the gradual coloring of the gel as it absorbs the dissolved materials is often used to verify its action. In other cases the surface material will not completely dissolve; for instance, this may occur when intrinsically hydrophilic substances have become less so with aging and oxidation, or have reticulated with other materials. In these cases the utility of the gel may be identified in the swelling of the material, enough to soften it and favor its removal with a bland mechanical action, using a dry or barely dampened swab or a surgical blade. This type of action therefore does entail treatment subsequent to gel application, but certainly of a far lesser sort than the washing procedure required when using traditional gels (Cellulose Ethers or Polyacrylic Acid), which tend to adhere to the surface. If instead of simply gelling water, we employ an aqueous solution containing acids/bases, chelating agents, or surfactants, it will be possible to obtain a more specific action on certain materials, respectively: • ionizing of acid/basic substances (animal glues, certain polysaccharides, especially when aged, lipophilic materials such as natural resins, oils, waxes, especially when aged and/or oxidized), by using bases or acids;

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• dissolving of insoluble salts (such as surface patinas composed of salts of fatty acids on oil paintings, or caseinates), by using chelators such as Citrates or EDTA salts; • emulsifying/dispersion of hydrophobic materials, both oily or fatty (oils and natural resins), by using surfactants. Application of this type of rigid gel may be considered an extreme variation of commonly used aqueous gel methods [16-19], needed either because the specific operation requires extremely localized action; or because the surface is unable to withstand even the slightest mechanical action, which would be inevitable to remove the residue left by treatment with such traditional gels as those based on Cellulose Ethers or Polyacrylic Acid. Agar and Agarose rigid gels are instead applied to the work in the form of little cushions, which do not adhere to the porous support and are therefore easy to remove. The operations necessary following their application are usually reduced to simple removal of the swollen surface material, if this has not already dissolved and been absorbed by the gel itself. The nature of these gels, however, also represents the main limit to their use: being intrinsically rigid, it may be difficult to obtain good contact on not perfectly flat surfaces. If the surface irregularities are limited, it may be possible to vary the thickness of the gel in order to overcome the difficulties, otherwise their application may prove impossible. It is possible to apply slight pressure to the gels, however taking into account that this accelerates water release. Enzyme solutions may also be gelled with Agarose and Agar, since the dimensions of the pores in the gel reticulate structure (see Chap. I) are large enough even to permit movement of the protein macromolecules of an enzyme. We therefore will be able to confer to the rigid gel the “hydrolytic action” supplied by Amylases, Proteases, and Lipases, effective respectively on starch and starch-based substances (for ex. flours), proteins (animal glues, albumen, Casein), lipids (siccative oils, fats, waxes) [20]. For use in this way, however, it will be necessary to slightly vary the preparation procedure: enzymes are thermolabile, and would therefore easily suffer decomposition during the phase of heating/boiling in the double-boiler. It will therefore be necessary to proceed as follows: prepare the rigid gel as already described, but using only half the amount of water (that is, 50 ml for 2 g of Agar, or 1.5 g of Agarose); the remaining half of the prescribed quantity of water, buffered to the correct pH, will be used to prepare the enzyme solution. After pouring the Agar/Agarose solution into the container for cooling, wait until temperature goes down to 45-50°C, before adding the enzyme solution pre-heated to 40°C. The mixture may then be left to complete cooling and to gel. During application of the “enzyme blocks”, the moderate heating (applied to both the enzyme itself and to the surface) required to achieve the optimum “physiological” temperature (37-40°C) for enzyme activity, will in any case be sufficiently far from the critical “melting” temperature of the gel itself. Regarding their conservation, it must be remembered that these gels are aqueous based materials, and therefore have an intrinsic tendency to develop mold. This necessitates a minimum of care during preparation (clean glassware), and in particular when handling, to avoid contamination of the fresh gel (use of gloves, clean implements, etc.). The gel blocks may be conserved indefinitely in the refrigerator, better after sealing the surface with a plastic membrane as further protection. Finally, it will be superfluous to point out the absolutely non-toxic qualities of these materials, as well as their total safety for the environment. Bibliography 16. R.C. WOLBERS. Cleaning Painted Surfaces. Aqueous Methods, Archetype Publications, London 2000. Versione italiana: R.C. WOLBERS. La Pulitura di Superfici Dipinte. Metodi Acquosi, Collana Maestri del Restauro, 1, Il Prato, Padua 2005. 17. R.C. WOLBERS. Un approccio acquoso alla pulitura dei dipinti. Quaderni del Cesmar7, 1, Il Prato, Padua 2004. 18. P. CREMONESI. L’uso di Tensioattivi e Chelanti nella pulitura di opere policrome, Seconda Edizione, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 10, Il Prato, Padua 2004. 19. P. CREMONESI. Un Approccio Metodologico alla Pulitura dei Dipinti, in: Lo Stato dell’Arte. Conservazione e restauro, Confronto di Esperienze, atti del I Congresso Nazionale IGIIC, Torino 2003, pp. 100-109. 20. P. CREMONESI. L’Uso degli Enzimi nella Pulitura di Opere Policrome, Seconda Edizione, I Talenti Metodologie, tecniche e formazione nel mondo del restauro, 4, Il Prato, Padua 2002.

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CHAPTER IV EXAMPLES OF APPLICATION TO RESTORATION A few examples of practical application of these rigid gels are described below, using Agar gel on actual paintings. 1. Madonna with Child. 15th century Veronese Master, oil on panel, property of the Galleria d’Arte Moderna - Villa Belgiojoso Bonaparte, Milan. The conservation problem to be faced in this case was removal of facing material, applied locally to the front of the painting with traditional animal glue. The water which this operation required given the nature of the adhesive was problematic, however, since the entire painted surface had been saturated with animal glue in past restoration interventions and appeared highly sensitive to humidity. High viscosity solutions gelled with Polyacrylic Acid (Carbopol) were considered too aggressive, as were water-in-oil emulsions having only 10% (in volume) of water dispersed in Petroleum solvents. An Agar gel, prepared as described above, was cut up into small sample cubes about 0.5 cm thick. These were placed on a facing, freely in contact with it. These small-scale tests allowed us to verify that after 20-30 seconds, sufficient transfer of water allowed the facing to be detached mechanically, using a surgical blade, without causing any alterations of the underlying or surrounding surface. At this point, the gel was cut more or less faithfully to the size and shape of the facings to remove, so that it was possible to treat each single facing paper entirely, with one application. The sequence of Figures12a-c show the phases of the operation and the painting after removal of the facings. 2. Holy Family. Unknown painter, oil on canvas, private collection. The painting was characterized by a variety of different layers, present both on the front (glues, varnishes, patinas), and on the rear (a composite mixture which proved sensitive to water and organic solvents, solubility tests showing the effectiveness of combinations having polarity beginning from Fd 56, near to Acetone). Testing showed that the high degree of polarity of the solvents required did not permit formulating emulsions capable of treating all the different materials to remove at once. It also became evident that the application of gelled aqueous solutions (using Cellulose Ethers or Carbopol), which would have been necessary to eliminate a sort of barrier effect which tended to contrast the solvent action, caused swelling of the canvas, probably as a result of the presence of hydrophilic protein-based materials. This situation therefore prompted the use of an Agar rigid gel. After testing various solutions, a little block of gel prepared with a solution buffered to pH 8, with the addition of a small quantity of Triammonium Citrate, was chosen. Application times were relatively lengthy, about one hour, and foresaw using a little sheet of Melinex placed with a small weight on top of the block in order to better contact. The swollen-up materials were then removed by means of a small pad of barely dampened cotton wool (Figures 13a-c). After waiting several hours, considered a prudent length of time, removal of any further residue was completed by applying an Acetone Solvent Gel for a few minutes. 3. Removal of remains of glues and glue-paste from a de-lined canvas. To remove these remains, a gel of deionized water alone was applied for about 15 minutes, then removing the swollen-up materials as described above (Figure 14). 4. Cleaning the rear of a canvas. In this instance the presence of a very consistent and compact layer suggested comparative testing of the following: an Agar gel of only deionized water, repeating identical treatment a second time on the left part of the test area (Figures 15a-c); a Klucel gel with addition of a chelating material (Triammonium Citrate), again partially repeating application (Figures 15d-e); and an Ultrez 10 Carbopol gel, neutralized to pH 8 with Triethanolamine, again with partial repetition of the same treatment (Figures 15f-g). This comparison permitted us to observe: • the most prudent action (the one which dampened the canvas less) was afforded by the Agar gel (in fact, we observed that the edges tended to dry first, resulting in insufficient humidification); • the action of removal continued by repeating the treatment, although this may not have been necessary;

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• the Klucel gel was efficient, also thanks to the presence of the chelating agent, but required more washing to remove residues; • the Carbopol gel was efficient in swelling up the material to remove, but also wetted the canvas more than Agar. Acknowledgments We wish to extend special thanks to Diane Kunzelman, Easel Painting Restorer at OPD, for the translation of this text. We would like to thank Dr. Maria Fratelli, conservator of the Galleria d’Arte Moderna - Villa Belgiojoso Bonaparte of Milan, for having permitted treatment of the Madonna and Child, and the restorer Davide Riggiardi from Milan for carrying out the work. Further thanks are due to Giuseppe Foroni, laboratory technician of the University of Parma, for his precious help in preparing the samples used for analysis.

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APPENDIX I MATERIALS AND EQUIPMENT Materials To complete information, the data relative to the raw materials used to prepare the gels are as follows: Agar 05040 FLUKA7 Transition temperature8: gel point ~35°C (1.5% solution) Gel strength9: >300 g/cm2 (1.5% solution) pH: 5-8 (50°C, 1.5% in H2O, 100°C/15 min.) Agarose 05068 FLUKA Transition temperature: gel point 34-37°C (1.5% solution) Gel strength: ≥1500 g/cm2 (1.5% solution) Anion traces. Chloride (Cl-): ≤3000 mg/kg; Sulfate (SO42-): ≤6000 mg/kg Cation traces. Ca: ≤500 mg/kg; Cd: ≤10 mg/kg; Co: ≤10 mg/kg; Cr: ≤10 mg/kg; Cu: ≤10 mg/kg; Fe: ≤10 mg/kg; K: ≤500 mg/kg; Mg: ≤10 mg/kg; Mn: ≤10 mg/kg; Na: ≤5000 mg/kg; Ni: ≤10 mg/kg; Pb: ≤10 mg/kg; Zn: ≤10 mg/kg Equipment Heating magnetic stirrer, Stirr, Velp Scientifica. Sulphate anion concentration were determined by ionic chromatography with a Dionex DX-100 Ion Chromatograph equipped with a IC column and guard column that can separate sulphate from potential interferences. A Dionex IonPac AS14 analytical column (250-mm × 4-mm i.d.) and a Dionex IonPac AG14 guard column (50-mm × 4-mm i.d.) were used in this evaluation. FT-IR spectra of samples in KBr pellets were recorded on a Nicolet-Nexus 5PC Fourier Transform infrared spectrophotometer (spectral range 4000-400 cm-1, 32 scans, 4 cm-1 resolution). The analyses of polysaccharides were achieved using a 6890N Network GC System coupled to a 5973 Network Mass Selective Detector (Agilent Technologies). A VF-5 fused-silica capillary column (30 m x 0.25 mm x 1 µm) coated with a 0.25µm film of Methyl silicone (5% Phenyl), FactorFour, Varian Inc. (USA) was used for the separation. Mass spectrometer parameters: solvent delay 3.00 min., detector temperature 208°C, source temperature 162°C, electron impact 70 eV, scan speed 1.5 scans/s in the m/z range 40-450.

7. Fluka: Sigma-Aldrich, s.r.l. - Via Gallarate, 154 - 20151 Milan, Tel. +39 (0)2 33417 310, customer service: +39 (0)2 33417 330, technical service: +39 (0)2 33417 340, Website: www.sigma-aldrich.com, E-Mail: itorder@europe.sial.com 8. The temperature at which an aqueous Agarose or Agar solution forms a gel as it cools. Agarose solutions exhibit hysteresis in the liquid-to-gel transition (see Chapter I), that is, their gel point is not the same as their melting temperature. 9. The force that must be applied to a gel to cause it to fracture.

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APPENDIX II EXPERIMENTAL SECTION To make the actual text more readable, neither the description of the analytical methods, nor a detailed description of instrumentation were included. Appendix 2 has therefore been supplied to briefly illustrate the basics of the various analytical methods. Fourier Transform Infrared Spectroscopy (FT-IR) Infrared spectroscopy is one of the most commonly used instrumental methods of analysis applied to objects belonging to the Cultural Heritage: because of its sensitivity, since it requires only a minute amount of sampled material; because it provides both qualitative and quantitative information on both organic and inorganic compounds. Moreover, samples for testing are easily prepared (by grinding solid samples with KBr to form pellets), making the method rapid and relatively economical._ Infrared radiation spans a range of the electromagnetic spectrum having wavenumbers (n) from roughly 12800 to 10 cm-1, or wavelengths (l) from 0.78 to 1000 ¾m; however, only medium infrared (MIR) _ (n 400-4000 cm-1 or l 2.5-25 mm) is generally used. Generally speaking, the theory of IR absorption can be summed up as follows: at temperatures above the absolute zero, the atoms’ position in the molecule are in continuous variation with respect to each other. The major vibrational modes are: - Stretching: changes in bond length - Bending: changes in bond angle. Infrared radiation does not have sufficient energy to cause electronic transitions: the molecule absorbs the radiation when the frequency of a specific vibration is equal to the frequency of IR radiation. When absorption occurs, the associated energy can be converted into vibrational motions. Analysis renders a spectrum, that is a diagram with absorption intensity10 (y-axis) in function of wavenumbers (x-axis). The main goal of this technique is to determine the different functional groups of the sample, which absorb characteristic frequencies of IR radiation. The identification of compounds is obtained by matching the spectrum of an unknown material with reference compounds from library spectra. Gas Chromatography-Mass Spectrometry (GC-MS) Gas chromatography is a separation method, in which the analytes are distributed over two phases, a gaseous mobile phase, and a solid stationary phase coating the column (a capillary tube) through which the gas flow is forced. The phases are chosen so that analytes show different solubility in each phase; as a result, the sample components are separated one from another as they travel through the capillary column. For complex molecules, the materials to be analyzed need to be broken into smaller blocks (hydrolysis reaction) before subjecting them to the separation procedure; furthermore, since the technique requires the volatility of the analytes, it is necessary for the sample to undergo derivatization. The mass spectrometer detector yields structural information for the anlaytes, and is characterized by high sensitivity and specificity. The analytical method produces a chromatogram, that is a graphic representation of the detector signals in function of the time at which the components elute. The time between sample injection and the appearance of the signal on the detector is called retention time (tR), while the peak area gives information about the abundance of the analyte in the sample. GC-MS is a destructive technique, useful for extremely precise identification of organic compounds or their mixtures present in the sample. When studying works of art, this technique is of particular use for identifying binding media (linseed, walnut and poppyseed oils, egg, milk, animal glue, vegetable gum,

10. Although absorption involves discrete energy levels, absorption bands rather than discrete lines are observed, because vibrational motion often combines with rotational movements.

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or combinations of substances), consolidating materials, adhesives, resins, and other organic materials composing the art object. It is therefore useful for defining the original artistic techniques, and to identify and characterize materials added during restoration. Sample preparation The sample is heated under vacuum at 40°C for 30 minutes to eliminate the hydration water then it is transferred to a tube with 10 µl of a 0.01M Sorbitol solution as the internal standard. - Hydrolysis reaction The sample is treated with 2M Trifluoroacetic Acid (3 ml) and maintained in a screw-cap tube for six hours at 100°C in an oil bath. Afterwards, the sample is dried under vacuum on a heating plate equipped with magnetic stirrer at 40°C. - Derivatisation procedure After evaporation to dryness, to the hydrolysed residue are added 60 µl of a solution 2:1 in volume of Ethanethiol (CH3CH2SH) and Trifluoroacetic Acid, and the mixture is kept at room temperature for 40 minutes. The solvent is then evaporated under vacuum, and the residue is dissolved in 50 µl of Pyridine, 30 µl of Trifluoroacetic Acid and 100µl of Hexamethyldisilazane (HMDS) and kept at room temperature for one hour. The solvent is then evaporated under vacuum, and the residue is dissolved in 0.2 ml of Hexane. 1µl of the resulting solution is used for gas chromatographic analysis. GC-MS conditions Helium carrier gas was set to flow 0.60 ml/min. The splitless injector was set to 280°C with a 30 seconds purge off time. The MS transfer line was set to 280°C. MS spectra were recorded in TIC (Total Ion Current, mass range 45-450). For the analysis of the monosaccharide derivatives, the GC oven temperature program was: 165°C for 0 minutes, 2°C/minute to 190°C, 1°C/min. to 210°C, 20°C/min to 235°C. The complete run takes 34.75 minutes and the injector was used in split and in splitless mode 0.2.

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APPENDIX III Anyone desiring further information about these gelling materials may consult the following bibliographical indications. E. BENSKIN - V. DAWSON V. The Conservation of a Japanese Painting, The East Asian Painting Conservation Studio, Smithsonian, Freer Gallery of Art and Arthur M. Sackler Gallery, Fall 2004. I.C.M. DEA. Industrial polysaccharides, Pure & App. Chem. 1989, 61, IUPAC, pp. 1315-1322. K. TRUUS - R. TUVIKENE - M. VAHER - T. KAILAS - P. TOOMIK - T. PEHK. Structural and compositional characteristics of gelling galactan from the red alga Ahnfeltia tobuchiensis (Ahnfeltiales, the Sea of Japan), Carbohydrate Polymers, 2006, 63, pp. 130-135, available on line at www.sciencedirect.com E. MARINHO-SORIANO. Agar polysaccharides from Gracilaria species (Rhodophyta, Gracilariaceae), Journal of Biotechnology, 2001, 89, pp. 81-84, available on line at www.sciencedirect.com B. MATSUHIRO - L.G. MILLER. Solubile Polysaccharides From Rhodymenia: Characterization By FT-IR Spectroscopy, Boletín de la Sociedad Chilena de Química, 2002, 47. K.A. ROSS - L.J. PYRAK-NOLTE - O.H. CAMPANELLA. The effect of mixing conditions on the material properties of an agar gel- microstructural and macrostructural considerations, Food Hydrocolloids, 2006, 20, pp. 79-87, available on line at www.sciencedirect.com A.F. BOCHKOV - G.E. ZAIKOV - V.A. AFANASIEV. Carbohydrates, VSP, Utrecht 1991. R.D. GUTHRIE - J. HONWYMAN. An Introduction To The Chemistry Of Carbohydrates, Oxford University Press, 1968.

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NOTE BIOGRAFICHE Antonella Casoli, Professore associato, insegna Chimica dei beni culturali, ed è presidente del Corso di Laurea in Scienze e tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Parma. È membro del Comitato Scientifico del Cesmar7. Elisa Campani, Dottore di ricerca in Scienze Chimiche, è titolare di assegno di ricerca nell’ambito della Chimica dell’ambiente e dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Parma. È Project manager del Cesmar7. Dal 2004 collabora al progetto internazionale “Organic Materials in Wall Painting”, con il Getty Conservation Institute (GCI) di Los Angeles. Paolo Cremonesi, chimico e biochimico con formazione anche nel restauro dei dipinti, lavora come libero professionista nel settore delle opere policrome mobili. È coordinatore scientifico del Cesmar7 di Padova e collaboratore esterno dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ilaria Saccani diplomata in restauro di dipinti antichi presso il CESVIP di Piacenza, si è laureata in Scienze e tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Parma. È Project manager del Cesmar7. Erminio Signorini, lavora a Verona come restauratore privato. È docente di restauro presso la scuola En.A.I.P. di Piazzola sul Brenta (PD). È vice-presidente e segretario del Cesmar7.

BIOGRAPHICAL NOTES Antonella Casoli, Associate Professor, teacher of Chemistry of Cultural Heritage, and Head of the Program in Science and Technology for the Conservation and Restoration of Cultural Heritage at the University of Parma. Also member of the Scientific Board of Cesmar7. Elisa Campani, Ph. D. in Chemistry, Research Fellow in Chemistry of the Environment and the Cultural Heritage at the University of Parma. Project manager of Cesmar7. Since 2004, collaborator of the international project “Organic Materials in Wall Painting”, with the Getty Conservation Institute (GCI) of Los Angeles. Paolo Cremonesi, Chemist and Biochemist, as well as trained in painting restoration, operating independently in the field of polychrome artworks on mobile supports. Scientific Coordinator of Cesmar7 in Padua and external collaborator of the Opificio delle Pietre Dure of Florence. Ilaria Saccani, has a diploma in antique painting restoration from CESVIP of Piacenza, and a degree in Science and Technology for the Conservation and Restoration of Cultural Heritage from the University of Parma. Project manager of Cesmar7. Erminio Signorini works as a private restorer in Verona. He is Professor of Restoration at the En.A.I.P. School of Restoration at Piazzola sul Brenta (PD), and Vice-President and Secretary of Cesmar7.

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INDICE | INDEX Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo I. Generalità sull’Agar: cenni storici, struttura chimica e proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo II. Procedura sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo III. Risultati e loro valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Capitolo IV. Esempi di applicazioni al restauro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendice I. Materiali e attrezzatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendice II. Sezione sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendice III. Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.

3 5 7 11 13 17 19 20 22

Figure | Figures . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 23 Preface . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Introduction . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Chapter I. General information on Agar: historical background, chemical structure, and properties . p. Chapter II. Experimental procedure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Chapter III. Results and discussion . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Chapter IV. Examples of application to restoration . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendix I. Materials and equipment . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendix II. Experimental section. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. Appendix III. Bibliographical indications. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.

31 33 35 39 41 45 47 48 50

Note biografiche | Biographical notes . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 51


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