Miseria e nobiltà

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Questa piccola brochure nasce dall’interesse dimostrato all’omonimo incontro con la cittadinanza svoltosi venerdì 27 ottobre 2023 presso la Sala delle Muse - Palazzo della Corgna a Città della Pieve.

Tiziano Berlingieri

In Epicuro troviamo che i sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati. La scala gerarchica degli alimenti nel Medioevo prevedeva, però, che i prodotti della terra fossero riservati ai contadini e ai salariati; quelli esotici, come le spezie, caratterizzavano le tavole dei signori o delle grandi abbazie.

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Spezie Noce Moscata

Visto che, nella storia quelli che hanno più roba da mangiare che appetito fanno da contrappeso a quelli che hanno più appetito che roba da mangiare, a riempire lo stomaco dei poveri erano gli ortaggi ed i legumi, spesso impreziositi da quelle erbe aromatiche, “res nullius”, quindi utilizzate dalla classe popolare, con le quali le nostre massaie hanno creato piatti straordinari. L’alto costo del pepe, ad esempio, giustificò, in Toscana, l’uso del finocchio negli insaccati, creando quelle prelibatezze che sono la finocchiona e la sbriciolona.

Finocchio selvatico

Erano le verdure, i legumi, gli ortaggi, il cibo dei poveri. Del resto “lattuga” deriva dal latino lactuca (da lactis), l’etimologia ci indica come la verdura fosse qualcosa di più che il semplice contorno che intendiamo oggi. Chi poteva permettersi le spezie (è credenza diffusa ma sbagliata, che servissero a nascondere il cattivo sapore ed odore dei cibi) riceveva invece una patente di nobiltà e ricchezza. Lo zafferano dà il colore dell’oro, che è inossidabile e quindi simbolo dell’eterno e, di conseguenza, del divino. Il pepe di Guinea era definito addirittura “grana paradisi”. La cannella entrava tra le componenti della “Tiriaca”, la mistura di spezie ed erbe dalle supposte virtù miracolose.

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Le spezie e le erbe aromatiche sono ricche di principi attivi dalle forti proprietà terapeutiche, farmacologiche, psicotrope. La leggenda vuole che il Piacentinu Ennese, prodotto d’eccellenza D.O.P., oggi tutelato da un rigido disciplinare, sia stato creato come farmaco per la depressione di Adelasia marchesa del Vasto, giovane terza moglie dell’ormai anziano Ruggero I, unendo degli stigmi di croco al latte ovino. Non era solo una credenza, oggi, molti studi riguardano l’azione dello zafferano sui neurotrasmettitori (Pharmacopsychiatry. Luglio 2017. Crocus sativus L. versus Citalopram in the Treatment of Major Depressive Disorder with Anxious Distress: A Double-Blind, Controlled Clinical Trial). Una grande varietà di spezie hanno, infatti proprietà “nutraceutiche”, termine coniato nel 1989 da Stephan de Felice ed è la combinazione tra “nutrizione” e “farmaceutica“ per definire “gli effetti positivi offerti da un alimento (o parte di esso) per il benessere e la salute, inclusi la prevenzione e il trattamento delle malattie.”

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Zafferano

Quando s’impose, nel XVII secolo, il modello di cucina francese portò ad una rivoluzione degli stilemi, ovvero una profonda frattura delle peculiarità distintive: la “naturalità dei sapori” si oppose agli artifici dei cuochi di corte medioevali e rinascimentali. L’uso delle spezie decadde, prese piede quello delle erbe aromatiche. La cucina popolare, che nasce dalle mani delle donne nelle proprie case, non ha suscitato ingiustamente l’interesse degli storici, mentre la sola gastronomia degli uomini delle corti è stata studiata e divulgata attraverso la memoria dei suoi principali interpreti. La grandezza della nostra gastronomia la dobbiamo, invece, all’umile silenziosa sapienza delle massaie. Il lessico gastronomico che vogliamo tramandare è la valorizzazione dei sapori originali, una nuova definizione di “qualità” e “identità territoriale”, il superamento della differenza tra mangiare e nutrirsi. Picasso affermava che ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, ma ci sono altri che trasformano una macchia gialla nel sole. Le nostre massaie sono riuscite nello stesso intento trasformando gli ingredienti, anche poveri, in note di una sinfonia sublime.

Festival di Bhandara dove ci si cosparge di curcuma

Spezie Miste

Riccardo Testa

Numerose sono le piante che meritano di essere chiamate nobili, parola che deriva dal latino noscere, quindi piante note, illustri, ricche di virtù, ma a volte anche di pericoli.

La prima che contiene nella nomenclatura scientifica l’appellativo in questione è il Laurus Nobilis, o alloro, caro ad Apollo, dopo la trasformazione della ninfa Dafne nella sacra pianta, per non essere posseduta dalla sua bramosia. Così i romani incoronavano i condottieri reduci da vittoriose battaglie, e ancora oggi i nostri giovani laureati indossano coroncine di alloro per il traguardo raggiunto. Ma le virtù dell’alloro non si fermano qui, in cucina si usa per insaporire sughi e carni, come i fegatelli di maiale, per deliziosi infusi idroalcolici digestivi, e in tisane benefiche, infatti tra le proprietà acclarate troviamo quelle astringenti, diuretiche, stimolanti dell’appetito e digestive, inoltre è antinfiammatorio e abbassa il colesterolo cattivo. Ancora le foglie essiccate e poste in sacchetti tra la biancheria, allontanano le tarme! Attenzione a non confondere l’alloro con il lauroceraso, dalle foglie simili, ma senza il profumo caratteristico, e tossico per la presenza di acido cianidrico.

Alloro Lauroceraso

Altra pianta blasonata è l’Hepatica Nobilis, o erba trinità, una ranuncolacea dalle foglie tripartite, che ha proprietà antispasmodiche (attenua gli spasmi muscolari e rilassa il sistema nervoso) è diuretica e sedativa, peraltro è una pianta tossica come altre ranuncolacee, quindi va utilizzata con attenzione, con dosaggi controllati da un buon naturopata. Si utilizzano le foglie, i fiori sono violacei a sei petali.

Ancora abbiamo la camomilla romana, o Anthemis Nobilis, nota per le sue capacità calmanti e analgesiche (mal di testa, di denti, dolori muscolari) è antisettica, antinfiammatoria, digestiva, tonica del fegato, antimicrobica, antiulcera, antistress e ansiolitica, utile contro l’insonnia, in più risolutiva per eczemi cutanei, dermatiti, micosi e trattamenti della cute e dei capelli con proprietà schiarenti. Ancora una pianta degna di essere conosciuta ed utilizzata, come dicevamo “illustre”!

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Hepatica Nobilis Hepatica Nobilis

E sono tantissime altre tra piante e funghi a rappresentare miseria e nobiltà. A Città della Pieve è notissimo lo zafferano del Perugino, dalle innumerevoli virtù sia in campo alimentare, sia per le capacità tintorie di stoffe e in opere d’arte, sia per le numerose proprietà farmaceutiche, il Crocus Sativus, è digestivo, sedativo ed antispastico, antiossidante e dimagrante. Sono stati avviati studi per la cura della gravissima malattia di Alzheimer e per il morbo di Parkinson. Nella medicina indiana viene utilizzato per il trattamento di bronchiti, mal di gola, di testa, febbre e vomito. Pure va prestata grande attenzione per la sua tossicità ma per fortuna il prezzo elevato (10-30 euro al grammo) ne limita il pericolo: 10 grammi provocano l’aborto, 20 grammi la morte! 1 grammo al giorno è invece benefico. In Cina lo zafferano simboleggia cuore felice.

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Anthemis Nobilis

E c’è una pianta simile, il colchico (Colchicum Autumnale) con fiore di colore e forma simile che viene scambiato a volte per zafferano e a volte per aglio ursino (le foglie), tra i vegetali la sua assunzione rappresenta la prima causa di morte in Italia; per un bambino meno di due grammi, per un adulto circa cinque-sei. Per evitare problemi bisogna conoscere accuratamente le piante e saperle riconoscere se si vogliono raccogliere per gli usi culinari o erboristici.

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Zafferano

Poi ci sono le piante aromatiche di uso frequente in cucina, come il rosmarino, la salvia, il timo, la menta, il basilico ed altre, sono tutte piante “officinali”, cioè utilizzate anche nelle officine erboristiche per le numerose proprietà antisettiche, antibiotiche, antiossidanti, astringenti, antisudorifere, carminative (contro le fermentazioni intestinali), digestive, aperitive, ematopoietiche (come il timo che favorisce la produzione di globuli rossi), tanto che mentre si mangia ottimo cibo insaporito da queste spezie, si fa prevenzione e cura di numerose malattie del nostro corpo. Cicerone asseriva: ”Non può mancare una pianta di salvia nell’orto del saggio”, infatti la parola salvia (Salvia Officinalis) deriva dal latino salus, ovvero salute. Peraltro essendo così potenti, quasi tutte vanno utilizzate senza eccedere, per evitare effetti tossici. A proposito del timo, che inoltre è antielmintico (capace di uccidere ed espellere i vermi intestinali), antifungino, antispasmodico, deodorante, tonico ed analgesico, dobbiamo dire che è un componente essenziale della famosa ribollita, il “pepolino” (Thymus Serpyllum) indispensabile erba aromatica da distinguere dal timo comune o timo maggiore (Thymus Vulgaris), pure prezioso per le sue analoghe proprietà ed usi in cucina. D’altronde il nostro amato prezzemolo (Petroselinum Crispum), concentrato in decotto è abortivo, con il pericolo di morte per blocco renale a dosi massicce. L’equilibrio nell’uso delle piante aromatiche è importante.

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Rosmarino Rosmarino in fiore
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Salvia Timo Timo Serpillo Menta Basilico Prezzemolo

Per chi non la conoscesse, voglio fornire la ricetta della ribollita ispirata dal famoso libro di ricette “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891) di Pellegrino Artusi e da mia nonna Marina di Chiusi. La base è la “zuppa di magro alla contadina” n. 58, in diverse varianti a cura del sottoscritto.

Ingredienti: Pane integrale raffermo g. 400-500

Fagioli cannellini (o borlotti) g. 300

Olio extravergine di oliva g. 100

Acqua 2 litri

Cavolo cappuccio o verza, circa g. 500 (mezza palla)

Cavolo nero, uguale quantità o anche di più

Una patata media (g. 150 circa)

Un mazzo di bieta circa g. 500

Mezza cipolla media, due spicchi d’aglio, sedano, carota, prezzemolo, basilico, rosmarino, sale e pepe

Un cucchiaio di concentrato di pomodoro o tre di passata

Eventuali cotiche di prosciutto o di guanciale

Preparazione: mettere a bollire i fagioli con le cotiche in acqua fredda e un rametto di rosmarino, meglio se ammollati 12 ore prima; nel frattempo tritate cipolla, aglio, prezzemolo, basilico, carota e fate soffriggere a fuoco basso per 10 minuti, poi aggiungete gli erbaggi tagliati grossolanamente, la patata a tocchetti e il pomodoro, salate e pepate secondo gusti; quando i fagioli saranno cotti, aggiungeteli, una quarta parte interi e gli altri frullati, all’acqua di cottura e le eventuali cotiche, fate cuocere ancora un poco per amalgamare il tutto, assaggiate e regolate il sale (nella prima salatura non abbondate, meglio sciapo che salato).

Ora ci sono due possibilità, o versare la minestra sul pane raffermo tagliato a fette sottili in una zuppiera e dopo una ventina di minuti servirla, oppure in una teglia disporre un primo strato di pane a fette, sopra la zuppa e parmigiano grattato, un secondo strato di pane e la restante zuppa e ancora parmigiano, infornare a 200 gradi una ventina di minuti in forno statico sopra e sotto, fino a formare una doratura, e servire dopo altri 10 minuti riposata non bollente, dovrebbe bastare per 6-8 persone. Buon appetito!

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Tra le prime piante curative conosciute grazie alla mia famiglia, ricordo fin da piccolo l’uso da parte di mia nonna (classe 1904) della malva (Malva Sylvestis) come antinfiammatorio per gengiviti e affezioni della bocca, ma anche espettorante in caso di tossi e bronchiti, grazie alle mucillagini contenute, ottima aggiunta a minestroni di verdure o comunque per tisane benefiche senza particolari controindicazioni, emolliente e blando lassativo, utile nei calcoli renali, affezioni urinarie, comunque protettivo delle mucose, calmante generale. Cicerone la consumava tutti i giorni in insalata, Orazio scriveva “a me bastano per nutrirmi un po’ di olive, di cicoria e malva fresca”.

Ancora nei miei ricordi familiari mio nonno (1902) mi raccontava che da giovane preadolescente, insieme ai suoi amici a Genazzano, nei pressi di Roma dopo Palestrina, raccoglieva l’erba di San Giovanni fiorita, infilandosela nelle narici, e prendendosi vicendevolmente a pugni sul naso mentre recitavano questa filastrocca: “erba di San Giovanni, erba di San Giovanni, facce sortì fora er sangue a tutti quanti”. Io all’epoca del racconto ugualmente preadolescente non riuscivo a capire

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Malva

la follia di quei comportamenti, e il nonno non sapeva darmi spiegazioni razionali, se non che interrogato sul dolore sicuramente provocato, mi rispondeva che era pochissimo, e che il sangue poi si fermava subito e non avevano ulteriori conseguenze negative. Solo dopo molti anni feci la scoperta che la pianta in questione era l’iperico (Hypericum Perforatum), con il quale si ottiene nel periodo del solstizio d’estate (San Giovanni si celebra il 24 giugno), un prezioso oleolito mettendo in infusione le sommità fiorite in olio extravergine di oliva, per circa un mese possibilmente al sole o comunque al caldo, utilissimo per ustioni, irritazioni cutanee, herpes, avendo proprietà analgesiche spiccate, cicatrizzanti, emostatiche. Ecco perché ai ragazzi di Genazzano non capitava nulla di male. Inoltre va considerato che fosse un rito di passaggio all’età adulta dimostrando forza e resistenza al dolore, ed ancora per le tradizionali presunte proprietà magiche come scacciadiavoli, così quel sangue cattivo rappresentava il demonio che usciva dal corpo, infatti i contadini appendevano un mazzetto di iperico dietro la porta di casa per tenere lontano il maligno! Utilizzato anche come antidepressivo, ha però un effetto fotosensibilizzante, causa fastidio visivo in esposizione alla luce nell’uso prolungato.

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Iperico Iperico fiori

Tra le erbe di San Giovanni c’è l’artemisia, cara ad Artemide divinità greca, Diana per i Romani, un genere declinato in diverse specie, la più famosa è l’assenzio (Artemisia Absinthium) con cui si faceva e si fa ancora un liquore verdissimo ad alta gradazione (60 gradi) utilizzato alla fine dell’Ottocento dai Poeti Maledetti, detto anche la Fata Verde, dalle presunte proprietà psicoattive e tossiche. In realtà sarebbe l’alcol la sostanza più tossica, anche il vermut, che in tedesco vuol dire assenzio come altri liquori amari lo contengono, il genepì si ottiene da infusione idroalcolica di Artemisia Umbelliformis e altre.

Nell’Apocalisse 8,11 leggiamo: La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque Si mutò in assenzio e molti uomini morirono per Quelle acque perché divenute amare.

Curiosamente la parola Cernobyl, città dell’Ucraina settentrionale, legata tristemente al peggior disastro nucleare nel 1986 per l’incidente alla centrale omonima, significa erba nera, il nome in russo per l’Artemisia Vulgaris, un’altra specie di questo controverso genere, pure affine all’Artemisia Verlotorum spontanea in zone umide.

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Artemisia Absinthium Artemisia Umbelliformis

Anche il dragoncello, Artemisia Dracunculus e l’abrotano (Artemisia Abrotanum), sono coltivate per usi in cucina, liquoreria ed erboristeria.

Voglio raccontarvi un altro aneddoto a me accaduto diversi anni fa, all’inizio del nuovo millennio, durante un’escursione sul Montarale, rilievo di 857 metri sopra il livello del mare, nei pressi di Montegabbione. Arrivato sulla sommità, incontrai un terzetto di anziani di 250 anni in tutto, due uomini ed una donna che si chiamava Artemisia, nome femminile ormai obsoleto; aveva 88 anni, ma non aveva perso la dote della simpatia e la capacità comunicativa. Le chiesi se conosceva la pianta

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Artemisia Vulgaris Artemisia Verlotorum Artemisia Abrotanum Artemisia Dracunculus

che dava origine al suo nome, e lei candidamente mi rispose di no; allora feci una corsa per raggiungere un luogo distante circa 300 metri dove avevo visto un bel gruppo di artemisie. Tornato da lei le mostrai le simpatiche erbette; non potrò mai dimenticare l’espressione di divertita meraviglia della vecchietta come quella di un bambino che scopre la cioccolata! In tutta la sua lunga vita non aveva mai avuto l’occasione di conoscere la sua omonima pianticella.

Piante nobili, degne di essere conosciute per le eccezionali caratteristiche della loro storia.

Vituperata e amata, mai adeguatamente apprezzata, dobbiamo menzionare la “povera” ortica, (Urtica Dioica), eccellente remineralizzante soprattutto ferro, ma anche calcio, potassio, fosforo, magnesio, sodio e zinco; contiene un complesso multivitaminico: A, B1, B2, B3, B6, B9 (acido folico), C e K. Le proprietà sono svariate, antinfiammatorie, diuretiche, antiossidanti, antimicrobiche, analgesiche, antireumatiche, astringenti, depurative, antianemiche (ematopoietiche), emostatiche. Altroché povera! Ricchissima e utile anche nell’orto, il macerato acquoso di ortica, è utilissimo per difendere le piante da vari parassiti e al contempo agisce da fertilizzante. In cucina poi è beneamata, appena scottata in poca acqua e strizzata, avendo cura di bere il benefico liquido prodotto, può essere utilizzata per eccellenti frittate, ripieni di ravioli e torte rustiche, anche associata a bieta e spinaci, o direttamente inserita in ottimi minestroni. Si raccolgono le sommità più tenere, proteggendo le mani con guanti o un sacchetto di plastica. Per difendersi dai numerosi pretendenti ha dovuto pungere un po’ respingendo gli aggressori, ma ricordo pure che in una nota trasmissione di Maurizio Costanzo una ventina di anni fa, un architetto cinquantenne accompagnato dalla mamma ottuagenaria, raccontò come entrambi in costume da bagno si dovevano rotolare nell’ortica, su costrizione della spartana genitrice, per fortificarsi, dato il noto effetto rubefacente (che provoca arrossamento) del vivace vegetale!

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Ortica

Per fare gli gnocchi o la pasta verde, ai tradizionali impasti basta aggiungere l’ortica bollita e ben strizzata, poi sminuzzata finemente (circa un quinto degli impasti) procedendo per il resto come al solito.

Un altro supervegetale sicuramente è la bardana, Arctium Lappa, la conosciamo tutti per i suoi frutti che basta sfiorare perchè si attacchino ai vestiti o al vello degli animali e ha grandi foglie lungamente picciolate e allungate. Osservando la caratteristica di questi frutti che hanno elaborato questa strategia per disseminarsi a distanza, qualcuno ha fatto la sua fortuna, brevettando il velcro. Con strisce sintetiche di nylon opportunamente realizzate l’ingegnere svizzero George De Mestral, dopo una passeggiata in montagna nel 1941 con il suo cane il cui pelo era intrecciato dai curiosi frutti e dopo osservazioni al microscopio e vari esperimenti, commercializzò la chiusura

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a strappo più famosa al mondo, ormai universalmente utilizzata. La stessa pianta ha usi eccellenti in cucina ed erboristeria, la radice di bardana è utilizzata in Giappone nella cucina macrobiotica e in varie parti del mondo compreso il nostro bel Paese, per minestre gustosissime dal sapore che ricorda il carciofo, ma più gradevole con retrogusto piacevolissimo. Anche i giovani piccioli delle foglie sbollentati possono essere usati per frittate e zuppe, ma l’uso più virtuoso della bardana è in erboristeria per le sue eccezionali proprietà come depurativo, curativo di svariate affezioni della pelle, è antibatterica, antibiotica, antimicotica, antiossidante, antinfiammatoria, diaforetica (abbassa la temperatura in caso di febbre) abbassa il colesterolo cattivo e la glicemia nel diabete, ancora è tonificante, epatoprotettiva ed emolliente, normalizzante del sebo cutaneo e contrasta la cellulite! Insomma una panacea che merita titoli nobiliari di alto lignaggio, principessa o regina tra le piante curative.

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Bardana

Una famiglia tra miseria e nobiltà è sicuramente quella delle solanacee, a cui appartengono patate, peperoni e pomodori, ma anche specie pericolosissime come l’erba delle streghe, lo stramonio (Datura Stramonium), dai bellissimi fiori a tromba bianchi, gialli o rosa, diffusa in molti giardini, ma dagli effetti allucinogeni che a dosaggi impropri causa cecità temporanea, ma anche la morte per eccessiva alterazione cardiaca e respiratoria. Veniva fumata per curare l’asma, altre due piante magiche della stessa famiglia, ugualmente pericolosissime, ma usate anche per cure omeopatiche sono il giusquiamo (Hyoscyamus Niger) e la belladonna (Atropa Belladonna).

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Datura Stramonium Hyoscyamus Niger Atropa Belladonna

Anche lo sconfinato regno dei funghi è ricco di nobiltà e miseria, tante luci brillanti, ma pure ombre nerissime.

Per cominciare esploriamo il mondo delle amanite, un genere tra eccellenze e pericoli estremi.

Tutti conoscono l’ovolo buono, la cui forma giovanile è ottima anche cruda in insalata, magari condita con un filo di olio di oliva extravergine, qualche scaglia di parmigiano e gocce di limone, l’Amanita Cesarea, il fungo dei cesari con quel sorprendente contrasto cromatico tra il bianco candido del gambo e della volva e l’arancio del cappello, purtroppo viene scambiato per la mortifera Amanita Phalloides o tignosa verdognola, che nella forma giovanile di ovolo malefico costituisce la prima causa di morte tra i funghi. Altre amanite sono commestibili o tossiche con diverse sfumature, la muscaria dagli effetti allucinogeni, un tempo ricercata e di grande valore specie per le popolazioni dei tungusi e dei corieci nella penisola Kamciatka a nordest della Russia, dove si arrivava a barattare un buon esemplare di Muscaria con una renna, l’Amanita Vinata, tossica cruda e ottima debitamente cotta, e altre tra mortali e commestibili che è bene conoscere in tutte le loro caratteristiche, per non incorrere in seri guai e gustare piacevolissime pietanze in tranquillità.

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Amanita Cesarea Amanita Phalloides Amanita Muscaria

Un fungo straordinario è sicuramente il Ganoderma Lucidum, un fungo legnoso non commestibile, ma dalle virtù incredibili: in Giappone si chiama Reishi o fungo dell’immortalità, in Cina è il Lingzi o fungo dello spirito, nella farmacopea della medicina tradizionale cinese è tra i dieci rimedi più potenti per curare svariate malattie, contiene circa 400 sostanze bioattive capaci di attivare le difese immunitarie e contrastare malanni di ogni tipo, è analgesico, antiallergico, antinfiammatorio, immunostimolante, antibatterico, antitumorale, antivirale, antiossidante, vitaminizzante, ipocolesterolomizzante, antiglicemico, regolatore della pressione, antineurodegenerativo, dimagrante, sedativo e calmante. Si utilizza polverizzato in capsule o infusi, con dosaggi prescritti da naturopati per ottenere i migliori risultati.

Lungo il torrente Caina, un affluente del Nestore durante un’escursione nel 2018, ho rinvenuto un eccezionale esemplare di ganoderma del diametro di 29 centimetri, del peso fresco di 420 grammi, attualmente collocato nel Museo di Storia Naturale e del Territorio di Città della Pieve al Piano Nobile di Palazzo della Corgna.

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Nello stesso Museo possiamo trovare un grande esemplare di un altro fungo legnoso che l’uomo utilizza da oltre 200mila anni per accendere il fuoco, ma non solo, si tratta del Fomes Fomentarius o fungo dell’esca. Un nostro amico e collaboratore esperto di archeologia sperimentale, accende il fuoco con una lanugine di questo fungo in un paio di minuti, la mummia di oltre 5000 anni dell’uomo di Similaun, Otzi, aveva con sé quattro pezzi di questo fungo per accendere il fuoco, ma le proprietà non si limitano a questo uso, è anche un antivirale, antitumorale, disintossicante, immunostimolante e blandamente allucinogeno.

Formes Formentarius

Tra i funghi autunnali “nobili” dobbiamo menzionare le trombette dei morti, (Craterellus Cornucopioides) così chiamate perché i primi esemplari spuntano ai primi di novembre, buone cucinate fresche in frittate o salse per pastasciutte, oppure essiccate e polverizzate, da usare direttamente come il pepe dovunque sia utile, vengono così chiamate “il tartufo dei poveri”. Ancora un’altra eccellenza autunno-inverno è costituita dagli ordinali (Clitocybe Geotropa) così detti poiché crescono in file ordinate, ma possiamo trovare anche la “mamma degli ordinali” (Clitocybe Nebularis) un fungo aromatico grigiastro, con tossicità ad accumulo, vanno consumati non ripetuta-

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mente e in modesta quantità, buoni anche sottolio. Curioso e da usare con discernimento per il suo forte gusto e profumo di anice è il (Clitocybe Odora), detto infatti fungo dell’anice tra fine estate ed autunno, mentre il giallastro ocraceo fungo dell’olivo (Clitocybe Olearia) è tossico. Dobbiamo ricordare ancora una volta che una conoscenza approfondita delle specie vegetali o fungine, è non solo necessaria, ma obbligatoria per non incorrere in guai serissimi!

Cornucopioides Clitocybe Geotropa Trombette dei Morti Ordinali

Clitocybe Nebularis Mamma degli Ordinali

Craterellus

Clitocybe Odora Clitocybe Olearia Fungo dell’anice Fungo dell’olivo

Tra le piante grasse o succulente, numerose hanno rilevanti proprietà curative e sono utilizzabili anche in cucina, forse la più famosa è l’aloe, Aloe Vera, ma il genere annovera numerose altre specie dalle proprietà similari. Il succo gelatinoso dell’aloe viene ampiamente utilizzato fin da tempi remoti, dagli egizi anche per l’imbalsamazione, da cui pianta dell’immortalità, e per la cura e l’igiene del corpo, e come cicatrizzante, viene citata più volte nella Bibbia, attualmente viene utilizzata per trattare le ustioni, ma le proprietà sono veramente molteplici, rigeneranti, cicatrizzanti, antinfiammatorie, idratanti, analgesiche, funghicide, virostatiche, antibiotiche, emostatiche, lenitive, disintossicanti, dimagranti, lassative, (antitumorali…), ma una molecola contenuta nella pianta, l’idrossiantracene, potrebbe essere cancerogena e genotossica…

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Aloe Vera

Un’altra succulenta notevole è l’Erba della Madonna (SedumTelephium), dai bei fiori rosa, anch’essa curativa e commestibile.

Sedum Telephium

Erba della Madonna

Infine parliamo del finocchio selvatico, Foeniculum Vulgare, pianta spontanea alta fino a tre metri, favorisce il benessere intestinale, contrastando la sindrome del colon irritabile e la formazione di calcoli renali, è galattogena, digestiva, diuretica, mucolitica, antiossidante, antibatterica, antinfiammatoria. Ma in cucina è un vero e proprio re, in tutte le cucine regionali italiane trova usi svariati, dalla pasta con le sarde siciliana, alla finocchiona toscana, alla porchetta umbra e in genere nelle carni di maiale, nella nduja calabrese, in sughi, salse, pesti, minestre, legumi, pesce, frittate, patate, insalate, liquori, pinzimoni, dolci, tisane, insomma un vegetale panculinario ancora una volta, nonostante la sua specie “volgare”, degno della migliore nobiltà.

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Foeniculum Vulgare

Immagini dall’incontro del 27 ottobre

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Il tavolo dei relatori: Tiziano Berlingieri e Riccardo Testa

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