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RELAZIONE LABORATORIO DI SCRITTURA CREATIVA

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Storie di Arrivo

Storie di Arrivo

Gratitudine. Questa parola mi è venuta subito in mente quando mi hanno chiesto di scrivere le mie considerazioni alla fine del percorso intrapreso e chiamato Laboratorio di scrittura creativa, organizzato dall’associazione Arrivo APS in collaborazione con Cesvol Umbria.

Gratitudine, già perché la proposta del Presidente Nicola Castellini mi giunse tra il lusco e il brusco, entre chien et loup, all’improvviso, inaspettata. «Wow», pensai e forse addirittura esclamai, come in un fumetto. Perché io di corsi o laboratori non ne avevo mai tenuti. E con un solo libro di narrativa pubblicato non l’avevo nemmeno mai preso in considerazione. Non mi ci vedevo come David Foster Wallace, con bandana in testa, a discettare di creatività e di scrittura. E il «wow» era esploso, non importa se solo in testa o fuoruscì dalla mia bocca come un colpo di pistola (mi autocito) o se rimase per qualche secondo sospeso in una nuvola parlante, non importa. Quel che importa è che fu l’espressione di uno stupore sincero e commosso perché così tanta fiducia non me l’aspettavo. Non tanto dal Presidente, dico in generale. Nemmeno da me stesso, me l’aspettavo. Ecco. L’ho detto.

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E quindi gratitudine. Poi, ovviamente, subentrarono turbe psicologiche, psichiche, psicotiche a contrastare l’adrenalina, la dopamina autoprodotta in quell’istante (che siamo ancora a quel momento, quello della proposta, e se avete fretta di vedere il programma, di quel che abbiamo parlato, allora saltate questa parte e continuate dal paragrafo che comincia con “Però toccava almeno fissare delle tappe”). E quindi pensieri del tipo:

«Ma-macché fiducia. È semplice incoscienza, la sua.»

«Ma chi ti credi di essere? Non accettare!»

«Mamma non ti aveva forse detto di essere umile?»

«Ma ti sta provocando, ti sta prendendo in giro, non lo vedi? Mollagli un cazzotto sul grugno e scappa a gambe levate.»

Ignoro il perché tutte queste esternazioni cominciassero con un ma, fatto sta che bellamente le ignorai tutte. E risposi al Presidente che mi stava ancora guardando, presumo in attesa di una risposta, chi sa da quanto tempo stava lì. Appena due secondi? O forse come due gatti il tempo scorreva e noi fissavamo il vuoto di fronte a noi, l’insondabile di cui non abbiamo più memoria una volta ritornati in noi, forse me lo chiese cinque anni fa, forse da allora stavamo fermi a fissare l’indicibile, ma appena sbloccati da questa immota situazione gli dissi: «Accetto!»

Con gratitudine. Non lo dissi allora, lo dico ora, a una certa distanza di tempo dai fatti, dagli incontri. Perché prima ero troppo preso dalla proposta inattesa, troppo concentrato verso il futuro, troppo stronzo per dirglielo sul muso. Perché la parola gratitudine è pesante, ingombrante, lenta ad uscire.

Ci misimo... ci mettimmo... a volte le parole sfuggono... ah ecco, ci mettemmo al lavoro per capire quanti incontri programmare, cosa dire e fare e baciare, nomi cose città, e stabilimmo un piano d’attacco, d’attracco, di bivacco. Mi lasciò libero nel prendere le mie decisioni sugli argomenti, sui tempi, sul materiale, su tutto. Mi lasciò libero dentro, mi lasciò libero sessualmente, intellettualmente, incondizionatamente. Ed ecco sciorinarvi qui, in bella mostra, gli argomenti trattati incontro per incontro. Non ho mai voluto chiamarle lezioni, ma incontri, non corso, ma laboratorio. Perché non ci sono regole, nella scrittura, o se ci sono vanno scardinate se no sai che palle?, ci sono solo indicazioni di massima per cercare il proprio percorso espressivo, non ci sono certezze, si brancola spesso nella penombra rischiarata a volte dalla luce dell’intelletto, a volte dalla luce della fantasia, a volte va di culo e la frase nasce spontanea e perfetta.

Però toccava fissare almeno delle tappe, delle tematiche per ogni incontro. E se, come diceva Cortázar, se con un romanzo l’autore vince ai punti, con il racconto si vince per k.o. E allora ecco qui il nostro sommario, gli argomenti discussi in due ore ogni due giovedì a partire da ottobre 2021:

(1) L’INCIPIT, perché tutto ha un inizio;

(2) LA VOCE NARRANTE, chi racconta la storia;

(3) I PERSONAGGI, caratterizzazione;

(4) L’AMBIENTAZIONE, i luoghi della vicenda;

(5) LA FABULA E L’INTRECCIO, il montaggio;

(6) IL DISCORSO, discorsi diretti o indiretti?;

(7) IL RITMO, frasi brevi o lunghe, variazione;

(8) LA LINGUA, il tono, lo stile, la lingua specifica.

Non metterò qui tutti i brani di romanzi o racconti letti e commentati in aula, nella stanza a noi riservata dal Cesvol, ma mi piace ricordare come si svolgevano gli incontri. Sulla tematica del giorno, una selezione di testi ci permetteva di discutere, analizzare, sezionare, implementare l’argomento, cercare di capire le scelte dell’autore o dell’autrice. E da lì anche imitarli, perché no?, perché nell’esercizio di scrittura e di lettura si vestono i panni dell’autore e dell’autrice, si entra nella loro pelle. E in letteratura si può rubare a mani basse, prendere in prestito, citare, magari non copincollare, ma insomma, ci siamo capiti. E chi veniva, liberamente, gratuitamente, diceva la sua, portava i suoi esempi, e tutti ci provavamo, a volte, a scrivere anche noi, a buttar giù righe sul tema, variazioni sul tema.

E oltre non vado, e qui passo e chiudo, forse con un arrive- derci alla prossima, spero in un arrivederci alle feste alle goliardate, alle letture, alle performance che organizza questa banda di creativi che stanno sotto il nome di ARRIVO APS, ma sicuramente ancora e per sempre un arrivederci con la parola gratitudine.

Foglio

Sono un semplice foglio bianco.

Così bianco e vuoto da lasciare interdetti.

Quando mi presento bello pulito ci si chiede cosa farne di me.

Il più delle volte alloggio all’ultimo banco in attesa di un segno ispiratore e quando la cattedra mi accoglie solo grigie impronte digitali restano impresse.

Eppure sono infinito, tutto il mondo può entrare in me.

Quando mi presento il bianco emana una luce che non dà via di scampo, basta un nulla per cominciare, tanto che una mano si offre volontaria.

Ma basta un altro nulla che irrimediabilmente mi trovo accartocciato e virtuosamente faccio canestro.

Avanti un altro!

Eccomi di nuovo, sfiorato da penna incerta perdo il mio candore.

Ansioso mi domando se sarò all’altezza e, in un battito di ciglia, sono già nel cestino.

Come un alieno mi riproduco all’infinito: virtuale, luminescente e caratteri veramente eleganti mi lasciano buoni presentimenti.

Eleganza e contenuto si sposeranno?

Mai divorzio è stato così rapido, con un clic sono sparito.

Non demordo e appropriandomi di non concessa umanità imperterrito mi offro come una cortigiana.

È tanta la voglia di protagonismo che sono disposto a tutto.

Qualcuno riversi su di me lo scibile oppure l’ignoto, purché mi usi.

Attendo lettere, geroglifici, ideogrammi, anche una semplice linea, ma che si dia inizio! Anche di notte, quando immancabilmente vengo usato come sottopiatto da qualsiasi oggetto gettatomi sopra.

La notte è fonte di ispirazione, oltre che del lancio dell’oggetto (dove lo metto lo metto), le costellazioni notturne fanno sognare di altri fogli in altri mondi. Chissà se saranno bianchi!

Ma tutto tace, anche il suono del silenzio, il che è tutto dire.

Cosa posso fare? Ci fossero impresse alcune righe potrei orgogliosamente esibirle e perché no, ricamarci sopra.

Immaginare un seguito, come quella volta che...

Oggetto inanimato e appallottolato al centro della piazza guardavo passare.

Punto di osservazione perfetto, trecentosessanta gradi di visualizzazione.

Passanti di ogni genere.

Frettolosi, turisti, famiglie con prole.

La dolce prole che calciandomi mi catapulta sotto un tavolino del bar centrale!

Abbandonano nella nuova dimora, osservavo chi leggeva il giornale, chi beveva il caffè e chi non ordinava in attesa dell’immancabile ritardatario.

Ero tutto occhi e orecchie, si fa per dire, attento a tutto ciò che mi circondava.

Non nascondo che mi sarebbe piaciuto essere attore più che spettatore, ma la mia condizione la conoscete bene.

Tutto si svolgeva nella regolare routine di un bar. Giornale terminato e conto saldato. Una seconda sigaretta e viva la libertà!

Ecco anche il ritardatario/a.

Si siede, si scusa e si becca: - Tanto sei inossidabile.

Effettuata l’ordinazione, dalla soddisfazione delle espressioni si leggeva: “missione compiuta!”

Ci sono varie tipologie di individui, quelli che escono da casa sapendo già quello che ordineranno, quelle che debbono rientrare dieci volte per paura di aver dimenticato qualcosa e quelle che non gliene frega niente. Chissà loro a quale appartenevano.

“L’identikit non ci è dato conoscerlo, la tipologia neanche e come può esserci una storia che abbia un senso, un qualunque senso”, reclama la platea.

Per favore! Che vi aspettate agenti segreti, amanti clandestini, drammi esistenziali?

Pensate veramente che due chili di omicidi e quindici amplessi siano le uniche degne di appartenere a una storia?

Effettuata l’ordinazione, P, quello/a puntuale, dice: - Conosco il bar... prima di mezz’ora non arriva nulla! Tanto vale cominciare. -

- OK, cominciamo. - risponde R, il ritardatario/a.

- Allora?

- Allora che?

- Come, allora che? Non ci hai parlato? Che hanno detto?

- Cosa vuoi che dicano. Sono in stallo.

- Stallo? Senti, se vuoi parlare parla senza vagheggiare. Non è una questione di poco conto.

- Non vagheggio, ma la questione è ingarbugliata e paradossale. Ognuno arroccato nelle proprie posizioni. Pensa che si rinfacciano cose di quaranta anni fa, “e tu mi hai fatto questo e tu mi hai detto quest’altro”, tu, tu, tu, sembrano due telefoni occupati.

- Proprio ora, alla venerata età di tre quarti di secolo, dovevano fare il bilancio della loro unione. Ma prima no? Che vogliono fare ora? Separarsi? Rifarsi una vita?

- Mamma, proprio così ha concluso: “non ti sopporto più, voglio andare via, rivoglio la mia vita, anzi rifarmela!”

- E papà?

- Sai come è la sua ironia...

- Perché che ha detto?

- E che ha detto... ha detto: “capirei se fosse estate, potresti andare al mare, ma adesso è quasi inverno, non c’è nessuno e poi potresti raffreddarti!”

- Immagino mamma, sarà uscita di senno.

- Più che di senno! Comunque ti assicuro che è stata proprio una bella scena! Ma tu guarda se proprio a noi doveva capitare una cosa così, alla loro età!

- Al cuore non si comanda, non conosce stagioni.

- Tale e quale papà, sempre in corsa per l’oscar della stronzaggine!

- Era per sdrammatizzare. Da una parte vorrei sbattere la te- sta, dall’altra mi sembra così paradossale che...

- Che?

- Che diamo tutto per scontato: genitori monolitici e porto sicuro! Chissà quante ne hanno dovute ingoiare in nome di una sana armonia familiare. Ricordi i nostri amici figli di separati? All’inizio li commiseravamo come poveri orfanelli, orfanelli divisi tra i giorni dispari e pari. Poi, cresciuti, hanno ritrovato il loro equilibrio e senza il fardello di genitori frustrati.

- Fermiamoci! Fermiamoci un momento! I monoliti, il porto sicuro, i figli dei separati che diventano orfanelli e così via. Ma che roba è? Ma chi l’ha scritta? E noi dovremmo rappresentare sto scempio? Immagina il pubblico che viene da casa dove stava comodo, caldo e spensierato. Si trova catapultato nella terza età, pazientemente sente di due vecchi rancorosi che hanno riscoperto la voglia di vivere e poi, si trovano a ingoiare la parabola dell’orfanello dei genitori divisi. La migliore delle ipotesi è un gatto morto che arriva senza preavviso.

- Hai ragione, non convince neanche me. A dire il vero non mi convince neanche l’intera storia. Sarà anche un tema sociale quello della terza età, ma non regge un intero spettacolo.

- E poi, oltre a scriverlo, vuole fare anche la regia. Mah!

- Tanto sul palco ci saliamo noi e la faccia ce la mettiamo noi!

Non sono sceneggiatore, regista neppure e neanche testimone protetto, vista la fine che faccio ogni volta, ma, empaticamente, commiseravo il mio gemello foglio, brutalizzato e vilipeso da un delirio di creatività negletta.

- Non dobbiamo essere complici di farneticanti testi e improbabili regie.

- Si basta, dobbiamo riappropriarci della nostra dignità!

- Bisogna scrivere un manifesto di denuncia verso questi improvvisati scrittori, registi e soprattutto raccomandati!

- Ah, ecco i caffè! Fortuna che sono di torrefazione locale, se erano brasiliani altro che quaranta minuti...

- Lasciamo perdere le battute la cosa è molto seria. Direi proprio di cominciare a buttare giù due righe. Serve carta e penna, la penna ce l’ho, manca uno straccio di carta.

- Evitiamo di chiederlo al cameriere, visti i tempi di attesa!

- E basta con le battutine, sembrano quelle della commedia. A proposito qua sotto il tavolino c’è un foglio appallottolato che mi sembra pulito, pulito si fa per dire.

Raccolto e risolto come il cubo di Rubik, eccomi sul tavolino.

Frasi sconnesse ondeggiavano tra una piega e l’altra.

Cancellature, frecce spezzate, frasi monche. Il delirio!

Solo una frase a caratteri cubitali sovrastante il crogiolo del tutto sentenziava:

“L’utopia è dei pazzi! Ma l’utopia è l’unica che lascia una speranza!”

Strappato in mille pezzi mi dissolsi nell’aria.

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