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NUMERO VIII - OTTOBRE 2012

Il pubblico strepita nelle sue giacche – l’uomo bloccato dal nodo della sua cravatta, la donna «presa in trappola da un tailleur grigio fumo». Ognuno è seduto su comode poltroncine blu, in attesa che Noam Chomsky appaia: eccolo fare capolino, ed è già tutto uno scrosciare d’applausi, uno spellarsi le mani, una gara a chi acclama con maggior fervore (gara a cui non si sottraggono i politici locali presenti). Infine Noam parla, ma in fondo non è importante quello che dice: la teca in cui è stato posto, l’alone di riverenza – di “istituzionalità” – di cui è stato circondato, toglie forza alle sue parole. Denuncia le violenze degli Stati Uniti d’America e dello Stato d’Israele, certo... e allora? La verità, tanto, non importa: «il problema in Italia non è tanto di saperla ma che, saputala, tutto resta uguale». Se ve lo siete perso, o se volete riascoltarlo per dare peso ed importanza alle sue parole, potete farlo cercando su youtube il titolo della conferenza: “The Emerging World Order: its roots, our legacy”.

Prima candelina di Stefano Tieri

Un anno fa, nell’ottobre del 2011, veniva scritto, stampato e distribuito il primo numero di Charta Sporca. Il gruppo nato allora, eterogeneo nelle idee ma concorde in un principio fondamentale (seguire, al di fuori di ogni condizionamento esterno, il proprio spirito critico), è presto cresciuto, raccogliendo studenti

dei più diversi ambiti del sapere. Le critiche al nostro sistema sono state accompagnate dalla messa in evidenza degli aspetti che abbiamo ritenuto meritassero spazio, allo stesso modo il parlare di cultura è stato affiancato dal fare cultura (mi riferisco, qui, alla Terza Pagina). Oltre alla pubblicazione del periodico – distribuito all’interno dell’Università – abbiamo organizzato, nel Dipartimento di Italianistica oramai chiuso, un ciclo

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di conferenze rivolte anche alla cittadinanza, oltre che agli studenti. Abbiamo dato spazio alle realtà lasciate ai margini; salvo accorgerci, poi, che era la stessa Cultura ad essere stata relegata al margine da questo sistema malato. Al suo posto era stata affermata una “cultura” (ha ancora senso continuare a definirla tale?) volgare e televisiva, suddita del mercato, serva dell’audience, svenduta al facile e demagogico slogan di turno. Ci saremmo forse dovuti rasse-

gnare a tutto ciò, volgarizzando i nostri contenuti, riempendo le nostre pagine di pubblicità, ammiccando schizofrenicamente a destra e a manca? Sono sicuro che concorderete con noi sulla risposta, premiando la nostra scelta un po’ romantica (di certo d’antan) con l’affetto e la vicinanza che finora ci avete sempre dimostrato. Un caro saluto a voi e auguri: questo compleanno è di tutti.


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