#cheauto quando l’auto fa spettacolo
Nr.
31
€ 0,00
Dicembre 2018
Hyundai e Tarquini sul tetto del mondo!
• Volvo V60 • SSangYong Rexton
L’indimenticabile
Citroën 2CV
#cheauto quando l’auto fa spettacolo
Nr.
31
Dicembre 2018
checosac’è #chefoto
6
#cheroba 18 • Laguna Blu - VIDEO • Jndia va veloce
#chemacchina 40 • Volvo V60 - VIDEO • SsangYong Rexton
#checorse 70 • Io in macchina non ci volevo correre - VIDEO
#cheleggenda 84 • Bon anniversaire 2CV - VIDEO
#chebella 96 • Il ruggito - VIDEO
#cheamerica 106 • NASCAR: ne rimane solo uno! • Baja 1000
#chestoria 116 • Elettro Jaguar • Perfettamente utili…
#cheauto Periodico mensile digitale automobilistico Via Pesa del Lino 2B 20900 MONZA info@cheautomagazine.com www.cheautomagazine.com
Registrazione Tribunale Milano nr. 63 del 29/02/2016
Direttore Responsabile e Editore Vittorio Gargiulo Responsabile redazione USA Niccolò Gargiulo Grafica Diego Galbiati
Pubblicazione online ILLIUM llc. (Dania Beach - FL - Usa)
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chefoto
Lewis Hamilton ha fatto cinquina... e pure la Mercedes festeggia il titolo costruttori: chapeau! Foto Florent Gooden - Š Wolfgang Wilhelm for Daimler AG
chefoto Come da tradizione la recente 6 Ore di Shanghai (ultima tappa del Mondiale Endurance WEC) si è confermata una corsa particolarmente difficile per le Ferrari. Le vetture in classe GTE-Pro erano state attardate già in qualifica, quando non erano riuscite a far meglio della quinta fila; in gara le 488 GTE di AF Corse come sempre hanno recuperato, occupando per alcuni giri anche posizioni da podio, ma scivolando nel finale in quinta e ottava piazza in una gara che le ha viste faticare troppo con le gomme da bagnato Foto Š Ferrari
FRONT PAGE
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Recentemente il Rockingham Speedway (Inghilterra) ha ospitato le Greenpower International Finals, atto finale di un programma nato per sensibilizzare i giovani sulle nuove sfide “verdi� dell’ingegneria. Nel corso del 2018 sono stati circa 700 i team (per circa 10.000 studenti in totale proveneienti da UK, Cina, Portogallo, Polonia e Irlanda) che hanno partecipato alle sfide
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L’ultra-famosa carovana della Londra-Brighton è ancora un volta andata in scena nel freddo autunno inglese. L’evento commemora la Emancipation Run del 14 Novembre 1896 che celebrava il cosiddetto Highway Act, la legge che alzava il limite di velocità per le “locomotive stradali” da 4 a 14 miglia orarie e, contemporaneamente, aboliva l’obbligo di essere preceduti da una persona che, camminando davanti al veicolo, sventolava una bandiera rossa. Quest’anno hanno partecipato “carrozze a motore” di ben 117 marche differenti
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Che le potenze dei dragster fossero abnormi lo si sapeva. Oggi i Top Fuel (i veicoli della classe maggiore) superano i 10.000 cavalli (!!!) e per gli pneumatici le sollecitazioni, seppur di brevissima durata, sono davvero mostruose
chefoto L’obiettivo di Mazda è costruire auto che abbiano una dinamica di guida esaltante e che tendano, secondo la filosofia Jinba Ittai, all’unione ideale tra guidatore e auto, siano sempre più efficienti e con pochissime emissioni inquinanti. Per raggiungere questo fine la terza generazione di Mazda2 (una vettura da città con tecnologia, contenuti e qualità di una vettura di classe superiore) lascia invariate le muscolose linee del KODO design ma propone un aggiornamento che riguarda tutte le sue motorizzazioni, evolute e conformi alle norme sulle emissioni Euro 6dTEMP, che saranno in vigore da settembre 2019. Mazda2 è inoltre super-competitiva su molti altri fronti: • le versioni con il Comfort Pack, già equipaggiate nella precedente versione con cerchi in lega da 15”, sensori parcheggio e fendinebbia, si arricchiscono dei vetri privacy • le versioni Exceed dispongono di videocamera posteriore e Smart Key, in aggiunta ai fari Full LED, clima automatico, sistema di frenata di emergenza, sensori luce/pioggia, sistema infotainment MZD Connect completo di navigatore e cerchi in lega da 16” • il Leather Pack prevede, a parità di prezzo, la scelta tra pelle Black e pelle White e i nuovi cerchi in lega da 16” bicolore Silver. Mazda2 è disponibile (con prezzi a partire da 14.050 Euro) unicamente con il motore benzina SKYACTIV-G, con tre diversi livelli di potenza: 75 CV cambio manuale, 90 CV cambio manuale e automatico e 115 CV cambio manuale e sistema i-ELOOP di recupero dell’energia in frenata
#ca
CONTENUTO PUBBLIREDAZIONALE
L agu
cheroba
DOPO ANDALUSIA, TRANSILVANIA E NORVEGIA È TOCCATO ALL’ISLANDA OSPITARE UNA NUOVA TAPPA DI “LAMBORGHINI AVVENTURA”, LA SERIE DI SPEDIZIONI LAMBORGHINI ALLA SCOPERTA DEI LUOGHI E DELLE STRADE PIÙ SPETTACOLARI DEL MONDO
una B lu
ALLA SCOPERTA DELL’ISLANDA CON LAMBORGHINI URUS
laguna blu
La
foto: commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1471808
penisola di Reykjanes vi accoglie con ampie distese di lava e scarsa, scarsissima vegetazione. L’attività vulcanica deve essere stata importante in questa parte dell’Islanda, isolastato dai mille volti, tutti affascinanti e spesso misteriosi. Perfetto set per un film di fantascienza, Reykjanes è molto conosciuta anche, forse soprattutto, per numerose sorgenti termali e solforiche. A Svartsengi si trova una grande centrale per lo sfruttamento dell’energia geotermica, vicino alla quale è stata costruita una stazione termale, che ne utilizza le acque calde, caratterizzata da piscine di acqua dal tipico colore azzurrino. Da qui il nome Laguna Blu, che a noi evoca invece paesaggi tropicali e una giovanissima Brooke Shields, protagonista nel 1980 del film omonimo. … bruttarello assai.
laguna blu
La Lamborghini Urus è dotata di un motore V8 biturbo da 4,0 litri che eroga 650 CV (478 kW) a 6000 giri/min (6800 giri/min max) e 850 Nm di coppia massima già a 2250 giri/min. Con 162,7 CV/ litro, la Urus vanta una potenza specifica tra le più alte della sua classe, oltre che il miglior rapporto peso/potenza con 3,38 kg/CV. Inoltre, con un’accelerazione da 0-100 km/h in 3,6 secondi (0-200 km/h in 12,8 secondi) e una velocità massima di 305 km/h, la Urus è il suv più veloce attualmente sul mercato. Il suo stile coupé dalle linee ribassate e la sua imponenza su strada si coniugano perfettamente a un grande comfort di guida, una maggiore altezza da terra e interni di lusso dotati di tutte le tecnologie più recenti
laguna blu
Le prime Lamborghini a toccare il suolo d’Islanda sono state, un paio di mesi fa, sette coloratissime Urus, che hanno percorso un totale di circa 900 km in due giorni, in balia delle più disparate condizioni metereologiche, che in rapida successione riuscivano a proporre sole pieno, violente raffiche di vento, pioggia e neve. Una vera avventura, un viaggio partito appunto dalla penisola di Reykjanes. Dalla laguna, di cui si è detto in apertura, il convoglio si è poi spinto lungo la costa meridionale, toccando mete da sogno: tra queste le scogliere di Krysuvikurberg, dal nome dei due trolls della leggenda, alla spiaggia nera di Reynisfjara, fino al promontorio di Dyrhólaey, con il suo enorme arco naturale di roccia che si protende nel mare, popolato da colonie di pulcinelle di mare che nidificano sulle scogliere e migrano d’inverno.
laguna blu
Lamborghini ha festeggiato per il secondo anno consecutivo il successo nel Campionato Italiano GT, tanto nella classifica Piloti che in quella Costruttori. Il secondo posto sotto la pioggia nella conclusiva gara del Mugello, ha assicurato il titolo a Giacomo Altoè e Daniel Zampieri, protagonisti con la Huracán GT3 del team Antonelli Motorsport, che ha assicurato alla Casa di Sant’Agata Bolognese anche il titolo Costruttori. Sei invece le pole messe a segno, incluse quelle ottenute proprio al Mugello da Zampieri e Altoè, nell’ordine più veloci nelle due sessioni ufficiali del sabato. “La conquista di questo secondo titolo italiano consecutivo, con cui abbiamo “onorato” il mercato di casa, rappresenta un traguardo importante - ha dichiarato Giorgio Sanna, Head of Motorsport di Lamborghini - con questo successo arriviamo a quota 10 campionati vinti tra Piloti e Team: il modo migliore per salutare la Lamborghini Huracán GT3 dopo tre anni di grandi affermazioni, in attesa dell’arrivo nel 2019 della Huracán GT3 Evo”
laguna blu
Impostato il selettore “Anima” su “Terra”, le Urus hanno poi sfidato percorsi off road e guadi, dando dimostrazione della loro guidabilità sui terreni più estremi, come sul tracciato che corre sotto il promontorio dall’impronunciabile nome di Hjörleifshöfði fino al mare, o quello che conduce al ghiacciaio “nero” di Kötlujökull. La traversata è proseguita attraverso i campi di lava ricoperti di muschio della zona del vulcano Laki per poi toccare il lago glaciale di Fjallsárlón, all’estremità meridionale del ghiacciaio Vatnajökull, fino alla straordinaria visione della laguna dei ghiacci dello Jökulsárlón, tra iceberg e foche. Infine il ritorno alla capitale Reykjavik, cuore politico, culturale ed economico dell’isola, a restituire scene di civiltà occidentale dopo chilometri e chilometri di natura e di silenzio… rotto solo dal sordo rombo delle sette potenti Urus.
#ca
cheroba
Semaforo verde per Jndia Erbacher e il suo mostro da 10.000 cavalli
JNDIA VA VELOCE di John Close fotografie Monster Energy / MCH Photography
GIOCARE CON UN MOSTRO DA 10.000 CAVALLI, CAPACE DI SFIORARE I 480 CHILOMENTRI ORARI, PARTENDO DA FERMO, IN SOLO 400 METRI, NON È COSA DA CUORI DEBOLI E NEPPURE UN PASSATEMPO DA BRAVE RAGAZZE… O NO?
Jndia va veloce
“Sei
sempre nervoso prima di una gara, perché sei seduto su una bomba. Sai, quando guidi un mostro alimentatao a nitrometano non sai mai cosa può succedere… ma non puoi aver paura, devi essere concentrato, pronto a pigiare sull’acceleratore e a lasciare liberi I 10.000 cavalli del tuo dragster…” Chi si esprime così è Jndia Erbacher, una bionda ragazza svizzera di 23 anni, ormai una presenza fissa delle maggiori kermesse europee dedicate all’accelerazione pure. Le luci del semaforo diventano verdi, lei preme l’acceleratore e le enormi gomme posteriori da 18,5 pollici mordono l’asfalto, fiamme e rumori accendono l’aria. Nel tempo necessario per leggere questa frase, Jndia avrà raggiunto una velocità di oltre 480 chilometri orari (!!!), percorso un quarto di miglio di asfalto (circa 400 metri), tagliato il traguardo e dispiegato due paracadute per fermare la sua auto. A pieno regime, il suo dragster Nitromethane consuma oltre 42 litri di carburante al secondo. Come riferimento basti pensare che è circa 280 volte ciò che un motore medio consuma nello stesso lasso di tempo. Dopo ogni run di quattro secondi sulla pista, il motore viene smontato completamente. Pistoni, compressore, albero motore. Tutto è smontato e, se necessario, sostituito. Il Top Fuel racing è il motorsport al limite estremo delle prestazioni, ma per Jndia è uno stile di vita. Originaria di Basilea, in Svizzera, le capita ormai spesso di gareggiare contro i migliori
piloti d’europa. In particolare molto accesa è la rivalità con il sei volte campione d’Europa Urs Erbacher che, detto per inciso, all’anagrafe risulta essere suo padre. E l’officina della famiglia ospita entrambi i dragster (di Jndia e del paparino) riducendo la competizione tra i migliori piloti in Europa ad un affare di famiglia. Al Nitro Olympx 2018 a Hockenheim di fine agosto Jindia ha stabilito il suo miglior tempo personale. Con 4,03 secondi sul quarto di miglio e una velocità massima di 479 km/h ha saputo dare un nuovo significato al motto “Unleash the Beast”. Jndia, com’è lanciare una macchina da 10.000 cavalli a tutta velocità? “È come nient’altro al mondo. Accelera da 0 a 100 km/h in mezzo secondo sviluppando circa 6G. Sei sempre nervoso prima di una corsa, perché sei seduto su una bomba a orologeria… con il nitrometano non sai mai cosa può succedere. In realtà sai cosa aspettarti dalla macchina, ma allo stesso tempo la potenza è sempre sorprendente quando si preme il gas. Ma non appena esci dalla linea di partenza te ne accorgi subito subito!... è per vivere questa sensazione che amo le corse di drag! Non so come descriverlo, forse assomilgia a un bungee jumping estremo: è una scarica di adrenalina incredibile! Dopo la corsa quando esci dall’auto sei super-eccitato: è come sommare in pochi secondi l’emozione di tutti i Natali, di tutti i tuoi compleanni e di tutte le tue vacanze della vita”.
Jndia va veloce
Jndia va veloce
Cosa significa essere la donna più veloce in Europa (e uno dei piloti più veloci al mondo)? “Era strano all’inizio. Sono stata abituata al fatto che mio padre fosse sotto i riflettori come Campione Europeo. Quando ho deciso di correre c’era molta pressione perché volevo/dovevo fare bene. Oggi posso affermare che è davvero fantastico esseere “la-più-veloce”, anche se non penso sia un titolo a cui mi abituerò e, a volte, non riesco a crederci. Ma a me interessa solo correre e andare il più veloce possible: mio padre è uno degli uomini più veloci del pianeta e ora sua figlia è quasi più veloce di lui… è proprio vero: nel motorsport devi andare forte altrimenti nessuno ti prenderà sul serio”. Che consiglio daresti a qualcuno che vuole seguire le tue orme? “La cosa più importante è credere in se stessi. A volte le cose non vanno come vuoi tu, a volte può esserecomplicato, quindi devi rimanere concentrato e crederci per ottenere quello che vuoi. Non ascoltare ciò che gli altri dicono di te e resta fedele a te stesso. Credi in quello che sei, in quello che stati facendo e prova a vivere il tuo sogno. Quando ogni mattina mi sveglio mi chiedo se sono contenta del modo in cui sto lavorando: se la risposta è sì continuo, se invece mi dico di no significa che è il momento di cambiare qualcosa”. Quando è scatta la passione? Hai sempre desiderato correre in Top Fuel? “In realtà no. Mio padre aveva iniziato a
parlare di smettere perché stava diventando troppo vecchio e mi sono resa conto di quanto mi sarebbe mancato andare in pista e lavorare con il team. Quello è stato il momento in cui ho deciso di provare a guidare. Papà naturalmente ha detto no, che sarebbe stato troppo pericoloso. Ho ottenuto la mia prima sponsorizzazione senza il suo aiuto e allora gli ho detto: ok, ecco i soldi, vado a Las Vegas per ottenere la mia licenza di drag racing, vieni o no? Quindi a malincuore ha accettato, sostenendo che sarebbe stato più sicuro se fosse stato lì con me. E’ successo quando avevo 18 anni e sono stata fortunate ad averlo come insegnante… il resto è storia. Il drag racing per me è di famiglia e non vorrei fare nient’altro!” Qual’è il tuo obiettivo come pilota? “Il mio sogno è andare negli Stati Uniti e gareggiare nel campionato più importante del mondo. Penso che cambierebbe l’intera storia del drag racing se una ragazza europea andasse negli States e vincesse un Campionato del Mondo NHRA. Sarebbe un sogno correre lì per uno o due anni e lottare per un titolo”. È una sfida complicate affrontare tuo padre? “In realtà è piuttosto difficile perché ognuno dei due vuole vincere, ma allo stesso tempo è speciale perché di solito pensi a te stesso soltanto e non ti interessa cosa succede nell’altra corsia. Quando capita spero che mio padre abbia una run veloce e sicura… ma non voglio che vinca! È un po ‘strano perché
Jndia va veloce
normalmente papa mi abbraccia sempre prima che io salga sul drag e sta con me quando mi allaccio le cinture in e mi metto il casco… ma ovviamente non possiamo farlo quando lui è già legato sulla sua macchina. Questi piccoli moment di intimità mancano quando gareggiamo l’uno contro l’altro, ma direi che alla fine la cosa principale è che entrambi ci siamo divertiti, abbiamo segnato buoni tempi e abbiamo fatto un buon lavoro per tutto il team! “ Quali sono le sfide che devi affrontare come pilota Top Fuel? “Una delle cose più importanti è padroneggiare il tempo di reazione e tenere sotto controllo le tue emozioni mentre sei sull’auto. Non puoi aver paura di queste machine: devi essere pronto a pigiare aull’acceleratore anche se ci sono 10.000 cavalli dietro la schiena. Rimanere calmi e concentrati nell’area di partenza è una cosa essenziale. Durante la corsa invece devi usare tutto il tuo talent per mantenere l’auto in linea retta. Se pensi di essere alla deriva su un lato, allora… quando pensi di reagire è già troppo tardi. Hai bisogno di sentire cosa sta facendo la tua auto attraverso il sedile e il… fondoschiena! Da un punto di vista tecnico è necessario essere consapevoli di ciò che il motore sta facendo e di essere in grado di distinguere ciò che è normale e ciò che non lo è. Se hai una grande esplosione, ovviamente, lo sentirai, ma se un pistone si grippa o accade qualcos’altro devi essere pronto a lasciare
l’acceleratore per preservare ciò che rimane del motore. È importante ricordare quanto sia difficile per la squadra lavorare per te: tu ti diverti per quattro secondi e loro lavorano per giornate intere per preparare tutto. E’ anche una bella sfida per mantenere la squadra motivata e far capire che apprezzo il loro duro lavoro! “ Come ti prepari lontano dalle piste? “Abbiamo un computer con un simulatore per allenare per il tempo di reazione, ma ovviamente non è la stessa cosa di una vera gara. Non sei nervoso e stai seduto tranquillamente davanti a uno schermo invece che in un dragster sulla linea di partenza. Quando sono a casa, vado in palestra tutte le volte che posso e corro portando a spasso i cani. Cerco anche di mangiare sano…ma è superdifficile! “ Vai anche in moto vero? “Si! Ho una Scout della Indian, la adoro. Se devo scegliere tra una moto e la mia auto drag, in pista scelgo sempre la seconda ma per la strada, scelgo la mia Indian. La sensazione di libertà che offer una moto è incredibile: è come essere in grado di fuggire da tutto!” … ecome vuoi chiudere questa intervista? “Ah… il mio drag si chiama Jasmine e lei si è un assoluto mostro!”
#ca
chemacchina
Volvo V60
VIVA LE STATION!
La Volvo Duett del 1953
LA V60 SU PIATTAFORMA PRESENTA INTERNI CURATISSIMI E PARTICOLARMENTE SPAZIOSI E UN LIVELLO DI CONNETTIVITÀ AVANZATO, CUI SI AGGIUNGONO I PIÙ INNOVATIVI SISTEMI DI SUPPORTO ALLA GUIDA E ALTRE TECNOLOGIE A GARANZIA DELLA SICUREZZA. EFFICIENTI I MOTORI BENZINA/DIESEL AI QUALI SI AFFIANCHERANNO PRESTO DUE VERSIONI PLUG-IN HYBRID
viva le station!
Nel 1962 arriva la mitica Amazon
“In
questi anni sono i SUV a dominare il mercato, ma la nostra tradizione in fatto di station wagon è sempre d’at-
tualità”. Chi parla così è Michele Crisci, Presidente di Volvo Car Italia: “Le grandi station wagon adatte a tutti gli usi sono le Volvo per eccellenza - prosegue Crisci - e con la nuova V60 presentata quest’anno al Salone di Ginevra abbiamo di fatto riportato alla ribalta una tipologia di vetture che il pubblico non ha mai smesso di amare e che ha decretato il nostro successo”. E’ proprio vero: le grandi station wagon (quelle che da noi erano chiamate “famigliari”) hanno segnato e illustrato la storia di Volvo. Auto iconiche come la P210 Duett, la P220 Amazon Estate, la 1800 ES o, la 245 Polar,
riconosciute il loro design inconfondibile, hanno di fatto contribuito in maniera determinante a costruire quel patrimonio di stile del quale le attuali V90 e V60 Station Wagon sono oggi le eredi naturali. La prima automobile concepita per soddisfare le esigenze del tempo libero e quelle lavorative si chiamava Duett. Nasceva come furgoncino… ma di fatto era la prima station wagon di Volvo. Lanciata nel 1953, la Duett è presto diventata una delle automobili più amate di sempre. È stato uno dei primi modelli Volvo a essere esportati negli Stati Uniti e il suo ruolo di icona di stile è stato immortalato nel 1997, quando la Svezia le ha dedicato un francobollo. Nove anni dopo la Duett arriva la Amazon,
Degli anni “70 è invece questa 240 Turbo
conosciuta ufficialmente come 22. Si trattava di una station wagon decisamente più elegante e raffinata della precedente Duett e offriva al tempo stesso un bagagliaio più capiente. Il modello S, con una potenza erogata di ben 115 CV, era una vettura dal carattere assai sportivo per gli standard degli anni ’60. Il portellone posteriore era all’americana, diviso in due sezioni, una soluzione che sarebbe stata riutilizzata 40 anni dopo per la prima versione della XC90. Nel 1971 ecco apparire una vera e propria icona dello stile Volvo. Presentata come variante della coupé P1800, la ES era una station wagon sportiva, sufficientemente spaziosa da consentire di caricare attrezzatura da caccia o mazze da golf nel bagaglia-
io. La 1800 ES si distingueva inoltre per il grande lunotto posteriore praticamente senza cornice, con cerniere e maniglie fissate direttamente sul vetro. Ne vennero costruiti solo poco più di 8.000 esemplari ma la 1800 ES è diventata uno dei modelli classici Volvo più ricercati. Lanciata nel 1974, la 245 è stata definita l’archetipo delle station wagon di Volvo, un’automobile ancora oggi fortemente associata al marchio. La 245 è rimasta in produzione per circa 20 anni, fino al 1993, ed era disponibile anche in una versione più esclusiva, ovvero la 265 con motore V6. Gli anni “80 hanno poi visto l’arrivo sul mercato della 245 Turbo, la prima station wagon al mondo dotata di propulsore sovralimentato.
viva le station!
Come
abbiamo visto sono poche le Case in grado di eguagliare l’esperienza e la credibilità di Volvo per quanto riguarda station wagon ben progettate, funzionali e versatili. “La V60 è davvero il punto centrale del marchio Volvo,” - ha dichiarato Robin Page, Senior Vice President Design di Volvo Cars è una vettura raffinata, ben proporzionata e dalla linea gradevole, e tuttavia estremamente funzionale e versatile.” Da alcuni mesi a questa parte abbiamo iniziato a porci la domanda: riusciranno l’eleganza e la funzionalità delle station wagon a sconfiggere la dilagante “moda” dei suv? I servizi pubblicati sulla Jaguar XF Sportbrake piuttosto che sulla Subaru Levorg, proprio come questo sulla Volvo V60, tendono proprio a far riflettere sul fatto che, ad esempio, una sw consuma meno di un suv (più leggera e aerodinamica), è spesso più precisa nella guida e vanta un bagagliaio decisamente più capiente. Certamente non può affrontare gli sterrati con la stessa disinvoltura (ma in questo senso Volvo propone anche la convincente V60 Cross Country) però risponde meglio di un suv alle richieste medie di una famiglia media. E ci piace sottolineare che in questo fine 2018, qualche segnale di rilancio di questa tipologia di vettura si sta facendo sempre più concreto.
viva le station!
Nell’esercizio finanziario per l’anno 2017 Volvo Car Group ha registrato un utile operativo di 14,1 miliardi (contro gli 11,0 miliardi del 2016). Il fatturato annuo è salito a 210,9 miliardi di SEK (da 180,9 miliardi di SEK). Nell’intero anno 2017 le vendite hanno raggiunto la cifra record di 571.577 auto, con un aumento pari al 7.0% rispetto al 2016. I risultati ottenuti sottolineano la trasformazione complessiva che ha interessato la gestione finanziaria e il processo produttivo di Volvo Cars negli ultimi anni, preparando l’azienda ad affrontare la sua prossima fase di crescita che sarà segnata dall’elettrificazione dei modelli
La nuova V60 condivide la piattaforma SPA (Architettura di Prodotto Scalabile) di Volvo Cars con la nuova pluripremiata XC60 e con quattro modelli top di gamma della Serie 90. In linea con l’annuncio di Volvo Cars di voler elettrificare tutte le nuove vetture prodotte a partire dal 2019, la V60 verrà proposta a breve anche con due varianti di propulsore ibrido plug-in: la nuova unità ibrida plug-in benzina T6 Twin Engine, con trazione integrale, in grado di sviluppare una potenza complessiva di 340 CV o il sistema ibrido plug-in benzina con trazione integrale T8 Twin Engine da 390 CV. Sul fronte dei motori benzina tradizionali sono invece disponibili il T5 o il T6, mentre chi preferisce il diesel può scegliere fra l’unità D3 o D4 (vedi scheda tecnica). In pieno stile Volvo la V60 offre una splendida “evoluzione” del design della Casa, che non viene stravolto ma affinato e reso ancora più elegante. Una vera bellezza. Nell’abitacolo i materiali sono di pregio mentre rifiniture assemblaggi denotano cura e qualità. I toni chiari delle pelli e le forme quasi “minimal” rendono estremamente gradevole la permanenza a bordo, dove per tutti i passeggeri c’è spazio a volontà. I comandi sono quasi tutti raggruppati nello schermo di 9’’.
viva le station!
Abbiamo detto prima che le sw vincono il duello con i suv sul fronte bagagliaio e la V60 non sfugge a questa regola: on i suoi 529 litri di volume vanta infatti uno dei più spaziosi vani di carico del suo segmento. Se si parla di Volvo, da sempre si parla anche di sicurezza e la nuova V60 offre una serie completa di dispositivi compresi nella dotazione standard, fra cui gli avanzati sistemi di supporto alla guida (montati di serie sui modelli della Serie 90 e sulla XC60) che fanno della nuova V60 una delle automobili più sicure oggi in circolazione grazie ad un ulteriore miglioramento dei sistemi di automazione della guida a prevenzione degli incidenti. Il sistema City Safety con tecnologia Autobrake utilizza la frenata automatica e dispositivi di rilevamento per aiutare il guidatore a evitare collisioni potenziali ed è l’unico sistema oggi commercializzato in grado di riconoscere pedoni, ciclisti e animali di grandi dimensioni. City Safety è ora in grado di attivare la frenata automatica anche per ridurre le conseguenze di collisioni con veicoli che sopraggiungono in senso opposto. Il sistema Pilot Assist (che assiste il conducente in fase di sterzata, accelerazione e frenata su strade ben contrassegnate fino a una velocità di 130km/h) è stato ottimizzato e
viva le station!
garantisce prestazioni superiori in curva. La V60 dispone inoltre dei dispositivi Run-off Road Mitigation (per la riduzione dell’impatto in caso di uscita dalla carreggiata) e Oncoming Lane Mitigation, che avverte il conducente in caso di sconfinamento dalla corsia di marcia correggendo automaticamente la sterzata e riportando la vettura all’interno della corsia e fuori dalla traiettoria degli eventuali veicoli che viaggiano in senso opposto. Da parte sua il dispositivo opzionale Cross Traffic Alert, con frenata automatica, contribuisce a migliorare ulteriormente il livello di sicurezza delle persone a bordo e fuori dall’auto. Infine una nota di merito da all’impianto di infotainment Sensus, che garantisce la piena compatibilità con Apple CarPlay, Android Auto e i dispositivi 4G, consentendo al conducente di rimanere connesso in qualsiasi momento. Il sistema viene gestito attraverso uno schermo touch tipo tablet estremamente intuitivo che funge da centro di comando per le funzioni dell’auto, per il sistema di navigazione, per i servizi in connettività e per le app di musica e intrattenimento. Abbiamo avuto modo di provare a fondo la versione D4, spinta dal generoso diesel da 190 cavalli. Il comfort generale in marcia è ineccepibile: le sospensioni fanno appieno
viva le station!
il loro dovere, la frenata è forte e progressiva e la guida precisa in ogni situazione. Persino nel misto stretto la V60 si dimostra maneggevole nonostante i quasi 5 metri di lunghezza. A ciò si aggiunge una perfetta insonorizzazione mentre la comodità delle poltrone convince appieno. Dicevamo che i comandi sono quasi tutti raggruppati nello schermo di 9’’, cosa che in alcuni frangenti mette un po’ in imbarazzo e distrae dalla strada. Non che i comandi non siano chiari ma i vari menù e sotto-menù vanno studiati a fondo prema di trovare una certa confidenza. Il propulsore D4 spinge con vigore ma senza strappi, quasi gentilmente e senza eccessive vibrazioni. Nel complesso l’auto è davvero silenziosa mentre il cambio automatico a otto marce coniuga dolcezza e velocità di cambiata. Il combinato motore/cambio si mostra parsimonioso, con consumi particolarmente contenuti, ma tradisce laddove sia necessaria un’accelerazione più pronta. I cavalli ci sono (ben 190) ma bisogna pestare senza indugio sul pedale dell’acceleratore per fare scattare (e scendere di una marcia) la V60. Questo problema viene comunque superato se si passa alla modalità Dynamic.
Questo nuovo modello Volvo è disponibile anche attraverso una modalità unica in questo segmento di appartenenza: i clienti che scelgono la nuova V60 possono infatti utilizzare il nuovo ed esclusivo servizio in abbonamento “Care by Volvo” per avere accesso alla vettura pagando un canone fisso mensile invece che acquistarla
viva le station!
caratteristiche tecniche prinicipali
#ca
chemacchina
TAN
SsangYong Rexton Presentato un anno fa al Salone di Francoforte e giunto alla quarta generazione, il nuovo Rexton di SsangYong presenta numerose novitĂ stilistiche e di contenuto
NTA ROBA
tanta roba
rizzazioni, SsangYong cerca penetrazione in nuove aree di mercato, che includono le donne, i più giovani e le necessità delle famiglie. Un percorso, quello di SsangYong, che ha impresso un deciso cambio di passo a partire dalla presentazione di Tivoli nel 2015, un modello che, oltre a segnare un importante contributo al riposizionamento del brand, ha dato il via al nuovo corso che offre oggi una gamma di prodotti completa per soddisfare le esigenze più diverse, con un più che discreto standard qualitativo.
L’
ultimo trimestre del 2018 ha segnato il concreto avvio di un importante piano di sviluppo, su basi triennali, del marchio SsangYong in Italia. Come per gli altri paesi europei, e in linea con un investimento previsto sul brand da parte di Mahindra Group di ben 1.3 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni, anche SsangYong Italia sta iniziando a mettere in campo una serie di azioni che dovrebbero permettere di rafforzare in modo sensibile la presenza sul mercato e la percezione della marca da parte degli utenti nostrani. Da una parte tramite un processo di rinnovamento della rete di concessionarie su tutto il territorio e, dall’altra, continuando nella strategia di rafforzamento della gamma. Oggi per la duttilità della sua gamma, per la possibilità di scelta su tutti i modelli tra due e quattro ruote motrici, cambio automatico e manuale e con un ampio ventaglio di moto-
Se il 2016 è stato l’anno del crossover XLV, il 2017 ha visto il lancio del nuovo Rexton, uno dei modelli iconici di SsangYong, che vanta già moltissimi estimatori in Italia e che ha visto una vera e propria rivoluzione nelle linee e nelle tecnologie. Nuovi contenuti si sono affiancati all’anima “fuoristradistica” del brand coreano: “In questi mesi abbiamo concentrato le energie nella strutturazione delle divisioni e nella razionalizzazione delle diverse funzioni aziendali sostiene Mario Verna, Direttore Generale di SsangYong Motor Italia - Forti di una proprietà solida e ambiziosa come Mahindra & Mahindra, aspiriamo nel futuro prossimo ad entrare con maggior determinazione sul mercato italiano, lavorando sull’awareness del marchio, che sconta ancora una riconoscibilità inferiore rispetto ai diretti competitor, e continuando a mettere al centro della nostra proposta auto con caratteristiche qualitative e di affidabilità che rispettano appieno l’attenzione al dettaglio tipica della produzione coreana”.
tanta roba
In
SSangYong sono usi dire che “Rexton è più di un SUV. È un motivo d’orgoglio”. E a distanza di quindici anni dal primo lancio sul mercato italiano, SsangYong Motor oggi punta molto sul nuovo Rexton, ricchissimo di novità estetiche e tecniche oltre che portatore di un buon rapporto qualità/ prezzo. Le linee pulite ed equilibrate conferisco ad questa imponente automobile un’estetica tutto sommato gradevole; la griglia “ad ali spiegate” del radiatore e l’aggressività della linea frontale rimandano ai classici del look SUV, mentre le linee dinamiche dei fianchi e le azzeccate cromature conferiscono a Rexton un profilo ad un tempo dinamico e “importante”… viste anche le generose dimensioni. L’estetica è inoltre esaltata dal design dei gruppi luce, come i fari incastonati, le luci diurne, i fendinebbia a LED, gli indicatori di direzione laterali. Il posteriore della vettura si contraddistingue per un look particolarmente aggraziato (a nostro parere è l’aera più riuscita) mentre i cerchi in lega da 17”, 18” o 20” aggiungono un tocco di stile e lusso all’immagine complessiva. Vettura di segmento D/E, Rexton offre interni sorprendentemente lussuosi, con un comfort di prima categoria, dietro al quale si nasconde il carattere ruvido da fuoristrada. C’è un copioso utilizzo di materiali pregiati, ben rifiniti e assemblati; il risultato è sontuoso e moderno allo stesso tempo, mostrando le tracce della preziosa collaborazione con eccellenze del design rientranti nell’orbita del gruppo Mahindra&Mahindra (leggi Pininfarina?).
tanta roba
Il viaggio verso una crescente affermazione di SsangYong in Italia non si ferma ma anzi si potenzia. Nel prossimo triennio il brand Coreano mira ambiziosamente a raggiungere la soglia dell’1% del mercato, puntando ancora sulla qualità del prodotto e sui nuovi modelli come il nuovo Korando, atteso per il 2019, che sarà proposto anche in versione full electric nel 2020, e ancora su ibridi in fase di studio e perfezionamento la cui timeline sarà annunciata a breve
I sedili ergonomici sono stati concepiti per adattarsi alla corporatura dei passeggeri, così da massimizzare il comfort in ogni condizione di viaggio. Rexton offre un grandissimo spazio interno, fruibile in tutte le posizioni di seduta e in tutte le configurazioni possibili (fino a setti posti). I sedili anteriori possono essere a regolazione elettrica (con memoria per il sedile guida) mentre con gli interni in pelle i sedili anteriori sono ventilati e riscaldati mentre i posteriori sono riscaldati. Ottimi anche i valori e la capacità di carico del bagagliaio. L’avanzato sistema di infotainment comprende le funzioni radio DAB, Apple Car Play e Android Auto ed è supportato, di serie, da un ampio display da 9.2” HD per la visualizzazione di tutte le informazioni, completato da un navigatore Tom Tom. Le funzioni di connettività aiutano a garantire la massima qualità dell’intrattenimento durante il viaggio. Il quadro strumenti “Super Vision” con display LCD da 7” assicura inoltre la massima visibilità e permette al conducente di visualizzare, ad esempio, le avvertenze del sistema Lane Departure Warning, l’animazione dell’apertura del portellone, le indicazioni di navigazione come le avvertenze dei sistemi di parcheggio, gestiti mediante telecamere “all-round”. Importante anche la dotazione sul fronte sicurezza, per garantire un piacere di guida di ottimo livello. L’imponente equipaggiamento di sistemi di assistenza alla guida (dai controlli di trazione evoluti alla frenata elettronica - Advanced Emergency Braking System),
i prezzi e i modelli
tanta roba
ossia i componenti attivi di sicurezza, viene contornato da un abitacolo, in cui spiccano i ben 9 airbag per i passeggeri, che è stato progettato tenendo ben presente gli imperativi della sicurezza passiva. Rexton è spinto da un motore turbodiesel quattro cilindri in linea di 2.157 cc, in grado di offrire una potenza massima di 181 CV e una coppia di 420Nm. Questo propulsore è accoppiato ad un cambio manuale a 6 marce o automatico a 7 marce, di origine Mercedes-Benz. SsangYong vanta da anni una invidiabile esperienza/ tecnologia nel campo della trazione integrale inseribile; questa opzione (che permette anche di disporre di riduzioni di marcia da utilizzare sui terreni più impervi) offre maneggevolezza e stabilità, ottimizzando la distribuzione del peso, grazie anche al supporto delle sospensioni anteriori a doppio quadrilatero e posteriori multi-link indipendenti. Il sistema di trazione integrale inseribile offre al guidatore la libertà di decidere quando attivarlo, a seconda delle condizioni stradali o ambientali. Da sempre fiore all’occhiello di questa coreana sono le qualità telaistiche, che non deludono in quest’ultima generazione. Il telaio, con le sue riconosciute caratteristiche di rigidità torsionale, utilissime nel favorire solidità e silenziosità in marcia, è stato completamente rivoluzionato nella scelta dei materiali. La scocca di questa nuova versione vanta una struttura a quattro strati,
tanta roba
per la quale si è fatto largo uso di acciai alto resistenti a deformabilità modulare, fatto che, oltretutto, va a chiaro vantaggio della sicurezza degli occupanti. Tutto ciò è accompagnato da valori di silenziosità di marcia notevoli, grazie al sapiente assemblaggio di elementi fono assorbenti come pure al posizionamento longitudinale dell’unità propulsiva, che garantisce una notevole riduzione di vibrazioni in qualsiasi condizione di marcia. Durante un lungo test (tra l’altro reso più probante e impegnativo da pessime condizioni atmosferiche) abbiamo avuto modo di apprezzarne le conosciute doti fuoristradistiche ma anche quelle, meno scontate, di grande e confortevole “passista” su percorsi autostradali. Il comfort non viene mai meno, buona la tenuta di strada e la frenata. La vettura si mostra persino brillante… anche se non troppo maneggevole, soprattutto a causa del peso notevole e della notevole altezza (da terra e assoluta). Il peso e, gioco forza, un’aerodinamica non raffinatissima, recitano un ruolo importante anche sul fronte consumi. Con una marcia accorta Rexton non attenta al portafogli ma se appena ci si lascia prendere la mano dagli oltre 180 cavalli i consumi aumentano rapidamente. Peraltro da una vera fuoristrada (anche se travestita da suv) non si cercano bassi consumi ma capacità dinamiche e sicurezza su ogni terreno e con qualsiasi meteo. Capacità e abilità che Rexton possiede e offre a piene mani.
tanta roba caratteristiche tecniche prinicipali
#ca
checorse
Intervista a cuore aperto al neo-iridato Tarquini
MA IO IN MACCHINA NON CI VOLEVO COR
RRERE!
Alla bella età di 56 anni il pilota abruzzese è riuscito a riconquistare il Mondiale Turismo che fece suo già nel 2009. Hyundai ha così messo a segno una doppietta iridata: “piloti” con Tarquini (BRC Racing team) e “squadre” con il MRacing-YMR team di Vittorio Gargiulo
ma io in macchina non ci volevo correre!
“È
ovviamente una grande emozione vincere il mondiale. È stato un anno di duro lavoro, non solo per me, ma anche per tutto il BRC Racing Team e per Hyundai Motorsport. La competizione nel Mondiale WTCR quest’anno è stata fantastica ed è durata fino all’ultima gara. Ci sono stati tanti bei momenti e la nostra i30 N TCR ha dimostrato di essere l’auto da battere per tutta la stagione. Io e tutti i piloti Hyundai siamo stati veloci e costanti tutto l’anno e la vittoria di entrambi i titoli lo dimostra con i fatti”. Chi parla così è Gabriele Tarquini, un fantastico ragazzo di 56 anni e un amico, prima ancora che un velocissimo pilota. L’emozione in Asia deve essere stata davvero tanta e solo dopo alcuni giorni, scemata l’adrenalina, Gabriele ha “stappato” il magnum delle emozioni e dei ricordi… “Se devo dedicare questo titolo a qualcuno – attacca Gabriele – lo dedico a mio padre.
Mio padre, che è mancato da alcuni anni, è stato il primo a credere in me come pilota… ero un ragazzino e ricordo che in famiglia si bisticciava spesso per i soldi che occorrevano per gareggiare in kart. Mio padre faceva finta di discutere con la mamma e alla fine si schierava con lei: “… tua madre ha ragione, tu spendi troppo, devi smettere di correre!...” poi la mattina seguente, sul comodino trovavo le cinquanta o le centomila lire che mi servivano… papà è stato davvero il primo a crederci! E poi lo ricordo estremamente orgoglioso dei miei successi… ha vissuto il titolo del 2009 e purtroppo non ha potuto vivere questo ma penso comunque che in questo momento sia molto contento”. E allora apriamo il libro dei ricordi. Quando giovanissimo hai iniziato con i kart qual’era il tuo obiettivo: soltanto divertirti alla domenica o diventare un professionista, ricco e famoso come Prost o Lauda?
Studiata con l’obiettivo di offrire il massimo divertimento e piacere di guida sia su strada che su circuito, la Hyundai i30 N è stata sviluppata a partire dalla i30 5 porte, da cui si distingue per un design particolarmente aggressivo. La Hyundai i30 N si declina in due livelli di equipaggiamento: la i30 N da 250 cavalli e i30 N Performance da 275 cavalli, spinte da un motore turbo 2.0 T-GDi a quattro cilindri abbinato a un cambio manuale a 6 rapporti e alla trazione anteriore
ma io in macchina non ci volevo correre!
“Ho cominciato nel 1974 in kart (avevo 12 anni) mentre sono passato alle auto nel 1983, esattamente 35 anni fa! All’inizio pensavo soltanto a divertirmi, senza pormi obiettivi. La mia famiglia non aveva precedenti “sportivi” ma accadde che mio padre, quando avevo cinque anni, affittò una stazione di servizio che casualmente aveva una pista di kart sul retro. Per me, bambino, quella pista divenne in breve il parco giochi prediletto. E così, invece che trovarmi a giocare a pallone nel campetto sotto casa per me fu naturale iniziare a girare con i kart. Passarono alcuni anni ma per me il kart continuava ad essere il massimo: non sapevo nulla di automobilismo e neppure mi interessava. Non esisteva altro che il kart. Se mi avessi domandato, anche quando ero già Campione Italiano, se stessi pensando alle auto ti avrei risposto che non mi interessavano, che il kart era tutto il mio mondo, che non desideravo altro e che mi divertivo un sacco… punto”.
E poi cosa accadde? “Accadde che riuscii a vincere un campionato del Mondo e allora alcuni miei amici iniziarono a fare più pressione: devi provare, sei giovane, dovresti tentare con le auto… ma io ero irremovibile: no, no, no! Non mi interessa correre in macchina! La cosa andava avanti da un po’ sinché Gabriele Lucidi, vecchio amico che era passato dai kart alle auto e gestiva un team, riuscì a convincermi ad andare a Misano per provare la vecchissima Formula 3 di Traini, un altro amico abruzzese. Cedetti e ci andai, ma controvoglia, giusto per assecondarli, comunque convinto di perdere tempo e convinto che nulla avrebbe potuto avvicinare le sensazioni e la gioia di guidare un kart”. A Misano quel giorno faceva freddo… “Era inverno, alla fine del 1982, e la vettura era una March del 1976… quasi un pezzo d’epoca. Feci cinque giri… e mi innamorai: ma allora è bello guidare una monoposto -pensai-,
ma io in macchina non ci volevo correre!
è divertente, c’è qualcosa oltre il kart! Improvvisamente mi si aprì un mondo e dal quel momento feci di tutto per costruirmi una carriera nell’automobilismo”. Facciamo un salto di 35 anni. Se ti guardi alle spalle e ripercorri la tua carriera che sensazione provi? E’ stata quello che avresti voluto? Hai realizzato il tuo sogno? “La mia carriera è stata obiettivamente ottima e soddisfacente con le ruote coperte. Invece mi manca qualcosa sulle monoposto, non ho mai vinto un titolo e ho conquistato solo un punto in Formula 1 (ma allora prendevano punti solo i primi sei). La mia carriera in Formula 1 non è stata esaltante… ma penso di aver fatto il massimo con i mezzi che ho avuto a disposizione. Non sono stato abbastanza “sveglio” in alcuni momenti e ho fatto qualche scelta sbagliata… sono stati errori, ma nella vita chi non fa errori? Comunque ho avuto una vita sportiva lunghissima e invidiabile… direi che si, posso dirmi molto soddisfatto”.
Ci sono stati momenti in cui invece avresti avuto voglia di smettere, momenti di scoramento in cui hai pensato: basta, non ne posso più, è ora di smettere… “Si, ci sono stati… anche all’inizio della carriera con le ruote coperte. Non vincevo tanto, ero velocissimo ma facevo tanti errori. Il mio soprannome è Cinghio non è “pecora” o “ragioniere”… mi mancava un po’ la gestione della stagione. Correvo sempre, anche in Formula 1, per il risultato di giornata e mi mancava la visione più globale di un campionato… e ci ho messo tanto per riuscire a vincere un campionato, proprio per questo mio approccio. In tante occasioni, quando non riuscivo a vincere, a raggiungere l’obiettivo mi sono posto delle domande. Credevo di non essere un pilota completo e vincente, che sa portare a casa il risultato anche quando non è il più veloce… questa dote mi è un po’ mancata nella prima parte di carriera”.
Di recente abbiamo brevemente provato la i30 N sul tracciato su Vairano. Il rettilineo di 2 km, seppur molto umido per la pioggia caduta in precedenza, ci ha permesso di verificare un’eccellente accelerazione (la casa dichiara da 0 a 100 km/h in solo 6,1 secondi) e una frenata potente, perfettamente equilibrata e progressiva. Sui 2,6 km del circuito “handling” abbiamo invece toccato con mano l’ottima tenuta di strada e il perfetto inserimento in curva, con trasferimenti di carico mai troppo violenti. In tutto ciò gioca un ruolo essenziale l’assetto ribassato e il Differenziale Elettronico a Slittamento Limitato, che permette alle ruote motrici di applicare valori di coppia differenti in base al trasferimento di carico, riducendo lo slittamento e minimizzando il sottosterzo. La velocità massima è invece limitata a 250 Km/h
ma io in macchina non ci volevo correre!
Però alla fine i titoli sono arrivati… “Vero… ma non tanti quanti avrebbero potuto essere. Con la maturità la persona cambia, il pilota cambia. Oggettivamente non penso di essere veloce oggi come venti anni fa, sarebbe un’idiozia affermarlo, però sono ancora molto competitivo e sono anche molto, molto più esperto”.
so sono assai più intelligente nella gestione della gara. Quest’anno è stato un campionato lunghissimo: avevamo tre gare a week end, quindi ben trenta gare in totale. Pertanto devi saper portare a casa punti anche quando non sei il migliore quel giorno o su quella pista… e qui l’esperienza ti aiuta. Quei punti alla fine sono fondamentali”.
Perché sostieni di non essere più veloce come una volta? Dove te ne rendi conto? “Il nostro campionato è fatto di gare sprint, molto brevi, quindi forse più adatte a piloti giovani (anche se siamo in parecchi abbastanza “agé”) con un istinto più “animalesco”… come quello che avevo io agli inizi. Passano gli anni e , come ho detto la persona cambia, e ciò si riflette anche sulla guida. Me ne rendo conto soprattutto sul giro secco: quindici/venti anni fa ero praticamente imbattibile. Oggi riesco ancora ad acchiappare delle belle pole position ma capisco di non essere iper-veloce come allora… ma in compen-
Poche stagioni or sono eri praticamente a piedi, senza una prospettiva. Hai pensato a cosa potresti fare una volta smesso di correre. Oltretutto non sei più un trentenne e anche le prospettive di vita cambiano con il passare degli anni “Si, da razionale come sono divenuto ci ho pensato. Una quindicina di anni fa ho iniziato a pormi il problema del mio futuro, pensavo… ho circa quarant’anni, tra poco smettere. E ho iniziato a lavorare con le televisioni, a fare il commentatore… poi però, non smettendo di correre e mettendo su famiglia, ho capito che non era possibile continuare su tutti i fronti, stavo troppo tempo in viaggio.
ma io in macchina non ci volevo correre!
Ma la decisione è stata facilissima, non ci ho pensato un attimo: continuo a fare il pilota e mollo il resto. Mi diverto troppo a guidare!”. Dopodiché non ti sei più posto il problema… “In verità il problema me lo hanno posto gli altri. Quando non mi hanno rinnovato il contratto… è successo con la Honda, me lo ricordo come se fosse ieri. Eravamo in Qatar, in occasione dell’ultima gara del 2015, quando mi comunicarono che avrebbero rinunciato a Tarquini. Per me è stata durissima ma ho compreso che fosse una scelta corretta dal loro punto di vista… dopo tanti anni era normale che Honda pensasse a rinnovare e ringiovanire la squadra. In quei frangenti pensai seriamente che fosse il momento di smettere: era il primo licenziamento della mia vita… ma decisi di non annunciare immediatamente il ritiro perché non era stata una mia decisione….e arrivò poco dopo il contratto con Lada. Qualcuno mi criticò perché “con il tuo
palmares vai a finire la carriera a livelli bassi” … invece io mi sono ritrovato con quei ragazzi russi, nuovi per questi palcoscenici, che mi hanno saputo trasmettere un nuovo entusiasmo. Ho imparato qualcosa anche da loro… da tutti c’è sempre qualcosa da imparare. Con Lada ho vissuto una stagione stupenda, ho anche vinto due gare, ma a fine anno si sono ritirati dal mondiale, ripiegando sul campionato russo. Io sinceramente non volevo andare in Russia e allora ho seriamente pensato: fine dei giochi, sipario”. E poi invece è arrivata Hyundai “All’inizio si trattava di sviluppare da zero una macchina nuova e la mia esperienza poteva aiutare. L’auto è andata subito forte… mi hanno creduto a siamo andati a correre a fine 2017, vincendo subito all’esordio. In quel momento mi sono detto… forse puoi ricominciare a fare il pilota… io voglio ancora fare il pilota! E così è partita l’avventura 2018”.
Completano la i30 N i sedili sportivi e avvolgenti, i comandi ben posizionati, il doppio scarico con valvola di bypass, capace di aumentare o diminuire il sound sportivo della vettura in base ad una delle 5 modalità di guida selezionabili (Eco, Normale, Sport, N e N Custom), e l’Electronic Sound Generator (ESG) per un’esperienza sonora ancor più ricca. Rispetto alla vettura base questo modello risulta 4 mm più basso se equipaggiato con i cerchi in lega da 18’’ e ben 8 mm se equipaggiato con quelli da 19’’. Altra notevole “chicca” sono i sistemi di guida assistita della famiglia Hyundai SmartSense e le ricche dotazioni in termini di connettività e infotainment, come lo schermo touchscreen da 8’’ che integra il sistema di navigazione, la retrocamera e la connettività Apple CarPlay™ e Android Auto™
ma io in macchina non ci volevo correre!
“Siamo estremamente orgogliosi di vedere un cliente Hyundai conquistare il titolo mondiale. Congratulazioni a Gabriele Tarquini e al team MRacing-YMR per l’ottimo lavoro in questa stagione – ha dichiarato E. S. Chung, Executive Vice Chairman di Hyundai Motor Group - È un onore aver visto la nostra i30 N TCR lottare così intensamente contro notevoli avversari nella prima stagione del WTCR. È la testimonianza del duro lavoro e della dedizione di tutti in Hyundai Motorsport. Vedere il nostro nome mettersi così in evidenza nelle gare su circuito è un vero privilegio, e spero che porterà a soddisfazioni ancor più grandi in futuro”
iscritta in qualche campionato TCR laddove la i30 non è venduta. Da parte mia sono contentissimo di restare con loro, ho trovato un’azienda e persone preparate, razionali e con grandissima passione per il motor sport, come da tempo non ne incontravo. Per loro il motorsport è un mondo nuovo e ci mettono tantissimo entusiasmo… un entusiasmo da “rookie” che ha contagiato anche me…”.
E adesso… “Beh, l’anno prossimo dovrei andare avanti. In Hyundai sono super-contenti di ciò che ho realizzato come pilota ma anche (forse soprattutto) per il lavoro di sviluppo che ho saputo portare a compimento. La i30 N è andata ottimamente ovunque e adesso tocca allo sviluppo della Veloster, che sarà
Per finire ci devi finalmente svelare da dove arriva il soprannome “Cinghio”… “Cinghio me lo ha affibbiato Beppe Gabbiani, nel lontano 1985. Correvamo nello stesso team in Formula 3.000 e lui “padano” considerava me, abruzzese, un vero “terrone”, al punto da chiamarmi scherzosamente “Indio”. Però c’era che mi chiamava “Cinghiale” per via della mia guida aggressiva… Beppe fece la sintesi dei due nick-name e da lì nacque Cinghio”. Beh, allora: provaci ancora Cinghio!
ca
cheleggenda
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CITROEN 2CV COMPIE 70 ANNI
Bon anniversaire! La “deux chevaux”compie 70 anni. Una vettura nata per essere poco più che un attrezzo agricolo ha attraversato generazioni su generazioni, diventando progressivamente l’icona di uno stile di vita di Marco Cortesi
bon anniversaire!
C’è
un’ironia speciale nel destino della Citroen 2CV. Una vettura che, nelle intenzioni originarie, doveva essere il prototipo dell’auto puramente utilitaristica, è diventata un’icona così ricca di personalità da essere festeggiata, a 70 anni dalla sua nascita, come se si trattasse di una stella del cinema.
Alla presentazione del “48 la Casa dichiarava la presenza di un cambio a tre marce più una “surmoltiplica”. Questa era il frutto di una diatriba tra i progettisti ed il direttore generale. Mentre quest’ultimo voleva un cambio a tre marce i tecnici avevano già progettato una trasmissione a quattro rapporti. Alla fine la questione fu risolta salomonicamente con un cambio a quattro marce dove la quarta era chiamata “surmoltiplica” e si poteva inserire (e togliere) solo passando dalla terza marcia, grazie a un “dentino” metallico che impediva l’inserimento senza seguire questa procedura. Il comando del cambio della 2CV rimase così fino alla seconda metà degli anni “60, quando il dentino fu definitivamente rimosso
Un ombrello con le ruote. Questo era l’obiettivo iniziale di Pierre-Jules Boulanger, che negli anni “30 si trovava al timone di Citroen, passata alla Michelin dopo la morte del fondatore Andre Citroen. Le richieste fatte da Boulanger ai progettisti Andre Lefebvre e Flaminio Bertoni sono storia: voleva un’auto che potesse trasportare due agricoltori, 50 chilogrammi di patate o una damigiana di vino, e un cestino di uova, possibilmente senza romperle sui terreni accidentati della campagna francese. In più, come se non bastasse, Boulanger avrebbe rifiutato qualunque prototipo che l’avrebbe costretto a togliersi il cappello per entrare. Il risultato fu, nel 1936, la TPV, o Toute Petite Voiture (automobile molto piccola). Una macchina scarna, a metà tra un trattore e una carrozza, che però sembrava incarnare appieno lo spirito del progetto. Ne furono rapidamente ordinate più di 200, e sembrò già un risultato positivo. Poi arrivarono i tempi grami del conflitto mondiale ma, ben comprendendo il potenziale di quella particolarissima automobile, il team non arrestò lo sviluppo durante la guerra, e anzi lo portò avanti in segreto, in un paese occupato dai nazisti.
bon anniversaire!
bon anniversaire!
Nel 1948, il Salone di Parigi vide la nascita della 2CV nella forma che conosciamo oggi; un po’ più raffinata della TPV, con molle elicoidali e propulsore da 425cc raffreddato a liquido, la nuova “piccola”, pur se non apprezzata particolarmente dai critici per l’estetica, diventò in breve un successo clamoroso, oltre ogni previsione. Non solo sostituì buoi e biciclette nelle campagne martoriate dai bombardamenti ma divenne un fenomeno di costume assoluto, reinventandosi in numerosissime declinazioni. Nel primo anno di vendite, il 1949, arrivarono 850 ordini, un’enormità per l’epoca, con liste di attesa da quasi due anni, che imponevano di dare la precedenza a clienti “meritevoli” come medici e veterinari. La 2CV era semplicemente sulla stessa lunghezza d’onda della sua clientela. E qualcuno, in Citroen, afferrò un concetto assolutamente moderno: prendere una piccola vettura e renderla poco a poco più frizzante e particolare, contando anche sull’immagine e sul messaggio ad essa sotteso. Non solo un ombrello con le ruote, ma un piccolo bijou. E la scommessa fu vinta anche perché in realtà, il lusso applicato allo standard 2CV era tutt’altro che complicato, fatto di tergicristalli elettrici, tappezzerie e alette parasole, tutte cose che inizialmente non c’erano. Alla fine degli anni ‘60 si arrivò al top della produzione, con quasi 170.000 auto nel ‘66, poco dopo l’introduzione del restyling (nuova calandra e terzo finestrino posteriore) e poco prima dell’esordio del nuovo motore da 435cc, preso dalla neonata Dyane.
Tra le versioni più folli ma anche più geniali della 2CV spicca la versione Sahara a 4 ruote motrici, creata nel 1959 su richiesta delle autorità francesi e della Total per affrontare le strade (o la loro mancanza) nelle colonie africane. La Sahara era spinta da due motori, uno per asse, con due cambi azionati dalla stessa leva e una frizione centrifuga. I motori avevano anche due chiavi di accensione diverse, di modo da poter spegnere quello posteriore (che veniva poi messo in folle) qualora la trazione anteriore fosse sufficiente. Anche grazie ai vari rinforzi, la Sahara era capace di imprese quasi impossibili. Fu prodotta fino al 1966 in meno di 700 esemplari anche per via del prezzo, più che doppio rispetto alla versione “normale”
bon anniversaire!
Ai tempi di André Citroën, la marca era celebre per la coloratissima comunicazione, affidata ad artisti del calibro di Pierre Louÿs. Tutto ciò cambiò drasticamente a partire dal 1935, quando i fratelli Michelin subentrarono ad André Citroën nella gestione dell’azienda. Industriali di Clermont Ferrand, i fratelli Michelin non credevano molto nella pubblicità e così, in accordo con Pierre-Jules Boulanger (a cui avevano affidato il comando di Citroën) decisero di ridurre le spese pubblicitarie e di investire ancora di più nello sviluppo dei prodotti. Le grandi brochure con copertina in seta cinese lasciarono così il posto a semplici fogli illustrativi che riepilogavano le specifiche tecniche del prodotto. Al debutto al Salone dell’Auto di Parigi del 1948 la 2CV fu affiancata da un piccolo foglietto, stampato fronte e retro e piegato a metà, che misurava su ogni facciata appena 9 centimetri per 13! Le foto erano in parte quelle degli esemplari di pre-serie mentre il testo enfatizzava le caratteristiche di economia e praticità. Con l’arrivo nel 1958 di Jacques Wolgensinger alla direzione della comunicazione, l’immagine della marca fu affidata al geniale Robert Delpire che le restituì quella veste giocosa e colorata che tutti conosciamo
bon anniversaire!
Nessuna delle tante versioni speciali della 2CV incarna lo spirito da icona lifestyle come la Charleston. Creata da Serge Gevin come omaggio ai ruggenti anni ‘20, era caratterizzata dalla vernice bicolore, apprezzata in particolare nell’abbinamento tra nero e bordeaux. L’ultimo esemplare di 2CV prodotto, una Charleston nero-argento, uscì dalla fabbrica di Mangualde il 27 luglio 1990. Per commemorare la mitica Charleston, Citroen e la milanese South Garage (restauratore e produttore di moto speciali) hanno realizzato una moto in esemplare unico, recuperandone gli elementi caratterizzanti
La 2CV rimase al suo posto per tantissimo tempo, nelle linee di produzione così come nel cuore delle persone. Anziché crollare, continuò a vendere, umiliando vetture ben più moderne. Era diventa un’icona. La macchina dei contadini si era trasformata nel mezzo preferito di giovani squattrinati dalle grandi idee, di coppie appena sposate, di piccoli artigiani, artisti e visionari. Parafrasando la pipa di Magritte… “Celle ci n’est pas une voiture, c’est un art de vivre”. Rappresentava la voglia di fare, esplorare, costruire il proprio futuro. L’auto oggetto che diventa una leggenda eterna, il sogno di ogni costruttore, continuò la sua corsa anche grazie alle crisi petrolifere, che spinsero il pubblico verso auto piccole ed economiche. Centinaia di migliaia di esemplari vennero venduti tra gli anni “70 e “80, dando vita ad una vera famiglia. La versione furgonata, l’evoluta Dyane (che non raggiunse i successi della progenitrice), la 4x4 bimotore, la Mehari, che ha appena compiuto 50 anni, la Charleston e tante altre. La 2CV vide l’inizio dei mondiali “90 e resistette alle mode e a molte eredi. Ma dove molte altre case si sono fatte prendere la mano dalla nostalgia (e anche in Citroen si è tastato il terreno con una riedizione “elettrificata” della Mehari) per la 2CV si è finora sempre resistito alla tentazione di far debuttare una riedizione. Una scelta comprensibile e condivisibile: resuscitare una leggenda di quel calibro con un prodotto non all’altezza dell’originale quanto a innovazione e impatto culturale, rischierebbe di danneggiarne sia il presente, sia il passato. Però… chissà se, con la rivoluzione elettrica, ci sarà spazio per un rilancio…
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Una “sport activity vehicle” (SAV) dovrebbe essere in grado di coniugare le abilità di un suv con l’esuberanza di una vera supercar e il lusso di una vera limousine. Oggi, con Leoni EXTREMA, il SAV diventa realtà
Leoni EXTREMA
IL RUGGITO
il ruggito
Che
sia un “visionario-sognatore” non c’è dubbio. Ma Leonardo Foschi, fiorentino doc, classe “74 è decisamente qualcosa di più. L’idea di dare vita ad un’automobile a suo modo rivoluzionaria nasce infatti sulle solide basi di un importante percorso di designer nella moda e nell’architettura d’interni. Il suo impegno quotidiano, la sua costanza (e la sua capacità di circondarsi di collaboratori di alto livello) lo hanno infatti portato a passare dalla dimensione del “visionariosognatore” a quella del realizzatore di sogni, capace di rendere concreta una visione, per quanto complessa, e di far vivere un’ispirazione, per quanto estrema. L’aggettivo “estrema” torna spesso nell’attività di Leonardo Foschi. Estrema è stata la sua idea fashion di capi in pelle e accessori, davvero unici e inimitabili, e più che mai estrema è stata la sfida di costruire, dal nulla, non solo una nuova automobile ma un nuovo concetto di automobile: EXTREMA appunto. In altre parole Leoni EXTREMA sintetizza su quattro ruote la mentalità di Foschi: andare sempre oltre, alzare l’asticella, osare, stupire. Leoni EXTREMA non passerà inosservata e ha il destino segnato… nel proprio nome. Il designer toscano ama chiamare la sua creatura un “SAV”, Sport Activity Vehicle, ovvero un segmento che nel mercato automobilistico ancora non esiste. Una vettura “SAV” infatti dovrebbe essere in grado di coniugare le abilità di un suv
il ruggito
con l’esuberanza di una vera supercar e il lusso di una “limos” hollywodiana. Oggi, con Leoni EXTREMA il “SAV” diventa realtà. Un progetto made in Tuscany Alcuni anni or sono Foschi percepì che la sua smisurata passione per le automobili (e i motori in genere) poteva dare vita a qualcosa di più concreto. Gli spunti e le idee di design che Foschi aveva applicato al mondo della moda avrebbero potuto essere trasferiti nel mondo dei motori? Nacquero alcuni bozzetti, estremi e visionari come nella natura dell’uomo. Ma fu a quel punto che la cosa si fece tremendamente complessa, perché quei bozzetti piacquero parecchio ad alcune persone con le quali Foschi si consultò e, a quel punto, si trattò di decidere: restare semplicemente un appassionato di belle automobili o cominciare a lavorarci, cercando un proprio spazio in questo complicatissimo mondo? Domanda retorica… la passione e la voglia erano troppo forti e così nacque Leoni LTD, un’azienda di design, “customizzazione” e produzione di automobili uniche e incredibili. Un’ulteriore svolta è datata 2013, con la copertura “copyright” dei primi disegni e con l’incontro con l’ing. Vincenzo Marchionne. Personalità di vastissime conoscenze tecniche ed enorme esperienza nel settore dell’industria automobilistica, Marchionne divenne in breve il “tutore” del progetto EXTREMA.
il ruggito
Fornendo dritte, contatti, informazioni ingegneristiche e preziose indicazioni, Vincenzo Marchionne in tutti questi anni non ha mai fatto mancare la propria supervisione. E il rapporto di lavoro tra Foschi e Marchionne è sfociato rapidamente in complicità e poi in una duratura amicizia, fatto che di per sé sottolinea quanta passione queste due persone abbiano consacrato a questa avventura. Oggi, che finalmente dai disegni si è passati ad una vettura perfettamente marciante, Leoni è pronta a spiccare il volo verso alcuni mercati già ben individuati: Emirati Arabi, Russia e Stati Uniti d’America. L’auto verrà costruita in tiratura limitata e le prime consegne (Emirati Arabi) sono previste per l’autunno 2019 …. EXTREMA, come è fatta Detto che alla base del concetto di Sport Activity Vehicle sta la ricerca di estremizzare ogni aspetto della vettura (prestazioni, stile, lusso, ecc.) va da sè che il risultato non poteva essere altro che una quattro posti/due porte ultra performante, capace di stupire su asfalto ma anche di macinare lunghe distanze su sabbia, sterrati o neve. L’architettura di EXTREMA peraltro, più che quella dei più noti SUV (tutti a quattro porte), ricorda molto da vicino quella dei “buggy” protagonisti dei grandi rally-raid come la Dakar.
il ruggito
caratteristiche tecniche prinicipali DIMENSIONI E PESO: • Lunghezza 5040 mm • Larghezza 2320 mm • Altezza 1800 mm • Passo 3360 mm • Peso 1.850 kg
Molto alta da terra, indiscutibilmente aerodinamica, molto aggressiva ed esageratamente potente… EXTREMA nasconde (… ma non più di tanto) il sogno di cimentarsi in quel tipo di competizioni, un progetto però non immediato ma destinato al medio termine.
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Posti a sedere 4 Motore centrale/longitudinale Carrozzeria in fibra di carbonio Scocca in alluminio e fibra di carbonio
EXTREMA si pone al vertice della piramide sotto molti aspetti:
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Motore V12 6.2 da 730 cavalli Coppia 780nm a 2000 giri/min Trazione integrale permanente 60/40 Cambio Automatico ZF elettroattuato a 8 rapporti con leveraggi al volante
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Sospensioni ant. elettroniche autolivellanti con doppio braccio 4 link Sospensioni post. elettroniche autolivellanti multilink Impianto frenante Brembo BM8 a otto pistoni
• Ruote forgiate • Pneumatici Pirelli Scorpion Zero Black asimmetriche 405/24
• prestazioni - Spinta da un generoso 12 cilindri da 730 cavalli, la vettura è capace di raggiungere i 300 chilometri orari e scatta da 0 a 100 in solo 5 secondi. La frenata è eccezionale grazie all’impianto a 8 pistoni Brembo • immagine - EXTREMA è lunga poco più di 5 metri e pesa solo 1.850 chili, in virtù di un esteso uso di materiali compositi. Il prototipo presentato a Milano, utilizzato per i collaudi, monta una carrozzeria in vetro-resina ma la versione definitiva avrà carrozzeria totalmente in fibra di carbonio • versatilità - Come detto EXTREMA è una vera supercar “alta”, che presenta un angolo di “attacco” alle pendenze di ben 30 gradi. Grazie alla trazione integrale permanente è a suo agio in pista come in città, sugli sterrati come sulle piste desertiche o sulla neve • lusso - Gli interni sono rifiniti in carbonio e alluminio con cura artigianale e con una larga presenza di pelli pregiate, lavorate dai migliori pellettieri fiorentini • interni ed optional sono comunque personalizzabili utilizzando altri materiali di gran pregio, in ossequio alle indicazioni (e ai capricci) dei clienti.
cheamerica
NE RIMANE SOLO UNO! Il campionato NASCAR garantisce spettacolo per i tifosi ma si allontana dal classico modo di fare motorsport. Il sistema dei playoff però non delude e regala un finale di stagione appassionante e combattuto
di Niccolò Gargiulo Foto © NASCAR
ne rimane solo uno!
Il
campionato NASCAR (acronimo di National Association for Stock Car Auto Racing), gode di una fama controversa. Amato dagli americani per le velocità “over” 350 km/h raggiunte regolarmente dalle vetture spinte dai rumorosi motori V8 , incompreso dagli europei a causa di gare molto lunghe, che si sviluppano esclusivamente su circuiti ovali, ad eccezione di un paio di occasioni nel corso della lunga stagione di 38 gare. Non va poi dimenticato che la serie è oggetto di perenne critica da parte degli appassionati di corse di tutto il mondo per un’organizzazione spesso troppo attivamente coinvolta nell’influenzare l’esito delle gare, con un uso troppo “disinvolto” di bandiere gialle e conseguente ingresso della Pace Car. In termini di numero spettatori per anni la NASCAR è stato lo sport americano più seguito ma dall’inizio del secondo decennio degli anni duemila, con l’avvento di tutte quelle tecnologie che stanno cambiando il modo di fruire dello sport (in particolare siti internet e app che consentono di vedere replay e azioni salienti dopo pochi minuti sul proprio smart phone), la situazione ha iniziato a cambiare e anche i super-fans americani che hanno cominciato a
seguire con meno stoicismo corse della durata media superiore alle tre ore… anche se birra, hamburger e hot dog continuano ad aiutare… Riconoscendo la flessione nell’interesse per la specialità, l’organizzazione ha reagito in un modo che raramente fallisce in America: aumentare lo spettacolo … sebbene questo possa andare a scapito delle tradizioni scolpite nella storia del motorsport mondiale. I campionati di auto hanno infatti sempre previsto un sistema di punti assegnati lungo una stagione dal numero di gare predeterminato: il pilota con più punti a fine stagione viene incoronato campione. In NASCAR è stato lo stesso fino all’anno 2013. Dal 2014 si è però passati ad un sistema di playoff, allineando il campionato motoristico americano agli sport di squadra come basket e football e allontanandosi dai metodi tipici del mondo delle corse. Chi vince una gara è automaticamente qualificato per i playoff, ai quali prendono parte 16 piloti, costituiti dagli ultimi dieci eventi della stagione (quest’anno la fase a eliminazione è cominciata a Las Vegas disputata il 16 Settembre).
Joey Logano (Ford) festeggia la vittoria della gara di Miami e del campionato NASCAR 2018 Joey Logano (Ford) davanti a Martin Truex Jr. (Toyota) e Kevin Harvick (Toyota) Martin Truex Jr. (Toyota)
ne rimane solo uno!
Quale ulteriore incentivo per aumentare lo spettacolo dal 2017 è stato introdotto il sistema a punti per ogni “stage” di gara. I punti pertanto non vengono aggiudicati solamente a fine competizione come si fa praticamente in ogni altro evento sportivo, ma dopo ogni terzo di gara, quando una bandiera a scacchi bianco e verde sancisce la fine di uno “stage”, chiamando in causa la Pace Car che ricompatta il gruppo in vista di una (obbligatoria) spettacolare ripartenza
ne rimane solo uno!
Dopo tre gare di play off, quattro piloti vengono eliminati dalla caccia al titolo, processo che si ripete dopo altre tre gare quando i contendenti al titolo di campione rimangono in otto. Come per la stagione regolare il pilota che vince almeno una gara (di quelli che fanno parte dei playoff) si aggiudica il passaggio alla fase successiva (nel caso nessuno dei partecipanti ai playoff dovesse qualificarsi al “round” successivo con una vittoria, ci si basa sulla classifica punti). Sia ben chiaro che in ogni caso lo schieramento di partenza prevede tutte le circa 40 vetture al via,con i piloti rimasti fuori dai playoff a competere per i restanti posti in classifica, per accontentare gli sponsor e per aggiudicarsi succosi premi in denaro. Alla gara di Miami del 18 Novembre, la vera e propria “finale”, erano rimasti dunque quattro concorrenti a contendersi il titolo nella massima serie NASCAR 2018: le due Ford di Joey Logano e Kevin Harvick e le due Toyota del campione 2017 Martin Truex Jr. e di Kyle Busch. Pertanto chi si fosse piazzato davanti agli altri tre nell’ultima gara della stagione si sarebbe laureato campione.
Nonostante questo regolamento inusuale (più semplice da fruire che da spiegare) per l’assegnazione del titolo dobbiamo ammettere che la NASCAR è riuscita a portare a compimento la propria missione. Lo spettacolo, i sorpassi, la tensione (con il contorno di parecchie scorrettezze) sono assicurati soprattutto nelle ultime dieci corse della stagione, quando ogni piazzamento diventa vitale per la lotta al titolo. E cos’ è stato anche a Miami, dove Joey Logano è riuscito a vincere una gara molto combattuta contro i tre avversari ancora in grado di entrare negli annali della competizione. Come sueguende un’invisibile regia, dopo 400 miglia i quattro si sono ritrovati davanti a tutto il resto del gruppo, a pochi centesimi di secondo l’uno dall’altro! Per Truex, Harvick e Busch (che hanno appunto concluso in seconda, terza e quarta posizione) non c’è stato niente da fare. Troppo veloce la Ford di Logano, tornato in pista come un razzo dopo l’ultimo ciclo di pit-stop e capace, grazie a un finale condotto con accortezza e senza errori, di concludere la stagione davanti a tutti e laurearsi campione NASCAR 2018.
Kyle Busch (Toyota) Kevin Harck (Toyota) Una ripartenza con i quattro contendenti al titolo davanti a tutti
#ca
cheamerica
Baja 1000
Foto: Art Eugenio / SCORE
Il “Nonno� di tutti i rally regala come sempre spettacolo e emozioni
Il pick-up Ford Raptor dei vincitori Cameron Steele e Pat Dean Foto: Art Eugenio / SCORE
Cameron
Steele è riuscito a conquistare la vittoria nell’arduo rally SCORE Baja 1000 disputato sul territorio messicano della bassa California nei giorni 16, 17 e 18 novembre. Il Ford Raptor numero 16 di Steele ha completato il percorso di quasi 1300 Km in 16 ore, 24 minuti e due secondi, primeggiando sul rivale RobMacCachren (su Ford F-150.) a cui è stata negata le vittoria solo a causa di una penalizzazione. E’ il secondo trofeo nella serie SCORE per Steele, dopo 13 anni di carriera (l’altro successo è arrivato sempre quest’anno al rally di Tijuana disputato in settembre), e la prima vittoria in quello che da molti viene definito come il “nonno” di tutti i rally del deserto. Steele ha preso in mano il volante poco dopo il primo terzo di gara, disputato in maniera impeccabile dal compagno Pat Dean, e ha concluso l’avventura grazie ad una guida costante e senza commettere errori. Il podio della classe regina della competizione (riservata a pick-up appositamente preparati capaci di scatenare a terra ben 950 cavalli) è stato completato dal pick-up Chevrolet Silverado numero 31 di Andy McMillin e Gustavo Vildosola e dal già citato Rob MacCachren che in coppia con Jason Voss è stato penalizzato per un’infrazione di percorso. La 51esima edizione della Baja 1000 ha preso il via dalla cittadina di Ensanada venerdì 16 novembre, facendovi ritorno domenica 18. Tra i 285 partenti i pick-up hanno rappresentato solo la categoria di punta ma questa mitica gara può essere disputata anche in moto, quad, auto e fuoristrada UTV.
#ca
chestoria IL FUTURO SECONDO JAGUAR
ELECTRIC
FUTURE LA RIVOLUZIONE LEGATA ALLA MOBILITÀ SOSTENIBILE NON CAMBIERÀ SOLO LE NOSTRE AUTO. TRASFORMERÀ PROFONDAMENTE TUTTO L’ECOSISTEMA CHE LE CIRCONDA. IAN CALLUM, CAPO DEL DESIGN JAGUAR, SI È VOLUTO IMMAGINARE UNA VISIONE DI FUTURO
di Marco Cortesi
electric future
Tutti
ci siamo chiesti quale sarà il futuro dell’auto. E tutti abbiamo immaginato situazioni avveniristiche che più o meno si stanno iniziando a realizzare: che piaccia o meno, la tecnologia dell’auto elettrica sembra rappresentare sempre di più il futuro della mobilità di massa, ma passare in larga scala dalle vetture convenzionali a quelle elettriche, modificherà radicalmente tutta la nostra infrastruttura di movimento, con ripercussioni che andranno ben oltre il settore stesso. Per ripensare il paradigma della mobilità occorre ripensare e adattare tutta una serie di strutture ad essa collegate in maniera più o meno diretta. Se cambierà il nostro modo di fare la spesa o di andare al cinema, è impensabile che una tale rivoluzione non abbia un impatto anche sul supermercato stesso o sul cinema, oltre che sulle infrastrutture dedicate alle quattro ruote. Cosa ne sarà delle stazioni di servizio e dei parcheggi, ma anche di tutte quelle attività economiche che all’auto sono in qualche modo legate?
”Electric City” immagina la riqualificazione di un’area industriale dismessa, in questo caso gli Stanley Dock di Liverpool, per trasformarla in un polo di aggregazione
Se lo è chiesto Ian Callum, uno dei più grandi designer della sua generazione (e probabilmente della storia) autore di alcuni dei prodotti più straordinari e iconici di questo secolo. Callum, che firma di tutte le Jaguar moderne, ha unito le forze con l’architetto Barr Gazetas per immaginare un futuro innovativo, presentandolo in un evento presso lo showroom Jaguar di Mayfar ai membri del Royal Institute of British Architects. Lo studio è partito, oltre che dal puro aspetto estetico, anche dalle necessità ad esso sottese. Cosa cambierà nell’esperienza del “cliente”? Si è iniziato dalla stazione di servizio, prendendone a modello una vera, degli anni ‘60, che si trova sull’autostrada M6, nel Regno Unito. In futuro le persone dovranno attendere che la loro vettura si carichi e i tempi, anche nelle visioni più ottimistiche, saranno superiori a quelli di un semplice pieno di benzina. Per questo, serviranno una serie di attività differenti da quelle “mordi e fuggi”. Non solo bar e ristoranti, ma anche piscine e palestre.
“Today” rappresenta la rivisitazione dell’area di servizio Forton sulla M6. Una struttura per la sua epoca all’avanguardia ma oggi non propriamente piacevole quanto ad esperienza per chi ci si ferma
electric future
I-PACE è il primo suv totalmente elettrico di Jaguar. Dispone di due motori elettrici sincroni a magneti permanenti, capaci di erogare nel complesso assieme 400 CV di potenza e 696 Nm di coppia. Con un caricatore rapido da 50 kW DC, del tipo che si trova nella maggior parte delle stazioni di ricarica, IPACE è in grado in un’ora di ricaricare fino a 270 km di autonomia. Bellissima, IPACE è compatta all’esterno e spaziosa all’interno; dispone di cinque comodi posti, una capacità di carico posteriore di oltre 1.453 litri e di ben 27 litri nel vano portaoggetti anteriore
electric future
La netta riduzione del rumore e dell’inquinamento permetterà di incrementare la componente all’aria aperta, trasformando le aree di sosta in un centro di aggregazione in grado di fornire servizi anche alle comunità locali. Anche per quanto riguarda le aree di interscambio, vero “ultimo miglio” della mobilità urbana, Callum e Gazetas hanno pensato a servizi che possano arricchire l’area che li ospita. Nella loro idea, le vetture non arriverebbero neanche al centro della città, fermandosi poco distante in poli multifunzionali. Dopotutto, anche se elettrico, il traffico rimane qualcosa di fastidioso, possibilmente da ridurre. E con la nascita di poli intermodali ad alta frequentazione, si aprirebbe spazio per strutture di comunità e servizi alla persone. L’auto elettrica potrebbe davvero diventare un’opportunità non solo per salvaguardare l’ambiente, ma anche per incrementare il benessere e la salute di intere aree geografiche. E obbligatorio sarà non ripetere gli errori (e gli orrori) di tante aree di interscambio attuali.
Tutto ciò producendo energia, oltre che consumandola, grazie allo sviluppo di tecnologie solari sempre più efficienti. Anche i parcheggi multipiano, che oggi restano grigi parallelepipedi, potrebbero dare corrente alla rete (oltre a caricare le vetture) trasformandosi in minicentrali “green”. Lo sviluppo vero della città andrà però ben oltre le infrastrutture legate all’automobile. E’ inevitabile che, oltre al modo in cui andremo in giro, cambi anche il modo in cui vivremo, lavoreremo, acquisteremo, faremo sport e ci intratterremo. E il cambiamento avverrà in fretta… anzi è già iniziato, e chi riuscirà ad interpretarlo prima e meglio si troverà in posizione di vantaggio. Gazetas non nasconde di voler vedere realizzate tutte le proposte nell’arco di una generazione, anche quelle più avveniristiche di una città sempre più verde. Dopotutto, se si pensa a quante cose sono cambiate negli ultimi anni, ad esempio per quanto riguarda il digitale, sarebbe un peccato non “afferrare il treno” anche per il mondo fisico vero e proprio...
“Tomorrow” vede ipotizzare la rinascita del parcheggio multipiano di Welbeck Street, nella periferia est di Londra, caratterizzandolo anche con un’opera d’arte murale
electric future
�Electric future� è una visione di una Londra verde e pulita, con tanta vegetazione, spazi aperti e veicoli elettrici non solo stradali ma anche... aerei
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chestoria
Bella o funzionale?
PERFETTAMENTE NON SEMPRE LA BELLEZZA O MENO DI UN’AUTO È QUESTIONE DI GUSTI. MA SPESSO LA BELLEZZA RISIEDE ANCHE NELLA SUA RISPONDENZA ALLE NECESSITÀ DI CHI LA USA. IN QUESTO SENSO, IL PIÙ ANONIMO VAN GIAPPONESE PUÒ ESSERE CONSIDERATO ALLA STREGUA DI UNA PUROSANGUE SPORTIVA! di Marco Cortesi
UTILI…
perfettamente utili…
“È
una questione di gusti”. Spesso è questa la frase che si sente dire da questo o quel rappresentante di una casa automobilistica per definire un discusso modello, magari non particolarmente riuscito stilisticamente. Ma non è vero. O, meglio, non è del tutto vero. Sebbene ci sia sicuramente una scala di grigi, ci sono numerosi esempi di cose oggettivamente belle o oggettivamente brutte. Se qualcuno ci dicesse che la Venere del Botticelli è un brutto dipinto, non risponderemmo “E’ una questione di gusti”. Risponderemmo “Sei pazzo”. Tutto però è relativo. Un po’ come nei concorsi di bellezza per animali: non viene giudicata sempre e solo la bellezza assoluta, ma anche le caratteristiche relative alla razza dei “concorrenti”. Dopotutto, nemmeno il più bello dei Bulldog potrà mai competere con un normalissimo Labrador.
Nelle auto, questo discorso si trasmette sulla loro specifica utilità. Ci sono infatti automobili che nascono prima per assecondare uno scopo e poi, in seconda battuta, o magari anche mai, per andare incontro a dei canoni estetici. Accade per le supercar e per le macchine di tutti i giorni e non bisogna nemmeno andare troppo lontano per verificarlo. La Nissan GT-R è un esempio di vettura nata per raggiungere prima di tutto obiettivi di performance ed eccellenza tecnologica. Poi, si è fatto del proprio meglio per donarle anche una veste accattivante. Girando per le strade giapponesi, non è raro imbattersi nella Toyota ProBox. Una vettura che, proprio come la GT-R, ha soddisfatto uno scopo. Portare in giro persone e cose. Immaginate il design più anonimo che esista. Poi rendetelo ancora più anonimo. Quella è la ProBox che, anche in questo anonimato, riesce ad avere un certo fascino. L’utilitarismo dice che tutto ciò che aumenta la felicità degli individui è giusto. Ecco il punto: la ProBox non aumenterà la felicità dell’individuo per le sue doti esterne ma lo renderà più felice in quanto l’ha aiutato a completare il suo lavoro, magari facendolo rientrare prima a casa. Uscendo dall’aeroporto o dal terminal dei traghetti di Hong Kong, si verrà circondati da uno stuolo di Toyota Confort rosse e bianche. I famosi Taxi di Hong Kong, un altro perfetto esempio.
perfettamente utili…
Si trattadi parallelepipedi uniti in una berlina a tre volumi dal contenuto di design praticamente nullo. Ma perfetti per un Taxi senza pretese. Punto A, punto B, pagamento, ricevuta, e via per la prossima corsa. Da un preciso e specifico punto di vista sia la Confort che la ProBox sono Straordinarie tanto quanto una GT-R. In Europa, in particolare in Italia, la tendenza a creare vetture legate solo all’utilità non ha attecchito, e forse non lo farà mai. E’ impossibile separarci dal design. Perfino quando chiamiamo una vettura “Fiat Qubo” e la facciamo… sufficientemente cubica, riusciamo a renderla simpatica in maniera semplice e (forse) inarrivabile per gli altri, trascendendo il ruolo quotidiano. Dopotutto, realizzare una vettura con un po’ di buon gusto, non costa molto di più. Semplicemente da noi non esiste la visione della vita distaccata dal senso di soddisfazione estetica. Un altro esempio è il Vision Urbanetic di Mercedes Benz, un mezzo che elimina la
barriera fra trasporto di passeggeri e trasporto di merci, permettendo di realizzarli in base alla domanda ed in un’ottica di efficienza e sostenibilità. Questo concept, equipaggiato con un motore elettrico, è capace di guidarsi in autonomia e si presenta con diverse strutture intercambiabili per il trasporto passeggeri o merci. Anche in questo caso, però, è evidente lo sforzo estetico: anche se tende sicuramente più al Bulldog che al Labrador, la Vision Urbanetic riesce a risultare ricercata e sofisticata. Per molti versi, la cultura nipponica tipo è divisa tra la necessità di contribuire in modo essenziale e efficiente al bene della collettività, ed il desiderio di rendersi unici. Questo ha portato alla convivenza di vetture come la citata Toyota ProBox con altre che, pur essendo orientate alla vita di famiglia e lavorativa, sfoggiano un carattere sportivo accentuato. Vetture che, in altre parole, sono esattamente l’opposto. E’ il caso della gamma Nissan, che in Giappone presenta versioni Nismo per ogni modello, persino per la maxi-monovolume Serena, che stride un po’ con l’immagine da sportiva. Ma è il caso anche della Note Nismo, che è diventata quasi di culto tanto da far perfino nascere, ed è annuncio di questi giorni, una nuova versione “S” ibrida da 136 cavalli. La speranza è che venga presto importata anche in Italia per la gioia di coloro che desiderano distinguersi, pur avendo una… vita vera.
#ca
#cheauto quando l’auto fa spettacolo
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ONLINE IL 3 GENNAIO