Chiavacci | Morellet
Gianfranco Chiavacci | Franรงois Morellet rigorosi, rigolards... a cura di Alessandro Gallicchio Artforms, dal 18 settembre al 3 ottobre 2015 Die Mauer, dal 18 settembre al 17 novembre 2015
Gianfranco Chiavacci | François Morellet rigorosi, rigolards...
Introduzione Nel vasto panorama artistico internazionale, che da qualche tempo ha iniziato a riflettere con insistenza sulle questioni geopolitiche e ha deciso di dare visibilità ai paesi cosiddetti “periferici” o “marginali”, si è deciso di proporre una mostra che sembra quasi essere in controtendenza rispetto alle nuove linee di ricerca. Gli artisti coinvolti, Gianfranco Chiavacci e François Morellet, hanno infatti vissuto, in maniera differente, una forma di marginalità, ma nel cuore stesso del vecchio continente. La Biennale di Venezia di quest’anno, intitolata All the world’s futures, invita lo spettatore alla scoperta (o riscoperta) di figure provenienti o operanti in contesti altri e di artisti attenti a problematiche sociali e di confine. Tale edizione ha infatti permesso di osservare con un occhio attento le possibilità decostruttive di una geografia artistica obbediente alla classica divisione tra centro e periferia, e di analizzare tutte le problematiche connesse ad una globalizzazione culturale piena di contraddizioni. Con la stessa sensibilità per la complessità, ma all’interno di un contesto radicalmente opposto, si è ritenuto invece opportuno mettere in luce due figure che pur appartenendo a un’area centrale, quella europea, hanno vissuto per molti anni una sorta di solitudine artistica. L’analisi è dunque di matrice storica, confinata in un’area – quella italo-francese – che, sovraffollata dai grandi movimenti che hanno marcato la storia dell’arte cara alle istituzioni, ha talvolta perso di vista sperimentazioni astratto-geometriche rimaste forse un po’ troppo isolate. Non a caso Gianfranco
Alessandro Gallicchio
Chiavacci e François Morellet hanno vissuto per molti anni quasi nell’anonimato – ed è ancora oggi il caso dell’artista italiano – lavorando il primo presso gli sportelli dell’Ente Cassa di Risparmio e il secondo nella fabbrica di famiglia. Gli impegni professionali li hanno costretti a Pistoia e a Cholet, zone certamente decentrate rispetto alle grandi capitali dell’arte. Va però sottolineato che il caso di Morellet non può certo essere paragonato a quello di Chiavacci poiché, pur essendo contraddistinto da anni marginali, il suo percorso gode oggi di una fama indiscussa. Chiavacci invece, nonostante la sua instancabile e variegata produzione, resta uno dei tanti artisti italiani che meritano finalmente di essere esposti e studiati. Il riferimento a quelle che provocatoriamente vengono qui definite le “periferie prossime” del contemporaneo, che nel caso specifico sono Pistoia e Cholet, è soprattutto un invito ad adottare una metodologia di ricerca che privilegi studi locali da legare a contesti di più ampio respiro. Ginzburg e Castelnuovo, nel loro testo intitolato Centro e periferia1, hanno infatti riflettuto su tali questioni denunciando quello che sembra essere più che altro un ritardo di metodo. Queste preoccupazioni sono alla base del progetto espositivo, ossia un tentativo di dare il giusto peso ad un artista del territorio toscano attraverso dei legami d’affinità con una figura internazionalmente riconosciuta. Rigorosi La mostra unisce infatti due realtà di Prato, Artforms e Die Mauer, situate in due differenti zone della città (uno in centro e l’altro
NOTE 1. Enrico Castelnuovo, Carlo Ginzburg, Centro e periferia, in Giovanni Previtali (a cura di), Storia dell’arte italiana, I. Materiali e problemi, I. Questioni e metodi, 3 vol. Torino, Einaudi Editore, 1979.
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in periferia...) e con identità diverse, un’associazione culturale e una galleria d’arte. Le motivazioni di tale scelta risiedono nel desiderio di creare un percorso composto da due momenti, ognuno dei quali caratterizzato da dinamiche ben precise. Senza ordine di marcia, il visitatore può infatti cimentarsi sia in uno spazio che invita ad una fruizione “contemplativa”, la galleria Die Mauer, in cui le opere dialogano grazie ad un linguaggio geometrico semplice che fa uso di punti, trame, griglie e curve, sia all’interno di un’ex fabbrica, Artforms, dove si può invece sperimentare una visita più dinamica grazie all’impiego di dispositivi che invitano lo spettatore all’attivazione delle opere. La mostra vuole infatti mettere al centro l’esperienza della fruizione attraverso la stimolazione percettiva dello spettatore. Così facendo si è deciso di rispettare le intenzioni degli artisti, che in maniera diversa hanno puntato l’attenzione sulle potenzialità dell’arte geometrica e sulle sue relazioni con il pubblico. Morellet, nel 1971, ha infatti redatto uno dei suoi testi più celebri dedicato proprio al ruolo di quest’ultimo: Du spectateur au spectateur ou l’art de déballer son pique-nique2. Qui, oltre a chiarire alcuni passaggi del processo creativo, affermava che le sue opere volevano essere un coin à piquenique, una sorta di piattaforma sulla quale lo spettatore poteva proiettare tutto ciò che voleva. La metafora domenicale era adatta a questo tipo di discorso poiché faceva uso della figura del panier, facilmente visualizzabile e funzionale alla resa dell’immagine di quel bagaglio culturale che ogni singolo visitatore poteva utilizzare per l’interpretazione dell’opera d’arte. Si tratta certamente di un atto provocatorio, che intende mettere in crisi i rapporti di passività tra l’arte e il suo fruitore. Morellet infatti considerava che lo spettatore doveva giocare un ruolo attivo ed era per natura predisposto ad attribuire un significato proprio ad un’opera che, per l’artista, non voleva “significare” niente. Questa pratica, come sottolinea lo stesso
Morellet, non era isolata ma trovava le sue radici nel dadaismo duchampiano, in Malevič, Mondrian, Klein, e nei più giovani Andre, Kosuth e de Andrea3. Per ciò che riguarda Morellet è però necessario precisare che dietro tali affermazioni vi era anche il desiderio di proporre una ricerca radicalmente opposta a quella proposta dagli esponenti dell’espressionismo astratto e dalla nuova École de Paris, intrise di eccessiva emotività. La realizzazione di un’opera utopisticamente priva di ogni sorta di influenza soggettiva era frutto dell’impiego di sistemi (da qui deriva la definizione di arte sistemica che contraddistingue la pratica di Morellet) che permettevano all’artista una produzione seriale e neutra. La pratica di un’arte rigorosa e sistematica sembra contraddistinguere anche il lavoro di Chiavacci, artista che si è dedicato incessantemente alla ricerca delle diverse declinazioni del codice numerico binario utilizzato dagli elaboratori elettronici a partire dagli anni Sessanta e che può essere paragonato ad uno dei sistemi morellettiani. Nel caso dell’artista italiano nessuno, fino ad oggi, ha però osato parlare in termini di arte sistemica, poiché, in realtà, Chiavacci non ha mai rivendicato tale affiliazione. Non può però passare inosservata quella che verrà generalmente definita un’attitudine sistemica, ossia una pratica che fa uso di un linguaggio codificato (dunque un sistema), la binarietà. Anche se tale ipotesi meriterebbe uno studio più approfondito, si citano alcuni testi in cui l’artista si è soffermato in maniera dettagliata sulle possibilità creative del linguaggio binario, che confermano in un certo qual modo l’importanza che la formulazione di un sistema unico e ripetibile aveva assunto per Chiavacci: Binarietà (1973)4 e La binarietà e lo spazio bidimensionale (1980)5 [figg. 1, 2]. L’interesse per questo linguaggio nasce in ambito professionale quando, inviato per lavoro presso il centro formativo della IBM, l’artista aveva ricevuto una formazione informatica. Parallelamente, non
NOTE 2. François Morellet, Du spectateur au spectateur ou l’art de déballer son pique-nique, in Id., Mais comment taire mes commentaires, Paris, Éditions Beaux-arts de Paris, 2011. 3. Cfr. ivi, p. 56. 4. Gianfranco Chiavacci, Binarietà, dattiloscritto, Pistoia, 1973. 5. Gianfranco Chiavacci, La binarietà e lo spazio bidimensionale, Pistoia, 1980.
a caso, si era nutrito di letture sulla logica matematica, sulle intelligenze artificiali e sull’arte programmata6. Le prime opere realizzate a partire dal codice binario datano infatti 1963, solo un anno dopo la comparsa del testo pubblicato da Umberto Eco in occasione della mostra Arte programmata tenutasi a Milano, evento che aveva consacrato tutte quelle pratiche artistiche che esploravano le potenzialità dei sistemi, della matematica, della scienza e della tecnologia7. Entrambi gli artisti sembrano dunque appartenere alla categoria dell’arte astratto-geometrica che mette al centro dei suoi interessi una ricerca rigorosa e lineare, secondo un processo che non si esime dal far uso di sistemi matematici. Rigolards… Seppur carico del peso delle scienze, il lavoro di Chiavacci e Morellet si contraddistingue per il suo carattere ironico, per quella forma di légèreté che demistifica l’apparente severità del linguaggio sistemico. Per questo si è deciso di intitolare la mostra rigorosi, rigolards... (divertenti) – espressione cara a Morellet – poiché, come espresso da entrambi gli artisti, l’ironia e l’humor sono ingredienti fondamentali per rendere l’arte astratto geometrica meno ermetica. Non è un caso che questo desiderio di rendere l’opera d’arte più accessibile sia legato alle esperienze d’avanguardia degli anni Sessanta. Ci si riferisce, principalmente, alle ricerche sull’arte cinetica. In ambito francese è doveroso citare l’esperienza del G.R.A.V. (Groupe de Recherche d’Art Visuel), al quale Morellet ha partecipato. Egli infatti, insieme ad artisti quali Garcia-Rossi, Le Parc, Sobrino, Stein, Yvaral, Molnar, Moyano Servantes, Garcia Miranda, aveva redatto un manifesto in occasione della 3ª Biennale de Paris del 1963, intitolato Assez de mystifications8, nel quale avanzava
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una remise en question del ruolo dell’artista. La demistificazione diveniva così il mezzo attraverso il quale ridefinire l’autore e la sua opera, esattamente come ribadito dal testo di Morellet dedicato allo spettatore e al suo picnic. L’arte veniva interpretata come pura ricerca visiva, un insieme di forme neutre, eseguite con precisione, ma concepite per la sola esistenza nell’occhio di chi le osserva9. Questa tappa della carriera artistica di Morellet sancisce un momento che, pur contraddistinto da un idealismo utopico, resta fondamentale per la ridefinizione dei processi di fruizione e valorizzazione dell’arte. L’arte viene creata, letta e interpretata a partire dai suoi effetti sulla percezione. Questo approccio, che si fondava principalmente sulla concezione dell’occhio-osservatore, viene però velocemente sostituito da una visione che intende coinvolgere tutta la sfera sensoriale del corpo-spettatore. Si arriva dunque a una stimolazione motoria attraverso opere mobili attivabili all’interno delle sale espositive, come è il caso della proposta presentata dal G.R.A.V. alla 4ª Biennale de Paris del 1965 nella quale, attraverso il gioco delle bocce, si poteva accendere un vasto pannello luminoso10.
NOTE 6. Cfr. Aldo Iori, Per una spazialità binaria, in Id., Gianfranco Chiavacci. Binaria, Pistoia, Settegiorni Editore, 2013, p. 18. 7. A questo proposito si rimanda al catalogo dell’esposizione: Marco Meneguzzo, Enrico Marteo, Alberto Saibene (a cura di), Programmare l’arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, catalogo della mostra (Milano, Museo del Novecento, 9 novembre 2012-3 marzo 2013), Milano, Johan&Levi, 2012. 8. G.R.A.V., Assez de mystifications, 3° Biennale de Paris, 1963. 9. Cfr. Serge Lemoine, François Morellet, Paris, Flammarion, 2011, p. 44. 10. Cfr. Arnauld Pierre, Ce que devrait être le spectateur, in Daniel Abadie (a cura di), François Morellet, catalogo della mostra (Paris, Galerie nationale du Jeu de Paume, 28 novembre 2000 - 21 janvier 2001), Paris, Galerie nationale du Jeu de Paume, 2000, p. 23.
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L’analisi degli effetti percettivi passava quindi attraverso una pratica che poteva assumere dei caratteri ludici [fig. 3]. La scelta del canale gioco presupponente l’intervento diretto del fruitore corrispondeva così alla volontà di uscire dal preconcetto, dal precostituito, dal già dato, per aprirsi all’impossibile, all’imprevisto, alla variazione e soprattutto all’evento11. Nelle sale di Artforms si è così deciso di sottolineare l’aspetto ludico di tali pratiche ponendo l’accento principalmente sul carattere partecipativo e demistificatorio delle opere. L’invito a un’esperienza leggera e divertente si traduce in un dispositivo espositivo che privilegia delle piattaforme posate sul suolo contenenti serigrafie di Morellet [fig. 4] e opere su carta di Chiavacci [fig. 5]. Alcune piattaforme, rese volontariamente mobili, invitano il pubblico a “giocare” con esse e a creare delle disposizioni variabili, modificando in permanenza l’allestimento della mostra. Sulle pareti, a completamento di tali costellazioni, sono stati disposti altri lavori su carta. In questo modo il pubblico, coinvolto in un’esperienza che sfrutta le superfici non solo verticali ma anche orizzontali dello spazio, è stimolato a vivere una visita dinamica che culmina nell’osservazione di due macchine cinetiche di Chiavacci [fig. 6].
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Quest’ultimo, infatti, dal 1965 inizia a realizzare esperimenti ottici che sono evidentemente in linea con le ricerche dei vari Gruppo T, Gruppo N e MID. Nei suoi appunti l’artista afferma che per diversi mesi si è dedicato a uno studio teorico molto denso12. Il risultato di queste ricerche si materializza in schermi con dischi rotanti [figg. 7, 8] e box con serie geometriche13. Per ciò che riguarda i dischi, una delle opere alle quali Chiavacci deve aver certamente guardato, come in realtà tutti coloro che facevano parte dei cenacoli dell’arte programmata, era AnémicCinéma di Marcel Duchamp. Qui dieci dischi con spirali e giochi di parole ironici venivano fatti ruotare per dare l’impressione di un avanzamento, precedendo di qualche decennio le ricerche della op-art. Nel 1935, questi dischi, modificati per essere installati su un grammofono, erano stati intitolati Rotoréliefs [fig. 9]. Con questi oggetti Duchamp aveva deciso di utilizzare forme di movimento per ottenere degli effetti ottici grazie all’impiego di colori contrastanti. Queste sperimentazioni trovano conferma nei numerosi documenti d’archivio di Chiavacci nei quali l’artista parla di cinetismo e meccanica e mostra con insistenza un vero interesse per gli esperimenti che vanno in questa direzione. In alcuni fogli si possono leggere con chiarezza tutti gli schemi
NOTE 11. Cfr. Luciano Caramel, Il “groupe de recherche d’art visuel”, origini e sviluppi, teoria e prassi, problemi e proposte, contributi e contraddizioni in Id. (a cura di), GRAV, catalogo della mostra (Lago di Como, 20-30 settembre 1975), Milano, Electa editrice, 1975, p. 11. 12. Cfr. Gianfranco Chiavacci, Diario di lavoro, 16 marzo 1965, Archivio Gianfranco Chiavacci, Pistoia. 13. Cfr. Aldo Iori, Per una spazialità binaria cit., p. 28.
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afferenti a quella che chiama senza mezzi termini la sua fase optical [figg. 10, 11]. Non stupisce dunque trovare nella biblioteca dell’artista il catalogo della mostra The Responsive Eye, tenutasi al MoMa nel 1965, vera e propria consacrazione dell’op art, e i numeri della rivista «Scientific America», nei quali venivano pubblicati gli esiti delle più recenti ricerche scientifiche sulla percezione. Se fino ad oggi tali macchine sono state interpretate quasi esclusivamente come mero strumento di ricerca, non può passare inosservata l’importanza che Chiavacci aveva dato a queste opere. Pur non essendosi mai definito artista cinetico, si è certamente dedicato con impegno allo studio dei linguaggi che facevano uso della tecnologia. La sua produzione teorica non si limita però alle sole ricerche astratto-geometriche ma si nutre anche di riflessioni che toccano l’universo dell’arte concettuale, un corpus che resta ancora tutto da studiare.
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Astrazione cibernetica? Come per il caso di Morellet [fig. 12] – l’artista decide di far uso di materiale luminoso nel 1963, nello stesso anno in cui Dan Flavin esegue il suo The diagonal of May 25 to Costantin Brancusi [fig. 13] – la ricerca estetica di Chiavacci è, senza alcuna ombra di dubbio, scienza e tecnica dell’immagine. Qui emerge chiaramente un’altra motivazione della scelta di presentare in binomio Morellet e Chiavacci. Come ha brillantemente sottolineato Arnauld Pierre nel suo saggio comparso nel catalogo dell’ultima mostra di Morellet al Centre Georges Pompidou nel 2011, prima ancora della nascita dei cervelli elettronici sono esistiti artisti che hanno realizzato qualcosa in tutto simile a quella che definisce l’ “astrazione cibernetica”14. Artisti come Chiavacci o Morellet hanno fatto uso di un processo di concezione sistematica dell’opera in tutto simile a quello utilizzato per la programmazione di apparecchi tecnologici,
NOTE 14. Cfr Arnauld Pierre, Plus, moins, hasard, in Serge Lemoine, Alfred Pacquement (a cura di), François Morellet. Réinstallations, catalogo della mostra (Paris, Centre Georges Pompidou, 2 marzo - 4 luglio 2011), Paris, Centre Pompidou, 2011, p. 168.
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come risulta dalle superfici pixellizzate di alcune loro opere, che fanno infatti pensare a un’estetica digitale. Un esempio lampante di questo approccio possono essere le répartitions aleatoires di Morellet [fig. 14] e i quadri binari di Chiavacci [fig. 15]. L’importanza assunta dalle scoperte tecnologiche negli sviluppi delle loro ricerche si manifesta monumentalmente nel Lamentable [fig. 16] di Morellet, un’installazione in cui otto tubi di neon pendenti, uniti fra loro, formano una “scultura luminosa”. I diversi segmenti, che alla base costituiscono un cerchio, servono all’artista per mettere in crisi non solo la rigorosità dell’arte geometrica (l’artista fa soprattutto riferimento all’arte concreta) ma anche la tradizionale associazione tra scultura e simbolismo fallico, di cui Brancusi è un chiaro esempio. I tubi pendenti contrastano con la rigidità marmorea della scultura classica esaltando il carattere flottant dei neon. Morellet, interrogato sul Lamentable, risponde infatti con l’ironia che lo caratterizza: «Par exemple, prenez un grand cercle composé de huit éléments de néon réunis en chapelet et pendez-les à un clou avec la moitié des éléments en désordre sur le sol: c’est proprement lamentable. C’est d’ailleurs le titre de la série réalisée avec ce procédé»15. Quest’opera, nel contesto della galleria, assume inoltre l’aspetto di un’installazione ambientale
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che, grazie al suo carattere effimero, ridefinisce, alla maniera di un site-specific, le caratteristiche della sala espositiva. Vicino sono state esposte quattro fotografie in bianco e nero di Chiavacci che mostrano delle affinità con alcune opere di Morellet. L’artista ha infatti svolto numerosi studi sulla fotografia16 arrivando a dei risultati estetici in linea con una ricerca dai tratti minimalisti che fa uso di reticoli, dai quali si svilupperà poi il suo famoso concetto di rete, ancora tutto da esplorare. Griglie, trame, linee, sono elementi che ricorrono
16. NOTE 15. Philippe Piguet, François Morellet. La merveilleuse légèreté d’être, «L’art absolument», marzo/aprile, 2010, p. 52. 16. Per questo aspetto si rimanda a Valerio Dehò, Gianfranco Chiavacci. Fotografia totale, Bologna, Damiani editore, 2014.
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anche nella pratica di Morellet, come dimostra l’opera 3 trames 90°-179°-181° [fig. 17], esposta volontariamente di fronte alla serie fotografica a cui si è fatto accenno. In questa serigrafia su tavola le trame, disposte secondo un’angolazione di 90, 179 e 181 gradi, danno vita a un dipinto che, facendo uso della sovrapposizione di piani su scala bidimensionale, sembra in qualche modo vicina alle preoccupazioni estetiche delle pellicole di Chiavacci. Nel 1977, opere come quella appena citata sono state oggetto di una classificazione da parte di Morellet che, dopo aver identificato cinque famiglie (juxtaposition, superposition, hasard, interférence, fragmentation17), ha deciso di inserirle nella categoria superposition. Il suo interesse per la rappresentazione geometrica e le griglie sembra però risalire alle illustrazioni realizzate per il primo testo pubblicato da suo padre (Charles Morellet) nel 1949 e intitolato Saint-Louis ou la justice sous les chaînes18, in un periodo nel quale François non 19.
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aveva ancora intrapreso una “carriera” d’artista. Per questo libro Morellet aveva realizzato numerosi disegni figurativi tra cui si segnala la rappresentazione di un pasto di prigionieri19 [fig. 18], sullo sfondo del quale il pavimento della cella sembra quasi premonire gli esiti delle sue ricerche sulle trame. In una recente intervista Morellet, incuriosito dall’interesse mostrato per i suoi disegni “giovanili”, ha affermato: «Ah, c’est pas mal, ça! Je ne pensais pas que j’étais aussi habile à l’époque. Ça m’amuse de les revoir: ça montre que j’aurais pu faire une autre forme de peinture. Quelquefois on me dit que j’ai fait des carrés parce que je n’étais pas foutu de dessiner des bonnes femmes! Et puis, ça m’amusait de faire plaisir à mon père et ça l’amusait, lui, de me faire plaisir»20.
NOTE 17. Cfr. François Morellet, Classification des œuvres, in Dieter Honisch, Hans Albert Peters, Jacques Lassaigne (a cura di), François Morellet, catalogo della mostra (Berlin, Nationalgalerie Staatliche Museen PreuBischer Kulturbesitz, 15 gennaio - 20 febbraio 1977; Baden - Baden, Staatliche Kunsthalle, 22 aprile - 12 giugno 1977; Paris, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 23 settembre - 30 ottobre 1977), Berlin, Nationalgalerie Staatliche Museen PreuBischer Kulturbesitz, 1977, p. 75. 18. Charles Morellet, Saint-Louis ou la justice sous les chaînes, Paris, Les Éditions de l’Ermite, 1949. 19. Ivi, p. 105. 20. François Morellet, L’estampe impossible de François Morellet, entretien avec Laurent Laz, in Caroline Joubert (a cura di), François Morellet. L’esprit de suite, catalogo della mostra (Caen, Musée des Beaux-Arts de Caen, 13 maggio-21 settembre 2015), Lyon, Fage éditions, 2015, p. 23.
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Italia-Francia: i teatri delle sperimentazioni geometriche Come si è potuto dimostrare, Chiavacci e Morellet sono senza ombra di dubbio due personalità importanti per le ricerche astratto-geometriche nate a partire dagli anni Sessanta in Italia e in Francia. Il contesto all’interno del quale i due artisti si sono mossi ha i suoi fulcri produttivi in città decentrate quali Pistoia e Cholet ma si sviluppa grazie ai contatti con centri più attivi come Firenze, Milano e Parigi. Risulta così necessario, in conclusione, dare una panoramica dei luoghi che sono stati il teatro di questi esperimenti e ipotizzare, per la prima volta, in quali circostanze e grazie a quali frequentazioni i due possono aver avuto l’opportunità di confrontare i propri lavori. Si può partire da una constatazione certa: Chiavacci conosceva Morellet! In un’intervista rilasciata a Annamaria Iacuzzi l’artista, parlando della Galleria Numero di Firenze e delle frequentazioni degli anni Sessanta, afferma di aver conosciuto il lavoro di «un francese, un certo Morellet, che faceva una ricerca più optical e materica»21. In questi anni l’artista pistoiese frequentava Fernando Melani, Carlo Cioni, Paolo Masi e naturalmente artisti come Giuseppe Chiari e tutto il cenacolo fiorentino che ruotava intorno a Fiamma Vigo. La sua prima personale era infatti stata ospitata proprio dalla Galleria Numero dal 18 febbraio al 3 marzo del 1967 [fig. 19]22. Si trattava del secondo premio di una mostra-concorso bandita dalla galleria e intitolata “Piccoloformato”, alla quale l’artista aveva partecipato [fig. 20]. A partire da questo momento si può infatti affermare che Chiavacci aveva avuto l’opportunità di conoscere da vicino opere di artisti con ricerche a lui prossime quali Mario Nigro, Vittorio Tolu, Almir Mavigner e Alberto Biasi. Parallelamente alle frequentazioni toscane, durante il fine settimana era solito recarsi presso il Centro sperimentale di ricerca estetica Ti. zero a Torino e, soprattutto, al Centro Culturale Sincron di Brescia, nel quale Armando Nizzi organizzava
mostre d’arte geometrica, cinetica o concreta. Verso la fine degli anni Sessanta la Sincron era divenuta un luogo di ritrovo importante per tutti quegli artisti che lavoravano in seno all’arte programmata. Oltre alle numerose mostre, Nizzi organizzava anche degli incontri che riunivano a Rimini tutte le personalità interessate a queste ricerche quali, ad esempio, Bruno Munari [fig. 21]. È con tutta probabilità in questi ambienti che Chiavacci aveva potuto osservare le opere di Morellet. Dall’archivio bresciano risulta infatti che Morellet era stato esposto da Nizzi in diverse occasioni: Incontro verifica ‘74 (31 maggio 1974), Morellet (12 aprile 1975), Misure di qualità (18 ottobre 1985), Collettiva (4 marzo 1989) e Solo artisti stranieri (13 dicembre 1997)23. Non va inoltre dimenticato che molti degli artisti che frequentavano la Sincron avevano fatto parte del G.R.A.V., su tutti Julio Le Parc e Rafael Soto, e che attraverso figure come Munari era al corrente della presenza di Morellet in esposizioni quali Motus (1960) da Azimut o la celebre Arte Programmata (1962) presso Olivetti. Grazie ai rapporti d’amicizia con alcuni esponenti dell’arte programmata milanese, su tutti Gianni Colombo, Morellet aveva infatti fatto parte di mostre collettive che erano specchio di quell’interesse per il lavoro di gruppo come Peinture en plein air, incontro italo-francese di pittura estemporanea del 1971, che vedeva coinvolti, nella galleria Cenobio Visualità, Colombo, Boriani, Le Parc, Morellet, De Vecchi e Stein o Colombo, Morellet, Von Graevenitz. Tre environments allo Studio Marconi nel 1973. Questi esempi, insieme a tanti altri, dimostrano la pluripresenza di Morellet nelle esposizioni italiane degli anni Sessanta e Settanta e servono da base storica al confronto con Chiavacci. Conclusioni Non solo le tangenze poetiche e programmatiche, ma i luoghi e le frequentazioni comuni dimostrano che i due artisti hanno condiviso un’esperienza singolare all’interno del panorama
NOTE 21. Annamaria Iacuzzi, Dialogo per una biografia, in Aldo Iori, Gianfranco Chiavacci. Binaria cit., p. 140. 22. Cfr. ivi e Alessia Lenzi, Indice degli artisti, in Rosalia Manno Tolu, Maria Grazia Messina, Fiamma Vigo e “Numero”. Una vita per l’arte, Firenze, Centro Di, p. 360. 23. Cfr. Le mostre della Sincron dal 1967 ad oggi, in sito web Sincron centro culturale arte contemporanea, http://web.tiscali.it/sincron/ (ultima consultazione 30/08/2015).
astratto-geometrico dell’epoca. La mostra tenta dunque di mettere in evidenza queste affinità, sottolineando, allo stesso tempo, le singolarità di ognuno dei due percorsi. L’invito è dunque rivolto allo spettatore: vivere con leggerezza l’opera di due “modernisti” (come amano definirli gli storici dell’arte) tenendo presente l’importanza che il gioco, l’ironia e la sperimentazione hanno avuto nella loro ricerca. Concludendo con le parole di Morellet, che paragona l’arte ufficiale (e spesso figurativa ) al “grande fiume” della storia dell’arte e le ricerche sistemiche e geometriche all’ “acqua stagnante”, si consiglia di prendere parte a questa anacronistica esperienza «car, aujourd’hui, une foule de jeunes artistes passionnées d’art illusioniste, de réalisme, “lifelike”, c’est à dire les “néo” – photographes, vidéastes, installateurs et performers, accompagnés par des “néo” branchés, quittent les eaux dormantes pour rejoindre le grand fleuve»24.
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NOTE 24. Cfr. François Morellet, Entretien avec Marianne Le Pommeré, in Id., Mais comment taire cit., p. 276.
Une surconsommation de François Morellet par Bruno Munari? Proposition d’un autre dialogue franco-italien dans les années 1960 Cachet culturel Observer une œuvre de François Morellet à la loupe, c’est ce que réalise, dans son étude des textures, l’artiste et designer Bruno Munari (né à Milan en 1907 et mort en 1988 à Milan), figure polymorphique à l’instar de Gianfranco Chiavacci. Il se sert alors de l’œuvre de François Morellet et il la considère parmi un grand nombre d’exemples issus du monde naturel ou artificiel. Cette banque d’images sera à réactualiser régulièrement1, dans l’initiation au design et à la communication visuelle qu’il propose à des étudiants américains du Carpenter Center for the Visual Arts à Harvard entre fin février et début mai 1967. En parallèle, un aperçu des cours est offert à un lectorat plus large au travers des Lettres de Harvard publiées pendant son séjour à Cambridge dans le quotidien milanais Il Giorno2. Dans ces cours, fort peu de contexte historique et un formalisme poussé à son extrême. Menée à son terme, cette initiation permettrait à ceux suffisamment sensibilisés à la composition d’une texture, à voir « plus intensément la surface des choses, se rend[dre] compte que de nombreux objets que l’on voyait auparavant uniquement comme des formes possèdent aussi une texture particulière »3. Une sensibilité plus grande à la forme sert à approfondir une opération d’abord visuelle. Audelà d’applications industrielles dans des contextes divers,
Constance Moréteau Bruno Munari s’en tient ici à l’élargissement maximum des références visuelles des futurs designers et ainsi à une curiosité extensible. La diversité des exemples au risque de les niveler, parmi lesquels se trouvent les œuvres de Morellet, peut choquer nombre d’amateurs d’art exigeants. Pour revenir à ce formalisme fonctionnaliste (et non idéologique), n’a-t-il pas au moins pour avantage de s’éloigner de ces tentatives d’application totalisante, dans la vie quotidienne, d’un art novateur telle que cela a pu être prôné par les avant-gardes? L’objectif de cet essai n’est pas tant de condamner le quasi détournement de l’œuvre de François Morellet4 par Bruno Munari que de chercher à comprendre ce que peut produire le croisement de leurs deux conceptions d’un regardeur actif. Ces positions, introduites dans la suite de cet essai, sont principalement énoncées entre la fin des années 1950 et le début des années 1970 dans les milieux de l’art et du design. Par le biais de l’art optique, les designers et les artistes appartiennent, pendant cette période, au même monde, tout particulièrement dans le contexte des échanges franco-italiens. La surcharge idéologique et culturelle, trop souvent constatée à la fois dans l’exposition des productions artistiques et/ou dans leur conception même, devient un souci commun à de nombreux artistes et designers liés à ce champ élargi de la
NOTE 1. Voir la lettre de Harvard intitulée Adapter le programme aux individus et non l’inverse, in Bruno Munari, Design et communication visuelle, Paris, Pyramyd, 2014 [1968, Laterza & Figli], p. 16. 2. Suite à une publication en italien de l’ensemble des lettres et des cours, accompagnés de leur matériel visuel, une publication en français a été réalisée en 2014 : voir Bruno Munari, Design et communication visuelle, Paris, Pyramid, 2014. Dans son avant-propos, l’auteur précise qu’il ne s’agit en aucun cas d’un traité définitif sur le sujet « mais plutôt une contribution déjà éprouvée à la conception d’un cours qui pourra être influencée par des expériences ultérieures ». 3. Ivi p. 100. Voir aussi la lettre de Harvard Chacun voit ce qu’il connaît, ivi, p. 17 : la texture, c’est aussi « la texturisation (naturelle ou artificielle) d’une surface à l’aide de signes qui préservent l’uniformité ». L’un des premiers exercices du cours de Bruno Munari consiste justement en l’étude des textures. 4. La notion même de détournement est en elle-même un peu exagérée dans la mesure où dans certains exercices de texturisation donnés par Bruno Munari à ses étudiants, il s’agissait de ne rien exprimer en particulier et, en priorité, d’expérimenter.
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1. 14 création qui vient d’être évoqué. Dès 1958, François Morellet invitait, dans un court texte, à « chasser cette ‘richesse’ de nos œuvres », prenant l’exemple de la période charnière du 14ème siècle en Italie et des arts dits archaïques. Dans ce texte publié dans la revue « Ishtar », l’auteur propose un art qui puisse permettre de « voir un peu plus clair. Pour cela, nous nous servons du langage le plus simple et le moins équivoque possible, nous tâchons d’aborder séparément tous les grands problèmes plastiques. Nous sommes persuadés que des rapports les plus simples (d’éléments géométriques, par exemple) nous pouvons tirer non seulement un plaisir esthétique profond, mais encore une compréhension de plus en plus grande de notre propre
sentiment esthétique»5. Repris en 1960, le texte, initialement paru sous le titre Les artistes écrivent : François Morellet, s’intitule désormais En Italie au XIVe siècle. Un titre qui est bien vague et qui annonce une prose descriptive et didactique fleuve, telle une parodie de parution pour lecteurs érudits. Dans le champ du design, en France et en Italie, au XXe siècle, en 1970, le risque d’interpréter la création comme “cachet culturel” est aussi fréquemment une bête noire, ce dont témoigne une lettre de l’artiste et designer Enzo Mari (né en 1932 à Novara) adressée à Bruno Munari. Les créations de ces deux artistes sont exposées au Musée des Arts Décoratifs à Paris, à l’occasion de l’exposition CONTENIR, REGARDER, JOUER qui est consacrée aux productions et aux éditions de Bruno Danese. La lettre, citée ci-dessus, est même reproduite en guise d’introduction du catalogue de l’exposition et elle commence par édicter les “principes du choix”: « Avec la situation chaotique d’aujourd’hui qui existe également à tous les niveaux de la culture, il me semble trop facile et dangereux de monter une exposition qui puisse être comprise de travers ou même interprétée uniquement comme cachet culturel, comme cela arrive pour beaucoup d’expositions de ce genre, vues ces derniers temps »6. A ce discours fait écho la simplicité de la scénographie, avec des supports tous de même hauteur et de même largeur, accompagnée par un appareil textuel concis. Seul un exposé didactique doit prévaloir, par un accent mis sur une « définition de cette production au cours de son histoire, c’est-à-dire au cours de l’évolution de ses raisons techniques et idéologiques »7. Points noirs et art optique Dans une partie du cours de Bruno Munari dédiée à la texture, Doubles trames [fig. 1] de François Morellet (1958) est montré aux étudiants8. Puis, après la projection d’une photographie
NOTE 5. Voir En Italie au XIVe siècle, publié dans Les artistes écrivent: François Morellet, in « Ishtar », Paris, n° 2, juin 1958, p. 74. Reproduit dans François Morellet, Mais comment taire mes commentaires, Paris, Beaux-arts de Paris-les éditions, 2010, p. 23. 6. Voir CONTENIR, REGARDER, JOUER. Productions et éditions de Danese, cat. exp., Paris, Musée des Arts Décoratifs, 1970, pas de pagination. La lettre d’Enzo Mari est reproduite dans le catalogue avant l’introduction. 7. Ibid. 8. Ivi, p. 107.
2.
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de maison japonaise, sont présentées deux autres œuvres de Morellet9. La première n’est ni titrée ni datée. Il s’agit en réalité de Tirets 0° - 90° de 196010 [fig. 2]. La seconde, non datée (elle est réalisée en 1962) apparaît, quant à elle, accompagnée d’une version approximative de son titre, utilisé plutôt sous la forme d’une prose: « la seconde présente la combinaison aléatoire de 40 000 carrés disposés selon l’ordre des numéros pairs et impairs d’un annuaire téléphonique»11 [fig. 3]. Dans son texte 40 000 carrés12, daté de 1971 donc postérieur aux cours de Bruno Munari, François Morellet explique le processus de conception et de réalisation de l’œuvre avec une clarté qui rappelle beaucoup le ton adopté par Bruno Munari dans ses cours. Cette recherche d’un amoindrissement de la forme, exprimée dans ce texte de François Morellet, rend plus évident le choix de cette œuvre dans le cours sur la texture. Cette présentation décontextualisée laisse penser que Bruno
Munari a pu consulter le portfolio imprimé à ses frais par François Morellet13, reproduisant « de[s] photographies de travaux personnels pour l’activité en commun avec le groupe de recherche d’art visuel », qu’il faut mettre en relation avec la documentation du groupe. Les œuvres de format carré, toutes reproduites au même format et en pleine page, ne dévoilent leur titre, leur format et leurs dimensions que dans un second temps, lorsque l’on déplie un peu chaque page, étant imprimées en marge du creux de la reliure. Une communication réussie de son travail par François Morellet lui-même – bien que ce soit un document destiné à une circulation interne14 - dans la mesure où cela maintient un angle d’approche unique de l’œuvre par le regardeur, ce qui aurait été contrarié par l’apparition de bords. C’est cette particularité qui pourrait notamment expliquer le choix de Bruno Munari, bien que cette explication ne puisse suffire car elle s’ajoute au souci didactique prioritaire aux yeux du designer. Par ce format adopté systématiquement pour les reproductions de peintures reprises par Bruno Munari, ce portfolio donnerait presque l’impression d’un échantillon de textures si on se place, de façon un peu hasardeuse, du point de vue de Bruno Munari dans une perspective décorative. A ce point de la déconstruction de l’approche de Bruno Munari, il importe de se demander si l’appellation d’art optique apposée au travail de François Morellet n’a pas joué, dans cette appropriation du designer, un rôle important. Le créateur italien accorde une grande importance à l’Op Art et il se retrouve investi dans les mêmes réseaux de l’art systémique que François Morellet. Il semble que la première exposition où tous
NOTE 9. Il serait intéressant de savoir si l’architecture japonaise était comparée à ces deux peintures de François Morellet. Ni dans les textes reproduits dans Design et communication visuelle, ni dans la suite séquencée des images projetées aux étudiants de Harvard, on trouve une trace de cette comparaison dans les légendes. On observe d’abord la richesse des sources utilisées, qu’elles soient tirées de la nature, de l’architecture, des arts visuels empruntés à d’autres artistes ou qu’elles se réfèrent à des expérimentations propres à Bruno Munari. Les exemples sont parfois difficiles à identifier, étant saisis seulement selon une approche formelle au sens le plus littéral du terme. 10. L’œuvre est actuellement conservée au Musée de Grenoble. 11. Aucune indication sur cette œuvre n’apparaît, en tout cas, dans la reprise publiée des cours de Bruno Munari. Voir ivi, p. 109. 12. Voir François Morellet, 40 000 carrés, in Id., Mais comment taire cit., pp. 47-49. Le texte a d’abord été publié, en 1971, sur une plaquette éditée par la galerie Denise René. 13. On suppose que la publication date de 1965. Aucune date n’est indiquée mais les photos les plus récentes sont datées de cette année. Le portfolio comporte seulement Morellet comme titre. Celui-ci apparaît sur la première de couverture, accompagné de l’adresse personnelle de l’artiste à Cholet. 14. Bien qu’il ne s’agisse que d’un document de travail, force est de constater que l’artiste applique toujours une approche systématique qui vient dans ce cas renforcer la compréhension la plus exacte de son travail.
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deux exposent ensemble est Arte Programmata, présentée au “negozio Olivetti” à Milan, pour laquelle le commissaire, Bruno Munari lui-même, s’inspire de la notion d’ “œuvre ouverte” d’Umberto Eco. Plus tard, comme Gianfranco Chiavacci à partir de 1969, François Morellet et Bruno Munari ont exposé à Sincron, un centre culturel de Brescia consacré à la recherche visuelle et à l’art programmé, fondé en 1967 par Armando Nizzi. Bruno Munari y expose dès avril 1968 dans le cadre de l’exposition Confronto ‘68, et François Morellet participe pour la première fois à une exposition de la galerie, dans le cadre de Incontro Verifica ‘74, quelques semaines après une exposition personnelle de Bruno Munari. Ce sont bien les moirages des œuvres de François Morellet qui intéressent Bruno Munari dans ses recherches sur les textures. Le designer italien entend les textures comme « des surfaces absolument, régulièrement uniformes »15, partageant des propriétés visuelles avec les all-over de François Morellet. Dans un entretien avec Gislind Nabakowski, ce dernier explique que ce procédé du moirage a valu quelques libellés trop réducteurs donnés à son travail: « Bon, moi, je ne me considère pas comme un op-artiste. Bien sûr, si je fais par exemple tout un programme avec des superpositions de deux trames, il arrivera que ces deux trames formeront un moirage (si elles sont trop serrées et avec un petit décalage). C’est un résultat très op-art, il ne m’intéresse pas. Mais, je me fous de mes goûts et respectant le système dans tous ses développements, je suis obligé de montrer cet état »16. Force est de constater, pour François Morellet, que certains états sont bien souvent isolés des autres, non pris dans un processus de recherche et détournés de leurs conceptions premières. Or, dans le cas de Bruno Munari, le
processus d’expérimentation est en soi une étape primordiale et il est considéré pour ce qu’il est. Quand Bruno Munari fait le constat d’une mort de l’art d’avantgarde, il voit s’opérer un glissement de l’art de l’avant-garde à de la recherche, « plus précisément de la recherche visuelle »17. De façon évidente, cette notion de “recherche visuelle” rappelle très fortement les activités du G.R.A.V., désignant le Groupe de Recherche d’Art Visuel, créé en 1961 et dissous à la fin de l’année 1968, auquel participe François Morellet malgré une certaine distance sur laquelle nous reviendrons rapidement. Dans une autre lettre de Harvard, Bruno Munari constate le décalage entre, d’une part, les cours donnés aux étudiants en art par des professeurs sourds à l’émergence de la communication visuelle et, d’autre part, des étudiants italiens s’empressant, au sortir de l’académie, d’étudier l’art cinétique et les avancées dans le champ du design18. Au-delà de cette recherche commune de la dissolution de la subjectivité, la diffusion des principes de l’art dans le design, autrement dit une forme d’art total, n’est pas souhaitable pour François Morellet qui déclare à Serge Lemoine dans un entretien de 1982: « Et quel élitisme ! Vouloir absolument que les fauteuils et les cuillères à café du bon peuple soient assortis aux tableaux des galeries d’avantgarde ! »19. Au sein du G.R.A.V., aucune production de masse n’est en jeu, mais il s’agit de « trouver ce qui pourrait ‘activer’ la participation du spectateur », comme le déclare François Morellet dans la suite de cet entretien. Cette absence de distinction entre la communication visuelle et l’art viendrait conforter la reconnaissance de l’obsolescence de la subjectivité dans la création artistique, que recherche aussi activement François Morellet20. Ainsi, de manière significative,
NOTE 15. Ivi, p. 100. 16. Entretien avec Gislind Nabakowski, in Morellet, cat. exp., Paris, Centre Georges Pompidou, 1986, p. 199. 17. Voir la lettre de Harvard Recherche d’avant-garde, d’arrière garde, in Bruno Munari, Design et communication cit., pp. 32-37. 18. Voir À nouveaux problèmes, nouveaux outils, in ivi, pp. 10-12. 19. Voir Entretien avec Serge Lemoine, in François Morellet, Mais comment taire cit., p. 92. 20. Nous renvoyons notamment au très bon article d’Arnauld Pierre, Ce que devrait être le spectateur, in François Morellet, Paris, Galerie nationale du Jeu de Paume, 2000, pp. 17-27.
Bruno Munari fait de “l’objectivité”, le dénominateur commun des caractéristiques de la communication visuelle21, pour une efficacité maximum, mais avec une recherche de la compréhension universelle à laquelle François Morellet ne croit pas. En outre, l’art ne s’enseigne pas comme le répète inlassablement Bruno Munari et il faut donc plutôt, selon lui, transmettre une compréhension approfondie des techniques. La communication visuelle est alors une discipline naissante, ce qui lui vaut une réception contrariée de ses avancées. Bruno Munari partage ce constat avec ses lecteurs dans une lettre de Harvard traitant justement de la texture. Sur un mode métaphorique, dans ce contexte de commande, les points de la texture deviennent des points noirs: « Quand l’étudiant entrera dans la vie active et sera en contact avec des responsables, voire des chefs d’entreprise, il se trouvera fatalement confronté à un mur infranchissable. Si nous, qui avons pris connaissance des problèmes de communication visuelle en y réfléchissant continuellement en autodidactes, enseignons ces choses aux jeunes, nous devrions également fonder une école pour donneurs d’ordre, faute de quoi tout contact intelligent sera impossible »22.
liés à son cours sur le design et la communication visuelle, le terme “art” revient presque incidemment et en tant que notion historique - au sens de concept suranné - ou spirituelle: « L’art est présent ou absent. Ce serait comme expliquer ce qu’est le zen »24. Un détachement qui oscille entre occultisme et une attitude inhérente à une expérimentation permanente, que l’on pourrait aussi retrouver dans l’œuvre de Gianfranco Chiavacci. Les nombreuses directions prises dans son travail rendent sa définition beaucoup plus difficile. Cette phrase un peu lapidaire sur l’art semble indiquer que ce qui relève de l’art ou non ne tient ni des artistes ni de ceux qui le réceptionnent. Tout commentaire sur les œuvres, autre que des appréciations tenant de leur bonne communication et ainsi de leurs efficacité immédiate, paraît relégué à un horizon assez lointain.
Pour conclure Dans la lettre de Harvard Recherches d’avant-garde, d’arrière garde, la distinction entre art et design apparaît ambiguë. La réception du travail de l’artiste se confond avec la communication visuelle, entendue selon une acception très large: « L’artiste qui possède une vision personnelle du monde n’a de valeur que si sa communication visuelle, le support de ses images, possèdent une valeur objective »23. Dans ce texte comme dans les autres NOTE 21. Voir la lettre de Harvard intitulée Adapter le programme aux individus et non l’inverse, in Bruno Munari, Design et communication cit., p. 14. Dans cette même lettre, Bruno Munari définit la communication visuelle comme un « thème extrêmement vaste qui va du dessin à la photographie en passant par les arts plastiques et le cinéma, des formes abstraites aux formes réelles, des images statiques aux images en mouvement, des images simples aux images complexes, jusqu’aux problèmes de perception visuelle inhérents au versant psychologique de ce thème, comme par exemple, le moiré, les illusions d’optique, le mouvement apparent, les images et l’environnement, la persistance rétinienne et les images posthumes. Ce thème englobe le graphisme, les expressions graphiques depuis la forme d’un caractère jusqu’à la pagination d’un quotidien, depuis les limites de lisibilité des mots jusqu’aux moyens qui facilitent la lecture ». 22. Voir la lettre d’Harvard Les textures, in ivi, p. 25. 23. Voir la lettre de Harvard Adapter le programme aux individus et non l’inverse, in ivi, p. 16. 24. Voir A nouveaux problèmes, nouveaux outils, in ivi, p. 11.
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Gianfranco Chiavacci
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Senza titolo 1970, Stampa ai sali d’argento, 18 x 24 cm
Senza titolo 1970, Stampa ai sali d’argento, 18 x 24 cm
Senza titolo 1970, Stampa ai sali d’argento, 18 x 24 cm
Senza titolo 1970, Stampa ai sali d’argento, 18 x 24 cm
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Senza titolo 1965, china su carta, 25 x 20 cm
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Senza titolo 1967, china nera e rossa su carta, 48 x 66 cm
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Frattura qualificantesi nel distanziamento 1967, cartoncino nero su fondo bianco, 48 x 66 cm
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Senza titolo 1965, china su carta, 25 x 20 cm
26
Ricerche lineari 1968, pennarello verde e nero su carta, 48 x 66 cm
27
Reticolo parziale su uno spazio delimitato 1969, china bianca e nera su cartoncino grigio, 50 x 70 cm
28
Reticolo quadrato con diversificate cromaticamente le linee orizzontali e verticali 1970, tempera luminescente su cartoncino nero, 66 x 48 cm
29
Alternarsi di curve e cellule binarie 1970, adesivi colorati su carta, 50 x 70 cm
30
Composizione binaria 1967, cartoncino nero su carta bianca, 50 x 70 cm
31
Curve binarie 1969, carta bianca intagliata sovrapposta a cartoncino nero, 48 x 66 cm
Franรงois Morellet
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3D concertant n째3: 10째 90째 27째 2014, pennarello a olio su acrilico su tela su legno, 150 x 150 cm Courtesy A arte Invernizzi, Milano
35
3 trames 90째-179째-181째 1971, serigrafia su tavola, 80 x 80 cm Courtesy A arte Invernizzi, Milano
36
Recso-verto 0째 Recso-verto 25째 Recso-verto 45째 2011, serigrafia su plastica, 65 x 65 cm
37
3 et 3 horizontales, 3 et 3 verticales 1976, serigrafia, 50 x 75 cm
38
Pi piquant 1=7° 2003, serigrafia, 20 x 20 cm
Tampon à répétition pour tuer le temps 2012, serigrafia, 29,7 x 21 cm
39
5 superpositions d’une répartition aléatoire 1976, serigrafia, 72,5 x 72,5 cm
40
7 trames 0°, 20°, 40°, 60°, 80°, 100°, 120°. 1976, serigrafia, 50 x 50 cm
41
3 trames simples -1째, +1째, 90째 1971, serigrafia, 64 x 64 cm
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Répartition régulière de carrés, 1 sur 2 rouge-rose, 1 sur 2 rouge –orange 1975, serigrafia, 70 x 70 cm
Biografie GIANFRANCO CHIAVACCI
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Gianfranco Chiavacci nasce il 1 dicembre 1936 e muore il 1 settembre 2011 a Pistoia, città dove ha sempre lavorato e abitato. Interessato all’arte fin da ragazzo, nei primissimi anni Cinquanta inizia a dipingere, prima da semplice autodidatta osservando le opere del passato e poi, frequentando le mostre e sempre più l’ambiente artistico toscano, traendo ispirazione da quelle di arte contemporanea. Le sue prime opere pittoriche sono della metà degli anni cinquanta e mostrano un interesse per il clima informale di quegli anni e per la lezione dell’astrattismo internazionale che conosce tramite cataloghi e riviste. Si avvicina alle esperienze di arte visuale e cinetica e ai suoi esponenti, con i quali viene in contatto a Milano e Firenze, in particolare grazie alla Galleria Numero di Fiamma Vigo, vivace luogo di dibattito sui problemi della ricerca artistica. Nel 1964 - 65, inizia un rapporto di amicizia e di collaborazione sul piano teorico con il conterraneo artista Fernando Melani, che durerà fino alla morte di questi nel 1985. Nel 1962, per motivi di lavoro, inizia a frequentare i corsi IBM per programmatore e questo lo introduce al pensiero scientifico di cui si trova riscontro nei primi tentativi di mutuare il linguaggio informatico in pittura. L’impiego del linguaggio binario, sugli allora mastodontici elaboratori elettronici, e lo studio della sua logica, trovano applicazione già nei primi lavori del 1963. L’assunzione della binarietà, definita dall’artista stesso “come logica a due stati (da non confondere con la dualità o il dualismo) e come tecnica - processo strumentale per creare e indagare sperimentalmente il mondo formale attinente alla bidimensionalità” diviene nucleo fondante della sua ricerca teorica e operativa fino agli ultimi lavori del 2007, quando dichiara di essere giunto a uno stato conclusivo. L’artista non usa mai la macchina informatica per la produzione delle opere ma la logica binaria a essa inerente come processo logico- esecutivo; quindi il suo interesse non è per la tecnica ma per il pensiero che la sostiene. Le opere, quasi duemila, spaziano dalla pittura, realizzata con eterogenee tecniche classiche e sperimentali, a opere tridimensionali vicine alla scultura, da sperimentazioni materiche a interessanti indagini fotografiche, da piccoli libretti a diffusione limitata a episodi classificabili come mail-art. Vasta è anche la produzione di testi teorici presentati autonomamente o in occasione di esposizioni personali. La sua ricerca nell’ambito dell’astrattismo e del secolare rapporto tra arte e pensiero scientifico ne fanno un artista tra i più interessanti ed emblematici della situazione culturale italiana della seconda metà del secolo scorso. Particolarmente interessante è la ricerca iniziata nei primissimi anni Settanta che riguarda la fotografia che pratica da sempre e di cui conosce i principali esponenti e sperimentatori storici delle avanguardie e del dopoguerra. Anche in questo caso l’artista è interessato alla logica del mezzo, al processo esecutivo della nascita
dell’immagine fotografica, alla possibilità di intervenire sugli aspetti linguistici e alle capacità di astrazione dell’immagine. Questa ricerca, che durerà fino a metà degli anni Ottanta, si svolge parallelamente e internamente a quella pittorica; al pari di questa giunge a risultati qualitativamente molto alti e interessanti dal punto di vista innovativo. Attuata sia con mezzi semplici che con tecniche e materiali sofisticati, offre risultati sorprendenti in questo campo. La produzione fotografica di Gianfranco Chiavacci abbraccia non solo riflessioni concettuali sulla processualità fotografica ma anche ricerche sul movimento dell’oggetto nello spazio, sul colore e sulla definizione di tempo: tutto questo in sintonia con le speculazioni di quegli anni. Nel 1977, nel testo Fare fotografia, rende pubblica la teorizzazione e i risultati del suo lavoro. 1965 “Collaborazione differenziata, Chiavacci, Lupetti, Melani”, Galleria Flog, Firenze. 1966 “Internazionale”, Galleria numero, Firenze. 1967 “Piccolo formato”, Galleria numero, Firenze. 1967 “Gianfranco Chiavacci”, personale, Galleria numero, Firenze. 1968 “Mostra provinciale degli artisti pistoiesi”, Museo Civico, Sala Ghibellina, Pistoia. 1968 “Mostra mercato d’arte contemporanea”, a cura della Galleria numero, Palazzo Strozzi, Firenze. 1969 “Confronto 69”, Galleria d’arte contemporanea Sincron, Brescia. 1969 “I Rassegna Biennale Regionale Arte Figurativa”, Fortezza Vecchia, Livorno. 1970 “Fuoco e Schiuma”, a cura del centro operativo Sincron, S. Angelo Lodigiano (Milano). 1971 “Ti.Zero uno. Operazioni estetiche e strutture sperimentali”, ti.Zero centro sperimentale di ricerca estetica, Torino. 1971 “Multipli Sincron 250, Prototipi, Serigrafie”, ti.Zero centro sperimentale di ricerca estetica, Torino. 1972 “Ricerche plastico-visuali”, ti.Zero centro sperimentale di ricerca estetica, Torino. 1973 “Gianfranco Chiavacci. Binarietà”, personale, ti.Zero centro sperimentale di ricerca estetica, Torino. 1973 “A Pistoia anche. Barni, Buscioni, Chiavacci, Coccoli, Donatella, Ghidini, Landini, Melani, Simoncini, Ulivi”, La Porta vecchia galleria d’arte contemporanea, Pistoia. 1980: “ Grafica / Atto primario. Una verifica 1970/1980. Biagi, Chiavacci, Giovannelli, Simoncini, Tesi, Ulivi”, organizzata dal bollettino d’arte “Grapho”, Municipio, Montecatini Terme (Pistoia). 1984 “Por la Paz, Mostra internazionale di Mail Art”, a cura del centro operativo Sincron, Università di Santo Domingo, Santo Domingo.
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1985 “IV Omaggio agli Etruschi, internazionale di Mail art”, Galleria Sincron, Brescia. 1994 “Gianfranco Chiavacci. Limiti”, personale, a cura di Bruno Corà, opera associazione culturale per le arti visive, Perugia. 1996 “Fernando Melani (e gli amici di Fernando Melani): Barni, Berti, Beragnoli, Castellani, Chiari, Chiavacci, Fabro, Giuntoli, Landini, Nigro, Paolini, Pistoletto, Ranaldi, Ruffi, Simoncini, Ulivi, Galleria Vannucci”, Pistoia. 1997 “Proiezioni d’Arte, Alleruzzo, Biagi, Chiavacci, Dami, Mei, Papotto, Ulivi”, a cura di Marco Bazzini, Palazzo Fabroni arti visive contemporanee, Fortezza di Santa Barbara, Pistoia. 2001 “Abitanti / Arte in relazione”, a cura di Marco Bazzini, Bruno Corà, Mauro Panzera, Palazzo Fabroni arti visive contemporanee, Pistoia. 2004 “Gianfranco Chiavacci, Personale”, Galleria Vannucci, Pistoia. 2004 “Sonde / 10 anni con gli artisti a Palazzo Fabroni”, a cura di Bruno Corà e Mauro Panzera, Palazzo Fabroni arti visive contemporanee, Pistoia. 2008 “Gianfranco Chiavacci, personale”, Mac, Monsummano Terme (Pistoia). 2011 “Gianfranco Chiavacci ‘1970’”, Lato, in collaborazione con Die Mauer arte contemporanea, Prato. 46
2012 “Gianfranco Chiavacci – Ricerca Fotografica”, a cura di Angela Madesani e Aldo Iori, Milan image art fair 2012, in collaborazione con Die Mauer arte contemporanea, Spazio Superstudio Più, Milano. 2013 “Binaria”, mostra a cura di Gianluca Marziani e Piergiorgio Fornello, Palazzo Collicola arti visive, Spoleto. 2014 “Fotografia Totale”, mostra a cura di Valerio Dehò, Palazzo Fabroni arti visive contemporanee, Pistoia.
FRANÇOIS MORELLET Pittore figurativo Industriale Membro del G.R.A.V Vivente Sposato Pittore astratto Senza formazione artistica Senza premi
1944 - 1949 1948 - 1975 1960 - 1968 1926 - ... 1946 - ... 1950 - ... spera di rimanere
« Morellet, fils monstrueux de Mondrian et Picabia, a développé depuis 1952 tout un programme de systèmes aussi rigoureux qu’absurdes, utilisant les figures les plus simples de la géométrie (droites, angles, plans…) avec les matériaux les plus divers (toiles, grillages, néons, acier, adhésifs, branches) sur toutes sortes de supports (toiles, murs, statues, architectures, paysages) » 1926 Nascita di François Morellet a Cholet, Francia. 1945 Inizia a dipingere e prosegue i suoi studi alla scuola superiore di lingue orientali, Parigi. 1948 Esercita il mestiere di industriale che proseguirà fino al 1975. 1949 Rimane colpito dai tapas d’Oceania durante una visita al Musée de l’Homme di Parigi. 1950 Prima mostra personale alla Galleria Raymond Creuze a Parigi. Durante un soggiorno in Brasile scopre l’opera di Max Bill. 1951 Vede per la prima volta una riproduzione di un quadro di Mondrian. 1952 Visita l’Alhambra di Granada. Adotta il principio dell’all-over, inizia i suoi primi “sistemi”. 1953 Prime pitture con un numero minimo di forme. 1956 I titoli delle sue opere corrispondono alla definizione esatta dei loro sistemi. 1958 Ricorre al caso nelle sue composizioni. Prime “trame”. Espone alla Galleria Colette Allendy a Parigi. 1961 Co-fondazione del Groupe de Recherche d’Art Visuel (G.R.A.V.) con Horacio García Rossi, Julio Le Parc, Francisco Sobrino, Joël Stein et Jean-Pierre Yvaral. 1962 Prime opere nello spazio. 1963 Partecipazione del G.R.A.V. alla 3° Biennale di Parigi. Prime opere al neon. 1968 Prime installazioni con nastro adesivo.
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1970 I suo quadri entrano a far parte delle collezioni dei musei di Mönchengladbach, Essen, Wuppertal, Amsterdam e del Fonds National d’Art Contemporain a Parigi. 1971 Prima retrospettiva allo Stedelijk Van Abbemuseum di Eindhoven, presentata in seguito al Centre National d’Art Contemporain, a Parigi. Prima realizzazione nello spazio pubblico di fronte al Centre Pompidou. 1973 Primi quadri “destabilizzati”. 1977 Retrospettiva alla Neue Nationalgalerie di Berlino, presentata in seguito alla Kunsthalle di Baden-Baden e al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, Parigi. 1983 Primi “Géométrees”. I titoli delle opere perdono la loro funzione tecnica per diventare più illustrativi e umoristici. 1984 Retrospettiva all’Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, esposta in seguito al Musée d’Art Contemporain di Montréal, al Brooklyn Museum di New York e al Center for the Fine Arts di Miami. 1986 Retrospettiva al Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou, di Parigi e presentata in seguito allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Inizia la serie “Géométrie dans les spasmes”. 1988 Primi quadri intitolati “Défigurations”, ispirati a quadri figurativi famosi. 48
1991 Si appassiona di arte barocca bavarese. Privilegia l’uso dei tubi neon nei suoi quadri. Serie di opere integrate all’architettura. 1992 Serie “Steel Life” e “Relâche”. 2000 Retrospettiva alla Galerie Nationale du Jeu de Paume a Parigi. 2004 Retrospettiva al Centro de Arte Helio Oïticica a Rio de Janeiro. 2007 Mostra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris. 2009 Retrospettiva al museo Würth France à Erstein. 2010 Presentazione di un’opera monumentale integrata all’architettura del Museo del Louvre, “L’esprit d’escalier”, che fa seguito a più di cento commissioni pubbliche dal 1971. 2011 L’esposizione “Réinstallations” del Centre Pompidou è la 455° mostra personale dell’artista dal 1950. 2013 Inaugurazione dell’opera “Les Grandes Ondes”, la sua più grande integrazione architetturale realizzata sui 400 metri della facciata del palazzo del Louvre des Antiquaires a Parigi. 2014 Realizzazione dell’opera “Ulm Ultimate Cathedral”, alta 8 metri, commissione della Kunsthalle Weishaupt a Ulm, ispirata alla cattedrale della città, la più alta del mondo (162 m). 2015 Grande esposizione consacrata alle sue litografie al Musée des Beaux-arts de Caen. Mostra al MAC/VAL (musée d’Art Contemporain du Val de Marne) à Vitry-surSeine.
Gianfranco Chiavacci | François Morellet rigorous, rigolards...
Introduction In the wide international art scene, which for some time has started to reflect with insistence on geopolitical issues and decided to give visibility to the countries so-called “peripheral” or “marginal”, we decided to propose an exhibition that seems to be in contrast with the new lines of research. The selected artists, Gianfranco Chiavacci and François Morellet, have been living, in a different way, a kind of marginalization, but in the center of the old continent. This year’s the Venice Biennale, intitled All the world’s futures, invites the viewer to discover (or rediscover) the professionals coming from or working in foreign contexts and the artists careful to social and border problems. This edition has allowed us to observe with a keen eye the possibility of a deconstructive artistic geography obedient to the classic division between center and periphery, and to analyze all the problems related to a cultural globalization full of contradictions. With the same sensitivity to the complex, but in a context radically opposite, we considered it appropriate to highlight two figures which, while being in a central area of the world, the European Union, have lived for many years a kind of artistic solitude. Obviously, the analysis have historical matrix, focused in a French-Italian area overcrowded by large movements that have marked the history of art dear to the institutions, that has sometimes lost the vision of abstract-geometric experiences maybe too isolated. No coincidence Gianfranco Chiavacci and François Morellet have lived for many years almost in anonymity and still is the case
Alessandro Gallicchio (translated by Luca Sposato)
of the Italian. The first working at the counters of the Savings Bank of Pistoia and the second in the family factory. Professional commitments forced them to Pistoia and Cholet, certainly decentralized areas compared to the great capitals of art. It should point out that the case of Morellet certainly can not be compared to Chiavacci because the path of the French now enjoys an undisputed reputation, although it has been characterized by marginal year. Instead Chiavacci still remains one of the many Italian artists who deserve to finally be exposed and studied, despite his tireless and diversified production. The reference to the “next suburbs”1 of contemporary as provocatively are defined here, in the specific case Pistoia and Cholet, it is especially an invitation to adopt a research methodology that emphasizes local studies to be tied to broader contexts. Ginzburg and Castelnuovo, in their article entitled Center and periphery2, have reflected on these issues exposing what seems to be a delay method. These concerns are at the base of the exhibition, which is an attempt to give due weight to a Tuscan artist through strong similarities with a figure internationally recognized. Rigorous The exhibition connects two realities of Prato, Artforms and Die Mauer, located in two different areas of the city (one in center and the other in the suburbs...) and with different identities, cultural association and an art gallery. The reasons for this choice lie in the desire to create a progress made up of two parts, each of which is characterized by well-
defined dynamics. No run command, the visitor can examine whether a space that invites to fruition “contemplative”, the Die Mauer gallery, where the works communicate thanks to a simple geometric language that makes use of points, patterns, grids and curves, both a converted factory, Artforms, where you can enjoy a visit more dynamic through the use of devices that invite the viewer to the activation of the works. The exhibition wishes to put at the center of the experience enjoyment by stimulating perception of the viewer. So we decided to respect the intentions of the artists, who in different ways have focused attention on the potential of geometric art and its relationship with the public. Morellet, in 1971, has written one of his most famous publications dedicated to the role of the latter: Du spectateur au spectateur ou l’art de déballer son pique-nique3. Here, in addition to clarifying certain steps of the creative process, he stated that his works wanted to be a coin à pique-nique, a kind of platform on which the viewer could project all he wanted. The metaphor of the picnic was suited to this type of discussion because it made use of the figure of the panier, easily viewable and functional to make out the image of the cultural baggage that every visitor could be used for the interpretation of the artwork. This is certainly a provocative act, which aims to undermine the reports of liabilities between the art and its user. Morellet, in fact, considered that the viewer had to play an active role and was naturally prepared to give their own meaning to a work that, for the artist, would not “mean” anything. This practice, as pointed out by the same Morellet, was
NOTES 1. In Italian “periferie prossime”; it means than the “Suburbs” are more “near” than we think. 2. Enrico Castelnuovo, Carlo Ginzburg, Centro e periferia, in Giovanni Previtali (edited by), Storia dell’arte italiana, I. Materiali e problemi, I. Questioni e metodi, 3 vol., Torino, Einaudi Editore, 1979. 3. François Morellet, Du spectateur au spectateur ou l’art de déballer son pique-nique, in Id., Mais comment taire mes commentaires, Paris, Éditions Beaux-arts de Paris, 2011.
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not isolated but had its roots in Duchamp’s Dadaism, in Malevich, Mondrian, Klein, and in younger Andre, Kosuth and De Andrea4. Regarding Morellet it’s however necessary to point out that behind these affirmations there was also a desire to propose a research radically opposed to the proposal of the exponents of abstract expressionism and of the new École de Paris, full of excessive emotionality. The building of a utopian manner devoid of any sort of subjective influence was the result of the use of systems (from this stems the definition of Systemic Art that characterize the practice of Morellet) that allow the artist a serial production and neutral. The practice of a rigorous and systematic art also seems to characterize the work of Chiavacci, an artist who has devoted himself incessantly in search of the different facets of the digital binary code used by computers since the Sixties and that can be compared to one of the Morellet’s systems. No one, so far, has approached the Italian artist to Systemic Art, because, actually, Chiavacci never claimed such affiliation. But it will not go unnoticed what is generally called a systemic attitude, that is, a practice that makes use of a coded language (therefore a system), the binarietà. Although this hypothesis deserves further study, we mention some texts in which the artist focused in detail on the creative possibilities of the binary language, confirming in some way the importance, for Chiavacci, the formulation of a unique and repeatable system had assumed: Binarietà (1973)5 and La binarietà e lo spazio bidimensionale (1980)6 [figs. 1, 2]. The interest in this language becomes professional when the artist, sent to work at the training center of IBM, had
received an informatics knowledge. In parallel, not by chance, he was fed by reading on mathematical logic, on artificial intelligence and programmed art7. The first works by following binary code back to 1963, just a year after the appearance of the text published by Umberto Eco for the exhibition Arte Programmata in Milan, an event that had consecrated all those arts that explored the potential of systems, mathematics, science and technology8. Both artists seem therefore belong to the category of the abstract-geometric art that focuses on the interests of its rigorous and linear search, by a process that does not hesitate to make use of mathematical systems. Rigolards... Although weight load of science, the work of Chiavacci and Morellet is marked by its ironic character, for that form of légèreté that demystifies the apparent severity of the systemic language. For this reason we decided to name the exhibition rigorous, rigolards... (fun) - expression dear to Morellet - because, as expressed by both artists, irony and humor are essential ingredients to make abstract geometric art less hermetic. No coincidence that this desire to make the artwork more accessible is linked to the avant-garde experiments of the Sixties. We refer primarily to research on kinetic art. Within the French it’s important to mention the experience of G.R.A.V. (Groupe de Recherche d’Art Visuel), which Morellet participated; he, along with artists such as Garcia-Rossi, Le Parc, Sobrino, Stein, Yvaral, Molnar, Moyano Servantes, Garcia Miranda, had drawn up a manifesto at the 3rd Biennale de Paris in 1963, entitled Assez de mystifications9, in
which he advancing a remise en question on the role of the artist. Demystification thus became the means by which redefine the author and his work, exactly as stated by Morellet’s script dedicated to the viewer and his picnic. The art was interpreted as pure visual search, a set of neutral forms, executed with precision, but designed for the mere existence in the eye of the observer10. This stage of the career of Morellet enshrines a moment that, although marked by a utopian idealism, remains crucial to the redefinition of the processes of enjoyment and appreciation of art. The art is created, read and interpreted from its effects on perception. This approach, which was based primarily on eyeobserver conception, however, is quickly replaced by a vision that aims to involve the whole sensorium of the body-viewer. Finally we arrive at a motor stimulation through mobile works activated inside the exhibition halls, such as the case of the proposal submitted by G.R.A.V. in the 4th Biennale de Paris in 1965 in which, through the game of bowls, you could switch on a large light panel11. The analysis of the effects of perception then passed through a practice that could take playful character [fig. 3]. The choice of channel game implying the direct intervention of the user corresponded well to the desire to get out of bias, of pre-established, of already, to open up to the impossible, to the unexpected, to the change, and especially to the event12. In the halls of Artforms so we decided to emphasize the fun aspect of these practices focusing primarily on participatory and demystifying character of the works. The invitation to experience light and fun results in an exhibition focuses on the
NOTES 4. Cf. ivi, p. 56. 5. Gianfranco Chiavacci, Binarietà, typescript, Pistoia, 1973. 6. Gianfranco Chiavacci, La binarietà e lo spazio bidimensionale, Pistoia, 1980. 7. Cf. Aldo Iori, Per una spazialità binaria, in Id., Gianfranco Chiavacci. Binaria, Pistoia, Settegiorni Editore, 2013, p. 18. 8. In this regard, see the exhibition catalog: Marco Meneguzzo, Enrico Marteo, Alberto Saibene (edited by), Programmare l’arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, catalog of exhibition (Milano, Museo del Novecento, November 9, 2012 – March 3, 2013), Milano, Johan&Levi, 2012. 9. G.R.A.V., Assez de mystifications, 3rd Biennale de Paris, 1963. 10. Cf. Serge Lemoine, François Morellet, Paris, Flammarion, 2011, p. 44. 11. Cf. Arnauld Pierre, Ce que devrait être le spectateur, in Daniel Abadie (edited by), François Morellet, catalog of the exhibition (Paris, Galerie nationale du Jeu de Paume, Novembre 28, 2000 – January 21, 2001), Paris, Galerie nationale du Jeu de Paume, 2000, p. 23. 12. Cf. Luciano Caramel, Il “groupe de recherche d’art visuel”, origini e sviluppi, teoria e prassi, problemi e proposte, contributi e contraddizioni, in Id. (edited by), GRAV, catalog of the exhibition (Lago di Como, 20 to 30 September 1975), Milano, Electa editrice, 1975, p. 11.
platform laid on the ground containing serigraphs by Morellet [fig. 4] and works on paper by Chiavacci [fig. 5]. Some platforms, made intentionally sliding, invite the public to “play” with them and to create variable compositions, permanently changing the layout of the exhibition. On the walls, on completion of these art constellations, they were placed other works on paper. In this way the public, involved in an experience that exploits the surfaces not only vertical but also horizontal, is encouraged to live a dynamic visit culminating in the observation of two kinetic machines of Chiavacci [fig. 6]. The latter, in fact, from 1965 began to produce optical experiments that are clearly in line with the research of the various Group T, Group N and MID. In his notes, the artist said that for several months has been devoted to a theoretical study very hard13. The result of this research is materialized in screens with rotating discs [figs. 7, 8] and box with geometric series14. About discs, one of the works which Chiavacci must have certainly looked, like all those who were part of the coteries of Programmed Art, was Marcel Duchamp’s Anémic-Cinéma. Here ten discs with spirals and ironic wordplay were rotated to give the impression of an advance, anticipating a few decades the research of Op-Art. In 1935, these discs, modified for fitting on a gramophone, were entitled Rotoréliefs [fig. 9]. With these objects Duchamp had decided to use forms of movement to obtain optical effects through the use of contrasting colors. These experiments are confirmed by numerous archival documents of Chiavacci in which the artist speaks of kinetic and mechanical and shows insistently a sincere interest in the experiments that move in this direction. In some papers you can read clearly all the schemes related to what he calls bluntly its optical phase [figs. 10, 11]. No wonder, then, to find in the artist’s library the catalog of the exhibition The Responsive Eye, held at MoMA in 1965, real consecration of Op-Art, and the magazine Scientific
American, in which were published the results of the latest scientific research about perception. If until now these machines have been interpreted almost exclusively as a mere research tool, can not go unnoticed that the importance Chiavacci given to these works. Even though he never defined himself as kinetic artist, he is certainly efforts in the study of languages that made use of the technology. His theoretical work is not limited only to research abstract-geometric but also feeds on reflections that touch the world of conceptual art, a corpus that still remains to be studied. Cybernetic abstraction? As for the case of Morellet [fig. 12] - the artist decided to make use of luminous material in 1963, the same year Dan Flavin performs his The diagonal of May 25 to Constantin Brancusi [fig. 13] - the aesthetic search of Chiavacci is, without doubt, science and technique of image. Here it is clearly another motivation for our decision to present in combination Morellet and Chiavacci. As Arnauld Pierre has brilliantly underlined in his essay appeared in the catalog of the last exhibition of Morellet the Centre Georges Pompidou in 2011, even before the birth of the electronic brains existed artists who created something very similar to what he calls the ‘’cybernetic abstraction”15. Artists like Chiavacci or Morellet have made use of a process of systematic conception of the work totally similar to that used for the programming of technological equipment, as can be seen on the pixel surfaces of some of their works, like a digital aesthetics. A striking example of this approach may be the Morellet’s répartitions aléatoires [fig. 14] and the Chiavacci’s binary paintings [fig. 15]. The importance of the technological breakthroughs in the development of their research is manifested in the monumentally Morellet’s Lamentable [fig. 16], an installation in which eight neon tubes are
joined together to form a “light sculpture”. The artist uses these different segments, which form a circle at the base, to undermine not only the rigor of geometric art (the artist makes reference especially on Concrete Art) but also the traditional association between sculpture and phallic symbolism, from where the clear example of Brancusi. The pendants tubes contrasts with the rigidity of classical marble sculpture extolling the character flottant of neon. Morellet, asked about Lamentable, responds with irony that characterizes him: «Par exemple, prenez un grand cercle composé de huit éléments de néon réunis en chapelet et pendez-les à un clou avec la moitié des éléments en désordre sur le sol: c’est proprement lamentable. C’est d’ailleurs le titre de la série réalisée avec ce procédé»16. This work, in the context of the gallery, also assumes the appearance of an ambient installation, thanks to its ephemeral nature, and it redefines, in a site-specific manner, the characteristics of the exhibition hall. Near were exposed four black and white photographs by Chiavacci, showing affinities with some works by Morellet. The artist has done several studies on photographafy17 reaching aesthetic results in line with research by minimalists traits that makes use of networks, from which he will later develop his famous concept of network18, yet to be explored. Grids, patterns, lines, are elements that recur also in the practice of Morellet, as demonstrated by the work 3 trames 90 ° -179 ° -181 ° [fig. 17], voluntarily exposed in front of the photographic series in which we have alluded. In this serigraphy on wood the textures, arranged at an angle of 90, 179 and 181 degrees, give life to a painting, making use of overlapping planes of twodimensional scale, that seems somehow closer to the aesthetic concerns of Chiavacci’s films. In 1977, works like the one just mentioned have been the object of a classification by Morellet that, after identifying five families (juxtaposition, superposition,
NOTES 13. Cf. Gianfranco Chiavacci, Diario di lavoro, March 16, 1965, Archivio Gianfranco Chiavacci, Pistoia. 14. Cf. Aldo Iori, Per una spazialità binaria cit., p. 28. 15. Cf. Arnauld Pierre, Plus, moins, hasard, in Serge Lemoine, Alfred Pacquement (edited by), François Morellet. Réinstallations, catalog of the exhibition (Paris, Centre Georges Pompidou, March 2, - July 4, 2011), Paris, Centre Pompidou, 2011, p. 168. 16. Philippe Piguet, François Morellet. La merveilleuse légèreté d’être, «L’art absolument», March/April, 2010, p. 52. 17. For this aspect regard to Valerio Dehò, Gianfranco Chiavacci. Fotografia totale, Bologna, Damiani editore, 2014.
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hasard, interférence, fragmentation19), he decided to include them in the category of superposition. His interest in the geometric representation and grids maybe dates back to the illustrations made for the first text published by his father (Charles Morellet) in 1949 and named Saint-Louis ou la justice sous les chaînes20, in a period in which François had not yet embarked on a “career” as an artist. For this book Morellet had made several figurative drawings among which we mention the representation of a prisoners’ meal21 [fig. 18], where the floor of the cell seems to premonish the results of his research on the textures.
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Italy-France: the theaters of geometric experiments As we have demonstrated, Chiavacci and Morellet are undoubtedly two important personality for the abstract-geometric research developed since the Sixties in Italy and France. The context within the two artists has moved it have its manufacturing hubs in decentralized cities like Pistoia and Cholet but develops through contacts with the most active centers such as Florence, Milan and Paris. So it is necessary, in conclusion, to give an overview of the places that have been the scene of these experiments and conjecture, for the first time, in what circumstances and through what frequentations our artists may have had the opportunity to compare their work. We can start from a certain fact: Chiavacci knew Morellet! In an interview with Annamaria Iacucuzzi, the artist, speaking about the Galleria Numero in Florence and about frequentations of the Sixties, claims to have known the work of «un francese, un certo Morellet, che faceva una ricerca più optical e materica»22. In recent years the Pistoia’s artist associated with Fernando Melani, Carlo Cioni,
Paolo Masi and of course artists like Giuseppe Chiari and around the Florentine cenacles23 that revolved around Fiamma Vigo. In fact, his first solo exhibition was hosted by Galleria Numero from February 18 to March 3 1967 [fig. 19]24. It was the second prize of an exhibition contest sponsored by the gallery and titled Piccolo-formato, to which the artist had participated [fig. 20]. From this moment we can say that Chiavacci had had the opportunity to get to know artists’ works with similar research to its such as Mario Nigro, Vittorio Tolu, Almir Mavigner and Alberto Biasi. Parallel to the Tuscan acquaintances, on weekends he used to go to the Center of Experimental aesthetics research Ti.zero in Turin and, above all, at the Cultural Center Sincron of Brescia, where Armando Nizzi organizing exhibitions of geometric, kinetic or concrete art. In the late Sixties the Sincron had become an important meeting place for all those artists who worked on the art programmed art. In addition to numerous exhibitions, Nizzi also organized meetings that congregated in Rimini all personalities involved in this research, such as, Bruno Munari. Probably it’s in these environments that Chiavacci had been able to observe the works of Morellet. From the archive of Brescia shows that Morellet had been exposed on several occasions by Nizzi: Incontro verifica ‘74 (May 31, 1974), Morellet (April 12, 1975), Misure di qualità (October 18, 1985), Collettiva (March 4, 1989) e Solo artisti stranieri (December 13, 1997)25. Do not forget that many of the artists who frequented the Sincron had been part of G.R.A.V., two for all Julio Le Parc and Rafael Soto, and that through figures like Munari was aware of the presence of Morellet in exhibitions like Motus (1960) at Azimut or the famous Arte Programmata (1962) at Olivetti. Thanks to the friendly relations with some
members of Milan’s Programmed Art, one for all Gianni Colombo, Morellet had been part of collective exhibitions that were the mirror of that interest to the group work as Peinture en plein air, incontro italofrancese di pittura estemporanea in 1971, which saw involved, in the gallery Cenobio Visualità, Colombo, Boriani, Le Parc, Morellet, De Vecchi and Stein or Colombo, Morellet, Von Graevenitz. Tre environments at Studio Marconi in 1973. These examples, along with many others, demonstrate the multiple presence of Morellet in italian exhibitions of the Sixties and Seventies and serve as a historical basis comparison with Chiavacci. Conclusions Not only the poetic and programmatic tangents, but the places and common acquaintances show that the two artists have shared a unique experience in the abstract-geometric panorama of the time. The exhibition try, therefore, to highlight these similarities, stressing at the same time, the singularity of each of the two process. The invitation is open to the viewer: enjoy levity the work of two “modernist” (as the art historians like to call them) bearing in mind the importance of the game, the irony and experimentation in their research. Concluding with the words of Morellet, who compares the official art (often figurative) to the “big river” of art history and the systemic and geometric research to ‘”standing water”, we should take part in this anachronistic experience «car, aujourd’hui, une foule de jeunes artistes passionnées d’art illusioniste, de réalisme, “lifelike”, c’est à dire les “néo” – photographes, vidéastes, installateurs et performers, accompagnés par des “néo” branchés, quittent les eaux dormantes pour rejoindre le grand fleuve»26.
NOTES 19. Cf. François Morellet, Classification des oeuvres, in Dieter Honisch, Hans Albert Peters, Jacques Lassaigne (edited by), François Morellet, catalog of the exhibition (Berlin, Nationalgalerie Staatliche Museen PreuBischer Kulturbesitz, January 15- February 20, 1977; Baden - Baden, Staatliche Kunsthalle, April 22 - June 12, 1977; Paris, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, September 23 - October 30, 1977), Berlin, Nationalgalerie Staatliche Museen PreuBischer Kulturbesitz, 1977, p. 75. 20. Charles Morellet, Saint-Louis ou la justice sous les chaînes, Paris, Les Éditions de l’Ermite, 1949. 21. Ivi, p. 105. 22. Annamaria Iacuzzi, Dialogo per una biografia, in Aldo Iori, Gianfranco Chiavacci. Binaria cit., p. 140. 23. Same as “coteries” but reinforces the artistic sense. The “Cenacle” for exellence is The Last Supper by Leonardo. 24. Cfr ivi e Alessia Lenzi, Indice degli artisti, in Rosalia Manno Tolu, Maria Grazia Messina, Fiamma Vigo e “Numero”. Una vita per l’arte, Firenze, Centro Di, p. 360. 25. Cf. Le mostre della Sincron dal 1967 ad oggi, on website Sincron centro culturale arte contemporanea, http://web.tiscali.it/sincron/ (last consultation 08/30/2015). 26. Cf. François Morellet, Entretien avec Marianne Le Pommeré, in Id., Mais comment taire cit., p. 276.
Excessive consumption of François Morellet by Bruno Munari? Proposal of another french-italian dialogue in the 1960s.
Cultural trend Observe a work of François Morellet with a magnifying glass: that’s what makes, in his study of texture, the artist and designer Bruno Munari (born in Milan in 1907 and died in 1988 in Milan), polymorphic figure as Gianfranco Chiavacci. He then uses the work of François Morellet that he considers among the many examples from natural or artificial world. This repertoire of images will be updated constantly1, in the introduction to the design and to the visual communication that proposed to the American students of the Carpenter Center for the Visual Arts at Harvard between late February and early May 1967. In parallel, a preview of the lessons is offered to a wider audience through Letters of Harvard published during his stay in Cambridge by the Milan’s newspaper: Il Giorno2. In these courses, there was very little historical context and a formalism pushed to its extreme. Accomplished, this would allow initiation to those sufficiently aware of the composition of a plot, to see « plus intensément la surface des choses, se rend[dre] compte que de nombreux objets que l’on voyait auparavant uniquement comme des formes possèdent aussi une texture particulière »3. A sensitivity greater than the form used to deepen a first visual operation. Beyond industrial applications in various contexts, Bruno Munari is keen to broaden the visual cues of future designers
Constance Moréteau (translated by Luca Sposato)
and also to expand the curiosity. The variety of examples at risk of leveling, the same that is found in the works of Morellet, may shock many art lovers demanding. To return to this formalism functionalist (nonideological), did not have at least the advantage of moving away from these attempts of applications encompassing, in everyday life, for innovative art as one that could support the avant-garde? The purpose of this essay is not so much condemn the almost deviation of the work of François Morellet4 out Bruno Munari as trying to figure out what it can produce the intersection of their two views of an active viewer. These positions, introduced later in this essay, are mainly incurred by the end of the 1950s and early 1970s in the circles of art and design. According to the Optical Art, designers and artists belong, in this period, at the same world, in particular in the context of the French-Italian exchanges. The ideological and cultural overload, too often seen both in the exhibition of artistic productions and / or in their same planning, it becomes a concern shared by many artists and designers associated with this expanded field of creation mentioned above. In 1958, François Morellet has called, in a short text to « chasser cette ‘richesse’ de nos oeuvres », taking as an example the “hinge period” of the 14th century in Italy and the arts such archaic. In the text published in the journal « Ishtar », the author
offers an art that can afford to « voir un peu plus clair. Pour cela, nous nous servons du langage le plus simple et le moins équivoque possible, nous tâchons d’aborder séparément tous les grands problèmes plastiques. Nous sommes persuadés que des rapports les plus simples (d’éléments géométriques, par exemple) nous pouvons tirer non seulement un plaisir esthétique profond, mais encore une compréhension de plus en plus grande de notre propre sentiment esthétique»5. Resumed in 1960, the text was originally published under the title Les artistes écriven: François Morellet, now entitled En Italie au XIVe siècle. A title very vague and announcing a descriptive prose and an didactic river, as a parody of academic publication for learned readers. In the design field, in France and Italy, in the twentieth century, in 1970, the risk of interpreting creation as “cultural style” is also often a nemesis, as evidenced by a letter of the artist and designer Enzo Mari (born in 1932 Novara) addressed to Bruno Munari. The creations of these two artists are exhibited at the Museum of Decorative Arts in Paris, on the occasion of the exhibition CONTENIR, REGARDER, JOUER dedicated to the production and editions of Bruno Danese. The letter, cited above, is also reproduced as introduction of the exhibition catalog, and begins by proclaiming the “principles of choice”: « Avec la situation chaotique
NOTES 1. See the Letter of Harvard entitled Adapter le programme aux individus et non l’inverse, in Bruno Munari, Design et communication visuelle, Paris, Pyramyd, 2014 [1968, Laterza & Figli], p. 16. 2. After the publication in Italian of all letters and classes, along with their visual material, a publication in French was carried out in 2014: see Bruno Munari, Design et communication visuelle, Paris, Pyramid, 2014. In his preface, the author states that this is not a definitive treatise on the subject « mais plutôt une contribution déjà éprouvée à la conception d’un cours qui pourra être influencée par des expériences ultérieures ». 3. Ivi p. 100. See also the Harvard’s letter Chacun voit ce qu’il connaît, ivi, p. 17: the texture is also « la texturisation (naturelle ou artificielle) d’une surface à l’aide de signes qui préservent l’uniformité ». One of the first exercises during the courses of Bruno Munari consists precisely in the study of textures. 4. The concept of abuse is in itself a bit ‘exaggerated to the point that in some textures’ exercises provided by Bruno Munari to his students, he recommended not to express anything in particular, but, above all, to experience. 5. See En Italie au XIVe siècle, published in Les artistes écrivent: François Morellet, in « Ishtar », Paris, n° 2, june 1958, p. 74. Reproduced in François Morellet, Mais comment taire mes commentaires, Paris, Beaux-arts de Paris-les éditions, 2010, p. 23.
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d’aujourd’hui qui existe également à tous les niveaux de la culture, il me semble trop facile et dangereux de monter une exposition qui puisse être comprise de travers ou même interprétée uniquement comme cachet culturel, comme cela arrive pour beaucoup d’expositions de ce genre, vues ces derniers temps »6. At this speech echoes the simplicity of the scenography, with all surfaces of the same height and the same width, accompanied by a specific concise text. Only a didactic presentation should prevail, with a focus on a « définition de cette production au cours de son histoire, c’est-à-dire au cours de l’évolution de ses raisons techniques et idéologiques »7.
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Black points and Optical Art In a part of the course of Bruno Munari dedicated to texture, Doubles trames [fig. 1] by François Morellet (1958) is shown to students8. Then, after the screening of a photograph of a Japanese house, they are presented two other works by Morellet. The first is neither entitled nor dated. This is actually Tirets 0° - 90° de 19609 [fig. 2]. The second, undated (made in 1962) appears, in the meantime, accompanied by an approximate version of the title, used rather in the form of a prose: « la seconde présente la combinaison aléatoire de 40 000 carrés disposés selon l’ordre des numéros pairs et impairs d’un annuaire téléphonique»10 [fig. 2]. In his texte 40 000 carrés11, dated 1971 then after courses of Bruno Munari, François Morellet explains the process of conception and production of the work with a clarity that is very reminiscent of the tone adopted by Bruno Munari in his courses. This search for a
reduction of form, expressed in this text by François Morellet, makes more evident the choice of this work during the texture lesson. This presentation decontextualized suggests that Bruno Munari had access to the porfolio printed at his own expense by François Morellet12, reproducing « de[s] photographies de travaux personnels pour l’activité en commun avec le groupe de recherche d’art visuel », to correlate with the group’s documentation. The works of the square format, all reproduced in the same format and in full bleed, do not reveal their title, format and size, if not in a second phase, when explaining a bit ‘each page, they are printed in the void of the binding margin. Communication of their work is successful, according to François Morellet same - although this is a document intended for internal circulation13 - to the extent that it maintains a unique angle of approach of the work by the viewer, who would be distracted by the presence of the edges. It is especially this characteristic which could explain the choice of Bruno Munari, even if this explanation is not enough on why he added a didactic and priority interest to the designers’ view. For the systematic choice of this size in the reproductions of paintings taken from Bruno Munari, this portfolio would give the impression of a sample of texture, if we ask ourselves, in a somewhat random, from the perspective of Bruno Munari in a decorative perspective. At this point of deconstruction of the Bruno Munari’s method of, it’s important to ask whether the name of Optical Art applied to works by François Morellet has never played, in this sense of designer, an important role. The creative Italian attests great importance to Op Art and remains
invested in the same Systemic Art’s networks as François Morellet. It seems that the first exhibition in which both exhibit together is Arte Programmata, presented at the “negozio Olivetti” in Milan to which the commissioner, always Bruno Munari, takes inspiration from the concept of “open work” by Umberto Eco. Later, as does Gianfranco Chiavacci since 1969, François Morellet and Bruno Munari are exposed to Sincron, a cultural center of Brescia dedicated to visual search and Programmed Art, founded in 1967 by Armando Nizzi. Bruno Munari exhibits there from April 1968 in the exhibition Confronto ‘68, and François Morellet is participating for the first time in an exhibition gallery, within Incontro Verifica ‘74, a few weeks after a solo exhibition of Bruno Munari. These are the moirages14 of the works of François Morellet affecting Bruno Munari in his research on texture. The Italian designer intends texture like « des surfaces absolument, régulièrement uniformes »15 , sharing the visual properties with the all-over by François Morellet. In an interview with Gislind Nabakowski, he explains that this process has gained some labels of over-simplification of his work: « Bon, moi, je ne me considère pas comme un op-artiste. Bien sûr, si je fais par exemple tout un programme avec des superpositions de deux trames, il arrivera que ces deux trames formeront un moirage (si elles sont trop serrées et avec un petit décalage). C’est un résultat très op-art, il ne m’intéresse pas. Mais, je me fous de mes goûts et respectant le système dans tous ses développements, je suis obligé de montrer cet état »16 . It’s clear, for François Morellet, some states are
NOTES 6. See CONTENIR, REGARDER, JOUER. Productions et éditions de Danese, cat. exp., Paris, Musée des Arts Décoratifs, 1970. The letter by Enzo Mari is reproduced in the preface of the catalog. 7. Ibid. 8. ivi, p. 107. 9. The work is currently stored in Musée de Grenoble. 10. No indication appears on this work, in any case, published in the resumption of courses of Bruno Munari. See ivi, p. 109. 11. See François Morellet, 40 000 carrés, in Id., Mais comment taire cit., pp. 47-49. The text was published in 1971 on a pamphlet published by the gallery Denise René. 12. It is assumed that the publication date is 1965. There is no date specified, but the most recent photos are dated to this year. The portfolio includes only Morellet titled. It appears on the cover, along with the address of the artist’s house in Cholet. 13. Although these are only a working document, it is clear that the artist always applies a systematic approach that is in this case to strengthen the more accurate understanding of his work. 14. Moirè is an untraslatable word, similar in meaning to « facet » or « marbling ». The term invokes the image of changing ripples of the sea. 15. Ivi, p. 100. 16. Entretien avec Gislind Nabakowski, in Morellet, cat. exp., Paris, Centre Georges Pompidou, 1986, p. 199.
often isolated from others, not caught in a process of research and deviated from their initial concepts. However, in the case of Bruno Munari, the process of experimentation is in itself an important step and should be seen for what it is. When Bruno Munari makes a finding of death avant-garde art, he sees operate a passage from avant-garde art to artistic research, « plus précisément de la recherche visuelle»17. Of course, this notion of “visual search” strongly reminiscent G.R.A.V., designating the Groupe de Recherche d’Art Visuel, created in 1961 and dissolved at the end of 1968, in which he participated François Morellet despite some distance on which we will return soon. In another Letter of Harvard, Bruno Munari notes the discrepancy between, on the one hand, the courses given to students of art by teachers deaf at the birth of visual communication and, secondly, the Italian students hurry, exiting from academy, to study Kinetic Art and the advances in design field18. Beyond this common search for the dissolution of subjectivity, the dissemination of the principles of art in design, that is a form of total art, it’s not desirable for François Morellet who told in a private meeting with Serge Lemoine in 1982: « Et quel élitisme ! Vouloir absolument que les fauteuils et les cuillères à café du bon peuple soient assortis aux tableaux des galeries d’avant-garde ! »19. Inside the G.R.A.V., o mass production is involved, but it is hoped to « trouver ce qui pourrait ‘activer’ la participation du spectateur », as stated François Morellet later in this interview. This lack of distinction between visual communication and art would strengthen recognition of obsolescence
of subjectivity in artistic creation, that François Morellet20 search so actively. herefore, significantly, Bruno Munari uses the “objectivity” as a common denominator of features of visual communication21, for greater efficiency, but with a search of universal understanding to which François Morellet don’t believe. In addition, the art can not be taught, as Bruno Munari tirelessly repeats, and it must instead, he thinks, convey depth knowledge of the techniques. Visual communication is now an emerging discipline, getting a receipt hampered on its progress. Bruno Munari share this observation with his readers in a Letter of Harvard which deals, precisely, about texture. Metaphorically, in this context obligated, the points in texture become black points: « Quand l’étudiant entrera dans la vie active et sera en contact avec des responsables, voire des chefs d’entreprise, il se trouvera fatalement confronté à un mur infranchissable. Si nous, qui avons pris connaissance des problèmes de communication visuelle en y réfléchissant continuellement en autodidactes, enseignons ces choses aux jeunes, nous devrions également fonder une école pour donneurs d’ordre, faute de quoi tout contact intelligent sera impossible »22 .
support de ses images, possèdent une valeur objective »23. In this text, as in other related to his courses on design and visual communication, the term “art” comes almost by accident and historical notion - in the sense of old-fashioned concept - or spiritual notion: « L’art est présent ou absent. Ce serait comme expliquer ce qu’est le zen »24. A gap between occultism and an attitude inherent in the permanent experimentation, which could also be found in the work of Gianfranco Chiavacci. The multiple directions taken in his work make the definition much harder. This sentence a bit ‘lapidary on art seems to suggest what is seasoned art, or that nobody possess it neither the artists nor the users. Any comments on the works, as well as judgments on their good communication and therefore on their immediate effect, seem relegated to a rather distant horizon.
To conclude In the Letter of Harvard Recherches d’avant-garde, d’arrière garde, the distinction between art and design is ambiguous. The perception of the artist’s work is confused with the visual communication, understood in the broadest sense: « L’artiste qui possède une vision personnelle du monde n’a de valeur que si sa communication visuelle, le
NOTES 17. See the Letter of Harvard Recherche d’avant-garde, d’arrière garde, in Bruno Munari, Design et communication cit., pp. 32-37. 18. See À nouveaux problèmes, nouveaux outils, in ivi, pp. 10-12. 19. See Entretien avec Serge Lemoine, in François Morellet, Mais comment taire cit., p. 92. 20. We refer in particular to the excellent article by Arnauld Pierre, Ce que devrait être le spectateur, in François Morellet, Paris, Galerie nationale du Jeu de Paume, 2000, pp. 17-27. 21. See the Letter of Harvard entitled Adapter le programme aux individus et non l’inverse, in Bruno Munari, Design et communication cit., p. 14. In the same letter, Bruno Munari defines visual communication as a « thème extrêmement vaste qui va du dessin à la photographie en passant par les arts plastiques et le cinéma, des formes abstraites aux formes réelles, des images statiques aux images en mouvement, des images simples aux images complexes, jusqu’aux problèmes de perception visuelle inhérents au versant psychologique de ce thème, comme par exemple, le moiré, les illusions d’optique, le mouvement apparent, les images et l’environnement, la persistance rétinienne et les images posthumes. Ce thème englobe le graphisme, les expressions graphiques depuis la forme d’un caractère jusqu’à la pagination d’un quotidien, depuis les limites de lisibilité des mots jusqu’aux moyens qui facilitent la lecture ». 22. See the Letter of Harvard Les textures, in ivi, p. 25. 23. See the Letter of Harvard Adapter le programme aux individus et non l’inverse, in ivi, p. 16. 24. See A nouveaux problèmes, nouveaux outils, in ivi, p. 11.
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Ringraziamenti: Un particolare ringraziamento va a Danielle e Franรงois Morellet, Carlo Chiavacci e la Galleria Invernizzi per il loro interesse e sostegno. Progetto grafico: Studio Phedra, Pistoia