Lavori in corso magazine

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MAG/giu 2011 N. 1 anno IV

Il Magazine ManpowerGroup di Economia e Cultura del Lavoro

co ntrap p un ti Giovani, il vero “patrimonio umano” dell’Italia Intervista al Ministro Giorgia Meloni

H R TA LENT Calzoni, il pionerismo dell’industria italiana Intervista ad Angela Corsi, HR Manager Calzoni Srl

POSTFAZIONE Indietro di 50 anni di Roger Abravanel

BENVENUTI NELLA HUMAN AGE

Liberare il potenziale umano nell’era del Talento


2011


prefa zione

Francesco Maria Gallo francescomaria.gallo@manpower.it

Liberiamo il Talento! tag vantaggio competitivo / persone / talent strategy / mercato del lavoro / scelte sostenibili

Accesso al capitale, organizzazione, crescita per linee esterne, governance… Da anni pubblicistica manageriale e teorie economiche sono andate alla ricerca del vero vantaggio competitivo delle aziende. Dopo anni spesi in una affannosa (e spesso improduttiva) ricerca di questa pietra filosofale, società piccole e grandi sembrano essere giunte a un’unica conclusione: la risorsa vera e insostituibile per vincere la sfida dei mercati è quella umana. Assai più importante e vitale del capitale, a cui ancora buona parte degli osservatori continua a guardare. Solo le organizzazioni capaci di coinvolgere i talenti e far coincidere missione aziendale e obiettivi personali saranno in grado di affermarsi e distinguersi dalle altre. Sono riflessioni che, anticipate dal buon senso e dall’esperienza di molti manager – da noi intervistati in questo numero di Lavori in Corso – trovano conferma nella nostra ponderosa ricerca “Talent Shortage” che abbiamo condotto a livello globale (i cui risultati troverete evidenziati nelle pagine successive) e nel nostro annuncio al World Economic Forum 2011 dell’ingresso del mondo in una nuova epoca – la Human Age, l’era del potenziale umano. La centralità della risorsa umana e la consapevolezza di avere i capitali già al proprio interno sta imponendo alle aziende un ripensamento delle priorità. Cominciando ad anteporre, a molte altre azioni, l’individuazione di una chiara “talent strategy”. Le aziende devono cominciare a pensare in modo differente a come soddisfare la loro richiesta di talento, ora e in futuro. Ciò comporterà in molti casi modificare il proprio quadro di riferimento: cercare candidati anche nei luoghi non convenzionali, prendere in considerazione quelli che sono posizionati in modo migliore – grazie alle loro skill e alle loro personalità – e trarre vantaggio da formazione e sviluppo. Le organizzazioni del resto stanno constatando come lo squilibrio nei talenti non è qualcosa a cui possono porre rimedio con l’individuazione di un candidato: il passo fondamentale da compiere è verso un approccio più ampio, sistematico e sostenibile. Anche perché, oltre i dati gravi della disoccupazione giovanile (il problema principale per le economie occidentali in questi mesi che seguono la crisi economica e finanziaria), il mercato del lavoro è alle prese con un altro paradosso: la difficoltà di molti giovani di talento ad entrare nel mercato ed essere riconosciuti – e trattati – come tali e allo stesso tempo l’incapacità da parte di molte aziende (3 su 10 secondo la nostra ricerca) a coprire le posizioni chiave dell’organizzazione, principalmente quelle di vertice. Un mismatch che aggiunge complessità a complessità. E il continuo progredire dell’economia globale comporterà una maggiore competizione fra le persone qualificate, sullo sfondo di un sempre maggiore turnover. Per questo una salda talent strategy è ora più che mai una scelta irrinunciabile. Buona lettura!

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Francesco Maria Gallo External & Internal Relations Manager ManpowerGroup

Abst La risorsa vera e insostituibile per vincere la sfida dei mercati è quella umana, assai più importante e vitale del capitale

OP Il talento dell’impresa. L’impronta rinascimentale in dieci aziende italiane a cura di F. Morace, G. Lanzone Nomos Edizioni, 2010


N1 anno IV, maggio-giugno 2011

Lavori in Corso è un trimestrale ManpowerGroup di Economia e Cultura del Lavoro. Registrazione Tribunale di Milano: n. 620 del 16/10/2008 Presidente

Stefano Scabbio Direttore responsabile

Francesco Maria Gallo Redazione

Antonella Guidotti, Silvia Bordiga, Angelica Durante Segreteria di redazione

Chantal Corti Principe chantal.corti@manpower.it 02.230033000 Hanno collaborato a questo numero

Roger Abravanel, Angelo Marcello Cardani, Marco Donati, Luigi Garocchio, Francesco Guidara, Antonella Guidotti, Jeff Joerres, Paolo Morosini, Flora Nascimbeni, Giulio Sapelli, Enrico Sasson, Serena Scarpello

Foto

iStockphoto Progetto grafico, copertina e impaginazione

Caterina Martinelli - Bologna / kappaproject@katamail.com Distribuzione

Distribuito in tutte le edicole italiane in allegato a Italia Oggi Sette – Class Editori Concessionaria per la pubblicità

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Via Rossini 6/8 20122 Milano www.manpower.it

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somm ario

prefazione 1

Liberiamo il Talento!

di Francesco Maria Gallo

editoriale 4

Welcome to the Human Age di Jeff Joerres

controtendenze 20

controeditoriale 6

L’Italia della Human Age di Stefano Scabbio

di Flora Nascimbeni

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Creare valore condiviso

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Giovani, il vero “patrimonio umano” dell’Italia

di Enrico Sasson

di Francesco Guidara

workshop opinion leader 24

A favore delle donne

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Verso un futuro sostenibile

Provocare il talento di Serena Scarpello

hr talent 28

società e territori 16

Occupazione e migrazione: una sfida difficile per l’Italia di Giulio Sapelli

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Per una politica di immigrazione più integratrice

di Luigi Garocchio

di Antonella Guidotti

hr allo specchio 12

Il potere del talento diversamente abile di Paolo Morosini

contrappunti 8

L’arte di arrangiarsi fa parte del talento

Calzoni, il pionierismo dell’industria italiana

di Marco Donati

letture ascolti visioni 31

La comunicazione finanziaria / Mafie in pentola a cura della Redazione

di Angelo Marcello Cardani

postfazione 32

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Indietro di 50 anni di Roger Abravanel

BENVENUTI NELLA HUMAN AGE Liberare il potenziale umano nell’era del Talento


edito riale

Jeff Joerres

WELCOME TO THE HUMAN age tag cambiamento / potenziale umano / innovazione / talent mismatch / passione

Jeff Joerres CEO ManpowerGroup

Abst Le imprese vincenti saranno quelle che comprenderanno come liberare il potenziale umano adeguando mindset e people practices alla nuova realtà

Al World Economic Forum 2011 abbiamo annunciato l’ingresso del mondo in una nuova era, una realtà caratterizzata da caos, complessità – e opportunità. L’inesorabile pressione del “fare di più con meno”, indice della più grave recessione degli ultimi ottant’anni, continua. Sarà la nostra abilità nell’attingere al potenziale umano a determinare chi sarà in grado di adattarsi con successo alla nuova realtà. E l’essenza di questo potenziale – il talento delle persone – rappresenta ciò che potrà fare la differenza in termini di competitività. L’ineguagliabile rete mondiale e l’esperienza a livello locale di ManpowerGroup ci hanno permesso di riconoscere per primi questa nuova epoca e di codificare la Human Age per aziende e individui. Un’era incredibilmente differente, in cui l’innovazione, la creatività e la passione delle persone hanno aiutato il mondo a rialzare la testa dalla recessione nel momento in cui venivano richiesti nuovi approcci, nuove prospettive e nuova ingegnosità. A differenza di altre epoche, la Human Age non trae ispirazione da scoperte, invenzioni o materie prime. Le precedenti ere sono state contraddistinte dalla materia prima che l’uomo trasformava per i suoi bisogni – pietra, bronzo, ferro. In seguito, i popoli conquistarono il dominio grazie a tecnologie

sempre più avanzate – industria, spazio e informazione. Oggi sarà lo stesso potenziale umano a fare da catalizzatore per il cambiamento, forza trainante mondiale a livello economico, politico e sociale. Le persone stanno affrontando la sfida per conquistare il posto che compete loro quale unica fonte di ispirazione e innovazione nel mondo. Il crescente sviluppo dei mercati emergenti rispetto ai mercati maturi al quale stiamo assistendo – frutto di un boom in questi paesi del ceto medio della popolazione e il conseguente aumento delle richieste di prodotti e servizi – ha implicazioni profonde, perché queste nazioni attrarranno un maggior numero di candidati qualificati e potranno quindi sfruttare sempre di più il potere del potenziale umano. E con le persone giuste al posto giusto, le aziende potranno ottenere maggiori risultati rispetto al passato. Il divario fra dati demografici e talenti è un’altra tendenza identificata da ManpowerGroup: a fronte di una disoccupazione che rimane alta, le aziende non riescono a trovare il personale più idoneo a ricoprire posizioni chiave. Un divario destinato ad aumentare in molti mercati man mano che

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editoriale

di un’organizzazione e il suo approccio verso un soddisfacente work-life balance assumono un ruolo sempre più importante.

la popolazione in età lavorativa diminuirà e sarà insufficiente il numero di nuovi lavoratori in possesso delle giuste competenze. Il talento è insito nelle persone con specifiche competenze, specifici comportamenti e modi di operare, ad esempio in contesti caotici e globali che rispecchiano le necessità di un’azienda. Non c’è solo carenza di giovani, ma anche di persone che mancano delle abilità fondamentali. È chiaro che all’aumentare della ricca classe media nei mercati emergenti corrisponde anche la crescita della richiesta interna: questi mercati hanno bisogno di un maggior numero di individui altamente qualificati e formati su standard internazionali rispetto a quelli attualmente disponibili. In questa nuova era, gli individui in possesso di tali competenze si ritrovano saldamente al posto di guida. Mentre in passato erano le persone a cercare il lavoro, d’ora in poi saranno questi talenti a dettare le proprie condizioni alle aziende. Emerge la scelta individuale da parte dei lavoratori che possono decidere per quale

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impresa lavorare. Una scelta basata sul potenziale dell’azienda nel soddisfare le loro richieste in termini di retribuzione, di work-life balance, di avanzamenti di carriera. Il potere della scelta sta decisamente passando nelle mani degli individui di talento. Nella Human Age sarà la capacità di cavalcare tutti questi cambiamenti a determinare il successo di aziende e persone. Le imprese vincenti saranno quelle che comprenderanno come liberare la passione e il potenziale umano, quelle che adegueranno il proprio mindset per dimostrare di possedere modelli professionali e people practices atti ad attrarre e trattenere i talenti, fondamentali per il successo attuale e futuro. Perché attrarre e trattenere i migliori talenti non dipende esclusivamente da remunerazione e benefit. La Human Age impatta su tutte le motivazioni che inducono un lavoratore a scegliere un’azienda e rimanervi: avanzamenti di carriera, opportunità di crescita, l’apprezzamento del proprio contributo di valore, un ambiente di lavoro coinvolgente, stimolante e gratificante. Il compenso, seppur importante, non è l’unico fattore che le persone considerano. La reputazione

La recente trasformazione di Manpower Inc in ManpowerGroup è la nostra risposta alla Human Age. Abbiamo reinventato la nostra organizzazione per aiutare aziende e persone a destreggiarsi tra le sfide di questa nuova realtà e anticipare le loro esigenze con una famiglia più solida e connessa di brand atta ad alimentare sempre meglio il mondo del lavoro. Aziende, governi e istituzioni ricoprono un ruolo decisivo nello sviluppo della prossima generazione di Talenti. I governi nel definire le abilità che potrebbero essere maggiormente richieste, le aziende nella preparazione dei loro futuri lavoratori, il sistema dell’istruzione nei programmi e nella didattica affinché gli studenti conservino le capacità di apprendimento e sappiano sviluppare un pensiero critico nel corso delle loro vite lavorative. Dando loro gli strumenti giusti, i giovani costituiranno la prossima ondata di imprenditori che guiderà la crescita economica. La Human Age è iniziata. La vecchia realtà è scomparsa per sempre. Il mondo sta cambiando così rapidamente e profondamente che solo la curiosità intellettuale, la passione, l’empatia, l’immaginazione, l’impegno e il potenziale della stessa umanità potranno liberare il potenziale delle aziende.

OP Impresa e capitale umano G. Costa Cleup, 2010


contro edito riale

Stefano Scabbio

l’italia della human age tag complessità / valori / talento / approccio umano / people strategy

Stefano Scabbio presidente e amministratore delegato ManpowerGroup

Abst Vincerà chi saprà liberare il talento delle persone, a qualsiasi livello della organizzazione esse appartengano

La società del lavoro contemporanea è alimentata dalle correnti della complessità, dove fattori macroeconomici si intersecano con scenari nazionali, congiunture globali con circostanze di un più ristretto panorama locale. Dalla recessione al rapido sviluppo delle nuove tecnologie, dai cambiamenti demografici all’inarrestabile aumento dei flussi migratori (tema di urgente attualità per l’Italia), dall’allarme disoccupazione giovanile al talent mismatch, dall’emergere di nuovi mercati sempre più competitivi alla richiesta di una crescente specializzazione della forza lavoro. Per governare questa complessità in trasformazione continua è fondamentale ridefinire modelli e proposte di valore di un mutato universo, ciò che concorre oggi a determinare la “capacità” di un sistema Paese di sopravvivere, generare ricchezza e benessere, garantire la sostenibilità del suo futuro. Laddove i valori di ieri non possono più essere validi in un mondo differente. Dai grandi dell’economia riuniti al World Economic Forum di Davos al resto del mondo, il messaggio è stato lanciato: siamo entrati nella Human Age, l’era in cui sono le persone a determinare il reale valore di una società, di un sistema economico, di un’azienda. L’era che sancisce il talento dell’individuo

come elemento cruciale di differenziazione, perché l’unico capace di generare innovazione, crescita e sviluppo sostenibile. Sta ad ogni Paese raccogliere la sfida e cogliere le opportunità di questa nuova era, ciascuno inserendo il nuovo dictat nel proprio vissuto nazionale, nel contesto politico-istituzionale, nel tessuto economico-imprenditoriale, nel sistema socio-culturale. E’ l’era in cui i vecchi schemi che annoveravano la solidità di un’organizzazione nella sua capacità di capitalizzazione si aprono all’importanza del talento quale elemento distintivo di crescita e competitività, passando dal capitalismo al “talentismo”, a un modello in cui l’accesso al talento diventa il vantaggio primario per competere su scala globale. Nel nostro Paese la Human Age raccoglie le sfide - numerose e importanti - di un mondo del lavoro e di una società in profondo cambiamento. A tre anni dalla caduta in recessione, mentre Francia e Germania stanno tornando ai livelli occupazionali della fine del 2007, l’Italia registra nel quarto trimestre 2010 un tasso di occupazione pari al 56,5% rispetto al 58,7% dell’ultimo quarter del 2007 (rilevazioni Istat). E un

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contro editoriale

tasso di disoccupazione dell’8,7% che raggiunge l’allarmante quota del 29,8% per i giovani tra 15 e 24 anni (sceso a 28,1% a febbraio) laddove la media europea si attesta sul 20%. Il mercato del lavoro ha accentuato i problemi strutturali di un difficile rapporto tra domanda e offerta di lavoro, passando da una disoccupazione causata da un’offerta elevata a una disoccupazione dovuta a una domanda altamente qualificata. Anche il recente studio condotto da ManpowerGroup - Talent Shortage Survey - per indagare le difficoltà delle aziende nel reperire persone in grado di ricoprire posizioni chiave all’interno delle organizzazioni, ha rivelato che il 31% delle aziende italiane intervistate afferma di non riuscire a trovare i profili qualificati, vitali per il successo dell’impresa. Dai lavoratori che inseguono le aziende alle aziende che inseguono i lavoratori. In Italia, in particolar modo, soffriamo di una carenza congenita di personale con competenze tecniche. Una carenza dovuta a un sistema dell’istruzione scarsamente connesso alla realtà del mondo del lavoro e delle aziende, ma anche a un sistema

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socio-culturale che tende a relegare certi lavori manuali a uno status inferiore, influenzando le scelte dei giovani e allontanandoli da percorsi professionali che oggi garantiscono l’accesso più rapido all’occupazione. Mi riferisco a tutta una serie di lavori che gli italiani non sono disposti a fare. E che invece gli stranieri accettano di buon grado. La Human Age segna anche il passaggio da un’epoca caratterizzata da confini chiusi a un’epoca dominata da confini aperti e una migrazione diffusa. Durante la crisi il nostro sistema produttivo ha creato, più che in passato, posti di lavoro sistematicamente rifiutati dagli italiani, e non è un caso che alla fine del 2007 gli stranieri occupati in Italia erano circa 1 milione e mezzo mentre oggi hanno raggiunto quota 2,1 milioni. Con le dovute differenziazioni territoriali dal nord al sud del Paese, è necessario prendere atto dell’apporto dell’occupazione straniera oggi e in futuro (nel Centro-Nord, in assenza di immigrazioni, ogni quattro operai che andranno in pensione, ci sarà solo un giovane disposto a diventare operaio) e che non è economicamente conveniente - né tantomeno possibile - bloccare i nuovi flussi migratori.

Le stesse dinamiche delle realtà aziendali mostrano un scenario in movimento continuo. Dall’importanza delle dimensioni di un’azienda siamo passati all’importanza dell’agilità e flessibilità della sua struttura. Dall’assumere potere al trasmettere passione. Da un’azienda guidata e controllata dalla proprietà a un’azienda guidata dal talento delle persone a qualsiasi livello dell’organizzazione esse appartengano. In un’epoca di incertezza ed evoluzione in cui il talento emerge come fattore strategico di successo, manager e imprenditori sono chiamati a “liberare” il potenziale dei propri collaboratori per assicurare crescita e competitività a tutta l’organizzazione. Le aziende vincenti nella Human Age saranno quelle capaci di creare una people strategy strettamente connessa alla business strategy. Vincerà chi saprà stimolare il talento delle persone, creando le condizioni atte a favorire la piena espressione di creatività e innovazione; chi saprà essere leader e coach nell’orientare le prestazioni verso l’eccellenza; chi favorirà apprendimento ed engagement attraverso un approccio human-to-human più attento e sensibile alle peculiarità di ciascun individuo; chi definirà piani efficaci per attrarre e trattenere i talenti. Preparando così l’intero sistema Italia ad affrontare le sfide e conquistare i successi di questa nuova era.

OP Change the game. Creare valore con le persone in tempi difficili a cura di R. Gallo Franco Angeli, 2009


Contra ppunti

Enrico Sassoon

Creare valore condiviso tag management / persone / corporate social responsibility / leadership / benessere

Enrico Sassoon Direttore responsabile, Harvard Business Review Italia

Abst Ogni dipendente costituisce una risorsa preziosa da massimizzare per creare un’azienda di talenti

Che sia un’arte o una scienza (e molti grandi pensatori di gestione d’impresa, come ad esempio Henry Mintzberg, continuano a chiederselo), il management è oggi a un punto di svolta. Sempre più, infatti, l’azienda assomiglia a una casa di vetro e le sue pareti, rese trasparenti dall’interconnessione globale che permette una circolazione sempre più vasta e veloce delle idee, consentono a chiunque di osservarne il funzionamento e il rispetto delle regole. E questa trasparenza, benvenuta o meno, ha una conseguenza diretta: gli obiettivi dell’impresa non possono più limitarsi alla massimizzazione del valore economico, e in particolare alla creazione di valore per gli azionisti, ma devono allargarsi per comprendere la massimizzazione degli interessi di tutti gli stakeholder. E questo significa in primo luogo i clienti e i dipendenti, ma naturalmente anche le comunità e l’ambiente fisico circostanti.

della conoscenza” che determinano il successo dell’impresa e il benessere della società. A inizio 2009 il grande esperto di strategia e leadership Gary Hamel ha riunito un gruppo dei principali manager ed esperti di gestione d’impresa per cercare di definire le dieci maggiori priorità per rifondare l’azienda nell’epoca della Corporate Social

Insomma, nel secondo decennio di questo terzo millennio, al centro delle attività di un’impresa, da quella piccolissima di pochi addetti alla mega-azienda con centinaia di migliaia di dipendenti, sono le persone ad assumere la valenza principale alla quale dedicare le maggiori attenzioni. E questo vale tanto più in quanto è sempre crescente il numero dei “lavoratori

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Contrappunti

Responsibility. Le idee emerse sono state molto più di dieci, ma ecco le tappe più importanti di quello che questo gruppo ha definito come un “viaggio che conduce al Management 2.0”: fare in modo che il lavoro del management serva un fine più elevato; incorporare a pieno titolo le idee di comunità e cittadinanza nei sistemi di gestione; ricostruire le fondamenta filosofiche del management; debellare le patologie della gerarchia formale; combattere la paura e aumentare la fiducia dei dipendenti; reinventare gli strumenti di controllo; ridefinire il lavoro di leadership; espandere e sfruttare le diversità;

condividere il lavoro di stabilire la direzione di marcia dell’azienda (strategia); creare una democrazia dell’informazione; Come si vede, gli obiettivi principali non riguardano la struttura, la tecnologia o la finanza bensì la capacità del management d’impresa di concepire gli obiettivi dell’organizzazione in modo ampio e responsabile, tenendo conto innanzitutto delle persone che vi lavorano, ma più in generale della realtà complessiva in cui opera l’impresa. Più di recente, colui che viene oggi considerato il più importante pensatore ed esperto di management del mondo, ha lanciato l’obiettivo di “creare valore condiviso” per tutte le organizzazioni, un altro modo per affermare che oggi nessun dirigente di nessuna impresa può più permettersi di operare disinteressandosi del contesto in cui l’azienda è inserita, poiché è dall’interazione reciproca tra azienda e territorio che si crea il vero valore per l’una e per l’altro (Michael Porter, in Harvard Business Review Italia, gennaio 2011). Ancora una volta, al centro di questa visione si pongono le persone e la capacità del management di coinvolgere, motivare, stimolare e rendere soddisfatte le risorse umane dell’organizzazione. E non si tratta di un approccio di tipo filantropico: persone più motivate e soddisfatte sono persone più attive e più produttive. Secondo alcune ricerche pubblicate di recente negli Stati Uniti, un investimento nel “benessere” dei lavoratori in azienda – spazi collettivi d’incontro, luoghi di fitness, asili nido, spazi

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culturali e altro – hanno un ritorno sull’investimento che arriva fino al 600 per cento. Vale a dire, che a un euro di costo corrispondono fino a 6 euro di ricavi. Non c’è dubbio che, ben oltre le motivazioni sociali e di equità oggi ineludibili, anche il semplice rapporto costi/benefici debba indurre il vertice delle organizzazioni (imprese profit, ma anche società non profit e istituzioni di diversa natura, compreso il settore pubblico) a guardare con molta attenzione alla soddisfazione delle risorse umane. Infine, i talenti. Che i migliori dipendenti costituiscano una risorsa preziosa per l’azienda, e che vadano motivati, coinvolti e premiati, è fuori discussione. Ignorare questa ricchezza è un danno che occorre evitare. Ma allo stesso tempo va evitato il rischio di concentrare l’attenzione solo o prevalentemente sulle “stelle”, trascurando i lavoratori di ogni livello. In linea di principio ogni dipendente costituisce una risorsa preziosa da massimizzare per creare un’azienda di talenti. E questa è forse la sfida più difficile che abbiamo davanti per restituire al lavoro il suo significato più autentico, che non è solo quello di creare ricchezza, bensì di dare a ogni persona la gratificazione e la soddisfazione di un’attività ben svolta nell’interesse proprio e di tutta la società.

OP The Big Idea: Creating Shared Value M.E. Porter, M.R. Kramer Harvard Business Review, Gennaio-Febbraio 2011


Contra ppunti

Francesco Guidara fguidara@class.it

GIOVANI, IL VERO “PATRIMONIO UMANO” DELL’ITALIA tag occupazione / precarietà / meritocrazia / cultura d’impresa / talento giovanile

Giorgia Meloni, Ministro della Gioventù

Abst Intervista al Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni. “La flessibilità del mercato del lavoro non deve trasformarsi per i giovani in precarietà e indeterminatezza”

Francesco Guidara Caporedattore Centrale Class CNBC

Più che la crisi economica i giovani italiani pagano gli errori di un sistema che “per decenni ha preferito scaricare i debiti sul futuro”. Lo dice Giorgia Meloni da un doppio osservatorio: quello del dicastero della Gioventù, che guida dal maggio del 2008, e quello che la vede indossare i panni del più giovane ministro del governo, con i suoi 35 anni, meno della metà di quelli del presidente del Consiglio. “I dati sull’occupazione – osserva – raccontano la storia di una crisi economica che impatta duramente sui giovani e sulle donne, gli anelli più deboli della catena produttiva. Se non vogliamo fare semplice demagogia, dobbiamo però considerare che i danni della crisi si sommano a quelli storici del nostro paese. Un esempio? Il blocco delle assunzioni pubbliche non dipende dalla crisi congiunturale, ma dal collasso del sistema che per decenni è stato riempito fino alla saturazione da assunzioni clientelari”. Come si contrasta questo tipo di precarietà? Rivoluzionando dalla base un sistema che non si regge più in piedi. Si contrasta avendo il coraggio di riformare profondamente il mondo dell’istruzione e dell’università in

modo da ricostruire un sistema che premi il merito, cosa che il governo ha cominciato a fare sin dai primi mesi di lavoro. Si contrasta cercando di costruire l’eguaglianza nei punti i partenza e non di arrivo, impegnandosi a garantire prima di tutto il diritto allo studio. Cosa che il governo sta facendo, garantendo le borse di studio agli studenti meritevoli: per il 2011 sono stati stanziati su questo fronte oltre 100 milioni di euro. Si contrasta anche adeguando gli strumenti a un mondo del lavoro che cambia. E il governo l’ha fatto estendendo per la prima volta nella storia ai lavoratori atipici (per lo più giovani) una forma stabile di ammortizzatore sociale, fino allo scorso anno prerogativa esclusiva dei lavoratori a tempo indeterminato. Quale ruolo ritaglia per la scuola, quella secondaria e quella universitaria? Occorrono una scuola e un’università che siano davvero in grado di preparare i giovani al mondo del lavoro. Da un lato, abbiamo laureati eccellenti che si trovano al primo colloquio di lavoro senza sapere cosa dire, cosa fare, come presentare il proprio curriculum, perché nessuno

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Contrappunti

l’ha mai spiegato loro. Dall’altro lato, abbiamo aziende – anche importanti – che operano da decenni sul territorio nazionale e tuttavia sono quasi totalmente ignare dello straordinario materiale umano rappresentato dai giovani italiani. È chiaro che si tratta di un divario di incomunicabilità che occorre colmare al più presto. Oggi le risorse umane sono elemento di vantaggio competitivo e una leva fondamentale per le aziende. Una recente ricerca internazionale di Manpower la definisce “Human Age”: il fattore umano farà sempre più la differenza. Trova che nel nostro paese la sensibilità al fattore umano sia forte? Trovo che ci sia scarsa consapevolezza verso il vero e proprio “patrimonio umano” rappresentato nella nostra nazione in particolare dai giovani. L’annoso problema della “fuga di cervelli” verso l’estero ha origine anche da qui. Noi stiamo lavorando per

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promuovere la cultura d’impresa tra i giovani perché siano consapevoli che, in tempo di crisi, una delle strade da percorrere è proprio quella di diventare imprenditori di se stessi invece di affidarsi alla ricerca di un posto di lavoro dipendente. Abbiamo sottoscritto protocolli d’intesa con gli ordini professionali – come ad esempio quelli con notai, commercialisti e consulenti del lavoro – per offrire ai giovani che si apprestano a iniziare un cammino professionale, la collaborazione di chi, con tanti anni di esperienza alle spalle, può dare il supporto necessario a superare i primi gradini. Più in generale stiamo cercando di adeguare la società e un mercato del lavoro che cambia, perché la flessibilità del mercato non si trasformi per i giovani nella precarietà e dell’indeterminatezza. I giovani italiani sono disposti ad adattarsi a un lavoro flessibile, ma non per questo devono accettare la condanna a un eterno precariato, che della flessibilità rappresenta una degenerazione da scongiurare con tutte le armi a disposizione. Per questo abbiamo dato vita al pacchetto di iniziative da 300 milioni di euro, dedicato all’occupazione e al futuro dei giovani, denominato “Diritto al futuro”: 51 milioni di euro serviranno a dare un lavoro stabile ai giovani genitori precari, 50 milioni consentiranno l’accesso al mutuo per l’acquisto della prima casa alle giovani coppie con contratti atipici, 100 milioni saranno investiti sul talento giovanile che diventa impresa. Ma ciò di cui vado particolarmente orgogliosa è la proposta di legge costituzionale che ho presentato in Consiglio dei Ministri e che, oltre a prevedere l’equiparazione tra elettorato attivo e passivo,

inserisce nella nostra Costituzione il riferimento esplicito alla necessità di promuovere la partecipazione attiva dei giovani alla vita economica, sociale, culturale e politica della nazione, riconoscendo anche il rango di valore costituzionale alla promozione del merito come ascensore sociale. Di quali riforme secondo lei c’è bisogno nel nostro paese parlando di occupazione? Dopo quelle coraggiose e necessarie della scuola e dell’università, volute dal Ministro Gelmini, occorre un’importante misura strutturale di defiscalizzazione, destinata in via esclusiva alle imprese giovanili di nuova costituzione. Proprio su questo punto stiamo lavorando assieme al ministro Tremonti nell’ambito della più ampia riforma fiscale. Vede in giro dei modelli che ritiene vincenti e importabili nel nostro paese? Non c’è un modello di riferimento particolare da rincorrere. È sufficiente lavorare per ristabilire pienamente il principio del merito in ogni ambito: dalla scuola, all’università, al mondo del lavoro, fino alla politica. Serve una vera e propria “rivoluzione del merito”: ed è su questo che sin dall’inizio lavora il Ministero della Gioventù.

OP Non è un paese per bamboccioni. Storie di giovani che ce l’hanno fatta, nonostante tutto A. Sestito, M. Fini Cairo Publishing, 2010


hr ? allo specchio

Serena Scarpello serenascarpello@gmail.com

PROVOCARE IL TALENTO tag corteggiare i talenti / valorizzare l’eccellenza / orientare / saper essere / “flessivolenza”

Non basta più il bagaglio professionale. Quello che serve è un set di valigie di diverse forme e colori: dinamismo, capacità d’innovazione, senso di responsabilità, capacità di lavorare in team. Un mix di elementi che aiuta a individuare i talenti, step fondamentale per un’azienda che non vuole restare indietro ma vuole crescere puntando soprattutto sulle persone. Perché sono loro che oggi

Abst Il “talentismo” come viene inteso oggi è ben diverso da quello di dieci anni fa, quando si iniziava a parlare di “guerra dei talenti”: oggi il talentismo è pervasivo, va dai livelli apicali di un’azienda alla catena di montaggio

Serena Scarpello Giornalista Class CNBC

determinano il valore non solo di un’azienda, ma di una società, di un sistema economico. Secondo Nando Volpicelli, Presidente e Amministratore Delegato della Schneider Electric Industrie Italia (centro di competenza per l’illuminazione di emergenza) le doti personali fanno la differenza: l’impegno nel raggiungimento dei target aziendali, la capacità di coinvolgere gli altri, la collaborazione. Siamo passati dall’era del capitalismo a quella che potremmo chiamare era del “talentismo”: sono gli uomini il vero valore distintivo di un’azienda. Clara Dalla Pace, Responsabile risorse umane e organizzazione di MCZ Group (leader nei sistemi di riscaldamento a uso domestico), ricorda come 15 anni fa, quando entrò in MCZ SPA, “il titolare affermava che il suo più grande patrimonio erano gli impianti di ultima generazione installati in produzione, oggi dichiara invece che l’unica cosa che non possono avere i competitors di MCZ sono i suoi uomini”. Tutti d’accordo quindi: c’è maggiore consapevolezza per gli aspetti relativi all’importanza di investire sul capitale umano e di quanto questo faccia poi la differenza nei risultati aziendali e nella competitività dell’azienda. “Sul fatto però che da questa consapevolezza scaturiscano

una serie di azioni concrete di investimenti forse c’è ancora un pochino da lavorare”. A dirlo è Luca Valerii, responsabile risorse umane di Microsoft Italia. “Sicuramente molte aziende si sono mosse in maniera consequenziale adottando investimenti che prima non c’erano: investimenti in formazione ma anche nelle persone, dando loro tutto quello che occorre perché possano veramente realizzare le loro potenzialità e competenze. Metterle quindi nelle migliori condizioni perché possano dare un contributo all’azienda per la quale lavorano. È un po’ una filosofia che abbiamo iniziato ad attuare e ci sono sicuramente altre realtà che la stanno attuando, ma non sono ancora la maggioranza”. L’altro lato della medaglia è proprio l’azienda che da parte sua deve essere brava a cavalcare questo cambiamento, inserendo in tutti i processi aziendali la valorizzazione dell’eccellenza del personale. Schneider Electric l’ha già fatto due anni fa con un progetto

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? r allo hr h specchio

patrimonio distintivo, è stato facile: li abbiamo ascoltati, motivati, stimolati, stimati e premiati”.

chiamato Eccellenza del personale. “Nei nostri cinque stabilimenti italiani abbiamo coinvolto il personale nelle sfide aziendali oltre ad implicarlo negli eventi, nel processo produttivo, nella qualità del prodotto”. Un progetto esteso a diverse città che inevitabilmente non condividono cultura di base, approccio e metodologia. Questo dimostra come l’implicazione del personale con i giusti metodi è un discorso che vale sempre. Un percorso fatto di ostacoli ma anche di premi, di doveri ma soprattutto di diritti, in cui i talenti si distinguono per le loro competenze eccezionali mixate a una forte dose di passione. “Questa svolta culturale ha avuto come primi sponsor proprio i nostri uomini più “talentuosi” – sottolinea Dalla Pace – che con il loro contributo quotidiano ci hanno dimostrato di poter condurre l’azienda là dove da sola, per sua natura complessa, non sarebbe arrivata. Il passo successivo poi, che consiste nella loro gestione come un reale

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Il contributo in termini di sistema paese Microsoft Italia ce l’ha nel suo dna: “la nostra missione – ricorda Valerii – è proprio quella di aiutare le persone e le aziende a realizzare il proprio potenziale verso la tecnologia. Noi partiamo da un’ottica di tipo commerciale ma puntiamo a un’ottica che privilegi la possibilità di accesso a questa tecnologia da parte di tutti. Per esempio, per quanto riguarda gli studenti, in diverse situazioni diamo la possibilità di accesso gratuito al nostro software”. Sono già 40 le università e 80 gli istituti superiori che Microsoft Italia ha abilitato ad accedere a un programma che offre gratuitamente l’utilizzo di tutta una serie di strumenti professionali di progettazione e sviluppo del software. “L’obiettivo è proprio quello di contribuire al miglioramento delle conoscenze tecnologiche degli studenti, perciò di fornire a tutti questi studenti degli strumenti per esprimere le proprie potenzialità.” Le imprese sono più che mai affamate di innovazione e crescita, e provocare i talenti accompagnandoli in questo percorso formativo è diventato non solo importante ma vitale. Ed è proprio la formazione che gioca un ruolo fondamentale nella scoperta di quelli che possono giocare a centro campo. La Schneider Electric dedica molto tempo alla formazione, interna ed esterna. “Nei nostri stabilimenti abbiamo proposto un progetto dedicato all’attività formativa del personale di produzione che implica flessibilità e polivalenza. L’abbiamo chiamato flessivolenza”.

Anche MCZ GROUP pianifica annualmente un programma formativo per i suoi uomini. Quest’anno però ha fatto molto di più. Ha interamente finanziato quattro corsi professionalizzanti in quattro città italiane, portando in aula 60 disoccupati, di cui i migliori 20 profili troveranno collocamento, grazie ad una partnership con ManpowerGroup. “Con questa iniziativa chiamata Job creation abbiamo deciso di regalare competenze e dunque reali opportunità sul mercato del lavoro a chi in questo momento è meno fortunato di noi, senza trarne per forza un vantaggio diretto, ma per una concreta responsabilità sociale di cui vogliamo farci carico”. Ma essere o sentirsi meno fortunati non deve diventare un disincentivo. Il Ministro dell’economia Giulio Tremonti recentemente ha detto che i giovani italiani spesso non sono disposti a fare alcuni tipi di lavoro. Volpicelli è d’accordo, ma non del tutto. “I giovani non sono proprio propensi a fare mestieri in alcuni campi come per esempio nell’artigianato o comunque attività di basso contributo intellettuale. Credo d’altra parte che il sistema intorno non metta i giovani in condizione di apprendere e capire i veri bisogno del mercato. Quindi loro si trovano un po’ meno giovani e già fuori.” Secondo Valerii il tema è cercare di capire dov’è l’equilibrio tra domanda e offerta. “Chi fa un certo percorso di studi si aspetta di metter in pratica quello che ha studiato, per non rendere vani i sacrifici che ha fatto durante il suo percorso”. Quando poi ci si affaccia sul mercato del lavoro ci sono degli obiettivi di carriera, delle aspettative


hr allo specchio

i protagonisti

che aumentano sempre di più. “Sono entrato nel mercato del lavoro più o meno 15 anni fa e le mie aspettative in stipendi d’entrata e velocità di carriera erano forse in linea con i miei coetanei del tempo ma non con i giovani che incontro quotidianamente che hanno aspettative molto forti legate alla carriera ma anche all’equilibrio tra la loro vita professionale e quella privata”. Aspetti che possono creare qualche attrito e forse qualche delusione per i giovani che entrano nel mondo del lavoro e che hanno aspettative che poi restano deluse. Oggi l’Italia è un paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone. E il talento, trova sempre lavoro? Purtroppo no. Prendiamo i giovani laureati. Ammesso che si rivelino ricchi di competenze eccezionali, quello che spesso manca è una pianificazione a monte. Secondo Volpicelli “laurearsi senza preventivare all’inizio un piano strategico che metta in condizioni di avere posti già programmati, garantiti è un problema. Credo che occorra una migliore pianificazione degli studi. L’industria in questo caso si confronta con caratteristiche di competitività internazionali”. Valerii si trova d’accordo con questa fotografia: “guardo le statistiche su quanto i giovani laureati ci mettono

OP Da «risorse umane» a persone F. Greco Franco Angeli, 2009

a trovare un lavoro. Quelli laureati in materie economico-scientifiche non ci mettono molto, quelli in scienze della comunicazione e materie umanistiche ci impiegano di più. Forse il problema sta a mote anche nella definizione della scelta e di quanto questa scelta negli studi sia calibrata o meno su quello che poi è il mercato del lavoro di oggi”. La difficoltà secondo Dalla Pace oggi sta non tanto nel trovare personale che sa fare, quanto nel trovare personale che “sa essere”: persone con tutte quelle competenze di tipo relazionale, gestionale, emozionale ed innovativo di cui le aziende hanno fortemente bisogno. Non dobbiamo dimenticare che il “talentismo” come viene inteso oggi è ben diverso da quello di dieci anni fa, quando si iniziava a parlare di “guerra dei talenti”: oggi il talentismo è pervasivo, va dai livelli apicali di un’azienda alla catena di montaggio. Tutti oggi, dal manager all’operaio, devono sviluppare quelle capacità per coprire quel ruolo specifico. Non solo le rising star vano seguite e premiate, ma tutti i dipendenti devono essere corteggiati e trattati da talenti. Il primo problema da affrontare resta l’incontro tra domanda e offerta: oggi il 30% delle aziende italiane non riesce a trovare le risorse di cui ha bisogno in quel momento e per quel posto di lavoro specifico (fonte: Talents Shortage Survey di ManpowerGroup), nonostante i livelli di

disoccupazione relativamente elevati. Secondo Volpicelli se da un lato il momento storico sta facilitando le aziende nel ricoprire le posizioni secondo i propri bisogni, dall’altro “c’è sempre quel gap tra le attività che poi servono all’interno degli stabilimenti, spesso più legate alla leadership, e le persone impreparate che scoprono il mondo del lavoro solo il giorno che ci mettono piede”. Valerii ammette che in alcuni casi anche Microsoft incontra difficoltà. “Il nostro è un contesto dove a competenze molto tecniche vanno affiancate le cosiddette soft skills, competenze di tipo relazionale e comunicativo che molto spesso è difficile trovare. Quando le troviamo però si tratta di persone che poi riescono ad avere un percorso importante di carriera all’interno dell’azienda”. La Human Age, l’Era dell’Uomo, è arrivata. E l’uomo non può farsi trovare impreparato. Deve capire come sfruttare a suo favore il momento attuale caratterizzato da forze globali quali la recessione, il rapido sviluppo tecnologico, il mutamento dello scenario demografico e l’ascesa e caduta di potere dei mercati emergenti. Ma deve anche capire quale è il modo migliore in cui lui stesso può essere “sfruttato”. L’uomo di oggi è la pietra di 2 milioni di anni fa.

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hr allo specchio

Mcz group MCZ Group (Manufatti Cemento Zanette), nata nel 1975 per produrre manufatti in cemento, è una S.p.A. con capitale detenuto interamente fin dalla sua fondazione dalla famiglia Zanette. Ottiene i primi successi nel settore barbecue in muratura, nel quale è oggi leader europea con il brand Sunday, ed estende successivamente e progressivamente la produzione ai caminetti aperti, ad una linea completa di termocamini ed inserti, al settore stufe a pellet, di cui oggi MCZ è tra i maggiori esportatori italiani. Nel 2011 il gruppo apre il business alle energie rinnovabili: con il brand Red, l’azienda entra infatti nel mondo dei sistemi a biomassa e solari. Clara Dalla Pace, dopo una quindicinale esperienza nei mercati esteri in ambito commerciale ed amministrativo-finanziario, dove matura una consolidata conoscenza dei processi aziendali a tutti i livelli, cinque anni fa, per sua richiesta, cambia il contesto di riferimento e sceglie di operare nel campo delle risorse umane. Una sfida in cui mettere a frutto le sue sensibilità e le sue competenze di mercato, con nuove logiche ma sempre fatte di una domanda ed un’offerta che devono incontrarsi. Oggi affianca la Direzione Generale nella ri-definizione ed ingegnerizzazione dei processi nonché nella gestione del patrimonio delle risorse umane di MCZ GROUP SPA. Clara Dalla Pace

Microsoft Fondata nel 1975, Microsoft è leader mondiale nel software, nei servizi e nelle tecnologie Internet per la gestione delle informazioni di persone ed imprese. Ha quasi 90mila dipendenti nel mondo e nell’anno fiscale che si è chiuso lo scorso 30 giugno 2010 ha registrato un fatturato di 62.5 miliardi di dollari. Microsoft Italia è stata fondata nell’ottobre del 1985, è presente sul territorio italiano con tre sedi (Milano, Roma e Torino), conta 850 dipendenti con un’età media di 38 anni e 25mila aziende partner. Luca Valerii, classe ‘68, laurea in Scienze Statistiche ed Economiche a La Sapienza, inizia la sua carriera in una società di consulenza, nel ‘97 lavora a Londra nell’headquarter di Towers Perrin, rientra in Italia nel ‘99 con Microsoft, ove svolge incarichi di crescente responsabilità fino ad assumere nel 2004 la carica di HR Director per la filiale italiana, con focus sull’implementazione di politiche meritocratiche e di aspetti legati al clima aziendale. Microsoft Italia figura da 7 anni ai primi 3 posti della graduatoria “Great Place to Work”. Luca Valerii

schneider electric industrie italia Il Gruppo Schneider Electric ha acquisito nel 2006 la società OVA Bargellini la cui ragione sociale dal gennaio 2011 è cambiata in Schneider Electric Industrie Italia SpA, entrando a far parte di un dispositivo industriale italiano e continuando ad essere un centro di competenza per l’illuminazione di emergenza. Marketing, qualità, evoluzione dei processi aziendali e forte impegno in ricerca & sviluppo hanno determinato il suo posizionamento all’avanguardia per formazione, know-how industriale, eventi. L’azienda ha certificazione ISO 9001/2008, 14001/2004 e Certificazione Etica SA8000/2008, primo sito italiano SE a raggiungere questo ambito traguardo sociale. Acquisita quasi trentennale esperienza nella Schneider Electric con competenze specifiche in termini industriali, Nando Volpicelli ha ricoperto diversi incarichi sia in ambito nazionale che europeo. Attualmente è Presidente e Amministratore Delegato della Schneider Electric Industrie Italia SpA (raggruppamento dei vari siti produttivi del territorio italiano). Dotato di spiccata personalità, ha grandi doti di leader. Sono sempre al centro del suo stile manageriale la motivazione e l’implicazione del personale, oltre alle caratteristiche multiculturali acquisite lavorando in Francia, Spagna, Belgio, Bulgaria e Ungheria. Nando Volpicelli

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società& territori

Giulio Sapelli giulio.sapelli@feem.it

OCCUPAZIONE E MIGRAZIONE: UNA SFIDA DIFFICILE PER L’ITALIA tag forza lavoro / flussi migratori / africa /

politiche di regolazione / cultura dell’accoglienza

Giulio Sapelli Docente di Storia Economica all’Università Statale di Milano

Abst Occorre fermarsi nella polemica e dedicare tutte le forze sociali e intellettuali alla creazione di una nuova economia che abbassi il tasso di panico e aumenti quello di occupazione

Si guardi all’Europa, per una volta, partendo dall’assunto che una buona economia è quella che tende al pieno impiego. Si rimarrà, allora, perplessi. La ripresa economica si annuncia, in Europa e nel mondo, con scarsità di creazione di occupazione a fronte dei tassi diseguali degli andamenti demografici. All’aumento della produttività non corrisponde né un aumento della produzione, né un aumento dei mercati interni nazionali in grado di stabilizzare il mercato del lavoro e la solvibilità della domanda mondiale sulla base dell’occupazione tendenziale massima delle forze di lavoro potenziali. Questo implica una continua migrazione di forza di lavoro secondo il sistema dei vasi comunicanti delle transazioni di merci mondiali che, ora, diventano sistemi di vasi comunicanti delle transazioni di persone in cerca di lavoro e di sostentamento. La mia tesi è che il sistema dei vasi comunicanti non è sempre meccanicamente attivo: per esserlo abbisogna d’informazioni tacite che si trasmettono per via delle catene migratorie che sovradeterminano

i flussi migranti e questi flussi non sono flussi, appunto, di merci, ma di persone e quindi irriducibili alle merci, portando con sé valori e costumi distonici spesso con i paesi di arrivo. I flussi oggi si attivano sulla base di informazioni tacite e quindi non sono di per sé apportatori di risorse per lo sviluppo economico in presenza di distorsioni del mercato del lavoro e di forti quote di disoccupazione nel paese in cui si dirigono i flussi migratori. Infatti, in questo caso, le forze migranti si dirigono verso le aree del mercato del lavoro in cui, anche in presenza di disoccupazione, per la caratteristica dei mercati dei lavori moderni europei, le forze lavoro occupabili non corrispondono alle necessità del sistema economico. Da un lato non esistono processi formativi per rispondere alle esigenze di lungo periodo – non di breve – del sistema (dico di lungo periodo perché la variabilità delle dinamiche tecnologico organizzative è tale da rendere desuete formazioni troppo

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società& territori

qui non omeostaticità tra domanda e offerta di lavoro. Il potenziale esistente nell’economia mondiale, in ogni caso, è ancora immenso. Le crisi finanziaria e industriale ancora in corso, è vero, rischiano di distruggerne gran parte, se non si ha il coraggio di fondare nuove regole di autoregolazione e di guardare con coraggio al nuovo che avanza. Al centro di tale nuova economia mondiale è essenziale per l’Europa comprendere il ruolo che assumerà l’Africa: sarà l’Africa il prossimo plesso della crescita nel prossimo futuro. L’Africa, inoltre, è nel periodo della transizione demografica per eccellenza, ossia in quella situazione di diminuzione della mortalità a fronte di una continua diminuzione anche delle nascite che designa il passaggio dal disordine all’ordine e dalla dispersione all’efficienza produttiva. Questo implica che l’Africa tra un paio di decenni possiederà la più ampia popolazione in età di lavoro del mondo, costituendo una eccezionale occasione per gli investimenti.

specialistiche). Dall’altro lato forze potenziali occupabili non migranti non si dirigono verso una miriade di occasioni lavorative esistenti per problemi di status, ossia di non accettazione di mansioni che si reputano inferiori rispetto al livello formativo istituzionale raggiunto. Di

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I flussi migratori non sono che la conseguenza di tutto ciò. In questo senso è giusto ipotizzare il passaggio da un sistema disorganico di flussi migratori fondati su informazioni tacite a un sistema di flussi regolato da informazioni non più tacite, ma istituzionali, frutto di un impegno diretto tanto dei governi quanto delle parti sociali di una economia che deve divenire sempre più sussidiaria. E quindi responsabile. Di che cosa? Di una serie di politiche di regolazione e di accoglienza sia dei flussi sia dell’inserimento lavorativo dei migranti. Occorre, insomma, andare oltre la politica di accordi

tra gli stati per impedire le migrazioni. Occorre ritornare alle politiche di accordi interstatali che hanno fatto la forza delle migrazioni prima ottocentesche oltre Oceano dall’Europa alle Americhe e poi dall’Europa del Sud all’Europa Continentale e Nordica, quali si determinarono nel secondo dopoguerra. Non si trattò, infatti, di flussi e di meccanismi di occupazione spontanei, ma, invece, ferramente regolati da agenzie statuali e da organizzazioni private (confessionali in primis) che hanno regolato i mercati tanto in arrivo quanto in partenza. Questo fu reso possibile da forme di partenariato tra organizzazioni dei datori di lavoro e organizzazioni dei prestatori d’opera. Occorre, allora, fermarsi nella polemica e dedicare tutte le forze sociali e intellettuali (e allora riscopriremo il valore immenso della cultura umanistica) alla creazione di una nuova economia che dia occupazione alle forze di lavoro potenziali, abbassi il tasso di panico, aumenti quello di occupazione. Ma per far questo è necessaria una cultura dell’accoglienza delle persone migranti, che talentuose sono anch’esse, non scordiamolo!, che si fondi su agenzie di pianificazione e di allocazione dei flussi di lavoro potenziale e attivo. Far ciò in un’Italia dove l’importante non è vincere, ma impedire all’altro di vincere sarà particolarmente difficile.

OP Immigrazioni: la strategia della diversità. Quando il mosaico di culture è una risorsa per l’azienda M. Girardo Eca Italia, 2009


società& territori

Angelo Marcello Cardani angelo.cardani@unibocconi.it

PER UNA POLITICA DI IMMIGRAZIONE PIù INTEGRATRICE tag capacità di crescita / forza lavoro / produttività / occupazione / sviluppo

Angelo Marcello Cardani Docente di Economia Politica all’Università Bocconi di Milano

Abst Senza un influsso di lavoratori, necessario a qualsiasi livello, economie come quella italiana sono condannate a languire

Nel 2000 i paesi ricchi dominavano la scena economica mondiale, contribuendo a creare circa due terzi del PIL mondiale. Oggi questa quota è passata alla metà, e nel 2020 potrebbe scendere al 40%. La quota maggiore della produzione mondiale passerà al resto del mondo, principalmente per lo slancio economico dei paesi emergenti. Le cause sono molteplici. Sicuramente un ruolo importante è giocato dalla recessione del 200809. Ma un fattore determinante è la diminuita capacità di crescita dei paesi ricchi, un malessere ormai di lungo periodo che ha colpito tutti, ma in particolare l’Europa, e in Europa in modo molto serio il lato sud, Italia, Spagna e Grecia. La crescita dipende da tre variabili: l’occupazione, la quantità di capitale e la produttività. A sua volta l’occupazione dipende dalla forza lavoro disponibile e dal tasso di partecipazione. Le variabili demografiche sono quindi una condizione necessaria, anche se non sufficiente, della crescita: il Giappone è un esempio di produttività elevata incapace di generare crescita se non modestissima a causa di un invecchiamento e contemporanea diminuzione della forza lavoro.

della piramide delle età in Europa aveva segnalato un tendenziale restringimento della base produttiva, che si è puntualmente verificato verso il 2000, in maniera differente nei vari paesi, ma sostanzialmente centrato sulla diminuzione media del tasso di fertilità: perché la popolazione resti costante è necessario un numero di figli pari a 2,14 per donna, al di sotto del quale la popolazione si riduce. Con meno nascite la popolazione invecchia, ed una massa crescente di anziani, la cui vita attesa si allunga grazie ai progressi di una medicina sempre più costosa, dipende per il proprio sostentamento da un numero decrescente di lavoratori giovani: il problema della crescita si allarga così al problema della sostenibilità dei sistemi pensionistici. Tralasciando il peraltro rilevante discorso su produttività e investimenti, la battaglia sul fronte della crescita si combatte con due gruppi di interventi. Il primo concerne il tasso di fertilità: vi è tutta una gamma di interventi sociali che possono essere realizzati per rendere compatibile un maggior numero di figli con un

Già dagli anni ’70 del secolo scorso la tendenza al rovesciamento

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società& territori

adeguato tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Per l’Italia si tratta di un problema molto acuto: il tasso di fecondità nel nostro paese ha un andamento fortemente decrescente, fino a 1,2 figli per donna nel 1995, con una lieve risalita a 1,4 figli nel 2008, il valore minimo tra le maggiori economie europee. È necessario abbassare l’età del concepimento del primo figlio, che spesso non lascia spazio temporale sufficiente per un secondo o terzo, aumentare le opportunità di lavoro part-time, che in Italia rappresenta il 28% nel 2008, contro il 48% in Germania, aumentare l’offerta di asili nido che soddisfa in Italia il 6% della domanda potenziale contro il 40% in Francia (fonte: studio di C. Rondinelli, A. Aassve e F. Billari Women’s Wages and Childbearing Decisions: Evidence from Italy, Centro Dondena - Università Bocconi, 2011). Il secondo fronte è quello dell’immigrazione. Senza un influsso di lavoratori economie come

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quella italiana sono condannate a languire. L’influsso è necessario a qualsiasi livello, fintanto che mette a disposizione forza lavoro, ma evidentemente i benefici sono tanto maggiori quanto maggiore è la quota di immigranti che tende a divenire residente e poi cittadini a tutti gli effetti, creando quindi un ordinato e regolare aumento della popolazione. La rilevante differenza demografica tra Italia, Grecia e Spagna da un lato e Francia, Olanda e Svezia dall’altro, dipende sicuramente da politiche sociali più favorevoli alle famiglie, ma anche dalla politica di immigrazione più integratrice realizzata in questi paesi. Allo stesso tempo, la regolamentazione più restrittiva dell’immigrazione è stata per lungo tempo appannaggio di quei paesi come l’Italia o la Spagna che più avrebbero bisogno, mentre all’estremo opposto abbiamo proprio Germania e Francia (vedi S. Fumagalli e T. Boeri Strictness of immigration policies in 12 EU countries Fondazione Rodolfo Debenedetti, 2011).

Questa gestione economicamente suicida della politica d’immigrazione deriva dall’arrendevolezza dei policy makers ai rigurgiti xenofobi che emergono in modo differente in tutti i paesi europei. Alla domanda “L’immigrazione è un male per l’economia del paese?” in un’inchiesta del 2008 rispondono di sì il 31% dei tedeschi e il 36% dei francesi, ma il 37% degli spagnoli e il 43% degli italiani. È da notare che gli inglesi hanno un’avversione maggiore, con il 45% di risposte positive, ma mentre nel tempo considerato (2002-2008) la loro risposta resta costante al 45%, per gli italiani passa dal 27 al 43%. È poi da notare che la partecipazione degli immigranti all’economia del paese ospite non si limita alla fornitura di forza lavoro. I lavori della Conferenza sull’imprenditorialità e creazione di occupazione degli immigranti nei paesi OCSE tenuta a Parigi nel giugno del 2010 hanno dimostrato come l’imprenditorialità degli immigranti è di poco ma pur tuttavia più alta che non quella degli indigeni, con una percentuale del 12,7% contro il 12%. Tali percentuali variano poi da paese a paese, ma mostrano come, nonostante le innegabili e diffuse difficoltà spesso artificiali poste a barriere dell’immigrazione, gli immigrati costituiscano mediamente gruppi dinamici, economicamente coraggiosi e portatori di sviluppo.

OP Nuovi italiani. I giovani immigrati cambieranno il nostro Paese? a cura di Dalla Zuanna, Farina, Strozza Il Mulino, 2009


Contro tendenze

Flora Nascimbeni

L’ARTE DI ARRANGIARSI FA PARTE DEL TALENTO tag valore / capitale umano / giovani / spirito d’iniziativa / talent scout “Gli esseri umani non hanno la capacità di creare materia ma possono creare valore, ed è proprio nella creazione del valore che risiede l’unico senso della vita”. Inizia così, con la massima di un maestro giapponese di buddismo, la risposta di Paolo Paolo Nava, direttore di stabilimento Alcea, con Inoussa Bara Nava, direttore di stabilimento Alcea da dieci anni, alla mia domanda “come si riconosce un talento?”. La capacità di creare valore è la leva su cui puntare per far crescere le imprese italiane oggi, sempre più concentrate sul capitale “Individuare un umano. Dare spazio ai talenti, talento genera accompagnarli nello sviluppo delle loro capacità e del loro una reazione spirito imprenditoriale. Alcea l’ha a catena: farlo fatto. Inoussa Bara, imprenditoreemergere, operaio nato nel Burkina Faso, 43 anni appena compiuti, addetto al incentivarlo, dosaggio paste colorate all’Alcea motivarlo, di Senago, è stato premiato come miglior lavoratore in Italia valorizzarlo… nel 2009 da una commissione sviluppare di esperti. Nava ci tiene a quell’entusiasmo sottolineare che non ha vinto un premio solo per il suo lavoro che poi diventa ma in senso molto più ampio: stimolo per tutti” per il suo spirito di integrazione in Italia, la sua determinazione a crescere imparando un mestiere, per un alto senso del dovere e di riconoscenza verso l’azienda che spesso si sono tradotti in

Abst

Flora Nascimbeni Giornalista Class CNBC

proposte concrete, miglioramenti o ragionamenti sul processo. Ma anche per il suo spirito di iniziativa al di fuori dell’azienda: Inoussa ha avviato nel suo paese, il Burkina Faso, stato poverissimo, un’attività commerciale di distribuzione vernici di alta qualità che sostituisce i prodotti scadenti che prima venivano utilizzati, oltre a dare lavoro a persone del posto. Ma Inoussa non si è fermato al lavoro: ha formato una famiglia con tre bimbi che stanno crescendo nel nostro paese. Per tutto questo è diventato un punto di riferimento per gli operai dello stabilimento di Alcea, ma anche dei cittadini extracomunitari del Burkina Faso che lavorano in Italia. Questo è per Nava il massimo esempio della creazione di valore, quindi di un talento. Inoussa Bara si è accorciato le maniche e si è dato da fare. Il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti recentemente ha riconosciuto agli immigrati questa volontà di fare e provare, indipendentemente o quasi dal tipo di lavoro, mentre i giovani italiani, al contrario, si rifiuterebbero di accettare un lavoro qualsiasi. È da qui che nascono i numeri della disoccupazione in Italia, problema che non colpirebbe gli immigrati. Nava non si trova completamente d’accordo con il Ministro. “In Alcea

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Inoussa Bara riceve il titolo di “Miglior Lavoratore” al Premio per il Lavoro 2009 di Manpower

e in altre aziende del nostro gruppo – afferma – abbiamo esempi di giovani che si sono adattati benissimo a fare qualunque tipo di lavoro. Certamente va detto che oggi nelle aziende industriali moderne non ci sono poi tante mansioni di serie C. L’automazione, gli investimenti, gli interventi di modernizzazione hanno portato ad eliminare certi lavori tanto usuranti.” “Ma va detta una cosa per quanto riguarda i giovani – sottolinea Nava – e che io sto sperimentando da più di quarant’anni di lavoro in aziende industriali chimiche: dipende sempre dall’educazione”. La scuola, la famiglia e il contesto sociale che vivono i giovani oggi più che mai sono alla base della considerazione che hanno e che avranno del mondo del lavoro. Il giovane italiano non ha più fame, non è vincolato ai bisogni primari e spesso il fatto di non trovare lavoro è un luogo comune e un alibi. Gli immigrati sono quasi tutti iscritti a liste di agenzie interinali o addirittura cooperative. Secondo Nava, i giovani non vogliono scegliere questa via. “Ma Alcea non fa discriminazioni, a noi interessa che chi contattiamo in funzione delle necessità dimostri di considerare il lavoro un aspetto fondamentale della vita”. Alcea rappresenta l’altro lato della medaglia: un’azienda che ha saputo riconoscere un talento ed è riuscita ad affiancarlo nello sviluppo delle sue capacità. Nel caso di Bara, come nel caso di altri giovani italiani o immigrati che lavorano negli stabilimenti Alcea, l’azienda ha utilizzato e portato a fondo il concetto della valorizzazione. “Quando individuiamo una persona

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di valore, quindi che ha talento, facciamo di tutto per incentivarla, valorizzarla, dargli la giusta gratificazione. Il dialogo poi diventa indispensabile per capire queste persone”. Secondo Nava questo processo è possibile anche grazie all’aiuto di una figura fondamentale in azienda: il talent scout, una persona o alcune persone che guardino, studino, analizzino il modus operandi dei lavoratori. Una persona quindi che va considerata un capitale dell’azienda, una risorsa da far crescere. Ed è proprio al capitale umano che oggi si guarda con maggiore attenzione, ancor più che al capitale e basta. L’era del “talentismo” è iniziata. “Basta guardarci intorno: negli ultimi anni, nel campo del web per esempio, troviamo giovani che hanno rivoluzionato e sconvolto questo mondo, ma lo stesso vale per il mondo industriale, che vede sempre più ingegneri e capi di azienda. Ci sono poi giovani esperti di finanza che governano grossissimi gruppi di capitale”. Il talento quindi può essere la chiave di successo o competenza distintiva di un’azienda. Tornando a Inoussa Bara, il suo successo è dipeso molto anche dalla stessa Alcea, un’azienda di talento in quanto è riuscirà a lasciare spazio a un suo lavoratore perché si esprimesse al meglio. “Individuare un talento è già di per se l’inizio di una reazione a catena: una volta individuato, viene fatto emergere, poi va incentivato, motivato, valorizzato… la reazione è molto rapida: lo sviluppo di

entusiasmo. Inoltre diventa uno stimolo per altri”. In Alcea infatti ci sono due esempi di giovani immigrati che spiegano questo circolo virtuoso: un albanese di 24 anni e un senegalese di 30 che vorrebbero emulare con proposte concrete l’iniziativa commerciale di Bara nei loro paesi di origine. Alcea è presente anche in altri paesi oltre l’Italia. Nava ha avuto la possibilità di mettere a confronto diverse realtà e ha concluso che quando si incontra un talento, il paese non fa alcuna differenza, ma è solo una questione di persona. “La ricerca e lo sviluppo di talenti dipende sempre dai direttori di sito. Per cui, pur appartenendo allo stesso gruppo, il talentismo può arrivare a pesare in modo totalmente differente”.

OP L’impresa dei talenti. Strategie ed esperienza per moltiplicare il valore delle risorse umane Cheese, Thomas, Craig Il Sole 24 Ore Libri, 2008


Contro tendenze

Paolo Morosini

IL POTERE DEL TALENTO DIVERSAMENTE ABILE tag impegno / condivisione / leadership / integrazione / innovazione

Abst Superare le diversità e valorizzare i talenti con differenti abilità per una piena integrazione in azienda. La storia di successo di Francesco Levantini

Paolo Morosini Giornalista Class CNBC

Neppure il buio della cecità spegne o affievolisce il talento. Anzi pare affinarlo, renderlo più luminoso e metterlo a disposizione di un pubblico più ampio. Come dimostra la storia di Francesco Levantini, monzese di 55 anni, di cui quasi trenta trascorsi in IBM. Una storia straordinaria di tenacia e di lavoro quotidiano, di volontà di fare e allo stesso tempo di far sapere, di condividere risultati che hanno permesso ad altri disabili di confrontarsi in modo nuovo con il mondo del lavoro. Fino ai ventuno anni Francesco conduce una vita normalissima: gli amici, gli studi, i viaggi, la passione per la moto. In pochi mesi, una retinite pigmentosa congenita lo immerge in un buio progressivo fino alla cecità completa. “La mia prima preoccupazione – ricorda oggi – fu quella di non poter leggere e studiare come facevo prima. All’inizio non fu facile, come ovvio. Ma poco dopo capii che era un problema tecnicamente facile da superare, avrei dovuto solo trovare gli strumenti adatti. Tutto sommato la cecità mi capitò in un buon momento della mia vita: avevo molto amici e mi ero già appassionato alla ricerca”.

accompagnato Francesco Levantini in tutti questi anni. Oggi è uno dei migliori formatori di IBM. Una vita in continuo movimento, da una città all’altra, da un’aula all’altra. A Milano è docente sia presso il Politecnico che presso la Sda Bocconi. Impegnato inizialmente in progetti di informatica sull’Intelligenza Artificiale, Decision Support System e Object Oriented Technology, Levantini presto comincia a concentrarsi sui progetti relativi all’accessibilità dei sistemi informatici, alla formazione di base per l’inserimento professionale dei disabili, del loro aggiornamento e della formazione continua. “La cecità – ha spiegato recentemente a Mauro Marcantoni, autore del volume I ciechi non sognano il buio. Vivere con successo la cecità (Franco Angeli editore) – non è un problema, ma una seccatura. Il segreto per affrontarla al meglio è il lavoro di gruppo. Solo così il disabile può mettere davvero a frutto le sue competenze. Io oggi mi sento all’altezza e sicuro di ciò che faccio. Le uniche tecnologie assistive veramente efficaci per un disabile sono le altre persone”.

Una passione, quella per la ricerca e l’informatica, che ha

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contro tendenze

disponibili per non vedenti e ipovedenti messa a punto da IBM Italia, in collaborazione con Cisco e Nokia, per coniugare la mobilità delle persone, le tecnologie wireless e l’accessibilità dei disabili visivi alla tecnologia. Così da consentire a quanti fino ad oggi sono rimasti professionalmente ai margini di superare la disabilità e accedere ai più comuni sistemi di comunicazione aziendale come internet, intranet e tutte le applicazioni più comuni d’ufficio. Inoltre MWA è in grado di contribuire alla riduzione dei costi per l’azienda spostando i servizi di telefonia su un’unica architettura (per esempio la rete wireless).

Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità in tutto il mondo i non vedenti sono 37 milioni e 124 milioni le persone con problemi di vista. In Italia i numeri diffusi dall’Inail parlano di 350 mila non vedenti e più di un milione e mezzo di persone con problemi di vista. “Non vedenti e ipovedenti – spiega Francesco Levantini – hanno molti problemi nella vita comune e spesso servizi e ambienti pubblici (specialmente nella pubblica amministrazione) sono loro preclusi. Nonostante da anni sia forte questa consapevolezza, sono in atto pochi progetti per cercare di affrontarla e trovare le soluzioni adatte; di questi un numero esiguo utilizza software

vocali su strumenti mobili come palmari o smartphone”. Da qui l’idea di Levantini, insieme ad altri due colleghi di IBM, di sviluppare una nuova soluzione: l’MWA, acronimo di Mobile Wireless Accessibility. Nasce come progetto pilota dell’IBM Italia nel 2004: 10 persone tra non vedenti, ipovedenti e vedenti hanno cominciato a lavorare insieme per cercare di cambiare radicalmente il modo di comunicare, accedere e condividere le informazioni. Ciò è stato possibile utilizzando un unico strumento mobile con l’obiettivo di concentrare nello stesso dispositivo tutte le attività normalmente svolte dal tradizionale computer e dal telefono cellulare. Oggi l’MWA rappresenta una delle più avanzate tecnologie

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Francesco Levantini è oggi riconosciuto come uno dei maggiori esperti nelle applicazioni informatiche in tema di disabilità, spesso viene chiamato come consulente nella stesura di decreti attuativi di legge che riguardano soluzioni tecnologiche, come la legge 4 del 2004 (Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici). Nel 2007 gli è stato assegnato il Premio per il Lavoro di ManpowerGroup per “la straordinaria capacità di portare innovazione in azienda, l’attitudine al coinvolgimento, alla motivazione del team e alla valorizzazione dei talenti. Ha usato la sua leadership per superare l’handicap e favorire nel tempo una piena integrazione degli altri disabili”.

OP Disabilità e integrazione a scuola e nel lavoro C. Muscarà CUECM, 2010


Workshop Opinion Leader

Luigi Garocchio

A FAVORE DELLE DONNE tag diversity management / flessibilità / maternità / part time / pari opportunità

Presente in 42 Paesi con circa 67mila dipendenti, il gruppo Autogrill – primo operatore al mondo nei servizi di ristorazione e retail per chi viaggia, con un giro d’affari di 5,7 miliardi di euro – gestisce oggi più di 5mila punti vendita.

al 30% se si guarda al solo top management. La riorganizzazione degli orari e l’avvio di forme di flessibilità, oltre agli orari a tempo parziale, hanno cercato in questi anni di facilitare la conciliazione tra gli impegni lavorativi e la vita personale dei collaboratori.

Questo lo porta a essere uno dei gruppi italiani più internazionalizzati e allo stesso tempo una delle realtà dove è più forte la presenza della componente femminile. Le donne costituiscono la maggioranza dell’organico complessivo, percentuale che scende intorno

Oggi nel gruppo Autogrill sono interessati al part-time il 37% dei dipendenti del Food & Beverage (26% donne e 11% uomini), il 25% dei dipendenti del Travel Retail (21% donne e 4% uomini) e circa il 7% del personale del Flight (3% donne e 4% uomini).

Abst Riorganizzazione degli orari e nuove forme di flessibilità per facilitare la conciliazione tra impegni di lavoro e famiglia

OP Anni flessibili. Il tempo del lavoro nuovo a cura di R. Marmo Edizioni Lavoro, 2008 Luigi Garocchio Giornalista

“Il nostro è un Gruppo con una forte componente femminile che rappresenta il 60% dell’organico” – spiega Alessandro Preda, responsabile delle Risorse Umane di Autogrill. “In Italia, ad esempio, circa il 30% del personale di direzione è composto da donne, la nostra organizzazione del lavoro e degli orari comprende forme di flessibilità che aiutano a conciliare lavoro e vita privata. Oggi, infatti, sette donne su dieci scelgono il part-time”. La strategia di diversity management sviluppata da Autogrill è articolata in varie aree di intervento. “Le principali iniziative sulla managerialità – aggiunge Preda – si concentrano sui corsi di leadership, su una particolare attenzione alla sicurezza delle

colleghe (con parcheggi dedicati in prossimità degli uffici) e sulla maternità. Le neo-mamme possono usufruire del part-time fino al 36° mese del bambino e avvalersi di convenzioni con asili nido che si trovano in prossimità del posto di lavoro, che prevedono un contributo parziale al pagamento della retta da parte dell’azienda”. Su quest’ultimo aspetto Autogrill, attraverso un campione di donne intervistate al rientro dalla maternità, ha fornito il proprio contributo prendendo parte (insieme ad altre società fra cui la Banca Popolare di Milano, Eni, Nestlé e Pirelli) a una ricerca condotta, tra il 2008 e il 2009, dall’Osservatorio sul Diversity Management della SDA Bocconi per fornire a tutti gli interlocutori interessati (donne, imprese, università e istituzioni) un’analisi quanto più oggettiva sui costi della maternità e sulle prassi adottate da alcune delle principali aziende italiane. Nel 2009 l’impegno di Autogrill si è concretizzato nell’adozione della Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza nel mondo del lavoro. Un’iniziativa promossa dalla Fondazione Sodalitas e da altre associazioni di manager e imprese e sostenuta dai Ministeri del Lavoro e delle Pari Opportunità.

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Workshop Opinion Leader

Antonella Guidotti

VERSO UN FUTURO SOSTENIBILE tag legalità / imprenditoria sociale / giovani / riscatto / economia sana

Il sapore della legalità, del riscatto, della libertà. È questo lo spirito che anima il progetto Libera Terra, modello d’eccellenza di imprenditoria etico-sociale nel nostro Paese, nato a seguito dell’approvazione della Legge di iniziativa popolare 109/96 sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai boss della mafia. La richiesta di reimpiego delle terre confiscate arrivò da una grande mobilitazione promossa da Libera, l’associazione fondata nel 1995 da Don Luigi Ciotti – oggi, come noto, Presidente – con l’intento di sollecitare la società nella lotta alle mafie e diffondere legalità e giustizia. Promuovendo un ruolo della società civile che affiancava la necessaria opera di repressione propria dello Stato e delle forze dell’ordine con attività e progetti mirati alla prevenzione culturale. “Usare i terreni confiscati significava, da quel momento in poi, affermare la presenza sul territorio dello Stato, che reprimeva e confiscava, ma dello Stato inteso nella sua interezza, perché anche la gente doveva sentirsi padrona di quei beni utilizzandoli per dare vita a una società più giusta” sottolinea Francesco Galante, responsabile comunicazione di Libera Terra Mediterraneo, soggetto

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imprenditoriale partecipato dalle cooperative di Libera Terra nato nel 2008. Quei terreni generano oggi prodotti alimentari unici, nel rispetto delle tipicità e tradizioni del territorio, frutto del lavoro di giovani che si sono riuniti nelle cooperative sociali che fanno capo a Libera Terra e che coltivano gli ettari confiscati alla mafia. Terreni che sono stati restituiti alla collettività e che sono tornati a essere produttivi, fino a diventare fulcro di un circuito economico sano e virtuoso, anche grazie alla partecipazione degli agricoltori biologici del territorio che condividono lo stesso progetto di riscatto. Quello di Libera Terra è un progetto che, per sua stessa natura, ha dovuto affrontare ostacoli sia in termini burocratici che socioculturali. Le terre confiscate alla mafia sono di proprietà dei comuni in cui ricadono, e sono assegnate mediante contratto di comodato d’uso gratuito alle cooperative sociali che le coltivano e le rendono produttive. “È chiaro che, avendo a che fare con uno strumento normativo nuovo, abbiamo annoverato tutte le esperienze possibili: dall’impreparazione delle amministrazioni allo sviluppo poi di partnership e piattaforme amministrative tali da permettere il riuso dei beni confiscati in maniera anche estremamente

Francesco Galante, responsabile comunicazione di Libera Terra Mediterraneo

Abst Il modello di imprenditoria sociale libera terra: la rivincita sulle mafie per costruire un circuito socioeconomico sano e virtuoso


Workshop Opinion Leader

veloce” continua Galante. “Nel Corleonese siamo arrivati ad avere l’assegnazione di un bene 28 giorni dopo il passaggio nelle mani dell’Amministrazione: è un tempo record, ma è un tempo che dimostra quanto veloce è possibile andare quando si hanno idee e pratiche chiare. Sta a tutta l’Italia guardare alle esperienze che hanno funzionato – parlo delle amministrazioni provinciali, regionali e comunali del Paese che si trovano a gestire un bene confiscato – e capire che altrove il problema è stato affrontato e risolto”. Anche l’impatto socio-culturale ha generato situazioni diverse, come ad esempio l’esperienza di totale isolamento vissuta a Corleone nel 2002 nell’impossibilità di avere mezzi e persone per la prima trebbiatura. “Esperienze che abbiamo visto ripetersi altrove anni dopo, quel senso di tabù, di ‘non avvicinabile’ che spesso i territori mafiosi hanno nei confronti della nuova realtà che si prende cura per prima dei beni confiscati. Ma è qualcosa che riteniamo normale, qualcosa già messo a preventivo in un progetto di questo tipo. Ogni territorio ha avuto la sua storia e i suoi accadimenti, comunque superati”. Da allora, il progetto Libera Terra ha affermato un metodo di lavoro che coinvolge i soggetti sani del territorio facendo dei beni confiscati una risorsa per lo sviluppo dell’intero circuito socio-economico che comprende gli agricoltori e altri settori produttivi attraverso accordi di produzione e strutture artigianali per la trasformazione dei prodotti. Perché confiscare le terre significa anche creare le condizioni per trattenere quanta più ricchezza possibile sul territorio e

offrire così maggiori opportunità di occupazione. L’impatto in termini economicooccupazionali è ancora in divenire “ma già molto promettente” spiega Galante. “La sola nascita del consorzio Libera Terra Mediterraneo, che raggruppa tutte le cooperative e offre servizi, ha permesso di cominciare a calcolare in maniera omogenea il prodotto e il risultato economico di queste cooperative. Parliamo di un bilancio 2010 che sfiora i quattro milioni di euro per Libera Terra Mediterraneo, oltre a quello delle singole cooperative che si vedono retribuite in maniera giusta lavoro e materie prime. E questo a tutto vantaggio del territorio, sia in termini di ricchezza creata e diffusa, sia in termini di occupazione: parliamo di circa cento persone che aprono le diverse cooperative in quattro regioni d’Italia”. Un impatto occupazionale che investe principalmente i giovani, in prima linea anche nell’accogliere il valore etico-sociale del messaggio trasmesso da Libera Terra. “Dai giovani abbiamo avuto le più importanti risposte. Sono quelli che non hanno mai approcciato questa opportunità come un qualcosa destinato a soccombere, proprio perché i giovani di 25-30 anni appartengono alla generazione che ha visto la mafia ‘superata’, non

più come qualcosa di desiderabile né come carriera né come mito di potere, e che quindi cominciano a opporsi e trovano normale fare qualcosa che sia l’esatto opposto, ovvero un’economia sana e giusta. Vediamo questa tendenza nelle domande di lavoro che ci arrivano da parte di professionisti, di chi ha fatto percorsi di studi anche eccellenti; la vediamo tra coloro che non hanno trovato nulla di sbagliato nell’approcciare un lavoro agricolo”. Il forte impegno insito nel progetto Libera Terra si traduce nella condivisione di uno spirito di legalità, riscatto e libertà che anima persone e attività. “C’è un fortissimo presupposto sociale – non può essere sottovalutato – percepito da chi ci guarda dall’esterno e vissuto da noi” spiega Francesco Galante. “Non puoi fare questo lavoro se non hai un’aspirazione, un proposito che sia totalmente aderente alla nostra mission. Quindi, fare qualcosa per il bene comune, fare qualcosa per la mutualità e per la costruzione di una società più giusta, più equa. Difficile pensare di arricchirsi approcciando un progetto simile, ma la crescita professionale e la crescita motivazionale sono sicuramente ciò che prima di tutto muove chi lavora con noi”.

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Workshop Opinion Leader

L’adesione ai valori etico-sociali del progetto è dunque già presente in chi entra a far parte delle cooperative, ma a Libera Terra conoscono bene l’importanza del coinvolgimento delle persone, aspetto determinante per il successo dell’attività, e non smettono di alimentarlo. “Lo facciamo attraverso i nostri percorsi interni di formazione che riguardano soprattutto il vivere in cooperativa, il vivere l’ambiente imprenditoriale cooperativo e anche la simbiosi con il movimento e la rete di associazioni che è Libera. E questo significa mai trascurare la comunicazione, in tutti i suoi aspetti, del senso complessivo di quello che stiamo facendo, anche per saperlo raccontare all’esterno. Anche questo è parte del progetto di Libera Terra”.

proprio diritto di lavoratore in toto, e si responsabilizza”. E continua: “Le aziende arrivano a diversi stadi di maturità. Nelle varie fasi della vita di un’impresa può essere diverso il modo di accogliere il giovane inesperto e il giovane preparato, e di permettere una crescita e dirigerlo a responsabilità sempre maggiori. In Libera Terra tutto parte da una forte motivazione e da un percorso che sia pertinente a una figura aziendale, poi possono avvenire diversi sviluppi in un ambiente di lavoro vivace. E questo è il caso di Libera Terra”. Per il 2011-2012 sono in corso progetti per tre nuove cooperative su terreni confiscati a Trapani, Agrigento e Capo Rizzuto in provincia di Crotone, quest’ultimo con bando già uscito per la selezione dei soci della cooperativa.

“Ciò naturalmente non vuol dire raggruppare delle persone, affidargli dei beni e augurargli buona fortuna, ma significa supportare i soci in tutta la parte della formazione d’azienda e delle figure professionali”. Uno sguardo al futuro. Sostenibile. Cosa c’è nel domani più ambizioso di Libera Terra? “Il grande sogno di un numero enorme di esperienze e realtà, anche non necessariamente cooperative, che utilizzino i terreni confiscati con grande ascolto nei confronti del territorio e nei confronti delle esigenze economiche delle comunità, e che in maniera giusta diano un senso alla riutilizzazione di questi beni che sono un valore enorme e possono diventare qualcosa di ancora più ricco nel dare vita a un’economia sana e un consumo consapevole”.

Le cooperative di Libera Terra sono di tipo b, ovvero utilizzano le proprie attività produttive per effettuare inserimenti lavorativi di ragazze e ragazzi con vario tipo di svantaggio. E l’approccio umano, ancor più in questo caso, acquista particolare importanza. “L’approccio umano è irrinunciabile” sottolinea Galante. “Può arrivare più tardi in termini di tempo, ed è anche bene che sia così, perché chi approccia la cooperativa può farlo sulla base di motivazioni economiche o personali. Ma poi la leva del guadagno pulito responsabilizza chi è al primo contratto di lavoro. Chi viene da anni di lavoro nero e di sfruttamento capisce dove si trova una volta che vede riconosciuto il

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www.liberaterra.it


hr talent

Marco Donati

CALZONI, IL PIONERISMO DELL’INDUSTRIA ITALIANA tag eccellenza / competitività / teamworking / engagement / valore

nel campo della meccanica, oleodinamica, automazione e ottica. Un ambiente professionale in cui tutti sono chiamati ad esprimere il proprio contributo teso al miglioramento continuo di prodotti e processi, e dove giovani ambiziosi possono realizzare le loro aspettative di crescita.

Angela Corsi, HR Manager di Calzoni Srl

Abst “Il nostro obiettivo è che ciascuno senta gli obiettivi dell’azienda come i propri obiettivi ai quali contribuire con il lavoro di ogni giorno”

Inizia a Bologna nel lontano 1834 la storia della Calzoni che nasce come officina meccanica per macchine agricole, grazie al suo fondatore Alessandro Calzoni. Da allora molta strada è stata percorsa, una strada che nel corso degli anni ha portato l’eccellenza italiana oltreoceano e in tutto il mondo. Impresa storica dello scenario industriale bolognese, Calzoni è oggi leader mondiale nel campo dei sistemi di movimentazione navale. Una realtà da sempre vitale e in continua crescita, luogo di lavoro dinamico e stimolante, dove trovano applicazione le più avanzate competenze tecniche di progettazione e produzione

“Una lunga storia quella della Calzoni che appartiene al pionierismo dell’industria italiana, un’azienda a proprietà e gestione famigliare con prodotti che hanno seguito le varie fasi dello sviluppo e delle applicazioni della meccanica e della oleodinamica” racconta in una lunga intervista Angela Corsi, HR Manager della storica realtà, che dal 2000 ha trasferito la sua sede a Calderara di Reno. “L’azienda è diventata nel 2000 di proprietà di una multinazionale americana, ha due sedi in Italia e una negli Stati Uniti ed opera oggi in tutto il mondo, focalizzata su due linee di prodotto: sistemi di movimentazione e sistemi luminosi di ausilio all’atterraggio, prevalentemente dedicati al mercato navale. Per effetto dell’acquisizione da parte del gruppo americano è sorta l’esigenza di reinventare

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hr talent

e ripensare una nuova trama di lavoro adattando/ridisegnando l’organizzazione aziendale al nuovo approccio basato sulla teoria della lean production che ha previsto l’applicazione di molteplici soluzioni innovative sia di processo che organizzative per affrontare al meglio le sfide della competitività”. Il livello di competitività della Calzoni è principalmente determinato da un elevato know how tecnico e dalla capacità di generare innovazione continua. Quali sono i percorsi formativi che prevedete e in quali ambiti impattano? L’azienda opera su un mercato internazionale con oltre il 75% della propria produzione dedicata all’estero. Sviluppa produzioni essenzialmente a commessa, per cui il settore ricerca e sviluppo e ingegneria in generale è di particolare rilevo con oltre il 30% del personale che opera in tale ambito; oltre un terzo dei nostri dipendenti è laureato. La ricerca del personale si focalizza su alcuni elementi di base che si considerano indispensabili quali la conoscenza dei sistemi informativi, buona conoscenza della lingua inglese, interessante curriculum di formazione scolastica ed esperienze lavorative. L’inserimento prevede comunque, oltre a un

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processo di on-boarding per un primo contatto con le procedure aziendali, l’assegnazione del nuovo arrivato a un coach che lo supporti nel primo periodo di lavoro. All’interno del percorso di inserimento, tipicamente ci sono poi coinvolgimenti a iniziative in team per il miglioramento continuo applicate anche ad aree che non sono quelle specifiche di attività del nuovo inserito. È necessario tenere l’acceleratore spinto sul cambiamento, sulla perenne tensione verso il miglioramento, e lavoriamo affinché ci sia l’accettazione di una situazione dinamica sia dal punto di vista organizzativo che dei ruoli. Allo sviluppo di hard skill – fondamentali per la tipologia di prodotti della vostra azienda – corrisponde anche l’attenzione a soft skill, dal teamworking alla leadership? La società è strutturata in modo fortemente orizzontale con team di lavoro finalizzati a un singolo progetto e, per contro, con funzioni gerarchiche verticali molto snelle. In questo senso la capacità di lavorare in gruppo è un aspetto essenziale ed è uno degli elementi chiave che vengono utilizzati nella valutazione delle performance delle persone. Per quanti poi presentano caratteristiche di spicco che ne evidenziano il potenziale di carriera al di là del ruolo ricoperto, si avviano dei processi strutturati di formazione.

Formazione e specializzazione: quanto crede Calzoni nel valore aggiunto della “qualità” delle risorse umane e quanto investe in tal senso? Vi sono processi consolidati di gestione delle Risorse Umane con una sessione annuale formalizzata di feedback sull’anno trascorso e di definizione di obiettivi e di piani di formazione per l’anno seguente. Inoltre ogni anno si svolge un referendum per cogliere elementi positivi e negativi così come percepiti dal personale. Oltre alla formazione classica, come citavo sopra, si è posta molta attenzione al coinvolgimento periodico in iniziative di miglioramento e non è improbabile vedere un addetto all’ingegneria collaborare con un operatore a una macchina utensile per studiare un più efficace metodo di attrezzaggio della macchina stessa, o essere inserito in un gruppo di miglioramento di processi gestionali o amministrativi. Motivazione e coinvolgimento, elementi imprescindibili per ottenere performance di livello. Quali le strategie HR impiegate in Calzoni per mantenerli sempre alti? In azienda si svolge una politica di totale condivisione di tutti i dati, vengono svolte informazioni periodiche a tutto il personale sugli andamenti aziendali e lo stesso sistema premiante cerca di legare in maniera consistente obiettivi generali aziendali al contributo che ognuno può portare nel ruolo in cui svolge. Il nostro obiettivo è che ciascuno senta gli obiettivi dell’azienda come i propri obiettivi ai quali contribuire con il lavoro di ogni giorno.


hr talent

pensiero diverso. Quando incontriamo una persona che ha queste caratteristiche, anche in assenza di esigenze specifiche, spesso la inseriamo nell’organico come investimento perché siamo certi che, o all’interno della nostra società o all’interno del Gruppo, creeremo con questa un valore.

Vale la pena citare il nostro intervento per evitare che il classico Premio di Risultato previsto dalla contrattazione di secondo livello fosse uno strumento burocratico poco legato ai dati importanti per l’azienda: i parametri che definiscono questo premio sono sostanzialmente il risultato economico e la crescita, ovvero gli stessi parametri dei quali risponde il Presidente della società agli azionisti. In generale il sistema premiante è costituito dalla combinazione di due fattori, uno legato ai risultati aziendali e il secondo al raggiungimento di obiettivi individuali. Riconoscere il Talento, saper stimolare il potenziale dei propri collaboratori: i manager – oggi più che mai, di fronte alla crescente carenza di talenti – sono investiti anche di questo importante impegno.

OP Team coaching.Come portare la propria squadra all’eccellenza D. Clutterbuck Alessio Roberti Editore, 2009

Il riconoscimento del talento è una focalizzazione costante e vi è uno stimolo in questo senso anche da parte del Gruppo di appartenenza, non solo per coprire esigenze di successione ed espansione della singola società ma anche per indicare figure che possono coprire ruoli di spicco all’interno di altre società del Gruppo. Per le persone che vengono indicate come talenti vi è un iter speciale di sviluppo che prevede l’individuazione di possibili percorsi di carriera con una finestra di uno a tre anni o a cinque anni, e con un’attenzione a colmare attraverso la formazione i gap di conoscenza legati a possibili nuovi incarichi. In generale possiamo dire che c’è un particolare impegno a riallocare le risorse, abbiamo infatti avuto tanti esempi di persone che, cambiando ruolo, a tutti i livelli hanno trovato un loro elemento di soddisfazione, con risultato positivo sia per l’azienda che per le persone stesse. Cosa cerca Calzoni nelle persone che entrano a far parte del proprio organico? Dinamicità, energia, propositività,

La fuga dei Talenti dall’Italia è una delle soluzioni che alcuni scelgono per sfuggire a una disoccupazione giovanile che nel nostro Paese tende ormai verso il tasso del 30%. Cosa possono fare – aziende e istituzioni – per trattenere questo potenziale nei nostri confini? Il problema esiste, e non è certo l’aspetto salario che convince una persona dinamica a rimanere in Italia. Tipicamente, quanto più una persona è talentuosa, tanto più è aperta a esperienze internazionali. E anche nel nostro Gruppo vediamo quanti nomi italiani troviamo in società dislocate in altri paesi. Troppo spesso rileviamo che gli investimenti delle multinazionali tendono oggi a privilegiare paesi diversi dall’Italia, concentrandosi nelle aree emergenti, e questo ha impatto sulle opportunità che giovani talentuosi e desiderosi di crescere in responsabilità e carriera possono trovare nel nostro Paese. Abbiamo comunque anche buoni esempi di talenti che siamo riusciti a trattenere e motivare disegnando assieme un percorso di carriera e di soddisfazione.

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tag comunicazione / trasparenza / lavoro / legalità / coscienza

LA COMUNICAZIONE FINANZIARIA Come dialogare e convincere il mercato Francesco Guidara

biamo dedicato intere biblioteche allo studio delle aziende, ntinuiamo ad analizzarle da decenni e continuiamo a mprendere pochissimo del loro comportamento reale, disporsi di esse come popolazioni organizzative nei mercati ui mercati, sino a crearli, i mercati, e a dominarli, oppure sserne vittime. La comunicazione volontaria è una nifestazione distintiva della cultura d’impresa che a quintessenza della cultura del gruppo dirigente. uesto libro è, nel suo campo, un lavoro pionieristico, il cui ore va al di là degli studi sulla comunicazione dell’impresa ell’impresa. Lo colloco nel novero di quei testi che possono tarci a comprendere il funzionamento dell’impresa moderna”.

Francesco Guidara

LA COMUNICAZIONE FINANZIARIA Come dialogare e convincere il mercato

Giulio Sapelli economista e storico dell’economia

Flavio Cattaneo amministratore delegato Terna SpA

LA COMUNICAZIONE FINANZIARIA

comunicazione finanziaria si declina secondo un principio mplice: mettersi in gioco. mettersi in gioco che va al di là e oltre gli obblighi di legge. n basta saper fare, occorre anche far sapere. Dal 2006 ad oggi biamo percorso 300.000 chilometri, cinque volte la lunghezza la nostra rete elettrica, andando a trovare gli investitori ettamente a casa loro”.

00,00

letture ascolti visioni

prefazione di

Giulio Sapelli postfazione di

Flavio Cattaneo

Saper comunicare, saper dialogare con gli analisti e i media, scegliere la trasparenza informativa. Per le aziende italiane il percorso è obbligato, in un mercato dove i capitali sono globali e sempre più difficili da intercettare. Eppure la buona comunicazione su base volontaria a Piazza Affari continua a rimanere un’eccezione. Oggi la priorità per qualunque azienda è quella di instaurare un rapporto profondo e diretto con tutti gli stakeholders: dipendenti, fornitori, regolatori, azionisti, clienti, concorrenti. Non c’è spazio per zone d’ombre, piccole e grandi reticenze, per comunicatori d’azienda evasivi e manager che si limitano al “no comment” nella buona come nella cattiva sorte. Chi ha

LA COMUNICAZIONE FINANZIARIA

Saper comunicare, saper dialogare con gli analisti e i media, scegliere la trasparenza informativa. In un mercato dove i capitali sono globali e sempre più difficili da intercettare per le aziende italiane il percorso è obbligato. Ed è quello di instaurare un rapporto profondo e diretto con tutti gli stakeholders: dipendenti, fornitori, regolatori, azionisti, clienti, concorrenti. Non c’è spazio per zone d’ombre, per piccole e grandi reticenze, per comunicatori d’azienda evasivi e manager che si limitano al “no comment” nella buona come – soprattutto – nella cattiva sorte. Chi ha paura di parlare rischia di essere frainteso o, peggio, ignorato. Per questo qualunque amministratore delegato oggi deve far conoscere e raccontare il proprio business. Utilizzando senza indugi (ma anche senza eccessi) la comunicazione su base volontaria, leva spesso ignorata dalle società italiane e che può fare tuttavia la differenza nei momenti più complessi. Il volume, scritto con gli occhi di un giornalista finanziario che ogni giorno si confronta con decine di realtà quotate e non, mostra come la scelta consapevole e determinata della trasparenza informativa sia l’unica opzione vincente. Una tesi sostenuta attraverso una serie di esperienze, di testimonianze, di casi reali e di riflessioni teoriche (in particolare americane). L’autore esamina anche l’impatto sui modelli comunicativi delle più recenti normative, a cominciare dalla direttiva sul Market Abuse, che hanno imposto a tutti i soggetti di alzare l’asticella della comunicazione e della permeabilità alla critica dei gruppi quotati. Il compito più importante – dinanzi ad un mercato che chiede sempre migliori informazioni prospettiche - è così nelle mani di chi, all’interno della propria funzione, è chiamato a gestire la comunicazione finanziaria: gli Investor Relator, gli analisti e i media finanziari. Dal loro lavoro e dalla loro capacità di smussare, giorno dopo giorno, ogni asimmetria informativa dipende l’efficienza e la regolarità degli scambi. La miglior garanzia per chi cerca capitale di rischio, per chi investe i propri risparmi, per chi crede nel libero mercato.

www.egeaonline.it

autore: Francesco Guidara pagine: 225 casa editrice: Egea anno: 2011 lingua: italiano

paura di parlare rischia di essere frainteso o, peggio, ignorato. Per questo qualunque amministratore delegato deve far conoscere e raccontare il proprio business. Utilizzando senza indugi (ma anche senza eccessi) la comunicazione su base volontaria. Francesco Guidara, 38 anni, è caporedattore centrale e Business Developer di Class Cnbc, leader in Italia dell’informazione economica televisiva. Ha lavorato a Mediaset e si è specializzato presso la SDA Bocconi. È coordinatore e docente del corso di perfezionamento in giornalismo finanziario dell’Università Statale di Milano. Questo è il suo primo libro.

MAFIE IN PENTOLA Libera Terra, il sapore di una sfida

Spettacolo di teatro civile-gastronomico scritto da: Andrea Guolo interpretato da: Tiziana Di Masi anno: 2011 lingua: italiano

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“La mafia noi cerchiamo di metterla in pentola e di chiuderlo quel coperchio per gustarci solo il bello della vita”. Lo spettacolo di teatro civile-gastronomico Mafie in Pentola, interpretato da Tiziana Di Masi, racconta la storia di una “bella economia” i cui cardini si chiamano agricoltura biologica, qualità, lavoro e rispetto delle leggi. Scritto dal giornalista Andrea Guolo, è tratto da un viaggio all’interno delle cooperative create da Libera in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania. Milioni di ettari di terreni del Sud hanno assistito a secoli di violenza, sfruttamento, illegalità, omicidi. Ora quelle stesse terre, liberate dalla mafia con lo strumento della confisca previsto dalla legge 109/1996, offrono al mercato alcuni gioielli enogastronomici del nostro Paese. Mafie in Pentola è uno spettacolo sul gusto e su alcune tra le

eccellenze del nostro settore agroalimentare. Con un’interpretazione capace di sfumare dal drammatico al brillante – attraverso il coinvolgimento del pubblico chiamato sul palco ad assaggiare i prodotti – non “chiude” lo stomaco dello spettatore bensì stimola la sua “fame” di legalità e di cose buone. Per raccontare questa storia è stato scelto il cibo, le numerose prelibatezze gastronomiche che su queste terre nascono, da Sud a Nord, che si intrecciano in un crescendo di sapori ed emozioni con le parole di chi quei prodotti li ha seminati, coltivati e portati nelle nostre tavole, un intreccio gustoso ed esilarante che riempie di sapore coscienze e stomaci. Infoline: 338 2712616 mafieinpentola@gmail.com www.tizianadimasi.it

a cura della redazione


post fazione

Roger Abravanel

Indietro di 50 anni tag meritocrazia / regole / pari opportunità / mobilità sociale

Roger Abravanel Director Emeritus McKinsey e saggista

Abst Meritocrazia e libertà economica basata su regole: i due valori chiave che possono innescare il cambiamento

Nel novecento le società più avanzate hanno vissuto una grande rivoluzione sociale, culminata in una grande ricerca di eguaglianza, ed economica: il passaggio da una società “industriale” a una “post-industriale”, nella quale contavano sempre meno gli operai, e sempre più i lavoratori con competenze avanzate (professionisti, manager, tecnici). Creare idee era divenuto più importante che creare prodotti. Avevano sempre più peso i servizi e le grandi imprese che assumevano la maggioranza dei laureati. Ed è cambiata la natura del capitalismo, da famigliare basato sulla ereditarietà a capitalismo e ricchezza basati sull’education e sul lavoro. Anche la scuola si è trasformata: i sistemi educativi non hanno più il compito di formare lavoratori per il modello fordista-manufatturiero, ma giovani con le giuste “competenze della vita” per l’economia post-industriale: ovvero la capacità di individuare, analizzare e risolvere i problemi, di lavorare con persone diverse, di dibattere e comunicare. Nel Sud Europa si è seguito un percorso diverso che ha preso forme più radicali in Italia, paese in cui la ricerca di eguaglianza ha preso la forma della ricerca di “eguaglianza di risultati” invece che delle “pari opportunità”. L’antiliberismo economico ispirava la politica, e il capitalismo di stampo anglosassone veniva ritenuto incompatibile con la ricerca dell’eguaglianza sociale. La ricerca della pace sociale ha portato a un’alleanza di ferro Confindustria-Stato-sindacati che in cambio ha richiesto la protezione delle imprese. La scuola e l’università hanno seguito un percorso coerente, dovendo garantire il “diritto allo studio” e tarando quindi la didattica sugli studenti meno dotati e con maggiori difficoltà. Al termine “meritocrazia”, coniato nel 1954 da Michael Young, un socialista britannico, si è associato un’ideologia poco sensibile al sociale. L’utopia di questo paradigma è finita con la globalizzazione, che ha messo a nudo la poca competitività delle troppo piccole imprese industriali italiane, e con l’ingresso nell’euro, che non ha più consentito allo Stato di svalutare la lira per aiutare le imprese a esportare e di spendere per creare lavoro . Questo paradigma lascia oggi gli italiani con la società più ineguale del mondo occidentale perchè il gap tra ricchi e poveri è a livello del mondo anglosassone, ma la mobilità sociale è molto inferiore: i poveri non hanno le opportunità di diventare più ricchi. Il capitalismo famigliare italiano è restato quello dell’inizio del secolo scorso: basato sulla ereditarietà e non sull’education. Mancando le grandi imprese, la domanda di laureati non si è sviluppata come nelle società post-industriali.

OP Meritocrazia Roger Abravanel Garzanti, 2008

Siamo in ritardo di 50 anni per trasformarci in una società post-industriale che oggi vede il talento delle persone che ci lavorano come il valore principale. Per abbattere questo gap, è necessario far nascere i due valori chiave: meritocrazia e libertà economica basata su regole giuste rispettate da tutti.

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2011



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