Editore: Il Sole 24 ORE Business Media S.r.l. – Sede operativa: Via Granarolo 175/3 - 48018 FAENZA RA - Tel. + 39 0546 63781 - Fax +39 0546 660440 – info.faenza@businessmedia24.com - www.faenza.com - ISSN 1123-816X - € 4,00 - La Ceramica Moderna & Antica n. 273 - Luglio/Settembre 2009 - Trimestrale - Anno XXX - n. 7/9.
3 an 0 ni
Ceramica meno quaranta
La 56esima edizione del Premio Faenza
6 artisti
À la recherche du Wood perdu Jean Blanchaert
9 Peter Fischli & David Weiss Tiziano Dalpozzo
11 Sulla pittura di Franco Battiato Elisa Gradi
13 design
Design/Miami Basel 2009 a cura della redazione
15 Linde Burkhardt: dentro e oltre la ceramica Franco Bertoni
17 missive
Linde Burkhardt
39 urbana Scultura nella città, Progetti per Milano Antonella Ravagli
41 mostre Parlare con Dio Skin: artisti per la pelle 42 Second Lucia Zanca
43 fotografia Mapplethorpe: un fotografo di altri tempi Antonella Ravagli
– oltre la fotografia 46 Oppure di moda
47 dischilibri Mulatu Astatke & The Heliocentrics Giovanni Bolognini
curiosità 48 antiche ceramiche
Cinderella make-up
Un nuovo ritrovamento di maioliche rinascimentali a Cesena
Elisa Facchin
Denis Capellini
21 industria
Pareti d’Autore
22 eventi
Petra Weiss: perduranti echi della classicità Franco Bertoni
24 I Luoghi della Materia 25 Brocche d’autore 2009 Ettore Sannipoli
26 La coppa di Albisola 27 le Città della Ceramica Italiana Piemonte
Piemonte ceramico: ritorno alle origini Barbara Franco
31 Sardegna
Il tornio di Via Figoli: Oristano città della Ceramica Sandro Pisu
33 Assemini: ceramica di padre in figlio Gianfranco Scalas
34 Sicilia
La maiolica di Burgio Vito Ferrantelli
35 La ceramica di Caltagirone Domenico Amoroso
S. Stefano di Camastra: una storia ceramica Sara Perez
altreartiapplicate 50 a.a.a. Also known as jewellery, detti anche gioielli a cura della redazione
52 ceramicateatrodanza Omaggio a Rodin e Matisse: l’Inferno e l’Anfora Valentina Pinza
difficili, non 54 Relazioni impossibili Anna Babini
58 abstract 59 notizie Editore: Il Sole 24 ORE Business Media S.r.l. – Sede operativa: Via Granarolo 175/3 - 48018 FAENZA RA - Tel. + 39 0546 63781 - Fax +39 0546 660440 – info.faenza@businessmedia24.com - www.faenza.com - ISSN 1123-816X - € 4,00 - La Ceramica Moderna & Antica n. 272 - Aprile/Giugno 2009 - Trimestrale - Anno XXX - n. 4/6.
18 musei
36
di Sciacca 38 Ceramica Salvatore Sabella
30
anni
stamattina pretende con un uncino ricurvo amaro di metallo arpiona dal cervello al cuore ferendo perfino l’involucro viola delle viscere
In copertina:
Stefania Pennacchio, In Fibula, 2009, ceramica, ferro, diametro cm 40 e poesia.
sommario
3 editorale 4 concorsi
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editoriale Elisabetta Bovina
La recente edizione dello scorso aprile del Salone del Mobile di Milano ne ha confermato la valenza come evento di carattere internazionale. Per una settimana la città si è trasformata, ospitando mostre, incontri, installazioni non solo all’interno dei padiglioni della fiera ma anche in città, nelle gallerie, e in tutti quegli spazi che bene si prestavano alla presentazione di un mobile piuttosto che una lampada, un tavolo, una nuova collezione. Il design è un settore che, nonostante la crisi, nel 2008 ha fatturato 37,53 miliardi di euro (-5,6% rispetto all’anno precedente). È il fatturato di un’eccellenza italiana che pensa, disegna, prototipa, progetta, realizza così come disegna, prototipa, cuce, ricama e stira l’eccellenza italiana che veste, la moda, che nel 2008 ha fatturato 52 miliardi di euro. Il design e la moda italiani hanno cambiato il mondo: i modi di vivere, le relazioni sociali, l’arte, il cinema; hanno solcato profondamente il tessuto sociale giustificando anche un fenomeno di massa come IKEA. Abbiamo cambiato modo di sederci, di dormire, di camminare, di indossare, di guardare l’ora, di mangiare: in quest’ultimo caso, dopo la grande abbuffata di fast food e take-away qualcuno (Slow Food), in maniera intelligente e programmata, sta recuperando le italiche radici enogastronomiche, quelle che, dalle Alpi all’Etna, possono declinare la voce PANE in qualche migliaio di modi. Arredo, moda, cibo: secondo la teoria degli insiemi, si possono intersecare fra loro, con corrispondenza biunivoca. Possibile che la ceramica – Richard Ginori e qualche altro caso di firme del design a parte – non possa essere il quarto insieme intersecato? Nessuno si domanda come mai chi compra Zanotta, Kartell, Flos, Gucci, Prada e Cartier non acquisti l’oggetto ceramico fatto ad arte. Forse oggi l’artigianato è diventato fenomeno da baraccone, gadget da turista di passaggio? La ceramica è rimasta arte minore e minorata e la causa non dipende dall’utente finale, il compratore, ma rimanda all’artigiano, al ceramista, all’artiere. Chiediamoci perché e chiediamoci se la produzione artigiana di oggi è nostra contemporanea; chiediamoci dov’è il senso di una produzione di decine di pezzi quando tutti cercano l’oggetto esclusivo, la tiratura limitata, la piccola serie, visto che per i grossi numeri la Cina non ha concorrenti. Chiediamoci se è contemporaneo continuare a copiare meccanicamente (e non a rieditare, che è ben diverso) forme e decorazioni del passato. La ceramica artistica è l’unico settore che vive nel/del passato, perché? Non c’è nulla di interessante da raccontare oggi? Chiediamoci per quanto tempo ancora, se l’andamento è questo, la Tradizione di Mestiere potrà sopravvivere e con essa la Storia della Ceramica italiana, se non viene vivificata dalla contemporaneità; e chiediamoci anche cosa raccontare – una volta insegnate la teoria, la pratica, la storia, la tradizione – alla nuova generazione di ceramisti che oggi peraltro è inconsistente. Cercare un’adeguata e realistica risposta a queste domande può essere una strada per il cambiamento. La foto di questa pagina merita una riflessione: Keith Haring era figlio del suo tempo, gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, era un “imbrattatore” di muri e vagoni del metro newyorke-
se, un bad boy malato d’arte, oggi uno dei più conosciuti e importanti artisti contemporanei. Oltre che su pietre, muri, lamiere e carta Keith Haring ha imbrattato con l’inchiostro anche la ceramica e non un coccio a caso, ma la ceramica per antonomasia, il Vaso. È lecito gridare allo scandalo(?).
Keith Haring & LA 2, Untitled (June 3), 1984, inchiostro su terracotta, altezza 91,5 cm, Ø 45,7 cm.
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concorsi
Andrea Salvatori, Waiting on the moon, “Premio Faenza” ex-aequo, semirefrattario, porcellana - cm 60 x 60 x 62.
Tomonari Kato “Premio Faenza” ex-aequo, Topological formation, terraglia - cm 120 x 100 x 50.
Ceramica meno quaranta
Le nuove ricerche della ceramica contemporanea alla 56° edizione del Premio Faenza
Lo scorso giugno sono state inaugurate al MIC di Faenza le manifestazioni sulla ceramica contemporanea. Evento di punta l’esposizione delle opere selezionate per il Concorso Internazionale. La Giuria – composta da Jadranka Bentini (direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza), Franco Bertoni (esperto delle Collezioni moderne e contemporanee del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza), David Cameo (direttore della Manifattura Nazionale di Sèvres), Luigi Ontani (artista), Matteo Zauli (direttore del Museo Zauli, Faenza) – ha proceduto all’assegnazione dei Premi: Premio Faenza di € 26.000,00 offerto dalla Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio Faenza ex aequo a: Tomonari Kato (Giappone) e Andrea Salvatori (Italia). Premio acquisto di € 10.000,00 offerto da Confindustria Ceramica a Mariko Wada (Giappone). Premio Monica Biserni di € 1.000,00 a Caterine Coez (Francia). Premi d’onore a Min – Soo Lee (Corea), Antoinet Deurloo (Olanda), Husuan-Yu Shih (Taiwan). Premiati anche: Kazumasu Futamura (Giappone), Junko Shimomura (Giappone), Alessandro Neretti (Italia), Yoshinori Akazawa (Giappone), Kate Haywood (Gran Bretagna). Menzione di merito a Barnaby Barford (Gran Bretagna). La Giuria ha poi valutato le opere presentate dagli allievi degli Istituti d’Arte italiani per il VII Concorso “Arte della ceramica” a tema “Versatore senza manico altezza mas-
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sima di cm. 30”, ammettendo all’unanimità n. 109 opere provenienti da 18 Istituti scolastici ed assegnando i premi all’Istituto d’Arte-Liceo Artistico “F. Arcangeli” di Bologna; all’Istituto d’Arte “F.A. Grue” di Castelli (TE); all’Istituto Statale d’Arte di Gargnano (BS); all’Istituto Statale d’Arte “A. Corradini” di Este (PD). Franco Bertoni, Esperto delle Collezioni Moderne e Contemporanee del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza – Fondazione, scrive in catalogo: “Per la seconda volta, negli anni Duemila, il Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea di Faenza è dedicato ai giovani artisti under 40. A motivare questa scelta hanno concorso diverse considerazioni. La principale consiste nella volontà di favorire, con l’assegnazione del Premio Faenza e con la visibilità espositiva in un importante e riconosciuto contesto, i nuovi attori di una scena in continua mutazione e sempre più complessa. Cadute le ormai desuete e anacronistiche opposizioni tra gli artisti della ceramica e gli artisti con la ceramica, questo mezzo espressivo ha conquistato una parità con altre forme di espressione ed è divenuto di privilegiato e allargato interesse, dalla scultura al design. In campo più propriamente artistico, la ceramica ha dato segni di nuova vitalità sia per opera di affermati artisti sia per le sperimentazioni di nuove leve creative che in questo materiale hanno intravisto una
Barnaby Barford, Damaged goods Menzione di Merito, video.
Paolo Polloniato, Vasca con putto, Modello originale del 1800, Manifattura Antonibon, ora Barettoni, Nove (VI), terraglia bianca con decoro sotto cristallina, cm 39x55x27.
duttilità e un potenziale espressivo, per materie e colori, particolarmente capace di interpretare i sogni e i dubbi della contemporaneità: tra ostentazioni di iperboli esecutive e concettuali e connessa, intima fragilità. È, davvero, il momento della ceramica. È il momento di un materiale in arte per tanto tempo negletto ma che ora sta riscoprendo una fortuna certamente legata a tempi parimenti fluidi e multiformi. È la fiducia riposta nelle nuove proposte che questa edizione del Concorso intende confermare e ulteriormente promuovere. Con la consapevolezza, inoltre, di un necessario ruolo agente e non puramente contabile del Premio Faenza. Una scelta. Una scelta certamente non indolore per la forzata esclusione di ricerche ed eccellenze che non rientrano nella rigida maglia generazionale e alle quali si sta offrendo spazio con la mostra dedicata ai Maestri del Concorso e, in futuro, con altre esposizioni appositamente dedicate. Una scelta, però che, se opportunamente perseguita e debitamente promossa, potrebbe ancor più caratterizzare il Concorso della ceramica d’arte di più lunga vita e costituirsi come un punto di riferimento privilegiato per i giovani artisti che anche con la ceramica intendono esprimersi. Pur nei limiti di una selezione attuata nell’ambito di una libera concorsualità, il quadro che il 56° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea di Faenza può offrire è senz’altro rappresentativo di molte tendenze oggi emergenti in campo ceramico-artistico. Ai giovani artisti il compito di meglio definirlo nelle prossime edizioni e al MIC l’ambizione di attuare selezioni sempre più significative con l’aiuto di commissari nazionali e internazionali che, come quelli della presente edizione, siano attenti e sensibili ai nuovi destini dell’arte della ceramica”. www.micfaenza.org
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artisti
In basso: The Future, 2007, cm 40x52, terracotta e pittura a olio.
Brenda, 2009, cm 37x75, terracotta e pittura a olio.
À la recherche du Wood perdu Jean Blanchaert
Per sapere qualcosa da Andrew Wood bisogna trasformarsi in un’ispettore di Scotland Yard e aderire al detto del giornalismo inglese: “Che cosa mi sta tenendo nascosto questo satanasso?” Non è sempre obbligatorio parlare dell’autore quando si commenta un’opera, ma nel caso del nostro artista questo è inevitabile. Non si può ancora, purtroppo, ascoltare la ceramica alla radio. Il lavoro di Andrew Wood è proprio questo:musica maiolicata. Andrew è persona riservata. Nè più nè meno dei suoi genitori, che lui definisce convenzionali, tradizionalisti e conservatori, tre aggettivi qualificativi che non hanno loro impedito di fare i salti mortali per seguire e comprendere l’imprevedibile figlio, una persona che dà colore a ciò che dice con il tono della sua voce. Dopo avere parlato con Andrew ci piace definire così suo padre e sua madre: convenzionali sì, ma con il sesto senso. Sono difatti proprio loro che nel 1963 lo conducono al Hammersmith Odeon per assistere al concerto di Don Everly del complesso rock degli Everly Brothers. Don Everly è il nuovo marito di una loro cugina, ma Andrew ha solo tredici anni e i genitori avrebbero anche potuto lasciarlo a casa. Quella sera suonarono pure Little Richard, Bo Diddley
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e cinque giovanotti in camicia di seta viola dal nome inquietante: Pietre Rotolanti, Rolling Stones. La scintilla era stata accesa. Da quel momento Andrew avrebbe trovato la sua strada seguendo la luce luminosa di una stella cometa rock. Il futuro artista sarebbe anche stato punito nel severo collegio dove ha trascorso la sua adolescenza per aver portato in classe Nico e la Velvet Underground. La ribellione che i giovani italiani e francesi avvrebbero messo in scena con la politica, gli inglesi e gli americani l’avevano anticipata con la musica. Ancora adolescente Andrew raggiunse in autostop l’abbazia di Woburn per il primo grande rock festival all’aperto. Sul palco Jimmy Hendrix. A diciotto anni Wood s’iscrisse all’Accademia delle Belle Arti di Londra. Poté finalmente farsi crescere i cappelli e aderire al pacifico e amoroso movimento hippie. Le fonti d’ispirazione per i suoi primi lavori furono il celebre concerto dei Rolling Stones in Hyde Park e il primo Glastonbury Festival. Andrew non trovò una chitarra, ma la ceramica, della quale
Treasure Island, terracotta e pittura a olio.
s’innamorò perdutamente. Quello che il rock ha detto in musica e in poesia, Wood lo ha espresso modellando e colorando la terra. Terminata l’Accademia, i soliti genitori convenzionali con il sesto senso lo mandarono alla UC Davis nella California del Nord dove c’era un dipartimento ceramico guidato da Robert Arneson che fece di quel posto la capitale della Funk Art. In quel periodo andarono a suonare da quelle parti i Doors, i Grateful Dead e Frank Zappa. Grazie ai coniugi Isaac Tiggrett e Maureen Starkey, ex moglie di Ringo Starr, Andrew Wood conobbe tutte le rock star del pianeta. Fu allora che cominciò a crearsi questo strano fenomeno: chi guardava i suoi lavori li sentiva suonare. Il Sussex, la California, Bangalore e la Toscana, questi sono il luoghi elettivi. All’età di ventotto anni, in India conobbe il grande guru Sai Baba che gli diede un’anello protettivo, l’anello della confidenza in sè stesso: “Va’ ragazzo, non temere, ciò che farai sarà pulito e ben fatto”. Oggi Andrew Wood vive in Italia. In Toscana. E se a Firenze e a Pistoia potete vedere i magnifici altorilievi a muro dei Della Robbia, oggi a Cortona opera la ceramic rock star Andrew Wood, con i suoi bassi, medi e altorilievi surrealisti pop. Prima disegna, poi dà forma alla creta. Quando questa è quasi secca la mette in un forno a 1000 gradi.
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Mario Porcù, Capra morente, 1976, marmo bianco di Carrara, cm. 45 x 69 x 72. Collezione privata, Albissola Marina (SV).
A fianco: Fat Mattress, 2009, cm 48x71, terracotta e pittura a olio.
In basso: NicconeDay, terracotta e pittura a olio.
Dopo ventiquattro ore la riporta alla nostra temperatura. Indi stende tre stratti succesivi che preparano l’oggetto quasi fosse tela. Infine, interviene con i pennelli e il colore ad olio come fa un pittore con un quadro. Ma, se il conscio ha realizzato sin qui i processi dell’opera, ora si fa da parte perchè è l’inconscio che vuole dipingere e dare il tocco finale. Molti titoli ci rimandano ad altrettanti canzoni. Madame Joy, ci ricorda Van Morrison, Night Swimming la R.E.M e Strange Angel, Laurie Anderson. Il lavoro attuale di Andrew Wood si chiama The Shape of Things to Come, cioè La forma delle cose che verrano. L’inconscio gioca brutti tiri, è incontrollabile, fa quello che vuole lui. Strange Angel potrebbe essere la corazza di un’immortale eroe scozzese e Treasure Island, la piscina di Jack Nicholson a Hollywood vista dall’aereo. Volano qua e là partendo dai muri sui quali Wood le fissa, queste sculture. Lasciamoci portare da loro, seguiamole. Quest’anatra rossa dal nome Trevor Brenda ci condurrà fino in Boemia. Sharkey’s Day, che prende il nome da un’altra canzone di Laurie Anderson ispirata a William Burroughs, sembra invece una pannocchia-fallo scagliata da un’arco-farfalla verso l’obiettivo. Qui siamo nelle mille e una notte, ognuno può intraprendere il viaggio psichedelico che vuole guardando i lavori di Andrew. Per i seguaci di Timothy Leary sarà come fare un’altro viaggio, ma per chi di viaggi non ne ha mai fatti sarà la prima esperienza. Attenzione, tenetevi forte, verrete risucchiati da gorghi e vortici che vi faranno fare il giro del mondo. Sarete The Tourist, Space Shanti o un frutto non meglio identificato che sembra un kilt. Wild Wind, grigio e azzurro, vi spazzerà via. Con Soul Bird, giallo e arancione, abbatterete il muro del suono. Guardando Closed Circuit, prenderete una scossa lisergico-ecologica. Attenzione, Andrew Wood non è per tutti. L’armonioso lavoro Niccone Day descrive un giorno sereno d’estate in Val Niccone, in Toscana. E mentre Fish of Gold parte guizzando dal torrente Esse nell’aretino, l’inconscio di Wood crea l’opera The Future. Si tratta di un elmetto coloniale britannico pop. Le Wood retrouvé.
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artisti
Peter Fischli & David Weiss
Esperienze con la creta ed altri materiali Tiziano Dalpozzo
I rapporti tra la ceramica e l’arte contemporanea sono occasionali, altalenanti e spesso, contrastanti. Anche in alcune delle migliori occasioni, contraddittori. Faccio i primi due esempi che mi vengono in mente. In manifestazioni “felici” di anni addietro esisteva una bella collana di pubblicazioni ceramiche del Centro Di di Firenze, diretta dal Dott. Gian Carlo Bojani. Uno di questi quaderni è stato dedicato a Enrico Baj. Baj è stato invitato a realizzare le sue opere in occasione delle manifestazioni ceramiche faentine. Enrico Baj aveva raggiunto un notevole successo realizzando numerose opere con materiali di scarto o di risulta, in particolare con legni di scarto assemblati. Nell’assemblaggio i legni assumevano nuove sembianze, per cui Baj trasformava – col suo lavoro di artista – materiali di scarto in opere d’arte. Nel momento in cui realizza nuove opere con la ceramica la stessa operazione prende un segno completamente diverso. I materiali di scarto non sono più tali. Le parti di ceramica, per realizzare queste nuove opere, vengono accuratamente progettate e realizzate PRIMA, per essere assemblate POI. Le sculture, realizzate dalla Bottega Gatti di Faenza, assumono tutt’altro segno. I materiali non sono più scarti della produzione; non vengono trovati ma prodotti exnovo all’uopo. Il senso “artistico” è totalmente modificato. Un’altra operazione che cambia totalmente segno è il “cretto” (anche la definizione mi appare del tutto impertinente) di Burri realizzato per l’ingresso al Museo delle ceramiche di Faenza. L’opera a me appare molto bella, suggestiva, opportunamente monumentale rispetto allo spazio in cui è inserita; un biglietto da visita straordinario per il museo stesso. Eppure, Burri ha raggiunto la notorietà come artista contemporaneo sin dagli anni ‘50 con le sue bruciature, con le sue plastiche... L’operazione consisteva in realizzazioni “povere”. Si usavano materiali di scarto (sacchi di plastica, di juta, ecc.), che venivano trasformati in diversi modi: dipingendoli, tagliandoli, bruciandoli. Le bruciature costituivano un’operazione di trasformazione della materia, e dell’immagine che questa restituiva con altro da sé. Le bruciature divenivano un momento alchemico (così vicino
Fiori, 1997-98, diapositiva. Courtesy: Monika Sprüth Philomene Magers, Colonia/Monaco/Londra, Galerie Eva Presenhuber, Zurigo, Matthew Marks Gallery, New York. Veduta dell’installazione, Altri fiori e altre domande, Palazzo Litta, Milano.
al mondo ceramico) di conversione della massa. Analoghi e imprevedibili effetti di conversione della massa avvenivano con l’uso di materiali diversi: cemento, vinavil o altro che assemblati, stesi, composti, assumevano nel loro processo di asciugatura operazioni incontrollate di trasformazione restituendo immagini nuove ed imprevedibili. Anche in questo caso con operazioni vicine al “craquelé” ceramico. L’opera faentina (realizzata da bottega Gatti) è stata – al contrario – accortamente progettata, prevista nelle sue trasformazioni sia durante il “ritiro”, l’asciugarsi e il ridursi della materia, sia nella sua operazione di cottura e applicazione del colore. Un nero ed un oro meravigliosi ma che nulla hanno a che fare con l’operare e gli esiti artistici precedenti. In questa occasione vorrei informare su una operazione inversa: l’uso che Peter Fischli & David Weiss hanno fatto in tempi recenti della ceramica. In particolare vorrei ricordare le opere presentate recentemente in una grande mostra a Palazzo Litta, sede della Fondazione Nicola Trussardi. Palazzo Litta è un edificio milanese che caratterizza Corso Magenta con una estrosa facciata settecentesca e con un sontuoso portale arricchito da imponenti telamoni. Superati questi si trova uno scalone solenne, un sistema di cortili interni e un giardino che si apre verso Foro Bonaparte. Il nucleo originario venne costruito tra il 1642 ed il 1648 da Francesco Maria Richini. Dopo lunghi anni di chiusura, Palazzo Litta è stato aperto per la prima volta in occasione della mostra “Altri fiori e altre domande”, dei Nostri. La mostra retrospettiva di Peter Fischli & David Weiss è stata l’occasione per indagare la realtà attraverso il mondo surreale – di volta in volta – inventato dal duo svizzero. Questa mostra è stata realizzata e progettata appositamente per gli spazi del palazzo. Tra le pareti
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Peter Fischli/David Weiss, Mostra a Palazzo Litta, Sala 9. Foto Marco De Scalzi (particolare).
Peter Fischli/David Weiss, Domande, Mostra a Palazzo Litta, Sala 6. Foto Marco De Scalzi (particolare).
di broccato, le cineserie e gli specchi del piano nobile di Palazzo Litta, la mostra ha raccolto una serie di lavori inediti e oltre quaranta opere storiche di Fischli & Weiss, offrendo una panoramica completa e originale sulla loro produzione. Peter Fischli & David Weiss, che lavorano insieme dal 1979, hanno ottenuto un Leone d’oro dalla Biennale di Venezia, e si sono imposti come i profeti di un’arte che guarda al mondo con stupore infantile, ma che è anche capace di sgretolare ogni certezza e sottoporla alla critica più spietata. Le loro opere sono spaesanti e appaiono come un luogo di transito in cui le stesse si confondono con gli ambienti originali in cui sono esposte, tra mobili antichi e fotografie. Nelle mani di Fischli & Weiss la materia più insignificante si trasforma in qualcosa di magico. Le dissolvenze ipnotiche dei Fiori (1997-98) si trasformano in Sculture nere (1986-88) in cui mobili, utensili, alberi ed edifici sono ricostruiti in gomma e trasformati in un inquietante monocromo. Una delle opere più note, che si sedimentano immediatamente nella memoria del pubblico, è The way things go (1986-87). L’opera di Fischli & Weiss svuota la realtà di ogni peso e la trasforma in un miraggio. La distanza che separa verità e finzione è uno dei temi centrali del loro lavoro. In una delle loro serie più famose, gli artisti hanno riprodotto meticolosamente alcuni oggetti scolpendoli in poliuretano, un materiale leggerissimo che sembra catturare tutta la fragilità del mondo. La realtà per Fischli & Weiss va guardata come un sogno a occhi aperti, che talvolta si tinge di sfumature drammatiche. Nella sala 6 della mostra di Palazzo Litta il titolo è Domande (1980-2003). La sala è oggetto di dubbi esistenziali, quesiti inquietanti e piccole riflessioni: sono paure
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e desideri simili a quelli che ci assalgono al sopraggiungere del sonno. In uno dei loro video più celebri gli oggetti si risvegliano e i materiali più diversi – scatole, bottiglie, pezzi di legno, candele, copertoni e teiere – si rincorrono in una serie esilarante di reazioni a catena, un effetto domino in cui caos e ordine si sfidano. Vedere una delle manifestazioni più alte dell’arte contemporanea esprimersi con la creta (le opere “Brocca”, “ascia” e una sala con 92 sculture) in maniera diffusa, rincuora sul ruolo di una materia che spesso appare solo un tramite per una espressività di tipo folkloristico al di fuori della storia e della sua contemporaneità. Per usare una citazione dall’ultimo libro su questi autori: “Crediamo che ci sia sempre qualcosa di vero nei luoghi comuni ed è una scoperta che devi fare da solo, poco alla volta.”
artisti
Litografia a pieni margini applicata su tavola a fondo oro, 2007, cm 35 x 50.
Sulla pittura di Franco Battiato Elisa Gradi
Non è oggi cosa insolita trovare, fuori dai luoghi consacrati dell’arte contemporanea, dai templi invasi dall’accademismo trionfante, una modernità schietta, capace di sfidare la via tracciata dall’ironia facile e scontata dei critici che danno, ormai, ogni esperienza per compiuta. Non è insolito ravvisare in chi si abbandona al disinteressato ‘diletto’ dell’arte, fenomeni di estrema nitidezza espressiva, frutto di ricerche personali, che sfuggono alla presa dello schematismo imposto dalle chiuse dottrinali dominanti. È questo il caso di Franco Battiato il quale, libero da dogmi stilistici di ogni genere, può permettersi il ‘lusso’ di contrapporre all’allineamento un’indagine autonoma, critica, cosciente, che si insinua nelle maglie di un mondo dove musicalità e figurazione sembrano fondersi in una sorta di mistica unione, dando vita ad un’esperienza estetica assai particolare, essenziale e pur lirica, di inattesa potenza evocatrice. La galleria di immagini proposta, che trova proprio nel rapporto fra musica e pittura il suo tema conduttore, ricompone la sequenza del percorso pittorico di Battiato, nel quale il dipinto diviene rappresentazione di un universo personale, dove la purezza del segno e del suono musicale vivono in tensione dialettica; un universo nel quale la figura umana respira e si muove al ritmo di un suono limpido, prolungato, evocante ricordi di trascorse fioriture. Viene da pensare a quanto scriveva Debussy – L’arabesco musicale, o piuttosto il principio dell’ornamento, è alla base di tutte le forme d’arte – ; viene da evocare l’incantamento, o piuttosto il passaggio ad uno stato sognante e visionario, che dà l’incontro, talvolta dirompente, con la musica dell’anima. Una realtà interiore che sarebbe impossibile imbrigliare completamente in una rappresentazione, ma che tuttavia può affiorare per simboli, per elementi essenziali: lo spazio del dipinto è un ulteriore campo nel quale condurre la propria ricerca esistenziale, ed è come un vagheggiare in un magma sensitivo, a tratti indistinto, di un monologo intimistico. Così la pittura – l’Arte – svela di questo universo l’essenza più profonda, ne diviene strumento di conoscenza, si eleva
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Litografia a margini bianchi, 2007, cm 35 x 50. Sotto: Olio su tela, cm 35 x 50.
ad esercizio del quale l’artista si serve per migliorare se stesso e la propria interpretazione del reale, e con il quale tenta l’intuizione del visibile avvicinando un’analisi intellettuale che denuncia l’ambizione di raggiungere una profonda intuizione dell’essere. Battiato delinea così, in maniera estremamente lucida, la propria concezione dell’arte, la scelta estetica del proprio linguaggio pittorico, la sublimazione fra questo e le altre forme dell’attività artistica. Tutto vibra e risponde alla sua esperienza sensibile che, ça va sans dire, va ben al di là della riproposizione del dato naturalistico (pur difendendo, de facto, il valore iconico dell’immagine): forma e spazio si coagulano su un piano indefinito, nel quale vivono asimmetrie che svelano la raffigurazione di soggetti – ed oggetti – secondo una formula interiore, intima, essenziale. Forme e tinte pure, spinte al massimo valore dall’accostamento con fondi oro o profondità monocromatiche, immagini (predilette della sua contemplazione) alle quali è conferita la levità dell’apparizione, e che crediamo poi stemperarsi nell’evanescenza della trama della luce del fondo. Si è spesso parlato, a proposito della pittura di Franco Battiato, di una reinterpretazione dell’arte bizantina, passando per i primitivi toscani del XIII e XVI secolo. Credo che Battiato senta tutto il fascino dell’armonia legata ai principi del rigore, e ciò non può che riscoprirlo nello studio dell’arte antica, nel monito di alcune icone bizantine, con il loro richiamo alla disciplina, alla meditazione, al raccoglimento solenne ed austero che ne è indispensabile premessa. In una parola, credo che Battiato ceda a quell’imperativo spirituale, facendo della tela un mezzo che restituisca la potenza del pensiero che è nell’atto di esprimersi. Ma come legare il coinvolgimento denso di umori di malinconica inquietudine, con la ieraticità risoluta delle icone antiche? Come profondere la complessità di un temperamento impaziente, assetato di conoscenza, in una griglia di imperturbabilità? Lo scandaglio dell’anima è necessariamente anche inquietudine, e non rimane mai immune dalla denuncia dell’ombra. Se un legame stilistico esiste, è subordinato al fatto che quel codice abbia la capacità di esprimere il modo di sentire dell’artista o, se vogliamo, di interpretare un significato, senza il quale la forma, astratta o figurativa che sia, rimane vuota. L’opera d’arte, nella longhiana accezione, è sempre un capolavoro “squisitamente relativo”, che sta ancora in rapporto con altre opere d’arte; si può forse parlare, nel caso di Battiato pittore, di una vicinanza con una cultura nella quale è dominante lo studio di ciò che nell’uomo è sedimento antico ed universale. È, stilisticamente, l’atto sicuro di chi sa che non deve necessariamente passare per l’azione sacrilega e oltraggiosa della storia, per raggiungere un’autenticità di espressione. E sarebbe altrettanto fuorviante, per contro, voler riportare Battiato in un tempo che non gli appartiene, limitando la sua ricerca ad un decorativismo di maniera che si scontra con la volontà di voler comunque riprodurre l’eco interiore di uno stato d’animo, il mutamento incessante delle condizioni dell’essere. Il passato avvolge insieme il presente ed il futuro, legandoli in una relazione tanto libera quanto estranea da propositi di creazione di programmi d’azione e definizione di valori estetici universalmente condivisibili. Segue solamente la sua storia individuale, la sua evoluzione. Questo rende l’arte di Franco Battiato un’autentica speranza. Testo tratto dal Libro d’Artista “Gilgamesh”, prezioso volume a tiratura limitata – centocinquanta esemplari – pubblicato nel Dicembre 2007 per le Edizioni della Bezuga di Firenze. Il volume, incentrato sull’opera lirica Gilgamesh, composta da Franco Battiato ed eseguita nel 1992 al Teatro dell’Opera di Roma, contiene tre riproduzioni litografiche di opere originali realizzate dall’autore in epoche diverse, ed ispirate al celebre poema epico sumero.
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design
Galleria Emmanuel Perrotin, Parigi, Pharrell Williams, Perspective (yellow), 2008, resina e pelle pieno fiore, cm 85 x 55 x 60.
Design/Miami Basel 2009 a cura della redazione
Il 2009 celebra il quarto anniversario della Design/Miami Basel, evento internazionale di rilievo per le edizioni limitate di design. Anche quest’anno la rassegna – svoltasi a Basilea lo scorso giugno – era inserita all’interno di Art Basel, la fiera modiale di riferimento per il mercato dell’arte contemporanea. A Design/Miami Basel erano presentati oggetti storici del XVIII e XIX secolo, produzioni limitate del Novecento e objets d’art contemporanei. “Insieme, le gallerie partecipanti a questa edizione, presentano una “collisione” di secoli, dalla magnificenza dei pezzi storici fino al contemporaneo – ha detto Ambra Medda, direttore di Design/Miami Basel – Questo nuovo approccio offre la possibilità di un osservatorio sul design degli ultimi secoli e di come si sia più o meno evoluto. Design/Miami Basel diventa così un interessante luogo di ispirazione: da Zaha Hadid a Luigi XVI il percorso può favorire la nascita di nuove idee e portare innovazione nel design contemporaneo”.
Così il Premio “Designer del Futuro”, attraverso cui emergono nuovi talenti del design che lavorano con la sperimentazione attraverso produzioni e tecniche non industriali. Quest’anno il tema del Premio era “gesso e specchi”. Entrambi i materiali – spiegava Wava Carpenter, direttore associato della fiera – sono versatili e possono assumere infinite forme e funzioni. Oggi questi materiali sono poco costosi e di facile reperibilità anche se la loro storia è
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Galleria Rossana Orlandi, Milano, Nacho Carbonell, Evolution Series, 2008, cartapesta e rete da polli. Foto courtesy Galleria Rossana Orlandi.
antica e segnata da stravaganti e fantasiose realizzazioni”. I vincitori di quest’anno erano Nacho Carbonell, Peter Marigold, Raw-Edges, Tomàs Gabzdil Libertiny, selezionati da una prestigiosa giuria di cui facevano parte, fra gli altri, i fratelli Campana, Alexander Von Vegesac, Silvia Venturini Fendi. Tra le 28 gallerie presenti, per lo più europee, oltre a due presenze newyorkesi e coreane, l’Italia era rappresentata da quattro gallerie, tutte milanesi: Galleria Rita Fancsaly presentava una collezione di vasi di vetro di Fulvio Bianconi; Galleria Colombari presentava pezzi di Carlo Mollino, Osvaldo Borsani, Ico Parisi, Giò Ponti; Nilufar proponeva una mostra di oggetti eclettici, con stili e forme inusuali; la Galleria Rossana Orlandi proponeva una selezione di opere di Maarten Baas della serie “Sculpt” e “Clay” e alcuni pezzi della serie “Evolution” dello spagnolo Nacho Carbonell, uno dei vincitori del Premio Design del Futuro. www.designmiamibasel.com
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Galleria Seomi&Tuus Seoul, Corea, Kwon Dae-Sup, Moon Jar, porcellana bianca, cm 47 x 50, 2008.
design
Linde Burkhardt: dentro e oltre la ceramica Personale al MIC di Faenza
Franco Bertoni, Curatore delle Collezioni Moderne e Contemporanee del MIC
Non si dirà mai abbastanza, quando si vorrà iniziare a farlo, dell’importanza degli apporti esogeni nella lunga storia della ceramica. Dai segni arcaici ai motivi religiosi fino ai modelli forniti, tramite pitture, disegni e incisioni, dalle “arti maggiori” comprendendo star come Picasso e, più vicino a noi, noti architetti e designer, tante sono le possibili registrazioni di incursioni esterne in un mondo che, a seconda delle condizioni storiche e delle culture, si è dimostrato più o meno aperto e ricettivo. Linde Burkhardt, sul solco ben tracciato da tanti artisti e architetti del Novecento, è la protagonista contemporanea di un complesso dialogo tra l’arte, l’architettura, il design e la ceramica. Nella sua lunga e fertile carriera si possono certamente evidenziare nuclei privilegiati di interesse e corrispondenti scansioni temporali ma, ai nostri fini, preme maggiormente evidenziare le ricadute ceramiche di questa apertura mentale. Che l’artista sia dotata di interessi e poteri politecnici è ben noto. Negli anni Sessanta è pittrice ma ben presto abbandona il cavalletto per verifiche estetiche a scala urbana. È il momento di maggiore affermazione ed attività del gruppo Urbanes Design, fondato nel 1968 ad Amburgo assieme al marito Francois Burkhardt, che si prefigge, attraverso interventi in luoghi pubblici, di fare uscire l’arte dai circuiti usuali e di favorire una sua integrazione negli spazi urbani. Sono anni, d’altronde, di un diffuso impegno sociale e di generali riconsiderazioni. Si tratta di echi, oggi, ormai fievoli ma la bandiera di una esteticità diffusa e con precisi compiti funzionali rimane, comunque, tra le meno stinte e usurate dal tempo. Se non altro per la richiesta di un fruttifero rapporto tra le arti. Ma, a quelle date, le carriere si sono ormai separate e, anche in ceramica, si assiste all’affermarsi di settorializzazioni e di specializzazioni che prendono il nome di artigianato, pittura su ceramica, scultura con la ceramica, design. Tra i tentativi di superamento di costrittivi e opinabili steccati – non dimenticando l’aspra e lungamente perdurante querelle tra gli artisti della ceramica e gli artisti con la ceramica – quello di Linde Burkhardt nasce su presupposti di largo respiro e, proprio per questo, ci sembra tra i meno occasionali e tra i più meritevoli di attenzione. Su una solida base ideale si sono via via innestate le occasioni sortite da un apprezzamento internazionale. Nel 1972 cura la sezione Play and Reality a Documenta 5 di Kassel affidatale da Harald Szeemann nell’ambito di Interrogation of Reality – Picture World Today. È di nuovo un modo per uscire dalle righe. Il mondo infantile guadagna un posto nelle decisioni progettuali che lo riguardano. Ma non solo: è l’intrusione di nuovi attori – incontenibili, vitalistici e irridenti come i personaggi di una commedia dell’arte – in una scena ormai avviata alla più assoluta, seriosa e sterile autoreferenzialità. Miscelando con sensibilità e intelligenza componenti
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Le opere, concepite e decorate a mano da Linde Burkhardt nel 2008-2009, sono state eseguite a Nove (VI) presso: 3B Ceramiche Artistiche di Luigi e Mario Bertolin, Ceramiche Fratelli Rigoni e Ceramiche Zanotto Domenico. Opere realizzate in terra rossa, terra bianca, terra nera. Interventi deocrativi con ingobbi, cristalline, sabbiatura e lustro madreperlaceo. Altezza compresa fra 165 e 240 cm.
diverse – e ci sembra, questo, il metodo procedurale più tipico dall’artista – si ottengono superiori gradi di distillazione non ottenibili singolarmente. Trasversalità? Forse si tratta di una parola troppo in odore di effimero per un lavoro che, a ben vedere, affonda nella solida e fertile circolarità di idee e di conoscenze pratiche delle antiche botteghe dell’arte. Con questo spirito sono concepiti i tappeti che inizia a progettare nel 1985 per Toulemonde Bochart e dal 1990 per Driade. Utilizzabili anche come arazzi, e quindi come “quadri seriali”, i tappeti di Linde Burkhardt appaiono come sintetiche visioni dell’incontro tra l’ordine della geometria e una formicolante presenza delle forme e dei colori più vari. Ordine e caos, strutture geometriche e forme libere, rigore progettuale e improvvise aperture ludiche: ecco un altro dei cardini della poetica di Linde. Da Driade, nel 1995, la sollecitazione a utilizzare la ceramica che troverà seguito in Alessi nel 1999. Tra piccola serie e atelier, l’artista vi si dedica sempre più riversandovi grafismi decorativi e suggestioni provenienti dalle sue precedenti esperienze. Vasi quadrati (per Driade), piatti e ciotole (Piatti scritturali del 2002-03, Piatti lineari e Pleiadi del 2003) dai singolari decori che sincreticamente uniscono echi modernisti con suggestioni tribali si affiancano a forme (Tempietti e Dimore per sogni del 2008) in cui l’immaginario architettonico postmodernista di marca milanese viene passato al vaglio di una sobria opera di decantazione formale. Del 2006 è il progetto “A quattro mani” con Alessandro Mendini: punto di incontro delle attualizzazioni Déco del fondatore di Alchymia con i decori di Linde. Perché Linde decora. Decora con lo stesso spirito dei maestri del primo Novecento convinti che sulla pelle degli oggetti o delle architetture, che altri volevano netta e pulita, si gioca una partita fondamentale: quella di una narrazione, anche astratta, che rende più complessa, se non completa, la vita degli oggetti. In Linde Burkhardt, però, nessuna umiliazione di fronte alle tecniche del passato. Anzi, innovazione. Come quella dell’utilizzo del trapano elettrico per segnare linee, rendere mosse le superfici, per incidere fori. Una tecnologia moderna e apparentemente poco ceramica che, tuttavia, ha illustri antecedenti nella pratica della “riserva” e del “graffito”. Un cerchio. Quell’unità di forma, funzione e narrazione ancora contenuta nelle splendide perdizioni immaginifiche di Josef
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Hoffmann, Dagobert Peche, Franz Von Zülow o Koloman Moser (solo per citare artisti di area centroeuropea), data per irrimediabilmente perduta a seguito dei diktat di stretta osservanza funzionalista, risorge come una fenice. Risorge la piacevolezza del segno, del racconto, di una evocazione che espande i poteri di attrazione e le capacità di affabulazione. Si aprono nuovi, in realtà molto antichi, orizzonti. Quella storia, anche minore, (si vedano, a proposito, i confronti dei maestri viennesi con il folklore e quelli di Linde con i tessuti delle più varie aree etniche) che era stata programmaticamente espulsa anche dai corsi del primo Bauhaus di Weimar ritorna a fare sentire la sua presenza. Di qui, un rivolgimento e una complessità che connota le più interessanti proposte artistiche contemporanee. Complesse sono anche le steli totemiche intitolate Belle di giorno, belle di notte esposte al MIC per la prima volta e mi sembra che in questo gruppo di opere trovino odierno punto di arrivo tante sue esperienze precedenti: dagli interventi a scala urbana dei primi anni di attività al design, fino agli studi sui tessuti che in qualche modo hanno favorito l’accesso all’universo decorativo ceramico. Travasi e sperimentazioni in cui Linde Burkhardt si muove a proprio agio poiché la sua parola d’ordine è “libertà”. Libertà di rendere la mole di una sorta di obelisco moderno (elegante e raffinato segno urbano o garbata irrisione a ingenue pretese di eternità?) liscia e setosa come un lussuoso tessuto. Libertà di muoversi in questa foresta pietrificata con l’attenzione – e l’emozione – di un entomologo pronto a cogliere le più minute variazioni coloristiche di una superstite farfalla. Libertà di essere modernamente antica. Libertà di adagiare frammenti di una itinerante fantasia su forme imperturbabili e “assenti”. Libertà di pensare che le superfici modificano le forme. Libertà di non essere solo designer o artista o ceramista. Libertà di affermare che le cattedrali non sono mai state del tutto bianche. Libertà di essere “leggeri” e, in questo modo, forse, anche felici. Testo tratto dal catalogo della mostra aperta fino al 13 settembre. www.micfaenza.org
missive
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LaLongwy, vestizione, Due2006 versatoi, terracotta, anni ’50-’60, smalti di 46 Longwy, × 32 × 66 modelli cm. decorativi Equinoxe e Pigalle.
Sotto: Canova, Padova, Tre bottiglie pirillate, anni ’60, porcellana policroma lustrata.
musei
Cinderella make-up Elisa Facchin, curator MIAAO, Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi di Torino Massimo Forchino, fotografo Il deposito-archivio di artefatti di Enzo Biffi Gentili presso il MIAAO di Torino, con i suoi tendaggi di tessuto, “sbroccato” e un po’ oscuro, mi ricorda – mi si consenta l’irriverenza – la gonnella-mutanda nera di Eta Beta, lo storico personaggio “alieno” disneyano, creato da Bill Walsh e Floyd Gottfredson. Questa similitudine azzardata è motivata dal fatto che sono entrambi ricettacoli dai quali estrarre, alla bisogna, un’incredibile quantità e varietà di oggetti. Come quelli illustrati in queste pagine: si tratta di bottiglie da liquore o di brocche in ceramica, soprattutto italiane, prodotte negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, di “articoli fantasia”, da omaggio o da regalo “importante”, che esaurita la loro funzione da versatoio erano trasformabili in complementi d’arredo, da tinello o da
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Coronetti, Cunardo, Bottiglia poliansata, 1959, modello n. 170, realizzato per Garnier Liqueurs, Enghien, Paris, Francia.
tavernetta. Anche Emanuele Gaudenzi ci ha fornito regesti dedicati a questo tipo di produzione, soprattutto faentina e sanmarinese, creando una documentazione molto utile come data base, ma “indiscriminata”. Mentre l’intento di Enzo Biffi Gentili è molto diverso: lo studioso torinese si caratterizza per un approccio selettivo, “discriminatorio”, e quindi essenzialmente, e un po’ faziosamente, critico. Egli predilige e propone una “forma avanguardista” di questo tipo di artefatti, evidenziando anche, così, una perturbante dissimmetria estetica con il loro “contenuto passatista” (quegli alcolici dolciastri, oggi improponibili: maraschino e moscato appassito, goccia d’oro e nocciolino di Chivasso ). Perché gli interessano, da sempre, manifestazioni di una “avanguardia di massa” – i plasmatori e i decoratori di questi oggetti erano molte volte semplici operai – che in questo e altri casi quasi in tempo reale riusciva ad assorbire e metabolizzare stilemi e grafismi di movimenti astratto geometrici od organici, segnici, gestuali, o addirittura a prefigurare soluzioni pop o post moderne. A esempio, impressionante è una bottiglia del 1959 creata dalla ditta Coronetti di Cunardo, dalle anse proliferanti e dalla decorazione a triangolini policromi kandinskijani, che pare anticipare le ricerche di Alessandro Mendini. E a partire da questa stupefacente bottiglietta Biffi Gentili ha scritto un testo intitolato Le anse della citazione, pubblicato nella raccolta di saggi «In guisa d’eco, i detti e le parole». Studi in onore di Giorgio Barberi Squarotti (Edizioni dell’Orso, Alessandria 2006), facendo debuttare nella serie “maggiore”, accademica – quel volumone era edito per celebrare l’illustre critico e poeta Barberi Squarotti che lasciava, per ragioni d’età, la cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Torino – una squadretta di artefatti che pareva condannata, per sempre, alla serie “minore”, a giocherellare nei campetti del modernariato. È una strategia da Biffi teorizzata, in maniera divertita, ricorrendo a un paragone con una famosa fiaba: se l’arte applicata è, soprattutto in queste “volgari” vesti, una Cenerentola, il compito di chi l’ama è quello di introdurla a Palazzo. Certo, bisogna saperlo fare, e non solo con perizia testuale, ma visuale. Il suo make-up deve essere elaborato, “sofisticato”, perché riesca una sua nuova, seducente “rappresentazione”. Attraverso l’allestimento, e ricordiamo al proposito il magistrale exhibition design di Toni Cordero della mostra Ceramiche eccentriche – che erano “cuginette”, meno funzionali, delle nostre bottigliette – a Castellamonte nel 1997, e poi, sempre nella cittadina canavesana, quello
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New Style, Torino, Due bottiglie deviate, anni ’60, terraglia a colaggio decorata all’aerografo.
New Style, Torino, Bottiglia panciuta, anni ’60, terraglia a colaggio decorata all’aerografo.
dello stesso Biffi Gentili della mostra The Crazy Bar – dedicata agli oggetti di cui trattiamo in questo articolo – nel 2005 (allestimenti entrambi poi pubblicati da riviste di architettura). Ancora, occorre particolarmente curare anche la rappresentazione fotografica di questo tipo di oggetti: qui ne forniamo un nuovo, recente, persuasivo esempio che si deve all’obbiettivo del torinese Massimo Forchino, che tra l’altro cerca con successo di mostrare un’altra caratteristica notevole di questa produzione: l’invenzione della “serie variabile”, cioè la continua modificazione estetica di uno stesso modello, realizzando così solo pezzi unici, a mano, a manetta. Dimostrando che questi recipienti, un tempo imbarazzanti, oggi sono divenuti estremamente interessanti. Tant’è che la rivista “Artlab” e il suo direttore Carlo Branzaglia – siamo quindi di nuovo saliti a “piani alti” disciplinari, questa volta del graphic design – adesso li hanno voluti pubblicare. Questa breve storia dovrebbe avere una sua morale. Magari partendo con il contestare il fatto che il progetto di good design sia, rispetto a quello più “selvaggio”, sempre superiore: basti guardare alle due prove di Ambrogio Pozzi, quella sanguigna, maculata anni ’50 e quella, già sixties, forse troppo “disciplinata”… E poi, per proseguire, denunciare, per tornare a Faenza, i fatti che una capitale mondiale della ceramica investa tante risorse sull’arte “maggiore”; e che Carlo Zauli venga esibito in giro, anche qui a Torino, soprattutto come scultore e non come sublime vasaio fabrile… A fianco: Anonimo, Due bottiglie aurate, anni ’50-’60, decoro in oro a terzo fuoco, per liquore Nocciolino di Chivasso (ipotesi attribuzione: MGA, Albisola, su parere orale di Tullio Mazzotti).
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industria
La “bocca ceramica” di Elio Fiorucci e, sotto, l’opera di Michele de Lucchi.
Pareti d’Autore
In occasione della 53° Biennale Internazionale d’Arte dal titolo “Fare Mondi – Making Worlds” che si tiene dal 7 giugno al 22 novembre 2009, ai Giardini, all’Arsenale e in vari luoghi di Venezia e che riunisce in un’unica mostra più di 90 artisti da tutto il mondo, Ceramiche Refin contribuisce all’allestimento per la Fondazione Teatro La Fenice con alcune “opere” di DesignTaleStudio che danno vita all’evento Fenice Collection Design On Stage a cura di Laura Villani. Nelle sale del Gran Teatro la Fenice di Venezia sono esposte le Pareti d’Autore in ceramica di DesignTaleStudio, già proposte in occasione degli eventi Design On Stage durante le settimane del Salone del Mobile di Mila-
no, create da straordinari artisti internazionali quali Sandra Bermudez, Michele De Lucchi, Elio Fiorucci, Romina Power e Karim Rashid. Le Pareti d’Autore presentate sono a tutti gli effetti delle vere e proprie “opere d’arte” in ceramica in quanto prodotte in pezzi unici in dimensioni 60x120 cm usando innovazione, creatività e tradizione. Questi i punti focali su cui si basa tutta l’attività di DesignTaleStudio, il laboratorio creativo di Ceramiche Refin, un team di ricerca che si propone di scoprire nuovi impieghi tecnici ed estetici per il grès porcellanato. Le opere rimarranno in mostra all’interno del Teatro fino a settembre 2009.
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Petra Weiss, mentre allestisce l’opera Octopus.
eventi
Petra Weiss: perduranti echi della classicità Franco Bertoni, Curatore delle Collezioni Moderne e Contemporanee del MIC
Nell’ambito delle manifestazioni internazionali per la ceramica il MIC di Faenza presenta, fino al 20 settembre, la personale di Petra Weiss. Nel catalogo della mostra, Franco Bertoni, Esperto delle collezioni moderne e contemporanee del MIC, scrive: “Formatasi anche a Faenza, Petra Weiss vi ritorna dopo quasi quarant’anni contrassegnati da affermazioni internazionali. Partita con un bagaglio maturato a fianco di uno scultore significativamente diplomatosi in un indirizzo tecnologico, l’artista propone, ora, opere che rendono omaggio all’avversario di un tempo: quelle povere e tenere terre da maiolica, presenti e affini sia a Riva San Vitale sia a Faenza, che sembravano avere perso ogni contatto con le progressive tappe della sua carriera. Petra Weiss è giunta Faenza nel 1966 e qui ha collaborato fino al 1970 nello studio di Carlo Zauli. Era il momento in cui lo scultore stava affinando le proprie armi in vista della battaglia decisiva della sua proposta artistica: il confronto tra una ceramica ormai liberata da retaggi oggettuali e decorativi e lo spazio architettonico e ambientale. Un luogo e un periodo, quasi un toponimo nella storia della ceramica moderna, che, in qualche modo, sono risultati fatali per la giovane ceramista svizzera. Grandi maestri della maiolica come Angelo Biancini e Pietro Melandri erano ancora ben operanti ma il soffio vitale del futuro spingeva le nuove ricerche faentine in altre direzioni, tra debiti con l’arte arcaica mediterranea, con una antica tradizione orientale nonché
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Petra Weiss, una delle opere realizzate con l’argilla di San Vitale.
con una sua moderna declinazione centro e nordeuropea e crediti nei confronti dell’arte contemporanea che rimangono, ancora oggi, da riconoscere. La riscoperta del grés e delle materie ad alta temperatura a fini plastici avvinceva e, negli stessi anni, coinvolgeva anche altre significative esperienze. A Faenza, anche il Concorso contribuiva a questa sorta di “epopea del grès” con segnalazioni e una quasi ininterrotta serie di Premi Faenza affidati, tra il 1960 e i primi anni Settanta, ad artisti che utilizzavano e indagavano le possibilità espressive delle materie costitutive stesse della ceramica, senza indulgere più a cedimenti decorativi, al fascino della narrazione iconografica o a superficiali edulcorazioni. I materiali ad alta temperatura risultavano i più consoni per oggetti d’uso di raffinato design, per durevoli rivestimenti pavimentali e parietali, per pezzi unici dalla indiscutibile vocazione formale e per sculture tout court che potevano finalmente sfidare il tempo e lo spazio al pari dei più aristocratici materiali tradizionalmente utilizzati. Petra Weiss ha vissuto in presa diretta questo decisivo momento. Un momento duro, radicale, tranciante. Era la riscossa di un materiale negletto, arginato nel settore delle arti minori, alla cui nuova fortuna hanno contribuito non poco quelle iconografie delle “rotture”, dei “crolli”, dei “frammenti” e degli “strappi” che sembravano interpretare, per via simbolica, gli ideali culturali e sociali più diffusi in quegli anni. Con il grès, Petra Weiss ha inanellato una fitta serie di opere, anche di notevole dimensione, e ottenuto prestigiosi riconoscimenti… Non dimentichiamo che all’origine dell’avventura della ceramica materica del secondo dopoguerra stavano un desiderio e una esigenza di verità espressiva che ben si coniugavano con una architettura finalmente liberata da orpelli decorativi, con un quasi dimenticato rapporto con la natura e con un nuovo senso dello spazio che la parimenti essenziale tendenza razionalista esprimeva, anche nelle sue derivazioni, con nitidi volumi e un minimo di elementi costruttivi. Ancora oggi, dalla sua casa-studio di Tremona, l’artista deve avere sentore di queste antiche idealità, contemplando la piattaforma della Pianura Padana percorsa dalla rettilinea Via Emilia che come un pensiero astratto si perde nel mare Adriatico: il mare che è stato il bacino di coltura di quel mito mediterraneo cui tanta letteratura e arte del Novecento hanno continuato ad abbeverarsi. In Petra Weiss è sempre un classico ideale di forma e di perfetta eleganza a prevalere sulle dissoluzioni e sui bal-
bettii della materia primordiale: che si tratti di un cubo, o di un parallelepipedo, “sfogliato”, di una forma piramidale composta da grumi di materia, di una installazione parietale fatta di frammenti, di una stele scomposta e ricomposta pericolosamente in spregio alle leggi della statica, di una forma perfetta contenuta all’interno di un volume sfrangiato o di ciotole-crateri in cui si condensano le basi primarie di un successivo atto formativo. T.S.Eliot ha celebrato l’”inexplicable splendour of Ionian white and gold” che si è riflesso su questo mare andando ad affermare il primato della più nitida intelligenza creativa. Su questo stesso mare sembrano potere navigare i frammenti in tenera maiolica di Petra Weiss di recente creazione, raccolti e curvati da un vento lontano e pronti ad aggregarsi in coesa formazione. Come lei stessa ha affermato: “tutto è possibile, anche navigare con vele di argilla”. Ancora una volta non è tanto la durezza della materia a sfidare il tempo e le ingiurie della storia ma la forza di un pensiero”. www.micfaenza.org
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eventi
A sinistra: Spazio rituale, 2006, h 35 cm, terracotta smaltata a fuoco riducente.
A destra: Erma alata, 1988, h. 150 cm, terra refrattaria foggiata a colaggio.
I Luoghi della Materia Mostra antologica di Nino Caruso
Quest’anno l’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica “Luigi Sturzo” di Caltagirone ha avuto il piacere di ospitare presso il proprio Museo delle Espressioni Artistiche Contemporanee (M.E.C.C.) e nel nuovo spazio espositivo della fornace Hoffmann, recentemente restaurata ed ampliata, le opere di Nino Caruso, uno dei più noti scultori ceramisti al mondo. L’evento espositivo documentava le numerose attività e il suo costante impegno rivolto allo studio, alla ricerca, alla promozione, alla innovazione e alla didattica della materia ceramica. E alla didattica e alla conoscenza di questo straordinario mondo materico era legata la manifestazione con lo scopo di coinvolgere gli studenti e i ceramisti locali a percorrere nuove strade espressive, pur nel rispetto della tradizione locale. Le sculture di Caruso nel corso della sua evoluzione artistica variano nella forma e nella materia, denunciando una sistematica riflessione sugli aspetti tecnici e strutturali dell’opera. L’artista desidera infatti conoscere tutte le possibilità espressive e di lavorazione dei vari materiali per riuscire a creare quelle forme rispondenti alle sue idee, alle sue sensazioni e alle sue esperienze di artista “in viaggio”. Non mancano, nell’incessante ricerca artistica di Nino Caruso, alcune contaminazioni o riferimenti a civiltà del passato, specie quella etrusca o ad alcune sculture di antiche civiltà mediterranee. E questo non solo per la potenza espressiva che esse possiedono, ma per la cultura che riescono ancora a raccontare a noi contemporanei. In questo senso le sculture di Caruso nella loro essenzialità materica divengono evocative di significati primordiali e simbolici. La mostra era articolata su queste diverse peculiarità della materia e sui diversi temi relativi alla potenzialità espressiva dell’argilla che assieme danno uno spaccato completo dell’esperienza artistica di Nino Caruso. La Commissione Mostre Turi Aquino, Enzo Castellana, Antonio Delfino, Emanuele Nicastro, Francesco Sagone.
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eventi
Brocche d’autore 2009 Ettore Sannipoli
Luciano Laghi, brocca del Cero di Sant’Ubaldo, 2009, h. cm 32,7, impasto bianco ad alta temperatura e smalti.
La mostra Brocche d’autore, svoltasi di recente a Gubbio presso il Palazzo Pretorio, organizzata dall’Associazione Maggio Eugubino, è giunta alla ottava edizione. Le finalità della mostra sono sempre quelle di allestire una piccola ma significativa esposizione tesa a sottolineare il rapporto tra i Ceri e la ceramica d’arte contemporanea. L’intento della mostra è infatti quello di arricchire le tradizionali manifestazioni di maggio per mezzo di un’iniziativa culturale pertinente al clima festivo, tale da destare l’interesse sia dei visitatori sia degli eugubini, ma anche opportunamente legata al settore della ceramica di artigianato artistico, assai rilevante nella nostra città, con delle proposte di alta qualità relative a uno dei prodotti tipici – anzi emblematici – dell’odierna maiolica eugubina, vale a dire le brocche dei Ceri. L’iniziativa consiste nella creazione di inedite brocche dei Ceri da parte di artisti della ceramica informati sulla tipologia di questi manufatti, nonché sulla funzione e sul valore simbolico dei ‘contenitori rituali’, secondo le interpretazioni fornite dai principali studiosi della Festa dei Ceri dall’Otto-
A sinistra: Paolo Biagioli, brocca del Cero di San Giorgio, 2009, h. cm 50, maiolica riflessata con platino, con applicazioni in ferro. Foto Giampaolo Pauselli.
cento ai nostri giorni. Essa rappresenta, quindi, anche un terreno di ricerca intorno a uno specifico e caratteristico oggetto, sul quale potranno via via intervenire numerosi artisti della ceramica, interpretandone forme e decorazioni, tanto da rendere possibile nel tempo la costituzione di una collezione a testimonianza di un gusto e di una creatività che proprio iniziative del genere intendono stimolare e favorire. La creazione delle brocche dell’edizione 2009 è stata affidata all’eugubino Paolo Biagioli, alla gualdese Caterina Calabresi e al brisighellese Luciano Laghi.
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eventi
La coppa di Albisola
La coppa di Albisola disegnata da Roberto Giannotti, 2009. Roberto Giannotti, Vaso pirata, 2009.
La Galleria Conarte di Savona, ha presentato di recente una importante collettiva di opere di prestigiosi artisti, in collaborazione con il Lions Club Alba Docilia. Erano presenti opere di Arman, Tommaso Cascella, Omar Galliani, Roberto Giannotti, Gaspare Gisone, Raymond Hains, Marco Lodola, Giorgio Moiso, Ugo Nespolo, Sergio Palladini, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Rotella, Emilio Scanavino, Emilio Tadini, Andy Wharol. Conarte rappresenta oggi un importante punto di riferimento nel panorama artistico e culturale savonese, capace di coniugare maestri internazionali con giovani di grande talento, senza tralasciare le più innovative esperienze del territorio, sempre nel segno della qualità. Con questi presupposti nella collettiva di grandi maestri si inseriva l’allestimento dedicato alla “Coppa di Albisola”, un oggetto ceramico realizzato dal designer savonese Roberto Giannotti per il service del Lions Club Alba Docilia denominato “Micro&Macro”, che ha visto la realizzazione di una tiratura numerata a 100 esemplari originali della coppa, ognuna delle quali realizzata al tornio e dipinta a mano presso la Casa Fabbrica Museo G.Mazzotti 1903 di Albissola Marina. Si tratta di un progetto sviluppato dal Lions Club Alba Docilia per rilanciare a livello nazionale ed internazionale la ceramica di Albisola attraverso l’introduzione di oggetti d’uso innovativi ad alto contenuto di design ed in parallelo di un percorso di arredo urbano ceramico offerto alle Albisole. Alla Conarte ne erano esposte 16, insieme agli sketches progettuali e ad un esemplare della grande Fioriera che, insieme ad altre 2 gemelle, costituirà una vera e propria “isola” di arredo urbano dedicata alla ceramica e che verrà posizionata ad Albissola Marina. Il Lions Club Alba Docilia, intende così promuovere la produzione di Design Ceramico anche attraverso oggetti di più piccole dimensioni, dimensioni domestiche, affidato ogni anno ad un protagonista del design nazionale ed internazionale. Dal Micro dell’oggetto d’uso si passa al Macro dell’arredo urbano con il comune denominatore della stessa forma, degli stessi colori, delle stesse emozioni create dal designer, sia per la promozione del territorio ma anche per un fattivo sostegno al rinnovo delle produzioni ceramiche del distretto. Quest’anno l’impegnativo compito Micro & Macro Design è stato affidato all’architetto designer Roberto Giannotti che ha creato un’Isola di Fioriere & la Coppa di Albisola, un progetto che è prima di tutto un atto d’amore per Albisola e la sua ceramica, nei suoi riferimenti alla magnifica passeggiata degli artisti, con le sue strisce bianche e azzure, e agli smalti mat futuristi. C’è anche spazio per la memoria e l’ironia, la voglia di gioco, nelle biglie da bambini che corrono e si inseguono in rilievo lungo le linee di forza che ci ricordano come ogni oggetto sia stato realizzato a mano, al tornio, uno per uno, dipinto a mano, cotto due volte a gran fuoco nella fornace di Bepi e Tullio Mazzotti, secondo la più antica tradizione albisolese. www.galleriaconarte.it
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Le ittà della eramica taliana
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Anche in questo numero della rivista le pagine centrali sono dedicate alle Città della Ceramica Italiane. Uno spazio che racconta quei territori ad alta densità culturale e di tradizione che oggi, pur fra mille difficoltà, sostengono e promuovono – attraverso la modellazione, la decorazione, la pittura dell’argilla – un genius loci tutto italiano, quell’incredibile mix di genio e tradizione che ancora oggi può fare la differenza all’interno del mercato globalizzato delle merci; non un racconto filologico di stili e di resoconti territoriali ma un diario di impressioni, di punti di vista, affidate a protagonisti diversi che in quelle città e territori operano e lavorano ogni giorno. In questo numero: PIEMONTE SARDEGNA SICILIA
Piemonte Piemonte ceramico: ritorno alle origini
Luca Tripaldi (Torino), Teiera, dimensioni 16lx16h cm h, porcellana con smaltatura a cristalli matt cottura in ossidazione.
Barbara Franco
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Proust) Qualcuno potrebbe pensare che si debba parlare di crisi produttiva anche per il Piemonte ma in realtà la crisi, quella dei grandi numeri, quella di cui si parla in Umbria come in Veneto, in Piemonte è ormai finita: la selezione naturale che imperversa dagli anni ’60, con l’ingresso sul mercato italiano dei primi prodotti di importazione a basso costo, ha fatto il suo corso. Per dirla in termini brutali, tutto quello che poteva essere falcidiato, in particolare la piccola e media industria ceramica, è già stato eliminato da tempo. Prova ne sia il distretto industriale di Mondovì, che nel primo dopoguerra pagava uno stipendio regolare ad oltre mille addetti diretti, ed oggi ne conta 7.
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Manifesto pubblicitario della Ditta Pagliero, Castellamonte (To), 1929. Collezione Carte D’Arte, Cuneo.
Chi resta? Botteghe che si sono drasticamente ripensate e adattate creandosi una nicchia di mercato, che si promuovono prevalentemente su modalità di marketing relazionale o one-to-one. Il tentativo di distinguersi passa attraverso la qualità e l’originalità delle loro creazioni ed un’identità ottenuta attraverso un’attenta rilettura e riproposizione delle tradizioni locali. La vera recessione che la ceramica piemontese oggi affronta è legata alla cultura, al linguaggio, al potere comunicativo. Il problema di fondo, ma questo ritengo sia un fenomeno a livello nazionale anche se forse in Piemonte è più accentua-
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to, è che solo le persone particolarmente legate alla tradizione o di cultura mediamente elevata e che hanno lo spirito di ricerca di pezzi unici e personalizzati, continuano ad avvicinarsi a questo mondo. Un mondo che spesso non riesce a dare stimoli sufficientemente visibili soprattutto ai giovani, per suscitare curiosità ed interesse. Ecco quindi che diventano di fondamentale importanza quei progetti di disseminazione culturale che vengono conseguiti con costanza ed impegno nel tempo e che sono volti ad avvicinare un pubblico ampio e “popolare” oltre quello dell’elite culturale. Un tempo questo ruolo, a livello regionale, era ricoperto dalla Mostra della Ceramica di Castellamonte, che riusciva a coagulare, in una piccola cittadina con meno di 10.000 abitanti, artisti di fama internazionale e spettatori appassionati da tutta Italia. Ora questo immenso patrimonio è nelle mani dell’Istituto Statale D’Arte Felice Faccio, della sua dirigenza e di tutto il corpo docente della sezione ceramica, che tanto si impegnano per creare aperture e contatti continui con il territorio. Ed infatti non a caso, costituisce probabilmente un unicum nel panorama nazionale, è un istituto che non teme i cali di iscrizione, nonostante l’ambiente che li circonda non sia fiorente e ricco come in altre città della ceramica italiane. Questo istituto ha saputo, in questo vorticoso momento di cambiamento (anche del sistema scolastico), fare uno sforzo incredibile di continuo contatto ed apertura nei confronti del territorio: ha ospitato interventi di designer ed artisti famosi, del calibro di Ugo Nespolo e Ambrogio Pozzi; è entrato nell’industria con collaborazioni con Pininfarina Design. Sono stati frequenti anche gli scambi e la cooperazione con varie scuole a livello universitario inclusi l’ISIA di Faenza, l’Istituto Europeo di Design e il Politecnico di Torino. Non da ultimo, indice di una sensibilità nei confronti degli interessi giovanili, l’aggiornamento dell’indirizzo da Arte della Ceramica a Design e Arte della Ceramica. La ceramica, in fondo, è comunicazione, ogni oggetto parla un linguaggio, e se il linguaggio diventa obsoleto? Se comunica solamente a nostalgici collezionisti? A visitatori di Musei? Interessanti in questa direzione, le contaminazioni che negli anni di lavoro sul territorio hanno portato gli artigiani castellamontesi, anche sull’onda delle collaborazioni con l’ISA Faccio, a sperimentare sulla “mitica” stufa.
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Maria Teresa Rosa, Bottiglia Indossatrice, Castellamonte (TO), maiolica, h. 40 cm.
La stufa di Castellamonte1 è giunta sino a noi immutata, anni di storia le sono passati attraverso e, come il “franklino” di stampo settecentesco, è tutt’ora prodotta nelle sue forme auliche, che l’hanno resa un simbolo, un’icona. Questa considerazione rende evidente un fenomeno abbastanza frequente nella storia manifatturiera ceramica, soprattutto nei luoghi di antica tradizione: la permanenza del prodotto. La stufa di Castellamonte è fortemente caratterizzata a livello di tradizione produttiva ed espressiva; ha una storia di trecento anni legata anche alla diffusione dei vari modelli presso le corti reali e in particolare le regge sabaude; è, oggi come ieri, un prodotto di élite, considerando il processo di produzione artigianale che insiste fortemente sul prezzo finale. Questa grande identità, genera una richiesta di mercato proprio di quel preciso prodotto, storico e tipico, che i produttori locali riproducono su stampi d’epoca. Questo ha portato a “non rinnovarne” l’espressività e le tipologie, limitando l’apertura verso nuovi potenziali consumatori. Nella direzione dell’innovazione espressiva, esigenza oggi intuita dagli stessi produttori, le sperimentazioni sono purtroppo rare, condotte in autonomia da alcune aziende senza una visione strategica complessiva e non sono sorrette da un livello di comunicazione e promozione in linea con la portata del cambiamento. Da un lato, si è operato con una semplificazione dell’apparato decorativo, dall’altro, l’ibridazione con l’arte è l’indirizzo che ha contagiato negli ultimi anni l’intero comparto ceramico spostando l’attenzione dall’artigianato tipico a quello prettamente artistico contemporaneo. “Stufepazze” è ad esempio una collezione di pezzi unici, totalmente funzionanti, proposta da Ceramiche Castellamonte quale omaggio ai principali movimenti artistici e avanguardie del Novecento; così come nella direzione della “stufa scultura” Ceramiche Savio propone esperimenti con protagonisti dell’arte contemporanea, tra cui Nespolo e Colombo. Sperimentazioni giocate su linguaggi espressivi enfatici che portano a non rendere più riconoscibile la stufa come oggetto tecnico, ma trasformata in presenza scultorea. È interessante verificare come gli artigiani per aggiornare il loro linguaggio sentano spesso la necessità di appoggiarsi a “personaggi” esterni, in questo caso collegandosi a grandi nomi dell’arte, o del design, che parlano in modo più attuale certo, ma rimangono spesso troppo elitari. Anche a Mondovì si è lavorato sul design, con il progetto di Re-design della tradizione, di
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Brocche tradizionali appena sfornate, Besio 1842, Mondovì (CN). Foto Guido Galleano. Zuppiera con coperchio in terraglia, 22lx34lx22h cm. Attributa alla Manifattura Giordana (Chiusa Pesio), prima metà dell’Ottocento. Museo della Regia Fabbrica dei Cristalli e dei Vetri e della Ceramica della Chiusa, Collezione Ezio Tino. Foto Guido Galleano.
cui ha parlato nello scorso numero della rivista l’Arch. Claudia De Giorgi, ma l’impegno più grande, come istituzione, è stato profuso in tutt’altra direzione. Per riportare una memoria ormai persa, per iniettare nuovo entusiasmo del saper fare e apprezzamento per il lavoro dell’artigiano, l’amministrazione ha deciso di ritornare alle origini, di ripartire da capo, di investire sulle nuove generazioni, sul futuro. È questa la direzione in cui ha iniziato a lavorare ormai tre anni fa, contribuendo alla creazione del Laboratorio in Valigia, un’equipe didattica, legata all’imprimatur del Laboratorio Giocare con L’arte del MIC di Faenza, sotto l’egida dell’Associazione Dialogart. È stato ideato un laboratorio itinerante che potesse dialogare con i bimbi e, attraverso di loro, parlare direttamente alle famiglie monregalesi dell’antico DNA. Duecento anni di specializzazione produttiva, infatti, lasciano il segno su un territorio, tracciano un’identità nelle persone che lo vivono, ne influenzano i gusti e le usanze, le forme di espressione artistica. I laboratori didattici, inseriti nel piano di offerta formativa alle scuole e spesso integrati con visite in bottega, sono stati ritenuti fondamentali per creare un humus culturale tra quei giovani che un domani potrebbero dimostrare interesse a proseguire gli studi in ambito artigianale o creativo. Educare i bambini ai saperi ed al valore dell’artigianato ceramico, costituisce anche un fenomeno favorevole al mercato, poiché sapranno dare valore ed acquistare gli oggetti fatti a mano. Fin dal primo anno di attività il Laboratorio in Valigia è stato in grado di coinvolgere 1200 bimbi e famiglie. Dopo tre anni di intenso lavoro i Pizzi Blu che ornavano le tese dei piatti ottocenteschi ed i galletti icona della produzione monregalese sono “tornati di moda” e comunicano nuovamente qualcosa all’animo di molte persone.
NOTE Da Manufatto ArtigianatoComunitàDesign, a cura di Claudia De Giorgi e Claudio Germak, SilvanaEditoriale 2008
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Sardegna Il tornio di Via Figoli: Oristano cittĂ della Ceramica Sandro Pisu
Bottiglie con decoro ispirato alla tradizione sarda.
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Manufatti ispirati ai reperti di Tramatza.
Una città, uno strumento di lavoro, un gruppo di artigiani. Su questi tre elementi, che, fondendosi tra loro, hanno caratterizzato un lungo periodo della storia e dell’economia di una città e di una comunità, Oristano da qualche anno si sta impegnando nel rilancio del settore ceramico. Non è stata una scelta casuale. Oristano è una città che vive intimamente la sua storia e promuovere elementi che l’hanno caratterizzata è un fatto naturale. I figoli, gli antichi ceramisti, e le loro produzioni, appartengono alla memoria collettiva della comunità. Il Tornio di via Figoli è il simbolo di una ritrovata vivacità artistica e produttiva, ma anche il titolo di una fortunata mostra che nel 2004, ha animato il centro storico di Oristano. Una mostra che è stata il doveroso tributo a quegli artigiani oristanesi che sino alla metà del secolo scorso hanno fatto della città la capitale della produzione ceramica della Sardegna. Lo stesso titolo, lo stesso marchio, scelto per le iniziative del 2004 hanno visto il Comune impegnato con
Brocche e anfore ingobbiate e invetriate.
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varie esposizioni anche a livello internazionale e con il 1° Concorso regionale di ceramica organizzato nel 2009. La centralissima via Figoli era il luogo tipico della produzione, cottura e vendita di brocche, vasi, “stangiadas”, piatti e stoviglie d’uso quotidiano, oggetti semplici il cui rilievo artistico è unanimemente riconosciuto. La mostra e ogni iniziativa varata in questi anni nel settore ceramico hanno voluto essere un omaggio ai “congiolargios”, quei vasai che sin dall’Ottocento con le loro opere hanno portato anche oltre l’isola il nome della città. Da qualche anno Oristano fa parte dell’Associazione Italiana Città della Ceramica. Oggi, la continuità è affidata ai ceramisti locali che traggono, anche dal nobile passato, ispirazione per realizzare produzioni artigianali di grande valore. Il loro contributo è determinante per rilanciare la produzione ceramica e perpetuare la storia, la tradizione e l’economia della Città dei Figoli.
sa r degna Un insieme di manufatti della tradizione e, sotto, un vaso biansato, invetriato, con decorazioni a rilievo.
Assemini: ceramica di padre in figlio Gianfranco Scalas, assessore alle attività produttive
Assemini è un comune di 26.310 abitanti ubicato nella provincia di Cagliari. Per la sua storia Assemini è considerata “Città di antica tradizione ceramica”: infatti, i primi reperti ritrovati nel territorio risalgono alla dominazione punica. Durante il Medioevo apposite corporazioni, dette Gremii dettarono, con norme riportate in statuti e regolamenti, la disciplina dell’arte ceramica, stabilendo obbligatoriamente canoni e modalità di lavorazione. È grazie a tali norme che la tradizione si è potuta tramandare nei secoli. Con l’avvento della dominazione spagnola che durò sino al XVIII secolo gli strexiaius continuarono la loro arte. L’espressione del ceramista lasciava poco spazio al lato artistico: infatti, i manufatti che si realizzavano erano essenzialmente stoviglie. La poesia della terra, espressa dal ceramista attraverso l’uso dell’argilla, assumeva i contorni della semplicità, utilità, intercalata dal lavoro per il vivere quotidiano. Le emozioni, i sogni e le speranze restavano imprigionati in quel manufatto aspettando di poter trovare la giusta espressione. Nell’Ottocento, durante uno dei suoi viaggi nell’Isola il Lamarmora, vista la presenza di ottima argilla, decise di impiantare in Sardegna industrie ceramiche per la produzione di mattoni e tegole: le fornaci ebbero breve vita mentre la produzione di vasellame mantenne una forte presenza e vitalità in diversi centri dell’isola e in particolare ad Assemini. Con l’avvento del nuovo secolo si è assistito alla consacrazione della ceramica sarda a livello nazionale. Uomini come Ciusa, I Fratelli Melis, e poi Tavolara e Fancello fecero conoscere al mondo l’arte figulina sarda. Spetta ad Assemini, attraverso l’opera di Vincenzo Farci, consacrare l’avvio e l’istituzione della prima scuola – bottega d’arte ceramica poi trasferita a Cagliari nel 1927. Da allora, i segreti dell’arte ceramica tramandati di padre in figlio hanno preso forma e, col modificarsi delle condizioni sociali, il ceramista, sempre saldo ai canoni che accompagnano l’espressione dell’arte ceramica, dominando i quattro elementi che sono la terra, l’acqua, il fuoco l’aria imprime al manufatto sogni, speranze e sensazioni che trasmettono a colui che osserva emozioni uniche.
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Sicilia Ciotola in maiolica in blu cobalto e giallo ferraccia con motivi floreali e con raffigurazione di volatile, primo quarto XVII secolo, ø cm. 28, alt. cm. 12, provenienza Burgio. Collezione privata.
La maiolica di Burgio Vito Ferrantelli, sindaco di Burgio
La maiolica, insieme alla cinquecentesca fonderia delle campane, alla lavorazione della pietra, del vetro e del ferro battuto, costituisce una delle peculiarità dell’artigianato artistico del Comune di Burgio, piccolo e antico centro della provincia di Agrigento. Questa importante tradizione risale almeno al 1589, quando un gruppo di maiolicari caltagironesi si trasferì nel nostro territorio, dove impiantò nuove officine e sviluppò – accanto alla locale lavorazione della terracotta – con l’introduzione delle tecniche per la realizzazione della maiolica, una produzione di qualità. Da allora e per tutto il XVII e XVIII secolo la ceramica di Burgio acquisì, grazie in particolare ad una pregiata produzione apotecaria, una notevole risonanza superando i confini della nostra isola e conquistando anche importanti mercati del Nord. I maiolicari burgitani dell’epoca, oltre a produrre manufatti di vario genere (albarelli, orci, idrie, bocce, ecc.) si caratterizzarono per la produzione di pavimenti la cui qualità, costituita dalla bellezza dei decori e dei colori, trovò ampi consensi fra le classi più agiate del tempo, che le utilizzarono per adornare le più importanti sale di ville e palazzi della Sicilia occidentale, compresa Palermo. La metà del XIX secolo, a causa della concorrenza delle prime produzioni industriali (per es. quella di Vietri sul Mare), segna il lento ed inarrestabile declino di questo settore artigianale. L’attuale produzione dei ceramisti di Burgio è caratterizzata da forme rigorosamente realizzate al tornio, da decori e da una tavolozza di smalti che non hanno riscontro alcuno in nessun altro Comune italiano dove si produce ceramica tradizionale artistica. Tra le forme tradizionali di fine secolo si annoverano quelle dei fangotti, dei lemmi, delle fioriere, dei candelabri, delle burnie ed altre; tra i decori spiccano il ramo di ulivo stilizzato e le decorazioni plastiche a forma di archetti, palmette ed altri; tra i colori: il manganese, il verde e il giallo. Siamo in presenza di una ceramica unica e caratteristica che, alle forme legate all’uso quotidiano, unisce la forza di attrazione della ceramica tardo medievale.
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Frammento di vasellame maiolicato in blu cobalto con particolare di figura muliebre, ultimo decennio XVI secolo, provenienza Burgio, Comune di Burgio.
Luigi Ontani, Piatto del petto e del punto, acquisizione 1996, diam. cm 40, ceramica.
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Gianni Ballarò, Veste pietrificata, 1961/62, cm 130x41x33, maiolica semilucida.
La ceramica di Caltagirone Domenico Amoroso, direttore Musei Civici
Se la secolare sapienza di un rinomato artigianato artistico, quale è la ceramica caltagironese – che affonda le sue radici nella preistoria percorrendo e registrando nelle forme e nei decori tutte le civiltà che in Sicilia si sono succedute fino all’800 – può essere a volte un elemento frenante della creatività propria dell’arte; è pur vero che Caltagirone ha saputo invece anche dimostrarsi vivacemente aperta e sensibile alla ricerca e al rinnovamento. Per non andare più indietro, nel XX secolo artisti di livello nazionale come Gianni Ballarò, Franco Cannilla, Dino Caruso, Andrea Parini, tutti nati in questa città e qui attivi tra gli anni ’30 e ’40, prima del loro, a volte definitivo, espatrio verso una ribalta più alta e prestigiosa, hanno introdotto nella cultura, soprattutto ceramica, i semi di una profonda ricerca che oggi, almeno in parte, hanno germinato anche presso le più di duecento botteghe ceramistiche, e continuano a rappresentare un riferimento e uno stimolo nelle e dalle sale del Museo d’Arte Contemporanea di Caltagirone (MACC), aperto nel 1996. Accanto al Museo Regionale della Ceramica Siciliana, che testimonia la straordinaria produzione isolana dalla preistoria ai nostri giorni, è proprio il MACC a costituire, e non solo in ambito locale e regionale, il maggiore elemento di visibilità e di proposta nell’ambito dell’arte contemporanea, intessendo relazioni con l’artigianato ceramico, sia attraverso la Rassegna Nazionale della Scultura in Ceramica e la Biennale della Ceramica Siciliana, sia attraverso manifestazioni a tema come, solo a titolo di esempi, Sicilia ’70, nelle due Edizioni: “La scultura italiana in ceramica degli anni ’70 nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e del Museo dell’Istituto Statale d’Arte per la ceramica di Caltagirone” e “La ceramica degli anni ’70 in Sicilia nelle collezioni degli Istituiti d’Arte”. Il MACC peraltro nella sua attività di formazione e incremento delle collezioni a mezzo di acquisti e donazioni, privilegia l’aspetto dei materiali, proprio in riferimento all’importanza determinante di questo tema nella produzione ceramica. In questo senso estremamente significativa è la Collezione Sylvia Franchi, donata al MACC nel 2007. La Collezione è infatti strettamente legata alla città e al suo Museo d’Arte Contemporanea sia per il ruolo che la donatrice ha avuto e continua ad avere per Caltagirone, quale organizzatrice delle grandi manifestazioni d’arte realizzate qui da lei dagli anni ’80, con curatori come Marcello Venturoli, Maria Torrente, Filiberto Menna, Gillo Dorfles, Giacinto Di Pietrantonio, Lorenzo Mango, sia per la presenza nella sua prestigiosa collezione internazionale, di artisti che hanno in vario modo puntato la loro attenzione sulla materia; per citare soltanto alcuni: Luigi Ontani, Angelo Savelli, Mario Ceroli, Salvatore Emblema, Giulio Turcato, Enrico Accatino, Jessica Martenson, Wolfgang Ebner, Stelvio Botta. Non sono pochi, gli artigiani ceramisti, soprattutto i giovani, che staccatisi dalla ripetizione, a volte creativa, a volte stanca, dei grandi modelli di riferimento, nel Museo d’Arte Contemporanea trovano stimoli e motivazioni per una ricerca ed una visione più attente alla nostra complessa modernità. È questo il motivo più forte della perenne vitalità della Ceramica caltagironese.
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S. Stefano di Camastra: una storia ceramica Sara Perez, direttrice Museo della Ceramica
S. Stefano di Camastra è uno dei più famosi comuni meridionali di tradizione ceramicola. Il paese deve il suo nome attuale a Don Giuseppe Lanza Barresi, duca di Camastra, che ne avviò la rifondazione nel 1683 in una terrazza sul mare ai piedi del versante occidentale dei Monti Nebrodi. Il vecchio abitato, casale di Mistretta, posto a circa 500 m di altitudine, era stato distrutto l’anno prima da una frana. Se al duca dobbiamo la rapidità della ricostruzione e la nobiltà dell’impianto urbanistico – disegnato sullo schema di uno dei parchi di Versailles, un rombo dentro un quadrato – è allo sfrutamento intensivo dell’argilla che si legheranno le sorti dei “nuovi stefanesi”. Tracce di forni e testimonianze dell’archivio lasciano supporre peraltro l’esistenza di una attività ceramicola sin dall’epoca araba (da i “Quartarara Stefanesi”; relazione del professore G. Martino, 30.06.1977). Giacimenti di argilla venivano già sfruttati dagli Arabi che avrebbero impiantato fornaci per la produzione di utensili sin dal X secolo, per quanto ancora in forma embrionale, e certamente limitata alle necessità della comunità. Già nel libro “Il Re Ruggero” del geografo El Edrisi, l’attività mercantile legata alla produzione ceramica era molto fiorente e nei riveli del XVI secolo, viene menzionata una contrada chiamata “Stazzuni” ancora così denominata che si trova in prossimità del mare, dove un tempo approdavano le grosse imbarcazioni per il trasporto dei prodotti ceramici. L’artigianato figulino siciliano presenta caratteri sostanzialmente unitari. Forme vascolari e repertori ornamentali nei quali è riconoscibile il segno delle singole culture avvicendatesi nell’Isola, che coesistono insieme a motivi che esprimono valori di più lunga durata. Ben presto la produzione figulina conquistò rapidamente S. Stefano portando occupazione e prestigio, continuando a caratterizzarne, fino in epoca recente, l’economia e la cultura. Per diversi secoli l’attività ceramica, rimase circoscritta alla produzione di oggetti d’uso domestico, quali stoviglie, recipienti per l’olio e per l’acqua (giare, bomboli, quartare). Il carettere ripetitivo della produzione andò assumendo nel tempo una standardizzazione che si concretizzava in un severo rispetto di forme e proporzioni. La fioritura di tale produzione spetta alla famiglia Armao che nel 1874 impiantò una fabbrica dove furono chiamati a lavorare na-
poletani apportatori di conoscenze avanzate nel campo delle stoviglierie di largo consumo. Ma la produzione delle officine maiolicare di S. Stefano di Camastra si qualificò soprattutto nell’arte delle mattonelle. Esse furono apprezzate per la regolarità di forme, per bontà di smalti, per vivacità di tinte e di sobria eleganza. Mattonelle dalle tinte delicate splendono ed impreziosiscono l’opulenza barocca e settecentesca dei palazzi baronali. Piastrelle madreperlate in bianco stagno, in un’inesauribile tipologia di disegni, luccicano al sole e ripetono l’eco dei magici profumi dei gelsomini, delle rose, della zagara, sulle terrazze o sulle scale delle ville, mentre enormi giare evidenziano le volute dei cornicioni seicenteschi. Nata come rivestimento ornamentale nelle dimore dell’aristocrazia locale, la tradizione maiolicara caratterizzava, nell’armonia delle tinte e dei disegni, lo sfarzo dei ricevimenti di palazzo, descrivendo in termini raffinati la superba fierezza dei signori borbonici. Una approssimata classificazione non è possibile se non attraverso l’analisi delle poche e rare mattonelle di S. Stefano pervenuteci da raccolte private, dai resti di rivestimenti di alcune tombe del “cimitero vecchio” e dalla pavimentazione di alcuni palazzi (Armao, Trabia), dimora tipica di baroni stefanesi, oggi proprietà del Comune. La prima sepoltura del Cimitero Vecchio risale al 1867, come rivelato da un’annotazione riportata nel registro dei defunti di quell’anno. Occupa un’area rettangolare di modeste dimensioni, a circa un chilometro dal centro abitato di S. Stefano. I resti delle vecchie tombe hanno la forma di aree coperte e di cippi rettangolari: sono rivestite di mattonelle stagnate, chiamate “Ambrogette”, con motivo ornamentale su fondo bianco, motivi che vanno da quelli più antichi eseguiti interamente a mano a quelli più evoluti disegnati in tutto o in parte mediante stampini di carta. Unico esempio in Europa simile a questo è il cimitero di Limoges in Francia. Negli ultimi anni,il rinnovato interesse storico-culturale per le radici del paese ha comportato anche la rinascita dell’interesse per il vecchio sito ed il riconoscimento dell’enorme valore etno-antropologico ed artistico che le sepolture denotano. A motivo di ciò, la Soprintendenza ai BB.CC.AA. ne ha predisposto il restauro. Da quanto su esposto l’area cimiteriale ha ormai soprattutto valore monumentale. Il lavoro di ripristino dell’area stefanese continua nell’interesse che il Comune ha dimostrato per un altro capolavoro della tradizione ceramicola di S. Stefano, il prestigioso Palazzo Trabia, tipica dimora baronale, da cui si evidenzia tutta una produzione chiamata “stile palazzo”, rappresentazione sofisticata, ricca di bande, volute e corolle, a grandi campi, che necessitano di grandi superfici di rivestimento per evidenziare meglio l’interesse del disegno. Il modello del “primo periodo” (fine 700’), ha festoni baroccheggianti, sinuosi, con perfili blu cobalto contornati di manganese, riempiti di giallo arancio, su smalto bianco stagno; al centro di solito un motivo a stella, a fiore, colore vinaccia, verde rame o manganese, proposto, si pensa, in almeno trenta formule diverse. La lettura del disegno genericamente è data da una composizione di quattro mattonelle, a vol-
Sotto: F.lli Todaro, Giara Biansata, h 78,5 cm, terracotta.
te ne sono necessarie otto, o dodici, e persino sedici nei disegni più elaborati. Con i disegni più ricercati venivano pavimentati i saloni e le stanze più importanti, motivi meno appariscenti ma non per questo artisticamente meno validi, decoravano i restanti ambienti con mattonelle a piccolo campo. La Tavolozza dei colori è quella tradizionale: giallo oro, giallo arancio, blu cobalto, manganese e nero. Il Comune di S. Stefano ha destinato Palazzo Trabia a Museo Civile delle ceramiche dopo i restauri che sono stati realizzati e ultimati. L’organizzazione museale ed espositiva comprende più sale. I requisiti spaziali dell’organismo museale risultano di notevole interesse, e gli apprezzamenti rilasciati da esperti lasciano prevedere una significativa affermazione di Palazzo Trabia nel circuito museale specialistico delle ceramiche siciliane e nazionali, (Faenza e Caltagirone). L’obiettivo è quello di fare conoscere e documentare la tradizione locale, con l’esposizione del patrimonio storico e artistico di S. Stefano di Camastra e inoltre includendo materiali provenienti dalle località rappresentative della tradizione regionale (Burgio, Collesano, Caltagirone ecc…), si offre al visitatore un’ampia visione del panorama siciliano della produzione storico-artistica degli ultimi secoli della ceramica, ed un’ampia documentazione del materiale locale. Indubbiamente spetta ai ceramisti stefanesi il merito di avere realizzato nei decenni posteriori al secondo conflitto Mondiale, anche grazie allo stimolo esercitato dalla Scuola Regionale d’Arte per la Ceramica una radicale trasformazione dell’artigianato fittile, dall’epoca dei pionieri nella quale prevalevano la produzione di oggetti di uso domestico (dalla giara immortalata da Pirandello, alla quartara, dal bummulo alla saimera), alla realtà odierna, nella quale la ceramica stefanese si è attestata sul più alto livello artistico e nazionale, ed è famosa perfino su piano internazionale, non solo per la produzione che rivela l’estro creativo e la capacità inventiva, ma anche per la continua ricerca dei nostri artigiani, la maggior parte dei quali “maestri d’arte” diplomati dalla Scuola D’Arte delle Ceramiche. Fondata nel 1929 come scuola di disegno, nel 1938 il Consorzio Provinciale per l’istruzione tecnica di Messina ne decise la sua costituzione come una vera e propria Scuola D’Arte per la Ceramica, che nel 1938 ebbe come illustre insegnante e Direttore il Prof. Ciro Michele Esposito. Il successo didattico e la vitalità artistica della Scuola fecero si che nel 1951 essa divenisse Scuola Regionale D’Arte, e nel 1965 assunse il nome di Istituto Regionale D’Arte per la Ceramica, assumendo un ruolo fondamentale come centro propulsore di formazione per i giovani artisti ceramisti. L’Istituto che opera esclusivamente nel campo della ceramica è particolarmente aperto alla collaborazione con gli operatori del settore, ai quali offre sia il supporto di una incessante attività di ricerca, sia quello promozionale derivante dall’organizzazione di mostre didattiche, dibattiti ed altre manifestazioni concentrate sulla ceramica. Alla Scuola si è affiancato il Museo didattico ricco di esemplari di rara creatività, ispirati alla più pura tradizione siciliana e influenzati insieme da motivi provenienti dalla più antica scultura della Magna Grecia e quella della civiltà Minoico-Micenea. Da quanto sopra detto si evince la capacità dei “nostri”
artisti di creare e di innovare, pur senza abbandonare del tutto il solco della propria tradizione. Ancora oggi le fabbriche degli Armao sono persenti come risorse primarie del territorio stefanese. Dal piccolo artigiano che lavora l’’argilla con le proprie mani, si passa ora all’artista che crea dal nulla, che plasma la materia e riesce a dare vita a forme artistiche eccezionali. I “rastuna”, i “catusa”, “u bummulu”, “u lemmu”, “a giara”, rimangono sempre repertorio e patrimonio essenziale della produzione figulina stefanese, ma sicuramente la cultura artistica del ceramista stefanese adotta ora nuove forme che diventano esse stesse arte e cultura. Queste ora sono il vero prodotto delle mani dell’artista, questo il vero risultato del suo sforzo lavorativo, questo il mezzo mediante il quale egli riesce ad esprimere tutta la sua arte e tutta la sua cultura. Da civiltà di poveri pastori, di umili origini che certamente non rinneghiamo a civiltà di maestri stovilgieri, di grandi professionisti che, grazie all’ausilio della propria creatività, riescono a fare della cruda risorsa della Terra, una mirabile forma d’arte.
sicilia
Nella pagina a fianco: Filippo Fratantoni, Bambola Candelabro, h 40 cm, maiolica decorata.
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sicilia
Salvatore Sabella, Gabbia e Albarello, maiolica policroma.
Ceramica di Sciacca Salvatore Sabella, presidente dell’Associazione Ceramisti di Sciacca
L’arte della ceramica costituì certamente, sin dalle epoche più antiche, una delle maggiori industrie di Sciacca. Molti sono i documenti e i rinvenimenti che attestano questa antichissima tradizione. Al periodo 1283 – 1303, deve essere ascritta la “cannata” con lo stemma di Casa Incisa in Sciacca (oggi nel museo di Caltagirone). Ceramiche con lo stemma degli Incisa, sono state ritrovate a Gela e ad Agrigento. Inoltre, il recente ritrovamento a Sciacca di antichi forni per la cottura dello smalto, nonché il recupero di molti frammenti maiolicati, danno la possibilità di conoscere una produzione di grande pregio, ma anche l’occasione di conoscere i nomi dei maestri operanti dalla metà del XV secolo fino alla fine del XVII secolo tra i quali Nicolao Lu Xutu, Antonio Scoma, Pietro Francavilla, Silvio e Sebastiano Piparo, Cataldo Amoroso, Salvatore Di Facio, Francesco de Xuto, i fratelli Lo Boj, Giuseppe Bonachìa, che elevarono la ceramica siciliana a vera, stimata espressione d’arte. Tale attività non conobbe arresti, neppure quando le bot-
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teghe di Palermo, Caltagirone e Burgio erano in crisi, perlomeno fino al 1630. L’attività dei ceramisti di Sciacca subì una svolta decisiva dopo il 1670, mutamento che caratterizzò la produzione dei manufatti ceramici anche sotto il profilo decorativo e cromatico. Attualmente nella città di Sciacca operano circa 40 botteghe di piccole dimensioni, ma puntano soprattutto ad un prodotto altamente qualitativo. La maggior parte delle botteghe è dislocata nel centro storico, animando la città nel periodo estivo con l’apertura fino a tarda sera, dando la possibilità ai turisti di ammirare le splendide maioliche. Tali maioliche sono caratterizzate nella forma e da alcuni colori che predominano, quali il giallo,il verde e il blu, e si ispirano agli antichi vasi da farmacia del ‘700 siciliano. Tante iniziative sono state realizzate negli ultimi anni grazie alla fattiva collaborazione con l’Associazione Ceramisti di Sciacca promuovendo l’arte della ceramica a livello nazionale ed internazionale.
urbana
Giuseppe Spagnulo, Paesaggi, 1997, Federico Spagnulo, architetto, progetto per via San Marco, incrocio Bastioni di Porta Nuova, acciaio forgiato, sei elementi, dimensioni varie.
Scultura nella città’. Progetti per Milano Nell’ottica di diffondere il concetto di Public Art, Milano reinventa i propri spazi pubblici. Antonella Ravagli
“Scultura nella città. Progetti per Milano” è il titolo del concorso di arte pubblica e dell’esposizione da poco conclusasi alla Permanente. La mostra, oltre agli elaborati selezionati, propone le opere dei più rappresentativi scultori milanesi dell’ultimo cinquantennio. Parlare di arte pubblica richiede una doverosa premessa. Per prima cosa si deve evitare il facile fraintendimento di ridurre il contenuto di questo complesso progetto ad una banale selezione di sculture-monumenti. Un’operazione questa decisamente sorpassata dopo che tutte le nostre città sono state invase da miriadi di monumenti ai caduti, alla Resistenza e ancora peggio all’arma di qualche corpo militare (bersaglieri, fanti, alpini sono tra i più gettonati). In controtendenza, ma con più parsimonia, si è assistito negli anni a seguire ad un primeggiare dell’arte – soprattutto dell’artista-, nella produzione di “opere d’arte” che andavano al di là del contesto e della funzione prestabilita di un determinato luogo. In molti casi sono risultate sculture “stonate” che, seppure di sicuro interesse dal punto di vista estetico, del tutto avulse dal contesto in cui si trovano e perciò non non se ne può godere; sarebbe come ascoltare musica rock in un teatro settecentesco o, viceversa, una sonata per archi in un grande stadio. La Public Art, una delle tendenze emergenti dell’arte del nuovo millennio, si fonda sul recupero del concetto di armonia come elemento fondamentale nella condivisione di un’opera estetica. Infatti, se le avanguardie hanno trovato il loro campo d’intervento nella rottura delle regole oggi, il non essere in sintonia con l’ambiente che ti circonda è piuttosto fonte di disagio. Bauman insegna: il disagio non è più una condizione tipica dell’arte, ma piuttosto fa parte del quotidiano di ciascuno di noi. Diventa perciò pregnante, nel caso della Public Art, l’idea di un’opera che va ben al di là dell’oggetto o dell’artista in sé. Un prodotto estetico, oltre ad essere frutto della cooperazione tra diversi soggetti (l’artista che l’ha ideata, l’architetto che si occupa della contestualizzazione dell’opera, l’ingegnere che rende possibili le grandi istallazioni, il Comune o l’ente promotore dell’evento), trae linfa vitale dal piacere che ne ricava il pubblico nel vivere quell’esperienza. Adriano Sofri, in una riflessione su
questo tema, ha puntualizzato come, per operare nel pubblico, sia indispensabile rivedere la figura dell’artista: quest’ultimo deve abbandonare ogni protagonismo ed essere in grado di avviare una comunicazione aperta alle considerazioni di una pluralità di utenti. L’artista non è più colui che va contro le regole consolidate, ma piuttosto tenta di ricomporre ciò che da troppo tempo è tenuto separato. In altre parole, nella scultura sociale gli artisti anziché andare incontro al sistema costituito dell’arte, lo abbandonano in favore della vita e della società. Cambiare le cose attraverso gli strumenti dell’arte – la musica, la scultura, ...-, significa in definitiva recuperare la forma originaria dell’arte che è quella d’incidere nel sociale – di creare una “scultura sociale”-,
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Italo Lanfredini, Sole e terra, 1990, progetto per i giardini di piazzale Susa, terrecotte e ferro, 24 x 58 x 58 cm. Edi Sanna, Stazione ambientale, 2008, progetto per piazza Pompeo Castelli, terracotta, 70 x 70 x 70 cm.
da cui ci si era allontanati in favore di operazioni di marketing e della ricerca di una facile popolarità. «L’operazione promossa nella città di Milano», come sottolinea Alberto Veca nel catalogo che accompagna l’evento «è proprio quella di affrontare il tema di un’opera d’arte vincolata a uno spazio cittadino, non di un monumento, si badi, ma di un segnale che sia coerente con il luogo scelto e, conseguentemente, con il suo uso... I criteri che hanno guidato questa occasione sono quelli di privilegiare non tanto una scultura, anche ben realizzata, ma estranea al contesto in cui è inserita, quanto l’opera di chi ha pensato, autonomamente o in collaborazione con l’architetto, l’intervento come un “monumento al luogo scelto”,... senza altro scopo se non quello di segnalare e valorizzare, con la propria presenza, uno spazio e gli attori che lo rendono vitale». Occorre perciò tener conto del “sentimento”, del rapporto di “familiarità” che si stabilisce tra il luogo e chi lo frequenta. Un nuovo arredo, un cambiamento sono vissuti immediatamente come un disturbo, in quanto corrispondono alla cancellazione di una memoria personale. La sfida di questa iniziativa è catturare i consensi della cittadinanza interpretando e valorizzando le specificità del luogo prescelto. Artisti di indiscussa fama – Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone, Tony Cragg, Barry Flanagan, Richard Serra, Julian Schnabel, Miguel Barceló, Mimmo Paladino, Luigi Mainolfi-, si sono già espressi felicemente in opere di arte pubblica con interventi ambientali studiati specificamente in rapporto al contesto architettonico e urbanistico per cui sono nati. Questi lavori, raccolti in una sezione storico introduttiva, sono ampiamente documentati all’interno dell’esposizione allestita presso la Permanente. Il catalogo della rassegna è edito da Skira.
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mostre
In alto: Alessandro Tiarini, La flagellazione di Cristo.
In basso: Orazio De Ferrari, Il martirio di Sant’Andrea.
Parlare con Dio
Un nuovo centro espositivo, Le Gallerie dei Gerosolimitani, collocato all’interno dello splendido complesso – chiesa, ospedale e oratorio – della Casa della Commenda dei Cavalieri di Malta Laus Deo nel cuore di Perugia è la sede di una mostra che vuole celebrare il senso originario di misticismo, rigore ed estasi religiosa cosi come veniva comunicato nel passato. Parlare con Dio, questo il titolo della mostra curata da Rob Smeets, inaugurata lo scorso giugno e aperta al pubblico sino al 21 settembre nel capoluogo umbro. La mostra di dipinti antichi vede esposte oltre venti opere, alcune delle quali di grandi dimensioni, di autori come il Maestro di Alkmaar, Abraham Bloemaert, Pietre Binoit, Abraham Bosschaert, Jacob Gerritsz. Cuyp, Orazio de Ferrari, Giusto Fiammingo, Jan Fris, Georg Flegel, Fedele Galizia, Niccolò Gerini, Luis de Morales, Bernard van Orley, Marco Palmezzano, Giulio Cesare Procaccini, Alessandro Tiarini, Claude Vignon e Juan Ximenez. La magica intimità dei fondi oro italiani e dei primitivi fiamminghi, i criptici messaggi moralistici dei dipinti olandesi del ‘600 e ‘700 e la travolgente forza del credo della pittura barocca italiana sono esempi iconici di sorgenti quali i Vangeli, le predicazioni, la catechesi e la liturgia cristiane. Il nuovo spazio espositivo Le Gallerie dei Gerosolimitani è composto dall’ingresso posteriore delle Gallerie, con ampia terrazza esterna che si apre su Via della Sposa e sulla facciata medioevale della chiesa di San Luca costruita a metà del XII secolo. Dal 1460 al 1471 Francesco della Rovere, Cardinale titolare di San Pietro in Vincola, successivamente Papa Sisto IV, ebbe l’arcipriorato proprio della Chiesa di San Luca, che fu per quattro secoli Collegiata dei Canonici Regolari del San Sepolcro, con annessa la loro residenza e l’oratorio dopo il loro distaccamento da Gerusalemme. L’ingresso anteriore delle Gallerie si trova invece su Via San Francesco, nella parte dell’oratorio della Casa della Commenda ristrutturata nel 1484 da Cataneo dei Traversagni, come si legge sul fregio dell’architrave del portone d’entrata, incastonato nella facciata dalle bellissime finestre quadripartite quattrocentesche in travertino. Nel 1560 tutto il complesso, fu affidato ai Cavalieri del Sovrano Militare Ordine di Malta. www.legalleriedeigerosolimitani.org
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Robert Gligorov, Vegeto vegetalis, 1999, Cibachrome, 118 x 95 cm. Courtesy BND tomasorenoldibracco contemporaryartvision, Milano.
Nella pagina a fianco, in alto: Orlan, Pre-Colombian. Self hibridation n.12, 1998, Cibachrome, 90 x 60 cm. Courtesy Carlo Tresso, Vicenza.
In basso: David Lachapelle, Surgery Story: make over, particolare, 1997, C-print, 101 x 76 cm. Courtesy BND tomasorenoldibracco contempararyartvision, Milano.
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mostre
Second Skin: artisti per la pelle Lucia Zanca
TRA, Treviso ricerca Arte è un’associazione nata a Treviso con lo scopo di promuovere l’arte moderna e contemporanea. Fra gli obiettivi dell’associazione quello di esplorare e indagare le possibili contaminazioni fra mondi diversi, fra impresa, design, ambiente e di offrire un servizio di alta cultura al territorio, cioè alle persone. L’iniziativa più recente di TRA è la mostra “Second Skin” allestita presso lo Sazio Paraggi di Treviso e appena conclusasi con la performance “Rapunzel” di Emanuela Centrone, artista che ha come oggetto privilegiato di lavoro il corpo umano, indagato attraverso diverse esperienze artistiche quali pittura, scultura, performance. La Seconda Pelle indagata in mostra non è certo quello strato protettivo per organi e scheletro di cui ogni essere umano viene dotato alla nascita, anche nel caso estremo di autotrasformismo fatto a colpi di bisturi di Orlan, artista presente in mostra. La Seconda Pelle è l’abito, il costume di scena con cui ognuno di noi recita la propria parte ogni giorno. È la merce di scambio con cui quotidianamente intessiamo rapporti sociali, veri o virtuali che siano, nel costante dilemma shakespeariano dell’essere o non essere. La Seconda Pelle è il corpo perfetto dell’artista, non più quello nudo replicato in forma di scultura dipinto fotografia, bensì l’habitus, il corpo abitato, arredato, allestito e rivestito di quell’inquietudine e mutevolezza che sono palcoscenico del nostro contemporaneo. Fra gli artisti in mostra anche Franko B, Vanessa Beecroft, Robert Gligorov, David Lachapelle, Cecilia Paredes, Miwa Yamagi. Valerio Dehò, curatore della mostra, scrive nel saggio in catalogo “…la seconda pelle è allora una forma provocatoria d’identità, qualcosa che ha a che fare con il teatro non solo in una moltiplicazione pirandelliana degli Io, ma anche in una simulazione che non cerca alcun chiarimento… La mutevolezza, l’artificialità sono le uniche forme che abbiamo per capire e comunicare. Senza il punto di riferimento del corpo, nudo e crudo, però ci accorgiamo come tutto diventi più difficile. L’arte contemporanea riflette quindi il paradosso di Oscar Wilde “solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”…restiamo in attesa dell’ennesima seconda pelle che ci inviteranno ad indossare, aspettando sempre quella che ci appartiene veramente”. Il catalogo della mostra è edito da Edizioni Antiga, Treviso. www.trevisoricercaarte.org
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fotografia
Mapplethorpe: un fotografo di altri tempi Antonella Ravagli
In questa pagina, in alto: Robert Mapplethorpe, Mapplethorpe’s Apartment, della serie Case e Giardini, 1988. Nella pagina a fianco, in alto: Tulips, 1987. Nella pagina a fianco, al centro: Ken Moody, 1983. Nella pagina a fianco, in basso: Calla Lilly, 1984.
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Non è strano che questa rivista, tendenzialmente rivolta ad indagare il campo dell’arte ceramica, si interessi di fotografia: l’artista in questione è Mapplethorpe. Parliamo di un protagonista dell’arte dell’ultimo Novecento il cui linguaggio è andato ben oltre la tecnica prescelta come fonte di espressione, per incidere a livello multisensoriale. Le immagini di Mapplethorpe, infatti, sono talmente “vere” da stimolare una sensazione tattile anche se non si possono toccare, volumetrica anche se non possiamo girarci attorno, cromatica anche se sono rigorosamente in bianco e nero. Sono opere che non lasciano indifferenti, qualsiasi sia il soggetto trattato: nature morte (fiori in particolare), immagini erotico – sessuali, ritratti di personaggi famosi. Il media di queste produzioni è la fotografia, ma le possiamo leggere indifferentemente coi codici della pittura, della scultura, dell’architettura. Dal punto di vista fotografico, si rende necessario un salto temporale di oltre un secolo: Nadar è la fonte ispiratrice di Mapplethorpe; da qui i lunghi tempi di posa (da mezzo secondo, fino a 15-20 secondi), la cura del dettaglio, la scelta dei supporti ricchi e sofisticati (ad esempio stampe al platino su tela), l’esigenza di un chiaroscuro estremamente contrastato (tale da ottenere il nero più nero e il bianco più bianco), l’assenza di qualsiasi artificiosità (filtri, lenti particolari, esposizione multipla). Mapplethorpe alterna l’utilizzo della Polaroid, con cui abbozza principalmente la costruzione delle proprie immagini, a quello di una classicissima Hasselblad 500 a mirino quadrato completamente manuale. Nonostante ciò, le opere di questo artista risultano estremamente innovative e in sintonia con le trasgressioni e le nuove espressioni dell’arte newyorkese degli anni 60-70 (Andy Warhol, Donald Judd, Bruce Nauman, Vito Acconci, Chris Burden, Hannh Wilke). Il leitmotiv dei suoi lavori è senza dubbio il bisogno di purezza; «La restituzione della realtà », ebbe a dichiarare Mapple-
thorpe «mi piacerebbe avesse a che fare con la sincerità». La sua arte però non può essere circoscritta al solo concetto di verità. Verità, tra l’altro, che risulta alquanto ambigua in quanto dominata dal controllo incessante dell’artista. Quest’ultimo diventa il rigoroso artefice dello spazio, della forma, della perfezione che determinano l’intensità dell’immagine catturata. La verità nega qualsiasi ricorso ad una lettura simbolista delle immagini, nonostante in molti non resistano a questa tentazione. Nonostante la stretta affinità con le tendenze dell’arte contemporanea, Mapplethorpe non può essere circoscritto entro dei confini. Non è un minimalista, nonostante l’ossessione per la semplificazione delle sue composizioni, per le valenze emozionali che racchiudono ciascuna delle sue immagini. Il suo modo di operare rientra in ciò che nell’arte viene interpretato come “Directorial Mode” – da cui trae origine, ad esempio, l’arte di Cindy Sherman – e che, a tutt’oggi, trova espressione nella documentazione fotografica di scenari, ricreati dall’artista nel proprio atelier, legati generalmente alla quotidianità del vivere. In controtendenza col “Directorial Mode”, Mapplethorpe non ostenta l’artificiosità manifesta di questi artisti, ma persegue l’intenzione di produrre immagini che inseguono l’espressione più vera, che colgono l’essenza delle cose. In questa essenza, sta la chiave di lettura delle sue immagini, che trascende la forma apparente del soggetto (sia quella di fiori, sia le immagini di sesso più esplicito), dandocene una visione distaccata che mira a cogliere, con precisione quasi geometrica, la purezza delle linee e delle forme. Una perfezione che rende evidente il debito dell’artista verso l’arte classica. Non sono rare, infatti, le opere di Mapplethorpe in cui appare il richiamo alla forza e alla purezza delle forme monumentali di Michelangelo e alla poetica trasmessa dai reperti di epoca greco-romana. L’artista stesso confessava di vedere le persone come sculture; ne è un esempio per tutte, la foto di Ken Moody che – ripreso da dietro con le braccia chiuse in avanti –, ricorda perfettamente un busto in pietra senza braccia. Per Mapplethorpe, la fotografia, non è altro che un modo moderno e veloce di fare scultura. La scelta dei soggetti è tutt’altro che casuale. La mostra in corso a Firenze, accosta fotografie di nature morte, nudi e ritratti, secondo una successione che intende sottolineare le caratteristiche formali piuttosto che la cronologia delle immagini. L’intento è quello di rendere visibile al pubblico il “mondo” da cui traevano origine queste immagini, cogliendo lo spirito di un artista che si entusiasmava solo verso ciò che risultava mai visto. Mapplethorpe, indaga perciò temi che non erano mai entrati a far parte dell’arte: il lato oscuro delle fantasie sessuali, i soggetti afro-americani, i corpi femminili dall’inconsueta fisionomia come quello di Lisa Lyon, prima donna culturista. Il suo osare, la “sete del nuovo”, lo portano a diventare un simbolo di libertà nel New York degli anni ‘70. Allo stesso tempo, l’ossessione di voler realizzare esclusivamente ciò che corrisponde ad una propria visione, gli impedisce di realizzare importanti contratti nel mondo della moda che non rinuncia ad imporre il proprio punto di vista. Una condizione imprescindibile per Mapplethorpe – come i suoi collaboratori ebbero a sostenere – era la cieca fiducia nel suo operato; Patti Smith modella, amante e musa ispiratrice dell’artista, si riteneva una vittima consenziente di questo genio dell’arte. Mapplethorpe – Perfection in Form – La perfezione nella forma Firenze, Galleria dell’Accademia, via Ricasoli 58-60 fino al 27 settembre 2009 Orario della mostra: martedì-domenica 8,15 – 18,50 chiuso lunedì www.unannodarte.it/mapplethorpe Per informazioni e prenotazioni 055 2654321 Catalogo: teNeues Publishung Group
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fotografia
Oppure
Oltre la fotografia di moda: cinque nuovi talenti italiani
Oppure – Oltre la fotografia di moda: cinque nuovi talenti italiani è la mostra collettiva di cinque giovani fotografi emergenti che operano nell’ambito della moda: Alessio Bolzoni, Giuseppe Gasparin, Carlotta Manaigo, Chiara Romagnoli, Lele Saveri. Inaugurata lo scorso giugno, rimane aperta fino all’11 settembre presso Monotono, nuovo spazio per il contemporaneo di Vicenza. Una sezione speciale della mostra dal titolo Five ways to deal with Hannelore presenta gli scatti dei cinque fotografi alla top model e musa di Steven Meisel Hannelore Knuts. La mostra, nel suo concept, invita a non concepire la moda e i linguaggi ad essa legati come qualcosa di sterile e fine a se stesso, come qualcosa che potrebbe ipoteticamente nascere oggi e morire domani senza lasciare segni rilevanti. Una riflessione sul tema è quantomeno necessaria per un fashion system giunto al momento di doversi profondaGiuseppe Gasparin.
mente ripensare. “E che magnifico momento quello del ripensamento, no?”, scrivono gli organizzatori dell’evento. Ci sono due vie: quella gattopardesca del cambiare tutto perché non cambi nulla, oppure... “Oppure”. “Oppure” è la via del talento, del merito, dell’annettere forze fresche e nuove visioni a un tessuto, quello della comunicazione di moda, storicamente ricettivo, poroso, contaminabile. Quando non è stato così, è sfiorito su stesso. Insomma, non fare nulla oppure tornare a fare. Ma fare bene. La mostra è la prima tappa di “Oppure”, un laboratorio e un percorso sui linguaggi legati alla moda e alla comunicazione che le gira intorno, che si svilupperà nei prossimi mesi attraverso mostre, incontri, riflessioni, progetti e pubblicazioni. Questa prima collettiva, nello specifico, mostra il profilo professionale e mette in risalto la personalità di cinque fra i più promettenti fotografi italiani di moda, ritrattistica e pubblicità delle ultimissime generazioni. Il fine non è l’opera d’arte ma fare un lavoro di selezione e di mappatura di quei talenti che devono tornare ad essere con urgenza patrimonio condiviso e valore aggiunto per l’industria editoriale e per il sistema moda italiani. All’interno della mostra, oltre ai lavori dei singoli fotografi, viene presentata l’opera collettiva Five ways to deal with Hannelore, opera per la quale i cinque fotografi protagonisti hanno immortalato a Londra, ognuno col suo stile e nell’arco di poche ore, l’iconica top model Hannelore Knuts vestita con gli stessi due outfit pensati appositamente per l’occasione dalla stylist Rossana Passalacqua. Il risultato sono dieci fotografie, due per autore, identiche nel soggetto ma uniche per stile, estetica e personalità. La realizzazione è stata possibile grazie alla disponibilità di Hannelore Knuts di mettersi in gioco e grazie al lavoro di un team creativo formato dal curatore Federico Sarica, dalla stylist Rossana Passalacqua, dalle casting editor Barbara Nicoli e Leila Ananna, col supporto dell’agenzia 2DM. I capi indossati da Hannelore Knuts appartengono alle collezioni autunno/inverno 2009 di Haider Ackermann e Acne. La mostra è a cura di Federico Sarica e Cristiano Seganfreddo. www.monotono.it Chiara Romagnoli.
dischilibri Mulatu Astatke & The Heliocentrics Inspiration Information 3 Strut, 2009 Giovanni Bolognini
Etno jazz del più raffinato dove, ignorando i confini sia fra generi che geografici, si sviluppa una ricerca musicale fra le più interessanti di inizio 2009. Nato dall’idea della Strut Records di far incontrare artisti contemporanei con miti del passato, questo è il terzo volume della collana “Inspiration Information” dedicato a “Mulatu Astatke and Heliocentrics”. Ma chi è Astatke e chi sono Heliocentrics? Il primo, grande vibrafonista e innovatore della musica etiope tra gli anni ’60 e ‘70, nato a Jimma (Etiopia) nel 1943, inizia giovanissimo ad interessarsi al Jazz. Trasferitosi prima a Londra e poi negli USA, negli anni Settanta collabora con i grandi della musica (Ellington); grande impastatore di suoni, innesta nel tipico afro della sua terra pulsioni che vanno dal free alla psichedelia. Come tutti i grandi, Mulatu è rimasto praticamente sconosciuto al grande pubblico fino a quando Jim Jarmush, nel 2005, ha inserito un suo pezzo nella colonna sonora di “Broken Flowers”. Da lì è ripartito alla grande, fino ad essere richiesto anche dai nostri Baustelle per “Amen”. Il collettivo Heliocentrics invece, dell’istrionico batterista Malcom Catto (già collaboratore di Madlib e Dj Shadow), partendo da influenze sia di jazz cosmico (Sun Ra, al quale deve persino il nome ) che soul o addirittura cinematiche (Morricone), arriva ad un tribalismo digitale di grande stile. Il loro album “Out There”, negli anni ’70 fece storcere il naso ai jazzofili più integralisti, per diventare poi un vero punto di riferimento per molta musica nera a venire. Il disco in questione è magnetico, con calme progressioni pianistiche e momenti scuri, brani di chiara influenza africana e scale non temperate della tradizione etiope, trattate dall’elettronica senza per niente snaturare il sapore originario. L’album è nato in una sola settimana, con un ensemble di musicisti etiopi residenti a Londra smaniosi di seguire le indicazioni di Astatke e dei giovani Heliocentrics ; tutti chiusi in un piccolo studio di East London a scambiarsi musica. Strumenti di terre lontane come il krar (lira etiope), il washint (Flauto di bambù), la begena (antica arpa a 10 corde) , il vibrafono del Maestro e una sezione di fiati (la fedele Either Orchestra che lo accompagna nei tour), sono stati filtrati alla fine dalle macchine elettroniche dell’altro gruppo, senza che questo processo risulti invasivo o preponderante sui primi. Il risultato è una grande opera di jazz, moderna e antica, elettro-tribale, senza sfiorare mai la trance; piuttosto, ispirata nelle composizioni all’anima afro del primo Coltrane, mentre nei suoni a quella di Phaorah Sanders e alla “jazzdelia” di Sun Ra. In tutto l’album la preponderanza è del Maestro, anche se i momenti più cinematici e più freschi, sono quelli dove gli Heliocentrics si fanno sentire in modo più marcato. In brani come “Addis black widow” è inevitabile non pensare a “The man with a movie camera” della Cinematic Orchestra, però all’ascolto ci si accorge che non è musica per immagini bensì per la mente; brani cupi si alternano a pezzi più solari e ballabili, in un caleidoscopio di suoni che portano al ricordo di ciò che è stata Londra per tanti anni: il crocevia di tutti i generi musicali, il vero melting pot culturale dove le sorgenti tribali di Africa e Asia si fondevano nella metropoli per fare nascere i primi dischi di musica del mondo. In questo caso un grande inchino alla Strut Records che in solo due anni è riuscita a pubblicare grandi dischi, uno dei quali è questo e, lo dico senza riserve, uno degli album che farà storia.
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antiche curiosità ceramiche
Un nuovo ritrovamento di maioliche rinascimentali a Cesena Denis Capellini Ispettore Onorario della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna
A Cesena, negli ultimi mesi del 2008, in un palazzo del centro storico è stato effettuato un nuovo e importante ritrovamento archeologico: un butto di età Rinascimentale. In questa occasione, fra i molti materiali recuperati, viene presentato un singolo oggetto, ma di un fascino e di una modernità unici; il piatto proposto presenta un decoro cinquecentesco assimilabile alla tipologia definita da Gaetano Ballardini “a rabeschi” (con cuori, racemi, riccioli, foglie, puntini e altri riempitivi) ma in questo esemplare l’ornato è reinterpretato in una disposizione geometrica “a tappezzeria” che incornicia il medaglione con un raffinatissimo stemma bipartito posto al centro del piatto fra nastri svolazzanti. Il butto (o per meglio dire: una cavità sotterranea impiegata come discarica per lo smaltimento dei rifiuti domestici) ha restituito un ricco corredo ceramico composto da oltre un centinaio di stoviglie in maiolica. Questo eccezionale ritrovamento ci restituisce non solo uno spaccato degli oggetti in uso ma, allo stesso tempo, riunisce anche molte delle principali forme rinascimentali come boccali, ciotole, coppe, scodelle e piatti, con decori che vanno dallo stile alla porcellana anche contornata, allo smalto berettino, fino all’istoriato. Oltre alle maioliche sono emersi anche nume-
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rosi manufatti in terracotta ingobbiata, graffite rinascimentali e ceramica comune da fuoco e da mensa. La ricchezza degli ornati dei manufatti, le cui tipologie vanno dal “Gotico-Floreale” fino allo “Stile Bello”, e le numerose tipologie formali, con una datazione circoscritta nel periodo compreso tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento (un largo frammento di piatto porta la data 1533), ci fanno supporre che l’abitazione fosse abitata da una famiglia di una classe sociale medio-alta. Il palazzo, nel periodo in cui presumibilmente si data il butto, dalle notizie d’archivio risulta essere appartenuto alla famiglia Beccari (legato pontificio). La presenza nel contesto di alcuni esemplari, fra cui il piatto qui riprodotto, effigiato al centro da un emblema bipartito, molto probabilmente matrimoniale, ci permette al momento solo di ipotizzare una committenza di un intero servizio ad un episodio circoscritto di cui sono ancora in corso ricerche storico-archivistiche; da notare ad ogni modo la partizione sinistra dello stemma, dove sono ben delineati tre melograni, forse ascrivibile alla famiglia Melagranati; è forse un caso che a Cesena risulta essere ancora oggi presente questo cognome?
Piatto (in fase di restauro), Romagna (?), sec. XVI, Cesena, deposito della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna.
Lo scavo – condotto dalla ditta archeologica Akanthos in collaborazione con i volontari del Gruppo Archeologico Cesenate si è svolto sotto la direzione dalla dott.ssa Maria Grazia Maioli della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna – ha interessato il piano interrato dell’edificio in piazza Pia di proprietà della Fondazione della Cassa di Risparmio di Cesena. L’intero contesto in attesa della necessaria opera di studio è attualmente in fase di restauro, e qui colgo l’occasione per ringraziare gli studenti e il personale docente del “Corso di Restauro” dell’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica “G. Ballardini” di Faenza che si stanno impegnando nel difficile compito di restauro e di rilevo grafico di un nucleo di trenta maioliche “berettine”, dei quali fa parte l’esemplare qui riprodotto. Degno di nota è l’operato dei volontari del Gruppo Archeologico ai quali si deve la segnalazione del ritrovamento che, in corso d’opera ha rivelato, tra l’altro, la presenza di strutture residuali pertinenti alla città di epoca romana e in particolare anche del palazzo risalente ad età tardo-medioevale, di cui il butto, sigillato da strutture posteriori, era parte integrante. Lo scavo è stato materialmente eseguito con professionalità e passione da Piero Dradi, Costante Magnani e Dimitri Degli Angeli, volontari del Gruppo Archeologico, sotto la direzione della competente Soprintendenza. Il Gruppo Archeologico Cesenate opera da quasi un trentennio in stretta e proficua collaborazione con la Soprintendenza ed è grazie all’attività e alla costanza dei suoi volontari che Cesena oggi può vantare un invidiabile patrimonio archeologico e una ricca collezione di maioliche (che coprono l’intero arco temporale dal Trecento alla fine del Seicento); pietre miliari nella riscoperta dell’antica attività manifatturiera ceramica della città, caduta in oblio e venuta alla luce proprio grazie ai ritrovamenti archeologici svolti nel corso di trent’anni; purtroppo ad oggi ben pochi materiali sono stati pubblicati e i contesti sono parzialmente conosciuti anche dagli stessi studiosi del settore. Questo contesto, unitamente agli altri esemplari della produzione ceramica di età Rinascimentale e post-Rinascimentale, rinvenuti nei numerosi butti scavati a Cesena e segnatamente in area romagnola, possono fornire un utile confronto, fino ad ora limitato a pochi centri. È auspicabile che queste splendide stoviglie, una volta restaurate e doverosamente illustrate, possano essere studiate sistematicamente ed i risultati diffusi tramite pubblicazioni scientifiche e non; si spera inoltre che esse possano essere fruite da un più vasto pubblico in una mostra documentaria.
Sotto: Vetrina con una parte dei manufatti (in fase di assemblaggio) rinvenuti nello scavo.
OGGETTO:
Piatto con ampia tesa e cavetto poco profondo; la tesa è lievemente obliqua e presenta un lieve cordolo all’estremità. Piede appena accennato. Corpo in frattura paglierino chiaro (Munsell, 10Y – 8/2). Il rivestimento di colore azzurro chiaro interessa sia il recto che il verso ed è costituito da uno smalto e da una vetrina. L’ornato è dipinto in blu, bianco, arancio, giallo chiaro e verde. Il tema centrale è costituito da uno stemma bipartito: sulla sinistra, su fondo arancio vi è una banda entro la quale sono dipinti tre melograni; sulla destra tracciati in giallo su fondo arancio, vi sono quattro segmenti con estremità uncinate, che intersecati tra loro assumono vagamente l’aspetto di una croce, sormontati da tre stelle. Su tutta la tesa vi è una complessa struttura geometrica nella quale si dispongono elementi vegetali stilizzati. Sul retro vi sono tre “mazzetti” di elementi fitomorfi che si alternano a fiammelle e pennellate sinuose.
ATTRIBUZIONE:
Romagna (?), sec. XVI
TIPO TECNICO:
terracotta con smalto (maiolica)
MISURE:
diam. max cm 23,7; diam. base cm 9,9; h cm 2,6
STATO DI CONSERVAZIONE: frammentato in 16 parti e lacunoso al 15% circa. Totale integrazione formale e parziale ripristino cromatico. PROVENIENZA:
Cesena, rinvenimento archeologico del 2008 nel centro storico.
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a.a.a. altreartiapplicate
Emmanuel Lacoste, Langues, 2006, 4 x 5 x 1 cm, oro fino. Nella pagina a fianco, In alto: Ulrike Kampfert, Gold Thistle, 2007, 4.5 x 3.2h cm, spilla, oro, ferro.
Also known as jewellery, detti anche gioielli A cura della redazione
Also known as jewellery (detti anche gioielli), è il titolo della mostra aperta fino al 10 luglio presso la Galleria Alternatives di Roma. Già il titolo evidenzia la specificità del gioiello contemporaneo che bene si inserisce in nuovi territori di sperimentazione e spesso diventa il luogo ideale di incontro tra l’arte, il design e l’artigianato più tradizionale. Per la mostra sono stati selezionati 17 artisti francesi; un gruppo che illustra la vitalità di questo settore in un paese in cui è ancora forte la tradizione del gioiello rispetto ad altre realtà europee. Dopo Londra, l’evento viene ora presentato in Italia da Alternatives di Roma – spazio specializzato nella valorizzazione e promozione del gioiello contemporaneo a livello internazionale – per poi approdare negli Stati Uniti a fine settembre.
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Questo progetto è parte di un programma di promozione culturale del gioiello contemporaneo a cura della “la Garantie, association pour le bijou”, associazione francese che è parte attiva in tutti gli ambiti culturali che coinvolgo il gioiello quale mezzo espressivo. L’obiettivo di questa mostra, è aumentare la visibilità del gioiello contemporaneo, stimolare un’ampia riflessione sul significato di questo ornamento attraverso un’analisi storico-contestuale, promuovere un’analisi critica dei trends artistici di oggi. Il confronto con la realtà del settore ha messo il gioiello contemporaneo in posizione critica rispetto alla tradizione per cercare nuove risposte a quesiti quali: questo è artigianato? Questi sono gioielli? Le similitudini con la ceramica sono moltissime in questo
In basso, a sinistra: Babette Boucher, Senza titolo, 2008, 11X1,5cm, spilla, ferro, carta, acrilici, calamita.
caso, data la confusione del comparto che arranca alla conquista di luoghi più nobili rispetto alla collocazione in “oggetti d’uso”, come se realizzare piatti o vasi nuovi oggi fosse un tabù. La grande tradizione francese per il gioiello di lusso e per l’alta moda, ha fatto emergere questa piccola comunità di artisti del gioiello. Mentre i precursori (il gruppo EPOC, formatosi nel 1970) sfidarono l’egemonia di Place Vendôme e la sua inesorabile devozione ai materiali preziosi, la nuova generazione di creatori si è collocata in posizione critica verso questi media, inserendo nelle proprie ricerche componenti estranei al mondo dell’artigianato. Questa forte vocazione ad essere crogiolo di esperienze culturali diverse, mette in luce la specificità del gioiello contemporaneo e l’ambiguità dell’essere artigiano oggi, ossia
In basso a destra: Claire Baloge, Collier 8/9B-C, 2006, 70 cm, ø 11; 9; 7; 4,5; 3,5 cm, collana porcellana, rame.
la capacità di oltrepassare le barriere della pratica quotidiana del fare e di leggere criticamente la tradizione, per fonderle con ricerca e sperimentazione, unica via per cambiare e perfezionare ciò che già esiste. www.alternatives.it
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Omaggio a Rodin e Matisse: l’Inferno e l’Anfora Incontro tra danza contemporanea, danza butoh e musica Valentina Pinza
Lo spettacolo ‘’Omaggio a Rodin e Matisse: l’inferno e l’anfora’’ è il frutto dell’incontro di tre artisti provenienti da universi artistici diversi: Clotilde Tiradritti per la danza contemporanea, Gyohéi Zaitsu per la danza butoh e Yuko Hirota per la musica. Sull’ iniziativa di Yuko Yirota, compositrice e musicista, i tre artisti si incontrano e decidono di lavorare sul progetto. L’idea di questo progetto nasce in seguito a una proposta del museo Matisse a Nizza in occasione dell’inaugurazione
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della mostra «Hommage à Matisse et Rodin» lo scorso giugno e sarà ripresa in ottobre al Museo Rodin a Parigi. Il debutto dello spettacolo ha avuto luogo il 26 e 27 giugno al Museo Matisse a Nizza. L’interesse della mostra è quello di mettere in rilievo le affinità forse meno conosciute tra matisse e Rodin. L’incontro tra i due artisti nell’ambito della mostra ci rivela anche un Rodin scultore che disegna, e un Matisse pittore che scolpisce. Matisse, conosciuto principalmente per essere uno dei maggiori esponenti della corrente artistica dei Fauves, si avvierà nella sua maturità, verso un nuovo vigore e una coraggiosa semplificazione (La danza, uno dei suoi capolavori) fino alla realizzazione dei gouaches découpés. La sua serie di Nudi Blu e tra i principali esempi della tecnica denominata “dipingere con le forbici”. Rodin, conosciuto in tutto il mondo per le sue sculture, fu uomo di grande intensità e artista capace di unire la forza e lo slancio della vocazione romantica alle innovazioni tecniche proprie di un ingegno mirabile. La Porta dell’Inferno costituisce il punto più alto della sua carriera artistica e gran parte delle figure da lui create tra il 1880 e ‘90 furono infatti pensate come parti che dovevano confluire nella progettazione finale della porta. Chiediamo a Clotilde Tiradritti come è nato il progetto. “Una parte della mostra è dedicata alla tematica del corpo. È questo uno degli aspetti che ci ha maggiormente inspirato. Si parla di torsione del corpo come rottura delle forme, frammenti e figure riprodotte parzialmente che permettono d’instaurare un dialogo comune ai due artisti: quello della danza Si parla di equilibrio e spazio: i grandi nudi si appropriano dello spazio con una nuova libertà creando il movimento. Si parla di semplificazione delle forme: nei tratti, nelle forme e nei colori. Il nostro lavoro ha preso ispirazione dal percorso artistico di questi due grandi artisti. Immaginato un filo invisible che lega i loro rispettivi percorsi artistici, abbiamo immaginato e ripercorso gli avvenimenti fondamentali della loro vita, passando per i momenti di luce e di ombra.” «Soffermarsi alla semplice rappresentazione delle sculture e delle pitture di Matisse e Rodin, ci è sembrato aneddotico. Abbiamo cercato di andare al di là della semplice forma, cercando di estrarre l’essenza dell’espressione artistica dei due artisti. Attraverso l’improvvisazione ci siamo ispirati li-
Nella pagina a fianco: Yuko Hirota. In questa pagina: Clotilde Tiradritti e Gyohéi Zaitsu.
beramente alla loro personalità e alle loro opere» (Gyohei, danzatore butoh). «Quello che mi ha più affascinato in questo lavoro è l’incontro: dal punto di vista artistico, ma anche sul piano umano. Ognuno di noi, sebbene con un percorso artistico diverso, ha portato nel lavoro la propria esperienza. Seguendo il dialogo interiore della nostra espessione artistica abbiamo generato un vero incontro» (Clotilde, danzatrice contemporanea). Il corpo è stato lo strumento motore della nostra ricerca. Attraverso la danza, abbiamo cercato di captare il movimento a partire dalle forme e dai disegni, attraverso la musica riprodurre i suoni, i rumori, i ritmi, i silenzi... Lo spettacolo si divide in due parti: Rodin con l’atelier, la Porta dell’Inferno, la relazione complessa con Camille Claudel (sua musa, amante e collaboratrice), le «maschere di Hanako» (danzatrice giapponese che incontro’ negli ultimi anni della sua vita). La seconda parte, Matisse, con l’arrivo dei colori (simbolizzata da una cascata di centinaia di palloni colorati sulla scena) la ricerca dell’essenziale (con la ricerca di movimenti essenziali, precisi nello spazio) gli elementi acquatici (con la ricerca di movimenti fluidi e sinuosi), i découpages (con la ricerca di movimenti spezzati). Quando si parla di danza, con una visione un po’ classica, si pensa alla bellezza del corpo, alle linee, alla perfezione…
ma in questi ultimi decenni la danza contemporanea è evoluta, ricercando nel corpo l’interiorità dell’umano: la sofferenza, la gioia, le passioni, i tormenti, le emozioni. Pensiamo alla danza butoh che, nata alla fine degli anni ’50 in Giappone come danza d’avanguardia, fu in completa rottura con i temi tradizionali della società giapponese. Il suo scopo era quello di rivelare le zone d’ombra e oscure del corpo. Cosi’ i movimenti cosiddetti negativi come la follia, la malattia, la debolezza, il caos, la perversione, il vuoto, l’idiozia, doveveno anch’essi inscriversi nella danza. Andare alla ricerca delle relazioni contraddittorie che creano l’equilibrio della natura, la vita e la morte, il pensiero e l’azione, l’ordine e il caos, la purezza e la sporcizia, l’umano e il disumano, il visibile e l’invisibile, lo straordinario e il banale… il gesto quotidiano e la danza”. «Per quanto riguarda la musica, ho cercato soprattutto delle materie sonore, i timbri, il «ma» che in giapponese significa spazio/tempo. Il silenzio diventa musica. Senza Silenzio, non c’è vita, non c’è musica…» Yuko Hirota (compositrice e musicista). Utilizzando diversi strumenti e oggetti sonori come vasi di fiori in terracotta, palloni di plastica come casse di risonanza, gli oggetti si sono transformati in strumenti, perdendo il loro rispettivo ruolo di semplici oggetti. Strumenti piu’ classici come il ballafono, il gong, le percussioni tibetane e il pianoforte, fanno parte dell’universo musicale dello spettacolo, ma quest’ultimo è utilizzato non solo in maniera classica, ma soprattutto come percussione, rivelando l’ampiezza di molteplici sonorità. Come su una tela bianca il pittore traccia le linee, cosi’ il danzatore con il movimento crea lo spazio scenico, mentre il musicista ne definisce lo spazio sonoro (ritmi, durate e silenzi). Il movimento crea il suono, il suono crea il movimento, gli oggetti sonori diventano come «un’orchestra di colori» (Matisse).
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Sotto: Miquel Barceló (sinistra) e Josef Nadj (destra), Paso Doble. Foto Christophe Raynaud de Lage. Nella pagina a fianco in alto: Josef Nadj, Paso Doble. Foto Christophe Raynaud de Lage.
Relazioni difficili, non impossibili
Nella pagina a fianco in basso: Miquel Barceló (sinistra) e Josef Nadj (destra), Paso Doble. Foto Christophe Raynaud de Lage.
Anna Babini
Caro lettore, permettimi di fare un piccolo esperimento: prova a chiudere gli occhi, pensa alla parola “ceramica” e fai un elenco delle prime cinque cose che ti vengono in mente. Fatto? Ora, è probabile che nella tua lista risultino parole quali terra, argilla, arte, artigianato, tornio, forno, vaso, piatto, sanitario, industria, design, o tante altre, dettate anche dalla tua esperienza personale. Ebbene, se l’esperimento è riuscito, non ti sarà però neanche passato per l’anticamera del cervello di citare la parola “teatro”. La cosa – benché possa apparire strano – non è scontata. Un tempo, in particolar modo nella Grecia antica,
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l’interazione tra arte fittile e performativa era d’abitudine, in quanto ceramica e pittura vascolare erano considerate arti maggiori, e l’iconografia delle scene mitologiche raffigurate sul vasellame veniva spesso tratta dagli spettacoli teatrali, data l’importanza che il teatro deteneva all’interno della cultura e della società antica, in particolare per il ruolo di medium attivo da esso svolto tra la società umana e il mondo del mito e del divino. A causa del mutamento radicale nel corso del tempo, all’interno della società occidentale, del ruolo culturale e sociale del teatro e della manifattura artigianale, la relazione tra queste due arti è andata via via affievolendosi, fino a spezzarsi del tutto. Tuttavia, proprio in ragione della non ovvietà di tale relazione, è interessante assistere a come alcuni artisti contemporanei abbiano deciso di sviluppare le proprie creazioni a partire da essa. È il caso – per citare qualche nome – di Fausto Melotti, e più recentemente di Giosetta Fioroni – la quale ha presentato l’anno scorso la serie Teatrini al MIC di Faenza –, o ancora dell’artista statunitense Betty Woodman, che non a caso ha intitolato Teatri una delle sue ultime mostre personali, presentata a Ginevra e Lisbona. Ma se il teatro può essere a volte d’ispirazione per la ceramica, è altrettanto vero il contrario. È questo il caso ad esempio del nuovo e poetico spettacolo di marionette per adulti del famoso gruppo inglese Faulty Optic, FishClayPerspex – presentato recentemente a Londra nell’ambito del Mime Festival – in cui, tra gli altri personaggi creati dalla fervida fantasia di Liz Walker, troviamo due burattini-scultori che rivaleggiano nel modellare busti e figure di creta, materiale di cui essi stessi sono fatti. O ancora si può citare lo spettacolo Un secolo di danza, ideato da Monica Casadei, che ripercorre tramite una proiezione video i momenti salienti del-
la storia della danza dal periodo romantico al neoclassico, mentre sul palco quattro ballerine danzano con indosso corpetti e cache-sex in ceramica realizzati dallo studio Elica di Bologna. Ma uno degli esempi più completi e riusciti dell’interazione tra ceramica e teatro è certamente Paso Doble, spettacolo realizzato ed eseguito dall’artista Miguel Barcelò e dal coreografo e danzatore francese di origini ungheresi Josef Nadj, presentato la prima volta al Festival d’Avignon nel 2006, e successivamente replicato nei più importanti teatri internazionali. Barcelò, pittore, scultore e ceramista catalano nato sull’isola di Mallorca nel 1957, comincia ad essere conosciuto a livello internazionale fin da giovanissimo, dopo la sua parte-
cipazione alla Bienal de São Paulo del 1981 e a Documenta VII di Kassel del 1982. I materiali usati da Barcelò nelle sue opere, una combinazione di tradizionali materiali pittorici e di elementi organici (fango, cenere, sabbia, teschi di animali...), così come anche i temi (paesaggi fluviali o desertici, vegetazioni, animali selvatici, profondità marittime...) riflettono le atmosfere dell’isola natale, Mallorca, ed i paesaggi ampi, desertici e rocciosi del Mali, paese in cui l’artista ha viaggiato e lavorato per oltre un ventennio, fino ad oggi. Le sue opere, materiche e informali, segnate fortemente dall’art brut e dall’action painting, s’inseriscono bene all’interno delle tendenze artistiche dei primi anni Ottanta – quando per l’appunto Barcelò esordisce come artista – in un clima generale di recupero
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della tradizione pittorica che si pone esplicitamente in opposizione al concettualismo imperante degli anni precedenti, e fanno di Barcelò uno dei maggiori esponenti della corrente neo-espressionista, a fianco ad artisti quali Georg Baselitz, Julian Schnabel, Anselm Kiefer, e agli artisti della Transavanguardia in Italia. Nel tempo, nonostante il cambiamento delle tendenze artistiche, e lo scandalo della decorazione della cupola nella sala dei Diritti Umani nel palazzo dell’ONU di Ginevra (costata oltre 20 milioni di euro, di cui in parte sottratti dal governo spagnolo al fondo di aiuti allo sviluppo), la fama di Barcelò è andata aumentando, tanto da essere stato designato per il padiglione spagnolo alla Biennale di Venezia di quest’anno. Paso Doble, presentato per l’appunto anche alla Biennale sotto forma di video, non è altro, sostanzialmente, che la ricreazione scenica, a scala umana, del processo creativo dell’artista. Per circa quaranta minuti Miguel Barcelò e Josef Nadj interagiscono con l’argilla fresca che invade totalmete lo spazio scenico, sul suolo e la parete retrostante i due attori. Inizialmente la parete di creta appare statica e levigata, poi pian piano enormi bolle cominciano ad affiorare, a gonfiarsi e a scoppiare. È solo dopo questa metamorfosi dovuta a un intervento naturale sulla materia, che i due attori iniziano anch’essi ad agire e a intervenire sul materiale organico. Barcelò e Nadj si muovono all’interno dello spazio di argilla, manipolando la terra, graffiandola, zappandola, prendendola violentemente a pugni e mazzate, per creare forme organiche e animali, che ricordano disegni rupestri e tribali. Continuando di tanto i tanto a lanciare getti d’acqua sulla scena, i due attori si ricoprono di creta la testa e parti del corpo, per assumere sembianze bestiali, come di in-
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quietanti divinità zoomorfiche. La loro simbiosi con la terra alla fine si fa totale, ed essi, dopo aver praticato due buchi all’interno della parete di creta, vi scivolano dentro con tutto il corpo, fino a scomparire del tutto dentro alla materia. Non già attorno alla ceramica, bensì alla porcellana, ruota invece lo spettacolo The Porcelain Project, in tour nelle maggiori città europee, e recentemente in scena presso il Barbican Centre di Londra. Prodotto dalla compagnia belga Needcompany, e diretto dalla coreografa Grace Ellen Barkey, esso è frutto della collaborazione di quest’ultima con la costume designer Lot Lemm, e della loro comune passione per la porcellana. Punto di partenza per l’ideazione dello spettacolo – raccontano le due – fu un’installazione in porcellana realizzata anni fa dalla Lemm (una sorta di teatro di marionette popolato da oggetti in porcellana), e da lì l’idea di ingrandire in scala l’installazione, e di farla interagire sulla scena con attori reali. Così, centinaia di vasi, tazzine, piatti e piattini, tutti rigorosamente in porcellana, si affastellano sul palco, o sono appesi a fili sottilissimi che pendono dall’alto sulla scena. Gli attori, vestiti con gonne coloratissime di crinolina, portano anch’essi sul corpo pezzi di porcellana, come protesi rigide ma fragilissime, che a volte conferiscono loro un’aria sensuale – come i seni appuntiti bianchi e levigati –, a volte un’aria sgraziata e bestiale, come nel caso dei lunghi e buffi nasi bianchi, dei falli eretti, delle corna satiresche. Sulla scena si avvicendano dunque creature fantastiche, a metà tra uomini e fauni, che cercano di possedere in ogni modo sensuali danzatrici, o che si muovono come equilibristi in mezzo al fragile vasellame. Tra gli attori compaiono anche personaggi con corone, scettri e spade di cartone che si sfidano in goffi duelli e si lanciano in panegirici privi di senso: sono i “re pazzi”, gli unici a pronunciare verbo in tutto lo spettacolo, fatto per il resto solo di rumori, musica e silenzi. La figura del re è centrale nello spettacolo, e si spiega con la connessione storica della porcellana con le corti d’Europa, e il suo essere simbolo di lusso e regalità: fino al 18° secolo – ovvero fin quando le manifatture europee non scoprirono il metodo per fabbricare la porcellana –, solo i cinesi conoscevano il segreto dell’“oro bianco”, che veniva trasportato dai mercanti in lunghi viaggi verso l’Occidente, e qui venduto a prezzi elevatissimi. Per la Barkey la figura del re è inscindibile dall’attributo della follia, viste le schiere di sovrani pazzi che popolano la storia, dall’imperatore romano Caligola a Giorgio III d’Inghilterra. Ma la follia dei re in The Porcelain Project rimanda certamente anche all’insensatezza dell’avidità umana e alla lotta per il potere, che si riflette pure nella prevaricazione e nella violenza carnale dei satiri sulle danzatrici. E come le parole e i gesti non sense dei re folli, così anche l’intero spettacolo è all’insegna dell’assurdo e del burlesco. Scrive infatti la Barkey: «Chi ricorda il circo delle pulci nelle fiere? L’assurda futilità di un mondo costruito minuziosamente che non porta da nessuna parte... L’estremo
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Nella pagina a fianco: The Porcelain Project, Needcompany. Foto Miel Verhasselt. Performer: Julien Faure.
In questa pagina: The Porcelain Project, Needcompany. Foto Miel Verhasselt. Performers: Benoît Gob & Maarten Seghers. The Porcelain Project, Needcompany. Foto Miel Verhasselt. Performer: Tijen Lawton.
In basso a destra: Un secolo di danza, Compagnia Artemis Danza/ Monica Casadei, fotogramma dello spettacolo. Erica Melli danza con un reggiseno in maiolica a lustro, acciaio, marabù realizzato da Elica.
esempio di un mondo creato artificialmente nel quale arte e teatro s’incontrano. Penso sempre a questo quando sono impegnata nel mio lavoro. The Porcelain Project è in effetti il mio circo delle pulci, all’interno del quale sono gli spettatori stessi a dover decidere lo scopo del tutto». Sia in The Porcelain Project che in Paso Doble spicca dun-
que l’assenza di una trama, e in entrambi i casi ciò che resta è in sostanza la fisicità del corpo degli attori, in interazione con la materia. In Paso Doble assistiamo al coinvolgimento totale e fisico dell’attore-artista con la creta, che implica per osmosi anche quello del pubblico, il quale avverte anch’esso il piacere tattile dello “sporcarsi”, di immergere liberamente – e liberatoriamente – il corpo nella terra. In The Porcelain Project l’interazione tra gli attori e la porcellana genera invece come un duplice movimento di attrazione-repulsione, dovuto alle qualità di questo materiale, al contempo sensuale e gelido, alle sue superfici bianche e levigate, ma anche dure, fredde e rifrangenti. Se in questo “circo delle pulci” uno scopo c’è, e lo spettatore ha il compito di indovinarlo, tale scopo è probabilmente quello di “creare un mondo artificiale”, delimitato dallo spazio scenico, in cui qualsiasi regola logica e cerebrale scompaia in favore di criteri di pura sensibilità e sensualità, nel quale le uniche leggi siano quelle intrinseche alla materia, e al piacere – del tutto fisico – dell’uomo in rapporto con essa.
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A b s t r a c t
Ceramics under forties - page 4
New research into contemporary ceramics at Faenza’s 56th International Competition of Contemporary Ceramic Art, reserved for young artists Last June, Faenza’s International Ceramics Museum – MIC - launched the Contemporary Ceramic Art competition. The jury - made up of Jadranka Bentini (Director of the International Ceramics Museum), Franco Bertoni (expert in the International Ceramics Museum’s Modern and Contemporary Collections of Faenza), David Cameo (the Director of the Galerie de la Manufacture of Sêvres, France), Luigi Ontani (artist), Matteo Zauli (director of the “Carlo Zauli” Museum of Faenza) – presented the following Awards: The “Premio Faenza” worth € 26.000,00 was awarded by the Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio Faenza ex aequo to: Tomonari Kato (Japan) and Andrea Salvatori (Italy). A voucher worth € 10.000,00 was awarded by the Confindustria Ceramica to Mariko Wada (Japan). Franco Bertoni, expert in the International Ceramics Museum’s Modern and Contemporary Collections of Faenza – the Foundation, wrote in the catalogue: “It is the second time since 2000 that the International Competition of Contemporary Ceramic Art has been dedicated to young under 40 artists. There were many reasons behind this choice. The main one being to encourage these new players who are on a stage that is always changing and ever more complex, with the awarding of the Premio Faenza and with an exhibition visibility in such an important and recognised context. Those now obsolete and anachronistic barriers between the so-called artists of ceramics and artists with ceramics, and this means of expression has reached the same level as the other forms of expression, becoming privileged and of widespread interest, from sculpture to design. In a more artistic context, ceramics has shown signs of a new vitality be it through the work of confirmed artists, as well as through the experiments carried out through the new creative stimuli that with this material have captured a certain ductility and expressive potential, and in the materials and colours, being particularly skilled in interpreting the dreams and doubts of the contemporary world: from the ostentatious executive and conceptual excesses and a related, intimate fragility. Ceramics is truly in the limelight”.
À la recherche du Wood perdu - page 6 Andrew Wood’s work is just this: ‘majolicalised’ music. Andrew is a reserved person. His parents took him to the Hammersmith Odeon in 1963 to see Don Everly and the Everly Brothers rock concert. From then on Andrew would have found his way following the guiding light of a comet rock star. The sources of inspiration for his first works were the highly popular Rolling Stones concert in Hyde Park and the first Glastonbury Festival. Andrew did not find a guitar, but ceramics, and he fell deeply in love with this material. Once he left the School of Art, his conventional parents and their sixth sense sent him to the UC Davis University of California, North California, where there was a Ceramics Department led by Robert Arneson, who in fact turned the place into the capital of Funk Art. At that time groups of the likes of the Doors, Grateful Dead and Frank Zappa went to play in those areas. Thanks to the husband and wife team Isaac Tiggrett and Maureen Starkey, Ringo Starr’s ex-wife, Andrew Wood was able to meet all the world’s rock starts. Today Andrew Wood lives in Italy, in Tuscany. If in Florence or in Pistoia it is possible to admire the magnificent Della Robbia high relief wall operas, today in Cortona Andrew Wood is working as a ceramic rock star with his bas, medium and high relief surrealist pop works. First he draws them, then he models the clay. Currently, Andrew Wood is working on The Shape of Things to Come. Pay attention though, Andrew Wood does not appeal to everyone. The harmonious work Niccone Day is about a clear summer day in Val Niccone in Tuscany. Whereas, Fish of Gold starts by wriggling out of the Torrente Esse creek in the Arezzo area, Wood’s unconsciousness has created the work The Future. A Critiche colonial pop helmet. Le Wood retrouvé.
On Franco Battiato’s painting - page 11 Today it is not unusual to find, off the beaten tracks of the consecrated sites of contemporary art, of the temples invaded by triumphant academics, an authentic modernity, capable of challenging the way that has been traced by easy irony that is taken for granted by the critics who, practically consider every experience a finalised one. It is not unusual to recognise in those who give themselves up to a disinterested “pleasure” in art, phenomenon of extremely clear expressiveness, the fruit of a personal research, that avoid the trap of the schematic way of thinking enforced by the dominating doctrinal limits. This is the case of Franco Battiato who, free from any stylist dogmas of any type, can allow himself the ‘luxury’ of opposing the normal alignment with an autonomous, critical, conscious research, that is insinuated in the fabric of a world where musicality and figuration seem to melt together into a kind of mystic union, giving life to a rather particular, essential and even lyrical aesthetic experience of an unexpected evocative power. This gallery of images, that actually finds the leading theme, in fact, in the relationship between music and painting, recomposing the sequence of Battiato’s painting course, in which painting becomes a representation of a personal universe, where the purity of the musical signs and sounds cohabit in dialectic tension; a universe in which the human figure breathes and moves to the rhythm of a clear, prolonged sound, evoking memories of blooming records. This is how Battiato underlines, in an extremely lucid manner, his own concept of art, his aesthetic choice of the actual pictorial language, the sublimation between this and the other forms of artistic activity. Pure forms and shades, pushed to the maximum values of the combination of gold backgrounds or monochromatic depth, images (the favourite contemplation) to which the Levite of apparition, and that we believe dissolved in the evanescence of the patterns of the background light. Much has often been said regarding Franco Battiato’s painting, of a reinterpretation of Byzantine art, involving the primitive Tuscans of the XIII and XVI centuries. I believe that Battiato feels all the fascination of the harmony tied to those principles of rigour, ad this cannot but be rediscovered in the study into ancient art, in the admonition of several Byzantine icons, with their reference to discipline, meditation, to the solemn and austere concentration that is an indispensable premise. Only his individual story follows, his evolution. This renders Franco Battiato’s art an authentic source of hope. Text from “Libro d’Artista” Gilgamesh, a precious limited edition volume – one hundred and fifty issues – published in December 2007 for Edizioni della Bezuga of Florence. This volume concentrates on the lyrical operas Gilgamesh composed by Franco Battiato and performed in 1992 at Rome’s Opera House; it contains three lithographic reproductions of original works created by the author at different times, and inspired to the famous epic ‘sumero’ poem.
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Linde Burkhardt: inside and beyond ceramics - page 15
Personal exhibit at the MIC International Ceramics Museum of Faenza Enough can never be said, even when it will be time to begin, regarding the importance of the erogenous contributions in the long history of ceramics. When it comes to the deep tracks etched by many twentieth century artists and architects she is the contemporary leading player of a complex dialogue between art, architecture, design and ceramics. The fact that this artist can boast of polytechnical interests and powers is well known. In the sixties, she was a painter, but soon she abandoned the easel to undertake aesthetic tests on an urban scale. It is the group Urbanes Design’s greatest moment, as far as their activity was concerned. Founded in 1968 in Hamburg together with her husband Francois Burkhardt, determined to present art through works carried out public places, to let art come out of the usual circuits and to favour its integration in urban areas. Amongst the attempts to overcome constrictive and disputable barriers – without forgetting the bitter and truly long lasting querelle amongst artists of ceramics and artists with ceramics – Linde Burkhardt’s attempt was based upon wide ranging prescriptions and, in fact for this reason, seems to us to be amongst the less casual and those more worthy of attention. The totem stelos entitled Belle di giorno, belle di notte – Lovely by night, lovely by day – on exhibit at the International Ceramics Museum for the first time are also complex and it seems to me that in this group of works it is possible to find a contemporary point of arrival for many of her previous experiences: from the urban scale works of her initial years of activity to the design, right up to the studies into fabrics that somehow helped to gain access to the decorative ceramic universe. Blends and experimentation where Linde Burkhardt moves at ease because her keyword is “freedom”. The freedom to turn the mass of a kind of modern obelisk (an elegant and refined urban sign or a delicate irony regarding naïve presumptions of eternity?) that is smooth and silky like a luxurious fabric. The freedom to move through this petrified forest with the attention – and the excitement – of an entomologist ready to grasp even the tiniest colour variations of a surviving butterfly. The freedom to be contemporarily antique. The freedom to rest fragments of a travelling imagination around unchanging and “absent” forms. The freedom to think that the surfaces change the forms. The liberty to not just be a designer or artist or ceramist. The freedom to stress that cathedrals have never been completely white. The freedom to be “light” and, in this way, perhaps also happy. Text taken from the catalogue of the exhibit, running until 13th September.
Cinderella make-up - page 18 The Enzo Biffi Gentili’s deposit-archive of artefacts in the MIAAO – International Museum of Applied Arts Today of Turin, with its curtains in “brocade” and obscure fabric, reminds me, I hope you will allow my irreverence – of the traditional “alien” Disney character, created by Bill Walsh and Floyd Gottfredson, Eeega Beeva’s black skirt-pants. This hazardous similarity is motivated by the fact that they are both receptacles from which, when necessary, an incredible quantity and variety of objects can be extracted. Like those illustrated on these pages: they are liquor bottles or ceramic jugs, especially of Italian origin, produced in the 1950’s and 1960’s, “fantasy objects”, gifts or for that “important” present, and which once their pouring function had been completed, could turn into interior design accessories, for the living room or the den. The scholar from Turin stands out for his selective approach, one that is “discriminatory”, and therefore essentially, and basically factiously, critical. He prefers and puts forward an “avant-garde form” of this type of artefact, highlighting, additionally therefore a disturbing aesthetic dissymmetry towards their “passito sweet content” (those sweet, syrupy liqueurs, today unthinkable like: maraschino and appassito sweet moscato, goccia d’oro and nocciolino of Chivasso…). This is because he has always been interested in, events of “avant-garde for the masses” – the creators of these objects were very often just simple workers – that in this and other cases, practically in real time managed to absorb and metabolise stelos and graphisms of abstract geometric or organic movements, sign based, gesture based or even to represent pop or post modern solutions. For example, a bottle dated 1959 and created by the company Coronetti of Cunardo is impressive, with its proliferating handless and multi coloured Kandinsky style little triangles that seem to anticipate Alessandro Mendini’s research. The photographs published here are the work of Massimo Forchino, from Turin, who in fact successfully aimed at showing a further considerable feature of this production: the invention of the “variable series”, that is the ongoing aesthetic modification of one same model, therefore creating unique, handmade pieces, at full pace. Thus demonstrating that these vessels, once embarrassing, have today become extremely interesting.
New renaissance majolica find in Cesena - page 48 During the last months of 2008, a new and important archaeological find was made in a building in Cesena’s historic centre: a “butto”, that is a piece of ceramics that had been “thrown away” – buttare in Italian – and dating back to Renaissance times. This exceptional find not only tells us about the objects in use at the time, but it also reunites many of the main Renaissance forms like tankards, dishes, cups, bowls and plates, whose decorations range from the porcelain and even bordered style, to the “berettino” light blue glaze, right up to the istoriato style. Archives show that during the period from which the “butto” is presumably dated, the building belonged to the Beccari family (with Papal ties). The presence in this setting of various pieces, including the plate shown here, bearing a central effigy of an emblem in two parts, most likely representing a marriage union, at the moment allows us to just hypothesis a commission made for an entire dinner set for a limited event and regarding which, at the moment, only historic-archive based researches are underway; it is important to note the left-hand location of the coat of arms, where there are the outlines of three pomegranates, perhaps to be associated with the Melagranati family (from Melagrano – pomegranate in Italian); perhaps it is no coincidence that today this surname can still be found in Cesena? The work carried out by the volunteers of the “Gruppo Archeologico” group is worthy of merit, and the news of this find is thanks to them, who during excavations also found remains of structures belonging to cities from Roman times and in particular also of the building dating back to the late Mediaeval times, from where the “butto”, sealed up by rear structures, was an integral part. Cesena’s “Gruppo Archeologico” has been working for nearly thirty years in close and successful collaboration with the Superintendence and it is also thanks to the activities and hard work of its volunteers that today Cesena can boast of such an enviable archaeological heritage and of such a rich collection of majolica (covering the entire time span from the fourteenth century right up to the end of the seventeenth century); milestones in the uncovering of the city’s ancient ceramic manufacturing activity, that fell into oblivion and came back to life thanks, in fact to the archaeological finds made over the past thirty years; unfortunately to date very little has been published and the contexts are only partially known even by the actual scholars of the sector.
notizie
Maria Cristina Hame, Fish Hearth.
FIORI DI LUCE
Chiude il 12 luglio alla Triennale DesignCafè di Lilano la personale di Maria Christina Hamel. La mostra è una sintesi antologica che comprende e riassume quasi 30 anni di lavoro creativo e di ricerca di Maria Christina Hamel. Sono venti le opere esposte tra vetri e ceramiche, realizzati in luoghi di grande tradizione artigianale dell’Italia, oltre a quattro grandi stampe digitali. Maria Christina Hamel con il proprio lavoro, spesso permeato di colore, vuole raffigurare un’ ideale universo immaginifico fatto di dolcezza, dove ci si possa abbandonare serenamente anche per pochi istanti. Come ha scritto Alessandro Mendini: “Maria Christina Hamel ha cercato, trovato ed elaborato la grammatica e i contenuti del suo mondo bi e tridimensionale, il cui obiettivo mi appare totalmente poetico, privo di grida, prezioso, raccolto e riservato. Aggettivi rari in questo nostro ambiente di clamori”.
C4 BUNKER
Una villa palladiana a Caldogno. Un immenso giardino all’italiana. Le barchesse del seicento. Ultimo elemento del mosaico rappresentato dal complesso storico-architettonico palladiano è un bunker tedesco della Seconda Guerra Mondiale, che si è aperto al pubblico con un grande evento lo scorso 27 giugno presso C4 – Centro Cultura Contemporaneo Caldogno. Contemporaneamente all’apertura del bunker sono stati inaugurati i progetti artistici di Maurizio Arcangeli, Yael Bartana, Herbert Hamak, Igino Legnaghi, Perino&Vele, Arcangelo Sassolino, Elisa Sighicelli, Ettore Spalletti, Leon Tarasewicz
Grazia Toderi, Italo Zuffi, illuminati da una grande installazione laser di Arthur Duff. Nell’occasione verrà presentato inoltre il volume C4 INDEX2. Il bunker, un nuovo spazio per la formazione dell’arte. L’apertura di C4 BUNKER si inserisce all’interno dell’innovativa architettura di formazioni tramite l’arte perseguita fin dall’inizio da C4, diretto da Constantino Toniolo, curato da Luca Massimo Barbero per la parte artistica ed Elena Ciresola per quella formativa con il sostegno di Regione del Veneto, Comune di Caldogno e Provincia di Vicenza. Esempio unico nel vicentino e fra i rari nell’intera Europa di rifugio antiaereo non difensivo ma di soccorso, il grande bunker di Caldogno doveva all’epoca raccogliere i degenti e feriti del vicino ospedale in caso di bombardamenti. Dopo il restauro il bunker si presenta in condizioni molto simili a quando venne costruito conservando l’essenzialità dell’impianto originale. “C4 BUNKER diventa – spiega Costantino Toniolo – il luogo da cui si diramano i labirinti delle creatività contemporanee, uno spazio pubblico dove le opere d’arte non solo si espongono ma soprattutto si formano, uno spazio fruibile in cui mostrare e provare saranno il risultato di una sola operazione.” Il bunker di Caldogno sarà, infatti, sia un contenitore di opere sia uno spazio in cui formazione e arte contemporanea entreranno in relazione con gli artisti, il pubblico e tutta la comunità di Caldogno. L’ambiente “critico” dato dal binomio villa-bunker diventerà quindi palcoscenico del programma di committenza site specific ad artisti italiani e internazionali appartenenti a diverse generazioni e a diverse aree di ricerca. I lavori e le installazioni saranno fondamentale oggetto di studio per fare in modo che l’arte in situ sia un riferimento costante dei programmi del centro: un esempio fra tutti “Confini Creativi 2009”, il corso di formazione in collaborazione con Art For Business e UniCredit & Art per manager, imprenditori e dirigenti della pubblica amministrazione attraverso l’esperienza dell’arte che quest’anno ha visto il coinvolgimento degli artisti Cesare Pietroiusti, Debora Hirsch e Arthur Duff. “L’apertura del bunker – aggiunge il direttore di C4 Costantino Toniolo – rappresenta un’ulteriore occasione di coinvolgimento attivo della popo-
lazione e del pubblico in un inedito e stimolante percorso artistico. Non essendo C4 un centro espositivo né un libro di storia dell’arte, insegna a guardare l’arte e ad usarla per pensare con ottiche diverse”. Info: info@c-4.it www.c-4.it
Fondazione Capri
Nasce la Fondazione Capri. Tra i suoi valori principali: la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico del territorio; la produzione e la diffusione della cultura sul territorio caprese e la formazione ed il sostegno delle eccellenze locali nelle diverse discipline. La volontà dei Fondatori, imprenditori, albergatori, commercianti e professionisti di Capri ed Anacapri, presieduti da Gianfranco Morgano e da Tonino Cacace, con la partecipazione della Città di Capri e della Città di Anacapri e con il contributo della Regione Campania, si rivolge in modo particolare al territorio, alla popolazione, come soggetti attivi nello svolgimento delle sue programmazioni, ma con obiettivi di visibilità nazionali e internazionali. Stimolare, valorizzare e formare le eccellenze intellettuali e artistiche e sostenerle attraverso festival, premi, borse di studio, soggiorni all’estero, è ciò che la Fondazione intende sostenere affiancando nel loro percorso i giovani abitanti dell’Isola. Contestualmente la Fondazione si pone l’obiettivo di promuovere il suo patrimonio storico e naturalistico verso un turismo sensibile alle offerte culturali con obiettivi di collaborazione con soggetti pubblici, privati, nazionali e internazionali che ne condividano le finalità. L’isola di Capri ha ospitato personaggi del mondo dell’arte, della politica, della economia e delle scienze, diventando negli anni luogo di scambio culturale. La Fondazione Capri nasce anche per riaffermare la vocazione dell’Isola quale laboratorio artistico e culturale e centro di confronti basato sull’inscindibile binomio turismo-cultura. Info: info@fondazionecapri.org www.fondazionecapri.org
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notizie
Archivio della ceramica
Dal 31 Gennaio 2009 è on line il sito ww.archivioceramica.com. Il sito, visitabile gratuitamente, presenta oltre 4000 pagine di biografie di ceramisti e storie di manifatture attivi in Italia nell’arco del XX° secolo. Sono presenti nelle pagine oltre 1200 marchi e firme di manifatture e ceramisti. Dal sito, attraverso il negozio ebay http://stores.ebay.it/Archivio-dellaCeramica è possibile inoltre acquistare due interessanti servizi: “Quotazioni d’Asta” che offre una delle oltre 600 schede disponibili con le quotazioni che gli esperti delle case d’asta italiane hanno attribuito ai lavori dei ceramisti o delle manifatture presentati all’incanto tra il 2000 e il giugno 2009. “Identificazioni Marchi di difficile attribuzione” dove è possibile, in un repertorio di oltre 850 marchi, trovare il marchio di proprio interesse e richiederne la giusta attribuzione.
DEDICATO A PIERO Bandini
Lo scorso 26 giugno è mancato Piero Bandini. Oltre ad aver lavorato per oltre 30 anni nell’amministrazione del Gruppo Editoriale Faenza Editrice era diventato un attivo sostenitore del mondo della ceramica, coinvolto in tutte le manifestazioni che a Faenza si svolgono intorno a questa fantastica materia. Il suo amico Arnaldo Sangiorgi lo ricorda: “Ho conosciuto Piero molti anni fa. Dopo il suo lungo impegno alla Feanza Editrice ci siamo trovati molto vicini, complice l’Ente Ceramico. Assieme abbiamo attraversato, con molti amici, tante edizioni del Mondial Tornianti, l’Estate Ceramica, le cotture del grande forno a legna. Lo sento ancora molto vicino, in questo triste momento, con il suo carattere a volte brusco, ma sempre disponibile e allegro. I ceramisti faentini e non solo, hanno conosciuto il suo impegno e la passione nelle manifestazioni dell’Ente; lascia un grande vuoto. Rimane vivo ed insostituibile il suo ricordo; abbiamo perso un amico, un vero caro amico”.
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Dolci per i miei denti Ceramiche di Silvia Zotta
Silvia Zotta, Installazione, 2009, maiolica policroma.
Fino al 19 luglio presso la casa Cogollo detta del Palladio di Vicenza Silvia Zotta espone i suoi Dolci per i miei denti.Lo spazio per il design dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Vicenza propone: le Scatoline caramellate, i Liquirizioni amari e gli Spumoni caldi, i Cuori da mangiare e una Torta da interni della Zotta. Sono alcune delle creazioni immaginose e coloratissime in maiolica e grés. I pezzi unici sagomati in profili essenziali, “costruiti” da accostamenti di smalti verdemela e giallo limonegrattugiato, rosso ciliegia e biancolatte, abbinano l’effetto dei colori alle tracce del processo di manipolazione degli impasti, per rendere tutta la poesia della creazione. Info: uffmostre@comune.vicenza.it
Premio Internazionale
Arte Laguna
Termine ultimo delle iscrizioni: 15 novembre 2009 L’Associazione Culturale MoCA e lo studio Arte Laguna di Treviso invitano tutti gli artisti a visitare il sito www. premioartelaguna.it per conoscere i dettagli e le novità dell’edizione 2009, partocinata dal Ministero degli Esteri. Sezioni: pittura, scultura e arte fotografica Partecipazione: il concorso è aperto a tutti senza limiti di età, sesso o nazionalità ed è a tema libero Finalisti: 90 Artisti Esposizioni: Arsenale di Venezia – Istituto di Cultura Italiana di Vienna – Catch by the eye Londra – Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia
Dotazione del Premio: 50.000 Euro Premi speciali: Galleria L’occhio, Venezia Galleria Perelà, Venezia Galleria Giudecca 795, Venezia Galleria Melori e Rosenberg, Venezia Galleria Wannabee, Milano Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano Galleria It’s My*, Milano Galleria Bianconi, Milano Galleria Primo Piano, Napoli Galleria dell’Ombra, Brescia Galleria De Faveri Arte, Feltre Galleria Alexander Alvarez, Alessandria Galleria Dora Diamanti, Roma Promenade Gallery Contemporary Art, Albania Info: Premio Internazionale Arte Laguna c/o ARTE LAGUNA – Via Roma, 29/A – 31021 Mogliano V.to (TV) tel. 041 5937242 fax 041 8627948 info@premioartelaguna.it www.premioartelaguna.it
SAM a Firenze
Un nuovo spazio restituito alla città: Il Conventino diventa sede dell’artigianato artistico fiorentino. Interventi per 4 milioni di euro finanziati dal Comune di Firenze, dal Ministero delle attività produttive e dall’Edilizia Residenziale Pubblica. Il nuovo centro polifunzionale inauguratolo scorso 21 aprile, si chiama SAM, Spazio Arti e Mestieri. Una superficie di oltre 3.500 metri quadri dove lavoreranno 35 botteghe artigiane, che avranno a disposizione 1100 metri quadri. Quelle già presenti sono 15, le altre 18 saranno selezionate con una bando pubblico indetto dal Comune di Firenze che definirà criteri qualitativi e produttivi. Il recupero edilizio del Conventino ha permesso anche la realizzazione di nuovi spazi pubblici (un giardino con annesso un chiostro su circa 900 metri quadri), sei mini appartamenti per l’edilizia residenziale pubblica (per una superficie complessiva di 260 metri quadri), uno spazio frontoffice come punto informativo e di promozione dell’artigianato artistico e spazi per la formazione di giovani artigiani (circa 150 metri quadri). L’intervento di recupero ha permesso anche l’ampliamento degli spazi collettivi. Nel Conventino avrà sede la Fondazione di Firenze per l’Artigianato Artistico.
notizie
Due botteghe artigiane saranno lasciate libere di poter ospitare, di volta in volta, artigiani del mondo che arrivano da fuori Firenze per proporre la propria attività, per imparare e per scambiare esperienze lavorative.
FUTUROSSI 2009
Gli Spazi Espositivi per l’Arte Contemporanea di Albissola Marina, siti in Via dell’Oratorio, hanno ospitato, dal 28 maggio al 7 giugno 2009, un considerevole numero di opere del ligure Giacomo Paolo Rossi. Il titolo della mostra ha giocato un poco, in sintonia con le celebrazioni del corrente anno, con il pretesto futurista, introducendo peraltro a contenuti esemplificativi di una produzione molto personale e davvero intensa, relativa ad un unico anno di attività (2008-2009; solo un piatto è datato 2007). Nativo di Ferrania (Cairo Montenotte, SV), l’artista si ritrova a frequentare l’ambiente ceramico albisolese già dalla fine degli anni Sessanta, operando nella bottega di Lino Grosso, dove – si legge in catalogo – “ha l’occasione di conoscere e seguire Agenore Fabbri ed i frequentatori della Galleria Pescetto”. Rossi non è però ceramista, questo egli tiene a precisare, nonostante una certa, evidente disinvoltura acquisita in materia. Rossi è (forse) primariamente pittore. Tuttavia egli ama spaziare, trasporre le tematiche e modalità sue tipiche da un linguaggio espressivo all’altro. Sintomatici ed esemplificativi sono, in tal senso, dei raffinati piatti in vetro che citano nei contenuti il particolare di un dipinto. A questo proposito, ricordo che l’artista ha lavorato professionalmente nell’ambito del vetro a partire dal 1972, entrando nel 1984 alla vetreria Valbormida di Càrcare come direttore commerciale; inoltre, fra il 2002 e il 2007 egli è stato Consigliere della Fondazione Istituto per lo Studio del Vetro e dell’Arte Vetraria di Altare (SV), collaborando al trasferimento del Museo nell’attuale, prestigiosa sede di Villa Rosa. Sotto il profilo strettamente creativo, Giacomo Rossi ci spiega che, generalmente, è sua precisa intenzione suddividere la campitura totale di un quadro, di una ceramica, di un vetro, in tante parti potenzialmente separabili fra loro, ovvero dotate di senso proprio. Questo si esprime con autentici tagli nei pannelli ceramici,
composti così di più “tessere” caratterizzate da cromatismi informali e dalla costante presenza di elementi somatici ben identificabili, come occhi, nasi, visi…; ma si visualizza anche grazie a certe strisce, per lo più nette e precise, che percorrono in varie direzioni le tele. Emerge in tal modo una palese duplicità che, in rapida riflessione maturata a posteriori, può far pensare a due aspetti, apparentemente contradditori, ma invece complementari, della personalità dell’artista: iconografia riconoscibile e zone informali; geometria e segno libero; controllo e abbandono; ragione e istinto. Chissà se c’è un piatto della bilancia sul quale il nostro Giacomo Paolo Rossi ritiene di pesare maggiormente? Alida Gianti
volontariamente, il simbolo delle incomprensioni tra Vittorio Sgarbi, ex assessore alla cultura di Milano, e il sindaco Letizia Moratti.
L’OVOMANIA di FLAVIO ROMA
Miss Kitty va all’asta
Come su un uovo, 2005, cm 19,5 x 25 x h.57.
Paolo Schmidlin, Miss Kitty, Terracotta policroma 2006.
Riappare, alle aste primaverili di Porro & C, la contestata terracotta policroma di Paolo Schmidlin intitolata Miss Kitty. La scultura, stimata 20000/25000 euro, che era stata al centro delle polemiche relative alla mostra Vade Retro, nel luglio 2007, è stata proposta in asta, il 19 maggio scorso dalla Porro & C. Si concluderanno, forse, con l’asta milanese le vicende di quest’opera tanto contestata che è divenuta, in-
Flavio Roma, scultore, ceramista, pittore di Albissola Marina, ha diffuso di recente (aprile 2009) un comunicato relativo ad una nuova acquisizione museale che riguarda la propria produzione. L’opera si intitola “Come su un uovo” ed è una scultura monotipo modellata a piastra in argilla semirefrattaria, cotta due volte a 980°C, trattata con ossidi, smalto riflessato metallizzato e lieve strato di smalto bianco mat aerografato (anno 2005). La struttura pubblica di riferimento è il Museo Civico della Ceramica di Nove (Vicenza), sito in Palazzo G. De Fabris. Roma opera da anni nel suo atelier situato al piano terra del suggestivo Castello Barile (un edificio del XVI secolo che affaccia su Piazza S. Antonio). L’”ovomania”, ovvero la “storia di un uovo che non ha ambizioni”, argomento trattato dallo scultore già nel novembre 2004, viene da lui sintetizzata con le parole che seguono: “L’uovo è soltanto un uovo. Una meravigliosa forma solida che si fa complice della fantasia e della creatività, permettendomi di realizzare le composizioni che, come titolo generale, ho chiamato Ovomania. (…) L’uovo delle mie creazioni è semplicemente un uovo che nulla simboleggia. (…)
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notizie
L’accostamento della figura all’uovo (una figura sta infatti appollaiata sull’uovo, n.d.r.), quasi come supporto, è veicolo che lo innalza, producendo, anche se nella ridotta dimensione, una slanciata micro-monumentalità, rendendo queste mie nuove creazioni irreali, surreali, mentre il contenuto ludico-ironico, spesso esagerato nella forma, ci ricollega idealmente a tutte le opere che ho realizzato sin da quando iniziai il mio percorso artistico con la pittura nel 1964 e nel 1966 con la scultura”. Alida Gianti
DALLE PMI ALLE PMI
Domanda e offerta di Servizi
Prende il via Dalle PMI alle PMI, il nuovo servizio pubblicitario promosso da Agenzia Polo Ceramico nell’ambito del progetto regionale Laboratorio Centro Ceramico della Rete Alta Tecnologia della Regione Emilia-Romagna. Il servizio vuole favorire il trasferimento tecnologico e la diffusione di prodotti specialistici all’interno delle piccole e medie imprese che operano nel settore ceramico e dei nuovi materiali. Le aziende che desiderano promuovere gratuitamente la propria attività possono contattare l’Agenzia al numero 0546-670311 o visitare la pagina www.agenziapoloceramico.it/ servizi/pmi_domanda_offerta_servizi. L’Agenzia provvederà a pubblicare le offerte ricevute in una sezione dedicata del sito web, diffonderle presso i propri partner e individuare aziende potenzialmente interessate. Ultime offerte pubblicate: - Offriamo tecnologie innovative, nuovi materiali e macchine, sistemi di deposizione sotto vuoto per il trattamento superficiale e la deposizione di film sottili. Applicazioni: coating ceramici e metallici e trattamenti superficiali per il settore biomedicale, medicale, biosensori, fotovoltaico, printed electronics, RFID. Codice OSS016 - Offriamo servizi di caratterizzazione proprietà fisico-meccaniche di materiali per edilizia. Laboratorio attrezzato per Marcatura CE. Codice OSS015 - Offriamo macchine e/o servizi per la serigrafia di substrati uso elettronico. Applicazioni: Celle fotovoltaiche, Sensori, Fuel Cell, Circuiti elettronici
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notizie
thick film. Macchine: Macchine serigrafiche, Forni drying-curing-firing, Miscelatori per paste serigrafiche. Codice OSS014 - Offriamo servizi di qualificazione delle proprietà termiche dei materiali per l’involucro edilizio (bassa/media conducibilità).Termoflussimetro con anello di guardia: 0,002 – 0,05 m2K/W. Codice OSS013 - Offriamo servizi ingegneristici per la progettazione, la realizzazione e la caratterizzazione funzionale di dispositivi piezoelettrici (sensori, attuatori, trasduttori). Codice OSS012 Chi volesse contattare le aziende offerenti è pregato di scrivere ad Agenzia Polo Ceramico all’indirizzo pmi@ agenziapoloceramico.it specificando il Codice Offerta.
SANTA ROSSELLO Ventinove Artisti per testimoniare
Alfredo Gioventù, Arcano la Santa, 2009, cm 43 x 16 x 8, grès e legno.
In questo 2009 Santa Maria Giuseppa, al secolo Benedetta Rossello, è da vent’anni esatti la “patrona dei figuli e dei ceramisti liguri”. Il I febbraio 1989, infatti, tale riconoscimento le veniva ufficialmente attribuito con un atto di approvazione emesso dall’Arcivescovo di Genova per conto della Conferenza Episcopale Ligure, atto che faceva seguito a precise richieste a suo tempo avanzate dal ceramista Giuseppe Mazzotti di Albissola Marina. Per questa speciale circostanza, l’Associazione No Profit “Renzo Aiolfi” di Savona, presieduta dalla Dott. Silvia Bottaro, ha programmato una nuova rassegna d’arte dedicata alla patro-
na, precisamente la quinta di una serie, ed ha pensato proprio a Genova come sede espositiva adeguata. Il capoluogo di regione fa seguito a Savona (primavera 2006), Albissola Marina (settembre 2006), Roma (2007), Finale Ligure (2008), e vanta un numero superiore di contributi alla mostra: da sedici opere siamo infatti arrivati a ventinove. Su gentile richiesta della Bottaro, mi sono prestata volentieri per un personale contributo alla manifestazione, occupandomi di presentare sinteticamente le tredici opere aggiunte, quelle inedite, che sono opere ceramiche nella quasi totalità dei casi. La mostra si è tenuta al 5 al 13 giugno, presso la Sala Mostre della Civica Biblioteca “Berio” (conosciutissima in città), con il sostegno di Regione Liguria e con patrocinio e contributo di numerosi Enti ed Associazioni. Ma qual è il senso della testimonianza dichiarata nel titolo? Detta in breve, esso risiede nel voler ribadire un pubblico ringraziamento, tramite omaggi artistici, ad una figura che molto si è prodigata nell’ambito sociale savonese. Della protagonista, nata ad Albisola nel 1811, si ricorda in particolare la fondazione, nell’agosto 1837, della Congregazione delle Figlie di Nostra Signora di Misericordia (ospitata in una vecchia casa di Savona, la Commenda dei Cavalieri di Malta), finalizzata all’educazione delle fanciulle e destinata a diffondersi moltissimo, in Italia e all’estero. Non dimentichiamo inoltre che la piccola Benedetta, figlia di modesti stovigliai, era cresciuta “respirando l’argilla” e cimentandosi direttamente nella foggiatura e decorazione ceramica, a fianco dei genitori. Il ceramista Tullio Mazzotti (che annovera nel repertorio della Fabbrica omonima due oggetti, calice e patera in maiolica bianco/blu, con stemma della summenzionata Congregazione) scrive a tal proposito: “Restano i racconti orali tramandati dai vecchi che l’avevano conosciuta e la rammentavano intenta a decorare e plasmare le statuine presepiali e quelle dedicate alla Madonna della Misericordia. Il ricordo di tali gesta è divenuto oggetto dell’opera in ceramica di Umberto Piombino intitolata La piccola Benedetta nella bottega del padre”. Alida Gianti
IL SOLE 24 ORE BUSINESS MEDIA SRL D’ESERCIZIO IL SOLEBILANCIO 24 ORE BUSINESS MEDIA SRL chiuso al 31 D’ESERCIZIO dicembre 2008 BILANCIO Valori bilancio espressi in2008 euro chiusodi al 31 dicembre Valori di bilancio espressi in euro Prospetto di dettaglio dei ricavi relativo al bilancio chiuso al 31-12-2008, ai sensi del DL 2310-96 n.rodi545, convertito in legge 23-12-1996 n.ro 650 e successive modficazioni, nonché Prospetto dettaglio dei ricavi relativo al bilancio chiuso al 31-12-2008, ai sensi del DL 23della n. 236/01/CONS. della autorità n.ro Garante le Comunicazioni del 30-05-01 10-96deliberazione n.ro 545, convertito in legge 23-12-1996 650per e successive modficazioni, nonché Prospetto di dettaglio dei ricavi relativo al bilancio chiuso al 31-12-2008, ai sensi del DL 23edella delladeliberazione delibera n. 129/02/CONS. delladella Autorità perGarante le Comunicazioni del 24-04-02 n. 236/01/CONS. autorità per le Comunicazioni del 30-05-01 10-96 n.ro 545, convertito in legge 23-12-1996 n.ro 650 e successive modficazioni, nonché e della delibera n. 129/02/CONS. della Autorità per le Comunicazioni del 24-04-02 della deliberazione della autorità Garante per le Comunicazioni del(valori 30-05-01 RICAVI DELLE VENDITEn.E236/01/CONS. DELLE PRESTAZIONI €/000) e della delibera n. 129/02/CONS. della Autorità per le Comunicazioni del 24-04-02 RICAVIVendita DELLE diVENDITE (valori€€/000) 01 copie E DELLE PRESTAZIONI 5.836 01 di copie e delle prestazioni Ricavi delle vendite 02 Vendita Pubblicità 02 Pubblicità 01 Vendita di copie 03 Diretta 03 Diretta 02 Pubblicità 04 Tramite concessionaria 04 03 05 05 04 06
Ricavi da editoria on line Ricavi da editoria on line
06 05 07 07 06 08
Ricavi da editoria on line
08 07 09 09 08 10
Ricavi da vendita di informazioni Ricavi di informazioni Ricavi da da vendita altra attività editoriale
5.836 (valori €/000) €€39.909 €€€39.909 5.836 37.761 €€37.761 39.909 2.148 2.148 €€€37.761 2.175
Tramite concessionaria Diretta
€ 2.175 2.148 € 42
Tramite concessionaria Abbonamenti Abbonamenti Pubblicità
€ 42 2.175 € 2.133 € 2.133 € 42
Pubblicità Abbonamenti
Pubblicità
€ 3.539 2.133 € 3.539 € 51.459
10 09
altra attività editoriale Ricavi di informazioni Totale da vocivendita 01+02+05+08+09 Totale voci 01+02+05+08+09 Ricavi da altra attività editoriale
10
IL SOLE 24 ORE BUSINESS MEDIA S.r.l. Totale voci 01+02+05+08+09
€€51.459 3.539
€ 51.459
24a ORE BUSINESS MEDIAdelS.r.l. società unipersonaleILeSOLE soggetta direzione e coordinamento IL SOLE 24 ORE S.p.A. Legale Via Patecchio, 2 20141 MILANO società unipersonaleILSede eSOLE soggetta a direzione e coordinamento delS.r.l. IL SOLE 24 ORE S.p.A. 24 ORE BUSINESS MEDIA € 16.000.000,00 i.v., SedeCapitale Legale Sociale Via Patecchio, 2 - 20141 MILANO società unipersonale e soggetta e coordinamento del IL SOLE 24 ORE S.p.A. Cod. Fisc., Part. IVAaSociale edirezione iscrizione nel R.E.A. n. 00081580391 Capitale € 16.000.000,00 i.v., Sede Legale Via Patecchio, 2 - 20141 MILANO Cod. Fisc., Part. IVA e iscrizione nel R.E.A. n. 00081580391 CONTO ECONOMICO Capitale Sociale € 16.000.000,00 Nota Nr i.v.,Esercizio Esercizio Cod. Fisc., Part. IVA e iscrizione nel R.E.A. n. 00081580391
(in migliaia di Euro) CONTO ECONOMICO (in migliaia Euro) CONTO Ricavi libriECONOMICO e di periodici
(in migliaia Euro) Ricavi libri e diperiodici Ricavi pubblicitari pubblicitari Ricavi libri e periodici Altri ricavi Altri ricavi Ricavi pubblicitari Totale ricavi
Nota Nr
Nota (22)Nr (22) (23) (23) (22) (24)
Costi del personale Altri proventi operativi Variazione delle rimanenze Variazione delle rimanenze Costi deldipersonale Acquisti materie prime e di consumo
(26) (25) (6) (6) (26) (27)
(11.217) 2.647 28 28 (11.217) (130)
(8.209) 396 (474) (474) (8.209) (1.872)
Acquisti materie prime e di consumo Variazione delle rimanenze Costi perdiservizi Costi per perdigodimento servizi Acquisti materie prime e didiconsumo Costi di beni terzi
(27) (6) (28) (28) (27) (29) (29) (28) (30)
(130) 28 (35.451) (35.451) (130) (1.682) (1.682) (35.451) (956)
(1.872) (474) (20.263) (20.263) (1.872) (1.012) (1.012) (20.263) (682)
(30) (29) (31) (31) (30) (7)
(956) (1.682) (701) (701) (956) (834)
(682) (1.012) (1.910) (1.910) (682) (110)
(7) (31)
(834) (701) 3.163 3.163 (834) (1.509)
(110) (1.910) 2.895 2.895 (110) (158)
(1.509) 3.163 (212) (212) (1.509) (1)
(158) 2.895 (237) (237) (158)-
(1) (212) 1.441 1.441 (1) (209)
(237)2.499 2.499 (318)-
(209) 1.441 153 153 (209) 1.385
(318) 2.499 155 155 (318) 2.336
1.385 153 (697) (697)1.385 (697) 687-
2.336 155 (2.025) (2.025) 2.336-
Risultato operativo Minus/Plusvalenze da cessione attività non correnti Proventi (Oneri) finanziari Proventi (Oneri) finanziari Risultato Altri proventioperativo da attività e passività
(1) (32) (32) (33)
Altri proventi da finanziari attività Proventi (Oneri) Risultato prima dellee passività imposte Risultato dellee passività imposte Altri proventi da attività Imposte sulprima reddito
(33) (32)
Imposte sulprima redditoattività Risultato delle imposte delle cessate Risultato Imposte sul delle redditoattività cessate Risultato netto
(33) (34) (34)
netto attività cessate Risultato delle
687-
(2.025) 311311-
Risultato netto
687
311
(34)
(4) (3) (4) (4) (5)
Attività per imposte anticipate Altre attività non correnti Totale Totale Attività percorrenti imposte anticipate Attività
(5) (4)
Totale correnti Attività Rimanenze Rimanenze Attività correnti Crediti commerciali
4.303 19.417
318 19.417
4.303 167 167 1.962
318 184 184 1.191
(5)
1.962 167 26.570 26.570 1.962
1.191 184 21.907 21.907 1.191
(6) (6) (7)
26.570 1.765 1.765 25.584
21.907 125 125 16.005
Crediti commerciali Rimanenze Altri crediti Altri crediti Crediti commerciali Attività per imposte correnti
(7) (6) (8) (8) (7) (9)
25.584 1.765 1.420
16.005 125 1.078
(9) (8) (10) (10) (9) (11) (11) (10)
1.420 25.584 138 1384 1.420
1.078 16.005 1.384 1.384 1.078 83
1384 1.514 1.5144 30.425 30.425 1.514 56.995
83 1.384 830 830 83 19.505 19.505 830 41.412
30.425 56.995
19.505 41.412
56.995
41.412
(12) (12) (13) (13) (12) (14) (14) (13) (15)
16.000 16.000 10.685 10.685 16.000 987 987 10.685 687
10.000 10.000 5.946
(15) (14)
(15)
687 987 28.359 28.359 687
311 1.184 17.441 17.441 311
Totaleci Patrimonio netto Passività non correnti Benefi ai dipendenti Benefi ci aiperdipendenti Passività non correnti Passività imposte differite
(16) (16) (5)
28.359 3.182 3.182 509
17.441 2.486 2.486 433
Passività Benefici aiperdipendenti Fondi rischi eimposte oneri differite Fondi rischi e oneri differite Passività per imposte Totale
(5) (16) (17) (17) (5)
509 3.182 3.944 3.944 509 7.635
433 2.486 3.890 3.890 433 6.808
Totale Fondi rischi ecorrenti oneri Passività
(17)
7.635 3.944
6.808 3.890
Totale Passività Altre passivitàcorrenti finanziarie correnti Altre passività finanziarie correnti Passività correnti Passività per imposte correnti
(18) (18) (19)
7.635 6.082 6.082-
6.808 7.436 7.436 799
Passività per imposte correnti Altre passività finanziarie correnti Debiti commerciali Debiti commerciali Passività Altri debitiper imposte correnti
(19) (18) (20) (20) (19) (21)
6.08212.624 12.624 2.295-
799 7.436 6.272 6.272 799 2.655
Altri Debitidebiti commerciali Totale Totale Altri debiti TOTALE PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ
(21) (20)
2.295 12.624 21.001 21.001 2.295 56.995
2.655 6.272 17.162 17.162 2.655 41.412
Totale PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ TOTALE
21.001 56.995
17.162 41.412
TOTALE PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ
56.995
41.412
Disponibilità liquide e mezzi equivalenti Altre attività correnti Totale Totale Disponibilità liquide e mezzi equivalenti TOTALE ATTIVITÀ
37.030 3.026 396 396 37.030 (8.209)
(1) (3) (1) (1)
Attività fiimmateriali nanziarie disponibili per la vendita Altre attività non correnti Altre non correnti Attivitàattività finanziarie per impostedisponibili anticipateper la vendita
29.876 4.128 3.026 3.026 29.876 37.030
51.459 2.802 2.647 2.647 51.459 (11.217)
materiali attività non correnti Ammortamenti attività Minus/Plusvalenze da immateriali cessione Minus/Plusvalenze da materiali cessione attività non correnti Ammortamenti attività Risultato operativo
(2) (1) (3) (3) (2) (4)
797 797 19.417 19.417 797 318
Attività per imposte Altri crediti Altre attività correnti correnti Altre correnti Attivitàattività per imposte Disponibilità liquide ecorrenti mezzi equivalenti
(24) (25) (25) (26)
(7) (3) (3) (1)
Avviamento Immobili, impianti e macchinari Attività immateriali Attività Avviamento Attività fiimmateriali nanziarie disponibili per la vendita
721 721 19.417 19.417 721 4.303
2007 4.128 29.876
2008 7.486 41.171
(24) (23)
Margine operativo lordo Svalutazione crediti Ammortamenti attività immateriali Ammortamenti attività lordo immateriali Margine operativo Ammortamenti attività materiali
(1) (1) (2)
2007 Esercizio 2007 Esercizio 4.128
Totale ricavioperativi Altri ricavi proventi Altri proventi operativi Totale ricavi Costi del personale
Accantonamenti Oneri diversi dicrediti gestione Svalutazione Svalutazione crediti lordo Accantonamenti Margine operativo
Attività non correnti ATTIVITÀimpianti Immobili, e macchinari Immobili, e macchinari Attività impianti non correnti Avviamento
2008 Esercizio 2008 Esercizio 7.486
41.171 7.486 2.802 2.802 41.171 51.459
godimento di beni di terzi Costi servizi Oneri per diversi di gestione Oneri diversi di gestione Costi per godimento di beni di terzi Accantonamenti
IL SOLE 24 ORE BUSINESS MEDIA S.r.l. 24a ORE BUSINESS MEDIAdelS.r.l. società unipersonaleILeSOLE soggetta direzione e coordinamento IL SOLE 24 ORE S.p.A. Legale Patecchio, 2 - 20141 MILANO società unipersonaleILSede e SOLE soggetta direzione e coordinamento delS.r.l. IL SOLE 24 ORE S.p.A. 24aVia ORE BUSINESS MEDIA € 16.000.000,00 i.v., SedeCapitale Legale Sociale Via Patecchio, 2 - 20141 MILANO società unipersonale e soggetta a direzione e coordinamento del IL SOLE 24 ORE S.p.A. Cod. Fisc., Capitale Part. IVASociale e iscrizione nel R.E.A. n. 00081580391 € 16.000.000,00 i.v., Sede Legale Via Patecchio, 2 - 20141 MILANO Cod. Fisc., Part. IVA e iscrizione nel R.E.A. n. 00081580391 Capitale Sociale € 16.000.000,00 i.v., Cod. Fisc., Part. IVA e iscrizione nel R.E.A. n. 00081580391 STATO PATRIMONIALE Nota Nr Esercizio Esercizio (in migliaia di Euro) 2008 2007 STATO PATRIMONIALE Nota Nr Esercizio Esercizio (in migliaia di Euro) 2008 2007 STATO PATRIMONIALE Nota Nr Esercizio Esercizio ATTIVITÀ (in migliaia di Euro) 2008 2007 ATTIVITÀ Attività non correnti
(11)
Totale ATTIVITÀ TOTALE PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ TOTALE ATTIVITÀ PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ Patrimonio netto di gruppo Patrimonio di gruppo PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ Capitale socialenetto Capitale Patrimonio Riserve -sociale Altre netto di gruppo Riserve Altreportati a nuovo Capitale-sociale Utili/(Perdite) Utili/(Perdite) a nuovo Riserve - Altreportati Utile (Perdita) dell’esercizio Utile (Perdita) dell’esercizio Utili/(Perdite) portati Totale Patrimonioa nuovo netto Totale Patrimonio netto Utile (Perdita) dell’esercizio Passività non correnti
(21)
5.946 10.000 1.184 1.184 5.946 311