tesori dal silenzio
Arte e Spiritualità a Chianciano Terme dagli Etruschi all’Età Moderna la città dell’arte
w w w. l a c i t t a d e l l a r t e . o r g
Provincia di Siena
Comune di Chianciano Terme Assessorato al Turismo ed alla Cultura
Fondazione Museo Archeologico delle Acque Chianciano Terme
APT Chianciano Terme Val di Chiana
tesori dal silenzio Arte e Spiritualità a Chianciano Terme dagli Etruschi all’Età Moderna a cura di Giulio Paolucci e Silvia Reali Roma, Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo 11 gennaio – 4 marzo 2007
Mostra promossa da: Associazione La Città dell’Arte onlus In collaborazione con: Fondazione Museo Archeologico delle Acque di Chianciano Terme Con il contributo di: Provincia di Siena Comune di Chianciano Terme Agenzia per il Turismo Chianciano Terme – Valdichiana Con il Patrocinio di: Senato della Repubblica Camera dei Deputati Regione Toscana Provincia di Siena Organizzazione a cura di: Associazione La Città dell’Arte onlus Fondazione Museo Archeologico delle Acque di Chianciano Terme
© 2007 La Città dell’Arte onlus Via del Castello, 63 53034 Colle Val d’Elsa (Si) www.lacittadellarte.org
Comitato d’Onore Franco Marini, Presidente del Senato della Repubblica Fausto Bertinotti, Presidente della Camera dei Deputati Paolo Naccarato, Sottosegretario di Stato alle Riforme Istituzionali Claudio Martini, Presidente della Regione Toscana Fabio Ceccherini, Presidente della Provincia di Siena Guido Bombagli, Sindaco di Chianciano Terme Claudio Massimo Strinati, Soprintendente Speciale per il Polo Museale Romano Antonio Paolucci, già Direttore Generale Regionale per i Beni Culturali della Toscana - Soprintendente Speciale per il Polo Museale Fiorentino Mons. Rodolfo Cetoloni, Vescovo della Diocesi di Montepulciano – Chiusi – Pienza Alessandro Pinciani, Assessore alla Cultura della Provincia di Siena Silvia Reali, Presidente della Fondazione Museo Archeologico delle Acque Roberto Berti, Presidente dell’Associazione La Città dell’Arte onlus Mostra a cura di Giulio Paolucci Silvia Reali
Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo Soprintendente Claudio Massimo Strinati Direttore Amministrativo Carmela Lantieri Ufficio legale Marco Puzoni Segreteria del Soprintendente Carmela Crisafulli, Rosalba Righi, Stefania Visciani Direttore Ufficio Restauri Vitaliano Tiberia Responsabile Ufficio Mostre Sezione Prestiti Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano Silvana Grosso Direttore Coordinatore Fiora Bellini, Luigina Di Mattia Progetto, direzione e coordinamento tecnico scientifico dell’allestimento Carla Augenti Revisione conservativa delle opere esposte in mostra Anna Maria Bragnardello, Tiberio Mecarelli, Chiara Merucci, Simona Pozzi, Paola Sannucci, Giuseppe Venturini Con la collaborazione di Tutto il Personale di Custodia e degli Assistenti Tecnico-Museali
La Città dell’Arte onlus
Albo dei Prestatori
Presidente Roberto Berti
Museo Civico Archeologico delle Acque di Chianciano Terme: Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana Elena Grossi di Camporsevoli, Alessandro Cinelli
Vicepresidente Antonella Pennisi Tesoriere Marco Oddone Segreteria Organizzativa Gian Luigi Passini Laura Mencacci Francesca Roberti Trasporti Società Zumstein Allestimento Energy- Workersr Assicurazioni INA Assitalia Ufficio stampa e Comunicazione iLogo - Prato Progettazione grafica coordinata Markonet srl Catalogo a cura di Silvia Reali Introduzione Antonio Paolucci Progetto grafico Maddalena Delli Pietro Salvadori Fotografie Dago Felini Stampa e processi tipografici Tipolitografia Bisenzio, Prato
Museo d’Arte Sacra della Collegiata di Chianciano Terme: Comune di Chianciano Terme, Parrocchia di San Giovanni Battista Ringraziamenti per la gentile collaborazione: Fulvia Lo Schiavo, Giuseppina Carlotta Cianferoni, Mario Iozzo – Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana Lucia Fornari Schianchi, Laura Martini – Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Siena e Grosseto Giacomo Da Boit – Segreteria Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Fiorentino Giulio Zumstein Stefano Zumstein Massimiliano Cozzi Lepri per l’allestimento: Raffaella Nauaui, Vincenzo Raponi, Leonard Whiting, Emilio Rilli Maryjoe, Marco Esposito Paolo Giordani, Marco Rizzo – Energy-Workersr collaborazione all’allestimento: Sergio Lillini, Domenico De Vito – Società Zumstein Paolo Dell’Agnello, Giustino Frizzi, Giordano Masci – Società Archeservice Un ringraziamento particolare va all’Architetto Carla Augenti la cui professionalità non necessita di encomio perché chi ha collaborato con lei sa come opera. Si fa qui riferimento all’infaticabilità e all’amore con cui ha eseguito il proprio lavoro nonché al contributo decisivo apportato, affinché questa esposizione si realizzasse. La curatrice del catalogo è con affetto e profonda stima che ringrazia il Professor Antonio Paolucci per il sostegno sempre dimostratole e per aver costituito per lei punto di riferimento in tutte le circostanze e grande esempio di onestà morale ed intellettuale da seguire. Si ringraziano inoltre tutti coloro che in vario modo e a vario titolo hanno reso possibile la realizzazione della mostra e la stesura di questo testo.
a Luciano Gori che troppo presto ci ha lasciati
Presentazioni “La Città dell’Arte onlus” porta oggi all’attenzione del grande pubblico il ricco patrimonio artistico e culturale della città di Chianciano Terme, attraverso l’esposizione di reperti archeologici e di opere d’arte sacra provenienti dal Museo Civico Archeologico delle Acque e dal Museo d’Arte Sacra della Collegiata. “Tesori dal silenzio” non è però solo una mostra, ma un’iniziativa che rientra nel progetto “Piccoli Musei”, finalizzato a far conoscere il patrimonio artistico dei piccoli centri e a sostenere iniziative di sviluppo e miglioramento degli standard dei loro musei. Con questo progetto la nostra Associazione si impegna per permettere alle piccole realtà museali locali di trovare una sede espositiva di forte attrazione affinché i loro capolavori possano essere ammirati da un pubblico più vasto. Con lo stesso spirito vogliamo infondere nei visitatori il desiderio di riscoprire “le città dell’arte” e le loro meraviglie nascoste. Ci auguriamo quindi che questa mostra faccia nascere in tutti coloro che la visiteranno il desiderio di approfondire la conoscenza diretta di tutte quelle cittadine piccole per dimensioni, come Chianciano Terme, che si rivelano poi grandi per storia, arte e tradizione culturale.
Roberto Berti Presidente de “La Città dell’Arte onlus”
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La Fondazione “Museo Archeologico delle Acque di Chianciano Terme”, organo designato per la gestione del Museo Archeologico, è stata istituita nel 1995 dal Comune di Chianciano Terme ottenendo successivamente il riconoscimento della Personalità Giuridica da parte della Regione Toscana. Tra i fini statutari che la Fondazione persegue, oltre la gestione della ricerca, conservazione e fruizione dei beni e dei siti archeologici, vi è anche l’organizzazione di attività finalizzate alla valorizzazione e promozione del patrimonio culturale ed ambientale della cittadina termale. Proprio in quest’ottica di cooperazione l’organo da me presieduto ha stipulato una convenzione triennale con l’Associazione “La Città dell’Arte onlus” in virtù della quale oggi è stato possibile allestire la mostra “Tesori dal silenzio – Arte e spiritualità a Chianciano Terme dagli Etruschi all’età moderna”. L’iniziativa, offrendo l’opportunità di esporre nella prestigiosa sede di Castel Sant’Angelo le opere provenienti dai due musei cittadini, porta a conoscenza di un ampio pubblico “tesori” poco noti perché lontani dai grandi centri di attrazione turistica. Ciò permetterà altresì di dotare Chianciano di un polo museale, poiché i proventi della mostra saranno finalizzati all’allestimento di una nuova sede del Museo d’Arte Sacra della Collegiata, attualmente non conforme agli standard museali previsti dalla normativa statale. Villa Simoneschi – ex sede della biblioteca comunale – sarà infatti destinata dall’Amministrazione ad accogliere la collezione d’arte sacra. Data quindi l’importanza dell’evento, la Fondazione e “La Città dell’Arte onlus” si sono impegnate a coinvolgere l’APT Chianciano Terme Val di Chiana, l’Associazione Albergatori, la Confesercenti nonché la Società Terme di Chianciano S.p.A. al fine di operare in sinergia con le strutture ricettive del Paese. In qualità di presidente della Fondazione – nonché cittadina chiancianese – manifesto perciò la mia riconoscenza a “La Città dell’Arte onlus” per aver dato la possibilità di organizzare, a coronamento dei nostri lunghi sforzi, una così lodevole iniziativa volta a dar voce a realtà che sovente, sebbene depositarie di importanti “tesori”, sono costrette a rimanere nel “silenzio” a causa dell’esiguità di risorse disponibili. Altra speranza, che personalmente nutro, è che manifestazioni come questa possano stimolare una più consapevole presa di coscienza di quella grande risorsa qual è il patrimonio culturale del nostro Paese, sia da parte delle singole comunità, sia soprattutto degli amministratori che spesso tendono a relegare la cultura ad un ruolo secondario e subalterno.
Silvia Reali Presidente Fondazione “Museo Archeologico di Chianciano Terme”
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Chianciano Terme, con i suoi tesori archeologici, i capolavori d’arte, le ricchezze ambientali, la sua tradizione di accoglienza e di ospitalità è un’ambasciatrice assai significativa delle terre di Siena che comprendono innumerevoli piccoli centri, borghi, castelli, ognuno dei quali rappresenta un vero e proprio scrigno di tesori. La mostra “Tesori dal silenzio” è dunque indubbiamente importante ai fini di una valorizzazione del patrimonio artistico e archeologico del nostro territorio che, come dicevamo, contiene inestimabili ricchezze spesso racchiuse in piccole ma preziosissime realtà quali – come in tal caso – il Museo d’Arte Sacra della Collegiata o nel più importante Museo Civico Archeologico delle Acque facente parte della Fondazione “Musei Senesi” ormai da dieci anni. E’ da ritenersi dunque una lodevole iniziativa questa promossa dall’Associazione “La città dell’Arte onlus” in collaborazione con la Fondazione “Museo Archeologico delle Acque” di Chianciano Terme, che vede legarsi, in una efficace sinergia, arte e risorse del territorio. Peraltro è con simili eventi, realizzati nelle grandi città d’arte ma tesi alla valorizzazione di piccoli centri, che è possibile avviare certi ingenti flussi turistici anche verso destinazioni più inconsuete, proponendo così itinerari alternativi e di elevata qualità. Ecco, quindi, le ragioni per cui la Provincia di Siena – insieme al Comune e all’Apt di Chianciano Terme – ha creduto e sostenuto fin dal suo nascere questo progetto grazie al quale una parte, se pur piccola, dei tesori artistici delle terre senesi potrà essere apprezzata da un vasto e qualificato pubblico.
Fabio Ceccherini Presidente Provincia di Siena
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Chianciano Terme è sorta sul crinale che agisce da spartiacque tra la val d’Orcia e la val di Chiana, affacciandosi verso quest’ultima. Anche il nucleo originario di questo piccolo centro, al pari di quasi tutti gli altri che fanno parte dell’area sud-meridionale della provincia di Siena, è stato fondato e si è sviluppato su un’altura; questo per ovvi motivi di sicurezza, ma anche per una migliore salubrità dell’aria, visto che il fondovalle – allora paludoso - era pressoché invivibile. Tutto ciò ha causato nei secoli anche il progressivo spostamento verso occidente – fino ad arrivare in piena val d’Orcia - della principale direttrice viaria del periodo medioevale, la Francigena, che in origine, ripercorrendo sostanzialmente il tracciato dell’antica Cassia, attraversava invece la val di Chiana. Il territorio è composto da una miriade di piccoli centri, che presi singolarmente potrebbero apparire come un qualcosa di a sé stante sotto tutti i punti di vista. In realtà, tutti insieme rappresentano un’unità essenziale, perché basata su trasversali radici culturali che ne connotano un’identità unica e in qualche modo indivisibile, dato che la base universale di tutti questi borghi è la comune origine etrusca. E questa civiltà, qui, dappertutto, in maniera più o meno evidente, ha lasciato un numero incredibile di tracce; alcune visibili direttamente nei siti archeologici, altre nei tanti musei presenti sul territorio. Questa esposizione vuole far conoscere la nostra terra proprio per questi aspetti, visto che tutti gli altri – come l’enogastronomia, le bellezze paesaggistiche e quelle architettoniche – sono ormai così ben noti nel mondo da essere diventati un modello culturale universale. La conoscenza del nostro passato diventerà quindi un percorso logico ideale al termine del quale sarà possibile comprendere e apprezzare al meglio anche il nostro presente. Barbara Scorza Direttrice dell’Agenzia per il Turismo Chianciano Terme Valdichiana
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Sommario
Introduzione Antonio Paolucci
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“Tesori dal Silenzio” e il progetto “Piccoli musei” Roberto Berti
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Il museo Civico Archeologico delle Acque Giulio Paolucci
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Il Museo d’Arte Sacra della Collegiata Silvia Reali
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CATALOGO Sezione Immagini Etrusche a cura di Giulio Paolucci
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Sezione Immagini Sacre a cura di Silva Reali
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Bibliografia
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Introduzione Portare a Roma, in Castel Sant’Angelo, in uno dei luoghi monumentali più conosciuti e frequentati d’Italia, una scelta antologia dei tesori archeologici e storico-artistici conservati nel Museo Civico Archeologico delle Acque e nel Museo d’Arte Sacra della Collegiata di Chianciano Terme. Così, per questo inverno del 2007, in accordo con la Soprintendenza al Polo Museale Romano di Claudio Strinati, ha deciso l’associazione “La Città dell’Arte onlus”. Ma quale è il senso di una operazione in apparenza così singolare? Per quali ragioni e in vista di quali obiettivi il Direttore del Museo Civico Giulio Paolucci e la Presidente della Fondazione “Museo Archeologico delle Acque” Silvia Reali hanno voluto presentare nella antichissima fortezza dei Papi (un luogo che tutto il mondo conosce non fosse altro che per le tragiche vicende della povera Tosca) le anfore etrusche e la Madonna dell’Umiltà di Lorenzo di Niccolò Gerini, le Storie di Pentesilea regina della Amazzoni e le oreficerie sacre del Trecento senese? C’è, prima di tutto, una ragione che potremmo definire pubblicitario-promozionale. Chianciano, famosa per le sue acque termali, vuole esserlo anche per la sua storia antichissima e gloriosa; una storia che ha depositato nelle chiese e nei palazzi del centro storico, nelle aree archeologiche del territorio, nelle emergenze monumentali che innervano un paesaggio rurale fra i più belli della Toscana e dunque del mondo, le testimonianze preziose di cui la mostra in Castel Sant’Angelo costituisce una antologia minima e tuttavia sufficientemente significativa. C’è poi un’altra più pragmatica e utilitaristica ragione alla base del trasferimento a Roma dei tesori del Museo d’Arte Sacra di Chianciano Terme. Il Museo, oggi costretto in spazi angusti e inadeguati, ha necessità di cambiare sede trasferendosi nella vicina Villa Simoneschi di proprietà comunale. L’operazione, programmata da tempo, ha bisogno, per essere realizzata in tempi ragionevoli, di impegno politico forte e condiviso e di risorse economiche consistenti. La mostra in Castel Sant’Angelo, grazie agli auspicabili esiti di pubblicità positiva e di successo di pubblico, potrà sollecitare il coinvolgimento delle istituzioni e favorire un processo virtuoso di reperimento fondi. Tutto ciò è nelle speranze di Giulio Paolucci e di Silvia Reali. Io che nel mio ruolo da poco concluso di Direttore Generale Regionale per i Beni Culturali della Toscana al progetto della mostra in Castel Sant’Angelo ho dato ogni utile appoggio, alle loro speranze e alla loro ammirevole determinazione, volentieri mi associo.
di Antonio Paolucci
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“Tesori dal silenzio” e il progetto “Piccoli Musei” “Piccoli Musei” è un progetto finalizzato alla raccolta fondi per il finanziamento di iniziative di sviluppo e miglioramento degli standard dei musei situati nei piccoli centri. Elemento centrale di questo progetto è la creazione di un sistema di “alleanze” tra La Città dell’Arte onlus ed importanti Istituzioni Culturali, il cui fine sia quello di costituire un rapporto solidaristico tra grandi e piccoli musei. Molti grandi musei nazionali infatti, sono dotati di spazi espositivi in cui trovano posto mostre temporanee che riescono a raggiungere un numero di visitatori assai elevato, potendo godere della funzione di richiamo del museo stesso. La nostra Associazione intende quindi agire per permettere alle piccole realtà museali locali di trovare una sede espositiva di forte attrazione che ospiti temporaneamente le loro collezioni e che garantisca a questi un introito da destinare a progetti di miglioramento degli standard museali e di valorizzazione del patrimonio artistico. La mostra “Tesori dal silenzio. Arte e spiritualità a Chianciano Terme dagli Etruschi all’età moderna” è finalizzata alla raccolta fondi per il consolidamento e allestimento di Villa Simoneschi a nuova sede del Museo d’Arte Sacra. Il museo attualmente è ospitato nel settecentesco Palazzo dell’Arcipretura di Chianciano Terme, che però non possiede i requisiti dettati dalla normativa sugli standard museali. Villa Simoneschi è un edificio ottocentesco al cui interno sono presenti pregevoli affreschi parietali che ne impreziosiscono l’aspetto complessivo, con annessi un bel giardino, una limonaia, una graziosissima Cappella e l’ex granaio, già ristrutturato, che da dieci anni ospita il Museo Civico Archeologico delle Acque. Per l’allestimento della Villa a Museo sono necessari alcuni interventi di consolidamento esterni lavori strutturali interni che la rendano conforme agli standard museali – uscite di sicurezza, porte antincendio, pedane per disabili, ascensore, ecc., per i quali è richiesto un ingente supporto economico.
di ROBERTO BERTI
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Il Museo Civico Archeologico delle Acque di Chianciano Terme
Il Museo Civico Archeologico delle Acque di Chianciano Terme di GIULIO Paolucci
Il Museo Civico Archeologico di Chianciano Terme è ospitato in un edificio della fine del XIX secolo ed è stato inaugurato nel 1997. Raccoglie materiali archeologici di notevole interesse rinvenuti nel territorio comunale ed è articolato in sezioni topografiche: il mondo dei morti; i santuari, le abitazioni, le terme in età romana. In un suggestivo corridoio interrato sono allineate le ricostruzioni di numerose sepolture del VII sec. a. C. scavate nella grande necropoli di Tolle, dove finora sono state riportate alla luce oltre 700 tombe. In questi ambienti è presentata la più ricca collezione esistente di canopi, i tipici ossuari etruschi con caratteristiche antropomorfe, accompagnati dai loro ricchi corredi che evidenziano la stratificazione sociale etrusca di quest’area tra il VII e il VI sec. a. C. Altre sepolture a fossa pertinenti a figure femminili di rango testimoniano l’’arrivo in questo territorio di giovani straniere andate in spose a membri di illustri casate. Le tombe di Tolle sono a ziro, vale a dire un dolio interrato e coperto con una grande lastra di pietra, a camera talvolta con tramezzo al centro oppure con pilastro, a cassa litica e a fossa. La frequentazione della necropoli continua senza soluzione continuità per tutto il VI secolo quando insieme ad urne cinerarie di pietra fetida, caratteristico materiale locale cosiddetto per un forte odore di zolfo che emana se viene sfregato, vengono utilizzati come prestigiosi ossuari anfore a figure nere di produzione vulcente, orvietana e locale. Nella mostra è stato presentato un esemplare con figure di cigni gradienti (fig.1, cfr. catalogo n°6) e uno con figure femminili in atteggiamento di danza ritmata (fig.2, cfr. catalogo n°9) entrambi riconducili al Pittore di Micali attivo a Vulci nei decenni finali del VI sec. a. C. Poco più tarda risulta un anfora recante sul lato A Eracle verso sinistra coperto dalle leonté, impugnando nella mano destra la clava e tenendo con la sinistra lo scudo; sul lato B è riprodotto un centauro che trattiene nelle mani due grandi pietre e un’altra giace a terra. Il vaso è riconducibile al gruppo di Orvieto, le cui opere appaiono documentate anche nella finitima necropoli di Castelluccio la Foce. Di notevole interesse appare un’altra anfora (cfr. catalogo n°3) su cui è il racconto mitico dell’uccisione di Medusa. Al centro è l’essere mostruoso decapitato da cui hanno vita il cavallo alato Pegaso e Chrysaor che balzano fuori dal collo ormai mozzato. La narrazione continua con la presentazione da parte di Perseo della sacca magica contente la testa recisa di Medusa al re Polidette che gli aveva ordinato l’impresa. Sull’altro lato del vaso sono due imprese mitiche di Eracle: la lotta con il leone Nemeo che si protende verso l’eroe con le fauci spalancate e con i cavalli di Diomede. L’anfora è stata attribuita ad un artigiano locale attivo sullo scorcio del VI sec. a. C. denominato “Pittore di Tolle” proprio da questo vaso. Da un’altra tomba provengono un’anfora (cfr. catalogo n°4) decorata sul alto A con un guerriero nudo che tiene uno scudo e una spada insieme a due altri giovani uno dei quali con lancia; in B è un discobolo e un giovane nudo, di fronte ad un giudice che si appoggia ad un bastone. Sotto le anse è stato riprodotto un rigoglioso doppio tralcio di vite con grappoli che conferiscono all’intera scena un ambiente sacro a Fufluns dio etrusco del vino. Anche l’altro vaso sembra alludere al mondo dionisiaco per la presenza di satiri e di un centauro con rami in mano. Entrambe le anfore sono state attribuite al Pittore di Gerusalemme attivo in area chiusina nei decenni iniziali del V sec. a. C. Il sepolcreto di Tolle, ubicato sull’importante valico che permetteva facili comunicazioni tra la Val d’Orcia e la Vaa di Chiana, sede di un tracciato antichissimo, ancora in età ellenistica (IV-II sec. a. C.) appare utilizzato per modeste tumulazioni in loculi chiusi con tegole. I corredi sono costituiti da vasellame a vernice nera, ceramiche acrome e bronzi.
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Fig. 1 Anfora a figure nere etrusca con figure di cigni, Pittore di Micali, 510-500 a. C. Provenienza: Necropoli di Tolle, Chianciano Terme
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Da un’altra necropoli di Chianciano, ubicata in località La Pedata, già ampiamente saccheggiata nel XIX secolo, proviene numeroso vasellame figurato di produzione greca, oltre a anfore commerciali in cui veniva trasportato il dolce vino di Samo, vasi di bucchero che eccezionalmente hanno conservato una decorazione dipinta. In una di queste tombe è stata rinvenuta una superba coppa di produzione greca con figura di gallo nel tondo interno e all’esterno un’iscrizione che può essere tradotta: “salute e bevi”. Il vaso è stato attribuito a Tleson uno dei maggiori pittori attici della metà del VI sec. a. C. Dalle tombe scavate in località La Pedata nel XIX secolo proviene un’anfora (cfr. catalogo n°11) attribuita alla fase tarda del Pittore di Micali con uccelli sulla spalla e sirene sul corpo. Un’altra anfora (fig.3, cfr. catalogo n°10) decorata sulla spalla con pantere in posizione araldica e sul corpo con giovani ammantati a cavallo e a piedi riferibile al Gruppo di Bisenzio della scuola del Pittore di Micali. Figure di cavalieri ritornano anche su un esemplare (cfr. catalogo n°12) riconducibile allo stesso Gruppo scavato più recentemente. Nella necropoli de La Pedata sono stati recuperati due crateri etruschi (fig.4; cfr. catalogo n°28 e n°29) con decorazione sovraddipinta attribuiti al Pittore Bonci Casuccini che recano sulle due facce scene di conversazione. Si tratta di ceramiche prodotte localmente nella
Fig. 2 Anfora a figure nere etrusca con figure femminili danzanti, 510-500 a. C. Provenienza: Necropoli di Tolle, Chianciano Terme
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Fig. 3 Anfora a figure nere etrusca con giovani, uno a cavallo, Gruppo Bisenzio. Provenienza: Necropoli della Pedata, Chianciano Terme
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Fig. 4 Cratere sovraddipinto etrusco con scena di conversazione, Pittore Bonci Casuccini, seconda metĂ del V secolo a. C. Provenienza Necropoli della Pedata, Chianciano Terme
Fig. 5 Stamnos a figure nere etrusca con scena di sacrificio, primo quarto del V secolo a. C. Provenienza: Necropoli di Via Montale, Chianciano Terme
seconda metà del V sec. a. C. Da altre tombe scavate in loc. La Pedata proviene uno skyphos (cfr. catalogo n°30) sovraddipinto con scena di conversazione tra due giovani interamente ammantati e una kylix (cfr. catalogo n°35) anch’essa sovraddipinta recante nel tondo centrale una figura maschile riccamente vestita con uno strigile nella mano destra. Entrambi i vasi sono stati riferiti al Gruppo Sokra e datati al IV sec. a. C. Ad età ellenistica sono da riferire due urne cinerari in alabastro della famiglia dei Nachrni con ricco corredo di bronzi e ceramiche a vernice nera, che evidenziano la ricchezza di alcuni nuclei familiari anche in un periodo di crisi dell’Etruria. Da altre sepolture scavate lungo il tracciato di via Montale provengono materiali particolarmente interessanti, tra cui due vasi esposti in mostra. Si tratta di un’anfora a figure nere (cfr. catalogo n°14) del Pittore di Gerusalemme con due giovani su un lato e sull’altro un efebo che tiene per le briglie un cavallo, raffigurazione che compare anche su altre opere attribuite a questo artigiano. Insieme è stato ritrovato uno stamnos (fig.5, cfr. catalogo n°13) con un satiro che trascina un capro per un sacrificio e sul lato opposto due pugilatori.
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L’esposizione del museo di Chianciano prosegue con la ricostruzione di una grande tomba del VII secolo a. C.: la sepoltura particolarmente sontuosa apparteneva ad un “principe” etrusco morto sul finire del VII sec. a. C., deposto entro un ossuario di bronzo coperto con una testa di legno, a cui era applicata una maschera in oro, con occhi in osso. Nella stessa sala sono esposti altri ricchi corredi tombali comprendenti interi servizi per il banchetto costituiti da vasellame in bucchero oppure in bronzo. Numerose risultano le ceramiche figurate di produzione etrusca che evidenziano la raffinatezza della committenza locale che doveva ingannare il tempo delle lunghe giornate di vita aristocratica, giocando su una tavola con le pedine, lo stesso gioco documentato nelle raffigurazioni della pittura vascolare, praticato dagli eroi della guerra di Troia. Da una di queste tombe è stato scelto per la mostra un grande skyphos (cfr. catalogo n°30) a figure rosse con satiri, attribuito al Pittore di Perugia, insieme erano una coppa su alto piede (cfr. catalogo n°31) e due kylikes apode sovraddipinte (cfr. catalogo n°32 e n°33), che si ispirano a prodotti attici dei decenni finali del V inizi del IV sec. a. C., ricondotte al gruppo Perugia-Sommavilla. Tutti questi materiali sono databili tra il V e il IV secolo a. C., quando il territorio di Chianciano conobbe una notevole floridezza, ben documentata non solo dai corredi tombali, ma anche dall’erezione di monumentali santuari. A questo argomento è dedicato il primo piano del museo che ospita lo straordinario donario in bronzo scavato nel XIX secolo presso la sorgente di Sillene, che comprende i resti di una biga di notevole fattura, parti delle statue divine di Diana e di Apollo databili tra il V e il IV sec. a. C. Nella stessa sezione sono presentati i materiali proveniente da un’altra area sacra di epoca più recente (II sec. a. C.) di cui rimane parte di un monumentale frontone fittile che decorava un edificio eretto in uno splendido scenario naturale lungo la vallata dell’Astrone. Le lastre superiori sono state rimontate nel museo secondo una sequenza alfabetica che serviva alla corretta collocazione degli elementi già in epoca antica. A queste erano applicate, mediante chiodi di ferro fissati con piombo, le figure di un thiasos marino, con putti su delfini e nereidi su mostri marini. L’acroterio laterale destro esposto nella mostra raffigura un genio femminile alato (fig.6, cfr. catalogo n°37) nell’atto di spiccare il volo, con un kantharos nella mano sinistra abbassata e la destra accostata al volto in un gesto di sorpresa che mostra una notevole freschezza del modellato e una grande raffinatezza nei particolari. Della decorazione del timpano rimane una figura virile con berretto frigio a due terzi del vero con di fronte un cratere e un’altra figura maschile seduta su un trono o su uno sgabello con un manto intorno ai fianchi e il torso nudo. Le statue sono realizzate ad una grandezza di due terzi del vero e costituiscono alcuni dei migliori esempi della coroplastica etrusca di epoca ellenistica. Importanti risultano anche alcuni oggetti funzionali alla vita spirituale del tempio come una grande ascia di ferro utilizzata per sacrifici umani e animali, un grande lampadario in bronzo che con la sua luce tremolante doveva accompagnare i numerosi riti in onore delle divinità. Il santuario, come quello di Sillene, per la vicinanza ad una sorgente salutare, tuttora sfruttata, doveva essere dedicato ad una divinità salvifica che offriva protezione oppure risanamento a seguito di malattie. Ad età ellenistica è riferibile anche una fattoria scoperta presso Poggio Bacherina, dove alcuni ambienti erano destinati alla lavorazione del vino, questi sono stati ricostruiti nel museo e vogliono offrire una testimonianza sulle piccole strutture agrarie che dovevano costellare il paesaggio etrusco nell’area di Chianciano tra il II e il I sec. a. C. L’ultima sezione del museo documenta lo sfruttamento delle ricche sorgenti salutari di Chianciano in età romana, quando sorsero lussuose ville e grandi edifici termali, uno di questi è in corso di scavo in località Mezzomiglio ed è stato identificato con quello dove venne a curarsi anche il poeta Orazio su consiglio del medico Antonio Musa, che aveva guarito l’imperatore Augusto.
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Fig. 6 Acroterio laterale destro di un frontone etrusco con genio femminile alato, II secolo a. C. Provenienza: Tempio dei Fucoli, Chianciano Terme
Fig. 7 Krateriskos a figure nere etrusche, una con figure di efebi in corsa ed una con figure di cavalieri, inizio V secolo a. C.
Particolarmente ricco ed interessante è anche l’antiquarium che ospita alcune collezioni donate al Comune di Chianciano Terme e depositate da privati, tra cui si segnala quella Terrosi con una ricchissima raccolta di oreficerie di gusto orientalizzante ed arcaico, oltre a numeroso vasellame greco di squisita fattura, tra cui uno stamnos a figure rosse del Pittore di Syleus con il ratto di Teti da parte di Peleo. Tra le ceramiche etrusche a figure nere esposte in mostra provenienti dalla raccolta Terrosi si segnala un’anfora con cinque figure femminili in atteggiamento di danza ritmata (cfr. catalogo n°18) opera del Pittore di Micali (510-500 a. C. circa) e una leggermente più tarda (cfr. catalogo n°19), con scena di duello sul lato A e opliti in corsa sul lato B. Numerose altre ceramiche presentate nell’esposizione sono pertinenti alla collezione Grossi di Camporsevoli. Un’anfora databile al 520-510 a. C. è riferibile ancora al Pittore di Micali e presenta figure di sirene sulla spalla e cigni sul corpo (cfr. catalogo n°22). Alla produzione etrusca più tarda sono da ricondurre un esemplare con figure di giovani ammantati in conversazione (cfr. catalogo n°20), mentre su un’altra, attribuita al Gruppo di Monaco 883, sono dipinti un satiro e una menade danzanti (cfr. catalogo n°21). Allo stesso gruppo è da riferire anche un piccolo stamnos (cfr. catalogo n°23) sempre con scena di danza. Un atleta con halteres nelle mani (cfr. catalogo n°27) compare sul tondo interno di una coppa databile verso il 480 a. C. Dal repertorio formale del bucchero nero derivano due krateriskoi decorati con cavalieri e un desultor nudo, oppure con giovani nudi in corsa (fig.7, cfr. catalogo n°24 e n°25 ) avvicinati al Gruppo Vaticano 265. Dalla stessa bottega sembra uscita anche una piccola oinochoe (cfr. catalogo n°26) con due figure femminili verso sinistra con le braccia alzate, vestite con un lungo chitone. La raccolta delle ceramiche etrusche a figure nere, a figure rosse e sovraddipinte provenienti dalle collezioni del Museo Civico Archeologico di Chianciano, esposte nella prestigiosa sede del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, offre un interessante spaccato su questa produzione dell’Etruria per troppo tempo misconosciuta.
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Il Museo d’Arte Sacra della Collegiata di Chianciano Terme
Il Museo d’Arte Sacra della Collegiata di Chianciano Terme di Silvia Reali
Tracciare la storia del Museo d’Arte Sacra della Collegiata e delle sue collezioni, risulta assai difficoltoso a causa della scarsità di pubblicazioni presenti a riguardo e soprattutto dell’esigua presenza di recenti fonti sull’attuale collocazione delle opere presenti sia nel museo, sia negli edifici religiosi che civici. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’ubicazione riportata non corrisponde più a quella odierna visto che, per vari motivi, le opere sono state spostate. Molti dei manufatti analizzati sono poi riferiti ad artisti la cui attribuzione, data nei testi locali come notizia certa, è ormai superata e poco attendibile. A ragione di ciò si è dovuto attingere, nella maggior parte dei casi, esclusivamente a materiale d’archivio, non esistendo alcuna recente guida del museo e non essendo stati scritti volumi che ne riportassero la storia. Dalle ricerche condotte apprendiamo che esso nacque dalla volontà del Comune di Chianciano e della Parrocchia di San Giovanni Battista di esporre le opere in un unico luogo da destinare alla visita al pubblico. Nonostante le opere siano manufatti d’arte sacra e quindi ingannevolmente assimilabili al patrimonio ecclesiastico, esse sono proprietà per metà dell’Amministrazione Comunale e per metà della Parrocchia. Ciò è stato determinato dalla politica di confisca dei beni ecclesiastici attuata prima dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo tra il 1765 ed il 1790, poi dallo Stato dopo il 1871 in seguito all’approvazione della legge delle guarentigie che poneva i beni espropriati sotto la giurisdizione comunale. Dal 1923 – anno in cui è sorto il museo – ad oggi l’amministrazione della galleria si regge perciò su convenzioni che dettano le condizioni di gestione dei beni di proprietà comunale, lasciati in custodia alla Chiesa. Il museo, situato nel settecentesco Palazzo dell’Arcipretura, nacque come deposito di oggetti d’arte sacra quando la Parrocchia, non potendo più accogliere tali manufatti all’interno degli edifici ecclesiastici a causa delle cattive condizioni, sia dei fabbricati che delle opere, decise di riunirli in tale palazzo. Al 1923 risale poi anche la prima consegna, da parte del Comune alla Chiesa, di: «...paramenti ed alcuni quadri, di nessun valore, candelieri &, [...] dati, per assicurare meglio la conservazione, in consegna, dietro ricevuta, al Sagrestano Maggiore della Chiesa Collegiata di questo Comune, anche per liberarsi di un ingombro inutile...»1. Gli oggetti citati nel documento appartenevano al Monastero di San Michele Arcangelo – nel quale risiedevano le Clarisse dal 1500 – divenuto proprietà del Municipio l’8 agosto 1897 in seguito alle soppressioni ecclesiastiche avvenute dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Nonostante ciò le religiose ottennero il “diritto vitalizio di abitazione” nel Monastero quindi, per l’ingresso definitivo dell’edificio nel patrimonio comunale, si dovette attendere fino al 1909, quando morì l’ultima suora; da quel momento il Comune entrò in possesso di quei beni che nel 1923 depositò presso il “Sagrestano Maggiore della Collegiata”. Notizie precedenti a queste si hanno nell’Inventario generale degli oggetti d’arte della Provincia di Siena redatto da Francesco Brogi, Ispettore dell’Accademia Provinciale di Belle Arti tra il 1862 ed il 1865 – testo al quale si farà sovente riferimento per la collocazione originaria dei manufatti. All’epoca l’autore rese subito manifesta la necessità di un’idonea sistemazione e soprattutto di un imminente restauro per molte delle opere situate all’interno delle chiese chiancianesi a causa del cattivo stato conservativo in cui esse versavano. Da questo documento, oltre a quanto sopra riferito, apprendiamo che suppellettili liturgiche come i pregiati calice con patena risalente alla fine del Quattrocento, la base di reliquiario del Trecento, il reliquiario a tempietto
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del Quattrocento, tutti in rame dorato – qui in mostra – erano, in quel periodo, ancora di proprietà ecclesiastica e non civica. Tali oggetti, come visto prima, furono infatti acquisiti dallo Stato in seguito agli espropri attuati dopo il 1871 nei confronti della Chiesa. Nell’Inventario compaiono però, tra le opere presenti nell’ “Uffizio Comunale di Chianciano”, la tavola con la Madonna dell’Umiltà di Lorenzo di Niccolò Gerini e quella con San Giovanni Battista che offre alla Vergine Chianciano, di un artista ignoto del Cinquecento – entrambe in mostra –. Ciò è spiegabile con la precedente ondata di confische dei beni ecclesiastici messa in atto dal Granduca Pietro Leopoldo in seno all’ampio piano di riforme che coinvolse la Toscana. Oltre a queste notizie concernenti gli oggetti d’arte in possesso della Chiesa, per ciò che riguarda il XX secolo, non esistono testi, elenchi, inventari o in generale documenti, loro riferiti, fino al 1961 anno a cui risale una delle prime guide su Chianciano, dove viene stesa una fugace descrizione di alcune opere presenti nelle sale. Il patrimonio artistico comunale invece, è ben documentato grazie ad un breve elenco del 1916-1917 – elaborato dall’allora “Soprintendenza alle Gallerie, ai Musei Medievali e Moderni e agli Oggetti d’Arte di Firenze”– e soprattutto grazie a 24 schede del 1931, provenienti dalla “Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna per la Toscana”2, relative alle opere d’arte in cui si specificano lo stato conservativo, l’ubicazione, la proprietà dei beni e la loro provenienza. In queste viene riconfermato il fatto che il nucleo originario delle collezioni proveniva dal Monastero di San Michele Arcangelo e che le opere esposte erano sostanzialmente quelle che tuttora hanno sede nel museo. Successivamente, il 6 novembre 19433, fu stipulato il secondo accordo tra il Comune e la Parrocchia di San Giovanni Battista – il primo visto è del 1923 – tramite il quale, il Marchese Antonio Origo, Podestà di Chianciano, consegnò «...oggetti d’arte, mobili, quadri, ecc. [...] al Reverendissimo Monsignor Giuseppe Montini, Arciprete di questa Collegiata, per la custodia in una Sala del Palazzo Parrocchiale». Le opere di entrambi gli enti furono riunite e poste al primo piano del Palazzo dell’Arcipretura con l’apporto però di un’importante novità: le collezioni, per la prima volta, furono liberamente accessibili al pubblico e non più su richiesta come era accaduto sino ad allora. Il suddetto accordo venne reiterato ed ampliato il 15 dicembre 1945, dall’Arciprete Don Giovanni Bindi e dal Marchese Origo4, passato in carica da podestà a sindaco. Questa Convenzione è il primo documento scritto e protocollato, relativo alle condizioni di prestito delle opere e soprattutto rappresenta l’atto costitutivo dell’odierno nucleo museale. In seguito al rinnovo della convenzione, l’Arciprete diede infatti inizio ai lavori di ristrutturazione dei due locali da adibire a sale espositive e fece restaurare alcune opere d’arte, cosicché, nell’estate del 1947 il museo fu ufficialmente aperto al pubblico con il nome di Sala d’Arte Antica. Nel 1961 viene edita la “Guida Turistica ed Artistica di Chianciano e della Regione Senese meridionale”, realizzata da Enrico Monaldini, Professore presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. L’autore, che nel capitolo dedicato al Centro Storico di Chianciano pone l’attenzione proprio sulla Sala d’Arte Antica affermando a riguardo “[...] visita che si consiglia di non omettere”, fornisce importanti notizie sulle opere da lui considerate più rilevanti, esposte in quel periodo. Al 16 ottobre 1968 risale invece l’approvazione, da parte della Prefettura di Siena, del primo – ed unico – regolamento5 riguardante la Sala d’Arte. Il regolamento, pur costituendo una testimonianza indiretta, ci fornisce indicazioni sul numero delle sale, che nel 1968 erano tre, sul cambiamento tipologico del museo in quanto la sezione archeologica non esiste più e le opere d’arte esposte coprono un arco cronologico più ampio in quanto appartengono ai secoli XIII – XIX. Dalla “Piccola Guida per la visita alla Sala d’Arte Antica di Chianciano Terme”, opuscolo redatto dall’Arciprete Don Tersilio Barbieri nel 1978, si desume l’assetto del Museo alla fine degli anni Settanta – rimasto invariato dal 1968 e comunque allestito senza tener conto di alcun criterio cronologico – e quali opere furono scelte per l’esposizione. L’assetto museale da allora è rimasto invariato fino al 1991 quando, in seguito ai lavori di ristrutturazione dei locali ed al restauro di gran parte delle opere d’arte, la galleria ha riaperto le porte al pubblico presentando l’attuale configurazione e assumendo il nome di Museo d’Arte Sacra della Collegiata.
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Il Museo oggi consta di quattro sale in cui le opere esposte risalgono al periodo compreso tra il XIII ed il XIX secolo. L’allestimento, eccetto la prima sala, segue un percorso cronologico-didattico al fine di facilitare il visitatore nella comprensione di come si è evoluta la produzione artistica di Chianciano, connotata da una stratificazione di linguaggi dovuti non solo alla mobilità degli artefici ma anche agli eventi storici che nei secoli la videro coinvolta. La prima sala è l’unica in cui gli oggetti non seguono un criterio cronologico poiché sono stati aggiunti successivamente all’apertura della nuova struttura, quindi servono piuttosto a introdurre la tipologia di museo proposta al pubblico, cioè una galleria di opere d’arte sacra.
fig. 1 Reliquiario portatile, manifattura settecentesca, legno dorato e intagliato, (102x51x16 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
In essa, meritevoli di particolare attenzione, sono due preziosi reliquiari di esecuzione settecentesca, uno raffigurante il Volto di Cristo circondato dai mesi dell’anno e l’altro l’Albero della vita. Il primo è un reliquiario portatile suddiviso in tre scomparti (117×92×17 cm) in legno policromato – oro e celeste – e intagliato. L’interno è realizzato in velluto rosso e seta gialla e contiene una piccola immagine, in olio su tela, del volto di Cristo circondato dai mesi dell’anno ed impreziosito con applicazioni di fiori, perline multicolori e con tre piccole sculture di putti lignei. L’Albero della vita invece, di grandi dimensioni (200×130×7 cm), è realizzato in seta bianca dipinta ed è anch’esso arricchito con perline di varie forme. Come l’altro reliquiario è diviso in tre scomparti: in quello centrale troviamo rappresentato il tronco dell’albero dal quale si sviluppano i rami e nella cui estremità, all’interno di un baldacchino purpureo, è accolta la croce; nei laterali invece sono raffigurati i simboli della Passione – la tunica, la veronica, la corona di spine, i chiodi, la croce –. Racchiusa in minuziose decorazioni, si nota infine un’innumerevole quantità di piccole reliquie di santi i cui nomi sono scritti, a inchiostro, su cartiglio. Alla stessa epoca risale un terzo reliquiario portatile (fig. 1) – esposto nella sala III del Museo – ed anch’esso originariamente suddiviso in tre scomparti. Oggi si conserva soltanto la sezione centrale in legno dorato e intagliato (102×51×16 cm) che presenta all’estremità superiore un fregio costituito da elementi decorativi floreali, sormontati da croce con corona, ai cui lati sono presenti la palma ed il giglio. L’interno, di seta rossa, mostra una croce a filigrana d’argento al cui apice è posta una corona dello stesso materiale; le reliquie ivi accolte sono corredate da iscrizioni su cartigli e circondate da fiori, perline e fili metallici. Questo come gli altri reliquiari sono opera delle suore del Monastero di San Michele Arcangelo che con grande zelo si dedicavano alla realizzazione di tali manufatti essendo un’attività accolta dalla Regola considerata come forma di espiazione e di preghiera da rivolgere a Dio. La seconda sala, dedicata all’arte del XIII, XIV e XV secolo, è principalmente dominata da opere di scuola senese e forse costituisce, grazie ad alcuni capolavori, la sezione di maggiore interesse del museo. Di notevole pregio artistico sono infatti la scultura lignea policroma della Madonna con Bambino (fig. 10) attribuita alla bottega di Nicola Pisano; la Madonna dell’Umiltà di Lorenzo di Niccolò Gerini (fig. 2, cfr. catalogo scheda n° 39); la grande Croce dipinta di Segna di Bonaventura (fig. 11); il polittico riferito da Cesare Brandi al Maestro di Chianciano (figg. 12-19) allorché fu esposto nel 1932 alla Mostra d’Arte Sacra a Chiusi ed infine la tavola cinquecentesca, ormai divenuta l’ “emblema” di Chianciano, ritraente San Giovanni Battista (figg. 8-9, cfr. catalogo scheda n° 38) che offre alla Vergine l’antico borgo. Molto preziose risultano poi le oreficerie liturgiche del Trecento e Quattrocento (figg. 3-7, cfr. catalogo schede n° 40-44).
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fig. 2 Madonna dell’Umiltà, Lorenzo di Niccolò Gerini (documentato a Firenze dal 1392 al 1412). Tempera su tavola, cm 65x50. Provenienza: Sala del Palazzo Comunale. Proprietà del Comune di Chianciano
fig. 3 Base di Reliquiario, orafo senese del Trecento, rame dorato, smalti su argento (altezza 18 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. ProprietĂ del Comune di Chianciano Terme
fig. 4 Base di Reliquiario, orafo del Quattrocento, rame dorato, smalti su argento (altezza 15 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. ProprietĂ del Comune di Chianciano Terme
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fig. 5 Piatto, orafo di fine Quattrocento – inizi Cinquecento, ottone sbalzato, cesellato e bulinato (Ø 41 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
fig. 6 Reliquiario a tempietto, orafo senese del Quattrocento, rame dorato (altezza 25 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà del Comune di Chianciano Terme
fig. 7 Calice con patena, orafo della fine del Quattrocento, rame dorato, niello su argento (calice altezza 20 cm; patena ø 18 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà del Comune di Chianciano Terme
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fig. 8 San Giovanni Battista offre alla Vergine la cittĂ di Chianciano, arte popolare, inizi del Cinquecento, olio su tavola (130x54 cm). Provenienza documentata: sala del Palazzo Comunale. ProprietĂ del Comune di Chianciano Terme
fig.9 Retro della tavola di San Giovanni Battista (a fronte) raffigurante l’Agnello Mistico
fig. 10 Madonna con Bambino in trono, Bottega di Nicola Pisano (attribuibile ad Arnolfo di Cambio), databile al 1265-1270. Scultura lignea policromata, cm 100x40x40. Provenienza: Cappella Mortuaria di proprietĂ del Comune, successivamente sala del Palazzo Comunale. ProprietĂ del Comune di Chianciano
Questo gruppo scultoreo è da considerarsi una delle opere più importanti esposte nel Museo della Collegiata infatti, sebbene negli anni sia stato riscoperto e valorizzato, anche in passato ha ricevuto cure ed attenzioni particolari. Sappiamo infatti che tale scultura, divenuta di proprietà comunale alla fine dell’Ottocento, all’inizio del secolo scorso era esposta in una sala del Municipio e, successivamente, con la consegna delle opere di proprietà civica alla Parrocchia di San Giovanni Battista – 6 novembre 1943 – entrò a far parte del primo nucleo di manufatti artistici collocati nella Sala d’Arte Antica che tutt’oggi la accoglie. Il funzionario della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le Province di Siena e Grosseto Laura Martini, ha diretto l’ultimo restauro (1983-88) della Madonna in trono con il Bambino per inserirla, nel 1991, nel nuovo allestimento del Museo d’Arte Sacra della Collegiata. La studiosa a proposito dell’opera scrive: «Non si conosce la destinazione originaria del gruppo ligneo, depositato agli inizi del secolo nel Palazzo Comunale di Chianciano proveniente da una cappella mortuaria di proprietà comunale. Fu esposto alla mostra dell’antica scultura lignea senese nel 1949 e dopo il restauro, che gli restituì parzialmente la policromia originale, il Carli (1950) lo datò ai primi anni del secolo XIV rilevandovi “vividi riflessi della tradizione duecentesca e del gusto arnolfiano”. [...] Deriva ancora da archetipi romanici nelle pose un po’ rigide e frontali, nella geometrica e solida struttura, ma se ne distingue per alcuni caratteri formali che riflettono il rinnovamento artistico operato in Italia centrale da Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio a partire dalla metà del secolo. Il volto pieno e sodo della Vergine, la leggera torsione e inclinazione della testa, la bocca affossata sotto il naso, i panni dalle pieghe profonde e spezzate in ritmi triangolari che poi ricadono con andamenti più morbidi fino ai piedi, e la mano sinistra, resa mirabilmente con una nuova curiosità anatomica, nell’atto di sostenere il Figlio, sono tutti elementi che rinviano al linguaggio di Nicola Pisano, quello delle eccezionali “Teste” nelle mensole della cupola del Duomo e dei rilievi del pulpito di Siena (1266-68), in particolare della Presentazione di Gesù al Tempio, della Fuga in Egitto e della Nascita di Gesù, dove è stato riconosciuto l’intervento di Arnolfo di Cambio. Un’ulteriore conferma in tal senso viene dall’esame della scultura del Bambino, purtroppo mancante del braccio destro. Seppur arcaico nella sua attonita fissità, chiuso nel lungo abitino increspato da pieghe più semplificate, il suo corpo si anima nell’incrocio delle gambe e nella mano “naturalmente” posata sul grembo. Lo scultore pare cogliere con estrema efficacia la posa naturale dell’infante che tenta di tenere eretta la testa, troppo pesante. Il volto paffuto e un po’ rincagnato, il sottomento assai pronunciato, che raccorcia il collo, rammentano i tratti fisionomici degli infanti della Strage degli Innocenti del pulpito senese. Queste convergenze fanno quindi pensare all’opera di uno stretto collaboratore del grande maestro durante il cantiere senese del Duomo, se non addirittura a Arnolfo di Cambio. L’alta datazione del gruppo di Chianciano è confermata dalla foggia degli abiti e dalla acconciatura del Bambino ancora piuttosto arcaica; si confronti ad esempio con il gruppo angolare della Madonna col Bambino nel pergamo della Cattedrale senese». Molti elementi, visti in precedenza, ci portano quindi a pensare che l’opera sia attribuibile ad uno stretto collaboratore di Nicola Pisano: Arnolfo di Cambio uno dei suoi più illustri allievi insieme al figlio Giovanni Pisano – entrambi architetti, scultori e direttori di importanti botteghe, attivi sin dall’inizio del XIV secolo –. Arnolfo, dopo la formazione e la collaborazione con Nicola al Pulpito del Duomo di Siena, 1266-68, e all’Arca di San Domenico a Bologna, 1265-67, se ne allontana trasferendosi a Roma dove entra al servizio di Carlo I d’Angiò, il monarca insediato dalla Chiesa, come alleato, nel regno meridionale che era stato degli Svevi. L’ingresso nella cerchia di questo grande feudatario di origine francese può almeno in parte spiegare come l’artista, pur operando una sintesi tra memoria dell’antico e Gotico come il suo maestro, inclini inizialmente verso modelli francesi più recenti, diversi da quelli “gotico-classici” di Nicola, più lineari ed inquieti. In un primo tempo egli contrappone alla plasticità del maestro una tensione dinamica compressa in superficie, tutt’altro che classica, e solo in un secondo tempo perviene, nell’attività architettonica come nelle sculture, ad un ritmo più pacato e grandioso, senza però mai dimenticare le tensioni di superficie della fase precedente. Per quanto concerne il gruppo scultoreo di Chianciano, nonostante la corona che decora l’estremità della
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testa della Vergine sia più tarda rispetto alla statua e lo siano anche le decorazioni della veste del Bambino e quelle del cuscino su cui è assisa la Madonna, la critica odierna pur non essendo concorde ad una attribuzione certa ad Arnolfo di Cambio è comunque incline a riferire il gruppo scultoreo ad un seguace di Nicola Pisano e a datare l’opera non al Trecento ma all’ultimo terzo del Duecento. Un elemento che potrebbe poi avvalorare l’assegnazione ad Arnolfo di Cambio, e questa non è ipotesi da scartare, è il fatto che i Conti Manenti, all’epoca padroni di Chianciano, lo erano anche di Orvieto, città nella quale, l’artista, compì pregevoli opere come il Monumento sepolcrale del Cardinale de Braye, nella Chiesa di San Domenico. Già nel Battistero di Chianciano, il Crocifisso era riferito genericamente ad «anonimo del XIII secolo» nell’Inventario del Brogi. Quest’opera è stata per molto tempo al centro di numerosi dibattiti in quanto, sebbene siano state subito stabilite l’attribuzione cronologica al XIV secolo e l’appartenenza alla scuola di Duccio di Buoninsegna, meno sicuro e a lungo analizzato è stato il nome dell’autore. La critica è oggi propensa a riferire il Crocifisso a Segna di Bonaventura riprendendo la vecchia attribuzione proposta anche dal Boskovits, ma diversi sono stati i nomi suggeriti dagli studiosi nel corso degli anni. Enzo Carli, ad esempio, indicò (1955 e 1971) l’ignoto pittore con il nome di Maestro di San Polo in Rosso – dal nome del Crocifisso della Chiesa del Castello di San Polo in Rosso in Chianti – del quale ricostruì l’attività. Lo studioso attribuì a questo artista il Crocifisso di San Polo in Rosso (oggi nella Pinacoteca Nazionale di Siena), questo di Chianciano, quello di San Giusto a Siena (anch’esso nella Pinacoteca Nazionale) nonché quelli di San Francesco a Pienza e della collezione Vanni di Siena, quest’ultimo emigrato alla National Gallery di Londra. I suddetti Crocifissi infatti erano già stati messi in relazione tra loro da altri critici come da Cesare Brandi che li aveva riferiti (1933 – 1951), eccetto quello del Battistero di Chianciano, al Maestro del Polittico di Sant’Antonio a Montalcino – da un dossale con la Madonna, il Bambino e Santi, già nella Chiesa di Sant’Antonio ed oggi nel Museo Diocesano d’Arte Sacra di quella cittadina –. Il Brandi aveva aggiunto al precedente elenco il gruppo (in passato riunito dal Perkins – The Art in America, 1920 – e dallo Weigelt – La pittura senese del Trecento, Bologna 1930) che si accentra nella Madonna del Museo di Boston e nella Madonna del Latte della Collezione Platt ad Englewood e la Maddalena della Collezione Loeser di Firenze. Il Carli però nel corso delle sue ricerche escluse, dall’attività del Maestro di San Polo in Rosso, l’ultimo gruppo di opere proposto dal Brandi riconducendo quindi all’artista soltanto i cinque Crocifissi. La critica odierna in seguito ad ulteriori studi e ritenendo improbabile che di questo Maestro ci siano pervenuti solo cinque manufatti, è tornata a fare il nome di Segna. La personalità artistica di questo pittore senese, ricordato nei documenti dal 1298 al 1326, è principalmente ancorata a quattro opere firmate: il Trittico del Metropolitan Museum di New York, il Crocifisso del Museo Storico Russo di Mosca, i quattro Santi della Pinacoteca Nazionale di Siena – cioè quattro pannelli di un polittico; in uno di essi è rappresentato San Paolo nella cui spada si legge «SEGNA ME FECIT» – ed infine la Maestà di Castiglion Fiorentino considerata il dipinto più antico dei quattro ed anche quello più pregevole. Queste sono le opere firmate da Segna ma a lui sono stati attribuiti, oltre ai Crocifissi raccolti dal Carli sotto il nome del Maestro di San Polo in Rosso e al Polittico di Montalcino (riferito dal Brandi all’omonimo Maestro), anche la Maestà del Duomo di Massa Marittima del 1316, il Crocifisso della Badia di Arezzo (assegnatogli dal Salmi in “L’arte”, 1922) e la Madonna della Chiesa della Misericordia a Grosseto. Segna oltre ad essere cugino di Duccio, è annoverato anche tra i seguaci del grande Maestro insieme ad Ugolino di Nerio, al Maestro di Badia a Isola ed al Maestro di Città di Castello. Questo artista muovendo dalle formule duccesche di cui fu superficiale illustratore, pur nella sua malinconica severità con cui raffigurava le immagini sacre, rimase eccessivamente ancorato a tali moduli, scadendo così nella ripetizione dei modelli convenzionali senza apportare significative innovazioni nel suo linguaggio pittorico, che avrebbe invece potuto evolversi in un periodo tanto fecondo per la pittura in questo territorio e soprattutto in quegli anni.
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fig.11 Croce dipinta, Segna di Bonaventura (Siena, documentato dal 1298 al 1326). Tempera su tavola, cm 288 x 210. Provenienza: Battistero della Collegiata di San Giovanni Battista. ProprietĂ della Parrocchia di San Giovanni Battista
Il Crocifisso del Battistero di Chianciano è un’opera di notevoli dimensioni, dipinta su legno sagomato, in cui la figura centrale, rappresentata da Gesù, è sovrastata da un tondo con il Padre. Sul braccio destro della croce è effigiata la Vergine Addolorata, su quello sinistro San Giovanni Evangelista. La tipologia che il Cristo presenta è quella del Christus Patiens sviluppatasi in Italia tra la fine del XII secolo e l’inizio del successivo, in sostituzione dello schema iconografico del Christus Triumphans, entrambi di derivazione bizantina. Il motivo del Cristo Patiens, per la prima volta adottato dall’artista italiano Giunta Pisano, che fa propria la novità iconografica grazie alla circolazione di modelli bizantini, soprattutto miniati, rappresenta invece il Dio fatto uomo che muore sulla croce chiudendo gli occhi e reclinando il capo; a rinforzo della dolente immagine non manca un fiotto di sangue che zampilla dalla ferita aperta nel costato. L’innovazione iconografica è sicuramente favorita dai Francescani per influsso della religiosità emotiva e umanizzata, da essi propugnata, che tende a privilegiare l’aspetto della sofferenza e della partecipazione divina al dolore umano. Nella figura del Cristo troviamo ancora un’altra novità, cioè sono scomparsi i duri grafismi anatomici, precedentemente indispensabili per la resa dei profili, delle ossa e dei muscoli, adesso sostituiti da ombre sfumate con le quali il pittore modella il rilievo in accordo con una fonte di luce approssimativamente calcolata. Le ombre si scuriscono in relazione alla profondità degli incavi e degli scorci: molto marcate nelle braccia, sul collo e sotto la testa, nella porzione terminale del ventre e più in generale su tutto il fianco sinistro della figura, permettendoci di individuare, in base alla collocazione originaria dell’opera, la provenienza, da destra, della fonte di luce. Anche il panneggio risente delle nuove tendenze pittoriche in quanto fluisce morbidamente, modulato dal chiaroscuro. Nel perizoma infatti, solitamente rappresentato di tessuto coprente o abbellito da astratte striature dorate, si riscopre, dopo secoli di “dure grafie”, il motivo della trasparenza: la stoffa velata lascia intravedere o copre le membra sottostanti a seconda del suo stendersi o stratificarsi. L’uso del colore, gestito attraverso questi morbidi e sfumati trapassi, consente a Segna di Bonaventura di raggiungere un inedito naturalismo. Questo Crocifisso fu pubblicato dal Carli nel 1955, dopo che l’opera era stata sottoposta ad un laborioso restauro inteso a rimuovere antiche e maldestre ridipinture – si risolse di intervenire sull’opera in seguito alla decisione di spostarla dalla Chiesa della Collegiata al Museo –. Il ripristino del dipinto fu infatti assolutamente necessario in quanto presentava questa necessità già nell’Inventario del Brogi dove si legge, alla nota 8: «In cattivissimo stato di conservazione, e per le molte scrostature di colore, per sudiciume, e per cattivo restauro.». Il Polittico del Maestro di Chianciano, eseguito a tempera su fondo oro, annoverato dal Brogi nel suo Inventario tra i «Quadri appesi alle pareti» nella sacrestia della Collegiata di San Giovanni Battista, fu assegnato dallo studioso al Barna. L’opera, riferita dapprima genericamente alla Scuola di Duccio – ma anche al Barna (Mannucci, Bargagli Petrucci) – fu attribuita al Maestro di Chianciano dal Brandi allorché fu esposto nel 1932 alla Mostra d’Arte Sacra a Chiusi. Il critico, ricostruendo la personalità di questo anonimo artista senese, lo identificò traendo l’appellativo di Maestro di Chianciano proprio da tale opera. Secondo notizie certe sappiamo che fu un discepolo di Ugolino di Nerio, attivo seguace di Duccio di Buoninsegna, e quindi verrebbe a trovarsi sulla scia del grande pittore senese, del quale interpreta il linguaggio pur conferendo alle figure un aspetto più semplice e meno caratterizzato. A questo artista sono riferite diverse opere, tra le quali la più antica, assegnatagli dal Brandi, sarebbe la grande tavola cuspidata della Madonna del Cardellino, eseguita nel 1329 ed attualmente conservata nel Museo della Propositura di Pomarance, a Volterra. Molto simile alla precedente è la Madonna con Bambino che figura nella Pinacoteca di Siena (ritenuta posteriore al 1339), una tempera su tavola anch’essa cuspidata, proveniente dal vecchio Conservatorio Femminile di San Girolamo in Montepulciano. Numerosi elementi che accomunano il polittico di Chianciano a tali opere
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hanno lasciato supporre che appartenessero tutte allo stesso pittore; sono infatti stilisticamente simili nel ritmo, le figure della Vergine e la maniera con la quale l’artista muove i panneggi e chiaroscura i volti, talvolta come lievemente tesi e gonfi anche alla base del collo. Senza alcun dubbio la tavola fu commissionata al Maestro di Chianciano per adornare l’altare maggiore della Collegiata di San Giovanni Battista. In seguito ai lavori di ristrutturazione, attuati tra il 1813 ed il 1817 su progetto dell’architetto Luigi De Vegni per trasformare l’interno in stile neoclassico, essa fu collocata sopra un pancone in sacrestia e da lì successivamente trasportata al museo. Le figure sono inserite all’interno di un impianto architettonico costituito da arcate a sesto acuto a loro volta sorrette da colonnine. Diviso in cinque scomparti, è purtroppo mancante della cuspide e di quattro tavole laterali nella porzione superiore. L’immagine centrale rappresenta la Vergine che sorregge, sul braccio sinistro, Gesù Bambino benedicente il quale, a sua volta, tiene nella mano sinistra un cardellino, simbolo preannunciante la Passione. A destra della Madonna sono raffigurati San Giovanni Battista e San Michele Arcangelo. Il primo è rappresentato, secondo l’iconografia tradizionale, vestito di pelli e di indumenti molto ruvidi. Con la mano sinistra regge una croce astile, mentre con il dito pollice della destra, in congiunzione con il medio e l’anulare, forma il simbolo della Trinità. L’altro Santo, San Michele Arcangelo, venerato come il guerriero difensore e protettore del popolo di Dio, è qui rappresentato con la mano destra brandente la spada, mentre con la sinistra sorregge il globo, in un atteggiamento molto comune, soprattutto a partire dal X secolo, nella storia dell’arte sacra. Per quanto concerne invece gli altri Santi presenti nel polittico troviamo, questa volta a sinistra della Vergine, San Macario e San Bartolomeo. San Macario, ritratto in quest’opera con il mantello rosso e la Sacra Scrittura in mano, nacque a Costantinopoli attorno all’829. La sua intercessione, essendo chiamato “Il Taumaturgo”, viene invocata per curare le malattie, ma anche per ottenere la pioggia. Per questo motivo è particolarmente venerato nelle campagne insieme a Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, di cui si ritiene sia stato discepolo. San Bartolomeo, compatrono di Chianciano insieme a San Giovanni Battista, fu invece uno dei dodici apostoli – citato nel Vangelo di Giovanni come Natanaele e come Bartolomeo negli altri tre testi –. Secondo la tradizione subì il martirio di essere scorticato vivo ed è proprio a causa di ciò che è qui rappresentato, mentre, con la mano destra regge un coltello e con la sinistra la Bibbia. Le cuspidi racchiudono, nello stesso ordine, i santi Stefano, Secondiano, Ireneo e Silvestro, ma sono purtroppo perdute le quattro figure esterne. Gli effigiati sono identificati da tituli che ne rendono più facile il riconoscimento, infatti proprio grazie ai nomi di “David” e di “Isaia”, che compaiono sulla cornice, possiamo ipotizzare, nel coronamento superiore, anch’esso perduto, la presenza di profeti. I Santi Secondiano ed Ireneo se posti a confronto con Stefano e Silvestro – i quali, oltre ad essere generalmente noti a tutti, sono facilmente identificabili dagli attributi – risultano meno caratterizzati e connessi al culto locale. Essi infatti presentano come unico attributo la palma del martirio e sono legati alla devozione dell’antica Diocesi di Chiusi (Chianciano rappresentava la sede estiva) cittadina in cui la Cattedrale venne edificata proprio in onore di San Secondiano. Santo Stefano, qui raffigurato secondo l’iconografia tradizionale, è rappresentato come giovane e imberbe, rivestito della dalmatica diaconale con in mano il libro dei Vangeli e con due pietre sulla testa – l’attributo più frequente perché ricorda il martirio a cui fu sottoposto, cioè la morte per lapidazione –anche se talvolta viene dipinto con la stola e la palma del martirio, invece della pietra. Accanto a Santo Stefano troviamo San Secondiano, patrono di Tuscania insieme a San Veriano e San Marcelliano perché martirizzati congiuntamente. La tradizione fissa al 251 l’anno del martirio, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, il quale aveva emesso l’ordine che in un determinato giorno tutti gli abitanti dell’impero celebrassero una cerimonia sacra in onore degli dei; secondo le disposizioni imperiali, chi avesse trasgredito a tali ordini avrebbe pagato con la propria vita – è in questo frangente che vanno collocate le vicende del Santo in questione –. Gli atti asseriscono che Secondiano, letterato e filosofo, dopo la conversione
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Nella pagina a fianco: fig. 12 Polittico, Maestro di Chianciano (Siena, prima metà secolo XIV). Tempera su tavola, cm125 x 235. Provenienza: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista fig. 13 Pannello centrale: Madonna con il Bambino fig. 14 Pannello superiore sinistro: Santo Stefano e San Secondiano fig.15 Pannello superiore destro: Sant’Ireneo e San Silvestro
In questa pagina, in senso orario: fig. 16 Pannello laterale sinistro: San Michele Arcangelo fig. 17 Pannello laterale sinistro: San Giovanni Battista, fig. 18 Pannello laterale destro: San Bartolomeo fig. 19 Pannello laterale destro: San Macario
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ricevette il battesimo e quando scoppiò la persecuzione, egli fu tra coloro che si rifiutarono di sacrificare agli idoli. Trattandosi però di un personaggio di riguardo fu allontanato da Roma per evitare lo scandalo di un pubblico processo, venne allora trasferito a Colomacio, sottoposto a torture e decapitato insieme agli altri due Santi, i loro corpi infine furono gettati in mare (le spoglie vennero successivamente restituite dalle onde sulla spiaggia). Nel 648, in conseguenza all’abbandono in cui era caduta la località che custodiva i resti dei martiri, il vescovo di Tuscania Valeriano decise di trasferire i corpi dei Santi nella sua sede. La protezione di questo Santo veniva implorata per la salvezza della città e per la floridezza dei campi. Nel nostro polittico San Secondiano è rappresentato con tunica e mantello rossi e con la palma del martirio in mano. Il successivo Santo, questa volta a sinistra della Vergine, è Sant’Ireneo altro compatrono di Chiusi insieme al già visto San Secondiano e a Santa Mustiola – egli infatti nel III secolo era diacono in questo paese). Ireneo dette sepoltura al corpo di San Felice, sacerdote di Sutri, e proprio per questo motivo venne arrestato dal Prefetto Turcio che, gravandolo di catene, lo costrinse a procedere a piedi, da Sutri fino a Chiusi, cittadina assegnata alla sua giurisdizione. Gettato in carcere, venne pietosamente visitato e soccorso da Mustiola. Saputo di quelle visite, il Prefetto torturò il diacono Ireneo, il quale spirò sotto quei terribili tormenti. In questa tavola Sant’Ireneo indossa un abito diaconale rosso e, come già visto, reca in una mano la palma del martirio, mentre nell’altra la Bibbia. Il Santo che chiude la porzione alta del polittico è San Silvestro la cui vita ci viene narrata in due leggende; nella prima si racconta che Papa Silvestro, dopo aver curato l’imperatore Costantino dalla lebbra, lo battezzò, chiudendo così simbolicamente l’era pagana, rappresentata dall’anno vecchio, e aprendo quella cristiana – si allude quindi al passaggio dall’ “anno idolatrico, all’ “anno della vera fede”. In seguito alla miracolosa guarigione l’imperatore, come segno di gratitudine, donò al papa il potere temporale. L’altra leggenda dice che San Silvestro liberò il paese di poggio Catino, in provincia di Rieti, da un feroce drago che, con il suo “soffio pestifero faceva morire più di trecento uomini al giorno”. La bestia viveva in una caverna alla quale si accedeva attraverso trecentosessantacinque gradini, tanti quanti i giorni dell’anno: quel drago in realtà rappresentava il paganesimo (quindi satana) e i trecentosessantacinque scalini, invece, l’anno romano che San Silvestro aveva consacrato al Signore uccidendo il pestifero mostro. Entrambe le leggende hanno ispirato, nel corso dei secoli, molti artisti fra cui Maso di Banco che per il ciclo di affreschi della Cappella Bardi, in Santa Croce, a Firenze, prese a soggetto il secondo episodio sopra narrato, mentre Giulio Romano rappresentò in Vaticano, in un grande affresco, il dono della città di Roma fatto da Costantino al Papa. Nel polittico San Silvestro indossa gli abiti papali, ha la mitra in testa, il pastorale nella mano sinistra ed il Vangelo nella destra. La terza sala ospita opere appartenenti, prevalentemente, al periodo compreso tra il Cinquecento ed il Seicento come il rilievo in terracotta raffigurante la Vergine con il Bambino della bottega di Luca della Robbia (fig. 20); alcuni esempi di “arte popolare” – come la tela con i Misteri del Rosario (fig. 21) – di scuola senese e fiorentina; la pregevole Madonna con Bambino e Santi di Marco Bigio (fig. 22); l’affresco strappato dalla Chiesa della Pace (fig. 23) ed . Qui è inoltre presente un altro gruppo di suppellettili liturgiche di squisita manifattura, riferibili ai secoli XVI e XVII, che permette di individuare come l’evoluzione stilistica, determinata altresì da sopraggiunte esigenze di culto o dal gusto stesso dei committenti, si manifesti anche nella produzione di questo genere di manufatti. Ne sono esempi il braccio reliquiario di San Giovanni Battista (figg. 24 e 25), due carteglorie (fig. 26, cfr. catalogo schede n° 54 e 55), nonché alcuni calici (cfr. catalogo schede n° 51-53). Degno di nota è infine il reliquiario ad urna a forma di sepolcro datato 1683 in legno policromato e intagliato (51×50×25 cm) a causa del particolare uso che se ne faceva. Nei secoli scorsi il Giovedì Santo, giorno in cui si festeggiavano i “Sepolcri”, si era infatti soliti adornare gli altari maggiori delle chiese, con questa singolare urna, all’interno della quale venivano poste le Ostie Consacrate. Con tale gesto però, si travisava l’autentico significato del Giovedì Santo, in quanto, anziché commemorare l’Istituzione dell’Eucaristia, come invece accade oggi tramite l’Esposizione del Santissimo Sacramento, si celebrava Cristo – Particola consacrata – deposto nel sepolcro. Oggi, a motivo di tale fraintendimento, questo antico rito è stato proibito dal cerimoniale ecclesiastico e sostituito con la celebrazione liturgica.
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fig.20 Madonna con Bambino, da Luca della Robbia. Rilievo in terracotta, Ø cm. 34. Provenienza: ex Monastero di San Michele Arcangelo. Proprietà del Comune di Chianciano
fig. 21 Misteri del Rosario, arte popolare seconda metà 1500. Tempera su tela, cm. 124 x 100. Provenienza: Monastero di San Michele Arcangelo. Proprietà del Comune di Chianciano Terme
Nella pagina a fianco fig.22 Madonna con Bambino, San Rocco e San Sebastiano. Marco Bigio, Siena, prima metà XVI secolo. Olio su tavola, cm. 55 X 46. Provenienza:Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
fig.23 Madonna con Bambino, artista umbro, inizi Cinquecento. Affresco strappato, cm. 94 x 82. Provenienza: Chiesa dell’Immacolata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
La Madonna con Bambino, San Rocco e San Sebastiano che in passato si trovava nella sacrestia della Collegiata di San Giovanni Battista, era attribuita ad un “Anonimo” del “Secolo XVI”, mentre oggi, in seguito agli ultimi studi, è stata assegnata a Marco Bigio. Questo pittore senese, attivo dal terzo al quinto decennio del Cinquecento, si formò nella bottega del Sodoma la cui influenza si nota in tutta la sua attività artistica. Marco Bigio fu attivo sia nella Provincia di Siena, sia in quella di Grosseto, infatti tra le opere che gli sono state recentemente attribuite, oltre a questa di Chianciano, abbiamo anche la tavola con la Visitazione della Madonna a Sant’Elisabetta proveniente dalla Chiesa della Compagnia della Visitazione a Monteguidi (oggi nel Museo Archeologico e della Collegiata di Casole d’Elsa), il bel tondo con la Sacra Famiglia e San Giovannino già nella cappella del Palazzo Vescovile di Pienza (oggi nel Museo Diocesano di questa cittadina), il dipinto raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Fabiano e Sebastiano dell’Oratorio di Santa Croce a Pari (Civitella Paganico). Rispetto ad altre opere del Bigio, nella tavola chiancianese, è presente l’influenza del Sodoma soprattutto nella figura della Vergine il cui dolce volto, lambito da un morbido chiaroscuro, ricorda la Madonna dell’Adorazione dei Magi, dipinta dal grande maestro in Sant’Agostino a Siena. La scelta dei santi qui presenti, insieme alla Vergine e l’Infante, può far presumere che l’opera sia stata commissionata in un periodo di contagio – entrambi i martiri infatti sono divenuti popolari poiché venivano invocati per allontanare il contagio da pestilenze ed epidemie di vario genere. Essa ci mostra San Sebastiano con le frecce del martirio e San Rocco caratterizzato dai simboli del pellegrino: il bordone con il fazzoletto annodato, le spine d’istrice dietro le spalle e le insegne sul mantello costituite dai piccoli bastoni incrociati e dalla conchiglia. L’affresco della Madonna con Bambino, la cui leggibilità risulta molto precaria, era dedicato alla Madonna della Pace in quanto, prima di essere collocato nel 1789 nella Chiesa dell’Immacolata, risiedeva nella Chiesa della Pace. L’edificio fu eretto nel 1494 in memoria dell’armistizio siglato tra Chianciano e Montepulciano, dopo circa centonovanta anni di ostilità. Come segno di riconoscenza alla Madonna e al fine di conferire maggior rilievo all’evento, si ritiene possibile che sia stato chiamato un artista di fama come Luca Signorelli. L’attribuzione resta tuttavia incerta a causa della cattiva conservazione dell’affresco che ne impedisce un’idonea lettura.
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fig.24 Braccio Reliquiario di San Giovanni Battista. Argentiere della seconda metà del Cinquecento. Argento sbalzato e cesellato, altezza cm 49. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista fig.25 Particolare del Reliquiario di San Giovanni Battista
Il Braccio Reliquiario di San Giovanni Battista appartiene alla tipologia, affermatasi dal 1300-1400 in poi accanto ai busti-reliquiari dei santi, nella quale il prodotto artistico assume la forma anatomica della reliquia che custodisce al suo interno. Questo reliquiario, risalente alla seconda metà del XVI, lavorato in argento con mirabile maestria, riproduce un avambraccio destro ed una mano in grandezza naturale. Nel palmo della mano, come negli esempi di questa tipologia di oggetti, si trova una piccola teca di vetro che consente di vedere il frammento di osso umano appartenente, secondo la tradizione, a San Giovanni Battista. Tale reliquia è stata particolarmente venerata nei secoli scorsi, non diversamente del resto da tutte le altre, numerose, che erano – ed alcune lo sono tutt’oggi – custodite nella chiesa Collegiata. Non dobbiamo dimenticare infatti che in passato l’importanza di una chiesa era valutata anche dal numero e dal prestigio delle reliquie da essa ospitate.
Nella pagina a fianco: fig. 26 Cartagloria, Paolo Taddei (Siena, documentato dal 1696 al 1705), lamina d’argento cesellata e sbalzata (49x43 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
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fig. 27 Annunciazione (1581), Niccolò Betti (Firenze, notizie dal 1571 al 1617). Olio su tela (198x164 cm). Provenienza documentata: Chiesa dell’Immacolata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
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La quarta sala accoglie infine manufatti artistici risalenti ai secoli XVII, XVIII e XIX; i lavori più significativi sono le due Annunciazioni (fig. 27, cfr. catalogo scheda n° 46) e la Madonna del Rosario (fig. 28, cfr. catalogo scheda n° 45) di Niccolò Betti , il volto di Cristo (fig. 29), in tartaro, dell’architetto chiancianese Leonardo Massimiliano De Vegni, una copia della Madonna del Divino Amore di Raffaello (fig. 30, cfr. catalogo scheda n° 47), importante soprattutto da un punto di vista documentaristico perché l’originale è andato perduto, la tela di Galgano Perpignani raffigurante una Sacra Conversazione (fig. 31) e molti esemplari di argenteria liturgica (figg. 32-34, cfr. catalogo schede n° 60, 62 e 65).
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fig.28 Madonna del Rosario, Niccolò Betti (Firenze, notizie dal 1571 al 1617). Olio su tela (170×136 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
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Il Cristo, che fino a qualche tempo fa era accolto all’interno di un’edicola sovrastante Porta del Sole, fu realizzato con “tartaro” dei Bagni di San Filippo da Leonardo Massimiliano De Vegni. Questo bassorilievo è l’unico manufatto noto del De Vegni conservatosi fino ad oggi, quindi al valore artistico si aggiunge quello di documentazione storica su una tecnica particolarmente originale e del tutto all’avanguardia alla fine del Settecento. Nella propria memoria sui tartari, il De Vegni ricorda infatti tre opere da lui realizzate con il nuovo sistema, particolarmente significative, tra cui annovera: «il bassorilievo sopra una pubblica Porta di Chianciano mia patria, Terra colta del Senese nella diocesi di Chiusi fabbricata quasi di nuovo a mio disegno e mie spese», realizzata nel 1784. Questa porta faceva parte dell’antico circuito murario medievale di Chianciano Vecchia, ma venne praticamente costruita ex novo dal nostro autore. Realizzata in mattoni, presenta la parte superiore dell’apertura a sezione poligonale; è affiancata da due avancorpi angolari a torre ed è sormontata da un’edicola, fiancheggiata da vasi in travertino, in cui si trova, appunto, il bassorilievo raffigurante il busto in profilo del Salvatore. Tale bassorilievo, di 62 centimetri di base per 72 di altezza, internamente cavo con uno spessore costante di 3,8 centimetri, è un tipico esempio di immagine sacra neoclassica. Il manufatto rappresenta infatti Cristo, ritratto di profilo e rivolto verso destra, accolto in una cornice in rilievo; ai lati della testa del soggetto sono incise le lettere alfa ed omega, mentre alla base troviamo questa iscrizione: “MDCCLXXXIV/ L. DE VEGNIS. AEDILIS. D. D. TUTAMQUE PORTAM. AERE PPRIO. ORNAVIT.”. Il procedimento di lavorazione del “tartaro” – nome attribuito dai vecchi chimici a molti sali derivanti dall’acido tartarico, ma anche al carbonato di potassio – è stato messo a punto dallo stesso De Vegni. Il bassorilievo, tenuto conto dell’esposizione agli agenti atmosferici per due secoli, si presenta in buono stato di conservazione, certamente assai migliore di quanto non lo sarebbe stato se realizzato in pietra. La superficie non presenta segni di corrosione – dissoluzione del carbonato di calcio da parte delle acque meteoriche – né fenomeni di disgregazione. Gli unici danni rilevabili consistono in fratture che interessano prevalentemente il fondo piano, soprattutto all’estremità superiore sinistra, ma pure presenti nel busto del Cristo. Queste fratture – la più evidente è quella che ha provocato la perdita della parte inferiore sinistra del busto – sono presumibilmente da imputarsi a sollecitazioni meccaniche causate da sbalzi di temperatura, certamente notevoli data l’esposizione verso sud e, probabilmente, differenziate tenendo conto che la parte superiore del bassorilievo è molto più riparata dall’insolazione diretta. L’opera dopo essere stata spostata dalla sua sede originale, ha subito un intervento di restauro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il Comune, interessato a mantenere una corretta ed autentica leggibilità di uno dei monumenti più caratteristici e meglio conservati del Centro Storico – Porta del Sole – ha incaricato i restauratori di provvedere anche al calco dell’opera, per poterlo inserire all’interno dell’edicola di Porta del Sole, sede dell’originale del De Vegni. Nella seconda metà del Settecento, con il diffondersi dello spirito “nuovo” illuminista assistiamo, anche in Toscana, ad un rigoroso studio dei fenomeni naturali ed alla ricerca di differenti tecniche che traggono origine dalla codificazione del metodo e dell’indagine galileiana, ormai storicizzatasi nel Granducato. Vediamo però che soltanto con l’affermarsi del Neoclassicismo si elaborano, a Firenze come in altre città granducali, differenti metodi tecnici e costruttivi, nonché processi tecnologici che impiegano materiali nuovi ed “artificiali”. Solamente adesso si diffonde in architettura la tecnica delle membrature realizzate con “calcina e materiale”, mentre si sperimentano per gli intonaci calci di maggiore durevolezza. In questa ottica rimangono indubbiamente fondamentali le ricerche condotte da Leonardo De Vegni sui “tartari”, il loro impiego e la loro durevolezza. Presso i Bagni di San Filippo, una piccola borgata nella valle del torrente Rondinaia, vicino a Castiglione d’Orcia, la famiglia De Vegni possedeva una proprietà, dove Leonardo trascorse molte estati della sua fanciullezza, durante le quali giocava spesso, affascinato, con questi strani e misteriosi prodotti della natura che erano i “tartari”. Come è noto, infatti, in tale località scaturiscono da rocce travertinose acque sulfuree, ricche di carbonato di calcio, che lasciano abbondanti depositi di travertino e di zolfo. Il primo precipitato dalle
Nella pagina a fianco : fig. 29 Volto di Cristo, Leonardo Massimiliano De Vegni, 1784. Bassorilievo in tartaro, cm. 64 x 72. Provenienza: Porta del Sole. Proprietà del Comune di Chianciano
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Nella pagina a fianco fig. 30 Madonna del Divino Amore, copia da Raffaello, 1517. Olio su tela (155x127 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
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acque termominerali di san Filippo, sovrossature di carbonato di calcio, non è calcite, ma aragonite, dovuta alla presenza notevole di ione Sr² + nelle acque stesse. I primi precipitati, come da recenti indagini, sono costituiti da un alto tenore di stronzio, a bassissimo residuo insolubile, accompagnato da gesso e zolfo (appena i precipitati aragonici non sono più a contatto delle acque “madri” si trasformano presto in calcite, con la perdita di circa la metà dello stronzio iniziale). I primi esperimenti scientifici il De Vegni li iniziò nell’estate del 1757 e nei periodi estivi degli anni seguenti (dimorando d’inverno a Bologna). Divenuto architetto, nel 1761 pubblicò a Bologna la Descrizione del Casale e Bagni di San Filippo in Toscana con i suoi annessi. Nel 1766, a causa della sua presenza a Roma, che non gli permetteva di seguire personalmente i lavori realizzati nella fabbrica di “tartari” da lui impiantata a San Filippo, entrò in società con Guglielmo Gherardini, mentre le “forme” gli venivano preparate dall’amico e scultore Giuseppe Paleari. La produzione di questi tartari, particolarmente a livello decorativo, raggiunse una notevole fama in tutto il Granducato, così che lo stesso Pietro Leopoldo visitò la fabbrica del De Vegni il 25 ottobre 1769. Nel 1771, dopo aver sciolto la società con il Gherardini, Leonardo chiese al Granduca un posto di insegnante di architettura a Siena, che gli avrebbe permesso di seguire da vicino i suoi affari a San Filippo. È in quegli anni che, superate le difficoltà economiche, realizzò i bassorilievi per Palazzo Pitti, per la fonte di Seggiano e per la Porta del Sole di Chianciano. La sua esperienza, più che venticinquennale, nella “plastica de’tartari” divenne oggetto, nel 1788, di una memoria specifica, che fu pubblicata però solo dopo la sua morte, nel 1808. L’attività proseguì anche dopo la morte del De Vegni (1801), per tutta la prima metà dell’Ottocento anche se in seguito andò diminuendo per poi scomparire del tutto all’inizio del Novecento. Nel primo paragrafo della memoria del 1788, il De Vegni sintetizza, in maniera rigorosa e quasi lapidaria, argomenti e finalità della propria trattazione, sottolineando inequivocabilmente e orgogliosamente la paternità dell’invenzione: «La plastica de’tartari è un’arte da me inventata, con la quale le acque tartarizzanti sono determinate a deporre il tartaro loro, configurato, colorito, duro, trasparente, e resistente, come a me piace». La memoria si incentra tutta su questo assunto il quale non è altro che la puntuale esplicazione delle caratteristiche della sua invenzione. La prima ad essere analizzata è la “configurazione”: essa dipende semplicemente «dal far deporre alle acque il tartaro sopra cavi o sieno forme; e dalla precisione di queste deriva quella della configurazione del tartaro deposto: talmenteché la medesima acqua sopra un cavo tratto da un finissimo e pulitissimo modello... adatta così precisamente le molecole liquide, che depone, alla superficie del cavo, che si ha un’impronta pulita e fedele a segno, che non solo rende i delineamenti tutti del modello, ma persino i gradi del pulimento e levigatezza». Passando a considerare la “durezza” e la “trasparenza”, egli afferma che «vanno regolarmente del pari, e provengono dall’uso economico di certe leggi della genesi de’tartari». Rimanendo infatti invariato il tempo ed il luogo, una stessa forma può essere investita dall’acqua in modo diverso e ciò comporta una diversa formazione di tartaro sulle sue parti: proprio «in queste modificazioni dell’acqua sta tutto il più difficile di questa nuov’arte. Le variazioni sono rilevanti, potendo passare da una polvere fine, inconsistente, ad una pietra dura opaca, ch’è il Travertino; ed una pietra più dura e trasparente, e questa è l’Alabastro». La durezza e la trasparenza – continua il De Vegni – «sono proporzionali alla percentuale di elementi puri ed omogenei, ottenuti facendo precipitare preventivamente i più grossi ed eterogenei». Importante è l’angolo di inclinazione con cui l’acqua colpisce la forma: se questa la investe orizzontalmente si avrà una deposizione farinacea; a mano a mano che la caduta si sposterà verso la posizione verticale rispetto alla forma, avremo concrezioni più dure, fino a divenire durissime se l’acqua investirà “di riflesso”. Così egli motiva il fenomeno: «Ne’punti della percossa maggiore, dov’essa andrà perpendicolare... si avrà un tartaro più duro, perché ivi non si sarà fermato, che il più duro, ed omogeneo, le cui particelle ad onta ancora della percossa per la somiglianza loro, esclude l’eterogenee e mandate via colla corrente, si sono fermate a contatto. Dove l’acqua è in minor moto avremo un tartaro tenero, perché ivi hanno avuto commodo di fermarsi
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fig. 31 Sacra Conversazione, Galgano Perpignani (Siena 1694, Bologna 1771). Olio su tela (212 x 124 cm). Provenienza Chiesa dell’Immacolata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
le parti ancora più grosse». La polvere inconsistente si avrà, quindi, dove l’acqua ristagna, mentre, se questa investirà di riflesso, «il più duro s’avrà ne’punti più lontani dal centro di riflessione, perché ivi non è giunto, e non si è fermato, che il più duro». La caratteristica, forse, più interessante è però costituita dal fatto che le superfici esterne di questi tartari hanno un’eccezionale resistenza in presenza di qualsiasi agente atmosferico (sgretolamento, macchie, ecc.). Una “durevolezza” che, secondo il De Vegni, è superiore a quella dei marmi e della pietra lavorata «a scalpello, o a sega e artificialmente lustrata», una resistenza che anzi aumenta con il tempo. Questo è dovuto, innanzitutto, alla purezza ed omogeneità delle particelle che li compongono e che formano una superficie «naturalmente compatta e unitissima, come una vetrina di majoliche... più... di ogni superficie di marmo levigato con arte». Nei casi dei marmi, infatti, l’abrasione delle parti provoca meccanicamente solo un’apparente levigatezza, dove l’unitarietà della superficie è data dall’«insinuare tra poro e poro forzatamente o delle particelle abrase della stessa pietra, o delle polveri estranee» e ciò è la causa prima delle alterazioni nel tempo. Nel caso dei tartari invece, il tempo – vale a dire il susseguirsi dei vari agenti atmosferici – provoca un consolidamento, una sempre maggiore cementazione fra le particelle che li costituiscono. Altro interessante argomento affrontato è l’impiego dei tartari. Questi infatti non servono esclusivamente nel campo delle arti decorative (anelli, medaglie, bassorilievi, altorilievi) ma anche in architettura (vasi , vasche rustiche per giardini, ecc.) e, più specificamente, anche come materiali da costruzione. È possibile, così «costruire fabbriche intere anche a volta senz’uso alcuno di malta, calce, e arena... e se occorre, parimente [far] all’acqua scavare ancora i fondamenti». Ammesso, ad esempio, che nella zona dei Bagni di San Filippo, in area non pianeggiante, si voglia costruire un edificio, innanzi tutto si procede manualmente al primo sbancamento e successivamente, con forti getti d’acqua, si allontanano tutti i detriti. Con i blocchi più grandi, rimasti in loco, e con altri invece estratti da vicine cave e sbozzati, si costruiscono le murature a secco, su cui si dirigono poi getti d’acqua “tartarizzante”. A seconda della direzione data al getto avremo una maggiore o minore cementazione tra le parti, trasformandole in un conglomerato. Tolte manualmente le escrescenze formatesi, ripetendo il procedimento, si satura ogni piccola cavità, formando una pellicola uniforme e regolare, cioè un’intonacatura «a piano». Con tale sistema è possibile anche lastricare vie, come egli stesso realizzò sul Monte Amiata (ricorda inoltre la realizzazione di gore, vasche e di un mulino, «fatto a guisa di un antico rotondo tempietto, ... che anche attualmente l’acqua mi sta perfezionando»). Il sistema di «lasciar suolo con pietre... [senza] fra le commettiture loro porre calce, perché l’acqua stessa, che passa fra esse, vi fa del tartaro», lo trasse da uno studio del senese Teofilo Gallacini (Errori degli Architetti, parte III, cap. 3), mentre l’idea della “cementazione”, tramite acque ricche di tartaro, per quanto concerne le “muraglie”, gli venne dall’osservazione delle stalattiti che si erano formate in vari edifici dell’antica Roma e, più in particolare, negli archi del giardino pensile del Palazzo Piccolomini, a Pienza. Purtroppo, della vasta produzione di oggetti in tartaro, oggi non abbiamo che qualche esempio e scarse notizie, nonostante la grande diffusione che ebbero non solo nel Granducato di Toscana, ma anche nel resto d’Europa ed in America (si pensi ad alcuni ritratti, come quello di Franklin). Come si è detto, oggi purtroppo siamo in possesso soltanto di scarse notizie sugli oggetti realizzati nella fabbrica e ciò è dovuto a vari motivi. Innanzitutto buona parte dei manufatti (come medaglie, scatole o anelli) non era destinata ad una indeterminata conservazione nel tempo, essendo costituita da oggetti prevalentemente “commerciali” e, anche supposta l’esistenza ancora di qualche elemento, è estremamente complessa una sua identificazione, per ovvi motivi. Altro fattore che va tenuto presente, anche per realizzazioni più complesse come bassorilievi o sculture da giardino, è che queste non erano in genere pezzi unici, particolarmente interessanti sotto il profilo artistico, rappresentando comuni stereotipi del gusto e della moda neoclassica. Per questo, oltre che per l’inevitabile deterioramento nel tempo, furono spesso distrutti, ritenendoli semplici oggetti in travertino, senza valore, vale a dire non riconoscendone, spesso, l’originalità costituita dalla formazione “artificiale”.
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Tra le realizzazioni più interessanti dobbiamo comunque annoverare i «grandi... bassorilievi» che erano stati posti «sopr’alcune finestre del Real Palazzo Pitti di Firenze dalla parte del giardino». Questi dovevano decorare la facciata della Meridiana, il nuovo padiglione iniziato nel 1776 da Gaspero Maria Paoletti. Tra le paraste, che scandiscono ritmicamente il settore principale del prospetto, si aprono finestre sormontate da timpano, mentre nelle parti “calme” della superficie le aperture sono sormontate da cimase a trabeazione orizzontale sopra cui si trovano dei loculi rettangolari, nei quali originariamente dovevano essere alloggiati i sei bassorilievi realizzati dal De Vegni su modelli di Leonardo Frati, in base a precise richieste da parte della Corte granducale. Significativo è, infine, un giudizio dato da un suo contemporaneo, il Della Valle, che pose l’accento sulla connessione tra tecnica nuova e riproduzione dell’arte antica: l’invenzione del De Vegni permise di «moltiplicare col tartaro i preziosi monumenti dell’antichità e di renderli così simili agli originali». Lo stesso architetto, del resto, aveva scritto al Del Rosso che «non difficulteremmo se data ci fosse la commissione di fare in tartaro tale e quale la Colonna Traiana o altra somigliante mole colossale». Leonardo De Vegni è un’importante figura degna di essere annoverata tra gli “uomini illustri” di Chianciano per la vasta erudizione e versatilità. In virtù del carteggio con amici e colleghi – si tratta di lettere inviate ad amici e colleghi come il Ciaccheri o il Del Rosso – è stato possibile delineare la biografia di questo stimato chiancianese. La maggior parte delle lettere che il De Vegni scriveva, specie se di una certa lunghezza, erano veri e propri trattatelli su temi ricorrenti come ad esempio lo scritto intitolato Dell’economica costruzione delle case di terra pubblicato dal Del Rosso nel 1793 in appendice ad un suo libro. Tornando alla biografia di Leonardo Massimiliano De Vegni sappiamo che nacque a Chianciano il 12 ottobre del 1731; suo padre Francesco, dottore in legge, per mantenere viva la tradizione familiare, lo costrinse a studiare giurisprudenza, benché avesse mostrato attitudine ed interesse per gli studi umanistici, per le scienze naturali, per la fisica e per la chimica. A Siena, il 3 maggio del 1750, si laureò in diritto civile e canonico (in utroque, come si diceva allora). Dopo la laurea, dunque, esercitò per qualche anno la professione forense, ma continuando a dedicarsi «a tempo rubbato, e quasi di frodo a’suoi maggiori» agli «studj più dilettevoli e di filologia, scrivendo delle poesie italiane e latine, e molte orazioni panegiriche, [...] facendo degli esperimenti sopra gomme, gessi, e terre diverse per l’uso d’alcune arti che ànno gran connessione con quelle del disegno, alle quali fin da i più teneri anni si mostrò inclinato» (come ci informa lui stesso). Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1757, poté dedicarsi finalmente agli studi prediletti. Così, grazie al podere e ai fabbricati che aveva in possesso ai Bagni di San Filippo, si diede alle ricerche e agli esperimenti sui “tartari” delle acque termali che sgorgano in quei luoghi. A Chianciano si trattenne «fin al Novembre del 1759» anno in cui si trasferì a Bologna per conseguire la laurea in architettura. Il 1761 costituì uno degli anni cruciali della vita del De Vegni in quanto pubblicò, a Bologna, la Descrizione del casale e Bagni di San Filippo in Toscana, corredandola di varie sue incisioni. Con questa prima pubblicazione la sua scoperta delle proprietà naturali e dell’utilizzazione artistica dei tartari amiatini, cominciò ad essere conosciuta fuori dalla ristretta cerchia degli amici e dei corrispondenti. Nel 1765 si trasferì con la famiglia a Roma dove fondò una scuola privata d’architettura, nella quale ebbe per allievi anche personalità di spicco nella Roma del periodo, come il principe Baldassarre Odescalchi ed il conte Grossi. Nel 1769, un’importante riflessione sul bello e buono in architettura – il ripudio polemico della maniera tardobarocca sarà uno dei motivi ricorrenti del suo epistolario e dei suoi scritti – ne incrementò la fama e la stima in seno all’Accademia dell’Arcadia (alla quale fu ammesso proprio in quell’anno). Sappiamo inoltre che il De Vegni fu anche critico e studioso d’arte ed essendo un grande ammiratore del Palladio, lavorò a lungo per l’edizione a cui accenna nella lettera del 23 aprile 1768 «questo grand’Architetto, che mai non leggo senza molto imparare». In uno scritto del 15 novembre 1773, accenna ad un altro testo: «Oggi mando la Prefazione dell’opera Riccioli [sic] Proporzioni armoniche applicate all’architettura per istamparsi».
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fig.32 Ostensorio, argentiere del Settecento, argento fuso, sbalzato e cesellato (57 cm). Provenienza originaria non documentata. ProprietĂ della Parrocchia di San Giovanni Battista
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fig.33 Turibolo, argentiere degli inizi del XIX secolo, argento fuso, sbalzato e cesellato (altezza 29 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
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Si trovano inoltre accenni anche ai suoi lavori più impegnativi d’architettura, infatti oltre alla realizzazione di teatri, nella lettera del 4 ottobre 1792, accenna ad un altro suo importante progetto: quello del palazzo Albergotti di Arezzo, in quelle settimane non ancora finito. Leonardo De Vegni, tra il 1792-1798, eseguì i disegni di progettazione per i teatri di Montepulciano, di Sinalunga, dell’Accademia de’Rozzi di Siena e di quello di Anghiari. Negli ultimi scritti si fa inoltre accenno alla tempesta che la Rivoluzione francese prima, l’invasione napoleonica poi, avevano cominciato a suscitare nello Stato Pontificio e nel resto d’Italia. Il mondo arcadico – non solo metaforicamente – dei letterati, degli artisti e degli scienziati del Settecento stava scomparendo. Gli echi dei fatti della Francia infatti non mancarono nelle lettere inviate al Del Rosso, ma è curioso notare che lo stesso destinatario, nell’annotazione dell’ultima epistola composta, scrisse che «il de’Vegni tornato a Roma fu assalito da una malattia nervosa, che lo rese stupido, ed in tale stato visse miseramente fino al
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22 settembre 1801, nel cui spazio fu tutto saccheggiato e disperso quanto avea raccolto in libri e frammenti di antichità; ma la perdita di tutte la più irreparabile fu quella dei suoi scritti, disegni e dei moltissimi rami digià incisi né mai pubblicati» e aggiunse che gli si fece fare testamento per distribuire tutto tra parenti e scolari, ma non ci dice se la dispersione non fosse dovuta per caso alla proclamazione della Repubblica romana (15 febbraio 1798) e agli eventi preparatori e conseguenti ad essa. Verrebbe da supporre, finché qualcuno dei documenti smarriti non chiarisca la cosa, che i drammatici eventi militari e politici di quegli anni non fossero del tutto estranei alla sua malattia e, forse, alla morte.
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Lettera del Podestà di Chianciano del 22 ottobre 1927 indirizzata all’Intendente di finanza di Siena per la notifica di quanto intercorso, il 14 agosto 1923, tra il Comune di Chianciano ed il Sacrestano maggiore della Chiesa Collegiata. Documento proveniente dall’Archivio Comunale di Chianciano Terme: Archivio Postunitario (1865-1948) XII/1 (L. 2).
2
24 Schede, in tre originali, relative agli oggetti d’arte di proprietà demaniale, provenienti dalla Soprintendenza all’Arte Medievale e Moderna per la Toscana di Siena, datate 29 maggio 1931, indirizzate al Podestà di Chianciano. Documenti proveniente dall’Archivio Comunale di Chianciano Terme: Archivio Postunitario (1865-1948) XII/1 (L. 2).
3
Elenco degli oggetti d’arte consegnati dal Podestà all’Arciprete della Collegiata il 6 novembre 1943. Documento proveniente dall’Archivio Comunale di Chianciano Terme: Archivio Postunitario (1865-1948) XII/2.
4
Copia della delibera del Consiglio Comunale di Chianciano Terme del 15 dicembre 1945, protocollo n. 4800 9/8, inviata dal Sindaco all’Arciprete della Collegiata. Documento proveniente dall’Archivio della Parrocchia di San Giovanni Battista.
5
Copia dell’approvazione del regolamento della Sala d’Arte Antica di Chianciano Terme, del 16 ottobre 1968, protocollo n. 34688, inviata dalla Prefettura di Siena alla Parrocchia di San Giovanni Battista. Documento proveniente dall’Archivio della Parrocchia di San Giovanni Battista.
fig. 34 Calice, argentiere del XVIII secolo, argento fuso e cesellato (altezza 22 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
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Catalogo
Sezione Immagini Etrusche Introduzione di Giulio Paolucci
La sezione “Immagini Etrusche” intende presentare al pubblico uno spaccato di quella che era la società etrusca tra i decenni finali del VI e la metà del IV secolo a.C., attraverso l’esposizione di circa quaranta vasi a figure nere, a figure rosse e suddipinte Oltre ad inquadrare le diverse officine operanti a Vulci, Orvieto, nell’Etruria settentrionale interna ed in area falisca, a cui la classe dirigente di allora si rivolgeva per le proprie commissioni, si prenderanno in esame le rappresentazioni utilizzate dai pittori etruschi per un lasso di tempo di oltre 150 anni e di conseguenza il gusto dei loro committenti. Alle rare immagini tratte dal repertorio mitologico, alcune delle quali assolutamente uniche come ad esempio l’uccisione della Gorgone da parte di Perseo, seguono raffigurazioni che alludono al grande viaggio ultraterreno a qualificare, attraverso le scene riprodotte sull’ampia superficie del vaso, la sua funzionalità quale ossario di personaggi appartenenti ad un ceto medio-alto. Di straordinario interesse a questo proposito è un monumentale cratere a calice con ricca decorazione suddipinta, sul quale il pittore ha voluto raffigurare, secondo una recente raffigurazione, il viaggio del defunto verso il mondo dei beati, con la presenza di divinità infere che lo accompagnano per un tratto del suo percorso fino all’incontro con Ade, il re dell’Oltretomba. Su questo cratere appare riprodotta con lineamenti seducenti e malinconici anche una fanciulla identificabile con la regina delle Amazzoni, Pentesilea. Alle produzioni di epoca classica (V sec. a.C.) sono riconducibili esemplari a figure rosse di grandi vasi cerimoniali, utilizzati nell’ambito del banchetto, con scene tratte dal repertorio dionisiaco; infine le ultime produzioni da riferire ad un periodo storico contrassegnato da forti tensioni di carattere bellico che attraversarono l’Etruria del IV secolo a.C., mostrano una produzione a questo punto avviata al suo epilogo, con singole figure stanti, nude o ammantate, che hanno ormai perduto quel significato iconografico delle opere precedenti, segnando l’avvio di una crisi culturale che porterà da un lato alla scomparsa di questo tipo di produzioni artigianali, e dall’altro ad un lento ed inesorabile declino della civiltà etrusca.
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Elenco delle Opere Esposte
1. Anfora etrusca a figure nere con cavalieriacrobati e atleti, Pittore di Micali (525-510 a. C.). Collezione A. Cinelli
3. Anfora a figure nere etrusca con la Gorgone, Perseo, Eracle con il leone Nemeo e con i cavalli di Diomede (fine del VI sec. a. C.)
5. Anfora a figure nere etrusca con figure di efebi, Pittore di Gerusalemme, Chianciano, Necropoli di Tolle (500-480 a. C.)
2. Oinochoe etrusca a figure nere con figure di uomini e donne in corsa, Pittore di Micali (525510 a. C.). Collezione A. Cinelli
4. Anfora a figure nere etrusca con figure di guerrieri, Pittore di Gerusalemme, Chianciano, Necropoli di Tolle (500-480 a. C.)
6. Anfora a figure nere etrusca con figure di cigni, Pittore di Micali, Chianciano, Necropoli di Tolle (510-500 a. C.)
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7. Anfora a figure nere etrusca con figure di efebi, Pittore di Gerusalemme, Chianciano, Necropoli di Tolle (500-480 a. C.)
9. Anfora a figure nere etrusca con figure femminili danzanti, Pittore di Micali. Chianciano, Necropoli di Tolle (510-500 a. C.)
8. Anfora a figure nere etrusca con scena di danza: menade e satiro, Gruppo Vaticano 265, Chianciano, Necropoli di Tolle (inizi del V sec. a. C.)
10. Anfora a figure nere etrusca con giovani, uno a cavallo, Gruppo Bisenzio. Necropoli in loc. La Pedata.
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11. Anfora a figure nere etrusca con uccelli, sirene e palmette, Pittore di Micali. Necropoli in loc. La Pedata.
12. Anfora a figure nere etrusca con figure di giovani a cavallo, Gruppo Bisenzio. Necropoli dei Morelli.
13. Stamnos a figure nere etrusca con scena di sacrificio. Chianciano, Necropoli di via Montale (primo quarto del V sec. a. C.)
15. Stamnos a figure nere etrusca con animali e figure in corsa. Chianciano, Necropoli dei Morelli (inizi del V sec. a. C.)
17. Olpe a figure nere etrusca con satiri danzanti. Chianciano, necropoli dei Morelli (primo quarto del V sec. a. C.)
14. Anfora a figure nere etrusca con figure di efebi, Pittore di Gerusalemme. Chianciano, Necropoli di via Montale (500-480 a. C.)
16. Olpe a figure nere etrusca con satiri. Chianciano, Necropoli dei Morelli (primo quarto del V sec. a. C.)
18. Anfora a figure nere etrusca con danzatrici, Pittore di Micali (510-500 a. C.)
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19. Anfora a figure nere etrusca con combattimento di opliti (500-490 a. C)
21. Anfora a figure nere etrusca con scena di conversazione. Gruppo di Monaco 883
23. Stamnos a figure nere etrusca con giovani danzanti affrontati (primo quarto del V sec. a. C.)
20. Anfora a figure nere etrusca con scena di conversazione. Gruppo Vaticano 265
22. Anfora a figure nere etrusca con cigni gradienti, Pittore di Micali (520-510 a. C.)
24. Krateriskos a figure nere etrusca con figure di efebi in corsa (inizio del V sec. a. C.)
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25. Krateriskos a figure nere etrusca con figure di cavalieri (inizio del V sec. a. C.)
27. Kylix a figure nere etrusca con figura di efebo. Necropoli di Camporsevoli (intorno al 480 a. C.)
29. Cratere sovraddipinto etrusco con scena di conversazione, Pittore Bonci Casuccini. Necropoli della Pedata (seconda metĂ del V sec. a. C.)
26. Piccola olpe a figure nere etrusca con figura ammantata (primi decenni del V sec. a. C.)
28. Cratere sovraddipinto etrusco con scena di conversazione, Pittore Bonci Casuccini. Necropoli della Pedata (seconda metĂ del V sec. a. C.)
30. Skyphos etrusco a figure rosse con satiri e menade, Pittore di Perugia. Chianciano, Necropoli dei Morelli (fine V inizi IV sec. a. C.)
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31. Kylix etrusca a figure rosse con scena di conversazione. Gruppo Perugia-Sommavilla. Chianciano, Necropoli dei Morelli (fine V inizi IV sec. a. C.)
34. Skyphos etrusco a figure rosse sovraddipinto con scena di conversazione. Necropoli della Pedata (metà del IV sec. a. C.)
37. Acroterio laterale destro di un frontone etrusco con genio femminile alato. Chianciano, Tempio dei Fucoli (II sec. a. C.)
32. Piccola kylix etrusca a figure rosse con Eracle. Gruppo Perugia-Sommavilla. Chianciano, Necropoli dei Morelli (fine V inizi IV sec. a. C.)
35. Piccola kylix etrusca a figure rosse sovraddipinte con giovane ammantato con strigile. Necropoli della Pedata (metà del IV sec. a. C.)
33. Piccola kylix etrusca a figure rosse con cavallo. Gruppo Perugia-Sommavilla. Chianciano, Necropoli dei Morelli (fine V inizi IV sec. a. C.)
36. Cratere sovraddipinto etrusco con il viaggio del defunto verso il mondo dell’Ade. Chianciano, Necropoli dei Morelli (metà del V sec. a.C.)
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Sezione Immagini Sacre Introduzione
Questa sezione accoglie opere d’arte sacra di scuola senese, umbra e fiorentina databili dal XIV al XIX secolo. L’allestimento offre al pubblico la possibilità di approfondire come si estrinseca il sentimento di pietas religiosa in un piccolo centro della Toscana meridionale nel quale confluiscono gli esiti artistici di importanti Scuole che vanno a caratterizzare, nella maggior parte dei casi, l’opera di esponenti locali. Sulle basi dei grandi maestri viene talvolta rielaborato un peculiare linguaggio a sé stante e talvolta omogeneo a quello delle figure di spicco in ambito nazionale. Un approfondimento delle vicissitudini storiche che hanno coinvolto queste opere permette di ricostruire uno spaccato della società di un borgo che, dopo la nascita ed un successivo splendore determinato da importanti bonifiche, dal fiorire dell’economia e anche dalla scoperta e dall’impiego delle cosiddette “acque salvifiche” dovuti alla civiltà etrusca, assiste inerte alla decadenza dell’epoca barbarica, logica conseguenza del disfacimento dell’Impero Romano. Alla fine del X secolo Chianciano diviene dominio dei Conti Manenti-Rimbotti di Orvieto, poi nel 1280, con la cacciata di questi Signori, si risveglia ergendosi libero Comune come ci attesta lo “Statuto Chiancianese” del 1287. È a questo periodo che risale il nucleo più importante e prezioso di opere esposte, poiché riprende prima la committenza privata dei Conti, poi quella pubblica dovuta ad un Comune che, autogovernandosi, necessita di conferire un nuovo aspetto al proprio centro e quindi s’impegna nella realizzazione di opere urbanistiche sia civili che religiose. La volontà di rendere grazie a Dio, alla Vergine e ai Santi Protettori per la ritrovata autonomia e per la nuova condizione raggiunta si fa sempre più forte e si manifesta attraverso la committenza di opere che esplicano questo senso di gratitudine. Contemporaneamente, ulteriore elemento che va ad incrementare le commissioni artistiche, è che Chianciano dall’XI alla seconda metà del XVIII secolo diviene sede estiva dei Vescovi i quali, da Chiusi, vengono a risiedere qui per sottrarsi all’aria infetta della palude in Val di Chiana che determina l’imperversare della malaria nei mesi più caldi dell’anno. La circostanza richiede quindi l’impiego di apparati adeguati agli alti prelati che, soggiornando qui, si circondano e fanno uso di tali beni. È in questo contesto che si inseriscono preziose suppellettili liturgiche – le basi di reliquiario del Tre e Quattrocento, il reliquiario a tempietto, il calice con patena – e tavole di squisito pregio artistico – come la Madonna dell’Umiltà di Lorenzo di Niccolò Gerini e il San Giovanni Battista che sorregge Chianciano – appartenenti al periodo compreso tra il XIV ed il XVI secolo . L’altro nucleo di opere è costituito principalmente da manufatti di uso liturgico e da oli o tempere su tela e tavola risalenti ai secoli XVI-XIX come le due tele di Niccolò Betti raffiguranti rispettivamente la Madonna del Rosario e l’Annunciazione e la copia della Madonna del Divino Amore di Raffaello, che insieme a quella conservata al Museo Nazionale di Capodimonte, rappresenta l’eccezionale testimonianza del perduto capolavoro del grande artista urbinate. Questi prodotti artistici sono, come naturale, il riflesso degli eventi storici, politici e sociali che coinvolsero non solo la Toscana ma l’intero Paese. Con ciò si fa riferimento alle alleanze strategiche che Chianciano strinse con potenti alleati e che la condussero a continue battaglie e sconvolgimenti, seppur privilegiando il rapporto con Siena. Anche nel 1479, schierata con quest’ultima nella battaglia di Poggio Imperiale, Chianciano raccolse i frutti della vittoria su Firenze. Seguendo le sorti di Siena, subì poi l’occupazione dei fiorentini e degli spagnoli per giungere definitivamente nel 1557 sotto il dominio dei Medici. Nel 1737 fu investito del titolo di Granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena con il nome di Francesco III durante il regno del quale, e successivamente del figlio Pietro Leopoldo, Chianciano vantò tra i suoi cittadini l’insigne architetto Leonardo Massimiliano De Vegni, personaggio di grande rilievo per la vasta erudizione e la concreta capacità di artista e di inventore. Alla luce dei fatti storici sarà possibile comprendere meglio la produzione artistica di questo piccolo centro della Toscana meridionale che tanto fu conteso tra Siena, Firenze e Orvieto per la sua amena e strategica posizione e per le proprietà terapeutiche delle sue acque.
di Silvia Reali
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Elenco delle Opere Esposte
38. San Giovanni Battista offre alla Vergine la città di Chianciano, arte popolare, inizi del Cinquecento, olio su tavola (130x54 cm). Provenienza documentata: sala del Palazzo Comunale. Proprietà del Comune di Chianciano Terme. Il Brogi nel suo Inventario del 1862-65 pone l’opera in una sala dell’“Uffizio Comunale” affermando che: «Una volta questo quadro era dipinto a tempera, ora è malamente ricoperto con colori ad olio». Il dipinto su tavola, realizzato nel XVI secolo da un pittore popolare il cui nome non è pervenuto, rappresenta San Giovanni Battista, sormontato da una Madonna con Bambino, che sorregge Chianciano. L’opera mostra il Santo chiamato a proteggere la città dalla quale è investito dell’ufficio di patrono, secondo un modulo iconografico allora molto diffuso – il Santo sorregge la città di cui è patrono e si fa intercessore presso la Vergine, affinché elargisca su di essa innumerevoli grazie e soprattutto la sua protezione –. Poiché l’iscrizione che corre inferiormente “+ u sce
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u Iohanes u ora u pro” è priva della parola finale dell’invocazione “nobis”, si può ipotizzare che la tavola sia stata tagliata. Probabilmente l’opera era stata concepita come stendardo da processione, come dimostra il fatto che sia dipinta anche nella parte posteriore in cui è effigiato l’Agnello Mistico su un fondo di finto marmo – incluso in un tondo dai contorni molto marcati – inserito a sua volta entro una cornice decorata con fregi vegetali. Tale rappresentazione, di grossolana manifattura, è successiva al San Giovanni, infatti si ritiene che risalga al XVIII secolo e che sia stata realizzata da un semplice artigiano incaricato di restaurare l’opera in quanto le assi lignee, a causa di sollecitazioni igroscopiche, si stavano disgiungendo determinando una fenditura tutt’oggi visibile a causa di solecitazioni igroscopiche. Sebbene la tavola non si distingua per canoni stilistici qualitativamente elevati – la resa fisionomica del Santo risulta approssimativa e la rappresentazione degli elementi che vanno a costituire il quadro è trattata in forma semplicistica e innaturale se paragonata alla produzione artistica contemporanea – questo lavoro assume notevole valenza documentaria per la conoscenza dell’antico aspetto di Chianciano nel Cinquecento. É infatti riprodotta a sinistra la rocca sulla cui torre, molto elevata e non più esistente, sta il vessillo con la stella bianca a otto punte, in campo rosso. Sono chiaramente distinguibili il palazzo comunale – con merli, torri e simbolo civico in facciata – la piazza con la torre, che in seguito sarebbe stata dotata dell’orologio e a destra la Collegiata al cui culmine compare una candida scultura raffigurante il Battista. Tra le mura che circondano l’intero borgo si nota facilmente la Porta Stiglianese – oggi Porta del Sole – con il relativo antiporto. Sottostante l’immagine centrale è riprodotta l’Arme del Comune: la stella a sei raggi in campo rosso. Lo stemma di Chianciano è stato sempre una stella d’argento a sei raggi in campo rosso sino alla proclamazione del Regno d’Italia. Almeno dal 1864, e in seguito fino ad oggi, l’arme è rimasta la stessa, salvo che la stella è diventata d’oro. La tavola poi assume un’ulteriore valenza, in quanto costituisce una testimonianza materiale sulla devozione dei chiancianesi nei confronti di un Santo spesso raffigurato nelle opere autoctone e comunque presente in vari aspetti della vita sociale del paese – esplicativi in tal senso sono la figura di San Giovanni associata allo stemma del Comune e la presenza della sua statua posta sulla facciata della Collegiata.
39. Madonna dell’Umiltà, Lorenzo di Niccolò Gerini (documentato a Firenze dal 1392 al 1412). Tempera su tavola (65x50 cm). Provenienza documentata: sala del Palazzo Comunale. Proprietà del Comune di Chianciano Terme. Questa delicatissima Madonna dell’Umiltà – di cui si ignora la provenienza originaria – in seguito alle soppressioni leopoldine è divenuta proprietà del Comune di Chianciano che l’ha concessa, insieme ad altre opere, in deposito al Museo; il Brogi infatti la pone nel Palazzo Comunale, riferendola ad «Ambrogio di Lorenzo» – A. Lorenzetti. La piccola ancona è stata oggi attribuita a Lorenzo di Niccolò Gerini che viene nominato per la prima volta in un documento del 1392 come aiuto di Niccolò di Pietro Gerini – testimoniato a Firenze dal 1368 al 1415 – di cui, secondo alcuni, sarebbe stato figlio. Tra il 1399 ed il 1401 interviene, ripetendo moduli orcagneschi, nell’esecuzione di una pala d’altare per la Chiesa fiorentina di Santa Felicita – oggi nella Galleria dell’Accademia di Firenze – i cui principali artefici furono però il padre Niccolò di Pietro e Spinello Aretino. Nelle opere di questi anni – che troviamo a San Gimignano, Cortona, Terenzano presso Firenze – è evidente oltre a quello di Niccolò, l’influsso di Spinello – specie negli affreschi del “Paradiso degli Alberti”, al Bandino presso Firenze – e la suggestione ancora, a Quattrocento avviato, dell’arte e delle caratteristiche narrative di Taddeo Gaddi che gli permisero di maturare composizioni di più ampio respiro, spesso ritmate
da architetture goticizzanti. Più tardi le snodate eleganze proprie della pittura di Lorenzo Monaco, intervengono ad attenuare certe rigidezze della prima produzione del Maestro dando luogo ad un senso decorativo improntato al nuovo gusto del Gotico fiorito. Tipica di questo periodo è l’Incoronazione della Vergine del 1408, in Santa Croce a Firenze. Dalla seconda metà del Trecento in poi si diffonde l’immagine della Madonna dell’Umiltà: come nel nostro caso, la Vergine è seduta per terra, protetta da un cuscino, con il Bambino in braccio. Il tema da un lato sottolinea la povertà, l’umiltà di Maria, dall’altro, tramite particolari attributi – i colori della veste e del manto, la preziosità dell’aureola – ne accentua il carattere ultraterreno. La diffusione di questo soggetto è dovuta ad un generale rinnovamento dei temi dell’arte religiosa in quanto assistiamo alla trasformazione degli episodi della storia sacra, in scene di vita quotidiana, immaginate entro ambienti domestici o urbani del tempo. É in tale ottica che va vista la Madonna con il Bambino, sempre più umanizzata, trasformata in una scena di genere, di tenero e amoroso colloquio tra i due protagonisti. Di volta in volta vediamo infatti la Madre allattare il Bambino, porgergli un fiore o un uccellino; il Bimbo l’accarezza o gioca con lei. Nella Madonna dell’Umiltà di Chianciano – oggi considerata opera giovanile di questo pittore – Lorenzo di Niccolò ci mostra una plastica che affonda le sue radici in Giotto, ma contemporaneamente viene filtrata attraverso Taddeo Gaddi e Spinello Aretino. L’artista traduce infatti con superficiale disinvoltura, ma con certa dignitosa sobrietà, i loro modelli. Uno di questi fu sicuramente la Madonna del Gaddi in San Lorenzo alle Rose (Firenze) che il nostro artista ripete apportandovi poche varianti, cercando di addolcire l’espressione delle figure: cosa di cui ha sofferto in particolare il Bambino in quanto la sua severa austerità è tradotta in un’espressione di goffa vivacità. Altri riferimenti analoghi sono rilevabili in alcune Madonne di Spinello – ad esempio quella del Museo di Città di Castello. Nel dipinto si manifestano inoltre evidenti quegli influssi tipici della scuola senese in cui paiono mescolarsi il terreno e lo spirituale, quasi riecheggiassero il dramma interiore che in quest’epoca è giunto all’epilogo. Abbiamo lo scontro tra due concezioni dell’umanità: quella dell’uomo medievale che sta tramontando, ma che cerca di opporsi all’affermazione dell’uomo rinascimentale, il quale a sua volta sta acquistando forza e già pregusta l’imminente trionfo.
determina la diversa datazione, si presentano con fondo a sei lobi ed il nodo ornato da smalti rappresentanti, in quella del Trecento, Cristo – nella caratteristica fattispecie dell’Ecce Homo – al cui compianto partecipano e fanno seguito la Madonna e San Giovanni Evangelista oranti, San Pietro, San Paolo e San Bartolomeo; in quella del Quattrocento invece sono raffigurati, a mezzo di smalti molto vividi, il Crocifisso, la Vergine, San Giovanni Evangelista, San Paolo, San Giovanni Battista e San Bartolomeo compatroni di Chianciano.
40. Base di Reliquiario, orafo senese del Trecento, rame dorato, smalti su argento (altezza 18 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà del Comune di Chianciano Terme.
42. Reliquiario a tempietto, orafo senese del Quattrocento, rame dorato (altezza 25 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà del Comune di Chianciano Terme. 41. Base di Reliquiario, orafo del Quattrocento, rame dorato, smalti su argento (altezza 15 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà del Comune di Chianciano Terme. Durante il periodo gotico e rinascimentale, cui risalgono le due basi di reliquiario, si affermò una foggia particolare, che poteva essere usata anche per l’esposizione dell’Eucaristia, strutturata in tre parti: la base dal contorno mistilinee spesso decorato da smalti; il piede, interrotto da un nodo esagonale anch’esso impreziosito da smalti – comunemente ritraenti figure di santi; la teca vera e propria – nel nostro caso in entrambi è la parte mancante – che custodisce la reliquia in una capsella. Le due basi, sebbene si differenzino per la tipologia decorativa che ne
Negli stessi secoli a cui risalgono i due precedenti manufatti, si sviluppò un’altra tipologia di reliquiario cioè quella riproducente l’architettura delle chiese assumendo, non di rado, forme imponenti. Esemplificativo a riguardo è il Reliquiario del Corporale (1338) di Ugolino di Vieri da Siena del Duomo di Orvieto, alla cui facciata è ispirato, con un perfetto equilibrio tra le sue linee architettoniche e la raffinata minuziosità decorativa dei particolari. Il Reliquiario a tempietto qui esposto benché si caratterizzi come esempio più modesto, appartiene a questa tipologia; esso infatti, di base poligonale e purtroppo mancante della calotta, ha la parte superiore a forma di tempietto esagonale il quale è costituito, a sua volta, da sei archi a sesto acuto includenti, ciascuno, due bifore, divise da colonnette, ed un fregio decorato a cesello.
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44. Piatto, orafo di fine Quattrocento – inizi Cinquecento, ottone sbalzato, cesellato e bulinato (Ø 41 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. Destinazione d’uso originaria non nota, citato nei documenti talvolta come “piatto da elemosine”, talvolta più verisimilmente, come “piatto da lavabo”. 43. Calice con patena, orafo della fine del Quattrocento, rame dorato, niello su argento (calice altezza 20 cm; patena ø 18 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà del Comune di Chianciano Terme. Questo calice ha la base a sei lobi – anche nella patena ritroviamo incisi sei lobi – uno dei quali è decorato a niello con la rappresentazione di una coppa sulla cui estremità è posta una particola (decorazione aggiunta successivamente). Il nodo è impreziosito dall’incisione di un fregio vegetale, di manifattura posteriore come il calice con l’ostia, e dalle figure, realizzate sempre con la tecnica decorativa del niello la cui leggibilità risulta difficoltosa a causa dell’ossidazione del metallo, ritraenti verosimilmente l’Ecce Homo, la Vergine con il Bambino, Santa Caterina da Siena, San Giovanni Battista e Sant’Antonio di Padova. Incisa, sul fondo della base, corre l’iscrizione: «Della cappella de la Corpos Domine di Chianciano al tempo di Domenico Gezi primo Retore», ciò induce ad ipotizzare che questo personaggio, come forma devozionale, commissionò l’opera facendone dono alla Cappella del Corpus Domini richiamata anche dalla decorazione presente sulla base .
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45. Madonna del Rosario, Niccolò Betti (Firenze, notizie dal 1571 al 1617). Olio su tela (170x136 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. Già «nell’altare a destra» nella Collegiata di San Giovanni Battista, la Madonna del Rosario era riferita dal Brogi ad un artista del «Secolo XVII. Scuola Fiorentina». Oggi questa tela è stata attribuita al pittore fiorentino Niccolò Betti di cui si hanno notizie dal 1571 al 1617; questo pittore, in quanto allievo di Michele Tosini e avendo lavorato nello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio, è riconducibile alla cultura tardo manierista fiorentina nonostante abbia eseguito molte opere per committenti provinciali. La ricostruzione della sua vita prende avvio proprio dai dipinti presenti nel territorio senese meridionale che fanno presupporre un lungo soggiorno del pittore, intorno al 1580, in questa lontana provincia fiorentina. L’opera più antica ricondotta al Betti è la Madonna della Cintola nella Chiesa di Sant’Agostino a Montepulciano, cui seguono le due Annunciazioni del Museo di Chianciano,
rispettivamente datate 1580, 1581, la Crocifissione nella chiesa di Castiglioncello del Trinoro (Sarteano), la Madonna del Rosario in questione, alle quali va associata la Madonna col Bambino e San Giovannino passata all’asta Sotheby di Firenze (14-16 dicembre 1983, lotto 550) con l’attribuzione a Francesco Brina. A seguito di recenti studi sono state aggiunte a questo nucleo di dipinti, tre opere provenienti da Montepulciano: la Madonna col Bambino, San Girolamo e San Giovanni Battista (firmata) nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Nascita di Gesù in Sant’Agnese, che risulta pagata nel 1581 e la Santa Chiara di cui è ignota la provenienza originaria. Dopo questo soggiorno in Val di Chiana torna a Firenze dove esegue, per lo Studiolo di Francesco I, il Saccheggio della città (firmato) ed il Ritratto di Ridolfo de’Bardi del 1596 agli Uffizi, ai quali da poco sono state aggiunte altre opere. Lo stile di Niccolò Betti, legato in primo luogo alla cultura raffinata e stravagante dello Studiolo, richiama principalmente l’elegante pittura del Macchietti ed il bizzarro linguaggio di Francesco Brina, entrambi usciti dalla bottega di Michele Tosini. Nella tela raffigurante la Madonna del Rosario, osserviamo che ai lati del trono della Vergine, dietro Santa Caterina da Siena, appaiono tre donne e, presso San Domenico, altrettanti uomini; queste sei figure rappresentano, con forte caratterizzazione fisionomica, sia le età della vita che i membri della Confraternita del Rosario, i quali nel 1616 commissionarono il dipinto in occasione dell’aggregazione all’arciconfraternita della Minerva. Anche in quest’opera, come nelle due Annunciazioni, si rivela chiara l’influenza degli artisti dello Studiolo sullo stile del Betti, soprattutto per quanto concerne la realizzazione degli ampi panneggi terminanti in grandi pieghe che si avvolgono alle estremità delle vesti. La Madonna del Rosario, entrata a far parte della collezione museale successivamente all’apertura del 1991, è purtroppo decurtata, per furto, dei quindici Misteri che la circondavano.
46. Annunciazione (1581), Niccolò Betti (Firenze, notizie dal 1571 al 1617). Olio su tela (198x164 cm). Provenienza documentata: Chiesa dell’Immacolata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. Come testimonia il Brogi nel suo Inventario, questa tela, posta in origine sull’ «altare maggiore» della «Chiesa della Compagnia della Morte» – oggi Chiesa dell’Immacolata – fu inizialmente riferita alla Scuola dell’Allori e successivamente a Bartolomeo Neroni, allievo del Sodoma, a causa delle iniziali, “N.B.”, dipinte sul quadro. Attualmente l’opera è stata attribuita dalla storica dell’arte Laura Martini a Niccolò Betti, grazie a recenti studi condotti su questo artista. La tela commissionata dalla Confraternita della Buona Morte, reca il simbolo del sodalizio di quest’ultima con l’artista: compare infatti insieme alla sigla “N.B.” e alla data 1581, sulla base del leggio. Lo stemma della Compagnia, inserito in un cartiglio di gusto buontalentiano, è costituito dal simbolo della morte – un teschio con crocifisso e due ossa incrociate – e da due clessidre accompagnati dal motto: “in hoc signo vinces”.
caduta nell’oblio, aiuta a comprendere e a ricostruire, in maniera più adeguata, la carriera del grande maestro. Questa tela, benché riproduzione dell’originale del 1517, è stata realizzata da un artista di fine XVIII secolo. In essa sono rappresentati Sant’Anna che, vicina a Maria, osserva amorevolmente Gesù Bambino e gli sorregge il piccolo braccio paffuto; la Vergine, a mani giunte e adagiata a terra, regge sulle ginocchia il Divino Infante contemplandolo. Il Bambino benedicente si protende verso San Giovannino – il quale, sebbene fanciullo, è già caratterizzato dalla pelliccia e dalla verga a forma di croce, attributi che lo contraddistinguono in tutte le rappresentazioni di cui è soggetto – che genuflesso lo adora. Tutti gli sguardi convergono sulla figura di Cristo sebbene Egli fissi gli occhi su colui che, da lì a pochi anni, sarebbe divenuto il suo ultimo profeta. All’estremità della tela sul lato sinistro, estraneo alla scena che si svolge in primo piano, si vede un uomo con la testa coronata dall’aureola che presumibilmente è San Giuseppe. Sul fondo dell’opera in basso a sinistra, è presente lo stemma della Famiglia Angelotti accompagnato da un cartiglio in cui si legge: «Opera di proprietà del Nobil Uomo Girolamo Angelotti». Questo esponente della nobile famiglia chiancianese fu personaggio molto stimato dai suoi concittadini e ricordato negli annali perché, dopo che aveva acquisito nel 1784 in seguito alla generale soppressione delle chiese, la Cappella dei Santi Martiri Fabiano e Sebastiano, nel 1800 la restituì alla comunità di Chianciano con atto di grande ed apprezzata generosità. Come segno di riconoscenza per la magnanimità del gesto, dato che la popolazione era molto legata a questo luogo di culto per i miracoli là accaduti, la Cappella fu intestata alla famiglia Angelotti.
48. Vergine Annunciata, artista fiorentino della metà del Seicento. Olio su tela (35x25 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
49. Angelo Annunciante, artista fiorentino della metà del Seicento. Olio su tela (35x25 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
47. Madonna del Divino Amore, copia da Raffaello, 1517. Olio su tela (155x127 cm). Provenienza documentata: Collegiata di San Giovanni Battista. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. L’originale della Madonna del Divino Amore è andato purtroppo perduto, quindi l’opera in questione, insieme ad un’altra copia che si trova al Museo di Capodimonte, assume una più ampia valenza poiché, oltre a permettere la conoscenza di un’opera che altrimenti sarebbe
50. Visione di San Gaetano, Astolfo Petrazzi (Siena 1580 – 1653). Olio su tela (100x79 cm). Provenienza documentata: Chiesa dell’Immacolata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
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51. Calice, prima metà del XVII secolo, rame fuso, cesellato e argentato (altezza 22 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
53. Calice, seconda metà secolo XVII, rame argentato, fuso e cesellato (altezza 22 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
55. Cartagloria, Paolo Taddei (Siena, documentato dal 1696 al 1705), lamina d’argento cesellata e sbalzata (49x43 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. Le due carteglorie qui in mostra, di squisita manifattura tardo seicentesca realizzate in legno intagliato e ricoperto da lamina d’argento sbalzata, una del Lavabo e l’altra dell’Evangelio di San Giovanni, sono purtroppo mancanti della cartella centrale. Nella Chiesa della Collegiata, luogo di provenienza delle opere, è stato infatti ritrovato soltanto il supporto ligneo privo della cornice d’argento. Ciò fa ipotizzare che quest’ultima sia stata trafugata poiché tali manufatti, in passato, vennero frequentemente trasformati in oggetti di uso domestico, inserendo degli specchi nelle zone destinate alle iscrizioni.
52. Calice, prima metà del XVII secolo, ottone fuso, cesellato e dorato (altezza 22 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
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54. Cartagloria, Paolo Taddei (Siena, documentato dal 1696 al 1705), lamina d’argento cesellata e sbalzata (49x43 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
secolo, oggetto di fattura assai pregevole, è invece finemente ornato nei lobi dove sono sbalzate in alto la figura del Padre, nel braccio di destra la Vergine, in quello di sinistra San Giovanni Apostolo, ai piedi Maria Maddalena.
56. Croce astile, argentiere del Seicento, argento fuso, sbalzato e cesellato (65x35 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
58. Tabernacolo ligneo portatile con l’effige della Madonna col Bambino, artista anonimo del XVIII secolo. Dipinto ad olio su tela (100x80x35 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista
Questo grazioso dipinto devozionale, esempio di arte popolare di fine Settecento, raffigura i Santi Crispino e Crispiniano, patroni dei calzolai: in primo piano i due svolgono il loro lavoro, l’uno conciando una pelle ad un bancone, l’altro cucendo delle scarpe seduto su uno sgabello, in una bottega nella quale appaiono, in bella mostra, un gran numero di forme in legno. In contrasto con questa scena che ripropone un ambiente del XVIII secolo
60. Calice, argentiere della prima metà del secolo XVIII, ottone fuso, cesellato e argentato (altezza 24 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
57. Croce astile, argentiere del Settecento, argento fuso, sbalzato e cesellato (60x47 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. Queste due croci astili, entrambe realizzate in argento, sono una del Seicento ed una del Settecento. La prima, rispetto a quella di epoca successiva, seppur presentando ricchi fregi sbalzati e cesellati alle estremità, risulta più sobria da un punto di vista decorativo. L’esemplare del XVIII
59. Santi Crispino e Crispiniano protettori dei calzolai, arte popolare, ex voto, datato 1780, olio su tela (59x46 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
61. Calice, argentiere del XVIII secolo, argento fuso e cesellato (altezza 22 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
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63. Calice, argentiere romano degli inizi dell’Ottocento, argento fuso, sbalzato e cesellato (altezza 26 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
65. Turibolo, argentiere degli inizi del XIX secolo, argento fuso, sbalzato e cesellato (altezza 29 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
62. Ostensorio, argentiere del Settecento, argento fuso, sbalzato e cesellato (57 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista. L’ostensorio, apparso solo nel secolo XIV in seguito alla diffusione delle processioni del Corpus Domini, ha assunto diverse forme adattandosi, come le altre suppellettili, al gusto predominante nei vari periodi storici. Quello qui presentato è il modello a raggiera tipico dell’età barocca, detto anche “a sole” per la forma della sua parte terminale a raggi espansi, che finì poi per essere il più usato sino in epoca moderna, sebbene con larga abbondanza di decorazioni sbalzate o anche a tutto tondo, come angeli, puttini, o altri simboli della liturgia cristiana.
66. Secchiello e aspersorio, argentiere dell’Ottocento, argento fuso, sbalzato e cesellato (secchiello altezza 17 cm e Ø 21 cm; aspersorio 35 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
64. Calice datato 1857, argento fuso, sbalzato e cesellato (altezza 27 cm). Provenienza originaria non documentata. Proprietà della Parrocchia di San Giovanni Battista.
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Finito di stampare nel gennaio 2007 presso Tipolitografia Bisenzio - Prato per conto di La Città dell’Arte onlus
la città dell’arte
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