LA STAMPA DOMENICA 25 NOVEMBRE 2012
In mostra a Caraglio la storia d’arte e vita di Miche Berra
Ogni giorno ha la sua poesia d’amore In una raccolta curata da Davico Bonino, 365 componimenti di autori celebri e sconosciuti di tutto il mondo MAURIZIO CUCCHI
L’
NELL’ANTOLOGIA
trovare qui confermato nelle sue espressioni poetiche, che naturalmente attraversa tutte le culture e tutte le epoche, a dimostrazione che, in fondo, in materia d’amore, certe differenze divengono appena sfumature e a volte si dissolvono, scompaiono completamente. In questo senso il libro è davvero istruttivo ed esemplare, proprio perché esprime e documenta l’universalità di una passione che riesce a mettere d’accordo, come
Domani a Torino La raccolta di Guido Davico Bonino Parole d’amore (Interlinea) sarà presentata domani a Torino (ore 21, Circolo dei lettori). Con il curatore partecipano la scrittrice Paola Mastrocola e il critico Giovanni Tesio. Letture di Irene Ivaldi.
I
anni attraverso altre opere. Il «realismo negativo» di Eco mi risulta formulato per la prima volta in pubblico in occasione di una serie di lezioni da me tenute, proprio su suo invito, all’Università di Bologna alla fine degli Anni 90, e poi in un dibattito a cui partecipò Gadamer. Il «nuovo» realismo non è tanto nuovo, e il volume non spiega perché lo dovremmo considerare tale. Così , «l’immensa discussione internazionale sul realismo» a cui De Caro immodestamente si annette, non è una discussione sul «neo» realismo che «ritorna»; è una discussione che risale ai Greci, tanto che non si vede perché Ferraris e De Caro non abbiano incluso anche qualche testo dello Stagirita o di San Tommaso. Il «nuovo» realismo appare qui solo per quel che è: una riuscita operazione di marketing, a cui viene fatta servire anche
da tanti loro colleghi narratori. […] In compenso, la vera, grande poesia è sempre stata facile». Su quest’ultima considerazione, lo ammetto, avrei qualche dubbio, ma non importa. In effetti, penso che si tratterebbe più che altro di capire il senso autentico di parole come «facile» o «difficile». Resta sicuro che la poesia d’amore è al tempo stesso il genere forse, e da sempre, più praticato e in apparenza più abbordabile, quanto in realtà il più carico di possibili equivoci, di tranelli. Parlando d’amore, è facilissimo cadere nel canzonettistico o nell’ovvio, restringersi al banale. Un problema, insomma, di qualità dell’arte, di capacità di gestire i materiali nell’emozione del sentire, nella forza del sentimento, così sempre uguale e così, al tempo stesso, mirabilmente sempre diverso. Come dimostrano le 365 poesie di questo libro, che è anche un’ottima introduzione al gusto vero per la poesia, al piacere per la lettura del testo poetico, d’oggi o di ieri, della nostra cultura o di culture a noi lontanissime.
Botta e risposta sulla «Stampa»
Il “nuovo” realismo? Operazione di marketing l mio articolo sul «(nuovo?) realismo» pubblicato il 22 novembre scorso è apparso erroneamente come una recensione alla raccolta Bentornata realtà curata da Ferraris e De Caro. L’avevo scritto prima di vedere il libro, e al puro scopo di «attualizzarlo», ho aggiunto imprudentemente una parentesi richiamando il titolo del volume, per cui De Caro si è sentito legittimato a discuterlo appunto come una recensione. Non intendevo né intendo recensire l’antologia di Ferraris-De Caro perché non vedo nulla di nuovo negli scritti in essa riuniti. Alcuni degli autori (penso a Eco per esempio, ma anche a Putnam) dicono esplicitamente che le posizioni espresse nei loro testi sono già note da
appare dalla parola poetica, cantori anonimi della Nuova Zelanda, della Somalia, del Burundi, della Birmania o dell’Afghanistan, poeti cinesi, vietnamiti, svizzeri, arabi, sloveni, illustri firme immortali come Pascoli, Ibsen, Goethe, Whitman, Byron, Rilke, Ungaretti, Verlaine, D’Annunzio, Dickinson - e mi fermo per non sottrarre curiosità al lettore - come nomi validissimi eppure meno ovvi - per esempio, tra gli italiani, Contessa Lara, Pompeo Bettini, Severino Ferrari, Iacopo Vittorelli, Giovanni Marradi o Annie Vivanti. Un lavoro, quello condotto da Davico Bonino, già esperto autore di altre antologie, davvero programmaticamente senza confini, davvero enorme e anche molto divertente. Il curatore non nasconde di essersi fatto aiutare da esperti delle varie letterature (che correttamente ringrazia in nota), e parte anche da un presupposto da non trascurare. Dice infatti nella sua premessa: «Sento dire spesso da persone di buona cultura: “Ah, la poesia ... ! Mi piace molto, ma è così difficile”. Certo, ci sono stati, ci sono e saranno sempre poeti difficili, ma non diversamente
Da Pascoli a Ibsen, da Goethe a Byron, Rilke, Verlaine, Whitman, ma anche Contessa Lara
Polemica: Vattimo risponde a De Caro
GIANNI VATTIMO
27
Comperando, spesso per poche migliaia di lire, opere che oggi non hanno prezzo. La rassegna è quasi un racconto in 150 dipinti per spiegare quell’habitus mentale che è la cuneesità, e quindi la piemontesità del ’900, che si può riassumere in tre parole: genio, modestia, tenacia. In mostra opere (alcune mai esposte) da Renato Guttuso a Bernard Damiano, da Berzoini a Giulio Boetto, da Spazzapan a Casorati, Marco Lattes, Ligabue e molti altri. Oltre alla sede principale, a Caraglio , la rassegna ha altri tre punti espositivi, al Museo Mallé di Dronero, nella Casa museo Galimberti e nella redazione cuneese della Stampa dove è stato montato un presidio per ricordare l’attività pubblicistica di Berra. (Nell’immagine, Nudino dipinto di Felice Casorati). [V. P.]
C’è una frase autobiografica, all’ingresso della mostra «Miche Berra. Una storia di arte e vita», allestita dai ieri al Filatoio Rosso di Caraglio (Cuneo), che ne riassume lo spirito: «I miei libri sono piccoli libri, che sfiorano talvolta un po’ di storia. Ma quella nostra, delle piccole patrie». Miche Berra, nato a Moretta, a pochi chilometri da Cuneo, nel 1920 e morto a Città del Guatemala l’anno scorso, ha fatto due cose: ha scritto e collezionato quadri.
amore di tutto il mondo per ognuno dei 365 giorni dell’anno. L’amore di tutto il mondo nelle parole della poesia, in un’antologia curata da Guido Davico Bonino, bella e sorprendente. Parole d’amore (Interlinea, pp. 290, € 14) è un libro fuori del comune e, appunto, sorprendente, non certo per il tema, quanto perché comprende testi di tutte le letterature, testi di autori celebri e testi di autori anonimi, canti popolari e versi di poeti grandi e meno grandi di tutti i secoli e di tutti i continenti. Basti dire che si apre, per il 1° gennaio, con la poesia di un anonimo groenlandese («Che la tua gola sia soffice / come la neve da poco cosparsa / a suolo») e si conclude con i versi di uno dei mostri sacri della poesia mondiale di tutti i tempi, Charles Baudelaire, per il 31 dicembre: «Avremo letti pervasi da profumi leggeri / e divani profondi come tombe, / e, su mensole poggiati, fiori strani, / per noi sbocciati sotto ridenti cieli». Dunque: esattamente 365 poesie, scelte da Davico, e una per ogni giorno dell’anno. Oggi, per esempio, 25 novembre, sarebbe giorno segnato da un componimento di un grande autore tedesco, Stefan George. Il titolo è Anniversario d’amore, un testo delicato, tenero, legato al concreto ricordo della nascita di un amore, e dunque legato a un ricorrenza da non dimenticare. Altre volte, certo, la poesia d’amore è invece prodotta da momenti di dolore e perdita, di rimpianto o rinuncia, di incertezza e tormento, momenti spesso conditi dall’inevitabile enfasi legata alla forza pervasiva del sentimento. Ma è un sentimento, come possiamo ben
.
Nuovo realismo sì, nuovo realismo no: sull’indirizzo filosofico che si ripropone di mandare in pensione il post-moderno ha aperto le ostilità Gianni Vattimo, sulla Stampa di giovedì. Gli ha risposto il giorno dopo Mario De Caro, coautore con Maurizio Ferraris di Bentornata realtà (Einaudi). Oggi la controreplica di Vattimo.
n
la mia pseudo recensione; e che ha certo la sua legittimità e utilità, ma non aggiunge nulla al dibattito filosofico. Quanto al diritto naturale e ai semafori, De Caro svela molto ingenuamente la sua fede assolutista: se non c’è un fondamento assoluto (divino? scientifico?) e c’è
«solo» convenzione (signora mia, caro Arbasino!), allora si potrebbe giustificare l’uxoricidio. Già, ma il rosso del semaforo è appunto convenzione, e non si vede perché De Caro lo rispetti. Attenzione, non salire in auto con lui, nemmeno nel campus della sua Tufts University!
Elzeviro ALESSANDRA I ADICICCO
Schnitzler e Freud fratelli di sogno
C
on gli occhi «chiusi e spalancati» lo scrittore viennese Arthur Schnitzler (1962-1931), figlio di un medico ebreo e medico a sua volta, colse con sguardo più profondo gli abissi dell’anima, gli oscuri recessi della coscienza, le inquietudini serpeggianti nella società europea fin de siècle di cui, negli stessi anni, Sigmund Freud stava diagnosticando le patologie. Con gli Eyes Wide Shut , come si espresse genialmente Stanley Kubrick, che dalla novella Doppio sogno di Schnitzler trasse il suo ultimo film, l’autore austriaco concepì la forma e la sostanza di tante commedie e narrazioni. Leggendo le sue opere, il padre della psicanalisi credette di trovare una fondazione letteraria delle proprie teorie e, con estremo disagio, ammise di riconoscere nel loro autore il proprio sosia. La conferma di questa straordinaria somiglianza, dell’incredibile coincidenza per cui, contemporaneamente e indipendentemente l’uno dall’altro, il letterato e lo scienziato giunsero a identiche conclusioni sulla natura della psiche, è offerta oggi, dalla pubblicazione dei Traumtagebücher, i Diari dei sogni di Schnitzler. Finora inediti, conservati tra i dieci volumi dei diari della sua vita «diurna» nell’Archivio letterario di Marbach, vedono la luce in Germania, da Wallenstein, a 150 anni dalla nascita dell’autore. Se L’interpretazione dei sogni di Freud uscì nel 1899, di oltre vent’anni lo precedette lo scrittore che, già nel 1875, appena tredicenne annotò il racconto della sua prima visitazione notturna. «Ero alla finestra e lei arrivò planando. Io l’abbracciai, la baciai con ardore, e lei ricambiò il mio bacio. Restammo per qualche attimo così, baciandoci ancora e ancora. Esultavo». L’esultanza si sciolse in lacrime quando, al risveglio, vide svanire l’oggetto delle sue fantasie. Innumerevoli amanti avrebbe poi incontrato nel sonno (e anche da sveglio). Avrebbe suonato il pianoforte con Alma Mahler, o con Beethoven. Rifuggito il padre autoritario, o certi soldati antisemiti in uniforme ornata di svastica. Assistito al proprio funerale badando bene a registrare i nomi dei donatori di corone. Aspettato nella sala d’attesa «un po’ teatrale» del dottor Freud, «chiedendomi come poter descrivergli le sofferenze della mia anima senza scoppiare a piangere».