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Così distanti, così vicini: cinema, cultura e socialità nell’estate bolognese 2020 di Sara Biagi
from IL CUBO - n.28 2020
by Circolo CUBo
Così distanti, così vicini: cinema, cultura e socialità
nell’estate bolognese 2020
Advertisement
di Sara Biagi
Mentre i paesi iniziano ad allentare le misure di blocco messe in atto per appiattire la curva del Covid-19, in tutto il mondo c’è grande desiderio di ripartire con le attività culturali e di pubblico intrattenimento di cui si è tanto sentito il vuoto in questi mesi di sospensione. Non che siano mancate l’offerta e la fruizione domestica: l’utilizzo di piattaforme digitali e di streaming ha anzi favorito lo sviluppo di forme espressive che hanno trovato spunti ingegnosi in una fase di stasi dei contatti umani e della vita all’aperto. Senza nulla togliere ai vari Netflix, Sky e tutti i canali che ci hanno permesso di trascorrere ore piacevoli e stimolanti pur chiusi nelle nostre case, la fame del calore del pubblico, della partecipazione ad eventi di comunità non ha tardato a farsi sentire. Negli Stati Uniti, e a cascata anche in Italia, sono tornati di gran moda i drive-in. Le persone, qui e oltreoceano, che da marzo sono state in gran parte confinate nelle proprie abitazioni a guardare il bilancio delle vittime del virus accumularsi sugli schermi televisivi, ora possono tranquillamente godersi i film fuori casa, pur obbedendo alle restrizioni in atto. L’esperienza del drive-in sembra tagliata su misura per la pandemia, visto che qualsiasi contatto con altri individui avviene all’aperto, dove è sensibilmente ridotto il rischio di infezione. Nel contempo vengono incentivate le attività di ristorazione, con eventi che uniscono gli spettacoli a cene e rinfreschi, esperienze in combinata di stimolo reciproco a entrambi i comparti. Discorso analogo vale per le arene all’aperto, luoghi dove la voglia di cinema, cultura e svago permette, con le dovute accortezze, di mantenere il distanziamento. Senza bisogno di volare negli States, la realtà locale rispecchia le tendenze in atto a livello globale, con tutte le peculiarità che il nostro territorio – e le sue fervidi menti – possono partorire. Si riaccendono infatti le stelle sui luoghi di spettacolo e cultura dell’estate bolognese.
Ricco è il palinsesto delle proposte riunite sotto l’etichetta di Bologna Estate C’è. Alle iniziative già note e consolidate, la cui partenza era messa in dubbio dall’emergenza sanitaria, si affiancano quest’anno attività e spazi di assoluta novità, a conferma del grande desiderio di ripartenza nel segno
della socializzazione e della creatività. Riparte Sotto le stelle del cinema, con il maxischermo in Piazza Maggiore e alla BarcArena, allestita presso il Centro sportivo Barca; i lungometraggi saranno proiettati gratuitamente e in contemporanea nei due spazi dal 4 luglio al 21 agosto. Le misure di salvaguardia della salute prevedono che, delle 1600 sedute sul Crescentone, siano disponibili 1200 posti a serata; altri 750 spettatori ammessi alla BarcArena, in entrambi i casi previa prenotazione online del posto dai siti di Bologna Welcome e della Cineteca di Bologna o fisicamente all’ufficio di Bologna Welcome, per un massimo di quattro posti a serata. La programmazione, che prevede la presenza di apprezzabili ospiti e la riproduzione, insieme ai film, di cortometraggi a tema, si sviluppa su vari filoni: il Cinema al femminile, con pellicole dirette, interpretate o dedicate a grandi donne; figure leggendarie e carismatiche sono protagoniste dei film della sezione Più grandi della vita; la selezione di Polizieschi urbani si concentra su grandi titoli che hanno creato gli elementi fondativi di un genere di enorme successo. Vengono inoltre celebrati importanti anniversari: con Steve McQueen fa 90 si festeggiano i 90 anni che avrebbe compiuto una grande icona del cinema; Alberto Sordi 100 rientra tra le celebrazioni del centenario della nascita di uno strepitoso attore che ha segnato con le sue interpretazioni la storia cinematografica italiana. Nato lo stesso anno di un grande pilastro del nostro cinema: la sezione Fellini 100 è un tributo al regista riminese, che tanto ha dato alla settima arte. Si allaccia a questi percorsi il filone Omaggio a Franca Valeri, dedicato ad una caratterista ironica e versatile, che nel 2020 taglierà il traguardo del secolo di vita. È dedicata alle produzioni felsinee la sezione Fare cinema a Bologna, mentre Estate italiana mette in scena pellicole che raccontano con maestria questa bizzarra stagione di frenesia e sospensione insieme, di luci calde e colori sgargianti che avvolgono contraddizioni, fermenti e nostalgia. Tra gli ospiti della rassegna, previsto per l’inaugurazione un maestro della parola funambolica quale Alessandro Bergonzoni, a seguire Liliana Cavani, Carlo Lucarelli, i Manetti Bros., Stefano Accorsi, Sergio Rubini, l’espertone cinematografico Gianni Canova e alcuni giocatori del Bologna Football Club, che introdurranno con una diretta video uno dei manifesti della protesta afroamericana, il film “Fa’ la cosa giusta” realizzato nel 1989 da Spike Lee. Parentesi fotografica il 17 luglio per un appuntamento ormai da tradizione, il World Press Photo, il più prestigioso concorso internazionale dedicato ai reportage. La fotografia è un’altra rilevante tendenza che ormai da tempo sta caratterizzando l’offerta culturale bolognese – si pensi alle mostre, di Steve McCurry, Elliott Erwitt e Dario Mitidieri all’Auditorium Enzo Biagi della biblioteca Salaborsa lo scorso inverno. E alla bellissima mostra Women ancora in corso nella chiesa di Santa Maria della Vita in via Clavature, dove sono esposti scatti emozionanti di fotografi del National Geographic dedicati al mondo femminile. Tornando al cinema, una menzione speciale è d’obbligo per la straordinaria opera della Cineteca di Bologna, cardine di tutte queste iniziative. Una realtà che non ha abbandonato il proprio pubblico anche durante il lockdown, mettendo a disposizione cortometraggi recuperati dagli archivi della Fondazione e raccolti sotto la denominazione Il Cinema ritrovato_ Fuori Sala. Si tratta di pellicole che vanno dai primi decenni del secolo scorso agli anni ’50-‘60 restaurate dal laboratorio L’immagine ritrovata, che raccontano una Bologna lontana (consigliato per i nostalgici il documentario “Guida per camminare all’ombra” sui portici della città) e un passato finito nel più pro-
fondo dei cassetti della memoria. Nei mesi di blocco la fondazione ha sostenuto il progetto #iorestoinsala, un circuito nazionale di cinema

e distributori sul web, dove la rete diventa “la sala”. La Cineteca si è poi attivata per realizzare il progetto di un drive-in, quando l’emergenza Covid-19 metteva a rischio gli spettacoli nel cuore della città. Che invece ospiterà la 34° edizione del Cinema ritrovato a partire dal 25 agosto fino al 1° settembre, con proiezioni “ponte” tra la rassegna Sotto le stelle del cinema e il festival. Una manifestazione che è considerata un vero paradiso per i cinefili di tutto il mondo, con classici restaurati con grande perizia e contraddistinta quest’anno dalla collaborazione musicale con l’orchestra del Teatro Comunale per l’esecuzione di due cineconcerti. In totale saranno 55 gli appuntamenti che avranno luogo nelle due arene a cielo aperto durante l’estate 2020 e si parla di una grande cena finale in Piazza Maggiore al termine della kermesse, un modo ghiotto per rilanciare la ristorazione e il turismo in città. L’intensa ed appassionata attività della Cineteca si rispecchia nel lavoro del suo direttore Gianluca Farinelli, tra gli ospiti della rassegna estiva dell’Alma Mater Zambè, che da cinque anni si svolge nel cuore dell’Università, nel cortile d’Ercole di Palazzo Poggi in via Zamboni 33. Quest’anno il pubblico potrà seguire le dirette online di Zambè sui social di Ateneo (Facebook, Instagram e YouTube), dove resteranno disponibili i contributi focalizzati sul tema “tra il passato e il presente dell’Ateneo”, scelto quest’anno anche in seguito alla situazione storica che stiamo vivendo. Il professor Marco Antonio Bazzocchi, direttore scientifico del progetto, intervista sotto la statua che campeggia nel cortile del palazzo alcuni noti esponenti del mondo cittadino, ospiti della serie Un quarto d’ora da Ercole, per raccogliere contributi a tutto tondo su quanto è accaduto, su come vedono il futuro e il ruolo dell’Università dentro la città. Le conversazioni si alternano a video sull’evoluzione dell’Alma Mater attraverso i propri luoghi e per voce di illustri personalità del passato dell’ateneo, che parlano allo spettatore come se conoscessero quali percorsi avrebbe poi intrapreso l’Università. Ne scaturisce una storia animata fatta di racconti e

suggestioni per immagini rese con un utilizzo originale e contemporaneo delle tecnologie digitali, per avvicinare gli spettatori di oggi a temi e personaggi di ieri, geniali e coraggiosi pionieri nel loro campo e apripista per gli sviluppi futuri. È il caso di Laura Bassi, la prima donna al mondo che ottenne una cattedra universitaria e alla quale è dedicato un docufilm ideato dalla professoressa emerita dell’Alma Mater Raffaella Simili e Miriam Focaccia, con la regia di Alessandro Scillitani. Un estratto dell’opera verrà proiettato il 18 luglio in Piazza Maggiore, uno dei luoghi teatro della vita della donna, come anche l’Archiginnasio, l’Istituto delle Scienze, Palazzo d’Accursio e le vie della città a cui Laura Bassi ha donato lustro. Alessandro Scillitani (ph Paolo Tanze) Per chiudere il cerchio, nel quarto d’ora da Ercole di Gianluca Farinelli emerge come la televisione generalista, a sua opinione, non sia stata in grado di raccontare la realtà che stiamo vivendo, affidandosi a dati e informazioni slegate e mostrando una certa incapacità di trasferire il senso di profondità dei fatti. Mentre il cinema abbia enormemente aiutato tutti noi ad attraversare questa fase complicata nonostante le oggettive difficoltà, perché “l’arte attraversa tutte le modalità di fruizione nella sua grandezza”. Altri spazi della città saranno dedicati alle proiezioni estive: l’Arena Puccini nella tradizionale sede del Dopolavoro ferroviario, con un cartellone che raccoglie il meglio della produzione italiana e internazionale uscita nelle sale dallo scorso autunno a oggi. Curatore del programma è Andrea Morini
Alessandro Scillitani (ph Paolo Tanze) della Cineteca di Bologna, il quale insieme al suo staff ha selezionato anche alcuni dei film più significativi distribuiti in streaming durante il lockdown, che arriveranno così per la prima volta in sala. Nel rispetto delle linee guida per “Cinema e spettacoli dal vivo” contenute nel Dpcm dell’11 giugno, le sedute saranno ridotte da mille a circa 400 per consentire il distanziamento fisico tra gli spettatori. I quali potranno consultare la programmazione anche dell’Arena Tivoli, presso lo storico cinema-teatro in via Massarenti, o dell’Arena FICO, dove ai lungometraggi della stagione in corso si avvicenderanno spettacoli di comici ed incontri con registi e autori. A braccetto con la gastronomia, vista la possibilità di cenare nei tavolini esterni dei ristoranti Eataly world. Un altro interessante fenomeno di intrattenimento caratterizza l’estate appena iniziata: il ritorno al teatro di prossimità, che prenderà corpo in cortili, giardini, strade pedonalizzate all’insegna della riconquista degli spazi pubblici da parte della comunità. Sono tantissime le iniziative previste nei vari quartieri della città; tra queste, un centinaio saranno finanziate dalle donazioni della cittadinanza raccolte col progetto 6000 Piantine, quale atto finale della fotosintesi culturale avviata a maggio scorso in una Piazza Maggiore all’epoca ancora semideserta. Per dare un piccolo assaggio delle tante proposte in calendario, in quanto a rilancio degli spettacoli di prossimità il Teatrino a due pollici presenta il progetto Cantastorie a domicilio, che vedrà il narratore arrivare nei cortili condominiali per raccontare con oggetti, pupazzi o piccole scenografie una storia animata, adatta ad un pubblico di ogni età. scoppierà anche sotto i portici di via Mascarella e nelle aree limitrofe, dove la vena artistica degli abitanti della zona si esprimerà attraverso letture, performance musicali e teatrali per il pubblico in strada e alle finestre. Musica, arti visive e performative, cinema e incontri letterari animeranno la terza edizione del festival estivo I Giardini del Baraccano. Gratuito l’ingresso alle serate nel complesso monumentale di via Santo Stefano, i cui 1.000 mq circa di giardino ospiteranno aperitivi, apericene a lume di candela e pic-nic dal 30 giugno al 4 agosto. Cinema e gastronomia anche in questa sede, con le proiezioni del Baraccano Drive-In alle quali assistere comodamente “parcheggiati” sulle stuoie nel prato e la possibili-

tà di accompagnare la visione con degustazioni a tema. Perché cibo è convivialità e la qualità alza il livello esperienziale: il giovedì saranno i ristoratori più noti del quartiere a preparare menu e cestini in versione gourmet. Una location nuova e tematiche sociali di forte impatto caratterizzano l’estate di Villa Celestina, poco fuori dai viali di circonvallazione. Un edificio da ricostruire, che ha una particolarità: si tratta di un complesso confiscato alla mafia e affidato al Comune, il primo in città che si appresta ad essere riutilizzato a fini sociali. Gli spazi esterni, infatti, sono stati assegnati temporaneamente all’associazione Libera per incontri con gli studenti e durante questi mesi accoglieranno la rassegna Presi bene, che unisce la consueta parte di svago fatta di concerti ed eventi ad una serie di dibattiti su temi quali il recupero dei beni confiscati a scopo sociale, il diritto alla salute, la memoria e la ricerca di verità e giustizia – anche in vista dei 40 anni dalla strage di Bologna. La voglia di ripartire, insomma, è tanta; intensi sono gli sforzi per rilanciare comparti fondamentali per la vita sociale, gravemente colpiti dalle conseguenze della pandemia. In questo periodo, segnato dalla perdita di giganti contemporanei quali Luis Sepulveda, Ezio Bosso ed Ennio Morricone, grandi cuori che hanno ricordato a tutti noi l’immenso valore dell’arte e della cultura nelle nostre esistenze, soprattutto nei momenti più difficili. Mentre ci sono paesi, come la Norvegia, che scommettono strategicamente proprio su questo settore attraverso ingenti stanziamenti economici a sostegno della creatività, per una ripartenza in chiave sociale avanzata. In Italia i lavoratori dello spettacolo, siano essi attori, musicisti e tutto il personale tecnico coinvolto nelle produzioni culturali, hanno gridato le proprie difficoltà e il forte senso di abbandono da parte di uno stato pronto a chiederne il supporto e poco disposto a ricompensarlo. La festa del primo maggio ed il tradizionale concerto sono stati dedicati proprio a loro, poco più di un mese dopo gli stessi operatori che lavorano davanti e dietro le quinte si ritrovavano a manifestare nelle piazze per chiedere maggiore considerazione. La cultura è linfa, non va solo succhiata ma difesa e nutrita. Ognuno di noi può fare qualcosa col proprio piccolo contributo, la partecipazione è il primo passo. Per partecipare alla rassegna cinematografica Sotto le stelle del Cinema (dal 4 luglio al 21 agosto 2020) e al festival Il Cinema ritrovato (dal 22 agosto al 1° settembre) Dove: Piazza Maggiore e BarcArena (Centro sportivo Barca) Prenotazione obbligatoria dei posti a sedere Online su www.cinetecadibologna.it e www.bolognawelcome.com, oppure presso gli sportelli di Bologna Welcome, aperti dal lunedì al sabato dalle 10 alle 19 e la domenica dalle 11 alle 17 Spettacolo prenotabile da sette giorni prima della proiezione, entro le ore 13 del giorno stesso. Possibile riservare fino a un massimo di quattro posti per ogni serata, fino ad esaurimento delle disponibilità. Inutilizzabili i gradini di San Petronio, non ammessi spettatori in piedi. La prenotazione indicherà il luogo da cui accedere (4 gli accessi in Piazza Maggiore, unico alla BarcArena) e il posto numerato assegnato; non sarà possibile disdire, per fare in modo che tutti fruiscano della programmazione.

Accesso a partire dalle ore 20, gli spettatori sono invitata a presentarsi all’ingresso entro e non oltre le ore 21.10 muniti di prenotazione, stampata o digitale, e di mascherina – da indossare all’ingresso, all’uscita e durante gli spostamenti per raggiungere e lasciare il posto
Il cinema ritrovato dvd awards
La Cineteca di Bologna organizza, nell’ambito del festival Il Cinema Ritrovato, la 17° edizione del concorso dedicato a prodotti cinematografici realizzati in formato Dvd e Blu-ray.
Un premio che intende dare visibilità e incentivare la realizzazione in tutto il mondo di prodotti di qualità dedicati all’home entertainment. Al concorso partecipano Dvd e Blu-ray pubblicati tra febbraio 2019 e febbraio 2020, relativi a film di acclamata importanza e di produzione anteriore al 1990 (trent’anni fa), rispettando così la vocazione più generale del festival. Giuria presieduta dal noto critico Paolo Mereghetti, attivo anche nella selezione dei titoli insieme a Gianluca Farinelli.

Qesti gli appuntamenti di Zambè, i video sono ancora disponibili sui canali social di Ateneo – Facebook, Instagram e YouTube
16 Giugno 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista al Rettore Francesco Ubertini
17 Giugno 2020 L’Alma Mater per immagini: Luigi Ferdinando Marsili racconta Palazzo Poggi
18 Giugno 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista al cardinale Matteo Zuppi
23 Giugno 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Romano Montroni
25 Giugno 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Nadia Urbinati
30 Giugno 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Marcello Fois 1 Luglio 2020 L’Alma Mater per immagini: Laura Bassi racconta l’Istituto delle Scienze
2 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Gianluca Farinelli
7 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Flavio Favelli
8 Luglio 2020 L’Alma Mater per immagini: Ulisse Aldrovandi racconta l’Orto botanico e la Palazzina della Viola
9 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Silvia Avallone
14 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Pierluigi Stefanini
16 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Vito Mancuso
21 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Rosi Braidotti
22 Luglio 2020 L’Alma Mater per immagini: Maria dalle Donne racconta il Policlinico Sant’Orsola
23 Luglio 2020 Un quarto d’ora da Ercole: intervista a Margherita Pennacchia, studentessa Unibo
28 Luglio 2020 L’Alma Mater per immagini: Giosuè Carducci racconta la Biblioteca Universitaria
American Evil Il CINEMA RITROVATO 2020
di Jonny Costantino
Le forze del male (1948) di Abraham Polonsky
Il Covid-19 non ha intimidito IL CINEMA RITROVATO. Il festival, che di consueto ha luogo a giugno, quest’anno è slittato di due mesi e s’è svolto, in assetto antivirale, dal 25 al 31 agosto. Il livello della proposta cinematografica è rimasto vertiginoso. Fidatevi e, se non vi fidate, recuperate il programma online di questa 34esima edizione, senza volermene se non compio nemmeno lo sforzo di elencarvi le sezioni e i titoli, altrimenti non la finiamo più. Mi limiterò a qualche riflessione su una manciata di film che ho visto soltanto il primo dei sette giorni della manifestazione, il 25 agosto, avendo un aereo per la Sardegna l’indomani, dove mi attendeva in veste di curatore un altro festival, stavolta letterario, Bookolica. La partenza, devo dirlo, è stata col botto, a cominciare dall’attesissima proiezione di Le forze del male, presentato in una magnifica versione nel cui restauro c’è lo zampino di Martin Scorsese, il quale ha introdotto in video la pellicola spendendo parole di grande encomio per il lavoro di Gian Luca Farinelli e dell’intero staff del Cinema Ritrovato.

FORCE OF EVIL Esordio dietro la cinepresa dello sceneggiato-
re Abraham Lincoln Polonsky, Le forze del male (Force of Evil, 1948) è un film teso e terso, cupo e vigoroso, regia al millimetro e dialoghi a orologeria. Ambientata in una New York pancriminale, l’opera trova un equilibrio formale tutto suo tra noir e gangster movie, sia in termini narrativi sia foto-scenografici. Il fuoco è sul racket delle lotterie clandestine (le cosiddette “banche”) ma il vero bersaglio critico è il sistema bancario e, a monte, la struttura capitalista. «È una favola nera uscita da Karl Marx, ma sembra girata da Fritz Lang in Germania», afferma su “The New Republic” (2012) il critico David Thompson, il quale precisa: «C’era stato un tempo in cui l’America era un paese di uomini pericolosi e di idee coraggiose, e Le forze del male (insieme a Sciacalli nell’ombra di Losey) è forse uno dei film migliori e più sconvolgenti realizzati da figure destinate all’esilio o alla clandestinità». Come sceneggiatore, il marxista Abraham Polonsky aveva raggiunto il successo l’anno precedente col film sulla boxe Anima e corpo (Body and Soul, 1947) di Robert Rossen. Il protagonista di ambedue le pellicole è John Garfield. Polonsky e Garfield: due artisti all’apice del rispettivo fulgore proprio nel biennio ’47-‘48, le cui carriere saranno stroncate da lì a breve, nei primi anni Cinquanta, quando la crociata anticomunista del senatore McCarthy raggiunge il suo culmine parossistico. La Caccia alle Streghe miete vittime su vittime, Hollywood è tutta un rogo, ed entrambi, Polonsky e Garfield, finiscono nella temutissima Lista Nera. Convocato nel 1951 dalla Commissione per le Attività Antiamericane (HUAC), Polonsky non collabora (quando collaborare significa fare i nomi di compagni e sovversivi), appellandosi al Quinto Emendamento (avvalendosi cioè della facoltà di non rispondere per non nuocere a se stesso). Ne consegue che il film successivo – Ucciderò Willie Kid (Tell Them Willie Boy Is Here, 1969) – lo dirige più di 20 anni dopo. Regista interrotto, pur tra mille difficoltà Polonsky campa continuando a sceneggiare sotto falso nome, grazie al sostegno e alla copertura di amici e professionisti che credono nel suo talento e lo rispettano per la sua integrità. Nel corso di quei buissimi anni, questo «very dangerous citizen» – con la definizione di un deputato dell’Illinois – scrive una dozzina di sceneggiature e collabora alla serie TV You Are There, una serie CBS che spicca per il nonconformismo degli affondi socio-politici e che vanta, tra i suoi registi, figure del calibro di Sydney Lumet e John Frankenheimer. Più concentrata e tragica è la parabola di John Garfield. Finito nel mirino degli Acciuffacattivi, Garfield nega ogni coinvolgimento in passati e presenti intrighi sinistrorsi. La sua deposizione però non convince la Commissione, che manifesta l’intenzione di reinterrogarlo. È chiaro che la seconda volta non se la caverà facendo lo gnorri, delle due una: o spifferare o subire un’incriminazione. Concreto è dunque il rischio di farsi il carcere, cui non sono sfuggiti lo sceneggiatore/regista Dalton Trumbo e il romanziere/sceneggiatore Dashiell Hammett. Il 21 marzo 1952, rimasto senza ingaggi, allontanatosi dalla famiglia, il 39enne Garfield − che solo qualche anno prima era uno dei beniamini della Mecca del Cinema − viene trovato morto nell’appartamento dell’attrice Iris Whitney. In Le forze del male il divo interpreta la parte dell’avvocato della mala Joe Morse, mente senza scrupoli di un impero criminale, lupo tra i lupi famelico non meno di nessuno nella sbranatoria metropoli. Joe ha un solo punto debole: un fratello maggiore cardiopatico che infine ci lascia le penne per colpa delle pianificazioni criminose del fratello minore. Nella realtà, il cardiopatico che ci lascia le penne, appena cinque anni dopo, è proprio lui, John Garfield: il coroner stabilì che era morto d’infarto. L’attore aveva problemi di cuore che − come fu evidente a chiunque lo conoscesse − furono aggravati dallo stress provocato dall’accanimento di McCarthy & Co. Si vociferò che, negli ultimi giorni di vita, al colmo dell’avvilimento, l’attore fosse alle prese con la stesura di un articolo autobiografico per mezzo del quale avrebbe cercato di riabilitarsi agli occhi dell’opinione pubblica. Il titolo del pezzo è piuttosto eloquente: Ero uno stupido all’amo della Sinistra (I Was a Sucker for a Left Hook). Un paio d’incisi sul contegno dei citati Robert Rossen e Joseph Losey davanti alla Commissione per le Attività Antiamericane. Additato come mangiabambini, il futuro regista dello Spaccone (The Hustler, 1961) in principio si rifiuta di collaborare: è il giugno ‘51 e la diretta conseguenza del suo silenzio è che la Columbia Pictures scioglie il suo contratto di produzione mentre il Dipartimento di Stato gli nega il rinnovo del passaporto. Logorato dall’inattività, nel maggio ‘53 Rossen si fa riascoltare, stavolta senza reticenze: fa il nome di 57
comunisti. Compiuto il suo dovere di buon americano, nel ‘54 il cineasta torna sul grande schermo con la produzione italiana Mambo (dove recitano Silvana Mangano e Vittorio Gassman), ma la rentrée è avvelenata dal disprezzo accumulato verso se stesso per l’infame deposizione. Joseph Losey: nato in Wisconsin e di formazione marxista, blacklisted e disoccupato, per non morire di fame nel ‘53 si trasferisce a Londra e diventa un cineasta europeo. Nel Vecchio Continente questo film-maker intriso di Brecht e Ejzenstejn girerà capolavori come Il servo (The Servant, 1963) e Monsieur Klein (1976), godendo del prestigio guadagnato per non essersi piegato quando i più lo facevano, per non essere stato un “collaboratore amichevole”o − in maniera meno neutra − un rat.
BONUS TRAKS
La diva Tra coloro che infamarono Polonsky incalzati dagli zelanti funzionari della HUAC ci fu Sterling Hayden, il gangster iellato di Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle, 1950, di John Huston) e di Rapina a mano armata (The Killing, 1956, di Stanley Kubrick). In La diva (The Star, 1952) Sterling fa da sparring partner a Bette Davis come in Johnny Guitar (1954, di Nicholas Ray) lo farà a Joan Crawford.
La diva (1952) di Stuart Heisler Nei panni di una diva con tanto di Oscar che non accetta il proprio tramonto, la 44enne Bette Davis recita come una leonessa. Basterebbe questa prova per comprendere la devozione riservatale dalla coetanea Anna Magnani. Il 30 aprile 1953, dopo un incontro newyorkese, Anna – che si definiva una divoratrice dei film di Bette – le scrive di getto una lettera a mano dove leggiamo cose splendide quali: «Vi guardavo, vi ascoltavo parlare, ero diventata come un agnello, ero ipnotizzata. Cara grande Bette – siete così umana così tremendamente umana e io mi sento molto vicino a voi mi sento molto simile a voi, come donna. Come artista voi sapete cosa siete per me. Difendete sempre la Vostra arte – difendete sempre la vostra libertà artistica contro tutto e tutti». Da questa lettera traboccante di amore professionale e personale si capisce quanto la statunitense abbia rappresentato un modello per l’italiana. All’epoca della missiva di Anna, l’ultimo film di Bette è proprio La diva. A dirigerlo è Stuart Heisler, eclettico moralista definito dal regista Bertrand Tavernier (in veste critica): «talentuoso e misterioso». La diva contiene una profezia e un segnale premonitorio. La prima riguarda il personaggio di Jim Johannsen, un attore che dà il benservito a Hollywood per mettersi a fare il meccanico di barche a vela. A interpretarlo è Sterling Hayden, che era un lupo di mare ancora prima di sbarcare a Hollywood (a 20 anni capitanava già navi da crociera). Ed è così che il preteso annunzio si avvera: circa un settennio dopo, nel 1959, Sterling molla il mestiere d’attore (seppure non definitivamente) e fugge alla volta di Tahiti con i quattro figli a bordo della goletta Wanderer, sbattendosene del tribunale che gli nega il permesso di farlo. La sostanza profetica è che entrambi gli attori, il virtuale e il reale, preferiscono, quando si tratta di scegliere, il mare al cinema. E qui non posso non suggerire, a chi volesse approfondire l’ineffabile figura di Sterling Hayden, la lettura mio recente libro edito da Lamantica, Un uomo con la guerra dentro. Vita disastrata ed epica di Sterling Hayden: navigatore attore traditore scrittore alcolista. La premonizione, quanto mai sinistra, riguarda invece Natalie Wood, che recita nelle vesti di Greta, la figlia adolescente di Bette Davis alias Margaret Elliott. Ebbene, durante una gita sulla barca di Jim/ Sterling a largo di Los Angeles, la diva si preoccupa per la figlia e la prega di stare attenta, se non vuole finire in acqua. Natalie Wood morirà cadendo in

acqua nello stesso tratto di oceano, tra Los Angeles e l’isola di Santa Catalina per la precisione. La disgrazia, avvolta nel mistero, avvenne nell’81, durante una gita notturna in panfilo col marito Robert Wagner e il presunto amante Christopher Walken, dopo una lite col coniuge.
La traversata di Parigi La Traversée de Paris (1956, uscito nel Regno Unito col buffo titolo A Pig across Paris) o della semplicità perduta. Il plot è presto detto: un maiale destinato al mercato nero viene scannato, macellato e distribuito in quattro valigie affidate a due uomini che le trasportano a mano attraversando nottetempo la capitale occupata dai Nazisti. Jean Gabin e Bourvil in stato di grazia fanno il film, un film magico dove l’unica stonatura è il brutto happy end. Ma non fu colpa del regista, Claude Autant-Lara, che avrebbe commentato: «Il vero finale è che il povero diavolo [Bourvil] viene fucilato mentre il ricco, il pittore famoso [Gabin], se la cava. Ho persino girato alcune scene di tasca mia per fargli capire [a
La traversata di Parigi (1956) di Claude Autant-Lara

Henry Deutschmeister, il produttore]… ma non ha voluto saperne. Insomma, facciamo i film che possiamo fare, con i produttori − non dico che siano imbecilli, ma c’è qualcosa che li rende stupidi, ovvero i soldi: persino i produttori più intelligenti, quando hanno paura di non incassare, diventano stupidi». Insomma, Nihil novi sub soli, come rimbomba in Qohelet 1:9. La Grèce pittoresque. Environs de Mégare e Corinthe In questo breve filmato in Chronochrome della Gaumont datato 1912 – tra le chicche della sezione “Ritrovati e restaurati” – c’è uno dei camera-train più belli che abbia mai visto: la “soggettiva” di una locomotiva che avanza in discesa costeggiando uno strapiombo e passando persino attraverso un varco aperto in un masso che le rotaie non potevano aggirare. Il nostro occhio incede su un binario che è stata una follia piazzare lassù e durante la visione persiste l’impressione che sarebbe sufficiente una piccola frana o un rovescio temporalesco per far rotolare il treno a valle. Follia chiama follia e questo camera-train greco mi fa sovvenire un camera-car caraibico: il camera-car che vediamo avanzare lungo una strada in discesa della zona a rischio dell’isola di Guadalupa, evacuata per la temuta imminente eruzione del vulcano La Grande Soufrière. Il documentario cui mi riferisco è La Soufrière. In attesa di una catastrofe inevitabile (La Soufrière. Warten auf eine unausweichliche Katastrophe, 1977): il regista è Werner Herzog e la «catastrofe inevitabile», grazie al cielo, non s’è verificata. Rivedendo la sequenza herzoghiana, mi rendo conto che il sonoro ha svolto un ruolo non secondario nel sollecitare la reminiscenza: il filmato di Corinto è finito su DCP con un accompagnamento al pianoforte che crea un’atmosfera audiovisiva affine a quella della ripresa di Guadalupa, la quale è contrappuntata dall’adagio sostenuto del Concerto per Pianoforte numero 2 (opera 18) di Rachmaninoff, conosciuto dagli appassionati come Rach 2. Tuttavia, in ultima analisi, a soddisfare il demone dell’analogia (come lo chiama il poeta Mallarmé) è qualcosa di più intimamente connaturato alla natura dei due adagi filmici: una sensazione epifanica provocata dal connubio tra la musica e il movimento discendente della cinepresa, un movimento esplorativo che oscilla tra il sostenuto e il fluttuante; una sensazione/sentimento che Herzog considera la più prestigiosa preda del cinema e che ha mirabilmente definito verità estatica.
La signorina è curiosa Il principale pregio di La signorina è curiosa (Lady Should Listen, 1934) è il ritmo. Trattandosi di una commedia da appartamento a equivoci e incastri multipli, il rischio maggiore era che l’azione si spompasse in un meccanico entra ed esci di personaggi dall’appartamento di Julian De Lussac, il donnaiolo impenitente interpretato da Cary Grant. Il regista Frank Tuttle, da scafato artigiano qual è, trova però una soluzione: quando e quanto più può, non ci mostra i personaggi che varcano l’uscio, bensì fa in modo che noi e Julian/Cary ce li ritroviamo all’improvviso dentro casa. Si tratta di un espediente acceleratorio tanto elementare quanto brillante.
La signorina è curiosa (1934) di Frank Tuttle

Sempre a proposito della porta del covo dongiovannesco, quando la vicenda è già bella che complicata, l’adirato papà milionario di una fanciulla infatuata la sfonda a colpi di bastone da passeggio. Al momento della riparazione, ci accorgiamo che lo spessore della porta è all’incirca quello di un pannello di compensato. Lì per lì non ho potuto non chiedermi come fosse possibile una simile trascuratezza scenografica in un film che peraltro gioca anche sull’ingegnosità oggettuale (il maggiordomo di Julian è l’inventore, per dirne due, di uno specchio con tergicristallo incorporato e di un armadio con dentro un macchina che produce il suono di una bufera). Mi sono dato la seguente risposta: quella porta fasulla che si disfa come se niente fosse, più che un errore, è un’allegoria. Un’allegoria in linea con le idee di Frank Tuttle, comunista che qualche lustro dopo finirà nella morsa maccartista e, denunciato da diversi colleghi, a sua volta ne denuncerà. Venendo all’allegoria: le porte – intese quali diaframmi tra il fuori e il dentro, tra il mio e il tuo – sono le prime barriere da ignorare o sfondare nella società senza padroni.
Isabelle Huppert, message personnel Guardando il neonato documentario di William Karel su questa magnifica attrice – probabilmente la più vicina oggi al modello Bette Davis – ho com-
Isabelle Huppert in È simpatico, ma gli romperei il muso (1972) di Claude Sautet e in Elle (2016) di Paul Verhoeven preso o, meglio, ho avuto l’ennesima conferma di qualcosa che sapevo: un viso come il suo non te lo dà Madre Natura né il chirurgo plastico, un viso così si crea attraverso un costante lavorio d’incisione spirituale. Siete scettici? Confrontate il volto della paffuta diciassettenne che esordisce con I primi turbamenti (Faustine et le bel été, 1971, di Nina Companéez) e quello della splendida ultra60enne diretta da Paul Verhoeven in Elle (2016). Chabrol Sautet Berry Robbe-Grillet Blier Tavernier Preminger Téchiné Godard Bolognini Pialat Jacquot Cimino Losey Ferreri Wajda Schroeter Hartley Kiarostami Taviani Assayas Ruiz Haneke Ozon Honoré Chéreau De Bernardi Denis Bellocchio Mendoza Sang-soo Breillat Verhoeven: i cineasti con cui ha lavorato – i bravi e i grandi – sono stati scalpelli abbandonandosi ai quali Isabelle s’è scolpita una delle fisionomie più taglienti del secondo secolo di cinema. A orientare il proprio auto-affilamento – e con esso la precisazione della propria caratura attoriale – c’è stata una precoce presa di coscienza: la cinepresa è più ricettiva all’infelicità che alla felicità che il suo volto è in grado di esprimere. Un rilievo, questo, che da solo ci dice qualcosa di essenziale del suo sodalizio con Michael Haneke, l’intransigente maestro austriaco per cui raccontare la felicità significa oltraggiare chiunque soffra.
