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Per un pugno di note, addio ad Ennio Morricone di Niki Pancaldi

Per un pugno di note, addio ad

Ennio Morricone

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di Niki Pancaldi

Dal coro gracchiante delle cicale estive, nella calura sudaticcia del primo grande caldo dopo “lo grande morbo che tutti si piglia” si è alzato (non richiesto) un suono metallico ed argentino. Un suono sfacciato da ottone scoperto, solista, senza vergogna. “Tuba, mirum spargens sonum, per sepùlchra regiònum” recita il testo latino del requiem. Una tromba che spande il proprio suono sui sepolcri del mondo. Ed oggi sappiamo anche chi appartenga quella tromba funesta. Ennio Morricone ci ha lasciato. E’ piuttosto ridicolo tentare di comporre un necrologio per un uomo che se l’era già scritto da solo negli ultimi giorni, con l’appunto preciso di “non voler disturbare”. Tocca ad altri, cercare di disturbare. Tocca ad altri coprire il suo silenzio con un suono qualsiasi, perché di fronte a certi abbandoni sarebbe disumano non fare rumore, specialmente in memoria di chi passò una vita intera nell’intento di riempirlo, quel

silenzio. Ennio era dappertutto, come il prezzemolo in cucina, ma in campo musicale. Ennio era inconfondibile, era un compositore dal carattere perfettamente delineato, una certezza auricolare. Era Pop e sublimemente accademico al contempo. Era una star della musica in frak e papillon, un signore che si sarebbe potuto incontrare al supermercato al primo impatto visivo, quasi il fantomatico vecchietto con il cappello che guida alla velocità di un triciclo. Ma all’interno, quell’ometto, era un ribollente e palpitante forgiatore di musiche sbalorditive. La generazione cresciuta tra gli anni ’60 e ’70 ha consacrato un mito immortale fatto di praterie, cavalli, sceriffi e sparatorie sulle sue note. Perché quelle note nobilitavano anche il più puzzolente dei ronzini, anche il più sudicio dei banditi. E’ doveroso a questo punto puntualizzare il valore della colonna sonora in una qualsiasi pellicola cinematografica. Basterebbe provare a vedere i primi film della saga di “Guerre Stellari” o “Il Signore degli Anelli” senza musiche appositamente composte o, peggio, con una colonna sonora sbagliata, inadatta al prodotto. Unghie su lavagne. La colonna sonora, specialmente se originalmente composta per una pellicola, è sempre uno dei personaggi principali. Come dice il buon Baz Luhrmann (Ballroom, Moulin rouge) la musica si muove ad un livello emozionale differente da quello dei dialoghi o delle immagini. La musica scava molto più in fondo, si muove in spazi incontrollati della nostra psiche. Un po’ come l’olfatto. A volte basta un solo respiro di fragranze dimenticate e si stappa un vaso di Pandora di rimembranze che si credevano ormai perdute. Senza il povero emisfero sinistro del cervello possa intervenire. E questo Ennio lo sapeva, come sapeva come dare la voce perfetta a quel personaggio per tutti invisibile ma indiscutibilmente essenziale. Lui stesso era come la colonna sonora! Era un personaggio invisibile (anche se molto fotografato) che ha invaso la musica di buona parte del secolo passato, fino ai nostri infetti giorni di quarantena. Alcuni tra i più conosciuti brani della musica italiana portano la sua impronta nell’arrangiamento. Le trombe di “Sapore di sale” sono le sue. Si, le sue trombe, perché nel suono di quel piccolo oggetto di ottone c’è tutto Morricone. Lui stesso iniziò la carriera come trombettista, quindi conosceva la voce dello strumento, perché in qualche modo era la sua stessa voce. E non era così scontato sdoganare uno strumento di quel tipo in ambiti non strettamente jazzistici per farne il suono quintessenziale dell’ “epicità”. La tromba morriconiana è un segnale stradale; quando entra nello spartito lo fa sempre senza vergogna, lo fa sempre senza chiedere il permesso. Sancisce senza mezzi termini che con il suo ingresso nel nostro universo uditivo succederà qualcosa di epico, che si è arrivati alla resa dei conti, ad un apice. E questo solo a livello superficiale, d’impatto.

Perché sotto di essa c’è una trama complessa quanto un tappeto persiano. Un intricato arabesco di suoni dai timbri più disparati. Fischi umani, sospiri, sillabe latrate da impianti corali, percussioni di ogni tipo, scacciapensieri siculi, ticchettio di orologi, spari, grida e soprani aerei come nuvole atlantiche. Sotto l’orecchiabile c’è tutta la stridente complessità della musica contemporanea. La magica capacità di Morricone era riuscire a capire fino in fondo lo spirito di ciò che avrebbe dovuto illustrare con i suoni. E quello che faceva era proprio dipingere un quadro dove, ovviamente, le sue musiche sono quasi sempre legate a specifiche immagini, ma dipingerebbero comunque immagini molto simili. Basta ascoltarlo per percepire il respiro senza orizzonte di una sconfinata pianura americana, la cavalcata guerriera di un gruppo di pistoleri, la malinconia di mondi perduti di un’America scomparsa di inizio ‘900 o fine ‘800. Un respiro ampio e vivo ma mai sgarbato, sempre la servizio della narrazione, mai così pesante da voler rubare la scena. Ed è questa, io credo, la sfida più difficile per un compositore di colonne sonore. Eppure nel cinema le sue musiche hanno sempre fatto la parte del Leone ( perdonatemi, davvero, dovevo farlo…). E’ vero che molti film da lui musicati sarebbero stati comunque dei bei film, ma non sarebbero diventati mai mitici, credo, senza quel suono limpido da ottone squillante. Ovviamente Ennio passerà molto probabilmente alla storia come compositore di colonne sonore, pur essendo un compositore di musica a trecentosessanta gradi. Come già detto non ci si aspetterebbe di trovare le sue impronte digitali sullo spartito di “Abbronzatissima” di Edoardo Vianello, eppure ci sono. Come ci sono in composizione di musica contemporanea di altissimo livello. Forse sta proprio in questo la grandezza di un vero artigiano dell’arte. Il non essere affetto da manie di protagonismo dovute alla propria notorietà o presunta abilità, ma nel misurarsi seriamente in ogni situazione con il medesimo impegno e la medesima serietà professionale ed umana. Visto che il mondo sta virando brutalmente verso una deriva in cui orde di inabili a qualsiasi creazione vengono osannati come nuove Divinità pagane, sarebbe opportuno tenere a mente quanto potesse essere modesto un vero gigante. Quentin Tarantino più volte volle musiche di Ennio nei propri film (era di quella generazione di piccoli cowboy da cinema di seconda visone) per-

ché anche lui aveva capito quanto grande fosse la potenza delle sue composizioni. E volle che Morricone scrivesse la colonna sonora per un suo film western, e lo portò volente o nolente al secondo premio Oscar. Il primo Oscar lo vinse nel 2007 direttamente alla carriera, come se fosse impossibile premiare un’opera specifica dopo quarant’anni di cinema sostenuto battuta dopo battuta: dal western alla fantascienza, dall’erotico al comico, dal thriller al drammatico. Prima ancora che il requiem suonasse per lui il mondo era già gremito di orchestre specializzate in tributi alla sua musica, di citazioni e richiami alla sua opera, band Metal che aprivano i concerti con i suoi temi più conosciuti, sperimentatori musicali che si divertivano a smontarlo e reinterpretarlo. Ma la cosa indiscutibile è che, esattamente come il suono di una tromba, la sua voce non poteva essere confusa o imitata. La sua personalità buca il pentagramma. La sua era un’idea di musica precisa, la quale può piacere o non piacere ma non potrà mai essere taciuta di mancanza di carattere. Come la voce della soprano in “C’era una volta il West” o le volute morbide dell’oboe di “Gabriel’s Oboe” c’è una punta di trionfante malinconia in tutti gli amanti del cinema, della musica e dell’Italia, oggi. Perché io credo che ci sia un pianoforte celeste, con una tastiera infinita, alla quale sono già seduti da tempo Giuseppe, Gioacchino, Gaetano, Antonio, Vincenzo e tanti altri del nostro paese e di altri paesi. Credo che ci sia un posto libero, da tempo; un’ottava scoperta. Credo che qualcuno potrebbe aver semplicemente detto “Oh, ragazzi, è arrivato il cow boy!”. Mentre la sua stella brilla già da tempo nella Walk of Fame una schiera di personaggi onirici alzano un ultimo saluto corale per quell’uomo magro ed occhialuto che regalò a tutti loro un’anima epica. Sono pistoleri sudati, gangster di inizio ‘900, femmine divine, organismi alieni, missionari sudamericani, messicani rivoluzionari, poliziotti intoccabili, proiezionisti cinematografici, violinisti disperati, pianisti sull’oceano, battitori d’asta. Sono buoni, brutti e cattivi. Tutto per un pugno di note.

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