Sulla manifestazione manifestazione del delle cooperative/ cooperative/Libri: Il tenente Alvaro/A Alvaro/Appello /Appello per una rete autonoma di classe/ classe/Assolibro e la Cina/Riprendiamoci Cina/Riprendiamoci le piazze: piazze: ilil cinema all’aperto all’aperto del Circolo/ Circolo/Le privatizzazioni arancioni.
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Appello ai lavoratori e alle lavoratrici delle cooperative Mentre la giunta Doria si appresta alla privatizzazione di ciò che resta dei servizi pubblici a Genova, il terzo settore forse riesce a contenere i tagli. I grandi network cooperativi nazionali da anni lavorano per sostituire i servizi pubblici con la sussidiarietà. Ma le condizioni dei lavoratori e dei servizi peggiorano per tutti. I lavoratori delle cooperative (che sono spesso i più sfruttati) hanno il dovere di ribellarsi. Anche ai loro padroni e ai governi "amici". All'inizio di settembre il consiglio comunale è convocato per approvare una delibera su una serie di privatizzazioni e spacchettamenti delle aziende genovesi ancora in mano pubblica. Sono interessate al provvedimento AMIU, AMT, ASTER e altri settori quali le farmacie comunali, i bagni della marina, etc. Il provvedimento doveva essere inserito in fase di approvazione del bilancio 2013 (ad agosto) ma è stato bloccato dalla mobilitazione dei lavoratori delle partecipate e dall'azione di una parte del consiglio municipale. L'approvazione del bilancio 2013 mette in campo una serie di provvedimenti (ad esempio l'aumento dell'IMU anche sulla prima casa) atti a sanare buchi nel bilancio di esercizio del Comune dovuti in gran parte ai tagli dei trasferimenti dal governo centrale (applicazioni del patto di stabilità). Il Comune di Genova è governato da una maggioranza politica che, aldilà delle sfumature e delle soggettività, è ostaggio del maggior partito della città (il PD) il quale ha condiviso, sostenuto e incoraggiato a livello nazionale ed europeo la politica di tagli che ha caratterizzato la politica Italiana negli ultimi venti anni. Alcune manovre (ad esempio l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione) avranno effetti permanenti e non di fase cambiando per decine di anni i meccanismi di funzionamento dei servizi e del welfare italiano. I tagli (siano essi a carico degli enti locali o centralizzati) riguardano tutti i settori (dall'istruzione, alla sanità, al welfare) e comportano la messa in campo di strumenti normativi peggiorativi sui diritti di tutti i lavoratori e di tutti i cittadini. All'interno del bilancio specifico del Comune di Genova i tagli sono stati ipotizzati anche a carico del sistema di cooperative che gestisce parti fondamentali del welfare e dei servizi alla persona. A luglio, alcune cooperative sociali hanno messo in atto una manifestazione sotto il palazzo comunale per richiedere la non applicazione dei tagli al settore. La Giunta Comunale ha raccolto la protesta impegnandosi a ridurre il taglio il più
possibile. Il rapporto con le organizzazioni del terzo settore sembra aver trovato un punto di compromesso (da verificare) mentre solo 15 giorni dopo i lavoratori di Aster e AMIU hanno trovato la porta del consiglio comunale sbarrata da una fila di agenti che proteggevano i consiglieri che nel palazzo studiavano le norme della privatizzazione. Il ruolo delle cooperative sociali a Genova All'interno del sistema cooperativo genovese sono impiegati circa 4 mila lavoratori e lavoratrici suddivisi in cooperative di diversa grandezza. All'interno del sistema vi sono grandi differenze di gestione, rispetto delle norme contrattuali, rispetto delle norme di sicurezza, rapporto tra soci e
Lavoratori delle cooperative davanti a Palazzo Tursi dipendenti. Non occorre fare nessun tipo di generalizzazione. Il lavoro di alcune cooperative è all'interno della fase economica un lavoro assolutamente insostituibile per i cittadini che si troverebbero in situazione di disagio una volta che il servizio venga a cessare per mancanza di fondi. Alcuni servizi derivano da processi decennali di esternalizzazione del lavoro gestito dagli enti pubblici. Altri servizi sono nati a carico delle cooperative che attraverso una pianificazione esterna gestiscono parti del sistema sociale. Gli investimenti non provengono però dal datore di lavoro ma sono a carico del servizio pubblico che finanzia il welfare. In questo senso la controparte dei lavoratori spesso è confusa e le rivendicazioni di piazza assumono spesso un carattere particolare. Sono in genere bandite tutte le rivendicazioni basate sui salari, tempi, sicurezza, diritti. La controparte è l'ente pubblico a cui si chiede di mantenere il funzionamento dei servizi. E' comunque distante ogni tipo di rivendicazione
basata sulle caratteristiche degli accordi a livello nazionale tra i network della cooperazione e il sindacato. I lavoratori (soprattutto nelle cooperative sociali operanti nel campo dei servizi e del welfare) faticano spesso a ritenersi lavoratori privati perché svolgono un lavoro pubblico a tutti gli effetti. La struttura societaria Le cooperative locali sono un insieme di strutture (spesso piccole) facenti comunque riferimento a grandi network cooperativi nazionali (Lega delle cooperative, Confcooperative, enti in qualche modo legati alla Chiesa). Questi network operano in campi larghi in cui il settore sociale è una parte non predominante (predominano i settori del commercio, dell'edilizia). Spesso chi lavora fa riferimento ad una situazione locale che comunque è affiliata al network nazionale. I contratti di categoria (e le innumerevoli possibilità di deroghe peggiorative su salario, tempi e diritti) sono gestiti a livello nazionale. E' evidente a tutti come i datori di lavoro primari siano impegnati da anni in politiche di distruzione del servizio pubblico e sua sostituzione con meccanismi di sussidiarietà. La lega delle cooperative (nonostante sia legata storicamente alla sinistra italiana) da anni peggiora contratti e diritti dei suoi dipendenti e/o soci, è tra i primi firmatari di tutte le leggi su precarietà e nuovi contratti, sostanzialmente ha un patto di azione ferreo con gli altri gruppi di diverso orientamento politico e sociale. Queste grandi leghe nazionali fanno riferimento al sistema politico che in questi anni ha governato l'Italia e l'Europa. Da un lato forniscono servizi a contatto e facendo affidamento sul denaro pubblico, dall'altro lato favoriscono politiche di privatizzazione dei servizi. All'interno vi è un fenomeno generale di impoverimento dei diritti, sia dei lavoratori che dei cittadini. Salvare i servizi pubblici Questa esigenza è legata a precise condizioni e esigenze materiali dei lavoratori e dei cittadini chiaramente espresse nei referendum del 2011 . Le privatizzazioni non comportano risparmi nella spesa generale, forniscono impoverimenti salariali e di diritti di chi lavora, rendono sempre più fatiscenti e costosi i servizi per i cittadini. Questo vale per tutti gli ambiti ed in particolare sui servizi fondamentali (trasporti, acqua, pulizia e manutenzione delle città, etc...) che per loro natura necessitano di centralizzazione degli interventi, sviluppo di politiche sociali staccate da concorrenza e mercato. Tutte i cittadini, anche chi lavora per il privato, o per il privato sociale, ha bisogno di trasporti, acqua, istruzione, sanità efficienti e a canoni sociali. Il processo di privatizzazione viene prima o poi pagato da tutti. Il processo di distruzione del welfare pubblico è un fenomeno complesso che vede direttamente l'azione dei grandi network cooperativi in
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Il tenente Alvaro. La Volante Rossa e i rifugiati politici italiani nella Cecoslovacchia socialista. combutta con i governi di turno. Le condizioni materiali dei dipendenti pubblici e delle altre categorie storicamente maggiormente garantite sono da anni in peggioramento. Il tentativo è un livellamento al ribasso delle condizioni di vita di tutti i lavoratori ed un aumento dei costi per i lavoratori e la parte povera della popolazione. Non esistono quindi lavoratori garantiti che abbassano le tutele di altri lavoratori, ma è casomai il contrario. Le condizioni di disparità vengono utilizzate dai distruttori del sistema sociale per abbassare i diritti di tutti i lavoratori. Chi pensa che i risparmi sui servizi pubblici salvino i lavoratori di altri settori commette un errore materiale. Anche ammettendo che il risparmio immediato di bilancio derivante da dismissioni salvi la categoria delle cooperative non può non pensare che i tagli prima o poi si abbatteranno anche su di loro. Non può essere amico un sistema politico che a livello nazionale applica i trattati sul libero scambio e impoverisce la popolazione europea anche se a livello locale sembra essere più sensibile nei confronti di una particolare categoria. I lavoratori dei servizi e delle cooperative (anche quelle sociali) sono dei lavoratori a tutti gli effetti che pagano le cause della crisi economica e della ristrutturazione sociale neoliberista. Spesso hanno meno diritti di altri lavoratori e giustamente si battono per salvare il proprio posto di lavoro e il servizio fornito alla comunità. Come tutti i lavoratori la loro lotta per essere efficace a lungo termine non deve essere una lotta corporativa. Un governo o una maggioranza che privatizza, sponsorizza le grandi opere, lascia un enorme patrimonio di case sfitte è un governo che impoverisce tutti. Chi sembra darsi da fare per uno specifico settore impoverendo il settore pubblico sta ingannando i lavoratori mettendo una categoria contro un'altra per colpirle poi separatamente. Invitiamo perciò i lavoratori delle cooperative e dei servizi sociali a lottare contro un processo generale di impoverimento che in questo momento segue la logica fallimentare delle privatizzazioni. La lotta dei dipendenti del pubblico contro le privatizzazioni ha bisogno dell'aiuto di tutti. Chi lavora nel sociale ha grosse responsabilità verso la popolazione ma anche la capacità di lottare per il bene di una comunità, lottando insieme ai lavoratori delle altre categorie, coinvolgendo i cittadini in una lotta di rivendicazione più generale su diritti, salari, servizi generalizzati. Non lasciamoci scappare questa occasione Uniti vinciamo, divisi cadiamo!
red.
Il «tenente Alvaro» era il nome di battaglia di Giulio Paggio, il comandante della Volante Rossa, un raggruppamento di ex partigiani comunisti milanesi attivo nel dopoguerra. Con le sue azioni antifasciste e antipadronali ha incarnato i sentimenti di una «Resistenza tradita» perché incompiuta e non sfociata in una rivoluzione politica socialista. Massimo Recchioni Derive e Approdi
Preda fin troppo facile del più becero revisionismo o, nel migliore dei casi, abbandonata al silenzio, la Volante Rossa rappresenta un tassello importante nelle vicende dell’immediato dopoguerra. Un esempio lampante di quanto ogni tentativo di giudizio e analisi storica sia inscindibile dal contesto. Bisogna tornare al 25 aprile 1945, ripartire proprio da quella giornata di “festa” e di Liberazione. Liberazione che non è stata, purtroppo, preludio di libertà , tantomeno di quella rivoluzione politica socialista così fortemente voluta e sognata imbracciando i fucili durante la lotta partigiana. Per quanto nessuno, ragionevolmente, credesse a un passaggio immediato da guerra a pace , il “dopo” è addirittura sconfortante. Molti criminali fascisti non solo ricominciarono a girare liberi e impuniti per le strade, ma vennero addirittura ricollocati (forti della protezione degli anglo americani) in certi posti di comando, spodestando col tempo molti ex partigiani, specialmente nei ruoli istituzionali di sorveglianza e polizia. Fascisti rilasciati dopo interrogatori imparagonabili alle torture inflitte ai partigiani catturati da loro fino a poco tempo prima. Questo lo scenario che rafforzò la convinzione di alcuni partigiani a non deporre le armi. Il fascismo non solo non si era estinto, ma stava riacquistando una pericolosa, spavalda, legittimità, che portò poi alla nascita del Movimento Sociale. La Volante Rossa. Dapprima un “circolo ricreativo-culturale fedele ai valori della Resistenza”, successivamente un organo di vigilanza e di giustizia popolare. Giulio Paggio, nome di battaglia “Tenente Alvaro”, Paolo Finardi, Luigi Comini, Osvaldo Poli, Otello Alterchi…quasi tutti ventenni, molti avevano partecipato all’ultima fase della Resistenza come “staffette”. Forse penalizzati proprio dalla loro giovane età e per questo comodamente bollati come “violenti, teste calde, provocatori”, furono invece i portavoce di una buona fetta di antifascismo, coraggiosamente consapevoli delle conseguenze della loro scelta e mai abbandonati, seppur quasi segretamente, dal PCI. Fino all’inizio del 1949 i partigiani (mi sembra più corretto non chiamarli “ex partigiani”) milanesi della Volante Rossa operarono, commettendo anche alcuni omicidi che mai rinnegarono. Il prezzo è stato dover abbandonare l’Italia, a differenza dei fascisti, e trovarsi a vivere in Cecoslovacchia. Assumere un’altra identità, imparare una nuova lingua, vivere e lavorare in comune e comunicare con le famiglie attraverso lettere smistate dal Partito. Come ho già detto il sostegno del PCI fu indubbio per la ricostruzione della vita degli ex militanti, ma è altrettanto innegabile l’atteggiamento spesso ambiguo, la mancata presa di posizione difensiva, anche a distanza di anni. Il libro di Massimo Recchioni è un’ interessante cronaca, che lascia voce soprattutto alle testimonianze dei numerosi protagonisti, seguendoli nella loro realtà di rifugiati politici. Molte pagine sono dedicate alle innovative esperienze di Radio Praga e Oggi in Italia, emittenti di controinformazione che da Praga trasmettevano in Italia, gestite e dirette dagli stessi rifugiati. Non è una faziosa apologia, ma una doverosa ricostruzione storica di un momento significativo e troppo a lungo, volutamente, rimosso. Luigi Paggio, Alvaro, morì in Cecoslovacchia, nonostante la grazia concessagli da Sandro Pertini.
ef
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Riprendiamoci tutto, uniamo le lotte! La crisi del capitalismo diventa la crisi dei lavoratori, dei cittadini e delle classi subalterne Vivamo in una crisi che si trascina ormai da anni e dalla quale non ci sono prospettive e vie di uscita a breve. Abbiamo davanti un intero periodo storico nel quale i cosiddetti sacrifici sembrano non avere fine. L’unica maniera che le classi dominanti conoscono per uscire dalla loro crisi è la compressione totale di salari, diritti, livelli di vita di fasce sempre più ampie di popolazione. Soppressione dei diritti, leggi sulla precarietà, devastazione dei territori, privatizzazioni, repressione dei movimenti sociali e oscuramento delle ragioni di chi lotta; questo sono le uniche parole d'ordine possibili per i padroni che controllano i partiti e i mezzi di informazione. Le risposte sono nelle lotte Di fronte a questo si stanno sviluppando lotte che cercano di opporsi a licenziamenti, ai tagli, alla dismissione del bene pubblico, alle conquiste dei territori per devastarli con opere inutili e dannose. Queste lotte spesso assumono un carattere radicale e, a seconda delle situazioni, riescono anche a ottenere alcune vittorie. Queste mobilitazioni esprimono una disponibilità alla lotta. È altrettanto evidente però che le lotte spesso rimangono all’interno dei “confini” del luogo di lavoro o del quartiere in cui si sviluppano. Questo è il primo limite col quale dobbiamo confrontarci per individuare le maniere migliori per poterle vincere. Noi crediamo che le lotte sulle singole situazioni possano unirsi e inquadrarsi (mantenendo tutta la loro valenza “specifica”) in un movimento generale. Pensiamo che esista un nemico comune. Coloro che propongono la TAV sono coloro che aboliscono i diritti dei lavoratori (articolo 18, ma non solo) e rappresentano gli stessi interessi di classe. Coloro che dicono di non avere i soldi per mantenere gli ospedali e tagliano i fondi alla scuola pubblica sono quelli che poi compattamente difendono gli acquisti degli F35 e la necessità di continuare le missioni militari all'estero. Chi, compattamente, si rifiuta di ripubblicizzare i servizi e i beni comuni appartiene alla stessa parte politica che trova i soldi per finanziare le scuole private. Chi applica con solerzia tutte le leggi sulla precarietà che i governi gli hanno gentilmente fornito è colui che trasferisce all'estero le proprie aziende dove le condizioni sono, per lui, ancora più allettanti. Da una lotta singola ad una lotta generale Allora il primo punto è come generalizzare le lotte, ossia come inserire
elementi comuni tra la singola lotta e le condizioni di vita generali. Esiste la necessità di allargare il conflitto sia dentro il luogo di lavoro sia fuori, nei territori e nei quartieri, dandogli un respiro internazionale. Vediamo in questo periodo una molteplicità di vertenze [trasporto pubblico, servizi sociali, sanità, previdenza] che però non trovano un terreno comune di mobilitazione. È di vitale importanza secondo noi riuscire a trovare le forme e i modi per fare questo passaggio. Questa necessità non è di carattere “ideologico” ma risponde a una situazione materiale precisa. È innegabile, soprattutto in questo periodo storico, che le diverse vertenze sono esplicitazioni particolari di cause che in fondo, e nemmeno troppo in fondo, sono comuni. Concentrando lo sguardo sul nostro territorio vediamo come la lotta contro il terzo valico e la lotta per gli ospedali rimandano entrambe direttamente alla questione del come si spendono i soldi pubblici e di chi ha in mano il potere per spenderli. Ci ripetono come un mantra che difficoltà di AMT e delle altre aziende pubbliche derivano da una mancanza di risorse pubbliche che però sono già stanziate per il Terzo Valico. Il denaro pubblico che non c'è per le manutenzioni delle strade o delle scuole però non manca quando si finanzia il trasferimento di Ericsson sulla collina di Erzelli trascurando il fatto che la multinazionale svedese lascia a casa centinaia di lavoratori. Una prospettiva politica per una lotta comune Unire le lotte contro il capitale A noi appare con estrema evidenza come le lotte settoriali e territoriali abbiamo sempre un riferimento comune. Quella che chiamiamo lotta contro le grandi opere, per i beni comuni, per la democrazia e i diritti sui luoghi di lavoro o di studio è sempre una lotta contro precisi interessi materiali delle classi dominanti contro gli sfruttati. Se le classi dominanti sono state brave a dividere i lavoratori dai cittadini noi dobbiamo essere alla loro altezza per ricomporre la classe degli sfruttati contro gli sfruttatori. Non esistono interessi contrapposti tra lavoratori garantiti e precari, tra studenti e operai, tra salariati e pensionati. Chi alimenta queste divisioni fa il gioco dei padroni. Questi ultimi sanno benissimo che le divisioni nelle lotte lavorano per il loro interesse generale. Anche dove sono obbligati a fare passi indietro in virtù delle mobilitazioni essi sanno che ci saranno nuove speculazioni, nuovi diritti da cancellare, nuovi servizi da privatizzare. Per questo crediamo che le singole lotte e le singole vertenze debbano innanzitutto unirsi. Quando parliamo di generalizzazione delle lotte,
Assemblea del 29 giugno non intendiamo semplicemente che i singoli comitati, associazioni, centri sociali, residui di partiti, organizzazioni dei lavoratori si diano una mano. Riteniamo che questo sia solo il primo passo verso il passo ulteriore e necessario: la costruzione di una rappresentanza politica generale delle classi sfruttate e subalterne. Per questo cerchiamo di individuare il nemico generale e lavoriamo nelle lotte per passare dalla rivendicazione singola ad una richiesta più generale di democrazia, sviluppo sostenibile, diritti, uguaglianza. Dalla rappresentanza istituzionale alla rappresentanza politica La crisi della rappresentanza negli ultimi anni non ha eliminato le lotte. Non le ha neppure divise. Sappiamo però di dire una cosa che possono pensare in molti: queste lotte stentano a trovare una dimensione di lotta politica generale. Quando la lotta allude ad un diverso modo di vivere, consumare, produrre allora è necessario dotarsi degli strumenti che permettano al progetto di una nuova società di esplicarsi in tutta la sua forza. E' evidente come sia necessaria la ricerca di un soggetto in cui le mobilitazioni si inquadrino in teoria e pratica di cambiamento. Sono state provati negli ultimi anni i movimenti dei movimenti, le associazioni dei comitati; per noi il soggetto generale rimane l'idea del partito dei lavoratori, degli sfruttati: il partito di classe. Non stiamo ovviamente ripetendo la litania di chi crede che sia necessario avere rappresentanti istituzionali che si rapportino con i movimenti. Non è nostra intenzione piazzare una bandierina nelle lotte, magari giusto a ridosso di qualche elezione. Riteniamo invece che le lotte e le mobilitazioni debbano autorappresentarsi. Per fare questo devono unirsi, non per eleggere un consigliere o un deputato (che magari non hanno mai visto, non sanno chi è, cosa pensa, etc...) che medi con le istituzioni, ma per confrontarsi direttamente con l'istituzione per ribaltarla. Le istituzioni politiche, sindacali e imprenditoriali esistono e rappresentano precisi interessi, a volte di mediazione, molto spesso di dominio. Non è possibile pensare di cambiarle radicalmente né attraverso l'indifferenza né attraverso un rapporto di sudditanza o
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Vogliamo libri, acquistiamo merci di richiesta al rappresentante che a turno sembra il più sensibile. Lavoriamo quindi per una unità nelle lotte che si configuri non come movimento di scopo che si confronti con le istituzioni, ma come struttura permanente che entri direttamente come rappresentante in prima persona dei desideri e delle aspirazioni generali della classe. Un comitato cittadino di lotta e di elaborazione Esistono lotte diffuse, comitati, cittadini e lavoratori che portano avanti mobilitazioni a volte molto radicali. Esistono anche lavori di inchiesta sulla crisi e sui soggetti colpiti che devono essere messe in rete. Noi crediamo che si possa anche lavorare ad un progetto politico comune che arrivi a tutti i soggetti colpiti dalla crisi, che si ponga l'obiettivo di coinvolgere anche quegli strati di popolazione che, pur vivendo sulla loro pelle la crisi, stenta ad organizzarsi. Per questo lanciamo una idea di rete che sia uno spazio per lo scambio di esperienze e per l'elaborazione di un progetto di lotta comune. Non crediamo che dall'alto arriveranno proposte salvifiche per la rinascita della sinistra di classe. Vogliamo costruire questo percorso dal basso partendo dalla messa in rete delle lotte e delle elaborazioni di chi produce conflitto. Vogliamo farlo nei luoghi di lavoro e nei quartieri. Uniti vinciamo, divisi cadiamo.
red.
Da un po' di tempo lungo la centrale Via San Luca del centro storico di Genova la libreria Assolibro ha chiuso lasciando gli spazi ad un negozio di articoli per la casa a buon mercato gestito da commercianti di origine asiatica. La catena Assolibro gestisce diversi punti vendita in Liguria. Nasce in origine da un consorzo di bancarellai e normalmente apre librerie piccole con molti remainders e altri titoli di largo consumo. La libreria di Via San Luca per un po' è stata una eccezione. Libri in grande numero, personale molto qualificato e spazi gestibili per incontri, presentazioni e assemblee. Negli ultimi tempi il livello della libreria si era molto uniformato verso il basso. Lo spazio per gli incontri era sparito, predominavano i libri di grande consumo (quelli che si vendono ai supermercati, nelle edicole, sui lungomare, alle poste). I Iibri costano sempre di più. Si va da prezzi intorno ai dieci euro e si cresce. Il libro è una merce, può essere trattato come tutte le altre cose che si comprano garantendo profitti ad una industria che ragiona in termini di mercato. Una industria che produce anche idee (di cui non possiamo fare a meno) ma che lavora con gli stessi metodi delle multinazionali che sfruttano i lavoratori. Assolibro ha chiuso per ragioni economiche e per precisi interessi di chi gestisce le catene delle librerie. Non è un destino, non dipende dall'arroganza di un gruppo di sfruttatori venuti dall'Asia. Chi ha riempito le pagine dei giornali e dei blog genovesi di piagnistei sulla Genova che muore non ha fatto i conti con questi argomenti e spesso ha usato tutta una serie di luoghi comuni anche un po' (inconsapevolmente ?) razzisti contro l'invasione dei negozi di cinesi. Il tutto condito da una insopportabile retorica contro lo sfruttamento, contro i bambini cinesi (?) costretti a lavorare per pochi soldi e produrre cianfrusaglie che consumiamo a prezzo ridottissimo. Oggi le principali catene che riempiono i luoghi commerciali delle nostre città (abbigliamento, elettronica, casalinghi, bricolage) sono gestite da multinazionali che hanno prodotto in Cina fino a ieri: oggi stanno spostando la produzione verso altri luoghi perché le lotte sociali durissime dei lavoratori cinesi (di cui in Italia, non a caso, non si sa nulla) hanno ottenuto migliori condizioni e aumenti salariali dal governo. Comprare in questi negozi, vedere la città invasa da questi marchi alla moda in genere non scalda l'indignazione di nessuno. Comprare da HM o da qualsiasi altra catena di Via XX Settembre viene considerato normale e non fa venire in mente nessun tipo di sfruttamento. Comprare un oggetto da un negozio asiatico (magari perché non si riesce a comprare altro) invece sarebbe riprovevole perché si aiuterebbe lo sfruttamento. Eppure, quando chiude una libreria di qualità, un centro di cultura e di incontro si crea un senso di disagio e di perdita che è reale. A questo occorre reagire ma occorrono idee. Non è scritto da nessuna parte che le librerie debbano essere per forza private. Chi ha interesse a mantenere questo tipo di presidio potrebbe fare una battaglia affinché il Comune di Genova o i municipi mettano a disposizione i loro locali per aprire una libreria pubblica. Si potrebbe pensare ad una gestione facilitata che permetta sconti, che permetta agevolazioni per chi ha problemi di reddito. Ad uno spazio culturale aperto e pubblico. Oppure ad un luogo che si ponga nell'ottica di favorire le case editrici piccole e di qualità che soccombono allo strapotere delle grandi case editrici. Oppure ad un sistema misto di libreria e biblioteca per sviluppare la conoscenza e la cultura anche verso chi ha problemi di reddito. Tutto questo è impossibile? Noi crediamo di no e pensiamo sia un pensiero condiviso. A meno che non si preferisca piangersi addosso scaricando le responsabilità di chi ci governa.
rp
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Biblioteca popolare e doposcuola del circolo Per il quinto anno il doposcuola popolare. Lo abbiamo cominciato 5 anni fa nella nostra precedente sede in Via San Luca 12/40 al 5° piano. Da due anni il doposcuola si è allargato e molte lezioni si tengono anche nella nostra nuova sede di Vico Dietro il Coro di San Cosimo 27. Si tratta di una iniziativa gestita da un gruppo di compagni e compagne che sono attualmente insegnant* di varie materie nella scuola pubblica o sono in pensione. In questi anni abbiamo aiutato con continuità parecchi ragazzi e ragazze in difficoltà a fare i compiti, studiare le lezioni, recuperare i debiti scolastici. Quest'anno ripartiamo dal mese di ottobre. Le materie insegnate vanno da quelle scientifiche (chimica, fisica, matematica) a quelle umanistiche (latino, italiano, lingue straniere). Possono partecipare ragazz* dalle elementari alle superiori. Gli insegnant* lavorano in maniera volontaria e il doposcuola è gratuito. Non è necessaria nessuna iscrizione o tessera. Nonostante questo siamo un collettivo e un partito comunista, non siamo una organizzazione di volontariato e non abbiamo nessuna intenzione di sostituire lo Stato che deve garantire totalmente l'istruzione pubblica. La nostra iniziativa rientra nei concetti del mutuo soccorso e dell'autorganizzazione popolare. In questi anni la scuola pubblica ha subito riforme devastanti e tagli economici fortissimi. Tagli voluti ed incoraggiati da tutti i partiti che hanno governato dal PD al PDL. Spesso nelle aule e nelle scuole mancano gli insegnanti, il sostegno è quasi inesistente, si paga quasi tutto (dai libri alla carta igienica). In questa situazione che rischia di durare per anni è facile capire come per le nuove generazioni la mancanza di diritti e tutele possa diventare un dato di fatto. Fornire un servizio gratuito di ripetizioni e sostegno serve anche a mantenere viva l'idea che l'istruzione non è una merce e che dobbiamo lottare ed organizzarci con la lotta affinché questo diritto venga garantito a tutti dallo Stato. Una scuola incapace di rimuovere le disuguaglianza di classe è un'arma in mano ai padroni e a chi può permettersi scuole costose e ripetizioni private. Noi pensiamo che chi studia ed impara avrà molti più strumenti per far valere i propri diritti, ribellarsi e fare la rivoluzione. Per informazioni, orari e luoghi chiamare Roberto 3927390542
red.
“Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.” Antonio Gramsci, da “L’ordine nuovo” Chi siamo? La Biblioteca Popolare Antifascista è un archivio privato di libri, film, volantini, riviste. I materiali sono dei circoli del PRC genovese (in particolar modo il circolo centro storico e il circolo del Levante) e di alcuni compagni e compagne che mettono a disposizione gratuitamente il loro materiale a chi ne vuol far richiesta. Ci sono più di 1500 libri tra saggi, romanzi, fumetti e altro. Dove sono i materiali? La sede fisica della biblioteca è in Vico Dietro il Coro di San Cosimo 27 in centro storico a Genova (traversa di Via San Bernardo). Molti materiali sono lì presenti, altri possono essere richiesti per mail ( stellarossagenova@hotmail.com) oppure per telefono 3927390542. In poco tempo saranno portati a chi ne farà richiesta al circolo in Vico Dietro il Coro di San Cosimo. Perchè una biblioteca? Perchè abbiamo moltissimi libri patrimonio dei circoli di Rifondazione (provenienti in parte dai circoli del PCI o di DP) che vorremmo rimettere in circolo per gli interessati. Spesso libri fuori commercio o in edizioni particolari. Perché molti di noi comprano libri per leggerli e vogliono condividerli con tutti coloro che magari per motivi economici o altro non possono permetterseli. Per noi la cultura non è un lusso. Per noi la cultura va diffusa gratuitamente a tutti e in tutti i modi possibili. Che cosa è l'archivio? E' un insieme di volantini, riviste, flyer, opuscoli raccolti nel corso degli anni in manifestazioni, feste, banchetti. Una parte del materiale è disponibile per la versione on line, altro materiale è catalogato ma solo in forma cartacea. Ovviamente vorremmo avere tempo e spazio per mettere tutto on line. Se qualcuno vuole aiutarci... I cataloghi Sono gravemente incompleti. Li trovate nei link sulla home page del sito della biblioteca ospita sul sito www.rifondazionegenova.org. I cataloghi sono di due anni fa. In questi ultimi due anni il materiale si è ampliato. Abbiamo bisogno di tempo per aggiornare i cataloghi. Pensiamo di farlo, abbiate pazienza. Chi cura biblioteca e sito internet? La biblioteca è gestita dai compagni e dalle compagne del Circolo Comunista Centro Storico PRC Prevosti Se qualcuno fosse intenzionato a saperne di più, aiutare nella catalogazione, offrire materiale (soprattutto saggi, riviste e altro materiale relativo al movimento comunista e operaio) e altro ci contatti.
red.
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La lotta di classe nelle piazze dei caruggi. Partendo dall’esperienza dei cinema all’aperto ormai tutti o quasi chiusi, il circolo, pochi mesi fa, ha deciso di organizzare sulla scalinata di Piazza degli Embriaci una mini-serie di proiezioni gratuite. Una proposta aperta al quartiere e che segue, a distanza di poco tempo, l’iniziativa ai giardini di santa Maria di Castello con cui si è voluto ricordare la rivolta genovese del 30 giugno 1960 e, contemporaneamente in quella sede, lanciare un appello per la costruzione di una rete che unisca le lotte e i conflitti sociali e territoriali presenti a Genova. L’intenzione è di riportare “l’alternativa comunista” tra la gente del centro storico, che si traduce in una pratica militante sul territorio fatta di assemblee, incontri e feste e che, in questi anni di sbornia istituzionale, era andata persa. Una pratica militante che riporti l’attenzione, anche sul piano sociale, del “vivere comune” sentito e vissuto come un’esperienza quotidiana, in una serie di relazioni e scambi tra le persone non filtrato dalla propaganda dei media di regime e dalle istituzioni borghesi, ma che sia attivo, partecipato e popolare. Provare a riscoprire la voglia di parlare e di fare politica attiva a cominciare dal territorio in cui si vive, che si scrolli di dosso l’indifferenza del “tanto sono tutti uguali” o che non si limiti al solo appuntamento elettorale e alla conseguente delega. Una necessità di riprendere in mano la propria condizione, lo vediamo e viviamo tutti i giorni, che si fa sempre più urgente ed improrogabile. La “piazza” come luogo storico dell’incontro, come occasione, anche attraverso la visione di un film, di scambio di idee, di alternative possibili all’omologazione, di raccontarsi, attraverso lo specchio del grande schermo, le proprie esperienze di lavoro e di vita. In questo senso si sono voluti cogliere diversi aspetti che vanno appunto dal ritrovare delle pratiche di socialità cadute in disuso, quali l’uso pubblico dello spazio sociale, al recupero di una parte di autonomia culturale autorganizzata fuori dalle logiche del profitto o dell’”evento” e, infine, di proporre attraverso “testi cinematografici” delle letture che ci consentono di interpretare meglio e più da vicino (e in relazione), la nostra vita. Un vivere insieme che sia costitutivo di un movimento alternativo alle politiche dei tagli alla cultura, alle privatizzazioni e alla chiusura degli spazi, alla precarietà sul lavoro e sociale, e alla sempre maggiore perdita di diritti. Un vivere insieme che sposti dal vissuto individuale a un agire collettivo, la drammatica condizione della perdita o della mancanza di lavoro, l’ assenza di
politiche abitative sociali, il Le battaglie di religione. peggioramento dei servizi essenziali quali sanità, scuola, trasporto. Una ri-costruzione ed elaborazione teorico-pratica di una visione d’insieme materiale e di prospettiva delle politiche economiche e sociali che tutti giorni siamo costretti a subire, che abbiano il coraggio di spezzare l’egemonia culturale che i governi di centro sinistra e di centro destra hanno scientificamente attuato. Un egemonia culturale che, figlia dell’ideologia del profitto, mette in vendita e disciplina tutto, anche il tempo libero e la cultura e che cerca di impedire, di fatto, qualsiasi alternativa. Il circolo è impegnato da quasi un anno a ricostruire una rete cittadina di lotte organizzate tra loro, in modo da fornire un’ampia e più efficace risposta all’avanzata reazionaria di distruzione dei diritti e che ha la sua principale regia nelle politiche neo-liberiste del Partito Democratico. Luoghi di cultura popolare autorganizzati e autogestiti, senza finanziamenti istituzionali, che garantiscano una formazione di coscienza di classe capace di adottare una critica radicale allo stato di cose di presente. Riprendersi gli spazi dandogli oggettività di luogo e soggettività abitativa, significa sottrarli al degrado della assenza di una storia di popolo e di una sua cultura, significa porre in essere una resistenza agli interessi degli speculatori del cemento che a Genova ha distrutto il quartiere di Madre di Dio, ha distrutto il parco dell’Acquasola, ha trasformato il
Santi, profeti e politicanti.
Porto Antico in una Disneyland dei cetacei. Uscire dal degrado significa difendere gli spazi occupati, sottrarli al profitto e alla cultura omologante. Uscire dal degrado significa riprendersi il patrimonio abitativo in mano alle banche, alla chiesa e soprattutto quello pubblico gestito dai baroni della politica. Uscire dal degrado significa riiniziare a fare politica antagonista. Riprendiamoci la piazza, riprendiamoci il diritto a scegliere fuori dalle logiche del profitto che fanno anche della cultura una merce. Riprendiamoci tutto, scendiamo in piazza!
fn
Il cinema in piazza
Stella Rossa Genova pag. 8
estate/autunno 2013
Le privatizzazioni non sono una necessità economica bensì un programma politico! In sede di bilancio 2013, la giunta di centrosinistra genovese guidata da Marco Doria ha deciso di inserire un pacchetto di spacchettamenti e privatizzazioni di tutte le municipalizzate genovesi (AMIU, AMT, ASTER). Dopo le passate dismissioni dei settori acqua e gas si tratta dell'attacco finale al servizio pubblico genovese. In tutto in barba ai referendum e soprattutto al volere espresso dei lavoratori e dai cittadini della sinistra genovese. I lavoratori delle aziende pubbliche hanno assediato il consiglio comunale mentre il Sindaco si è barricato all'interno insieme alla sua giunta. In consiglio pareva delinearsi una situazione intermedia in cui una parte della maggioranza “arancione”, ed in particolare PRC, SEL e Lista Doria, votava una dichiarazione di intenti in cui esprimeva la volontà di approvare il bilancio ma dichiarava la sua contrarietà alle privatizzazioni. Poi, la cosiddetta sinistra del centrosinistra sembrava sfaldarsi e i consiglieri di SEL e Lista Doria sembravano intenzionati (a malincuore...) a sostenere il sindaco nelle privatizzazioni. Dopo una lunga discussione la delibera è stata scorporata dal bilancio ma il 10 settembre, alla ripresa dei lavori, verrà nuovamente riproposta. Vero artefice del provvedimento è il PD che ha convinto Doria della necessità di dismettere parte cospicua delle aziende pubbliche. Oltre all'aumento delle tasse e dell'IMU sulla prima casa, il PD porta quindi a casa un bel po' di privatizzazioni. Un eventuale cambio di maggioranza dovuto al no della parte sinistra della giunta (Sel ed eventualmente consiglieri della Lista Doria) è in questo caso utilizzato dal PD come ricatto per i possibili consiglieri ribelli. L'area di centro è infatti disponibile a seguire il PD ipotizzando uno scenario genovese non diverso da quello nazionale. Poche settimane fa un referendum interno ai lavoratori del servizio pubblico di trasporto (AMT) ha ratificato a strettissima maggioranza (il no ha sfiorato il 50% nonostante l'accordo unanime di sindacati e politica) un accordo che in base a sacrifici spartiti tra il personale e gli utenti salva per pochi mesi l'azienda AMT. Nonostante l'assenza di prospettive immediate una altissima percentuale di lavoratori ha rifiutato l'accordo definito a scadenza come gli yogurt. Questi lavoratori sono favorevoli al servizio pubblico e vedono di buon occhio un movimento che unisca le rivendicazioni dei lavoratori e degli utenti (ad esempio attraverso l'introduzione di nuove forme di finanziamento del servizio che sarebbe
quindi possibile ipotizzare gratuito per gli utenti). Questi lavoratori sembrano aver capito che lo spazio per una mediazione di interessi è finito. Le manovre di salvataggio della politica e del sindacato complice sono tutto al più un prendere tempo in attesa di cambi di proprietà e dismissioni. Nel decreto che Doria manderà a bilancio si conferma infatti l'incarico ad un advisor per la quotazione economica dell'azienda. I tagli e le privatizzazioni vengono giustificati con i tagli di bilancio dettati dal patto di stabilità per gli enti locali. Si tratta di una serie di misure votate in Parlamento che prevedono limiti strettissimi per le aziende pubbliche. Le privatizzazioni diventano quindi un automatismo e (a livello propagandistico) vengono indicate come l'unica possibilità per salvare i posti di lavoro. Questo ricatto è stato ratificato a livello di governo italiano da maggioranza non dissimili da quella genovese. Il PD è l'anello di congiunzione tra il governo locale (anche delle giunte cosiddette arancioni) e quello nazionale. In questo senso la sua posizione è coerente. Assistiamo alla ricaduta sul sistema pubblico delle politiche delineate dal fiscal compact e del pareggio di bilancio in Costituzione. Il divario di competitività a livello di Unione Europea tra i paesi trainanti e i PIIGS deve essere colmato a forza di dismissioni, privatizzazioni, facilità di licenziamenti, diminuzione di tutele e costo del lavoro. Le forze che portano avanti queste politiche in Europa (tra cui il Partito Socialista Europeo) sono le stesse forze che sostengono i governi Letta e Monti. Il PD riesce nell'impresa di governare anche negli enti locali; dove non si allea con la destra si allea con una parte di sinistra ex alternativa (SEL e Liste varie) dando vita a operazioni politiche che si rivelano fallimentari per la sinistra in quanto la politica ha il pilota automatico. Il PD è il garante di questo funzionamento. Quindi ogni tentativo propagandistico di considerare il PD come un partito di sconsiderati (che non è in grado di aderire ai desideri di chi lo vota o affetto da sindrome autodistruttiva) è pura propaganda. Il PD è un partito coerente che ha deciso di rappresentare interessi precisi. Gli interessi interclassisti rappresentati da questo partito sono assolutamente conseguenti alla politica europea dal trattato di Maastricht in poi. Le privatizzazioni, il contenimento del costo del lavoro, la precarizzazione del lavoro sono i metodi con cui la borghesia tenta di aumentare la competitività dell'Italia nel quadro europeo. Il centrosinistra è la forma in cui queste politiche prendono
Da vent’anni i governi che si sono succeduti hanno portato avanti le medesime politiche economiche e sociali, creando le premesse storiche e ideologiche ai governi Monti e Letta. forma in molti enti locali. In altri e soprattutto a livello nazionale il PD si fa garante di queste politiche in collaborazione con la destra. Il difetto di coerenza sta infatti nelle forze della ex sinistra che ancora ripropongono la barzelletta del centrosinistra antiliberista. Questo accade a livello nazionale ma si ripercuote anche sugli enti locali. Costruire quindi una sinistra di classe nuova non può prescindere da una rottura frontale e generalizzata con le politiche del PD. Tutto questo non per un vizio settario ma per la realtà dei fatti. Disobbedire all'Europa, rifiutarsi di applicare leggi e trattati fatti apposta per portare a termine una rivoluzione liberale e capitalista che schiaccerà lavoratori e cittadini sono i capisaldi per una politica di classe che si deve ricostruire nelle lotte e nelle strade. Perché quella dei palazzi, degli accordi, dei compromessi è superata dalla storia. Se questa sinistra nascerà dovrà caratterizzarsi per il recupero dell'autonomia e della sue presenza nelle lotte sociali. E' possibile che questa sinistra possa avere grossi problemi ad entrare nelle istituzioni ma questo sarà un problema secondario se la sua presenza sarà calata nelle lotte e nelle mobilitazioni sociali.
red.