are you choosy?
La mobilitazione degli insegnanti/ La Federazione della Sinistra è morta?/ Amt: le nostre proposte/ Di primario c’è solo la lotta di classe/ No Tav: la lotta continua/ Cretinismo elettorale/ Heinrich Böll: Le opinioni di un raccoglitore di attimi
Stella Rossa Genova pag. 2
Ottobre/Novembre 2012
Scuola.
Lottando s’impara. Quando cadde il Governo Berlusconi molti docenti salutarono con entusiasmo la fine del governo che, attraverso l'azione incrociata dei ministri Tremonti e Gelmini, tagliò 150 mila posti in tre anni, decimando i precari, eliminando le scuole d'eccellenza (ad esempio il liceo scientifico tecnologico), aumentando il numero di alunni per classe, decimando gli insegnanti di sostegno. Ovviamente si trattava di una speranza comprensibile che l'azione del Governo Monti e del Ministro Profumo ha trasformato in poco tempo in un incubo. Il Governo tecnico, da subito, mostra le sue credenziali. Instaurato al governo per applicare le norme stabilite dai trattati europei (fiscal compact, pareggio di bilancio in Costituzione), attraverso la spending review, applica con norme tassative i risparmi richiesti dalla Banca Centrale Europea. La manovra è dettagliatissima e per il comparto istruzione prevede tre tranche di tagli alla spesa (157 milioni di euro per il 2013, 172,7 milioni di euro nel 2014 e 172 milioni di euro per il 2015) che si accaniscono su un comparto decimato da decenni di tagli. La prima tranche viene concepita applicando direttamente il modello greco: agli insegnanti viene prospettato un aumento orario da 18 a 24 ore a parità di stipendio (orario maggiorato del 30%, oppure diminuzione dello stipendio della stessa percentuale). Questa manovra causa una incredibile reazione del corpo docente che scende in piazza il 12 ottobre e, in alleanza con gli studenti, trasforma il timidissimo sciopero del 14 novembre in una giornata di lotta durissima con percentuali di adesione altissime e manifestazioni molto partecipate. L'azione sembra fare a meno delle organizzazioni sindacali che vengono superate dalle assemblee autoconvocate tenute su tutto il territorio nazionale. A Genova si tengono quattro assemblee, tra cui una di coordinamento tra docenti e studenti. In collegamento con altre realtà nazionali si sviluppa un movimento radicale di protesta che costringe il Ministro ad un parziale dietrofront. I tagli di spesa rimangono sostanzialmente invariati ma viene accantonato con un emendamento l'aumento orario (la formulazione comunque non lascia tranquilli in quanto l'orario viene indicato con la dicitura di orario minimo a 18 ore, lasciando cioè alle singole scuole dell'autonomia ampie facoltà di intervento e ricatto). Rimane la prima tranche di tagli che in parte ricadrà (circa 48 milioni di euro) sul fondo di istituto che veniva distribuito ai docenti anche in base ad attività aggiuntive. Nel contempo viene approvato un emendamento che deroga il patto di stabilità degli enti locali regalando 223
milioni di euro alle scuole private (emendamento firmato Partito Democratico, un ulteriore segnale per chi crede che con le primarie si possano cambiare le cose).Occorre innanzitutto segnalare un dato positivo: la mobilitazione diffusa ha ottenuto un risultato positivo; ciò accade soprattutto quando assume forme radicali e non mediate dalle burocrazie sindacali. Ovviamente si tratta di un risultato parziale. Anche considerando il solo aspetto dei tagli (lasciando quindi in ombra altri attacchi frontali alla scuola quali ad esempio la legge ex-APREA) non si può non vedere che il carattere non emendabile della spending review annuncia una stagione di ulteriori tagli. L'aumento di orario non è definitivamente tramontato, appare piuttosto una manovra congelata. Il vero nemico dell'istruzione pubblica statale è la spending review, figlia diretta dell'applicazione dei patti di stabilità europei. Non ci sono scorciatoie possibili e anche il dibattito politico di questi giorni sembra svolgersi sulla luna. Sia tra il centrodestra che nel centrosinistra i trattati europei sono considerati un dogma da cui non si può derogare. I tagli sono diffusi a livello europeo e nessun governo sembra in grado di opporsi. Come in Grecia l'unica possibilità residua sembra essere la mobilitazione, che finalmente il 14 novembre è arrivata con forza anche nel nostro paese. Solo attraverso la ripresa del conflitto
potremo costringere la politica ad assumere come propria l'unica posizione possibile: la disdetta dei trattati di stabilità che distruggono istruzione, sanità, trasporti, stato sociale. Un'istruzione pubblica di qualità è legata ad un'altra idea di Europa. Non quella dei banchieri e degli speculatori ma quella dei popoli, dei lavoratori, dei precari e degli studenti.
rp e cb
Ottobre/NOvembre 2012
Stella Rossa Genova pag. 3
Diliberto, Patta e il comunismo parlamentare.
La Federazione è morta, viva la Sinistra! Tempo fa, il circolo Geymonat era impegnato a supportare la campagna di obbedienza civile sul rispetto dei quesiti referendari sull'acqua pubblica. La campagna era particolarmente polemica nei confronti del Comune di Genova reo di non aver nessuna intenzione di applicare il quesito referendario. In piena campagna leggiamo una lettera piccata che l'assessore competente del Comune di Genova mandava al Comitato Acqua Pubblica. In quella lettera l'assessore e compagno del PDCI ribadiva la scelta sua e del comune di Genova e tagliava definitivamente i ponti tra lui e il comitato. In quegli stessi giorni mi capitava di passare tra il coordinamento cittadino della Federazione della Sinistra e le riunioni del comitato acqua pubblica. Durante le riunioni del Comitato ripetevo il giudizio del mio partito, sui giornali leggevo le prese di posizione dell'assessore della Federazione della Sinistra. Con alcuni compagni del PDCI ci dicevamo che l'importante era il percorso, la ricostruzione unitaria di una coalizione della sinistra di classe. Immaginavo che ai cittadini importasse di più sapere il giudizio che la ricostruenda sinistra di classe aveva nei confronti dell'acqua pubblica. Immagino che lo capissero a fatica. Un pò di tempo dopo apro un giornale locale, una mattina lungo un fiume sul torrente Trasta in Valpolcevera. Mi trovavo lì con altri compagni, con il movimento contro il Terzo Valico. Cercavamo di bloccare gli espropri dei terreni per costruire il mostro chiamato TAV genovese. Sul giornale leggevo gli strali dell'assessore regionale del PDCI che dichiarava, con perfetta scelta di tempo, l'assoluta necessità del Terzo Valico. Dopo poco i vertici locali del mio partito (PRC) arrivavano al presidio e rassicuravano i presenti: non eravamo d'accordo con il compagno assessore, il PRC era e rimaneva contro il Terzo Valico. Qui non si tratta di schierarsi contro questo o quel compagno del PDCI o di Lavoro e Solidarietà. Si tratta semplicemente di capire e di far capire ai cittadini e ai lavoratori cosa si vuol fare. Si è per l'acqua pubblica, oppure no? Si vuole il Terzo Valico oppure no? Da che parte si sta nel dibattito in Cgil? Si sta con la minoranza di sinistra, oppure facciamo i furbetti perchè alcuni burocrati nazionali si inventano un partito, lo federano con noi e continuano a sostenere le politiche della Camusso? Vorremmo il massimo dell'unità, ma abbiamo imparato che l'unità si fa con chi lotta, con chi cerca tutti i giorni di lavorare per un diverso sistema di sviluppo. Non abbiamo nessuna remora
nel dare giudizi negativi sui dirigenti delle organizzazioni, anche sui nostri. Per noi le politiche che Diliberto, Patta e Salvi decidono di perseguire sono devastanti, una enorme presa per i fondelli. Così come vediamo con chiarezza che tutta la partita della Federazione della Sinistra ha reso difficilissimo far politica in questi ultimi anni, con responsabilità enormi del gruppo dirigente del PRC. Per cui oggi siamo contenti che un equivoco si sciolga, non vogliamo rompere con i compagni di base che invitiamo a continuare con le
loro lotte e con cui ci uniremo ogni volta che ci sarà possibilità. Siamo però convinti che il tempo delle attese è finito. Se la condizione per rimanere vivi è l'elezione di qualche dirigente in alleanza con i nemici di classe, allora siamo decisi anche a sparire. Sparirete voi e le vostre dirigenze, e se spariremo anche noi sarà un dettaglio insignificante. Non sparirà il comunismo, quello spettro continuerà ad aggirarsi e qualcuno più bravo di noi e di voi prima o poi comincerà a far risventolare quella bandiera.
rp
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Stella Rossa Genova pag. 4
Ottobre/Novembre 2012
AMT.
Bene comune gratuito per tutti. Durante l'estate, nell'ultima seduta di consiglio comunale, la Giunta Doria ha illustrato il piano per il “salvataggio” di AMT. Il programma prevede la cessione di parte della società a soci privati e il taglio consistente dei servizi e del costo del lavoro (linee, riduzione di frequenze, cassa integrazione, licenziamenti). Questa idea è in netto contrasto con l'interpretazione giuridica del referendum sui servizi pubblici che solo pochi mesi prima ha dimostrato come la maggioranza dei cittadini italiani sia contraria alle privatizzazioni, soprattutto dei servizi che si configurino come beni comuni. La giunta ha sostenuto che l'azienda AMT non ha un bilancio sostenibile economicamente a causa soprattutto dell'elevato costo del lavoro. Ricordiamo che l'azienda di trasporto ha già subito nel recente passato una parziale privatizzazione con la giunta Pericu. I soci privati che si sono avvicendati (Transdev e RATP), pur avendo la minoranza della proprietà hanno avuto la responsabilità della gestione. Inoltre, l'accordo Comune di Genova-socio privato prevedeva che l'investimento economico da parte dei francesi fosse totalmente corrisposto al momento della cessazione dell'accordo. Parte dell'attuale debito AMT è dovuto alla restituzione dei 15 milioni di euro che il Comune ha ricevuto dal socio privato e che poi ha dovuto restituire nonostante il fallimento dell'impresa e della prima privatizzazione. Debito dell'azienda e quadro politico generale Parte dei debiti dell'azienda derivano inoltre dal taglio centrale ai finanziamenti per gli enti locali voluto dai governi Berlusconi e Monti. Questo taglio draconiano è giustificato dal governo centrale come una richiesta che arriva direttamente dai partner europei. Gli stessi partiti che esprimono la leadership in Europa e votano compatti il fiscal compact, votano in Italia patti di stabilità e tagli agli enti locali. Strumentalmente, quegli stessi partiti, a livello locale si lamentano dei tagli ai servizi e privatizzano le aziende municipali. Le politiche fallimentari dell'Europa nella crisi strutturale arrivano così a cascata ai servizi fondamentali. Il pensiero unico comporta privatizzazioni, tagli, sacrifici unidirezionali verso i cittadini più deboli. In tutto questo vi è una regia centrale (i rappresentanti delle banche e del capitale) con attori che rappresentano le forze che gestiscono il potere politico sostanzialmente ovunque. Le giunte degli enti locali (qualunque sia il segno politico che esprimono) sono “costrette” a sostenere politiche recessive e antipopolari in quanto non attrezzate
politicamente e culturalmente per una politica di rottura. Oggi non esistono più scorciatoie: i tagli ai servizi ed al welfare locale vengono fatti passare per scelte obbligate in quanto non esiste un punto di vista alternativo al sistema. Una politica di sinistra sul trasporto pubblico E' comunque possibile intervenire sull'AMT evitando la privatizzazione e i tagli. Qualche mese fa la Giunta Doria ha stabilito le aliquote IMU sulle abitazioni, variando la percentuale sulle prime case portandola dal 4 al 5 per mille. La tassa sulla casa (ex ICI) porta introiti che sono quasi totalmente versati alle casse centrali dello Stato. L'IMU non è per nulla una tassa per salvare il welfare locale ma serve per rimpinguare le casse dello Stato impegnato a ridurre il debito con le banche. Si introduce e si aumenta l'IMU nonostante sia inutile per il finanziamento del servizio pubblico. Contemporaneamente si sostiene che sia impossibile aumentare il carico fiscale se questi soldi possono essere utilizzati direttamente come servizi ai cittadini. Qualunque idea di sviluppo ambientalmente sostenibile per una città come Genova prevedrebbe un incremento dell'incidenza del sistema pubblico dei trasporti a discapito del traffico privato. Anche se il servizio pubblico di trasporto non è usato dalla totalità dei cittadini, è usato da quella parte che non intende spostarsi con mezzi propri per vari motivi: di natura economica (costo della benzina, costo di assicurazione, non possesso di auto o moto), di natura tecnica (chi abita sulle colline e deve percorrere tratti a intenso traffico) di natura anagrafica (gli autobus sono pieni di anziani e studenti). Il servizio pubblico deve configurarsi quindi come un servizio per l'intera città e non solo di chi lo usa. In conseguenza di questo ragionamento appare assolutamente logico che i costi vengano ripartiti non solo sugli utenti ma sull'intera fiscalità in maniera proporzionale al reddito come previsto dalla Costituzione. Rispetto alle manovre messe in campo in questi anni (aumento del prezzo del biglietto, degli abbonamenti, fine di alcune facilitazioni tariffarie per utenti disagiati) sarebbe un totale cambio di prospettiva politica con l'introduzione di meccanismi di redistribuzione dei redditi verso il basso, lo sviluppo di una politica ambientale e a favore della vivibilità cittadina. Proposta: una tassa di scopo per salvare AMT Ad oggi non è semplice districarsi nel bilancio di AMT. Il buco di bilancio viene presentato con cifre molto variabili. Una parte circa 20 milioni di euro è a carico
del Comune di Genova e si somma ad una parte di debiti con l'ex socio privato di circa 15 milioni di euro. Secondo noi questo debito sarebbe rinegoziabile in quanto il contratto capestro firmato dalla Giunta Pericu con i privati francesi non deve necessariamente essere pagato dall'ente pubblico. Anche ammettendo che il debito vada totalmente saldato è possibile immaginare una tassa di scopo che divida l'intero ammontare dei debiti (35 milioni di euro) per il numero totale dei contribuenti genovesi (390 mila nel 2010). Facendo una semplice divisione la tassa sarebbe di circa 90 euro l'anno. Questa cifra sarebbe da considerarsi una media e ovviamente andrebbe ripartita secondo fasce progressive di reddito. La tassa di scopo in Italia è prevista dall'ordinamento che la inserisce all'interno dell'IMU. Formalmente è prevista per opere pubbliche concernenti il trasporto pubblico, in questo caso si tratterebbe di spostare parte del bilancio sulle infrastrutture (rimesse e nuove linee) sul bilancio di AMT. Ovviamente si tratterebbe di applicare la tassa solo per i multiproprietari. E’ possibile immaginare un trasporto pubblico gratuito? Spulciando nel bilancio di AMT nell'anno 2011/2012 si evidenzia in circa 62 milioni di euro l'introito annuale dell'azienda riguardante la parte tariffaria e relativa alle sanzioni. Rispetto all'anno precedente questa cifra di bilancio è cresciuta del 13% in virtù dell'aumento del prezzo del biglietto, degli abbonamenti e della cessazione di alcune agevolazioni tariffarie per fasce deboli. L'intero ammontare della cifra di bilancio divisa banalmente per il numero di contribuenti corrisponde a 156 euro l'anno. Anche in questo caso si tratta di una cifra media da rimodellare secondo le fasce progressive di reddito. Sommando questa cifra a quella necessaria per affrontare il buco di bilancio si arriva ad un totale medio di circa 250 euro all'anno (circa 21 euro al mese). Ricordiamo che il costo dell'abbonamento mensile di AMT è di 43 euro e che questa cifra ricade solo sull'utenza del servizio costituita in gran parte di anziani, studenti e persone a basso reddito. La cifra che abbiamo calcolato come valore medio mette insieme il valore della tassa di scopo (per ripianare il bilancio) e il contributo necessario per avere un servizio di trasporto gratuito. Tralasciando la tassa di scopo e concentrandosi sul solo sistema tariffario è possibile introdurre una tassa ad hoc calcolandola in base alle attuali fasce dell'IRPEF oppure introducendo nuovi parametri secondo principi di massima progressività.
Ottobre/Novembre 2012
Stella Rossa Genova pag. 5
Politica.
O lotta di classe o prima(barba)rie! Calcolando il solo contributo per azzerare le tariffe ed avere servizio gratuito si arriva ad un valore pari a 13 euro mensili medi. AMT bene comune Il trasporto pubblico locale è in questo momento in mano totalmente pubblica e il primo obiettivo è bloccare i tentativi di privatizzazione. L'intervento della fiscalità generale sul bilancio e sulle tariffe rappresenterebbe però un salto di qualità sulla natura stessa dell'azienda. Immaginare un servizio di trasporto pubblico gratuito o comunque a tariffe molto ridotte significa che l'intera popolazione cittadina si fa carico del bilancio di un servizio che porterebbe a comportamenti utili sia qualitativamente (diminuzione del traffico privato) che economicamente positive per tutti (meno soldi spesi in carburante). Sotto questo aspetto i cittadini e gli utenti entrerebbero di diritto come proprietari collettivi di una azienda che dovrebbe essere gestita anche da loro, oltre che dai rappresentanti delle istituzioni e dei lavoratori. AMT si trasformerebbe quindi di fatto da azienda pubblica a bene comune di tutta la città. Conclusione Il buco di bilancio di AMT è dovuto a politiche dissennate, alla precedente privatizzazione e non è legato al costo del lavoro. L'azienda deve rimanere pubblica e i finanziamenti pubblici devono essere rivendicati attraverso l'apertura di un contenzioso tra gli enti locali e il governo centrale. Nel contempo la soluzione da adottare potrebbe essere la tassa di scopo che può avere due funzioni: ripianare i debiti pregressi e abbassare i costi dell'utenza fino alla gratuità. Per questo è necessaria una diversa sinistra che rompa con i poteri forti, smetta di fornirgli alibi e sostegni e lavori per una alternativa di sistema. Per questo servono i comunisti, per questo servono politiche completamente alternative. Gli interessi delle banche, dei padroni sono diversi dagli interessi dei cittadini, dei lavoratori, di chi ha redditi bassi o inesistenti. Il centrosinistra, anche a Genova, continua a rappresentare gli interessi dei poteri forti, prima lo si capisce, prima si prova ad invertire la rotta.
Circolo Geymonat
Nelle primarie del centrosinistra vincerà Bersani (l'uomo delle liberalizzazioni, uno degli inventori del Governo Monti, uno che ha espresso parere favorevole alle riforme del lavoro e delle pensioni), oppure un pezzo di centrodestra, il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Una parte di sinistra ha scelto di fare la ruota di scorta: SEL e Vendola partecipando direttamente, altri (ad esempio il PDCI) andando a votare Vendola e sostenendo poi Bersani. Costoro hanno accettato una carta di intenti che prevedeva il rispetto dei parametri europei, il fiscal compact e il voto di maggioranza per gli eletti. Questi partiti hanno scelto il centrosinistra. Ovviamente dicendo di averne spostato l'asse politico a sinistra oppure di aver notato un "evidente profilo laburista e socialdemocratico" in Bersani. Ovviamente ognuno vede ciò che vuole, ma loro hanno scelto. Una parte di sinistra (PRC, forze della manifestazione del 27 ottobre, gli estensori dell'appello Cambiare si può), ha fatto invece un'altra scelta, coraggiosa e difficile: non partecipare alle primarie per costruire un quarto polo della sinistra contro Monti e i partiti che lo sostengono. Ovviamente, non basta dire no alle primarie per costruire una cosa di buon senso politico. Appare evidente che ogni prospettiva politica seria deve partire dai contenuti. Ne citiamo uno solo: il rifiuto dei trattati europei che stanno massacrando l'economia di tutto il continente. Quei trattati europei che sono diventati un dogma per cui ogni manovra a livello nazionale è un copia incolla di ciò che viene deciso da una ristretta élite che nessuno ha eletto ma occupa i piani alti delle banche, delle organizzazioni transnazionali. Quei trattati influenzano tutte le politiche arrivando agli enti locali
che puntualmente applicano privatizzazioni, eludono i risultati dei referendum, tagliano la scuola e il sociale. Al di fuori di questa prospettiva, ogni coalizione, al di là degli intenti proposti, sarà una stampella del Partito Democratico. Solo una parte di sinistra può essere d'accordo con questa prospettiva che effettivamente appare rivoluzionaria. Questa parte di sinistra difficilmente sta alla guida di contenitori politici o appartiene al vecchio ceto dei partiti della diaspora comunista. Una gran parte di popolazione in questi anni ha disertato le urne, appartiene ad un sindacato dal quale non si sente rappresentato, appartiene ad una nuova generazione politica che lotta perché avverte che non avrà futuro in questo sistema. Il ruolo di una sinistra di classe è quello di provare a dare rappresentanza politica a questo magma, lavorandoci dentro, partecipando e animando il conflitto sociale, diventando strumento per il suo sviluppo. Solo da lì, e non dalle istituzioni può scaturire il cambiamento e il miglioramento delle condizioni di esistenza dei lavoratori e delle classi meno abbienti. L'idea dell'unità declinata come accordo tra i dirigenti politici che in questi anni sono stati incapaci di opporsi alla deriva sociale e politica ci porta diritti alla Sinistra Arcobaleno: un gruppo di dirigenti divisi su tutto che cominciarono la loro avventura chiedendo in ginocchio a Veltroni una alleanza politica. Veltroni rifiutò sdegnosamente ma quei dirigenti non se ne fecero una ragione: finì con l'esclusione della sinistra dal Parlamento. Decisamente, abbiamo già dato. La Syriza italiana che molti sembrano intenzionati a proporre, a noi sembra una cosa diversa.
Red.
Stella Rossa Genova pag. 6
Ottobre/Novembre 2012
No tav.
Contro il terzo valico non un passo indietro! Sabato 10 novembre, il popolo no tav è nuovamente sceso per le strade della città per manifestare la propria contrarietà alla costruzione del Terzo valico e della Gronda. Più di duemila persone, partite dalla stazione di Bolzaneto, sono arrivate a Certosa nelle vicinanze del capolinea della metropolitana più corta del mondo. Un arrivo in un punto più che simbolico della nostra città, una infelice rappresentazione delle molte grandi opere necessarie e mai concluse. Una città che da decenni è soggiogata agli interessi dei poteri forti ed è soffocata da una politica scellerata che le hanno impedito uno sviluppo urbano equilibrato. Un’amministrazione pubblica che non investe in servizi fondamentali come appunto il prolungamento della metropolitana e che invece preme per la svendita ai privati di Amt o che ha fatto ponti d’oro a chiunque bramava costruire parcheggi in aree verdi. Oggi sono la Gronda e il Terzo Valico al centro del dibattito della politica istituzionale cittadina e delle lobby dei cementificatori che, in modo opportunistico e strumentale, caricano l’azione retorica mediante l’utilizzo di stampa e programmi televisivi creati e gestiti ad hoc e dove non è mai prevista la possibilità d’intervento per chi sostiene le ragioni del no. La retorica utilizzata satura il “discorso” quotidiano nel tentativo di naturalizzare ciò che invece è ideologico. Una retorica che, sotto la falsa copertura dell’interesse pubblico, si fonda su due parole chiave: sviluppo e lavoro. Un binomio inscindibile, sempre presente sulla bocca di qualsiasi politicante di qualsiasi schieramento e centro gravitazionale degli interessi delle lobby. E, soprattutto in una fase di crisi economica, esso è utilizzato come grimaldello per costringere il cittadino ad accettare passivamente qualsiasi decisione politica e indurre i lavoratori a cedere sempre più sul terreno dei diritti, della sicurezza sul lavoro e dei salari. In realtà, dietro la maschera dell’interesse pubblico, si cela il vero volto di questa politica ovvero l’ideologia della politica capitalistica che indica con le grandi opere l’unico possibile grado di sviluppo della società. Lavoro precario, disoccupazione organica, tagli alle pensioni, taglia alla sanità, tagli alla scuola pubblica e finanziamenti alle scuole private, tagli al trasporto pubblico, sovvenzioni statali al capitalismo parassitario, tangenti e appalti gestiti dalla mafia, cementificazioni e scempi ambientali sono gli esiti di questa politica con conseguenze disastrose, come ci insegna l’alluvione di Genova dello scorso anno. In poche parole: profitti per pochi, costi per tutti.
Il Governo, in accordo con le giunte locali, ha deciso di stanziare enormi risorse economiche per opere inutili e dannose come la Gronda e il Terzo Valico. Per quest'ultima opera, la spesa prevista è di 6,2 miliardi di euro di cui 1,2 miliardi già stanziati per le opere preliminari. Queste (espropri di case, terreni, scuole) sono state contrastate nei mesi scorsi da un ampio movimento di cittadini. Ma la macchina propagandistica del PD è un “caterpillar” che (con l’aiuto trasversale che va dalla destra berlusconiana fino alla sinistra ecologista vendoliana) ci vuole consegnare, come inevitabile e necessaria, la prospettiva di enormi cantieri cittadini e la movimentazione dello smarino su camion, il conseguente congestionamento della viabilità urbana e l’incremento esponenziale dei livelli d’inquinamento, insistendo sulla “necessità” di costruire opere che altro non sono che colate di cemento, giustificando tunnel e buchi in una montagna piena di amianto, come “necessarie aperture mentali verso l’Europa!” Opere che costeranno ai contribuenti più di 10 miliardi di euro (sempre se non ci saranno gli “inevitabili” aumenti dei costi in corso d’opera) e che saranno ultimate forse tra 20 anni. E, mentre in Regione e Comune gli esponenti del PD continuano a ripetere come un mantra tibetano che si insidia nelle coscienze collettive dell’assoluta utilità dell’opera, la giunta Doria (maggioranza PD) e la regione Liguria (maggioranza PD), ribadiscono che non ci sono i soldi per il trasporto pubblico locale e che Amt ha un buco di 22 milioni di euro. Un buco determinato dalla privatizzazione dell’allora sindaco Pericu (maggioranza PD) con un’operazione costata al Comune di Genova 70 milioni di euro! Allo stesso tempo il Sindaco Doria, in evidente stato schizofrenico, dichiara che, come cittadino, è contrario alla Gronda. Allo stesso tempo il Sindaco Doria si dice preoccupato per il rischio alluvioni. Allo stesso tempo l’Assessore regionale alla sanità Montaldo (PD) dichiara inevitabile, per la mancanza di
fondi, la vendita della struttura sanitaria di Genova-Quarto, dopo che ha già chiuso o tagliato tutto ciò che poteva chiudere o tagliare. In questi giorni ricorre proprio l’anniversario dell’alluvione che colpì Genova nel 2011 e che causò disastri e la morte di sei persone. Una commemorazione che pare non interessi minimamente chi vuole continuare a rendere un potenziale assassino un territorio già devastato dalle innumerevoli speculazioni edilizie compiute dal dopo-guerra in poi. Una facilità di scivolare plasticamente sugli eventi e sulle condizioni materiali delle persone che indigna ancora prima che lasciare stupiti per l’evidente malafede di chi ha responsabilità sulla gestione del territorio e dei servizi pubblici. Proprio in questi giorni di lutto e di responsabilità giuridiche (le responsabilità politiche per noi non devono attendere nessun tribunale) che stanno emergendo, il PD non trova di meglio che urlare che se non si decide subito per la realizzazione della Gronda, considererà finita l’esperienza del sindaco Doria e della sua Giunta e, con un incredibile scelta di tempo, lo dichiara proprio in giorni di allarme meteo di Allerta 2, un allarme che ha riportato alla memoria non solo quei tragici eventi, ma soprattutto, ha reso evidente che non si è fatto nulla per mettere in sicurezza il territorio. O ancora non conosce vergogna il terrorismo mediatico di chi ci dice che se non si non dovesse fare la Gronda, la mancata realizzazione costerebbe ai genovesi più di mille l’euro l’anno! Banchieri, operatori del porto, baroni universitari e presidenti a vario titolo, apprendisti stregoni e capitalisti parassitari che sanno investire solo coi soldi pubblici e chiedere soldi per curare malattie economiche causate da loro stessi, sono tutti i giorni intervistati dai media nei loro bei salotti di casa, ammantati di superba aurea da grandi economisti, a chiedere che si facciano le grandi opere! Noi siamo per il trasporto ferroviario e siamo per trasferire sulla ferrovia parte del trasporto su gomma potenziando ciò
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Stella Rossa Genova pag. 7
Roma 27 ottobre.
Cretinismo elettorale e conflitto sociale. che già esiste come la bretella di Voltri. La nostra idea di trasporto pubblico prevede un incremento dei treni per i pendolari, per chi lavora o studia. I treni per chi ha veramente bisogno sono tagliati o cancellati mentre i tagli di bilancio sono alla base dei continui aumenti delle tariffe. Ai pendolari si propone di viaggiare peggio, per tempi superiori a prezzi più alti. Questo significa altri tagli indiretti su stipendi che già non consentono di arrivare alla fine del mese. Con le grandi opere e con i suoi sprechi si dirottano risorse sottraendoli a chi lavora. Il totale della cifra che finanzierà queste due opere corrisponde ai tagli effettuati dal governo sulle pensioni, sullo stato sociale, corrisponde circa a una delle tante finanziarie che ci impongono con la scusa della crisi. Per invertire questa situazione occorre però un radicale cambio di sistema. Per questo i cittadini e i lavoratori devono organizzarsi. Proponiamo una piattaforma politica che sia in netto contrasto con questo modello sociale e riteniamo che solo la mobilitazione generale possa ottenere quei risultati che né il centro destra né il centrosinistra sono assolutamente in grado di perseguire. Un’ultima chicca e poi, giuro, la pianto. Dopo aver finito di scrivere queste righe torno a casa e “inavvertitamente” accendo la televisione e sento dichiarare, dal segretario provinciale Lunardon, che il PD è come l’impero romano! La notizia successiva invece mi rammenta che, dopo la mezzanotte, è nuovamente in arrivo il maltempo con Allerta 1. Bè speriamo di non essere, per dirla alla Woody Allen, come quei personaggi che, pur vedendo follia ovunque, alla fine non possono rinunciare alle uova!
fn Provo nelle poche righe concessemi dall’editore, nate sul pullman di ritorno da Roma a scrivere su di un argomento che a distanza di pochi mesi dalle elezioni comunali, ritorna prepotentemente alla ribalta nella discussione interna, e che anche oggi permeava la piazza così inaspettatamente gremita e gli interventi dal palco: le elezioni nazionali. Alleanze, posizionamento, programma. In un paese come l’Italia, dove ormai abitualmente si vota una volta ogni dieci mesi, a distanza di quattro cinque mesi ci si ritrova banalmente coinvolti in una diversa campagna elettorale, comunale, regionale o nazionale che sia. Intendiamoci subito, il periodo elettorale ha comunque la sua importanza, chi normalmente non si occupa di politica raddrizza comunque in quei giorni le proprie orecchie, è maggiormente predisposto all’ascolto e
alla partecipazione, si interessa, legge, ascolta i dibattiti sui media, ma li rischia di consumarsi, a mio avviso, il dramma di un partito, che si trattiene nel dire, che comunica male, ma soprattutto prova in ogni occasione ad omologarsi agli altri partiti di sinistra moderati, in alleanze spurie che rendono tutti ugualmente poco interessanti. Ed ecco che chi comunica meglio, magari facendo il comico per professione ed il qualunquista populista per vocazione, riempie lo spazio che a sinistra lasciamo vuoto di idee, idee che certo non mancano, ma che per opportunismo elettorale teniamo nascoste. Il primo effetto di questa deviata forma di democrazia discutibile, è di bloccare quasi tutte le iniziative politiche sul territorio, per concentrare le energie e le forze degli apparati burocratici del partito su domande che un partito comunista potrebbe tranquillamente evitarsi. L’attività quindi a supporto delle lotte, programmata e spinta dagli organi nazionali e federali, diventa spesso un lusso che ci possiamo permettere ogni quattro cinque mesi, per trenta sessanta giorni, salvo poi ritrovarsi a chiedersi come mai ormai da decenni nelle realtà di lavoro, operaie e studentesche siamo mal posizionati, poco seguiti, in qualche caso ignorati e sopravanzati da altre forme di aggregazione politica. Accade poi, che alcune delle forme di lotta messe in atto, siano finalizzate comunque alla propaganda elettorale, come questi ultima raccolta di firme per i referendum, utili certo per richiamare l’attenzione di chi si incontra sul territorio, a cui però andrebbe poi trasmesso una visione politica a lungo termine, che spesso è confusa o addirittura assente.. Diritto alla casa, al lavoro, alla salute, ambiente ed infrastrutture, che portano ad arrivare a parlare financo di esproprio e statalizzazione delle grandi industrie strategiche, come nel caso dell’Ilva di Taranto rimangono argomenti dibattuti nei circoli a livello locale ma mancano
quasi totalmente di un’elaborazione e comunicazione nazionale, spesso fornita dalle sole tendenze all’interno del partito. PD o non PD?? Con o senza Vendola?? Di Pietro sarà uno di noi?? Aderiamo a questo o quell’appello?? Sono le discussioni, che animano maggiormente gli organismi nazionali e locali che dovrebbero guidare Rifondazione, prima o poi, verso la battaglia rivoluzionaria. Discussioni che spesso vengono mal digerite da chi politica la fa davvero, nei posti di lavoro, nelle piazze, cercando di entrare nelle vertenze e nelle battaglie quotidiane, che la situazione economica del momento ci portano ad affrontare. Chi ha avuto l’opportunità di partecipare alla manifestazione di Roma del 27 ottobre, si deve per forza essere reso conto, come lo spezzone del nostro partito fosse, non solo il più numeroso e meglio organizzato, ma anche pervaso da cori canti e striscioni, contro possibili alleanze con Bersani Di Pietro e perfino contro Vendola. Come spesso accade quindi una buona parte della base, per lo meno quella che scende in piazza e manifesta, quella che preferisco, ha già deciso come muoversi e prova a spingere gli organi interni al partito a non inseguire le chimere delle alleanze moderate tout court, utili certo a mantenere la rappresentanza in Parlamento e lo stipendio di qualche nostro dirigente burocrate, ma ormai evidentemente insufficiente a spostare più a sinistra un futuro probabile governo di moderati, che giocherà con regole imposte dall’Europa, che non potremo modificare, ma soprattutto un’alleanza inadatta a riconquistare un’opinione pubblica ormai quasi completamente invisa ai partiti tradizionali e alle logiche elettoralistiche che li guidano. La piazza di Roma 27 ottobre non ha paura di rimanere fuori dai palazzi del potere e non si illude di riformarli, quella piazza è pronta ad abbatterli.
lr
Stella Rossa Genova pag. 8
Ottobre/Novembre 2012
Libri.
Heinrich Böll. Le opinioni di un clown. Abbandonato dalla giovane compagna Maria, convinta di vivere in un “metafisico terrore”, il giovane clown Hans Schnier accusa un irreversibile quanto disperato tracollo psicologico che lo condurrà a un’angosciante e profonda crisi morale e, a causa di un incidente durante un suo spettacolo, alla fine della sua carriera artistica. Il racconto si snoda nell’arco temporale di poche ore nelle quali il protagonista, indossata la maschera del folle, affronta in un’analisi impietosa le contraddizioni della società borghese tedesca dell’immediato secondo dopo-guerra, le illusioni e le ipocrisie che, in pieno “miracolo economico”, la vedono impegnata in una frenetica quanto vacua operazione di recupero di una nuova e risanata identità teutonica. Un tentativo di cancellare e di gettare sbrigativamente nell’oblio le proprie responsabilità storiche e di purificarsi dalla follia e dagli orrori del nazionalsocialismo e parallelamente, un ritorno, dopo l’orgia di sangue del regime, alle salde e comode tradizioni, ai secolari valori della morale cattolica coniugati alle certezze e al buonsenso piccolo-borghese. Il motivo narrante è una continua alternanza e sospensione tra ricordi del passato e necessità immediate, tra dialoghi interiori e surreali telefonate, tra disperazione e lucidità, tra pungente ironia e un disperato disarmo, fra tragica immersione etica e orgoglioso distacco. Böll ci consegna la realizzazione di una rimozione collettiva di un popolo e, con un espediente letterario che di volta in volta ci restituisce un protagonista ora patetico ora disincantato, ora convinto di essere l’unico buon cristiano, ora cosciente di essere un emarginato sociale, sebbene felice di esserlo, ritrae un quadro sociale grottesco. Centro delle riflessioni e dei ricordi di Hans Schnier è Maria, la sua ex
“io sono un clown e faccio collezione di attimi”
compagna con cui anni prima era fuggito. Lei, stanca di una vita economicamente insicura e moralmente scellerata, decide di ripararsi tra le solide certezze della morale cattolica (i due non sono sposati) e di “convolare a nozze” con un influente esponente laico del circolo cattolico di Bonn. Il monologo di Hans si avvicenda continuamente tra passato e presente, scivolando così nel ricordo degli ultimi drammatici attimi della seconda guerra mondiale. Servendosi di un’abile e felice ironia, Hans rammenta le tragiche quanto inutili morti della sorella e di un suo conoscente di nome George avvenute proprio negli ultimi giorni di guerra con gli Americani (gli yankee ebrei) già alle porte della città e il regime nazista ormai definitivamente in rotta. Hans Schnier e le sue invettive non lasciano spazio a nessun compromesso neanche per i propri genitori. Figlio di una ricchissima famiglia molto vicina al nazismo a cui diede appoggio economico e sostegno ideologico, dopo la caduta del III° Reich
gli Schnier non avranno nessuna difficoltà morale a sbarazzarsi del pesante fardello di collaborazionisti impegnandosi, ipocritamente, in attività filantropiche (la madre) o conducendo programmi televisivi dai “buoni consigli economici” (il padre). Un’allusione a quanti, appartenenti alla grande borghesia tedesca, seppero prontamente riciclarsi nella nuova Germania democratica. Le “opinioni” di Hans Schnier non risparmiano nemmeno le gerarchie cattoliche che giudica moraliste, false e simulatrici e a cadere sotto i suoi strali, sono il fratello e i ricchi frequentatori del circolo cattolico della città. Una critica radicale e netta condotta continuamente tra l’ironia e la rassegnazione, la provocazione e l’abilità del clown e una censura totale, un j’accuse, con l’obbiettivo di decostruire e demistificare i principi valoriali del popolo tedesco, mettendone in luce le contraddizioni e le fragilità. Un Böll che disegna un personaggio disperato e patetico che, sulla scorta del buffone di corte medievale, ci svela una Germania sconnessa dal recente passato nazista, la cui unica preoccupazione è quella di riconquistare un primato economico europeo e mondiale, nuovamente sostenuto dai sempiterni valori cattolici tradizionali e dagli interessi economici liberisti della grande borghesia, ovvero, proprio quelle suggestioni che avevano creato le premesse all’ascesa di Hitler.
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Sono disponibili le felpe e le magliette del circolo del centro storico