Stella Rossa 4

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anticapitalist now!

Elezioni politiche 2013/ 2013/ La miseria del capitalismo/ capitalismo/ A Bologna lo sciopero della logistica/ logistica/ La casta dei comunisti/ comunisti/Luca Cardinalini: storie di morti di carcere/ No Tav: Tav: tutti alla marcia del 20 aprile/ aprile/ Crocefissi laici


Stella Rossa Genova pag. 2

primavera 2013

Elezioni politiche.

Grillo e la la lotta di classe. classe. Tralasciamo i fenomeni inquietanti che il fenomeno Grillo si porta dietro, lasciamo da parte il discorso sulle nuove tecnologie o sui presunti complottismi della Casaleggio Associati e proviamo a dire alcune banalità di base provando a compiere una analisi della società basata sui canoni del materialismo che spieghi perchè molti lavoratori e sfruttati hanno votato il movimento 5 stelle. Quegli stessi elettori che da anni non votano più rifondazione, comunisti italiani o altri micropartiti (sotto qualunque maschera si nascondano) e neppure si avvicinano ai circoli territoriali. Analizzare il fenomeno significa provare a mettere nero su bianco quello che potrebbe essere definita una nuova riscoperta dell'acqua calda. Se gli elettori e i cittadini vessati da una crisi economica fortissima, con una rabbia sociale enorme scelgono di rivolgere la propria indignazione verso la politica (che è lo specchio del sistema economico) votando 5 stelle lo fanno per ragioni materiali che occorre indagare. Nascondersi dietro continui piagnistei (l'oscuramento mediatico è il più gettonato) o basare tutta l'analisi su effetti secondari (il rapporto con il centrosinistra, la poca verve polemica contro Bersani e co, l'impresentabilità dei candidati, etc) fa perdere di vista il vero problema: la sinistra non rappresenta più le aspirazioni dei ceti lavorativi italiani. Il successo del movimento 5 stelle viene preparato da anni. Anni di battaglie politiche, di inserimento in movimenti (NO TAV, acqua pubblica, movimenti ambientalisti, NO MUOS, lotta agli inceneritori, etc.). Per un pò il movimento 5 stelle ha rinunciato a presentarsi nei passaggi elettorali che si sono succeduti. In Liguria, dopo una riflessione lunga e causando anche alcuni mal di pancia, il 5 stelle non ha partecipato alle elezioni regionali. Lo ha fatto in base ad un ragionamento sulla propria forza e nonostante la presenza di condizioni politiche allettanti. In Liguria è stato rieletto Presidente della Regione Claudio Burlando, emblema della casta inamovibile, al centro di numerose inchieste giudiziarie e giornalistiche, simbolo (con moltissime ragioni!) del consociativismo dei poteri forti PD-PDL. Dopo un periodo di incubazione e crescita dell'organizzazione (non solo virtuale) il boom del 5 stelle dà il suo primo segnale alle comunali (per pochissimi voti il candidato grillino Putti non arriva al ballottaggio) e arriva ad essere il primo partito a Genova alle recenti politiche. Un accumulo di forze che cresce carsicamente, non si scopre per lungo tempo e poi esplode. Si potrebbe dire che è stato prodotto un

progetto serio a lungo termine. O, se volete, un esempio di quantità che si trasforma in qualità secondo le note leggi della dialettica. Esattamente il contrario della sinistra comunista che un progetto non lo ha e le poche forze che accumula (ad esempio sostenendo e partecipando alle mobilitazioni) le brucia ogni volta con progetti velleitari e con scorciatoie che puntualmente si infrangono contro muri. La quantità necessaria non c'è mai, quella poca viene dispersa periodicamente. Quali settori di classe si rappresentano? A proposito dell'acqua calda, facciamo notare che da anni le rilevazioni Istat (pur di difficile consultazione, ed eliminate dal dibattito politico predominante) ci raccontano di un cambio totale nella composizione del lavoro. La netta predominanza nel lavoro dei servizi (70% della forza lavoro, di cui solo una piccolissima percentuale sono dipendenti pubblici), le netta predominanza delle aziende con meno di dieci dipendenti, l'esplosione delle tipologie contrattuali anche nell'industria manifatturiera classica. Fenomeno notissimo da anni, evidentissimo nelle città grandi. Chi non abbia voglia, tempo e capacità di spulciare nei dati statistici può comunque ragionare in termini molto più pratici. I militanti che hanno raccolto le firme per il referendum contro la manomissione dell'articolo 18 avranno notato la fatica che è stata necessaria. Avranno anche notato come la questione interessasse un numero molto piccolo di cittadini e lavoratori. Chi firmava spesso lo faceva per solidarietà essendo pensionato, oppure per un discorso complessivo di solidarietà tra lavoratori. La maggior parte viveva quel passaggio come assolutamente staccato dalle proprie condizioni materiali. Pensare che i cittadini siano impazziti, rincitrulliti dai media o altre considerazioni sociologiche da bar è cosa sbagliata e assolutamente priva di prospettive. Chi non si sente rappresentato dalle battaglie per difendere i residui di stato sociale che rimangono è perchè quei diritti semplicemente non li conosce e i suoi problemi sono altri. Il meccanismo delle caste Una delle poche cose sensate che Ingroia e Rivoluzione Civile hanno provato a fare durante la campagna elettorale (in parte ci ha provato anche Bersani) è stringere d'assedio il programma 5 stelle sul tema della patrimoniale (con risultati ovviamente inesistenti). Se l'obiettivo era di far risultare l'interclassismo del 5 stelle, era un obiettivo sensato ma la cui realizzazione è fallita. In realtà il programma del 5 stelle non poteva

prevedere la patrimoniale perchè totalmente incentrato sulla polemica delle caste. Per sua natura questa politica è interclassista ma coglie alcuni dati materiali. L'esercito del lavoro precario, senza diritti, non sindacalizzato ha interessi diversi dai lavoratori che mantengono alcuni diritti. L'idea che il reddito di cittadinanza possa sanare la situazione di disagio lavorativo presente in Italia, al di là della validità intrinseca della proposta su cui da anni ci si divide, evidentemente presuppone la presenza di risorse. Tra la patrimoniale e l'abolizione dei privilegi di casta il 5 stelle ha scelto con decisione la seconda strada. Ma quali sono i privilegi di casta? In un recente articolo che ha fatto scalpore sui blog e i siti della sinistra radicale, uno degli spin doctor del 5 stelle, Massimo Fini, ha attaccato duramente i dipendenti pubblici e i pensionati. L'idea espressa riguardava l'esistenza di due società (società A costituita da senza diritti giovani, precari etc. versus società B costituita da pensionati e dipendenti pubblici). Al di là della propaganda e della confusione (voluta?) tra i dipendenti normali e i super-manager, piuttosto che tra pensionati e superpensionati, chiunque faccia un conto semplice scopre che abolendo pensioni d'oro e stipendi dei manager e magari sommando i risparmi che verranno dall'abolizione dei privilegi della politica si finanzia pochissimo. Intendiamoci: i privilegi della politica, le pensioni d'oro e gli stipendi dei supermanager vanno aboliti, innescando meccanismi virtuosi o anche semplice-mente per colpire simbolicamente gli sfruttatori, ma rimane comunque un problema di risorse. Colpire la società B nel suo complesso diventa quindi una questione di matematica. Ovviamente i lavoratori della fascia A trovano così il nemico di classe, i lavoratori della fascia B ne trovano un altro e così via fino agli odiati politici. E' odio di classe o invidia? Il ruolo dei comunisti e della sinistra di classe Se l'invidia di classe non funziona, se è pericolosa, se ha i prodromi di una moderna forma di fascismo è un fatto da non trascurare. E' evidente che in questo frangente funziona da spinta materiale alla politica. L'idea che le vecchie aristocrazie operaie o le forme di lavoratori classici fungano da traino per le rivendicazioni delle masse di sfruttati però da anni è in crisi. D'altra parte è evidente che questi lavoratori (segue pag.3)


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Stella Rossa Genova pag. 3

World Wild Commerce.

Produci, consuma, crepa! crepa! Scriveva Marx nel libro III del Capitale, che il capitalismo avrebbe provato, in maniera pervicace, ad espandersi oltre i propri limiti. Oggi quindi, non ci stupisce affatto, che finalmente senza mezzi termini, si parli sui maggiori media di crisi economica di sovrapproduzione. La merce prodotta in grande scala negli anni della globalizzazione, non incontra più da tempo la domanda in forte contrazione. Il capitale investito nella produzione, non si rivaluta, gli impianti vengono chiusi, i lavoratori licenziati o affidati agli ammortizzatori sociali, con un evidente ulteriore futuro calo della domanda. In questo contesto di crisi capitalistica, mai registrato di tale intensità e portata, gli stimoli al consumo non vengono comunque a mancare. Decenni di politiche di incentivo alla grande distribuzione e di finanziamenti al consumo, hanno convinto una larga fetta di cittadini consumatori, che non è utile rinunciare alla propria propensione all'acquisto, al proprio desiderio di avere, di possedere. La grande distribuzione ha sistematicamente massacrato e chiuso all'angolo le piccole attività, imponendo in regime di vera concorrenza sleale i primi contratti di lavoro atipici, non collettivi, svincolati totalmente dalle conquiste sindacali degli anni precedenti, orari di apertura full open, saldi e ribassi anticipati. Non a caso quelli che erano una volta i saldi di fine stagione, iniziano ormai a luglio d'estate e a gennaio d'inverno, quando estate e inverno sono appena cominciate. Quartieri interi sono nati intorno ad outlet e a centri commerciali, questi ultimi in mano ormai alle sole multinazionali con sedi all'estero, uniche peraltro a potersi ancora oggi permettere costi di gestione, in alcuni casi vere e fiscalmente utili perdite di gestione, fuori da ogni logica di mercato. Oggi constatiamo, che non solo le grosse realtà distributive hanno provveduto a far da precursori nella distruzione dei diritti dei lavoratori che hanno assunto, non generando posti di lavoro ma precarietà sociale, ma hanno desertificato intere parti delle città metropolitane, che oggi muoiono con le serrande abbassate, vigilate da quattro alpini spaesati ed un po' patetici. Questa politica perseguita tanto da governi di centro destra, quanto da quelli di centro sinistra (una riflessione a parte meriterebbero le sole coop), non hanno negli ultimi vent'anni aiutato per nulla il cittadino, ma è evidente a tutti che lo abbiano portato a spendere in maniera scellerata, perfino soldi a prestito che non aveva e che forse oggi non può restitui-re. Incrementando un consumo

drogato, superiore alle reali capacità di assorbimento del mercato. I dati di Confesercenti parlano di 65mila chiusure nel 2011, di oltre 20mila (ma non sono ancora precisi) per il 2012, di un 2013 ancora in contrazione nella domanda, veri dati postbellici che non si riscontravano appunto dalla fine della seconda guerra mondiale. E mentre analizziamo questi dati ed elaboriamo teorie, arrivano quando non te lo aspetti gli avvoltoi del commercio on-line, pronti a far pasto delle carcasse rimaste, generando a fronte di un loro sempre maggior incremento di fatturato, una risibile quantità di posti di lavoro, quando poi addirittura questo lavoro non venga vessato come nel recente caso del sito Amazon. Nascono i primi gruppi di acquisto on-line come Groupon, utilissimi alla produzione per svendere beni che non potremmo più consumare diversamente, se non distruggendoli. Vendono a costo bassissimo se non sottocosto beni e servizi, senza produrre profitto alcuno per chi quei beni e servizi li fornisce e generando un meccanismo perverso in cui si stimola un nuovo consumismo, che porterà ad un'ulteriore probabile diminuzione dei posti di lavoro, per lo meno nelle forme usuali oggi conosciute. Un meccanismo con il quale non si educa il cittadino a godere di ciò di cui ha bisogno, ma lo si stimola a continuare a consumare il superfluo, ad alzare la propria asticella dei desideri, ottenendo beni prima di valore, a prezzi ridotti. Cade a fagiolo la campagna pubblicitaria di una nota azienda di telefonia che in questi giorni recita: "Oggi puoi avere di più spendendo molto di meno". Ma oggi la riduzione di alcuni prezzi al consumo, viene fatta a discapito di qualcuno? Viene fatta a danno di altri lavoratori? Queste due banali domande che oggi consapevolmente dovremmo porci, provando ad estendere la nostra concezione di lavoratore anche a settori con cui ieri non eravamo abituati a fare i conti. Lo stimolo di queste poche righe, incomplete in quanto non vogliono essere un trattato di economia ne di sociologia, non vogliono certo essere a difesa della piccola distribuzione o del bottegaio piccolo borghese, realtà che ben conosco e che non mi ispira alcuna solidarietà, ma provano a ragionare e a stimolare una discussione sull'impatto di mercato di nuovi gruppi e nuove modalità di acquisto online quali Groupon, PrezzoFelice… di realtà distributive come

(da pag. 2) per anni hanno trovato rappresentanza politica nel vecchio centrosinistra ed in parte anche nella sinistra antagonista la quale però non ha mai scalfito l'egemonia moderata su questi settori. Quello è il pezzo di sistema politico che in questi anni ha duettato con Berlusconi, lo ha aiutato ed è stato complice (o avversario incapace) delle sue politiche. Il fenomeno della precarizzazione che avanza rode continuamente la vecchia struttura del lavoro. Il compromesso al ribasso della sinistra italiana è stato sufficiente al più per mantenere alcuni residuali diritti, manteneva una sua validità numerica prima della crisi finanziaria, ora non accontenta più nessuno. Occorre ripartire da questa analisi e capire se è possibile unire le rivendicazioni degli sfruttati in nome di una unità dei lavoratori che però va declinata dal punto di vista dei diritti materiali e non deve essere ciò che per anni è stato un enunciato totalmente idealistico. Lenin individuò in passato una classe generale che rappresentava la classe egemone del processo rivoluzionario. Quel metodo va salvato ricordandosi che il vecchio non è morto ed ha pratiche e possibilità che devono comunque essere messe in opera. Su questo snodo si gioca la ricostruzione del moderno partito di classe e dei lavoratori. Su questo dobbiamo discutere e proporre un progetto lungo di accumulazione di conoscenze, forme e pratiche. Magari partendo unendo ciò che abbiamo, distinguendo ovviamente le burocrazie dai soggetti sociali e di lotta. E' un buon motivo per non lasciar perdere, anche perchè altre possibilità non se ne scorgono.

RP Decathlon o di altri grandi distributori. Gruppi utili in gran parte ad appagare un fragile desiderio di possedere insito in tanti, a volte utili a far risparmiare qualche prezioso euro alle famiglie, ma certamente funzionali al mercato nello smaltimento degli eccessi produttivi e generatori di precarietà. Un vero e proprio smacco ai danni di chi, inconsapevole e magari anticapitalista, consuma pensando di avere trovato la formula giusta, la formula più equa."Il commercio mondiale è imperniato quasi interamente su dei bisogni: bisogni non del consumo individuale, ma della produzione." Karl Marx, Miseria della filosofia, 1847.

LR


Stella Rossa Genova pag. 4

primavera 2013

Lotta di Classe.

Se lo sciopero inizia a funzionare davvero Il 22 marzo nei magazzini sono rimasti i pacchi da spedire, e quelli che dovevano arrivare per tutto il giorno sono rimasti nei tir. Contemporaneamente gli interporti e i nodi più rilevanti della logistica del nord Italia sono stati chiusi dai picchetti: code di chilometri tra tangenziali, autostrade ed arteria urbane. Gli store online che organizzano le vendite di merci sul web in tutto il mondo annunciavano che il servizio sarebbe stato interrotto per tutto il fine settimana. Per 24h la crisi l'hanno pagata i padroni! Nessuna rappresentazione simbolica, nessuna retorica, nessuna mediazione. Al contrario lo slogan dei movimenti “noi la crisi non la paghiamo!”, si è concretizzato in quella rigidità operaia che da mesi è il perno delle lotte della logistica e che il 22 marzo ha espresso nuove potenzialità. Chi era ai blocchi sapeva bene che la sua presenza politica insieme a tanti altri in quel momento significava aggiungere il segno meno alle percentuali di profitto alle grandi multinazionali della logistica, e mentre le cifre salivano, il danno aumentava per un indotto che dalla produzione capitalistica arriva immediatamente ai nessi della riproduzione sociale e alla vita quotidiana. Anche per questa ragione i facchini non erano soli ai picchetti, ma con loro c'erano tanti studenti e precari. La partecipazione al picchetto e all'iniziativa antagonista dei facchini di altre figure della precarietà metropolitana è segno di come una lotta particolarissima contro lo sfruttamento e la crisi, in un preciso settore, può esprimere potenzialità ricompositive. Ad un giorno dallo sciopero possiamo essere certi che un primo spazio in questa direzione è stato aperto. E' uno spazio che va difeso e i cui bordi vanno spinti per ampliarsi, evitando ad esempio i ripiegamenti simbolici che traducono il “generalizziamo le lotte” in una triste agenda di scadenze. Generalizzare sciopero e conflittualità a partire dalle lotte della logistica è possibile, e una soggettività politica antagonista è in questa direzione che deve lavorare, a patto che non si risolva nella promozione di artifici politici o in promesse che difficilmente può mantenere. Facili promesse e artifici si rompono e sono troppo fragili quando la conflittualità sociale spinge, concreta, in alto. Dallo sciopero del 22 marzo la logistica conflittuale ha tratto un importante potenziamento sia nella destabilizzazione delle relazioni sindacali confederali che sul piano della dicotomia tra gli interessi

avversi di padroni e operai. La risolutezza nel “voler far male al padrone”, la rigidità della rivendicazione orientata all'attacco e la spinta politica alla generalizzazione di un “no” alla crisi si è espressa chiaramente. Non a caso a metà giornata è arrivata la risposta repressiva. Le cariche violentissime della celere bolognese, a difesa dei magazzini della UniLog, contro i facchini e i solidali sono una nitida istantanea di come la controparte è pronta a gestire i conflitti non più simbolizzati o rappresentati. La furia del manganello ad Anzola che respinge il picchetto, si misura sulla funzione della polizia di difendere e tutelare gli interessi dei padroni quando questi vengono messi in pericolo sul serio. Sembra una verità scontata ma forse per troppo tempo nei movimenti non lo è stata, data la cattiva abitudine a mediare per una “vittoria” virtuale e concreta sconfitta politica. Le cariche della polizia ieri pomeriggio dovevano riaffermare il disprezzo del capitale per l'ultimo degli sfruttati, dovevano allontanare e sciogliere il presidio dei più sfruttati che non solo alzavano la testa ma osavano guardare negli occhi con determinazione e dignità il padrone. Quei manganelli volevano far abbassare il capo. Quei manganelli ancora una volta non ci sono riusciti. Dopo neanche un ora dalle cariche la Centrale Adriatica della lega Coop era ancora una volta picchettata al grido di “sciopero, sciopero!”. Ad un giorno dall'importante mobilitazione non possiamo che esprimere una valutazione positiva, ma che di certo non deve lasciare soddisfatti. Al contrario deve essere motivo per guardare subito a nuove giornate di lotta da costruire insieme ai facchini e non solo, indubbiamente più forti di prima per un primo sciopero che ha iniziato a funzionare davvero.

INFOAUT

Noi saremo tutto Al circolo comunista del centro storico pensiamo che la necessità storica di costruire un nuovo soggetto politico, in grado di ricomporre i conflitti della lotta di classe in Italia, sia un’esigenza non più rimandabile. L’esperienza della Rifondazione Comunista è, a meno di improbabili cambi di prospettiva, giunta alla fine. Ciò nonostante noi continuiamo, da comunisti, a essere presenti, con i simboli del proletariato, dentro le lotte dei lavoratori e degli sfruttati. In un anno abbiamo conosciuto molti compagni e molte lotte, dai precari di Amiu bonifiche ai lavoratori di Ericsson e delle cooperative del suo indotto. Abbiamo sostenuto le lotte dei lavoratori dell’Amt, presentando, al contempo, una proposta per avere un servizio pubblico più efficiente, gratuito e che salvaguardi i lavoratori. Siamo stati con le lotte contro il terzo valico e alle manifestazioni in Val di Susa. Nella fase attuale, pensiamo che vada fatta una seria analisi sul momento storico, sulle nuove contraddizioni del capitalismo contemporaneo, su come queste agiscono sul mondo del lavoro e, infine, sulla sua trasformazione. Al tempo stesso pensiamo che sia il momento di radicalizzare e unire tutte le lotte, di mettere in rete le esperienze di conflitto presenti nel nostro paese, come nel resto del mondo. Bisogna ricostruire una coscienza collettiva di classe che non si faccia intrappolare dalle parole vuote di movimenti interclassisti. Riportare il conflitto di classe al centro di qualsiasi teoria anti-capitalista e assumere la conoscenza delle lotte reali, devono essere l’esperienza imprescindibile di qualsiasi organizzazione che voglia essere anticapitalista. A partire dalla nostra città, dalla lotta contro le privatizzazioni dei servizi pubblici, per la riacquisizione senza indennizzo delle dighe, contro i licenziamenti alla Ericsson e alla Fiera, per il ritorno al lavoro dei lavoratori della Centrale del latte espropriando la fabbrica a Lactalis. Oggi Genova sembra essere un laboratorio nazionale del conflitto con i tentativi di svendita di Fincantieri e Ansaldo: è necessario che i lavoratori e i cittadini scendano in piazza per riprendersi ciò che gli spetta. In una città dove si muore per qualche ora di pioggia, soggetta ovunque a smottamenti, non si può rimanere indifferenti di fronte all’avanspettacolo offerto dalla kermesse del PD e dal suo governatore che parla di grandi opere e di tavoli con il cociv per dare qualche tozzo di pane ai lavoratori edili, di crescita felice e, al tempo stesso, di tagli e di tasse. Organizziamoci e riprendiamoci le nostre vite!

CIRCOLO PRC FRANCO PREVOSTI http://www.infoaut.org/index.php/blog /editoriali/item/7254-22-marzo-se-losciopero-inizia-a-funzionare-davvero


primavera 2013

Stella Rossa Genova pag. 5

Libri.

Impì Impìccati! Storie di morti nelle prigioni italiane Luca Cardinalini - Derive e Approdi Luca Cardinalini raccoglie in "Impìccati" otto storie, otto uomini e una donna morti in carcere. Anzi “di” carcere. Perché queste vicende non sono altro che le portavoci cartacee di tante, troppe, morti simili archiviate frettolosamente come “avvenute in circostanze misteriose”. Morti senza un colpevole designato perché, forse, di colpevoli ce ne sarebbero troppi e individuarli sarebbe mettere sotto accusa un sistema che va avanti con un suo “equilibrio”, inerte e insano certo, ma che non fa rumore e non infastidisce nessuno. Il punto focale del libro non è se le otto vittime meritassero o meno di trovarsi in carcere anzi, la narrazione a un primo impatto, appare spiazzante proprio perché pura “cronaca”, scevra di alcun giudizio o considerazione morale. Del resto , fin dalle prime pagine, è lampante che sono proprio i fatti stessi a parlare chiaro. A partire dalle procedure d’arresto, che a chiunque apparirebbero quantomeno “anomale” fino a sfiorare l'assurdo (una su tutte : l’incensurato Stefano Frapporti, arrestato dopo aver attirato l’attenzione dei carabinieri per una manovra errata in bicicletta. Viene trovato morto, impiccato dopo poche ore.) Procedendo nella lettura è amaro e paradossale constatare quanto, forse, sia proprio “merito” di queste morti, la cui denuncia resta ancora troppe volte sorda e portata avanti dai soli familiari, l’apertura di uno squarcio che renda possibile una visione d’insieme

"La morte in carcere di un detenuto rappresenta un'evenienza sempre possibile. La morte "DI CARCERE" costituisce invece uno di quegli eventi che danno la misura di quanto in uno Stato siano o meno rispettati i diritti dell'uomo"

sull’universo carcere. Un mondo chiuso, ordinato e passivamente obbediente a una tradizione di consuetudini e leggi non scritte, in primis l'omertà, spezzato continuamente da una serie di “strani imprevisti” quali tentativi di suicidio, autolesionismo, disturbi alimentari e psichici in continua crescita. Nella maggior parte dei casi, concludono Laura Baccari e Francesco Morelli in una interessante appendice che analizza la casistica, sembra che l’unico mezzo rimasto ai detenuti per comunicare all’esterno il proprio disagio sia il corpo. “Il corpo- scrivono i due autori- viene buttato così com’è ( tagliato, lacerato, mortificato) in faccia a chi lo vorrebbe ignorare. Di conseguenza non stupisce che ogni anno un detenuto su sette… ricorre all’autolesionismo o tenta il suicidio”. Ufficialmente la pratica delle punizioni corporali nelle carceri è stata abolita nella civilissima Europa solo verso la fine dell'Ottocento. Ufficialmente. Ma commettere omicidio o torturare a morte non è l'unico modo per togliere la vita a una persona. Non dimentichiamoci che un detenuto in gravi condizioni fisiche, qualora intraprenda uno sciopero della fame non è sottoposto ad alimentazione forzata, mentre un malato in coma irreversibile si. "La pena carceraria non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità". Questo non lo dice l'autore, ma la Costituzione.

EF


Stella Rossa Genova pag. 6

primavera 2013

No tav - No terzo valico.

No pasaran! pasaran! Sono passati pochi mesi dalla riuscitissima manifestazione No Tav – Terzo Valico del 6 Ottobre da Serravalle ad Arquata in Valle Scrivia e dalle manifestazioni in Val Lemme, Valpolcevera e Valverde. Per tutto l’autunno e l’inverno i comitati hanno continuato il loro lavoro di informazione e mobilitazione, promuovendo assemblee popolari e bloccando espropri e trivelle. Chi pensava che a fermare il Movimento sarebbe bastato un po’ di freddo si è dovuto ricredere. Le giornate organizzate hanno visto presenze sempre più grandi: la determinazione di centinaia di donne e uomini è riuscita a fermare ogni tentativo di avanzamento dei lavori, costringendo Cociv ad accumulare mesi di ritardo sulla tabella di marcia. Mai come oggi la lobby del Tav vacilla e perde pezzi: svaniti i deliri su logistica e ricadute occupazionali, gli amministratori sono costretti ad ammettere l’inesistenza dei benefici di quest’opera, l’ottusità arrogante di Cociv e i pericoli per l’ambiente e la salute pubblica. L’amministratore delegato delle ferrovie Moretti chiede di spendere una parte dei soldi del Terzo Valico per la manutenzione delle linee esistenti e non si dice più convinto dell’utilità dell’opera. Anche i risultati elettorali hanno punito le forze che hanno inserito nel proprio programma la realizzazione dell’Alta Velocità. La primavera è il momento di scendere nuovamente in piazza per dimostrare ai pochi fanatici dell’alta velocità rimasti che i No Tav – Terzo Valico sono sempre più determinati a salvaguardare Territorio, Salute, Diritti e Futuro da un’opera devastante e inutilmente costosa. Esigiamo la rinuncia definitiva al progetto Tav – Terzo Valico e diffidiamo da richieste di moratoria arrivate fuori tempo massimo, volte esclusivamente a realizzare l’opera in tempi più lunghi, rinviando il problema a dopo le elezioni amministrative e non a impedirne la costruzione. Questa è l’occasione giusta per mettere la parola fine a questa follia. Fermare il Terzo Valico è possibile, fermarlo tocca a noi!

La casta dei comunisti del centro storico Ebbene si, siamo comunisti. E pensiamo che destra e sinistra non siano categorie superate dalla storia. Il nostro partito in centro storico è una casta di disoccupati, insegnanti, ferrovieri, cassieri nei supermercati, lavoratori di cooperativa, genitori, muratori, precari, pensionati, studenti. Ciascuno di noi ha un lavoro, se non ce l'ha lo sta cercando. Al circolo ci incontriamo nel tempo libero, paghiamo l'affitto con soldi nostri e con la militanza, facciamo le pulizie. Ci hanno regalato una fotocopiatrice con cui stampiamo un bel po' di quel materiale che trovate appeso sui muri del centro storico. Spesso stampiamo anche roba su cui c'è scritto che non siamo capaci, che non bisogna votarci, che siamo dei traditori dei lavoratori. Ci chiedono di stamparlo compagni con cui poi ci ritroviamo nei cortei, nei presidi, nelle strade. Ci riuniamo tutte le settimane e invitiamo tutti ma spesso siamo sempre i soliti dieci o dodici. Discutiamo di tutto, di come pagare l'affitto, di come fare volantinaggio, se votare, come votare, cosa scrivere, cosa dire nelle assemblee di quartiere, di lotta, come organizzarci nei cortei. Spesso non siamo tutti della stessa idea, non decidiamo mai nulla a maggioranza perchè ci piace pensare che siamo un gruppo che deve restare unito. Spesso incontriamo compagni che ci fanno i complimenti e ci spronano ad andare avanti, altre volte gente che ci dice che non ci vota più, anche se noi ci siamo dimenticati di dirgli che magari ci può votare. Per noi va bene lo stesso perchè pensiamo che il sistema terribile del capitale che ci opprime tutti non si sconfigge nelle urne ma nelle lotte e nelle mobilitazioni. Sappiamo che è una strada difficile, ma siamo un pezzo di un partito comunista e pensiamo che i lavoratori e gli sfruttati si debbano unire contro gli sfruttatori. Quelli veri, i padroni. Perchè ci hanno spiegato che esiste un sistema ingiusto che si chiama capitalismo che è fatto di burattini (politici, guardie, giornalisti corrotti, fascisti) e di burattinai (padroni, banchieri). Sconfiggere i burattini può essere relativamente semplice, sconfiggere i burattinai richiede impegno e la lotta sociale. Forse sbagliamo ma ci piacerebbe che tutti i compagni che almeno una volta hanno apprezzato parte del nostro lavoro provassero a parlare con noi, a discutere e a farci capire dove sbagliamo. Ci piacerebbe che chi ha dentro rabbia sociale provasse a pensare che esistono lotte che al centro hanno contraddizioni che soltanto vivendole e affrontandole in prima persona si possono provare a risolvere provando a fare un passo in avanti. Perchè pensiamo ancora che il comunismo è la gioventù del mondo, ma spesso non lo ricordiamo più. Ma è anche la semplicità che è difficile a farsi.... Perchè la società è divisa in classi e pensiamo che gli sfruttati debbano sconfiggere gli sfruttatori.

RP

SABATO 20 APRILE MARCIA POPOLARE DA NOVI LIGURE A POZZOLO FORMIGARO RITROVO ORE 14 PIAZZA XX SETTEMBRE MOVIMENTO NO TAV – TERZO VALICO www.notavterzovalico.info www.noterzovalico.org

www.stellarossage.altervista.org


primavera

Stella Rossa Genova pag. 7

Le battaglie di religione.

Santi, profeti e politicanti. “Crocifisso obbligatorio in ogni ufficio della Regione. Battaglia di civiltà”. Ma è polemica. Il consigliere di centrodestra in Campania Giuseppe Pietro Maisto lancia la proposta: "Si tratta di un simbolo che esprime valori civili. Sarebbe un bel segnale se tutte le forze politiche decidessero di appoggiare l'iniziativa". Contrario il capogruppo Pd: "No a religioni di Stato" di Vincenzo Iurillo da “Il fatto quotidiano” 24 aprile 2012 Stato laico o stato religioso? Democrazia o teocrazia? La secolare ingerenza vaticana nella vita politica e sociale italiana, anche dopo la fine della Democrazia Cristiana crollata sotto gli scandali di tangentopoli, non ha perso nulla della sua capacità di condizionamento. In epoca contemporanea, alla fine del fascismo, la Chiesa cattolica, già garante delle clamorose fughe di gerarchi nazisti in Sud America, ha accolto e portato su di sé il compito storico di riunire, riorganizzare e appoggiare, in ogni sede, le forze conservatrici italiane che, con la fine della dittatura, avevano la necessità di ricostruire un nuovo assetto politico. Ciò si è tradotto in un forte e costante impegno della chiesa romana che, già dalle prime elezioni post-regime, si concretizzò in un parossistico delirio propagandistico di stampo anticomunista. Un impegno elettorale teso a conquistare ed egemonizzare ogni spazio politico, culturale e sociale, al fine di sottrarli al movimento operaio comunista. A partite dal 1948 in poi, le forze più retrive del paese ritrovarono la loro naturale collocazione politica dietro lo scudo crociato della Democrazia Cristiana, braccio politico della Chiesa Cattolica, dando vita a un nuovo patto tra gerarchie clericali e capitalismo italiano. Ne sono un esempio le precise scelte che i vari governi democristiani prima, Berlusconi, Partito Democratico e il “tecnico” Monti poi (reale espressione quest’ultimo del capitalismo nazionale e internazionale), hanno realizzato in sessant’anni. Nell’ultimo decennio il ruolo della Chiesa si è ulteriormente rafforzato nella presunta guerra di fede tra cristiani e musulmani declinato dai mass-media internazionali, come “l’epocale scontro tra la civiltà occidentale e la barbarie del primitivo mondo islamico”. Uno scontro consegnato per sempre alla Storia dall’attentato alle torri gemelle di New York: con il crollo dei grattaceli, l’immaginario collettivo di mezzo mondo ha ricevuto l’immagine simbolo della scioccante ferocia islamica, (in effetti a

Dubai, a Giza, a Sharm el Sheik o a Petra, dove pur non sono mancati atti terroristici, ci vanno i pochi che se lo possono permettere) rendendo inoffensiva qualsiasi opzione economica e culturale anti-americana, anti-capitalista e, ovviamente, anti-cattolica. Ma la vita di un paese non è segnata e determinata solamente dalle grandi decisioni; accanto ad esse un fiume carsico di apparentemente piccole questioni, fanno da coro alle scelte di politica nazionale e internazionale. Un esempio può essere testimoniato proprio dalla notizia riportata nell’articolo. Il tema è l’affissione del crocefisso che, già presente in scuole, tribunali e ospedali, per l’esponente Pdl campano dovrebbe dominare anche nelle aule della politica istituzionale. Una riflessione locale con implicazioni su cosa è, o dovrebbe essere, uno Stato laico nella visione politica di un’irreprensibile militante cristiano. Ciò cui la proposta di legge del consigliere regionale campano aspira però non è tanto una riproposizione dello scontro “Cesare – Dio” in termini così netti e irriducibili a cui eravamo abituati, almeno fino agli anni settanta, anzi, sembrerebbe un tentativo di scardinare, utilizzando una retorica all'apparenza conciliante, proprio il meccanismo che solitamente condiziona la retorica della controversia. Sottraendolo da una logica unicamente contrappositiva di “stato laico versus stato confessionale”, il consigliere, nel tentativo di giustificare razionalmente la sua proposta, dichiara esservi un’essenziale corrispondenza tra “... valori civili, quali tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona” e fede cristiana. Inoltre, che questi valori hanno un inconfutabile “... origine religiosa” e, infine, che la stessa laicità è positivamente affermata dal cristianesimo. In buona sostanza laicità, democrazia e religione coinciderebbero in una sorta di “Monade” in cui il cristianesimo ne rappresenta il “prerequisito politico”, l'ineliminabile atto fondativo della civiltà umana. Per il consigliere campano quindi, è semplicemente superfluo parlare di opposizione irriducibile tra una visione laica e una visione cattolica dello Stato. Non solo. La proposta di legge regionale, pur non esplicitandolo chiaramente, cerca di fare i conti anche col fenomeno migratorio che, negli ultimi vent'anni, ha portato in Italia migliaia di persone di confessione musulmana. Dopo l'“11 settembre”, la questione religiosa ha assunto argomenti talmente radicali da poter legittimare due guerre internazionali. Iraq e Afghanistan sono stati il paradigma dello “scontro di civiltà” e della “esportazione della

democrazia”, concetti inquietanti anche se non nuovi che, su istigazione dei “neocon” statunitensi e della “dottrina Bush”, hanno trovato incredibilmente spazio e supporto nel dibattito politico internazionale ma che hanno cercato, trovandola, una più ampia cornice giustificativa utilizzando anche una retorica da guerra di religione: di fronte a un occidente moderno, civilizzato e cristiano si ergeva, minacciosa, la “barbarie” del mondo islamico. Oriana Fallaci, all'indomani dell'attento alle Twin Towers di New York, pubblicò articoli e libri in cui denuncia la decadenza della civiltà occidentale che, minacciata dal fondamentalismo islamico, ritiene incapace di difendersi. La Fallaci riteneva che la crescente pressione esercitata negli ultimi anni dall'immigrazione islamica verso l'Europa, scelte politiche sbagliate, oltre all'aumentare di atteggiamenti di reciproca intolleranza, altro non fossero che la riprova di un pianificato tentativo del mondo musulmano di islamizzare l'Occidente. A Genova si è discusso per un'intera legislatura comunale sulla costruzione di una moschea e sulla sua ubicazione. Se in teoria tutto il consiglio comunale si è sempre riconosciuto nell'art. 8 della Carta Costituzionale che tutela tutte le confessioni religiose, di fatto, la minoranza politica rappresentata per lo più dal Pdl e dalla Lega Nord, ha condizionato tutto il dibattito ponendo sul tavolo della discussione argomentazioni di tipo razzistico e riportando nell’aula comunale un orientamento politico già affermato a livello nazionale. I consiglieri di minoranza, infatti, hanno più volte dichiarato di ritenere inammissibile la costruzione di una moschea poiché esisterebbe nella religione islamica, un’ineliminabile propensione all'intolleranza e al fanatismo tale da mettere in grave pericolo la comunità locale.


Stella Rossa Genova pag. 8 A queste ultime argomentazioni, ovviamente, non ne sono mancate altre quali la difesa delle tradizioni e delle origini storico-culturali dell'Italia e dell'Europa. Tesi queste che si sono rafforzate dopo gli attentati dell’11 settembre e che hanno il medesimo respiro delle opinioni espresse a suo tempo da Oriana Fallaci. Chi, più di tutti, si è fatto testimone e alfiere di queste posizioni, sono stati gli esponenti della Lega Nord. Artefice di un'originale quanto eccentrico sincretismo tra riti celtici sul Po e cristianità romana, la Lega Nord si è eretta a baluardo “padano” contro gli invasori musulmani, facendo proprio uno storico slogan caro alla destra e ai cattolici, ovviamente riadattato al proprio panorama geografico: “Dio, padania, famiglia”, il tutto urlato nel padanissimo dialetto lumbard. Fabrizio De Andrè, oltre a essere stato un grande poeta e musicista, nel comporre l’album Crêuza de mä, un meraviglioso album di etno-musica, aveva studiato, dal punto di vista filologico, il dialetto genovese utilizzato per comporne i testi. Il cantautore scoprì che, all’interno dell’idioma genovese, sono presenti centinaia di vocaboli di derivazione araba, utilizzati dai navigatori genovesi per i loro traffici commerciali. Evidentemente, da abili commercianti quali furono, i genovesi sono stati, più che arditi leghisti pronti a pugnare per difendere le loro radici, degli attenti comunicatori esclusivamente interessati agli affari. E' dunque inevitabile che, se declinata in termini di ethos politico precostituito, l'attualità sia poi tradotta in termini d’identità, di radici, di storia e di tradizioni, fino a spingersi al darwinismo sociale e alla costruzione pseudoscientifica di razze superiori. D'altronde l'Europa cristiana “in armi” contro l'Islam è una storia non ancora conclusa che ha origine con le prime crociate, guerre “imperialiste” ante litteram, finalizzate al controllo economico e territoriale del mediooriente combattute in nome e per conto della “croce”. Costruzione, decostruzione e ricostruzione della realtà, creazione di nemici e di mostri sempre pronti a distruggere la nostra storia e la nostra civiltà, altro non sono che tecniche finalizzate esclusivamente al controllo economico e sociale da parte di élite che, utilizzano lo scontro etnico, come fattore determinante di stabilità del potere e di auto-legittimazione. Alcuni anni fa il confronto ha raggiunto il parossismo quando Adel Smith, sedicente capo dell'Unione Musulmani d'Italia, aveva intentato una causa giuridica per far rimuovere dalle aule scolastiche il crocefisso. La questione si chiuse con un parere del Consiglio di Stato che ritenne validi due Decreti Regi,

primavera 2013 emanati in pieno periodo fascista, rispettivamente nel 1924 e nel 1928, e mai abrogati. Questi impongono che in ogni aula delle scuole medie ed elementari sia affissa l'immagine del crocefisso e il ritratto del Re. Nella sentenza si ribadisce che lo stato italiano è laico, ma osserva che "il principio di laicità non risulta compromesso dall'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche". Il crocefisso deve poi essere considerato "non solo come simbolo di un'evoluzione storica e culturale, e quindi dell'identità del nostro popolo ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, che trovano espresso riconoscimento nella nostra Carta costituzionale". Essa conclude affermando che "in sostanza, nel momento attuale, mentre non si ravvisano elementi positivi di concreta discriminazione in danno dei non appartenenti alla religione cattolica, il crocefisso in classe presenta, dal canto suo, una valenza formativa di nessun peso qualificante ai predetti fini di libertà e può e deve essere inteso, anzi, come uno dei simboli dei principi di libertà, eguaglianza e tolleranza e infine della stessa laicità dello Stato, fondanti la nostra convivenza e ormai acquisiti al patrimonio giuridico, sociale e culturale d'Italia". E' proprio questo parere che fornisce, all'esponente campano del centro-destra (il quale comunque omette di ricordare il riferimento normativo su cui si basa la sentenza del Consiglio di Stato), la cornice non solo giuridica ma anche culturale della sua proposta di legge. Lo slittamento di significato, furbescamente operato, tra fede e civiltà, ci consegna le due parole come se fossero sinonime, rendendo incomprensibile la diversità che tra queste invece scorre, tracciando così uno scenario d’immutabilità di significati e di simboli, destoricizzandoli, per renderli eternamente comprensibili e validi per tutti. Al tempo stesso cannibalizzano, in un surrettizio tentativo egemonico, valori come, tolleranza, libertà, eguaglianza, che nulla hanno a che fare con un simbolo religioso, qualunque esso sia. E’ interessante notare che i temi più radicali dello “scontro di civiltà”, negli ultimi due anni, sono stati completamente rimossi dall’agenda politica e dall’attenzione dei media nazionali. Il pericolo musulmano, così come il pericolo comunista dopo la caduta del muro di Berlino, ha lasciato il posto alla crisi economica internazionale e ai suoi funesti effetti, generando nell’immaginario collettivo, un altro mostro, un altro nemico. Oggi lo sforzo dei padroni e delle loro rappresentanze, sono tesi unicamente alla costruzione sociale della crisi

“se un ebreo fa torto a un cristiano, quale è la sua benevolenza? la vendetta! se un cristiano fa torto a un ebreo, quale dovrebbe essere la sua tolleranza, secondo l'esempio del cristiano? ebbene la vendetta! la malvagità che voi mi insegnate io la metto in atto, e sarà difficile che io non faccia meglio dei miei maestri”. economica, nei termini di oggettivare le contraddizioni del capitalismo, mascherandole come se fossero un elemento naturale, una tempesta che prima o poi passerà. Oggi le parole dell’Ordine sono: austerità, spending review, privatizzazioni, tagli alle pensioni, alla scuola pubblica, alla sanità. E le armi per combatterlo sono: governi tecnici, saggi, le grandi opere, piuttosto che la democrazia in rete e il reddito di cittadinanza! Il vecchio pericolo internazionale, ovvero che un domani avremmo dovuto tutti pregare Maometto e Allah e che le nostre donne avrebbero dovuto indossare burqa e chador, pare essere stato esorcizzato. Grazie alla democrazia dei marines americani, alle loro bombe intelligenti e a qualche migliaia di vittime e, grazie anche, alle mirabili defecazioni di suini, a qualche quintalata di polenta e all’apposizione di crocefissi un po’ ovunque. Ma non a Genova. Qui ancora qualche interrogazione in consiglio comunale e qualche titolo giornalistico di comodo, (oltre alle consuete minacce anarchiche al cardinal Bagnasco) ancora si trovano. In effetti, la richiesta della comunità islamica di poter costruire una moschea, senza essere costretti a lanciare un aereo contro la Lanterna, ancora non ha trovato risposta. Tra le centinaia di chiese che oggi, giorno della Pasqua, suonano, con le loro melodiose campane, la risurrezione di Cristo e l’attualità del suo messaggio di speranza, fratellanza e pace universale, uno spazio al millenario nemico, proprio non si riesce a trovare. Dopo il quasi definitivo tramonto del progetto di costruzione di un’enorme moschea al Lagaccio per la sollevazione dell’elettorato del Pd e il conseguente rischio di regalare voti alla Lega, il centro-sinistra cittadino ha indicato diverse soluzioni alternative, anche suggestive come, ad esempio, costruirne una in porto! A me piacerebbe tanto vederne una ad Albaro, che con tutto il verde che c’è, renderebbe quasi invisibile ai cristiani genovesi, la vista del minareto. Ma, “grazie a Dio, sono ateo” e la mia speranza è che, pur rispettando il bisogno di religiosità che ciascuno di noi sente, un domani si possa vivere in una società senza preti, né profeti e, soprattutto, senza Stato.

FN


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