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CHE BELLO è una storia vera, è un progetto che nasce dalla volontà di esaltare tutto ciò che la vita giornalmente ci regala, CHE BELLO ti aiuta ad essere migliore, cura le ferite con un sorriso e ti pervade col suo messaggio semplice ed immediato, CHE BELLO ti insegna ad amare te stesso e gli altri, CHE BELLO è vita, è un dono, è il dono di Eva, il suo mezzo per pubblicizzare la vita e accogliere ogni singolo momento come il primo di una lunga serie ricordandoci quanto sia affascinante meravigliarsi e costruire una felicità comune, CHE BELLO era il suo modo di sorridere. Adesso è anche il tuo.

CHE BELLO is a true story, it’s a project born from the desire of celebrating all that life offers us every day, CHE BELLO helps you to be better, it heals your wounds with a smile and pervades with its simple and immediate message, CHE BELLO teaches you loving yourself and the others, CHE BELLO is life, it’s a gift It’s the Eva’s gift, her way to advertise and welcome each moment as the first one of a long series reminding us how fascinating is being surprised and building a common happiness, CHE BELLO was her way of smiling. Now is also yours. facebook.com/chebelloooo


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NELLA CITTÀ DEL FUTURO LA MOBILITÀ HA UN NOME: TWIZY Interrogarsi sul futuro in questo complesso XXI secolo significa necessariamente interrogarsi sull’evoluzione e il cambiamento delle città, luoghi di sperimentazione e terreno di innovazione della cultura contemporanea, specchio di un’epoca e scenario di nuovi stili di vita. Nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi di persone, il 70% delle quali concentrate per lo più in aree urbane. Gli interrogativi e l’attuale crisi culturale ed economica impongono un radicale ripensamento dei modelli di riferimento, che riguardano soprattutto le città e il loro sistema di sviluppo. Ma le città oggi sono tutt’altro che virtuose. Il 50% della popolazione mondiale, attualmente vive in un contesto urbano e consuma circa il 75% dell’energia planetaria producendo addirittura l’80% delle emissioni a effetto serra. La qualità della vita di miliardi di persone, se non addirittura la sopravvivenza stessa del pianeta, dipenderanno da quanto gli agglomerati urbani sapranno diventare attenti nel risparmiare energia, nel ridurre le emissioni inquinanti e nel rendere più agevoli e semplici le condizioni di vita e lavoro al loro interno: sapranno cioè trasformarsi in SMART CITIES, città intelligenti. Uno scenario metropolitano sostenibile sarà possibile solo con radicali cambiamenti tecnologici e di stili di vita. Nodo cruciale di questo cambiamento riguarderà senz’altro la mobilità urbana: solo nei 30 Paesi più sviluppati al mondo, le previsioni stimano una crescita dagli attuali 700 milioni di veicoli a 1,7 miliardi di veicoli nel 2050. Grazie alla tecnologia le metropoli devono diventare intelligenti, rendendo accessibili ai cittadini trasporti (pubblici e privati) più efficienti, risparmi energetici consistenti, un calo drastico delle emissioni inquinanti. Le Smart Cities del futuro si prefiggono di coniugare sostenibilità, sicurezza e qualità della vita, con scelte energetiche, edilizie e urbanistiche “smart”, usando il meglio delle più recenti tecnologie. In questo scenario di grande cambiamento verso scelte intelligenti, anche il cittadino si trasforma sempre di più in un “clever shopper”, attento e critico nelle sue scelte, e per il quale la sostenibilità economica e la riduzione dei consumi diventano advertising

elementi imprescindibili di uno stile di vita orientato verso il futuro. L’evoluzione del concetto di mobilità rispecchia anch’esso i cambiamenti della nostra civiltà. L’automobile, un sogno inseguito dall’uomo fin dal Rinascimento, rappresenta fin dalla sua nascita, nel XIX secolo, la possibilità di migliorare la qualità della vita degli individui, grazie ai progressi tecnologici. Nel corso dei decenni, sempre più, il concetto di mobilità si affianca a quello di velocità: la ricerca tecnologica e progettuale sperimenta sistemi di alimentazione diversi, tra cui anche l’elettricità (si pensi che il primo record di velocità ufficialmente registrato, del 1898, è da attribuire proprio ad un’automobile elettrica: il francese Gaston de Chasseloup-Laubat raggiungeva i 63,14 chilomenti all’ora, mentre nel 1901 Camille Jenatzy superava i cento km/h con La Jamais Contente, anche in questo caso un’auto elettrica). Anche il design delle auto si evolve sempre più alla ricerca di comfort, aerodinamicità e performance. Oggi, dopo oltre un secolo di innovazioni ed evoluzioni, la mobilità si trasforma ed evolve per rispecchiare i mutamenti delle metropoli: dalla velocità alla sostenibilità, dall’aerodinamicità alla maneggevolezza, dalle prestazioni a qualsiasi costo alle energie rinnovabili. Le Smart Cities richiedono oggi nuove soluzioni di mobilità: auto intelligenti nelle forme e nei consumi, veloci e agili ma anche ecologiche e ad impatto zero. Renault Twizy, il primo e innovativo urban crosser 100% elettrico, è tutto questo: un’inedita forma di mobilità urbana, futuristica e irriverente, dalle dimensioni ultracompatte e dalle linee sorprendenti, che la rendono un concentrato di puro design elettrico. Con Twizy, Renault conferma la sua lunga tradizione nell’innovazione automobilistica, che, grazie ad auto che hanno segnato una svolta nella propria epoca, ha saputo interpretare lo spirito dei tempi che cambiano: dalla Renault 4 passando per Espace, Twingo o Scénic, fino ad arrivare a Twizy. L’attenzione alle persone, alle loro esigenze e agli stili di vita in continua evoluzione fanno parte integrante del DNA di Renault. Twizy è nata per interpretare un nuovo concetto di mobilità urbana, dove sicurezza e semplicità di utilizzo si coniugano alla riduzione dei consumi e delle emissioni di anidride carbonica. Twizy è un’icona dei tempi moderni, un vero oggetto di design: evocativa, estremamente compatta e agile, con le sue linee sorprendenti esprime la forza e il carattere di chi è a bordo: il clever shopper, che crede in un futuro sostenibile senza rinunciare al divertimento, all’immagine e alla sicurezza. Twizy è innovazione allo stato puro, agile come uno scooter e sicura come un’automobile, con un’anima elettrica al 100%. Progettata dal Designer olandese Laurens Van Den Acker, a cui si deve il nuovo corso dello Stile Renault, Twizy interpreta con le sue linee accattivanti la leggerezza dell’aria e la forza dell’energia. Perfetta sintesi tra originalità e stile, grazie alle Wing Doors


che si librano nel cielo come ali di farfalla, alle ruote a vista che si ispirano alle monoposto di Formula 1 e alla disposizione dei due posti in linea, l’urban crosser di Renault è l’interpretazione più contemporanea della ricerca nel campo della mobilità individuale, nata con il concetto classico dell’automobile oltre 150 anni fa. www.renault.it/grande-prova-twizy/index.jsp

To have a better understanding of the future during these complicated times we need to understand the evolutions and changes happening in our cities, which have become testing grounds for modern cultural innovation, mirroring an era and setting the scene for new lifestyles. By 2050, the world population is expected to reach 9 million, 70% of which will be concentrated mostly in urban areas. Our uncertainties and the current cultural and economic crisis are forcing us to radically rethink our reference models, our cities and their system of development. Yet today’s cities are anything but virtuous. 50% of the world’s population currently lives in cities and consumes approximately 75% of the Earth’s energy, accounting for 80% of the world’s greenhouse emissions. The quality of life of billions of people, and the very survival of the planet, will depend on to what extent cities learn to become energy efficient, reduce pollution and simplify urban living and working conditions. They must learn to become SMART CITIES. A sustainable urban scenario is possible only through radical changes in technology and lifestyle. advertising


A key factor to these changes will certainly be urban mobility: in just 30 of the highest developed countries, 1.7 billion vehicles are expected to be on the roads by 2050, an increase from the 700 million vehicles today.
 Through technology, our cities must become smarter and provide more efficient public and private transport that offer significant energy savings and drastically reduce greenhouse gas emissions. The Smart Cities of the future must set out to combine sustainability, safety and quality of life with smart energy, building and urbanistic choices through cutting-edge technology. Against this backdrop of sweeping changes toward smart choices, more and more citizens will become “clever shoppers” who make careful and critical choices. For them, economic sustainability and lower consumption will become vital elements toward achieving a lifestyle poised toward the future. The evolution of the concept of mobility also reflects the changes taking place in our society. A dream of man’s since Renaissance times that came to fruition in the 1800s, automobiles have represented an opportunity to improve the quality of life of individuals through technological advancements. Over the decades, mobility and speed have grown increasingly interconnected. Technological and design research have experimented with a wide range of power systems, including electricity (the first car to hold an officiallyrecognized speed record at 63.14 km/h was electric and driven by French racer Gaston de Chasseloup-Laubat, while in 1901 Camille Jenatzy reached more than one hundred km/h with La Jamais Contente, also an electric car). Car design has also been evolving toward comfort, aerodynamics and high-performance. Today, after more than a century of innovation and changes, mobility has undergone a transformation and evolved to reflect the changes in urban society: from speed to sustainability, from aerodynamics to easy handling, from performance at any cost to renewable energy. Today’s Smart Cities are seeking new mobility solutions: smart cars in terms of form and consumption that are fast and agile, as well as eco-friendly and zero-impact. Renault Twizy, the first and innovative 100% electric urban crosser, is all of the above: a new approach to urban transportation, futuristic and irreverent, ultra-compact with surprising lines that make it an expression of pure electric design. Twizy confirms Renault’s long tradition in automotive innovation and thanks to cars that have marked a turning point, the French car company has succeeded in interpreting the sign of the times: from the Renault 4 to Espace, Twingo and Scénic, and now Twizy. A constant focus on people, their needs and their everchanging lifestyles has been an essential part of Renault’s DNA. Twizy has been created to interpret a new concept of city motoring, in which safety and practicality go hand-in-hand with low consumption and CO2 emissions. Twizy is a modern icon, a true object of design. 16

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Evocative, ultra-compact and nimble, Twizy features surprising lines that reflect the strength and character of its occupants: clever shoppers who believe in a sustainable future and value fun, image and safety. Twizy is innovation at its best, combining the practicality of a scooter and the safety of a car, in addition to being 100% electric. Designed by Laurens Van Den Acker, the Dutch designer credited for the new course of the Renault Style, Twizy interprets the lightness of air and the strength of energy through its sleek lines. Striking the perfect balance between originality and style with Wing Doors that spread open like the wings of a butterfly, exposed wheels reminiscent of Formula 1 single-seaters and a tandem-style configuration, Renault’s urban crosser is the latest interpretation of research in individual mobility, born from a traditional car concept that dates back more than 150 years. Paola Repaci Product Communication Manager Image & Communication Renault Italia SpA


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director | direttore responsabile emilio fabri founding editor & art director francesco lipari francesco@cityvision-mag.com founding & managing editor vanessa todaro vanessa@cityvision-mag.com marketing marco arciero marketing@cityvision-mag.com adv paolo emilio bellisario adv@cityvision-mag.com english translations | traduzioni lina strazzanti contributors emmanuele jonathan pilia, alessandro orsini, andrea debilio sebastian di guardo, disguincio & co, francesco gatti, federico giacomarra, davide del giudice, gregorio pampinella, stefania koller & lukas hüsser cover | copertina enrico pieraccioli claudio granato owner/publisher | proprietario/editore maria vanessa todaro office address | sede del periodico CityVision Mag via Appia Nuova 503, 00181Rome, Italy phone +39 06.39031053 www.cityvision-mag.com printed by | stampato da C.S.R. Srl - Tipografia Roma finito di stampare il 10 ottobre 2012 Registrata al Tribunale Civile di Roma n° 211/2010 del 13/05/2010

ROME Books hop s L ib re ria Ka p p a vi a Gram s ci 33 + p i azza Fontane l l a Borghe s e 6 D is c o te c a L a z ia le vi a Mam i ani 62 Aud ito rium Pa rc o d e lla M us ic a vi al e Pi et ro de C oub e r t i n Altro Qua nd o vi a de l Gove r no Ve cchi o 80, 82, 83 Mus e um s M AX X I vi a G ui do Re ni 6 M ACRO vi a Ni zza 138 M us e o d e ll’Ara Pa c is vi a de i Baul ar i 1 Ac c a d e m ia d i Fra nc ia vi al e De l l a Tr i ni tà De i Mont i 1 Ca s a d e ll’Arc hite ttura p i azza Manfre do Fant i 47 Gal l e r i e s M o nd o Biz z a rro vi a Re ggi o Em i l i a 32 U no s u Nove vi a de g l i Sp e cchi 50 RGB p i azza di Santa Mar i a L i b e rat r i ce 46 Fo nd a z io ne Vo lum e vi a Santa Mar i a d e l l ’A n i m a 1 5 C o m e S e v i a d e i B r u z i Fa c to r y_Ro m a vi a Por t ue ns e 223-225 Facul t y, Acade m i e s and C ul t ural I ns t i t ute s Fa c o ltà d i Arc hite ttura “L ud ovic o Qua ro ni” vi a Fl am i ni a 70 + vi a E. Gi ant urco 2 Fa c o ltà d i Arc hite ttura “Fo nta ne lla Bo rg he s e ” L argo de l l a Fontane l l a di Borghe s e Fa c o ltà d i Arc hite ttura Va lle Giulia vi a Antoni o Gram s ci Fa c o ltà d i Arc hite ttura Ro m a Tre vi a Madonna de Mont i 40 + L argo Gi ovanni Mar zi 10 Ac c a d e m ia d e lle Be lle Ar ti vi a di Ri p et ta 222 D ip a r tim e nto Arc hite ttura p i azza C ar racci 1 I s t i t uto Is ia Ro m a D e s ig n p i azza de l l a Maddal e na 5 IED vi a Gi ovanni Branca 122 + vi a Al cam o 11 Is tituto Qua s a r vi a Ni zza 152 Ac c a d e m ia d e lla M o d a vi a de l l a Rondi ne l l a 2 Is tituto Sviz z e ro vi a Ludovi s i 48 S tore s and Bar s 40 Gra d i vi a V i rgi l i o 1d Pa s s a g ua i V in Ca fè vi a Pom p oni o L eto 1 Ca s a Cle m e ntina vi a C l e m e nt i na Co f fe e Po t vi a de l l a L e ga L om b arda 52a Cua d ro s vi a de l G ove r no Ve cchi o 2m e vi a de g l i Or s i ni 26 Ba r d e l Fic o p i azza de l Fi co La Birre tta vi a Donate l l o 1 Pa ra p he rna lia vi a L e oni na 6 Sup e r vi a L e oni na 42 Pife b o vi a de i Se r p e nt i 141 + vi a de i Vol s ci 101/b Ro c k Cyc le vi a de i Vol s ci 44b Fre ni e Friz io ni vi a de l Pol i te am a 4 Il Ba re tto p i azzal e Gi us e p p e Gar i b al di Circ o lo d e g li Ar tis ti vi a C as i l i na ve cchi a Ne c c i vi a Fanful l a da L odi 68 Co nte s ta Ro c k H a ir vi a de l Pi gneto 75 + vi a de g l i Zi ngar i 9/10 U ltra s uo ni Re c o rd s vi a de g l i Zi ngar i 61/a Cla s s e Ar tig ia na M o nti vi a de l Bos chet to 76 Ba r M a ra ni vi a de i Vol s ci 57 M ia D e s ig n Bo o k vi a di Ri p et ta 224 Es tile vi a C hi ana 15 Ca f fè L e tte ra rio vi a Os t i e ns e 95 Tre e b a r vi a Fl am i ni a ve cchi a 226 Be a ve r to n vi a de i Se r p e nt i 96 Elvis L ive s vi a de i Vol s ci 48 and m any m ore … MI L AN Po lite c nic o d i M ila no p i azz L . da V i nci 32 Trie nna le Bovis a + Trie nna le V is io n L a b vi a L am b r us c IED D e s ig n vi a A . Sci e s a 4 Sp a z io Be rgognone , 27 M EET 2BIZ Alz a ia N Grande 14 T URI N Fo nd a z io ne Sa nd re Re b a ud e ng o vi a Modane Gurlino Arre d a m e nti vi a D D R vi a Be r t hol l et 11 To o lBox vi a Agos t i no da

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NEW YORK S to re fro nt fo r Ar t a nd Arc hite c ture 97 Ke nm are S t re et M o m a PS1 4601 21s t S t re et L ong I s l and C i t y


INDEX 22 Francesco Lipari QUASIMODO editorial (from the future) 28 Vanessa Todaro PALEOFEATURING Stefania Koller & Lukas Hüsser 32 Emmanuele Jonathan Pilia PAPER BASTARDS 36 CityVision FUCKINGOODAGENDA 40 Gregorio Pampinella NY GRAFFITI/ANDREA NELLI 44 Disguincio & co ROLAND SNOOKS 52 Davide del Giudice MUTATION IN EDUCATION Interview to Theodore Spyropoulos 64 Federico Giacomarra THE ART OF CITIES Interview to Mitchell Joachim 72 Andrea Debilio SHOHEI SHIGEMATSU 80 Francesco Gatti EVA FRANCH I GILABERT 82 Sebastian Di Guardo NEW YORK CITYVISION COMPETITION 86 CityVision NEW YORK CITYVISION WINNERS with interviews by Alessandro Orsini 104 CityVision NEW YORK CITYVISION SPECIAL MENTIONS 120 CityVision NEW YORK CITYVISION SELECTED ENTRIES 20

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ABOUT THIS ISSUE Questo numero è dedicato al paleofuturo (o retrofuturo), una corrente artistica contemporanea che trae ispirazione dal modo in cui il futuro è stato immaginato in passato. «Maledetto Futuro! Sì, proprio tu, Cassandra dei giorni nostri. […] Ma come “rifare” oggi l’uomo, ridandogli illusioni, fiducia e ansia in un futuro che guarda al passato? Un paradosso anacronistico degnamente affrontato in uno dei nostri più concorsi più riusciti: New York CityVision, protagonista di questo numero»

This issue is dedicated to paleofuture (or retro-future), a trend in the creative arts showing the influence of depictions of the future imagined in the past. «Damn Future! Yes, you, Cassandra of our days. […] But how can we “remake” man today, restoring his illusions, anxiety and confidence in a future that looks to the past? An anachronistic paradox worthily addressed in one of our most successful contests: New York CityVision, the protagonist of this issue»

COVER IMAGE from new york cityvision competition Enrico Pieraccioli Claudio Granato

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QUASIMODO editorial (from the future) by Francesco Lipari

Ok! Lo abbiamo appreso tutti. E a nostre spese. Maledetto Futuro! Sì, proprio tu, Cassandra dei giorni nostri. Eri così sexy e intrigante, muscoloso ed energico, così potenzialmente dotato di attrezzature super intelligenti che abbiamo creduto nei cani robot, le amanti di latta e i partner per sempre. E le nostre case? No! Non voglio credere che morirò dentro quattro mura squadrate!

collezione di Philip Dick e perfino Martin McFly… Grazie a te, in questo momento, mi sento quasi come Benjamin Button di Scott Fitzgerald nell’omonima vicenda ideata nel secolo scorso e portata nel nuovo dal Fincher di Fight Club: sono vecchio e cerco disperatamente di raggiungere una giovinezza lontana. Sai che c’è? Alla fine non ti condanno. È la tua natura dissenziente che ti fa perdere lucidità a vantaggio di caos ed incertezza. Eppure eri nato per aver avere un grande futuro, tu che eri il Futuro. Ma troppi hanno voluto che assumessi le sembianze di ciò che meno li spaventava colpendoti ripetutamente, fino a sfigurati. Infine, “regalandoti” nuove sembianze da Passato conservatore. Ma come nelle più belle storie di inizio Ottocento sei quasi il Quasimodo di Victor Hugo, nobile d’animo anche se di aspetto non comune. E se sei quel buffo mezz’uomo che tanto amava la sua cattedrale, allora riunisci i tuoi amici gargoyle e liberaci da tutti i mali. Amen.

Ma io, in realtà, ho capito chi sei veramente. E già da tempo. A tradirti sono state quelle “scarpacce” rotte che portavi sotto un luccicante tuxedo Armani. Diabolico come il Principe, astuto come Ulisse, ti sei insediato nelle nostre vite col tuo miglior Cavallo e, quando tutto era perduto, sei uscito allo scoperto e ci hai annichiliti svelando il tuo ruvido carattere. C’era da aspettarselo. In fin dei conti, nell’ultimo periodo, mi ero pure stancato di prevederti e di intuire i tuoi prossimi passi. Ormai mi avevi rovinato tutto Kubrick, mezza

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Immaginiamo insieme un nuovo futuro, anche se da una direzione contraria a quella di un secolo fa.


Viviamo esattamente cento anni dopo l’epoca di quei futuristi come Villemard che aveva immaginato la sua Parigi d’inizio secolo da un punto di vista davvero unico. Un approccio punk, o steampunk, che ci dà l’idea di come i nostri predecessori (o almeno una piccola schiera) immaginavano il futuro da una grande distanza, non solo temporale ma anche tecnologica, rispetto a quella in cui ci troviamo a vivere adesso.

Come architetto, con una vocazione a un design futuristico, credo in questa utopia – come manifestazione essenziale di cultura e di coscienza del nostro impegno verso un nuovo senso del fare – poiché, se non abusata, ci permette una progressione elevata delle nostre conoscenze immaginando scenari futuri capaci di intercettare esigenze che attualmente non esistono.

In quel periodo, l’orientamento al futuro ripercorreva profondamente il pensiero intrapreso dal ben più noto Jules Verne.

Ma come “rifare” oggi l’uomo, ridandogli illusioni, fiducia e ansia in un futuro che guarda al passato?

Una sorta di approccio leonardesco a un domani di prossima disfatta (il nostro) con architetti che progettano e costruiscono contemporaneamente da una cabina meccanizzata, senza ausilio di alcun operaio, autogrill per il ristoro dei piloti d’aerei e metropolitane sospese e dove piccoli studenti vengono indottrinati da cavi collegati a tritura-libri, probabile motivo di ispirazione per la famosa lirica Another Brick in the Wall. Le abitazioni avrebbero subito una rapida evoluzione nel giro di pochi anni. L’attuale domotica si sarebbe perfettamente integrata nelle loro case e il progresso chimico avrebbe permesso nuovi metodi di trasporto della materia e, quindi, nuove vie nel ripensare spazi e arredi. Visioni sicuramente vicine alle attuali condizioni delle città con crescite demografiche che si apprestano a trasformarle sempre più in megalopoli.

La risposta a questo paradosso anacronistico è degnamente affrontata in uno dei nostri più concorsi più riusciti: New York CityVision, protagonista di questo numero. FL

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THIS SPREAD 1. Cassandra Evelyn De Morgan (1898, London)

NEXT SPREAD 1. Frame from The Wall Roger Water (1982)

2. Detail from The Procession of the Trojan Horse in Troy Domenico Tiepolo (1773)

2,3,4. Retrofuture Postcards Willemard

3. Frame from The Curious Case of Benjamin Button David Fincher (2008)

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Ok! We’ve all understood. And at our expense.

lucidity in favor of chaos and uncertainty. You were born to have a great future, you that were

Damn Future! Yes, you, Cassandra of our days. You were so sexy and intriguing, so muscular and full of energy, so endowed with super intelligent equipment that we actually believed in robot pet dogs, tin lovers that would be our eternal partners. And our homes? No! I don’t want to believe that I will die in four square walls! But I in fact know who you really are. And I have known for some time. What betrayed you were those worn out shoes you wore under a shimmering Armani tuxedo. Evil as the Prince, cunning like Odysseus, you settled into our lives with your best horse, and when all was lost, you came out in the open and annihilated us revealing your rough character.

the Future. But too many wanted you to wear the guise of what scared them least hitting you repeatedly, nearly disfiguring you. Giving you, in the end, a new appearance of a conservative Past. But as the most beautiful stories of the late eighteenth century you are almost Victor Hugo’s Quasimodo, a noble spirit in an uncommon appearance. And if you’re that funny half man that loved his cathedral so much, then gather your gargoyle friends and deliver us from all evil. Amen.

It was to be expected. After all, during the last period, I’d got tired of foreseeing and understanding your next steps. I had ruined everything Kubrick, half of Philip Dick’s collection and even Martin McFly...

Let us imagine a new future together, albeit from a direction opposite to that of a century ago. We live exactly one hundred years after the time of those futurists, like Villemard, that had imagined his Paris of the early twentieth century from a unique point of view. A punk or steampunk approach, which gives us an

Thanks to you I nearly feel like F. Scott Fitzgerald’s Benjamin Button at the moment, a story of the past century that has been told anew by Fight Club director Fincher: I am old and desperately trying to reach a distant youth. You know what? At the end I don’t condemn you. It’s your dissenting nature that makes you lose

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Visions certainly close to the current conditions of the cities with population growth that are turning more and more into megacities. As an architect, with a vocation to a futuristic design, I believe in this utopia - as essential manifestation of culture and consciousness of our commitment to a new way of doing - because if not abused, it allows for high progression of our knowledge imagining scenarios able to intercept future needs that currently do not exist.

idea of how ​​ our predecessors (or at least a small group) envisioned the future from a great distance not only of time but also technology in respect to the way we live now .

But how can we “remake” man today, restoring his illusions, anxiety and confidence in a future that looks to the past? An anachronistic paradox worthily addressed in one of our most successful contests: New York CityVision, the protagonist of this issue. FL

At that time, future-oriented thinking deeply retraced the well known Jules Verne way of thinking. A sort of Leonardo’s approach to tomorrow’s next defeat (our own) with architects who design and build at the same time from a mechanized booth, without the aid of any worker, a roadside cafè where airplane pilots can rest and suspended subways where young students are indoctrinated by cables connected to book shredders, a likely inspiration for the famous opera Another Brick in the Wall. Houses would have undergone a rapid evolution over the next few years. The current automation would be perfectly integrated in their homes and chemical

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progress would allow new methods to transport materials and, therefore, new ways of rethinking spaces and furnishings.

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NEXT SPREAD 1. Quasimodo Antoine Wiertz (1806–1865) 2,3,4. Retrofuture Postcards Willemard


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PALEOFEATURING selected by Vanessa Todaro

project Vatican City Airport Stefania Koller & Lukas Hüsser / description Vatican City Airport, a heterotopian procession connecting earth and heaven. The Vatican with the St. Peter’s Basilica could be thought as the most amazing airport of world. Astonishingly the sequential spaces of the basilica could contain an airport perfectly: the colonnade links the airport with the city and houses the check-in counters. The facade with the narthex are the security check, before you enter the sacred and safe zone inside. The lateral chapels serve as shops, each one with it’s own “holy“ brand. In the central crossing stands a black monolith that tells your destination and destiny. You board your plane in one of the aisles and take of from the baroque runway axis. / developed in the architectural design studio of Prof. Charbonnet & Heiz at the ETH Zürich University, Switzerland / descrizione Vatican City Airport, una processione eterotopica che connette la terra e il cielo. Il Vaticano, con la sua Basilica di San Pietro, potrebbe essere pensato come l’aeroporto più incredibile del mondo. Sorprendentemente gli spazi sequenziali della basilica possono contenere aerei: il colonnato collega l’aeroporto con la città e le case con il check-in. La facciata con il nartece sono il controllo della sicurezza, prima di entrare all’interno della zona sacra. Le cappelle laterali vengono trasformate in negozi, ognuno con il proprio marchio “santo”. Nella navata centrale di attraversamento si trova un monolite nero che indica la destinazione e il destino. E voi a bordo del vostro aereo in una delle navate laterali sarete pronti a percorrere l’asse della pista barocca. / Sviluppato nello studio di progettazione architettonica del prof Charbonnet & Heiz presso l’ETH di Zurigo Università, Svizzera

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St.Peter’s Terminal copyright Stefania Koller & Lukas Hüsser

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Airfiled copyright Stefania Koller & Lukas H端sser

Duty Free copyright Stefania Koller & Lukas H端sser

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Floor Plan copyright Stefania Koller & Lukas H端sser 07 CITYVISION 31


Emmanuele Jonathan Pilia’s

Paper Bastards Step 1

La promessa del futuro Pare che le memorie del futuro che iniziano ad affastellarsi lungo l’arco dell’intera modernità abbiano superato una sorta di soglia critica, un punto di non ritorno: oramai è chiaro che siamo nostalgici di una promessa mancata. Eppure, in realtà, il futuro che ci è stato mostrato è arrivato puntuale: viaggiamo su mezzi che superano ogni umana possibilità, la lunghezza della nostra vita si è più che raddoppiata, l’umanità ha una sua ambasciata stabilmente in orbita nello spazio, ed altre ancora stanno per essere lanciate. In un certo senso, il genere umano ha superato il proprio immaginario. Ed ora si appresta a superare anche la propria stessa specie. L’ingegneria genetica ci rende più forti, più longevi. Le protesi ci permettono non solo di sopperire ad una mancanza, ma di superare le nostre prestazioni. Internet ci ha dato la possibilità di essere ovunque e di padroneggiare il dono dell’onniscenza. Il libro che, meglio di ogni altro in lingua italiana, esprime e sottolinea quanto la promessa di questo futuro proveniente dal passato sia stata onorata è senza dubbio Mutare o Perire, di Riccardo Campa. «Questo libro non ha paura di richiamarci apertamente all’esortazione nietzschana a “divenire ciò che siamo”, e si colloca in quello spazio prometeico, futurista ed apertamente postumanista della cultura europea» (p. 3). La bella introduzione di Stefano Vaj non lascia dubbi sull’indirizzo ideologico di Campa, ed in qualche modo, di tutti gli uomini che credono che ogni promessa proveniente dal futuro, è un debito da riscuotere. Un debito che Herbert George Wells sapeva che prima o poi sarebbe stato saldato. Wells si spinse più avanti di qualsiasi altro pensatore utopista prima di lui, proponendo una visione in cui lo stato delle cose fosse non solo auspicabile, ma anche perfettamente realizzabile. L’utopia di Wells è un’utopia evolutiva, incentrata sull’idea di eterno divenire. Queste solo le

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parole con cui l’autore sceglie di introdurre il suo libro: L’Utopia di un moderno sognatore non può che avere esigenze che differiscono in un aspetto fondamentale rispetto alle Nowheres e alle Utopie pianificate prima che il pensiero di Darwin accelerò il mondo. Ognuna di queste vecchie utopie erano descritte come degli stati statici, perfetti in un equilibro che ha sconfitto per sempre ogni disordine e disequilibrio. In ognuna di queste mostrano una generazione sana e semplice, gioire dei frutti della terrà in un clima di virtù e felicità, in attesa di essere seguita da altre virtuose e felici generazioni, del tutto simili alle precedenti, in attesa che gli Dei si stancheranno di tutto ciò. Cambiamento e sviluppo sono state arginate per sempre dietro delle dighe inviolabili. Ma la Moderna Utopia non può essere statica, ma cinetica, deve essere plasmata non come una condizione permanente, ma come uno stato di speranza a cui succederanno una lunga, infinita, serie di stadi ascendenti. […] Questa è la prima, generale, differenza tra una Utopia basata su una concezione moderna e tutte le altre utopie descritte in passato. (p. 8)

La radicalità di Wells non si lascia tradire dall’ingenuità: la sua utopia è energicamente aggrappata alla realtà che egli viveva, e da essa trae spunto. Nella città dell’avvenire intravista da Wells dominano il vetro e l’acciaio, così come ogni altra infrastruttura del tempo. La città intera è climatizzata e protetta da cupole, di una bellezza e di un’armonia che ricorda l’architettura di Eiffel e di Viollet-le-Duc. Il gotico conosce una seconda vita grazie alle possibilità offerte dall’acciaio, liberando l’architetto dalla discutibile abitudine di imitare templi greci e chiese fiorentine, dal misfatto di copiare Leonardo o Michelangelo. Proprio loro, «Come avrebbero esultato a modellare liberamente l’acciaio! Non ci sono documenti più patetici dei memorandum di Leonardo. Lo si vede continuamente tendere le mani verso le possibilità che si schiuderanno solamente al moderno ingegnere. […] Se fossero vissuti al nostro tempo, questi uomini avrebbero voluto costruire viadotti, collegare tra loro luoghi inaccessibili, diramare immense strade ferrate nelle viscere delle più grandi montagne del mondo. […] Gli edifici delle città utopistiche, sono la realizzazione di questi sogni» (p. 156).


Step 2

Step 3

Un secolo divide questi due pensatori, Campa e Wells. Eppure, lo spirito che dà voce ai loro pensieri sembra essere lo stesso. Uno spirito che ha animato un dibattito che si protrae lungo l’intera modernità, e che è figlia della riconquistata fiducia dell’uomo verso le proprie capacità. Un tale spirito prometeico non poteva che stimolare un complesso immaginario visivo, tanto più che proprio la modernità ha portato con sé una rinata possibilità di produrre e distribuire immagini. Si potrebbe parlare a lungo sugli illustratori che hanno creato l’immagine del futuro. Un immagine a cui siamo talmente assuefatti da non riuscire a vedere altro futuro se non appartenente ad alcune rimostranze grafiche. Albert Robida influenzò pesantemente Sant’Elia e Garnier, così come, più recentemente, la cinematografia ha influenzato, e sta ancora influenzando, la resa grafica di qualsiasi studio architettonico che voglia paventare una patina futuribile ai propri render. In tal senso, uno dei libri che più colpiscono per capacità di proiettarsi in maniera più convincente in quelli che sarebbe dovuto essere l’immagine del futuro è senz’altro The Usborne Book of the Future, una carrellata di immagini e situazioni utilizzate a scopo didattico per educare i bambini americani al mondo che l’impegno della scienza e delle arti gli permetterà di vedere. Il fatto che la Usborne si sia presa il disturbo di editare un libro del genere è significativo: l’idea di poter educare i giovani all’abitudine di un mondo che dovrà cambiare rapidamente sotto i loro occhi era così potente da spingere la casa editrice a produrre un mirabile testo di illustrazioni, dove l’evoluzione di ogni attività umana viene mostrata come ci trovassimo di fronte a un prodotto di consumo, o un giocattolo, nemmeno poi così nuovo. Questo è un aspetto significativo, perché gran parte del fascino di queste immagini derivano dalla loro attualità e dal fatto che queste provengono da un futuro così prossimo da essere già quasi passato. D’altra parte è una sensazione che molti bambini italiani nati dagli anni ’60 in poi, almeno quelli che hanno avuto la disavventura di seguire serie animati giapponesi. Per quanto l’argomento possa sembrare effimero, sottovalutare l’influenza che questo tipo di prodotti possano aver avuto sui quei giovani credo che sia un gravissimo errore. Quei bambini ora sono degli uomini, ed alcuni di essi stanno progettando il mondo che ci circonda. Ancora una volta, un antico futuro riemerge sotto le spoglie di interfacce, di oggetti e di edifici che non celano questa eredità. Questa è una delle tesi sostenute dal curioso libro di Fabio Bartoli, Mangascienza. Un testo che non solo che consiglio non solo all’appassionato, ma anche allo studioso ed a chi si è sempre interessato al tema della rappresentazione architettonica.

Eppure, se è vero che l’uomo ha una sempre maggior affezione verso il futuro, un bisogno sempre maggiore di conoscere ciò che verrà, perché ci dimostriamo nostalgici verso le manifestazioni del futuro che vengono dal passato? Perché, nonostante siamo in grado per la prima volta di superare quel futuro sognato dai nostri padri, è oggi diffusa la tentazione di rivolgere ancora i nostri sguardi alle visioni del passato? Perché, oggi che viviamo in quel futuro, abbiamo perso la spinta per proiettarci ancora più avanti? Oppure, ribaltando la domanda, non è forse arrivato il tempo di seppellire quelle visioni per concentrarci su quanto si sta producendo oggi? Il sentire diffuso è che si sia perso qualcosa, si sia persa quella forza di spingersi ancora più in là, senza paura di apparire poco scientifici, buffi o goffi. O forse, è il nostro tempo che non ci permette di scrollarci di dosso il presente: negli ultimi dieci anni si sono affastellati fatti a centinaia. Fatti che sono già ora storicizzati e catalogati. Forse la nostra vicinanza, l’essere al centro del ciclone, forse l’ossessiva concentrazione sul presente, rende impossibile definire bene i contorni di qualsiasi fenomeno possa accadere, o essere pianificato, nel prossimo decennio. O forse, infine, stiamo semplicemente vivendo un periodo di accumulazione. Come tanti altri nel passato. La storia dell’immaginario tecnologico in qualche modo è parallela alla storia dell’architettura moderna. Mettere a confronto due libri come Storia illustrata della fantascienza, di James Gunn, e Storia dell’architettura e dell’urbanistica moderne, di Michel Ragon, lo dimostrano. Ponendo entrambi enfasi sull’importanza della rivoluzione industriale nello sviluppo di queste due storie del futuro, i testi sottolineano come «ciò che abbiamo visto […] è che la ricerca genera la ricerca, grazie ad improvvisi passi da gigante, l’urbanistica e l’architettura avanzano a piccoli passi» (Michel Ragon, vol. III, p. 248). La dimostrazione di ciò, è contenuta in questi stessi due libri sul futuro, oramai troppo vecchi per essere ristampati.

L’immagine del futuro

La storia del futuro

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Step 1

Promise of the future It seems that the memories of the future, over the entire modernity, have passed a sort of critical threshold, a point of no return: it is clear that we are nostalgic for a broken promise. To tell the truth the future that was shown to us arrived on time: we travel on vehicles that exceed all human possibility, the length of our lives is more than doubled, humanity has a permanent embassy in orbit in space, and others are about to be launched. In a sense, the human race has passed it’s imagination. And now it is going to exceed even it’s own species. Genetic engineering makes us stronger, allowing us to live longer lives. Artificial prosthesis allow us not only to make up for a deficiency, but to exceed our performance. Internet has given us the ability to be everywhere and to master the gift of omniscience. The book that best expresses and underlines the promise of the future from the past has been honored undoubtedly in Mutare o Perire, by Riccardo Campa. «This book is not afraid to openly recall Nietzches’s exhortation “to become what we are” and fits itself into a Promethean space, a futuristic and openly posthumanist space of European culture» (p. 3). The beautiful introduction by Stefano Vaj leaves no doubt of Campa’s ideological address, and somehow, of all men who believe that every promise from the future, is a debt to be collected. A debt that Herbert George Wells knew that sooner or later would have been paid. Wells went further than any other utopian thinker, offering a vision in which the state of affairs is not only desirable, but also perfectly feasible. Wells’s utopia is an evolutionary utopia, focused on the idea of eternal becoming. These are the words with which the author chooses to introduce his book: The Utopia of a modern dreamer must have the need to differ in one fundamental aspect in respect to the Nowheres and the man planned Utopias that existed before Darwin’s new thought gave the world a boost. Each of these

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old utopias were described as static states, in perfect balance, that had defeated any kind of disorder and insanity forever. Each one beholds a healthy and simple generation that takes joy in the fruits of the earth in an atmosphere of virtue and happiness, to be followed by other virtuous, happy, and entirely similar generations, until the Gods locked behind weary. Change and development were dammed back by invincible dams forever. But Modern Utopia can not be static but kinetic, it must be shaped not as a permanent condition but as a hopeful stage, leading to a long ascent of stages. […]That is the first, most generalised difference between a Utopia based upon modern conceptions and all the Utopias that were written in former times. (p. 8) The radicality of Wells isn’t cheated by ingenuity: his utopia is energetically clinging to the fact that he lived, and is inspired from this. In the city of the future glimpsed by Wells, glass and steel dominate, as well as any other infrastructure of the time. The whole city is air conditioned and protected by domes, a beauty and harmony that recalls the architecture of Eiffel and Viollet-le–Duc. The Gothic knows a second life thanks to the possibilities offered by steel, freeing the architect from the questionable habit of imitating Greek temples and churches in Florence, from the crime to copy Leonardo or Michelangelo. And they, «There have been a few forerunners and that is all. Leonardo, Michaelangelo; how they would have exulted in the liberties of steel! There are no more pathetic documents in the archives of art than Leonardo’s memoranda. In these, one sees him again and again reaching out as it were, with empty desirous hands, towards the unborn possibilities of the engineer. […]In our times these men would have wanted to make viaducts, to bridge wild and inaccessible places, to cut and straddle great railways athwart the mountain masses of the world. […]These Utopian town buildings will be the realisation of such dreams» (p. 156).


Step 2

Image of the future A century separates these two thinkers, Campa and Wells. Yet, the spirit that gives voice to their thoughts seems to be the same. A spirit that has animated a debate that has continued throughout modernity, and is the fruit of mans regained confidence in his skills. Such a Promethean spirit that could not but stimulate a complex visual imagery, especially as its modernity has brought with it a renewed ability to produce and distribute images. You could speak at length on the illustrators who created the image of the future. An image in which we are so used to not being able to see the future if it does not belong to some kind of graphic representation. Albert Robida heavily influenced Sant’Elia and Garnier, in the same way as film making has recently influenced and is still influencing the graphic performance of any architecture firm that wants to make it look futuristic for it’s own interpretation. In this sense, one of the books that has the most striking capacity to project more convincingly in what was supposed to be the image of the future is The Usborne Book of the Future, a series of images and situations used for educational purposes to educate American children that the world’s commitment to science and the arts allows him to see. The fact that the Usborne has edited a book like this is significant: the idea of educating young people to the custom of a world that will have to change quickly before their eyes was so powerful to push the publishing house to produce an admirable illustrated text, where the evolution of all human activity is shown as if we were faced with a consumer product, or a toy, that isn’t even that new. This is a significant issue, because most of the charm of these images derived from their relevance and the fact that they come from a future so near that it is already almost gone. On the other hand it’s a feeling that many Italian children born from the ‘60s on know, at least those who have had the misfortune to follow Japanese animated series. Although the topic may seem ephemeral, to underestimate the influence that these products may have had on those young people is a serious mistake. Those children are now men, and some of them are designing the world around us. Once again, an old future emerges in the guise of interfaces, objects and buildings that do not conceal this legacy. This is one of the arguments put forward by Fabio Bartoli’s weird book, Mangascienza. Not only do I recommend this book to that I recommend not only the enthusiast, but also to the student who has always been interested in the subject of architectural representation.

Step 3

History of the Future

if it is true that man has a growing affection for the future, an increasing need to know what will come, why are we so nostalgic to the events of the future that come from the past? Why, although we can for the first time exceed that future dreamed by our fathers, is there today now a widespread temptation to turn our eyes again to the visions of the past? Why, now that we live in that future, have we lost the urge to project ourselves a step further? Or, reversing the question, iisn’t it time to bury those visions to focus on what is being produced today? It almost seems that you are missing something, that we have lost the strength to go even further, without fear of appearing unscientific, clumsy or awkward. Or maybe, it’s our time that does not allow us to shake off the present: in the last ten years hundreds of facts have been bundled. Facts that are already purged and cataloged. Maybe our proximity, being at the center of the storm, perhaps the obsessive concentration on the present, makes it impossible to clearly define the boundaries of any phenomenon to happen, or to be planned in the next decade. Or maybe, finally, we are simply experiencing a period of accumulation. Like so many others in the past. The history of technological imaginary is in some way parallel to the history of modern architecture. The comparison of two books, the “Illustrated History of Science Fiction”, by James Gunn, and “histoire de l’architecture et de l’urbanisme modernes”, by Michel Ragon, prove it. Both placing emphasis on the importance of the industrial revolution in the development of these two stories of the future, the texts point out that “what we have seen [...] is that research generates research, thanks to sudden leaps and bounds, urban planning and ‘architecture continue to slowly advance “(Michel Ragon, vol. III, p. 248). The proof of this is contained in those two books about the future, now too old to be reprinted.

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AA ROME VISITING SCHOOL FORM AS UNKNOWN (X) Roma, 17-26 OTTOBRE 2012 Dal 17 al 26 ottobre a Roma si terrà il workshop internazionale AA Visiting School “Form as Unknown (X)”, organizzato dalla Architectural Association School (AA) di Londra. Il programma è diretto da Lorenzo Vianello, architetto presso Foster and Partners, ed Arturo Tedeschi, architetto e ricercatore indipendente. L’evento sarà ospitato presso la galleria di architettura “Come Se” in via dei Bruzi 4/6. Il workshop, della durata di 10 giorni, sarà tenuto dai due direttori e da docenti d’eccezione come gli architetti Lawrence Friesen, docente presso la AA, Ludovico Lombardi e Fulvio Wirz, entrambi lead architects presso Zaha Hadid Architects, e Maurizio Arturo Degni, computational designer presso Studio Kami. Il partner principale del workshop è Solido 3D, azienda romana di eccellenza nel settore della prototipazione rapida. Il dibattito sarà incentrato sulla progettazione di strutture parametriche e coinvolgerà le teorie e le tecniche dell’architettura d’avanguardia. Queste ultime saranno interpretate in continuità con le sperimentazioni del passato di matrice italiana, con particolare riferimento al lavoro pionieristico dell’ingegnere Sergio Musmeci. Verrà, inoltre, indagata la “vocazione romana” al minimo strutturale confermata da capolavori che vanno dal Pantheon alle opere di Pierluigi Nervi. La discussione finale dei progetti sarà aperta al pubblico su prenotazione, ed è prevista per la mattina di Venerdi 26 Ottobre. Sarà possibile partecipare all’evento inviando i propri dati all’indirizzo: rome@aaschool.ac.uk Seguirà nel pomeriggio una mostra che verrà inaugurata dal final party. Iscrizioni al workshop Le iscrizioni al corso sono chiuse per raggiungimento del numero massimo di iscritti. In virtù del grande interesse riscontrato sarà riproposta una seconda AA Visiting School nella città di Roma in primavera. Prenotazioni e ulteriori informazioni Direttori del programma della AA Rome Visiting School: Lorenzo Vianello e Arturo Tedeschi rome@aaschool.ac.uk

The international workshop AA Visiting School "Form as Unknown (X)" will take place from 17 to 26 October in Rome, Italy. The event is arranged by the Architectural Association School (AA), London. The programme is directed by Lorenzo Vianello, architect at Foster and Partners, and Arturo Tedeschi, architect and independent researcher. The event will be hosted at “Come Se”, via dei Bruzi 4/6 The 10 day workshop will be held by the two directors with Lawrence Friesen, tutor at the AA, Ludovico Lombardi and Fulvio Wirz, both lead architects at Zaha Hadid Architects, and Maurizio Arturo Degni, computational designer at Studio Kami. The main partner of the workshop is Solido 3D, company based in Rome which offers the high end rapid prototyping service. The debate will focus on the design of parametric structures and will involve cutting-edge theories and techniques. The latter will be redeveloped in continuity with the experiments of the past of Italian origin, with particular reference to the pioneering works by engineer Sergio Musmeci. The “Roman vocation” to minimum structure, confirmed by the structural masterpieces ranging from the Pantheon to Pierluigi Nervi’s works, will get investigated and reinterpreted. The final projects review will be open to public on reservation and it is planned to take place on Friday morning 26 October. Booking a place is possible by sending the guest’s details to: rome@aaschool.ac.uk In the afternoon an exhibition of the students’ works inaugurated by the final party - will be held. Workshop applications The registrations to the course are already closed due to the achievement of the maximum number of participants. For the reason of this popular demand another AA Visiting School is planned to take place in Rome next Spring. Reservations and further information Programme directors Lorenzo Vianello, Arturo Tedeschi rome@aaschool.ac.uk www.aaschool.ac.uk/STUDY/VISITING/rome www.rome.aaschool.ac.uk/

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TOOLBOX COWORKING Ouishare Drink Torino 10 ottobre 2012 - h 18.30

Carpooling, co-housing, crowdfunding, prestiti peer to peer, crowdsourcing, open hardware, DIY, piattaforme collaborative, coworking... Grazie alla tecnologia digitale si sta affermando un nuovo paradigma economico che trasforma il modo di produrre e distribuire prodotti, servizi e conoscenze, attraverso transazioni collaborative e diffuse. Per questo dopo Parigi, Berlino, Londra, Roma, Barcellona e altre città europee il 10 ottobre sbarca a Torino ouiShare Drink, un appuntamento live organizzato mensilmente in una città del mondo con l’obiettivo di far conoscere e diffondere i principi dell’economia della condivisione e dello Smart Sharing. Come local hub torinese del network globale ouiShare è stato individuato Toolbox Coworking, esempio calzante di Smart Sharing. Nato nel 2010 come progetto di ristrutturazione di un edificio industriale in un’area dismessa della città, Toolbox ha trasformato il lavoro autonomo in un atto sociale, dinamico e condiviso. Dalla postazione flessibile o dedicata in open space alla team room a misura di azienda, in Toolbox ha trovato il proprio spazio di lavoro una comunità di oltre 100 persone fra freelance, imprenditori e start-up. “Il progetto è stato concepito come un ibrido fra uno spazio ufficio tradizionale e un coworking” ci spiega Caterina Tiazzoldi, architetto del progetto, e nomad worker fra Torino e NYC, dove insegna alla Columbia University. “L’idea parte da una semplice domanda: dal momento che una persona può lavorare liberamente da casa con un computer e un wi-fi, che cosa cerca davvero in un luogo di lavoro? Desidera essere in un luogo con altre persone con cui condividere non solo lo spazio ma anche idee, e a volte preoccupazioni”. E hanno pensato la stessa cosa quelli di Officine Arduino e Fablab Torino, che in Toolbox Coworking hanno trovato la sede e una rete di persone con cui condividere idee, progetti e…i fornelli in cucina! www.toolboxoffice.it // toolboxtorino.blogspot.it //ouishare.net

Carpool, co-housing, crowdfunding, peer to peer lending, crowdsourcing, open hardware, DIY, collaborative platforms, coworking... Thanks to digital technology a new economic paradigm arises, transforming the way we produce and distribute products, services and knowledge through collaborative and distributed transactions. Thus, after Paris, Berlin, London, Rome, Barcelona and other European cities on October 10th arrives in Turin ouiShare Drink, a live event organized monthly in a world city with the aim of promoting and disseminating the principles of Sharing Economy. The ouiShare global network has identified Toolbox Coworking as the perfect local hub in Turin for Smart Sharing. Born in 2010 as a project of renovation of an industrial building in an abandoned area of the city, Toolbox has transformed self-employment in a social, dynamic and shared phenomenon. From flexible to dedicated workstations in a wide open space to the “team rooms” suitable for companies, Toolbox hosts a community of more than 100 people, among freelancers, entrepreneurs and start-ups. "The project was conceived as a hybrid between a traditional office space and a coworking" explains Caterina Tiazzoldi, architect of the project, and nomad worker between Turin and New York City, where she teaches at Columbia University. "The idea starts with a simple question: since a person can freely work from home with a laptop, and a wi-fi, what does he/she really look for in a workplace? He/she wants to be in a place with other people who share not only space but also ideas, and sometimes concerns. "

© Sebastiano Pellion da Persano

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People from Officine Arduino and FabLab Torino must have thought the same, since they found their headquarter in Toolbox Coworking, together with a network of people with whom they share ideas, projects and... the stove in the kitchen!


ACADIA 2012

Istanbul Design Biennial

SAN FRANCISCO // OCTOBER 18–21

13 October to 12 December 2012

CONFERENCE The conference will highlight experimental research and projects that explore the reciprocity and synergy between bits and atoms, the digital and the physical, and between digital code and material logic. Synthetic Digital Ecologies will bring together designers, researchers and practitioners who engage, question and aspire to stretch these boundaries. Architects, fabricators, engineers, technologists, media artists, hackers and others in related fields of inquiry are invited to participate.

KEYNOTE SPEAKERS

PRESENTATIONS

NERI OXMAN

50 PEER-REVIEWED PAPERS 15 PEER-REVIEWED PROJECTS CURATED EXHIBITIONS TOPICAL PANELS WORKSHOPS EXHIBITORS

M IT M ED IA L AB

GREG LYNN UCL A / YAL E

SAUL GRIFFITH OT HER L AB

ACHIM MENGES

UNIVER SIT Y O F ST UT TGAR T

MANUEL DELANDA PR AT T / USC

ORGANIZATION JASON KELLY JOHNSON (CCA) CO NF ER ENCE CHAIR

WEBSITE

.acadia.org

MARK CABRINHA (CAL POLY) CO NF ER ENCE CO - CHAIR

KYLE STEINFELD (UC BERKELEY) CO NF ER ENCE CO - CHAIR

NATALY GATTEGNO (CCA) EX HIB IT IO N CO - CHAIR

BRIAN PRICE (CCA) EX HIB IT IO N CO - CHAIR

CALIFORNIA COLLEGE OF THE ARTS HO ST SCHO O L

CONFERENCE SPONSORS

ADDITIONAL SPONSORS

FORM4ARCHITECTURE | TEX-FAB / DFA AIA-TAP | SFMOMA | OSCAR PRINTING

Acadia 2012

18 to 21 October 2012 The conference will highlight experimental research and projects that explore the reciprocity and synergy between bits and atoms, the digital and the physical, and between digital code and material logic. Synthetic Digital Ecologies will bring together designers, researchers and practitioners who engage, question and aspire to stretch these boundaries. Architects, fabricators, engineers, media artists, technologists, hackers and others in related fields of inquiry are invited to participate.

The first Istanbul Design Biennial will take place between 13 October-12 December 2012, under the curatorship of Emre Arolat and Joseph Grima, within the framework of the theme Imperfection, as suggested by Deyan Sudjic, Istanbul Design Biennial advisory board member and Director of the Design Museum in London. The Biennial exhibitions will explore creative products and projects from all disciplines of the creative industries in major fields from urban design (environmental, urban and regional planning) to architecture, interior architecture, industrial, graphic, fashion and new media design, as well as their subfields. www.istanbuldesignbiennial.iksv.org

Keynote Speakers: Greg Lynn, Ucla – Los Angeles, Ca Neri Oxman, Mit – Cambridge, Ma Saul Griffith – Otherlab, San Francisco, Ca Achim Menges – Stuttgart, Germany Manuel De Landa – New York, Ny www.2012.acadia.org

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Mancano ancora nove anni all’uscita del documentario ‘Style Wars’ ma le tag hanno già invaso le superfici di tutta la City. È il 1972, writers appena maggiorenni con nomi improbabili rivendicano la propria posizione nel mondo: il pennarello è il loro ‘google maps’. Forse attraversano strade così lontane da casa che quasi, quelle scritte, restituiscono loro un senso, in un contesto di massificazione e annullamento progressivo di luoghi dedicati alla socialità. Dalla delicata poetica di quegli scatti nasce l’urgenza di invitare Andrea Nelli ad Outdoor Urban Art Festival (out-door.it). Una mostra personale dedicata alla nascita del graffiti-writing, all’interno di un contesto che rivela, a Roma, le avanguardie di questa corrente chiamando artisti internazionali a confrontarsi con le architetture del quartiere Ostiense con il chiaro obiettivo di migliorare la vivibilità degli spazi pubblici, diffondendo la cultura della ‘bellezza urbana’. Un invito a Guardare in alto per riscoprire gli spazi urbani con un nuovo punto di vista ed una rinnovata gioia del colore.

NY Graffity/ Andrea Nelli

Andrea Nelli non parla molto del fermento creativo della New York degli anni ‘70. Lascia parlare una vecchia Leica, obiettivo 50 mm. Immagini che odorano di gas di scarico, di aria calda che esce dallo sfiato della metropolitana. È la New York che vede le prime donne in carriera che incrociano lo sguardo del fotografo, la New York dei manifestanti gay, delle black panthers, dei cantanti proto-punk con gli occhi pregni di eroina. Ed è la New York dei primi graffiti, che sono l’oggetto di ricerca dell’autore su cui sovente posa lo sguardo in modo sfuggente, quasi distratto.

by Gregorio Pampinella Art Director – NUfactory nufactory.it

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Andrea Nelli doesn’t talk too much about the creative turmoil of New York in the 70’s. He let an old Leica 50 mm lens talk on his behalf. Images that smell of exhaust fumes, like hot air coming out from the blowhole of the underground. It’s the New York of the first carreer women catching the photographer’s eyes, the NY of gay demonstrators, black panthers, proto-punk singers with their eyes overloaded by heroin. And it’s the New York of the first graffiti as well, specific interest of the author and his shifty glance. There are nine years to the release of the documentary ‘Style Wars’, nevertheless the tags have already overrun the surfaces of the whole City. It’s 1972 and graffiti-writers just

over eighteen with funny names claim their position in the world: the markers are their ‘google maps’. Maybe they were crossing streets so far from their homes that, those graffiti gave them back a meaning, in an ever increasing scenario of massification and annihilation of social spaces. From the delicate poetics of those shots arises the urgency to present Andrea Nelli inside Outdoor Urban Art Festival (out-door.it). A personal exhibition dedicated to the birth of graffiti-writing within a context that is unveiling in Rome the vanguards of this movement, calling international artists to confront themselves with the architectures of Ostiense neighborhood. A relation that is trying to answer to a precise aim: improving the liveableness of public spaces and spreading the culture of ‘urban beauty’. An invitation to Look Up to rediscover urban spaces with a renewed point of view and through the joy of colors.

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Roland Snooks article and interview by Disguincio & Co

Nella ricerca contemporanea è sempre più diffuso l'uso di sistemi simulativi basati su agenti. Roland Snooks, uno dei protagonisti del panorama architettonico internazionale, ci racconta in questa intervista le qualità che questi sistemi portano alla progettazione, interrogandosi su quali siano le idee architettoniche dietro queste indagini. M&M: Un passaggio interessante nell’utilizzo di agent systems a fini progettuali, consiste nell’interpretazione della simulazione, ovvero come tradurre comportamento, posizione, intensità di interazione, in materia di progetto e quindi poi in architettura. Dall’utilizzo di punti che definiscono diverse densità, alla definizione di moduli che si adattano e distribuiscono nel sistema in base alla posizione degli agents, fino alla definizione delle traiettorie. Qual è quindi l’elemento decisionale per determinare quale sarà il linguaggio più idoneo per materializzare il progetto? Come avviene questo passaggio dal comportamento di un sistema alla forma dello stesso? RS: L’approccio che ho sviluppato usando tecniche di progettazione basate su agenti, non è un tentativo di tradurre il comportamento astratto, o biologico, di sciami in architettura. Al contrario il mio interesse sta nel codificare o stimolare intenzioni e decisioni architettoniche molto precise, attraverso l’interazione comportamentale di agenti computazionali. L’intenzione qui è di generare un intento progettuale autoorganizzato. Il linguaggio architettonico non è scelto ma è invece una sensibilità emergente. Questa emergenza non è puramente computazionale, invece il linguaggio di un progetto è districato da un processo caotico, un costante avanti e indietro tra strategie progettuali generative e decisioni progettuali più dirette. M&M: Quando vedo i test sulla Fibrous House, penso: “Wow! Questo è come costruiremo nel futuro”. Strutture leggere, ridondanti, ed elastiche. Qual è però, l’idea di abitare che sta dietro queste architetture, quindi il rapporto tra uso degli spazi e definizione degli spazi? In che modo questo tipo di ricerca è una proposta consapevole di un’alternativa dell’abitare o di tipologie spaziali, future? L’architettura occidentale è tradizionalmente caratterizzata dalla definizione dello spazio tramite l’allestimento di confini netti, questo per ragioni simbolico-istituzionali e ovviamente per ragioni ambientali, come il controllo del proprio ambiente di vita. Reyner Banham in “Architecture of the well-tempered environment” faceva riferimento alle “società che non costruiscono strutture sostanziali, abitano uno spazio i cui confini sono vaghi, riconfigurabili e raramente regolari”. Lavorare con gli agents sembra proprio definire quello strumento progettuale che più si avvicina a questo modo di abitare lo spazio, in cui sistemi multi performanti ed eterogenei dematerializzano il concetto di confine. Qual è quindi il valore dell’involucro (del limite) in un’architettura che esalta delle traiettorie definendo intrecci più che superfici? Quali sono, a tuo parere, le qualità architettonicospaziali che questo approccio offre alla progettazione? RS: Negli ultimi anni sembra che ci sia un crescente entusiasmo in alcuni angoli dell’architettura contemporanea nell’uso di simulazioni basate su moltitudini di agenti per testare il modo di abitare o utilizzare gli spazi. Questo approccio non è per 44

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niente generativo dato che si limita a testare o valutare un design proposto, che si basa sull’abilità di simulare in modo accurato le sfumature delle azioni delle persone, che è una rivendicazione dubbiosa persino nelle più rigorose simulazioni di folle. Il mio approccio non consiste nel considerare gli agenti come persone, ma come architettura. Sono interessato nell’interazione delle decisioni architettoniche e nell’emergenza delle formazioni architettoniche. È vero che il mio approccio architettonico si oppone alla superficie e alla semplice determinazione di elementi architettonici. Questa diffusa caratteristica è parzialmente un’influenza innata nei sistemi complessi e parzialmente un deliberato tentativo di sfidare le gerarchie lineari dell’architettura, quelle che articolano una separazione degli elementi o sistemi architettonici come struttura, pelle e ornamento. Al contrario io sono interessato nella compressione e mutua negoziazione di questi sistemi in una continua geometria architettonica o in una continua materia. Mentre questo lavoro è guidato parzialmente da un interesse concettuale nella negoziazione non-lineare delle decisioni e sistemi architettonici, è guidato anche da una serie di esperimenti formali ed estetici. Un esempio è il continuo interesse nell’esplorare le implicazioni estetiche e le influenze formali di grandi popolazioni di sistemi agente. M&M: Qual è la sua posizione relativamente al passaggio dalla simulazione ad una “stigmergic fabrication”, quando ovvero la simulazione non si limita alla costruzione della forma ma proprio all’effettiva costruzione dell’edificio? Lei è più incline a considerare la coincidenza tra queste o la differenza? RS: Stigmergic fabrication è un termine che ho coniato per descrivere una strategia per la concentrazione di progettazione algoritmica e fabbricazione robotica in una singola operazione. Questa strategia codifica decisioni architettoniche, come i comportamenti macchina che rispondono alle condizioni esistenti, quindi allestendo un ritorno di informazione ciclico tra l’assemblamento fisico e le intenzioni progettuali. Il processo risponde al comportamento del materiale, permettendo al materiale di giocare un ruolo attivo nell’emergenza dell’architettura, più che essere ridotti a mero recettore di forme predeterminate. Le questioni della progettazione algoritmica e della fabbricazione robotica sono molto differenti, ma invece di far anticipare una rispetto l’altra in una sequenza lineare di relazioni, la stigmergic fabrication presuppone una negoziazione nonlineare tra le due. M&M: Ogni sistema nella sua crescita e trasformazione, incorpora numerosi aspetti: materici, funzionali, strutturali, ecc. In questa sua ricerca, quanta importanza assumono e in che modo influiscono sulle prestazioni del progetto sia a livello strutturale che decorativo?


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THIS SPREAD 1. FibrousHouse ph. courtesy of Kokkugia

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NEXT SPREAD 1. Namoc ph. courtesy of Kokkugia

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RS: L’incorporazione dell’intento architettonico è critico rispetto la formazione per comportamento, non solo nel modo in cui l’edificio opera, ma più fondamentalmente, la codifica dell’intento con processi algoritmici è essenziale per un coerente approccio progettuale più che il processo di agire meramente come un generatore formale astratto. Alcuni di questi comportamenti sono direttamente legati all’operatività del progetto, come l’affastellamento di strutture fibrose che permette di avere stabilità strutturale, per quanto altri comportamenti siano più astratti, qualità emergenti e altre inclinazioni sono districate dalle loro interazioni, più che codificare un preciso intento architettonico. M&M: Quando mi confronto con l’attività progettuale, faccio affidamento a diverse ossessioni personali, in una tua intervista, hai parlato degli agents definendoli proprio come la tua ossessione. Cos’è per te un’ossessione progettuale, ma soprattutto, in che misura ti proteggi/confronti da essa? RS: Sviluppare un approccio generativo comportamentale verso una progettazione architettonica attraverso intelligenza a sciami e algoritmi multi-agente è chiaramente una focalizzazione, se non un’ossessione, che ha occupato il mio lavoro da 10 anni. Tuttavia questo metodo è piuttosto ampio, un approccio generalizzato alla generazione non-lineare di complesse forme e organizzazioni architettoniche. Man mano che queste ricerche si sviluppano, continuano a generare nuove strade di ricerca offrendo nuove opportunità. È inerentemente un progetto senza fine. La Criticità è la protezione contro l’ossessione, nel caso della progettazione generativa questa criticità deve essere al livello dell’artefatto progettato, più che permettere di concentrarla per dissolverla nella feticizzazione del processo progettuale.

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In contemporary research is becoming increasingly widespread the use of agentsystem simulations. Roland Snooks, one of the protagonists of the international architectural scene, tells us in this interview what are the qualities that these systems give to the design practice, wondering what are the architectural ideas behind these investigations. M&M: An interesting step in the use of agent systems in the design process, is the interpretation of simulation, in other words how to translate the behaviour, the position, the intensity of interaction in the project and later in architecture. From the use of points that define different densities, to the definition of modules that fit and distribute themselves in the system based on the position of the agents, to the definition of the trajectories. Which is then, the decisional element to determine what will be the most appropriate language to mate rialize the project? How does this transition from the behavior of a system to its form occur? RS: The approach I have developed using agent-based techniques for design is not an attempt to translate the behavior of abstract, or biological swarms into architecture. Instead my interest is in encoding or seeding very specific, architectural, intentions and decisions within the behavioral interaction of computational agents. The intention here is to generate a self-organised design intent. The architectural language is not one that is selected – it is instead an


emerging sensibility. This emergence is not purely a computational one – whereas a project’s language is teased out of a messy process, a constant back and forth between generative design strategies and more direct design decisions. M&M: When I see the tests about the Fibrous House, I think: “Wow! This is how we will build in the future.” Lightweight, redundant and elastic structures. What is, however, the idea of inhabiting, behind these architectures, therefore the relationship between the use of space and the definition of the space? In which way is this kind of research an aware proposal of an alternative way to live or an alternative type of space for the future? Western architecture is traditionally characterized by the definition of space through the establishment of clear boundaries, this for institutional-symbolic and of course, for environmental reasons, such as control of the living environment. Reyner Banham in “Architecture of the well-tempered environment” referred to “societies who do not build substantial structures inhabit a space whose external boundaries are vague, reconfigurable and rarely regular”. Working with agents seems to define a design tool that comes closest to this way of living the space, in which multiperformance and heterogeneous systems dematerialize the concept of border. What is then the value of the envelope (the limit), especially in a kind of architecture that enhances trajectories defining interweavings rather than surfaces? What is, in your opinion, the architectural and space quality that this approach provides to the design practice?

RS: In the last year of two there seems to be a growing enthusiasm within certain corners of contemporary architecture for the use of agent-based crowd simulation to test inhabitation or use. This approach is in no way generative as it merely tests or evaluates a proposed design – this in itself is predicated upon the ability to accurately simulate the nuanced actions of people, which is a dubious claim of even the most rigorous crowd simulations. My approach is not to consider agents as people, but as architecture. I am interested in the interaction of architectural decision and the emergence of architectural formations. It is true that my architectural approach resists surface and the simple delineation of architectural elements. This diffuse characteristic is partly an innate bias within complex systems and partly a deliberate attempt to challenge the linear hierarchies of architecture – those that articulate a separation of architectural elements or systems such as structure, skin and ornament. Instead I am interested in the compression and mutual negotiation of these systems within a continuous architectural geometry or matter. While this work is driven in part by a conceptual interest in the non-linear negotiation of architectural decisions and systems, it is also driven by a set of formal and aesthetic experiments. An example of which is the continued interest in exploring the aesthetic implications and formal affects of high population M&M: What is your position regarding passage from the simulation to a “stigmergic fabrication”, when, in other words, the simulation is not limited to the construction of form but its actual construction of the building? Are you more inclined to consider the coincidence or the difference between these steps?

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RS: Stigmergic fabrication is a term I have coined to describe a strategy for the compression of algorithmic design and robotic fabrication in a single operation. This strategy encodes architectural decisions as machine behaviors that respond to the existing condition, hence setting up a feedback loop between the physical assemblage and design intentions. The process responds to the behavior of material, enabling material to play an active role in the emergence of architecture, rather than reducing it to a mere receptor of predetermined form. The issues of algorithmic design and robotic fabrication are very different, however instead of one anticipating the other in a linear sequential relationship, stigmergic fabrication posits a non-linear negotiation between the two. M&M: Each system in its growth and transformation, incorporates a number of aspects like matter, function, structure, etc... In your research, what’s the importance of these aspects and how do they affect the performance of the project at both structural and decorative level? RS: The incorporation of architectural intent is critical to behavioral formation, not just in the way the building performs, but more fundamentally the encoding of intent with algorithmic processes is essential to a coherent architectural design approach rather than the process acting merely as an abstract formal generator. Some of these behaviors are directly tied to the performance of a project, such as the bundling of structural fibers enable structural stability, rather than other behaviors that are more abstract, emergent qualities and affects are teased out of their interactions, rather than encoding precise architectural intents. M&M: When I’m involved with the design work, I rely on various personal obsessions, in a previous interview, you spoke about agents defining them as your obsession. What is a design obsession for you, but more importantly, in which way do you protect yourself against it? RS: Developing a behavioral generative approach to architectural design through swarm intelligence and multi-agent algorithms is clearly a focus, if not an obsession, which has occupied my work for 10 years. However this method is somewhat broad – a generalized approach to the non-linear generation of complex architectural organization and form. As this research develops it continues to generate new avenues of research and offers new opportunities – it is inherently an open-ended project. Criticality is the protection against obsession – in the case of generative design that criticality must be at the level of the designed artifact, rather than allowing the focus to dissolve into a fetishization of the design process. www.kokkugia.com

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THIS SPREAD 1. SwarmMatter ph. courtesy of Kokkugia 2. SwarmMatter ph. courtesy of Kokkugia

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NEXT SPREAD 1. Yeosu Pavilion ph. courtesy of Kokkugia + Emergent


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Mutation in education

interview with Theodore Spyropoulos by Davide del Giudice Nel passato diversi romanzi e film hanno tentato di rappresentare il futuro, uno di questi è il film Playtime di Jacques Tati. Nel film il personaggio di Tati, M.Hulot e un gruppo di turisti americani vivono in una Parigi futuristica fatta di grattacieli di vetro e acciaio dalle linee moderniste, strade multiple e interni arredati con un design freddo e artificiale. In questo ambiente solo l’irreprensibile non conformità della natura umana e un apprezzamento per i tempi passati sono in contrasto con lo stile di vita urbano e sterile. Le tecnologie industriali moderne, accettate come necessità della società, sono rappresentate da Tati come un’ostruzione alla vita quotidiana e come un’interferenza all’interazione naturale tra umani. Umani geneticamente modificati e resi perfetti sono i protagonisti di Gattaca di Andrew Niccol, dove lo scenario principale è un prossimo futuro biopunk. Alcuni esseri umani vengono fatti nascere con un corredo genetico quasi perfetto, selezionato dai genitori da un gruppo di cellule embrionali, in una sorta di mutazione evolutiva controllata e seriale. Il tema della mutazione è il filo conduttore di questa intervista, con essa si intende ogni modifica stabile ed ereditabile, una mutazione che modifica il genotipo di un individuo e può eventualmente modificarne il fenotipo a seconda delle sue caratteristiche e delle interazioni con l’ambiente. Sono le mutazioni gli elementi di base grazie ai quali possono svolgersi i processi evolutivi. L’evoluzione dei processi tecnologici nella società sollecita l’uomo ad un cambiamento radicale, da sempre l’innovazione tecnologica comporta un’estensione del nostro corpo e attraverso il mondo virtuale sarà infatti possibile fare azioni ed esperienze a distanza e ciò comporterà una riconfigurazione sensoriale e di conseguenza una generale revisione dei rapporti con lo spazio e il tempo. Si tratta a questo punto di comprendere che queste tecnologie multimediali sono dei nuovi linguaggi in grado di modificare, come lo ha fatto la scrittura ad esempio, le nostre procedure mentali, come un nuovo paradigma cognitivo. È quindi possibile pensare ad una nuova qualità

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THIS SPREAD 1. AADRL Proto-Design Spyropoulos Flexible Formwork Workshop Students: Jose Cadilhe, Julia Almeida, Michail Desyllas, Salih Topal Yearly workshop explorations with the students of the AADRL exploring material computation through flexible formwork.

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NEXT SPREAD 1. AADRL: Tutor: Theodore Spyropoulos Team Farm: Marga Busquets, Sebastien Delagrange, Iain Maxwell FARM’s research explores stigmergy as pheromone based interaction ecology of agents created to generate highly differentiated and interconnected architectural typologies. Image of prototypical section developed for the Hudson Yards West Development in New York.

dei processi dell’apprendimento e dell’istruzione. Questo è un momento eccitante per le scuole di architettura, nei corsi viene insegnata l’integrazione dei processi computazionali e l’ambiente umano in sistemi che si auto-organizzano. Gli studenti sono incoraggiati ad usare non solo i computer e i software, ma studiano un ambiente fatto di prototipi, sistemi interattivi e robots. Il futuro dell’educazione all’architettura è quello di creare un ambiente in cui l’inaspettato è concesso, anzi diventa scopo della ricerca architettonica. Nel corso di master DRL dell’Architectural Association, il direttore Theodore Spyropoulos (fondatore di MINIMAFORMS) ci parla della mutazione dei processi educativi in atto. DDG: Hai lavorato per Eisenman e Zaha Hadid Architects: due dei più interessanti studi di architettura del mondo che esplorano il campo delle geometrie complesse. Come è stata la tua esperienza con lo spazio diagrammatico del progetto di Santiago De Campostela? Che livello di sviluppo di computational design hai trovato quando hai iniziato a lavorare nell’ufficio di Zaha Hadid? Puoi dirci qualcosa sul tuo primo approccio al computational design all’interno dello studio? TS: Sono stato molto fortunato come giovane architetto ad avere l’opportunità di lavorare sia per Peter che Zaha. Quando mi sono laureato all’AA mi sono unito all’ufficio Eisenman Architect per lavorare al progetto della Città della Cultura di Santiago de Campostela. L’ufficio al tempo aveva quindici persone e fu un momento particolarmente eccitante per il progetto del memoriale a Berlino e lo stadio di footbal americano di Phoenix in Arizona. Mi fu chiesto di lavorare ai primi due edifici del complesso (l’emeroteca e la biblioteca). Insiemi agli impegni per il progetto della Città della Cultura ho anche lavorato con Peter su altri concorsi. Fu una continua negoziazione tra teoria e pratica che servì come un’importante lezione per me, con un continuo


confronto con gli aspetti pratici del design insieme allo sviluppo della Città della Cultura e il discorso sulle nozioni teoriche della griglia di base diagrammatica di Eisenman che hanno favorito gran parte del nostro approccio sul lavoro del concorso. Il computazionale era ancora ai primi giorni e Rhino fu la piattaforma principale per lo sviluppo della documentazione e la descrizione delle geometrie complesse che furono prodotte. Il lavoro fu molto manuale in termini di tipo di modellazione che sviluppavamo. Abbiamo usato tecniche di geometria proiettiva per definire la maggior parte degli intradossi di geometrie complesse e i lati dei solai curvati. Peter lavora con diagrammi e modelli di studio così tutte le superfici nurbs devono essere costantemente sviluppate su piano per la costruzione di modelli per lui e per i consulenti. Il processo di creazione di questi modelli fisici ha influenzato molto le tecniche di costruzione implementando sistemi di coordinate per la costruzione con profili e griglie che servivano come il codice della logica interna del progetto. Questo processo di design e di fabbricazione dei modelli portava a migliorare la conoscenza della geometria e la scala a cui stavamo lavorando e la sfida che questi edifici multipli stavano compiendo per integrarsi con il paesaggio. Lasciai l’ufficio di Peter e mi spostati a Londra ottenendo la possibilità di insegnare all’AADRL per contribuire a quello che chiamavamo responsive environments agenda.

Durante questo periodo ho sviluppato un progetto per Zaha e Patrik per l’Università del Connecticut, un edifico delle belle arti con campus. L’ufficio ai tempi era molto piccolo se comparato ora. Il progetto fu modellato manualmente con Maya/Max e sviluppato in Rhino. Fu memorabile per me che per il Connecticut noi producemmo un modello in 3D SLA delle dimensioni di un tavolo per la nostra proposta e fu uno dei primi modelli del genere dello studio. La tecnologia di stampa al tempo era una novità nella produzione architettonica. Fu un segno di come le cose stavano cambiando. DDG: Attualmente è un pensiero comune che le capacità nel digitale e gli strumenti computazionali sono le fondamenta per creare nuovi scenari architettonici. L’importanza degli strumenti digitali usati nel passato è stata recentemente riscoperta e assimilata, per esempio l’uso di programmi CAD per il museo Guggenheim di Bilbao ha definito l’importanza dell’uso del CAD/CAM nell’architettura contemporanea. Quali sono le differenze tra gli strumenti del passato e gli strumenti attuali come i prototipi in architettura? Possiamo dire che l’architettura è ora necessariamente definita come azione collaborativa tra l’uomo e macchina? TS: L’architettura è consentita dagli strumenti del momento. Sarebbe fuori luogo l’enfasi sulle “digital skills and tools” considerandoli come le fondamenta dell’architettura contemporanea. 07 CITYVISION 53


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Le novità della progettazione digitale sono passate e l’impegno critico del progetto di architettura deve emergere. È importante tenere presente che siamo all’inizio delle fasi di questa ricerca. Con le opportunità offerte e l’accesso alle informazioni arrivano nuove sfide per rivalutare la concezione e la produzione dell’architettura di oggi. Le reti di comunicazione hanno favorito le possibilità di un progetto condiviso e collettivo emergente che viene ridistribuito e offre una comprensione più profonda del mondo e la nostra partecipazione ad esso. Questa è una straordinaria opportunità per tutti noi. Per quanto riguarda la tua domanda riguardante l’uomo e la macchina...È importante ricordare i primi esperimenti in questo settore, come quelli esplorati da Nicholas Negroponte e l’Architecture Machine Group negli anni sessanta presso il MIT, che hanno parlato dell’associazione intima di uomo e macchina in architettura, o Cedric Price insieme a Joan Littlewood e Gordon Pask che ha progettato il Palazzo Fun che opera come una macchina del tempo basata su un’architettura adattiva che si evolve con l’uso quotidiano. Trovo un grande interesse nei discorsi iniziali del secondo ordine della cibernetica e negli esperimenti computazionali degli anni 60/70 che hanno esaminato il calcolo e il ruolo dei computer da una prospettiva più concettuale e creativa. Molti potrebbero solo fare congetture senza accesso diretto ai computer, una forma di calcolo senza computer come John Frazer direbbe che è stata accompagnata da un ottimismo culturale e sociale. Si tratta di una ricerca, non è un nuovo discorso architettonico anche se abbiamo accesso e una comprensione collettiva in modi che non è mai stata fornita in precedenza. Il design dovrebbe essere progressivo. Dovremmo consentire una serie diversificata di domande, ma soprattutto quelle su come viviamo e il ruolo che l’architettura può giocare. DDG: In questo contesto il ruolo dell’educazione in architettura diventa fondamentale, i processi del design guidano i programmi di ogni corso di master. C’è una tendenza verso la soluzione guidata da un set di inputs dati, a tutti i livelli questo approccio tende a ridurre il rischio del fallimento. Vice versa, il processo di ricerca è un approccio guidato dal problema, aperto a nuove influenze che possono modificare il risultato, senza ridurre il livello di rischio del fallimento. Molti approcci accademici tendono generalmente per la soluzione guidata, abituando gli studenti ad usare i modelli professionali che riflettono i bisogni delle industrie e della società. Nel programma di master DRL in cui insegni e dirigi, il concetto del fallimento è una parte positiva dei processi innovativi, incoraggiando ed esaltando gli sviluppi futuri? Puoi parlarci della tua visione personale dell’importanza di insegnare architettura? TS: Il ruolo dell’educazione in architettura è molto importante oggi. Creando una struttura educativa aperta e attiva i nostri studenti sono consapevoli di contribuire al progresso dell’architettura. In Inghilterra le scuole di architettura influenzano molto lo sviluppo della ricerca e modelli alternativi per l’architettura. Nell’ambito del DRL è molto importante che sotto la mia direzione ci sia una struttura educativa diversa, sperimentale e che corra dei rischi. Viviamo in tempi radicali e lo scopo dell’architettura dovrebbe essere aperta a rispondere ai problemi attuali. Per fare questo al momento la nostra ricerca sta portando avanti un impegno attivo con la materialità e le forme della produzione seguendo quello

che si chiama Proto-design. Stiamo guardando alle forme sistemiche di progettazione che affrontano oggi diversi filoni di indagine, comportamenti sociali e materiali, costruzioni di cicli di vita, agency e forme del design generativo, fabbricazione in loco tramite robots, il gestalt parametrico che forma una risposta critica alla ricerca di modelli alternativi dell’architettura. Ciò è reso possibile attraverso una comunità attiva di studenti internazionali e docenti che esercitano la complessità di questi problemi attraverso il desiderio di partecipare. È molto emozionante per me vedere che i giovani architetti sono aperti a questo approccio e vogliono fare la differenza. Il ruolo dell’architettura nella società è fondamentale, permette un modo particolare di comprensione del nostro mondo e può contribuire ai mali attuali della società. Non è una soluzione in sé, ma è senza dubbio una componente critica. DDG: Minimaforms fu fondata nel 2002 come esperimento architettonico e studio di architettura che esplora progetti che provocano e facilitano i nuovi significati della comunicazione. Il tuo approccio esamina i processi interattivi e evolutivi ingaggiando l’intima integrazione tra interazioni sociali e materiali. Sono stato affascinato del vostro progetto “Becoming Animal”. Esso esplora la storia della mitica bestia a tre teste Cerbero, dove la presenza di ogni utente stimola le tre teste innescando un comportamento basato sull’interazione e lo scambio dei dati. Ai partecipanti viene data una maschera di cane personalizzata e vengono incoraggiati ad interagire con Cerbero e tra di loro. Questa giocosità collettiva costruisce interazioni che evolvono in “Becoming Animal”. Sono molto interessato a lavorare in questo livello di scala umana con le interazioni tra i partecipanti, potrebbe essere una sorta di spostamento di scala del design: dal progettare l’intero involucro a qualcosa che è alla scala del corpo umano, come una 07 CITYVISION 55


pelle controllata che agisce come un’estensione artificiale. Percepisci un certo potenziale in questo tipo di interattività in architettura e qual è la tua opinione nell’intenso sviluppo e uso delle piattaforme di gioco interattive come il Kinect tra i giovani? Pensi che sia un trend momentaneo o esso è seriamente complice di questo spostamento di scala e fautore dell’interazione tangibile tra umani e macchine? TS: Vogliamo costruire ambienti che hanno la capacità di evolversi e interagire con le persone. Questo ci sfida a ripensare concettualmente i mezzi tecnologici che impieghiamo nel nostro lavoro. Noi crediamo in modelli partecipativi e un design che consente agli utenti la capacità di influenzare e plasmare il proprio ambiente. Vogliamo che i nostri ambienti evolvano, come gli attributi che coinvolgono la vita quotidiana e stimolano le nostre interazioni con l’altro. Il nostro obiettivo è quello di concepire l’ambiente costruito come una interfaccia che facilita nuove forme di comunicazione. Nel nostro lavoro questo può assumere la forma di un padiglione, di un veicolo, o una nuvola effimera, ognuno concepito come un organismo abilitante che viene perseguito come mezzo per sfidare modelli finiti di spazio. Nel nostro progetto Memory Cloud per esempio è stato attraverso una fusione di un sistema vecchio 5000 anni di messaggistica visiva con la tecnologia del cellulare di oggi che pubblica una interfaccia, che ci ha permesso di animare l’ambiente costruito attraverso la conversazione. Una delle cose importanti per noi è trovare il modo per permettere alle persone di partecipare. Il passaggio a rendere le cose più condivise e collettive incoraggia la gente ad impegnarsi realmente con le cose. Questo livello di impegno è molto importante per noi. Una delle caratteristiche principali di questo tipo di lavoro è che le persone che partecipano vogliono vedere il loro contributo al progetto. Il progetto assume l’identità dello spettatore, diventa un’estensione e strumento. Becoming Animal (Diventare animale) era un tentativo di sviluppare un ambiente comportamentale che è stato stimolato dai partecipanti diventando artisti. La progettazione di 250 maschere diventato il mezzo in cui un collettivo potrebbe interagire con le teste di proiezione Kerberos, ma anche e soprattutto la possibilità di interagire tra loro. Questo ha creato un parco giochi della performance teatrale che si è evoluto nel tempo. Questo evento potrebbe essere visto da un punto di vista architettonico in continua evoluzione seguendo degli interessi di Cedric Price e Joan Littlewood in progetti come il Fun Palace. Attualmente stiamo sviluppando un progetto chiamato Petting Zoo che prende ulteriormente questo approccio nel dominio della robotica comportamentale emotiva attraverso forme di interazione guidate. Stiamo usando una rete di Kinects in questo progetto. Se il Kinect è una tendenza nel design o meno non spetta a me dirlo. Il Kinect è uno strumento accessibile, che è conveniente e consente per certo una mappatura dinamica tramite funzioni di controllo, non più di questo. DDG: Il corso Proto-type del DRL è un nuovo paradigma educativo. Sperimentazioni, fabbricazione e computazione sono gli aspetti centrali di questo campo architettonico: questo flusso è chiamato “ proto design” e ingaggia forme sperimentali e pratiche computazionali. Lo scopo finale di questo approccio è esplorare la possibilità di costruire architettura come una traduzione di una materia sofisticata, non una machinica trasformazione di una forma generata digitalmente. Quindi il processo digitale necessita di essere sincronizzato con le sue basi tettoniche e una logica costruttiva. Puoi spiegarci l’intima relazione tra i designer e i processi interni architettonici? Sono le forme digitali e

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analogiche le uniche due metodologie per esplorare scenari futuri? TS: Nel considerare il ruolo del proto-tipo in architettura, è importante essere chiari sullo stato attuale della ricerca in architettura oggi. C’è molto poco o niente nelle forme contemporanee che significano proto-typing con la pratica. Altre discipline progettuali lavorano esclusivamente attraverso prototipizzazione come l’industria automobilistica, ad esempio, esaurendo questo prima di ogni rilascio di un progetto al pubblico. In questo modo l’architettura di sviluppo non è esistente se necessario per progredire e perseguire l’innovazione. Per me è molto importante all’interno della pratica e il mondo accademico costruire una struttura educativa basata sulla conoscenza per portare avanti le idee. Vorremmo passare da forme di rappresentazione di comprensione verso forme più performative coinvolgendo il design computazionale. Questo spostare l’attenzione da un modello di qualcosa a un modello per qualcosa lo trovo stimolante ed emozionante come metodologia di progettazione. Al DRL ci impegniamo attivamente in quello che io chiamo una forma di materialismo digitale che è un riscontro attivo che si ottiene in questo progetto dal modello di prova che opera attraverso la prototipizzazione. La conoscenza offerta attraverso questo modo di lavorare è molto importante in quanto permette di riconsiderare il ruolo del digitale che abbraccia diverse forme di analisi e la previsione di idee pre-strutturate di animazione digitale in architettura. Questa ricerca del proto-tipico e l’approccio sono basati su scenari per la progettazione che hanno guidato il lavoro della nostra agenda Proto-Design. DDG: Nella tesi “Space Oddity” i tuoi studenti hanno lavorato ad una nuova interpretazione della materialità e della spazialità. L’idea di una formazione riconfigurabile costantemente è diventata materia di riorganizzazione attraverso il tempo. Comportamenti organizzativi investigano la nozione di un sistema bottom-up sostenendo l’assemblaggio e la riconfigurazione tra una e più parti, tendendo a creare un prototipo auto-organizzante. In “Cloud 10” gli studenti hanno proposto un istituto di ricerca di metereologia in ambiente estremo. Questi scenari richiedono un’architettura adattabile, che risponde alle condizioni ambientali. Queste sono sfide molto ardue per scenari futuri, ma io credo invece che il nostro scenario futuro sia ancora basato su un’idea degli anni ‘80. È come se il nuovo futuro non fosse ancora stato scritto? TS: Marshall McLuhan aveva detto che se siete interessati al futuro, dobbiamo guardare al nostro presente perché viviamo nel passato. Quando la discussione del futuro subentra in architettura subentra quasi sempre il periodo tra gli anni ‘60 e ‘70. Ci fu allora un ottimismo della società che guardava verso il futuro come una promessa di qualcosa di migliore a cui sarebbe stato possibile accedere attraverso la rivoluzione tecnologica e sociale. Oggi è qualcosa di diverso per molti, anche se vorrei incoraggiare gli studenti e gli operatori a rimanere ottimisti e capire che siamo in grado tecnologicamente a fare ciò che in passato è rimasto un esperimento solo pensato. I due progetti dello scorso anno del mio studio del DRL che tu hai menzionato stavano cercando di riconsiderare il ruolo del laboratorio dalla condizione clinica separata dal soggetto di indagine ad una impianto iper-contestuale all’interno di un ambiente. Nel mio studio abbiamo ripensato il materiale in loco e la formazione come un aspetto importante per queste architetture remote che possono operare all’interno di ambienti estremi. Si tratta di


THIS SPREAD 1. Minimaforms ‘Archigram Exhibited: Mega-Structures Reloaded, Berlin (2008) / Imperfect Works, London (2008)

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un’architettura autonomamente assemblata che riconsidera i concetti generalizzati delle infrastrutture, la stabilità e la materialità. Lo studio ha fatto un grande sforzo per raggiungere gli esperti che avrebbero potuto aiutarci nella ricerca del design. Gli studenti hanno visitato il NASA’s Jet Propulsion Laboratory e anche la 5/6 divisione Halle dell’esplorazione artica britannica. Avvenne nella nostra conversazione la necessità di idee radicali che potevano favorire nuovi mezzi per affrontare questi scenari complessi. Quello che può apparire come scenari futuri per molti in realtà sono ricerche in corso che si attivano in fase di sviluppo. Il progetto spaziale per esempio ha sviluppato una ricerca robotica di auto-assemblamento. L’architettura fu una formazione costruita attraverso le forze. Essa usa la spazzatura spaziale attivamente affrontando un problema di viaggi nello spazio e creativamente la sfrutta come materiale da costruzione. Fa parte di un programma più ampio all’interno della DRL che serve per raggiungere altri campi e ad abbracciare un progetto più inter-disciplinare e collettivo. Il futuro è adesso.

Several novels and movies in the past tried to represent the future, one of these is Jacques Tati’s Playtime movie. The main character M.Hulot and a group of American tourists live in a futuristic skyscrapers made of glass and steel modernist lines in a Paris made of roads and multiple interior decorated with a cold and artificial design. Just the irrepressible nonconformity of human nature and an appreciation of the past are at odds with the style of urban living and barren in this environment. The modern industrial technologies, accepted as a necessity of society, are represented by Tati as an obstruction of everyday life and as interfering with the natural interaction between humans. Humans genetically modified and made perfect are the main characters of Gattaca by Andrew Niccol, where the main scenario is a future in biopunk style. Some humans have born with a genetic fact almost perfect, selected by parents from a group of embryonic cells, in a sort of evolutionary mutation controlled. The theme of the mutation is the underlying theme of this interview, with any changes it intends to stable and heritable, a mutation that changes the genotype of an individual and may possibly alter the phenotype depending on its characteristics and interactions with the environment. Mutations are the basic elements by which evolutionary processes can take place. The evolution of technological processes in the society urges human to a radical change, technological innovation always involves an extension of our body and through the virtual world will be possible to take actions and experiences at a distance and this will lead to a reconfiguration of sensory and consequently a general review of relations with space and time.

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It’s now fundamental to understand that these new forms of multimedia technologies, as the writing did, are able to change our mental processes as a new cognitive paradigm, thus leading us thinking about a new quality of learning processes and education. This is an exciting time for architectural schools, in courses is taught the integration of computational processes and human environment into self-organizing systems. Students are encouraged to use not only computers and softwares, but studying an environment of prototypes, interactive systems and robots. The future of education in architecture is to create an environment where the unexpected is granted, indeed it becomes the purpose of the architectural research. Theodore Spyropoulos, director of the DRL master at the AA in London, and founder of MINIMAFORMS, tell us about mutation of educational processes. DDG: You worked both for Eisenman and Zaha Hadid Architects: two of the most interesting architectural offices wordwide exploring the field of complex geometries. How was your experience with the diagrammatic space of Santiago De Campostela project? What level of computational design development did you find at first when you joined Zaha Hadid’s Office? Could you tell us something about your first approach to computational design techniques in the office? TS: I have been fortunate as a young architect to have had the opportunity to work for both Peter and Zaha. When I graduated from the AA I joined the office of Eisenman Architects to work on the City of Culture in Santiago de Compostela. The office at that time was fifteen people and it was a particularly exciting time as the Berlin Memorial was given the go ahead along with the Phoenix Arizona American football stadium. I was asked to work on the first two buildings within the complex (Hemeroteca and Biblioteca). Along with my commitments on the City of Culture I also worked with Peter on his competitions. There was a continued negotiation of theory and practice which served as a very important lesson for me as there was a continued confrontation with the making aspect of design within the development of the City of Culture and the discursive theoretical notions of Eisenman’s diagrammatic grid based methodologies that fostered much of our approach on the competition work. Computationally it was very early days of Rhino which was the main platform that enabled the documentation and description of the complex geometry that was being produced. The work was mostly manual in terms of the type of modeling we developed. We used projective geometry techniques to define most of the complex soffit geometries and curved slab edges etc. Peter works with diagrams and study models so all the nurb based surfaces would be continuously unrolled and developed for physical models for him and the consultants. The process of making these physical models themselves influenced a great deal the construction techniques implemented as we coordinated building systems with profile outlines and grids that served as the codex of the internal logic of the design. This process of designing and making models continuously gave us a good understanding of the geometry and scale that we were working on and the challenges that this multi-building integrated landscape would pose. I left Peter’s office and moved back to London taking a teaching position at the AADRL to contribute to what we called our responsive environments agenda. During this period I developed a project for Zaha (Hadid) and Patrik (Schumacher) for the University of Connecticut, a fine arts building as campus gateway. The office at that time was small in comparison to today. The project itself was also manually modeled in Maya / Max and developed in Rhino. What was memorable for me was that for Connecticut we produced a table sized 3D SLA print for our entry which was one of the first in the office. Printing techno58

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logies at the time were novel in architectural production. It was a sign of things to come. DDG: It’s currently a common thought that digital skills and computational tools act as foundations to create new architectural scenarios. The importance of digital tools used in the past that has recently been rediscovered and understood, for instance the use of CAD programs for the Guggenheim museum in Bilbao defined the importance of the use of CAD/CAM in contemporary architecture. What are the differences from past tools and the actual tools like the prototype in architecture? Could we argue that the architecture is now necessarily defined as a collaborative action between the human and the machine? TS: Architecture has always been enabled by the tools of the day. It would be misplaced emphasis on “digital skills and tools” to consider them foundations in contemporary architecture. The novelty of digital design has passed and the critical engagement and project for architecture has to emerge. It is important to keep in mind that we are early stages of this pursuit. With afforded opportunities and access to information comes the challenges to revaluate the conception and production of architecture today. Enabled communication networks have fostered the possibilities for a shared and collective project to emerge that is distributed and affords a deeper understanding of the world and our participation in it. This is an amazing opportunity for all of us. Regarding your questions concerning the human and machines... It is important to remember the early experiments within this domain such as those explored by Nicholas Negroponte and the Architecture Machine Group in the sixties at MIT which spoke of the intimate association of man and machine within architecture, or Cedric Price along with Joan Littlewood and Gordon Pask who designed the Fun Palace that would operate as a time based architectural machine adapting and evolving through the everyday use. I find a great interest in the early second order cybernetic discourses and computational experiments of 60’s / 70’s as they examined computation and the role of computers from a more conceptual and creative perspective. Many could only speculate without direct access to computers, a form of computing without computers as John Frazer would say that was coupled by a cultural and social optimism. It is a not a new pursuit in architectural discourse though we have access and a collective understanding in ways that never been afforded before. Design should be progressive and challenge people. We should be enabling a diverse set of questions but mostly ones of how we live and the role that architecture can play. DDG: Therefore in this context the role of education in architecture becomes of course fundamental, as the design process is constantly driving every master design program and approach. It’s tending to be a solution-driven for a given set of inputs, at all levels this approach tends to reduce the risk of failure. Vice versa, the research process is a problemdriven approach, open to new influences that can potentially affect the outcome, thus not reducing the level of risk failure. Most of the academic approaches tend to be generally solution-driven, training students using a professional model that reflects both industrial and society needs. In the DRL design program you are teaching, the failure concept is a positive part of the innovation process, enhancing and encouraging further developments? Can you tell us about your personal vision on the importance of educating architecture? TS: The role that educational environments today play is of

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great importance. Creating an active an open educational framework that enables our students to understand their role as active participants that contribute to the progress of architecture is important to me. In the UK it is clear that schools of architecture are very influential in the development of research and alternative models for architecture. Within the DRL it has been very important under my directorship to pursue an educational framework that is diverse, experimental and that takes risk. We are living in radical times and the scope and reach of architecture should be as open and radical in its desire to address and respond to the issues of today. To do this currently our research is pursuing an active engagement with materiality and forms of production under what we are calling Proto-Design. It is looking at systemic forms of design that is addressing diverse strands of enquiry; social and material behaviour, building life cycles, agency and generative forms of design, onsite and robotic fabrication, parametric gestalt all forming a critical response in the pursuit of alternative models for architecture. This is enabled through an active community of international students and teachers who engage the complexities of these issues through a desire to participate. It is very exciting for me to see that young architects today are open to this approach and want to make a difference. Architecture and its role in society is fundamental, it allows for a very particular way of understanding our world and can contribute to the current societal ills. It is not a solution in itself but it is without a doubt a critical component. DDG: Minimaforms (www.minimaforms.com) was founded in 2002 as an experimental architectural and design practice exploring projects that provoke and facilitate new means of communication. Your approach examines interactive and evolutionary processes engaging the intimate integration between social and material interaction. I was fascinated by your project “Becoming Animal”. It explores the story of the mythical three headed beast Kerberos, and each participant’s presence stimulates the three heads triggering behavior based on interactions and data exchanges. Participants were given a custom dog mask and were encouraged to interact with Kerberos and each other. This collective playfulness built interactions that evolved “Becoming Animal”. I’m really interested in working at this level of body scale and the interaction of it with the participants, it could be seen as a sort of shift in scale: from designing the whole envelope to something that is the size of the human body, as a controlled skin acting as an artificial extension. Do you perceive and see some potential on the use of this kind of interactivity in

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PREVIOUS SPREAD 1. AADRL Proto-Design V.2 Theodore Spyropoulos: Studio Behavioral Environments Rub a Dub Team: Apostolos Despotidis, Rodrigo Chain, Sebastian Andia, Thomas T. Jensen

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architecture and also what is your opinion on the recent increasingly widespread use for working purposes of platforms and interactive games as Kinect among young people? Do you think it is just a temporary trend or that they are seriously aware of this shift and interested in going beyond the screen exploring a future where there will be eventually a tangible interaction between human and machine? TS: We want to construct environments that have the capacity to evolve and interact with people. This challenges us to rethink conceptually the technological mediums that we employ in our work. We believe in participatory and enabling models of design that allow users the capacity to influence and shape their environment. We want our environments to evolve life-like attributes that engage the everyday and stimulate our interactions with each other. Our aim is to conceive of the built environment as an interface that facilitates new forms of communication. In our work this may take the form of a vehicle, pavilion or an ephemeral cloud, each designed as an enabling agency that are pursued as means to challenge finite and prescriptive models of space. In our Memory Cloud project for example it was through a fusion of a 5,000 year old visual messaging system with cell phone technology of today that a novel public interface was created that allowed us to animate the built environment through conversation. One of the important things for us is to find ways to enable people to participate. The move towards making things more shared and collective also encourages people to really engage with things. That level of engagement is very important to us. One of the key features of this kind of work is that people who are participating see their contribution to the project. The project takes on the identity of the viewer, it becomes an extension and instrument. Becoming Animal was an attempt to develop a behavioural environment that was stimulated by participants becoming performers. The design of 250 masks became the means in which a collective could interact with the Kerberos projection heads but also and possibility more importantly with each other. This created a theatrical playground of performance that evolved over time. This happening could be seen from an architectural point of view evolving some of the interests of Cedric Price and Joan Littlewood in projects such as the Fun Palace. We are currently developing a project called the Petting Zoo which takes this approach further into the domain of behavioural robotics through emotive driven forms of interaction. We are using a network of kinects in this project. If the Kinect is a trend in design or not it is not for me to say. The Kinect is an accessible tool that is affordable and

NEXT SPREAD 1. Soft Cast System is an ongoing research in generative patterning with engineered textiles. Exploring flexible formwork through control systems that allow for computable phase change properties of concrete to be managed and express through the process of structuring form.


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allows for certain dynamic mapping and controlling features, not more than this. DDG: Proto-type DRL agenda is a new educational paradigm. Experimentation, fabrication and computation are the core aspects in the academic field: this flow it is called “proto design” and engages experimental forms of material and computational practice. The ultimate goal of this approach is to explore the possibility of building architecture as a sophisticated material translation, not as a machinic transcription of digitally generated form. Therefore the digital process needs to be synchronized with its tectonic basis and construction logic. Can you explain this intimate relationship between designers and architecture’s internal processes? Are digital and analog computation forms the only two methodologies for exploring future scenarios? TS: In considering the role of the proto-type in architecture, it is important to be clear about the current status of research in architecture today. There is very few if any contemporary forms of sustained means of proto-typing within practice. Other design related disciplines work solely through prototyping such as the automotive industry for example, and exhaust this prior to any release of a design to the public. In architecture this manner of development is not existing though necessary to progress and pursue innovation. For me it is very important within practice and academia to construct a knowledge based framework to pursue ideas. We would like to move from representational forms of understanding towards more performative forms of engage computational design. This shift the attention from a model of something to a model for something and this I find challenging and exciting as a design methodology. At the DRL we active engage in what I call a form of Digital Materialism which is an active feedback that one gets in this continual design and testing model that operates through proto-typing. The knowledge afforded through this way of working is very important as it allows to reconsider the role of the digital an embrace time-based forms of analysis and forecasting rather pre-structured ideas of digital animation in architecture. This pursuit of the proto-typical and a scenario based approach to design has guided the work of our current agenda Proto-Design. DDG: In the “Space Oddity” thesis (http://rubadublondon.tumblr.com/), your students worked out a new interpretation of materiality and spatiality. The idea of a constantly reconfigurable formation has become matter of reorganization throughout time. Organizational behaviour investigates the notion of a bottom-up system arguing for the assemblage and reconfiguration between one and more

parts, tending to create a self-organizational prototype. In “Cloud10” (http://www.cmeventos.net/category5/index. php?/project/antarctica/) the students proposed a meteorological research institute in an extreme environment. These scenarios requires an adaptable architecture, responsive to the environment conditions. These are a very challenging future scenario, but I believe instead that our future scenario is still based on the ’80s idea of the future. It’s like the new future hasn’t been written? TS: Marshall McLuhan had said that if you are interested in the future, look to our present because we live in the past. When the discussion of future comes up in architecture it almost becomes attributed to the 60’s and 70’s. There was an optimism then that was societal and look towards the future as a promise of something better that would be accessed through technological and social revolution. Today it is something different for many, though I would only encourage students and practitioners to remain optimistic and understand that we are enabled to technologically to do what in the past remained thought experiments. The two projects of my studio last year in the DRL that you mention were looking to reconsider the role of the laboratory from clinical condition divorced from the subject of enquiry to a hyper-contextual implant within an environment. In my studio we though to rethink onsite material and formation as an important aspect to these remote architectures that are deployable and operate within extreme environments. This is an embedded self assembled architecture that would need to reconsider the generalised concepts of infrastructure, stability and materiality. The studio made a great effort to reach out to the experts who could assist us in the design search. Students met with NASA’s Jet Propulsion Laboratory and also with Halle 5/6 division of Arctic British exploration. What came about in our conversation were the need for radical ideas that could foster new means of addressing these complex scenarios. What may appear as future scenarios to many are actually current research that is actively being developed. The space project for example developed a research of robotic self assembly. The architecture was one of formation constructed through forces. Its use of space junk actively addressed a space travel problem and creatively exploited it as a building material. It is part of a larger agenda within the DRL to reach out to other fields and embrace a more inter-disciplinary and collective project. The future is now.

Becoming Animal Project Site: www.minimaforms.com/becominganimal Memory Cloud Detroit SIte: www.voiceofdetroit.com www.minimaforms.com

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THIS SPREAD 1. Vehicle is a collaboration with artist Krzysztof Wodiczko. The vehicle is an enabling instrument that stimulates public dialogue through a mobile environment for collective conversation. The project engages the design of a cultural prosthetic that facilitates an emotive engagement with war veterans as an act of healing and communication. The design of the prototype takes the form of transformable machine that metamorphoses from a war machine to messenger conceptualized as a Seraph.

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Mitchell Joachim article and interview by Federico Giacomarra

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THIS SPREAD 1. RAPID RE(F)USE; Waste to Resource City 2120 ph. Every Hour NYC Produces Enough Waste to Fill the Statue of Liberty Credits: Mitchell Joachim, Maria Aiolova, Melanie Fessel, Emily Johnson, Ian Slover, Philip Weller, Zachary Aders, Webb Allen, Niloufar Karimzadegan, Lauren Sarafan

NEXT SPREAD 1. S.O.F.T. Mobility ph. Urban Stackable Car with Solar Recharge Port. Mitchell Joachim. 2. RAPID RE(F)USE; Waste to Resource City 2120 ph. One-Day Tower Made of 24H of Compacted Waste in NYC. Credits: Mitchell Joachim, Maria Aiolova, Melanie Fessel, Emily Johnson, Ian Slover, Philip Weller, Zachary Aders, Webb Allen, Niloufar Karimzadegan, Lauren Sarafan

The art of cities

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Mi sarebbe piaciuto incontrare Mitchell Joachim di persona e intervistarlo per Cityvision davanti ad una birra, (magari a New York, città in cui vive e lavora) gustandomi le sue acute risposte e facendo i conti con la sua proverbiale ironia oltre che con la sua competenza... nel 2012 le distanze (fisiche o mentali che siano) fanno ancora la differenza, ma non per chi come noi ha “sete di risposte”... mi concentro sulle domande...

FG: Il progetto WASTE TO RESOURCE CITY 2012 è un tentativo di risolvere la crescita di entropia nella nostra società: più siamo collegati in termini di scambio di beni, informazioni e movimento di persone, più consumiamo energia e produciamo entropia. In questo senso pensi che lo spreco di materiali sia un buon punto di partenza per ripensare la relazione fra città ed entropia?

FG: Parlando delle FAB TREE HAB a che livello di svilupo è il progetto, quanto tempo occorre per vedere il prototipo definitivo? State lavorando ad un’applicazione su larga scala di questa tecnologia?

JM: Immaginate le nostre colossali discariche municipali come una risorsa importante per costruire i nostri spazi urbani e periurbani futuri. Che tipo di sforzo è richiesto per riusare il loro abbondante contenuto? Ora che la maggior parte dell’umanità ha scelto di stabilirsi nelle aree urbanizzate, la gestione dei rifiuti ha bisogno di una revisione radicale. Per centinaia di anni abbiamo progettato città che producono spazzatura. Ora è il tempo di progettare lo smaltimento dei rifiuti per rigenerarle. Quali sono le possibilità per l’ambiente urbano dopo che la nostra infrastruttura datata verrà ricalibrata? Come entreranno in equilibrio intensificazione urbana e sistema di smaltimento dei rifiuti? L’ipotesi di Terreform è di reindirizzare i flussi di risorse in una direzione positiva. In questo caso, i rifiuti non sono solamente ricliclati attraverso meccanismi infrastrutturali, ma ricliclati perpetuamente. L’America è il paese leader produttore di rifiuti a livello mondiale, con una produzione attorno al 30% della spazzatura mondiale: 0.72 tonnellate per abitante l’anno. New York attualmente produce 32.840 tonnellate di spazzatura al giorno. Stampanti 3d di grandi dimensioni, possono essere modificate per automatizzare rapidamente lo smaltimento della spazzatura e raggiungere l’obiettivo in qualche decennio. Queste automatizzazioni sarebbero tecniche usate comunemente nei sistemi di compattazione dei rifiuti. Invece di macchine che schiacciano oggetti in cubi, tali sistemi di compattazione portebbero dei benefici con la possibilità di assemblare moduli semplici in “puzzle blocks”. I blocchi di materiale di scarto possono essere predefiniti, usando la geometria computazionale, in modo da formare coperture, archi, strutture, finestre e qualsiasi pattern di cui ci sarebbe bisogno. In quel caso, la città futura non farebbe distinzione fra spazzatura e risorse.

JM: FAB TREE HAB è un progetto ecologico per una casa prefabbricata vivente per l’umanità. È un metodo per creare case da piante e alberi nativi: una struttura vivente modulata attraverso delle impalcature riciclabili a controllo numerico. Questo dà la possibilità di integrare pienamente i moduli abitativi in una comunità ecologica. Come diretto contributo all’ecosistema, essi supportano un’economia basata su prodotti viventi non riassemblati o processati. Immaginate una società basata su alberi che crescono per le abitazioni piuttosto che sul taglio degli alberi per l’industria del legno. Inoltre questo progetto assicura la riduzione dei gas serra dall’atmosfera. Una metodologia nuova per l’industria delle costruzioni ma tradizionalmente nota nel giardinaggio; è il pleaching, una tecnica per intrecciare insieme rami di un albero a formare una struttura continua per muri e coperture. Sopratutto la costruzione di questa casa può essere ottenuta con un prezzo minimo, richiedendo solo un pò più di tempo per completare la sua struttura. La realizzazione di queste case inizierà come un esperimento, e da lì si vedrà come il concetto di rinnovamento darà vita ad una nuova forma architettonica, una sorta di interdipendenza fra natura e persone. Nei climi tropicali una casa completa crescerà in 3-5 anni.

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FG: Ci puoi parlare del “victimless shelter”? Da un punto di vista esistenzialista, un architetto come Ricci è solito parlare di “un’architettura che vive”, in questo senso come usi la tecnologia per concretizzare tale concetto? JM: La biologia è architettura. Piuttosto che imitare la natura, noi la usiamo per creare il nostro progetto. Stiamo studiando diverse tecnologie viventi per creare materia veramente viva. Attualmente è in sviluppo una serie di mobili che comprendono il GenSeat, un biopolimero composto di Mycelia come sottostruttura e Acetobattere come pelle. Questa sedia per bambini è un prototipo 1:1 di una seduata coltivata integrata in un ciclo di vita naturale. Vogliamo essenzialmente che il prodotto cresca e sia riassimilato dal suo ambiente. Esperimenti precedenti comprendevano un “victim less shelter ” da cellule di maiale e strutture Mycoform. L’In Vitro Meat Habitat è una proposta architettonica per la fabbricazione di cellule di maiale stampate in 3d per la realizzazione di abitazioni. È denominato “victimless shelter”, perché a nessun essere senziente è stato fatto del male nella crescita in laboratorio della pelle. Per ora, il modello concettuale consiste essenzialmente in una pelle di maiale con una durata di conservazione considerevole. La scala del modello attuale di materiale non deteriorabile è di 27,5 cm x 7,5 cm x 17,5 cm. FG: In URBANEERING scrivi: “ Il Futuro arriverà comunque, come ci arriveremo dipenderà dalla nostra preparazione pianificata e dal feedback egalitario. Il centro della città non è il centro storico o le torri per uffici, ma la sua infrastruttura. ”Le città sono il posto in cui la gente si incontra, condivide e può esprimere la propria sensibilità, in questo senso quale sarà la forma dello spazio pubblico nella città del futuro? Chi è la pricipale autorità nel fare utopia o qualsiasi straordinaria città futura? JM: L’Urbaneer è una crescente disciplina basata sulla progettazione urbana che può negoziare il complesso mix di tecnologie, teoria e pratica e che abbraccia la reinvenzione della città per soddisfare le esigenze del pianeta. Oggi, questo nascente campo interdisciplinare, è in uno stato di sviluppo radicale. L’Urbaneering prende in considerazione un diverso range di progetti come prescrizioni di massima. Pratica schemi totalizzati di coinvolgimento dalla maniglia alla democrazia. Nel passato la progettazione urbana è stata per lo più interdisciplinare, ma non è stata rinnovata dalle origini. Gli Urbanners si focalizzano su ecosistemi di città e infrastrutture – settori maturi di miglioramento – e su materie più convenzionali come costruzioni e parchi. La città del futuro ha bisogno di una nuova razza di comunicatori. Una persona esperta nell’arte delle città oltre i tipici utopisti, pianificatori, ingegneri civili e architetti dei giorni nostri. Questi campi hanno bisogno di un filtro multiforme di ragionamento per incorporare una profonda conoscenza del luogo. Gli Urbaneers cercano di unire l’edificazione e la competenza necessarie per riformare la città di oggi per l’utopia del domani. Mitchell Joachim è una delle menti più brillanti dell’America degli ultimi tempi nell’ambito della progettazione urbana e architettonica in chiave ecologica, con una lunga esperienza in ambito progettuale, la sua competenza e apertura mentale fanno di lui un professionista completo...ironico e visionario con i suoi lavori non da risposte definitive... apre con semplicità strade apparentemente non percorribili, sembra ricordarci, come farebbe una persona cara, che non esistono risposte giuste, ma solo domande giuste. FG

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I would like to meet Joachim in person, to interview him in front of a beer (maybe in New York,where he lives and works) enjoy his acute answers, deal with his proverbial irony in addition to his expertise...in 2012 distances(physical or mental) can still make the difference, but not for those of us who are thirsty for the answers...I focus on questions...

FG: Talking about fab tree houses, at what stage of development is the project, how long until we see the final prototype? Are you working on a large scale application of this technology? JM: FAB TREE HAB proposes an ecological design of a living prefabricated home for humanity. We propose a method to grow homes from native trees and plants. A live structure is grafted into shape with Computer Numeric Controlled (CNC) reusable scaffolds. This enables dwellings to be fully integrated into an ecological community. As a direct contribution to the ecosystem they support an economy comprised of actual living products not reconstituted or processed materials. Imagine a society based on growing trees for housing, rather than cutting down trees for the industrial manufacture of timber. Ultimately this project assures both the reduction and removal of greenhouse gasses from the atmosphere. A methodology new to buildings yet ancient to gardening is introduced in this design pleaching. Pleaching is a method of weaving together tree branches to form living archways, lattices, or screens. The trunks of inosculate, or self-grafting, trees, such as Elm, Live Oak, and Dogwood, are the load-bearing structure, whilst the branches form a continuous lattice frame for the walls and roof. Above all, the construction of this home can be achieved at a minimal price, requiring only some time to complete its structure. The accomplishment of these homes will begin as an experiment, and it is envisioned that thereafter, the concept of renewal will take on a new architectural form, one of interdependency between nature and people. In tropical climates, a complete home will grow in 3-5 years.

FG: The WASTE TO RESOURCE CITY 2120 project is an attempt to resolve the great entropy rising in our society: the more we are linked in terms of exchange of goods, information and movement of people, the more we consume energy and produce entropy. In this sense the waste of materials is a good starting point to rethink the relationship between city and entropy, what do you think about this? JM: Imagine our colossal municipal landfills as sensible resource sheds to build our future urban and peri-urban spaces. What kind of effort is required to reuse their bountiful contents? Now that the bulk of humanity has chosen to settle in urbanized areas, waste management needs a radical revision.For hundreds of years we designed cities to generate waste. Now it is time that we begin to design waste to regenerate our cities. What are the possibilities for urban environments after our aged infrastructure is recalibrated? How might urban intensification and waste mix? Terreform ONE’s supposition is to reallocate resource streams to flow in a positive direction. In this case, waste is not faintly recycled through infrastructural mechanisms but instead up cycled in perpetuity. America is the lead creator of waste on earth, making approximately 30 per cent of the world’s trash and tossing out 0.8 US tons (0.72 tons) per US citizen per year. Lurks in New York City is currently disposing of 36,200 US tons (32,840 tons) of waste per day. Outsized automated 3-D printers could be modified to rapidly

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PREVIOUS SPREAD 1. S.O.F.T. Mobility ph. Blimp Bumper Bus Credits: Mitchell Joachim

NEXT SPREAD 1. S.O.F.T. Mobility ph. Urban Stackable Car with Solar Recharge Port Credits: Mitchell Joachim

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process trash and to complete the task within decades. These potential automatons would be entirely based on existing techniques commonly used in industrial waste compaction devices.Instead of machines that crush objects into cubes, compaction devices could benefit from adjustable jaws that would craft simple shapes into smart ‘puzzle blocks’ for assembly. The blocks of waste material could be predetermined, using computational geometries, in order to fit domes, archways, lattices, windows, or whatever patterns would be needed. Eventually, the future city would make no distinction between waste and supply.

FG: Can you talk to us about the victim less shelter? From an existential point of view, architects like Ricci use to talk about an “architecture that lives”, in this sense how do you use the technology to achieve this? JM: Biology is the architecture – instead of mimicking nature we use actual nature to create our projects. We are investigating different alive techniques to create truly living matter. Currently in development is a serious of furniture including GenSeat©™ – a biopolymer made from Mycelia as the understructure and Acetobacter as the skin. This chair for children is a 1:1 prototype of a cultivated seat that is integrated into a natural lifecycle. We essentially want the product to become fully grown and assimilated in its environment. Prior experiments include a victimless shelter from pig cells and Mycoform structures. The In Vitro Meat Habitat is an architectural proposal for the fabrication of 3D printed pig cells to form real organic dwellings. It is considered to be a “victimless shelter”, because no sentient being was harmed in the laboratory growing of the skin. We used sodium benzoate as a preservative to kill yeasts, bacteria and fungus. Other materials in the model matrix are; collagen powder, xanthan gum, mannitol, cochineal, sodium pyrophosphate, and recycled PET plastic scaffold. As of now, the concept model consists of essentially very expensive fitted cured pork or articulated swine leather with an extensive shelf life. The actual scale of the non-perishable prototype is 11”x3”x7”.

2. Urbaneering Brooklyn 2110, City of the Future ph. View of Brooklyn Bridge into New Downtown Credits: Mitchell Joachim, Maria Aiolova, Melanie Fessel, Dan O’Connor, Celina Yee, Alpna Gupta, Sishir Varghese, Aaron Lim, Greg Mulholland, Derek Ziemer, Thilani Rajarathna, John Nelson, Natalie DeLuca.

FG: In URBANEERING you wrote: “The future will eventually arrive, how we get there is dependent upon our planned preparation and egalitarian feedback.The center of this city is not historic cathedrals or office towers but its infrastructure.” Cities are the place where people meet, share and can express their sensibility, in this sense what’s the shape of public space in the future city? JM:Who is the primary authority in the making of utopia or any extraordinary future city? An Urbaneer is a burgeoning discipline based on urban design that can negotiate the complex mix of technology, theory and practice that embraces the re-invention of the city to exceed the needs of the planet. Today, this nascent interdisciplinary field is in a state of radical development. Urbaneering undertakes a diverse range of projects as a prescription for maximal design. It practices totalized schemes that rethink all scales of involvement from the doorknob to the democracy. In the past Urban design has mostly been interdisciplinary, but it has not been revamped since its formal inception. Urbaneers focus as much on cities’ ecosystems and infrastructure – areas ripe for improvement – as well as on more conventional subjects such as buildings and parks. The next city needs a new breed of communicator. A person skilled in the art of cites beyond the typical utopists, planners, civil engineers, and architects in the present day. These fields need a multifaceted filter of reason to incorporate a profound knowledge of place.Urbaneers look to merge the edification and expertise needed to reform the city of today for the utopia of tomorrow. Mitchell Joachim is one of the brightest minds America in the area of urban and architectural design in recent times ecological key, with a long experience in the field of design, expertise and open-mindedness make him a thorough professional... in ironic and visionary with his work, not as definitive answers, he opens with ease streets apparently not feasible, he seems to remind us like a loved one (in front of a beer) that there are no right answers, but only the right questions. FG www.mitchelljoachim.com

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Shohei Shigematsu interview by Andrea Debilio

Before writing my interview with Shohei Shigematsu, director of OMA NY, I picked up a book I read years ago and that has strongly influenced my professional growth. Rem Koolhaas’ Delirious New York is “a Retroactive Manifesto for Manhattan” written in 1978, but currently relevant. New York is both a symbol of progress and “Capital of Perpetual Crisis”, the “Manhatthanism” is an expression of political, economic and social issues. OMA has always shown sensitivity proposing solutions, beyond merely technical aspects. That’s what society is asking us, because it often appears that architecture generated culture.

AD: How did you decide to become an architect? SS: When I was younger, I knew that I wanted to have a job with a strong connection to society. At the time, Architecture seemed like the only way to engage society that would still allow you to create something—so I became an architect— but today I can think of many other ways… AD: In what ways has your architectural thinking evolved since you were a student and what factors influenced this process? SS: When I was a student, I thought at the time that it would be important for me to have a particular belief or style—a specific ideology. Now, my work is focused more on an understanding of the specifics of each project’s context. As a result, I am more interested in the specific reactions in any given project. I think that has been my main eye-opener. AD: Economy and Politics have always been strongly connected to architecture. we realize though, that our expectations as young architects brutally crash with the global economic crisis – this is not the future we were waiting for. Do you consider this as a hindrance or motivation? SS: For me, the relationship between architecture, economy, and politics had a strong impact on my career. Many key moments in my life have coincided when moments of crisis—I was born in 1973 during the First Oil Crisis, I attended University when Japan’s Bubble Economy collapsed in 1991, I was leading the CCTV Competition Entry in 2001 (the same year as 9/11) and I became a partner at OMA in 2008 in the same year as the Credit Crisis. From these experiences, I have seen this both as a hindrance and motivation and in response I have always tried to find the potential within each moment. 72

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NEXT SPREAD 1. - 2. 23 East, 22nd Street, New York Residential Tower images copyright OMA 3. Marina Abramovic and Shohei Shigematsu credits Loren Wohl 4. Marina Abramovic Institute, Hudson, NY copyright OMA

AD: Should architects look into the future, trying to predict it, or should they rather focus on the present and push it towards the right future direction? SS: I think it is difficult to do one without considering the other. It is problematic to focus only on the future without an understanding of what is possible in the present. Conversely, it is often a problem that architecture can get caught up in imagining the future without specifying a way to take action within the present. AD: When do you consider architecture as a cause and when as a cure? SS: I wish that architecture always has an impact on its surroundings and at the same time that it always addresses certain issues—from difficult site conditions to larger social or economic questions. AD: Do you believe there is still something new that can be expressed through architecture, or has everything already been said? SS: Focusing on newness alone in architecture is problematic. It is important that architecture is not designed based on whether something has been said or not – but based on the right argument at the right moment and an understanding of how to create a strong relationship with what has been said before. Of course, the continued evolution of existing technologies or methods to create something new will create new ways to say things in architecture; but I don’t think that this means we are necessarily saying something new. AD: Do you believe there are some ‘a priori’ rules that we can learn about and that we should follow in designing, or is everything subjective ? SS: Does one necessarily exclude the other? I’m not sure that I see a set of fundamental rules that we can learn about but I do believe in a certain objectivity within which certain subjectivities can hopefully emerge. AD: “Koolhaas “Generic City”, Augè “ Non Places”: architects, sociologists and philosophers seem to have an idea of where we are going and which are the possible mistakes. How do you think we can preserve our identity using globalization as an opportunity?

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SS: I think in order to maintain a strong identity it is important to balance an understanding of both the global and local situation. By focusing on the relationship between these two realities, it seems possible to maintain specific identities through the context that globalization can provide. AD: Referring to Bjarke’s opinion, do you believe one has to create in opposition to or along with previous movements and ideas? SS: Well, I do believe in Darwinism… But, for sure, there isn’t such a strong ideology that we need to detach from today so I suppose that suggests that we have to create along with previous movements and ideas.

Prima di scrivere la mia intervista a Shohei Shigematsu, direttore di OMA NY, ho ripreso un testo che lessi anni fa e che ha fortemente influenzato la mia crescita professionale. “Delirious New York” Rem Koolhaas lo scrive nel 1978, ma resta un manifesto critico sulla città di Manhattan decisamente attuale. New York è insieme simbolo del progresso e “Capitale della Crisi Perpetua”, il “Manhatthanism” è espressione di un processo politico, economico e sociale. OMA ha sempre dimostrato sensibilità nel proporre soluzioni, al di la degli aspetti meramente tecnici, ed è quello che la società attuale ci chiede, perché spesso è proprio l’architettura a generare cultura.

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APARTMENTS

RESIDENTIAL PUBLIC

357,320 sf

4,896 sf

HOTEL ROOMS

126,140 sf

HOTEL PUBLIC

65,916 sf

HOTEL SERVICE

21,552 sf

LOFTS

330 UNITS

53,792 sf

72’

252 UNITS 68’

ARTIST WORK / LIVE 161,376 sf STUDIO

FAR : 14.7 82,390 SF

SITE

UTILITY

46,768 sf

PARKING

239,205 sf

CABARET

1,209,115 sf GROSS

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7,872 sf

RETAIL

86,940 sf

GALLERY LOBBIES

19,024 sf 18,314 sf

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40 UNITS

120 UNITS 86’


AD: Cosa ti ha spinto a diventare architetto?

AD: Quando l'architettura é una causa, quando una cura?

SS: Quando ero più giovane, sapevo che avrei voluto un lavoro fortemente legato al "sistema". In quel momento l’architettura mi sembrava l'unico modo per coinvolgere quella parte di società che poteva ancora permetterti di creare qualcosa, ma oggi potrei pensare a molti altri modi...

SS: Mi augurerei che l'architettura avesse sempre un forte impatto su ciò che la circonda e che al tempo stesso ne risolvesse gli eventuali problemi — dalla complessità di un luogo specifico fino alle grandi domande sociali ed economiche.

AD: Come è cambiato il tuo pensiero architettonico da quando eri studente e quali fattori hanno influenzato questo processo? SS: Quando ero uno studente…al tempo credevo sarebbe stato importante per me avere un dogma o uno stile particolare, un’ideologia. Ora il mio lavoro si concentra più sulla comprensione delle caratteristiche particolari di ogni progetto. Di conseguenza sono più interessato alle reazioni specifiche sul risultato di un lavoro. Credo che questa sia stata la mia scoperta più importante. AD: Economia e politica hanno sempre avuto un forte legame con l'architettura. Ci rendiamo conto però, che le nostre aspettative come giovani architetti debbano confrontarsi con una crisi globale con pochi precedenti. Non è il futuro che ci era stato promesso e che ci saremmo aspettati. Ostacolo o motivazione? SS: Il rapporto tra architettura, economia e politica ha avuto un forte impatto sulla mia carriera. Molti momenti chiave della mia vita hanno coinciso con periodi di crisi: sono nato nel 1973, durante la prima crisi petrolifera, frequentai l’Università nel 1991 quando crollò la “Bolla economica” giapponese, lavoravo al Concorso per la CCTV nel 2001 (lo stesso anno del 9/11) e diventai partner di OMA nel 2008 proprio durante la Credit Crisis. Per esperienza quindi direi ostacolo e motivazione allo stesso tempo, in risposta mi sono sempre preoccupato di vedere il potenziale in ogni circostanza. AD: Gli architetti dovrebbero cercare di guardare al futuro cercando di prevederlo, o piuttosto dovrebbero concentrarsi sul presente ed indirizzarlo verso la rotta più giusta? SS: Penso sia difficile prescindere da una o dall’altra cosa. Non è facile concentrarsi solo sul futuro non avendo percezione di cosa sia possibile nel presente. Al contrario, sarebbe un problema se l'architettura si perdesse nell’interpretare il futuro senza proporre soluzioni valide nell'immediato.

AD: Credi ci sia ancora qualcosa di nuovo che possa essere espresso attraverso l'architettura o é stato già detto tutto? SS: In architettura non é corretto concentrarsi esclusivamente sulle novità. È importante che non si progetti basandosi su quanto sia stato già detto o meno, ma sugli argomenti giusti ed al momento giusto, cercando di capire come dare continuità a quanto già espresso in precedenza. Naturalmente, la continua evoluzione delle tecnologie esistenti ed i nuovi metodi di progettazione stanno creando diverse forme di espressione in architettura. Non credo, tuttavia, che questo significhi necessariamente che stiamo dicendo qualcosa di nuovo. AD: Credi esistano regole da cui non si possa prescindere, che dovremmo rispettare nella progettazione, o tutto è soggettivo? SS: L'uno deve necessariamente escludere l'altro? Non sono certo ci siano regole fondamentali da seguire necessariamente, ma credo in una certa obiettività che permetta alla soggettività di poter emergere. AD: Koolhaas, "Generic City", Augè, "Non luoghi": architetti, sociologi e filosofi sembrano avere un'idea chiara di dove stiamo andando e quali errori stiamo commettendo. Come credi potremmo preservare la nostra identità usando la globalizzazione come opportunità? SS: Penso che per mantenere una forte identità sia importante comprendere sia la situazione globale che quella locale. Concentrando l'attenzione sul rapporto tra queste realtà sarà possibile difendere le proprie identità, questo anche attraverso il sistema che la globalizzazione può metterci a disposizione. AD: Facendo riferimento al pensiero di Bjarke (Big), pensi che ciascuno debba agire in contrapposizione ad idee e movimenti precedenti o in sinergia? SS: Beh, credo nel darwinismo... Certamente non esiste un'ideologia così netta da cui doversi distaccare necessariamente, quindi credo che che "costruire" tenendo in considerazione correnti di pensiero precedenti sia la scelta migliore. www.shoheishigematsu.com www.oma.eu 07 CITYVISION 77


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3 PREVIOUS SPREAD 1.2.3.4. 111 First Street, Jersey City Mixed Use Tower images copyright OMA

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THIS SPREAD 1.Milstein Hall, Ithaca, NY ph. courtesy of Iwan Baan 2.Milstein Hall, Ithaca, NY ph. courtesy of Brett Beyer


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Eva Franch i Gilabert

A surreal conversation with Francesco Gatti

FG: La maggior parte di noi ancora si concentra sui sogni di un futuro supertecnologico come in passato, o vi è più una tendenza a sognare uno sviluppo etico, invece che scientifico? EF: Non è nè l’uno nè l’altro, devono essere l’uno e l’altro.

FG: Questo numero di CityVision si concentra sul concetto di paleofuturo, vale a dire: come il futuro è stato percepito dal passato. Pensi che la gente sia sempre più o meno ottimista

FG: Ad ogni modo, se la musica ti sta disturbando, adesso puoi interromperla. EF: C’è un approccio sbagliato in questo pezzo, ovvero quello di equiparare la monarchia agli eroi. Tuttavia la canzone mi piace.

EF: A volte ballo in metropolitana.

FG: L’istinto è molto importante per le tue strategie o tendi a dare più spazio al potere intellettuale? EF: Io razionalmente sono me stessa.

sul confronto tra il futuro e i nostri predecessori? EF: La domanda presuppone che io possa avere un’idea di quello che i miei antenati pensavano, che in sé e per sé è una finzione. A malapena riesco a sapere ciò che pensano i miei contemporanei del futuro.

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FG: Hai ancora sogni che desideri realizzare in futuro? Se si, quali? EF: Crescendo ho sentito dire che nella vita si deve piantare un albero, scrivere un libro e avere dei

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figli. A questo vorrei aggiungere costruire la propria utopia. Finora, ho piantato centinaia di alberi.

FG: Il vostro lavoro opera di solito in contrasto con l’ambiente o tende ad essere in armonia con la natura?

FG: Scusa l’ignoranza delle mie domande, prometto che il mio linguaggio del corpo sarà molto superiore rispetto alle mie parole, devi solo accettare e darmi una data. EF: Esco per cena, ma non ti do una data.

FG: Per favore puoi riprodurre il brano che ho allegato a questa intervista? [... Mp3 ... Phillip Glass and David Bowie (Aphex Twin Mix) - Heroes] Grazie. Così ora è ufficialmente un colloquio romantico. [Faccia seria] È la tua azione intellettuale volta verso il cambiamento del mondo o solo il cambiamento del tuo gruppo più vicino? E in entrambi i casi pensi che nella tua vita avrai la possibilità di godere in pieno dei risultati di questa azione? EF: Il mio gruppo più vicino è il mondo, e sì, mi piace starci dentro ogni giorno.

FG: L’ultima domanda è la seguente: c’è una domanda che vuoi farmi (o a qualcun altro?) EF: Che cosa hai imparato oggi?

FG: Ciao eva, dopo una piccola ricerca su di te la mia prima domanda è la seguente: posso invitarti a cena? EF: Si può fare.


FG: ciao eva, after a small research about you my first question is: can I invite you to dinner? EF You can try.

FG: please and can you please play the track I’ve attached during this interview? […mp3…Phillip Glass and David Bowie (Aphex Twin Mix) - Heroes] thanks, so now it’s officially a romantic interview. Serious face. Is your intellectual action aimed toward the change of the world or only the change of your nearest group? and in both cases do you think that in your life spam you will have the opportunity to fully enjoy the results of this action? EF: My nearest group is the world, and yes, I enjoy being in it every day. FG: is your body action usually in contrast with your environment or do you tend to be in harmony with nature? EF: Sometimes I dance in the subway. FG: is instinct very important for you in your games or do you tend to give more space to your intellectual power? EF: I rationally let myself be.

FG: btw if the music is bothering you, you can switch it off now. EF: There is an essential mistake in this song that is to equate monarchy to heroes. Nevertheless I love the song.

FG: this issue of cityvision mag is focused on the concept of paleo-future, meaning: how the future was perceived in the past, do you think people are getting more or less optimistic about the future compared to our predecessors? EF: The question presupposes I can have an idea about what my ancestors-predecessors thought, and that in and of itself is a fiction. Moreover, I can barely know what my contemporaries think about the future. FG: do you think most of us still focus on the dream of a super technological future like in the past or is there more a tendency in dreaming an ethical development instead of a scientific one? EF: it’s not one or the other, it must be one and the other.

FG: do you still have dreams and achievements you want to reach in your future? If yes which ones? EF: Growing up I heard that in life one should plant a tree, write a book and have children. To that I would add construct your own utopia. So far, I planted hundreds of trees. FG: sorry if I was illiterate with my questions, I promise my body language will be much superior than my words, just accept to have the date with me. EF: I’ll go out for dinner, but I won’t give you a date. FG: anyway the last question is: Is there a question you want to ask me (or anybody else)? EF: What did you learn today?

www.eva-franch.com www.storefrontnews.org www.3gatti.com

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ARCHITECTURE COMPETITION

NEW YORK CITYVISION

by Sebastian Di Guardo www.cityvision-competition.com/newyork

L’apocalisse prendetela con ironia. New York CityVision è il terzo concorso sulle città del futuro promosso dal laboratorio d’architettura con base a Roma, CityVision. Queste sfide d’architettura hanno creato di volta in volta dei veri e propri workshop diffusi, spingendo personalità di tutto il mondo (soprattutto tra i giovani architetti) a lanciarsi in veri e propri brainstorming su un futuro possibile, assumendo come campi di sperimentazione città-simbolo quali Roma, Venezia e New York. Obiettivo è quello di individuare risposte a livello urbano alle problematiche della società contemporanea, le maggiori drammaticamente condivise da tutti: rapido consumarsi delle risorse, fabbisogno di energia, degrado ambientale e sociale, crescita incontrollabile dell’inurbamento. Ciò ha permesso di capire come oggi l’architetto si trovi a dover fare i conti con una crisi strisciante che ormai ha fortissime ripercussioni sul suo lavoro, in tutto il mondo; le conseguenze sono state molteplici, e la più evidente è la nascita dell’architettura ecosostenibile e i forti investimenti nelle ricerche sulle fonti rinnovabili e alternative. Dopo aver accertato il non avverarsi di un domani ideale, è stato chiesto ai partecipanti di sbirciare nel futuro ipotetico, o di tornare prima indietro nel tempo per scongiurare una negativa fase-chiave, o di combinare i due temi. Nei progetti presentati, e visionabili alla pagina www.cityvision-competition.com/newyork, e soprattutto nei vincitori, è possibile riscontrare due caratteristiche principali: lo scenario postapocalittico e il sarcasmo. La giuria - composta dal presidente Joshua Prince-Ramus (REX NY) insieme ad Eva Franch i Gilabert (Storefront for Art and Architecture), Roland Snooks (Kokkugia), Shohei Shigematsu (OMA NY), Alessandro Orsini (Architensions) e Mitchell Joachim (Terreform One) - ha riconosciuto nel concorso «una importantissima serie di proposte audaci e suggestive che non si limitano a progettare soluzioni ma si occupano soprattutto di immaginare un futuro possibile». La proposta vincitrice del gruppo composto da Eirini Giannakopoulou e Stefano Carera (SCEG) da Vigone (TO) con Hilario Isola e Matteo Norzi (Isola e Norzi) da Kent Av Brooklyn NY opera con piglio dissacrante, mantenendo anche nella grafica scelta lo spirito newyorkese, caratterizzato da sarcasmo intelligente e apertura mentale a ogni categoria culturale - incarnato dalla celeberrima rivista New Yorker - ma rovesciando letteralmente NY nella sua consistenza materiale. La città verticale, che individua nel fiume Hudson i suoi limiti fisici, diviene città orizzontale oltre il fiume; Manhattan (livellata nel 1811 per far spazio al piano di “lottizzazione”) diventa una gigantesca collina di rifiuti (la più diffusa risorsa esistente) sfruttabili per produrre energia, simulando un rilievo naturale. Central Park è risparmiato, da rettangolo verde nella città densa diventa scavo squadrato, sottrazione metafora del ricordo; mentre gli alti edifici-simbolo, come l’Empire State, emergono solo nei piani superiori da cui si accede (altro rovesciamento) e sono visitabili al loro interno, ricordando le immagini della Roma papalina prima degli scavi archeologici: capitali in inesorabile decadenza. Il progetto di Enrico Pieraccioli da Prato (PO) e Claudio Granato da Noci (BA), che si è aggiudicato il secondo posto, prevede l’innalzamento delle temperature e delle acque, ma anche la salvezza fisica della città di NY, divenuta Human Heritage Site (monumento dell’umanità), grazie ad una megastruttura geometrica, muta, anonima, che la circonda e la protegge, quasi una sorta di terrario per formiche: un’amara riflessione sugli strumenti di salvaguardia dei monumenti, già in questi anni oggetto di numerose critiche per l’inflessibile “cristallizzazione” (molto italianizzante) che comportano. Infine il progetto di Miles Fujiki (Premio Farm e scelto da Andrea Bartoli) non stabilisce una risposta costruita a vasta scala quanto invece un programma sociale, una serie di ambienti diversi per vivere, scoprire, immaginare la città nel suo divenire, recuperando quel fondamentale legame tra il costruito e la società ormai estremamente (drammaticamente) sottovalutato. Un laboratorio all’interno del concorso stesso, che assume, concettualmente, le forme perpetue generate da due specchi posti l’uno di fronte all’altro. SDG

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The apocalypse take it with irony.

New York CityVision is the third contest on the cities of the future promoted by the laboratory of architecture CityVision. These architecture challenges time to time have created real popular workshops, pushing people from all over the world (especially among young architects) to embark on real brainstorming on a possible future, taking symbolic cities such as Rome, Venice and New York as experimental fields. The goal is to find the answers to the problems of an urban society, the greatest are dramatically shared by everyone: rapid consume of resources, energy demand, environmental degradation and social uncontrollable growth of urbanization. All this has allowed us to understand how the architect is now having to deal with a creeping crisis that has a strong impact on his work in the world, the consequences are numerous: the most obvious is the emergence of ecosustainable architecture and strong investments in research on renewable and alternative sources. After verifying the non-fulfillment of an ideal future, the participants were asked to peek into the hypothetical future, or to go back in time to avert a negative phase-key, or a combination of the two themes. In the projects submitted and viewable on cityvision-competition.com/ newyork, and especially in the winners, you may encounter two main features: the post-apocalyptic scenery and the sarcasm. The jury - composed of the President Joshua Prince-Ramus (REX NY) along with Eva Franch Gilabert (Storefront for Art and Architecture), Roland Snooks (Kokkugia), Shohei Shigematsu (OMA NY), Alessandro Orsini (Architensions) and Mitchell Joachim (Terreform one) - recognized in the competition “a series of bold and evocative propositions that are not limited to designing solutions, instead these speculations are concerned with imagining a possible future”. The winning proposal of the group of Eirini Giannakopoulou and Stefano Carera (SCEG) from Vigone (TO) with Hilario Isola and Matteo Norzi (Isola and Norzi) from Kent Av Brooklyn NY operates with an air of irreverence, while maintaining the spirit of New York in the graphics choice, characterized by sarcasm, intelligent and open-minded to every cultural category - embodied by the famous New Yorker magazine - but literally spilling NY in its material substance. The vertical city, which locates it’s physical limits in the Hudson river, becomes a horizontal city across the river, Manhattan (levelled off in 1811 in the plan of “subdivision”) becomes a giant hill of waste (the most common existing resource) exploitable to produce energy, simulating a natural relief. Central Park is spared, whereas before it was a green rectangle in the dense city it now becomes excavation square, subtraction metaphor of memory, while the tall symbolic buildings, like the Empire State, emerge only on the upper floors from which you enter in (other reversal) and can be visited within, recalling the images of papal Rome before the archaeological excavations: capitals in an inexorable decline. The project of Enrico Pieraccioli from Prato (PO) and Claudio Granato from Noci (BA), which was awarded the second place, foresees the rising of temperatures and water, but also the physical salvation of the city of New York, which became Human Heritage Site, thanks to a huge, mute, anonymous and geometric structure, that surrounds and protects it, almost a kind of terrarium for ants: a bitter reflection on the Protection of monuments, that has received in recent years a lot of criticism for inflexible “crystallization” (very Italian style) involved. Finally, the project of Miles Fujiki (Farm Award chosen by Andrea Bartoli) does not establish a large-scale “built response” but offers a social program, a series of different environments to experience, discover, imagine the city as it unfolds, recovering the fundamental relationship between the built and society now extremely (dramatically) underestimated. A laboratory within the same contest, assumes that, conceptually, the perpetual forms generated by two mirrors placed opposite one another. SDG 07 CITYVISION 83


FIRST PRIZE (T5D7P1) Eirini Giannakopoulou and Stefano Carera (SCEG) from Vigone (TO) Italy with Hilario Isola and Matteo Norzi (Isola and Norzi) from Kent Av Brooklyn

SECOND PRIZE (N8B5H4) Enrico Pieraccioli from Prato (PO) Italy and Claudio Granato from Noci (BA) Italy

FARM PRIZE (K9B4D1) Miles Fujiki from New York The project has been judged by Andrea Bartoli of Farm Cultural Park.

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HONORABLE MENTIONS A. Faoro – F. Rizzetto | C2A5T9

F. Yusuke – O. Mai – U. Kauzya – I. Aya | J8U6A1

J. Tigges – F. Segat – A. Menon N. di Croce | F8B4L3

B. Roberts | L4G7D6

S. F. Rodriguez Pereira – M. Franco Sêrro Caiado | F8N3S9

T. Cukar – C. Lowery | M5T2M7

A. Koetter – J. Rowen E. Zeifman | G7S5Y1

F. Furiassi | P1A9V6

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FIRST PRIZE

THE NEW YORKER Eirini Giannakopoulou – Stefano Carera – Hilario Isola – Matteo Norzi interview by Alessandro Orsini (NY CityVision Juror)

AO: How did you put together the competition team? What was the idea behind merging the different disciplines architecture and art? W: After decades of distance, art and architecture seem again to be disciplines able to deeply inspire each other. The competition proposal was born by the joint effort of contemporary art collaborative duo, Isola and Norzi, together with a couple of architects SCEG. The ideas behind the project developed through some sort of role game. Artists were there to foresee the scenario, architects would try to find solutions for. But as often happens when the group has fun working together, there is no need of playing by the rules and given roles can be exchanged. As per the theme of the Biennale 2012, the project is a common ground of dialogue and participation. It’s fundamental to consider opposite and diverse points of view to approach complex issues, whether it’s about urban planning or land-art. AO: What was the generative process of the project? I can see the team sharing ideas at night in some warehouse on Kent Avenue, like small talks among the different people composing the team…… W: Yes exactly! Like so many other Europeans, some of the components of our team have to Brooklyn a few years ago. We have the privilege to watch the show of the skyline of Manhattan everyday just through the window of our studio on Kent Av, nevertheless NYC still appears puzzling if not inscrutable, yet so fascinating. The generative process of the project went through weekly Skype conference calls, but it was a Mediterranean weekend all together around a dining table and a few wine bottles that made the final boards come to life. Again, it’s essential to be able to schizophrenically change point of view to imagine and picture a visionary setting... AO: The boards were very fascinating …..To me it appeared like an architect that just made his masterpiece and decided to retire, composing the last scene at his drafting table. What was the role of Saul Steinberg’s work on the final graphic appearance of the entry? W: Saul Steinberg is renowned for the drawings that appeared on The New Yorker for nearly six decades. Not many people remember that he graduated in Architecture at the Politecnico di Milano in 1940, and surely the great range of his work is still very much to be re-discovered. He was a modernist without portfolio, constantly crossing boundaries into uncharted visual territory. Through such shifts of meaning, Steinberg’s lines have been something like a manual for us, a guide book, a bestiary to interpret the New Yorkers, from types to typos. Moreover in another famous drawing of his, a man traces a large spiral. But as the spiral moves downward, it metamorphoses into right foot, left foot, then the outline of a body, until finally reaching the hand 86

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holding the pencil that draws the line. This emblem of a draftsman in the act of generating himself and his line epitomizes a fundamental principle of Steinberg’s work: his art is about the ways artists make art; architects make architecture. Each time we face the horror vacui of a blank A4 to sketch a new idea, we feel this same need of self introspection. Steinberg did not represent what he saw; rather, he depicted people, places, and even numbers or words in styles borrowed from other art, high and low, past and present, as means to explore social and political systems, human foibles, geography, architecture, language and, of course, art itself. That is why we felt borrowing his drafting table to compose our own boards for a competition about a vision for the future of New York City was the proper contest to pay homage to his genius.

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AO: On the boards you show another era, so to say, drawing tools. What are the design tools you use in your profession? Is the entry totally digitally produced? W: We strongly wanted to keep a distance from any kind of sci-fi imaginary related to NYC. Everything is digital nowadays, but the digital esthetic of 3d modeling seemed inadequate to support such an utopian and abstract proposal. We have felt the need to express something of the identity of New York City which would place past (quoting Steinberg), present (our own workshop) and future (the vision) on a level of continuity, in which the use of irony and simple drawing tools would help communicating a less terrifying version of what lies ahead for the metropolis and the environment.


AO: Come avete formato il vostro team? Qual è l’idea che sta alla base della fusione tra architettura, arte e diverse discipline? W: Dopo decenni di distanza, arte e architettura sembrano di nuovo essere discipline capaci di ispirare profondamente l’un l’altra. La proposta del concorso è nata dallo sforzo congiunto di un duo che collabora nel campo dell’arte contemporanea, Isola e Norzi, insieme ad una coppia di architetti SCEG. Le idee alla base del progetto sono state sviluppate come in una sorta di gioco di ruolo. Gli artisti erano lì per prevedere lo scenario, gli architetti avrebbero cercato di trovare soluzioni. Ma come spesso accade quando in un gruppo ci si diverte a lavorare insieme, non c’è bisogno di giocare secondo le regole e i ruoli assegnati possono essere scambiati. Come per il tema della Biennale 2012, alla base del progetto vi è un terreno comune di dialogo e di partecipazione. È fondamentale considerare i punti di vista opposti e affrontare questioni diverse e complesse, quando si tratta di pianificazione urbana o land–art. AO: Qual è stato il processo generativo del progetto? Riesco a immaginare il team che si scambia le idee durante la notte in qualche magazzino di Kent Avenue, come un semplice colloquio tra le diverse persone che compongono il team.... W: Sì, esattamente! Come tanti altri europei, alcuni dei componenti del nostro team si sono spostati a Brooklyn, qualche anno fa. Abbiamo il privilegio di assistere allo spettacolo dello skyline di Manhattan, tutti i giorni solo attraverso la finestra del nostro studio su Kent Av, tuttavia NYC appare ancora sconcertante se non imperscrutabile, eppur così affascinante. Il processo generativo del progetto è avvenuto attraverso settimanali call conference su skype, ma è stato durante un week–end nel Mediterraneo, tutti insieme intorno a un tavolo da pranzo con alcune bottiglie di vino, che le tavole finali hanno preso vita. Anche in questo caso è essenziale essere in grado di cambiare schizofrenicamente punto di vista, cercare di immaginare e immaginare un ambiente visionario...

AO: Le tavole erano molto affascinanti.... A me il lavoro è apparso come quello di un architetto che appena finito il suo capolavoro ha deciso di andare in pensione, componendo l’ultima scena al tavolo da disegno. Qual è stato il ruolo del lavoro di Saul Steinberg nella parte finale del lavoro grafico? W: Saul Steinberg è rinomato per i disegni che sono apparsi su The New Yorker per quasi sei decenni. Non molte persone ricordano che si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1940, e sicuramente la vasta gamma del suo lavoro è ancora molto da riscoprire. Era un modernista senza portafoglio, costantemente impegnato nell’attraversare i confini di un territorio visivo inesplorato. Attraverso tali cambiamenti di significato, i 07 CITYVISION 89


disegni di Steinberg sono stati per noi qualcosa di simile a un manuale, una guida, un bestiario di interpretazione dei newyorkesi, dal battere a macchina agli errori di ortografia. Inoltre, in un altro suo famoso disegno, appare un uomo che traccia una grande spirale. Ma nel momento in cui la spirale si muove verso il basso, si trasforma in piede destro, piede sinistro, poi nel contorno di un corpo, fino a giungere alla mano che impugna la matita che sta disegnando la linea. Questo emblema di un disegnatore nell’atto di generare se stesso dalla sua linea incarna un principio fondamentale del lavoro di Steinberg: la sua arte esprime il modo in cui gli artisti creano la loro arte e gli architetti l’architettura. Ogni volta che ci troviamo di fronte l’horror vacui di un A4 bianco sul quale disegnare una nuova idea, riteniamo ci sia bisogno di questa introspezione. Steinberg non rappresentava ciò che vedeva, anzi, rappresentava le persone, i luoghi e anche i numeri o le parole prese in prestito da stili d’arte, alta e bassa, passato e presente, come mezzi per esplorare i sistemi sociali e politici, le manie umane, la geografia, l’architettura, il linguaggio e, naturalmente, l’arte stessa. È per questo che abbiamo preso in prestito il suo tavolo da disegno per comporre le nostre tavole per un concorso che richiedeva una visione sul futuro di New York City ed è quindi stato il concorso stesso a rendere omaggio al suo genio. AO: Sulle tavole mostrate un’altra epoca, se così si può dire: strumenti da disegno. Quali sono gli strumenti di progettazione utilizzati nella vostra professione? Il progetto è stato realizzato interamente in digitale? W: Abbiamo fortemente voluto prendere le distanze da qualsiasi tipo di sci–fi immaginario legato a New York. Tutto è digitale al giorno d’oggi, ma l’estetica della modellazione 3d sembrava inadeguata a sostenere la nostra proposta utopica e astratta. Abbiamo sentito il bisogno di esprimere qualcosa sull’identità di New York, attraverso il passato (citando Steinberg), il presente (il nostro studio) e il futuro (la visione) a livello di continuità, in cui l’uso di ironia e semplici strumenti da disegno avrebbero aiutato la comunicazione di una versione meno terrificante di quello che ci si aspetta per la metropoli e l’ambiente.

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PROJECT DESCRIPTION Future, present and past have always been fundamental concepts in every phase of developing which the history of New York City has faced. Things here change very fast, although others never change. With such spirit in mind, we have interpreted the competition as a homage to Romanian–born American artist, architect, cartoonist and illustrator, Saul Steinberg (1914–1999). Among many masterpieces, he is the author of the famous The New Yorker magazine cover (March 29, 1976) “View of the World from 9th Avenue”. Such drawing has come to represent Manhattan’s telescoped interpretation of the country beyond the Hudson River. Showing the supposedly limited mental geography of Manhattanites, it has become iconic as a representation of one of the most influential and perhaps the last ideal city ever to exist.

Futuro, presente e passato sono sempre stati concetti fondamentali in ogni fase di sviluppo che la storia di New York City ha affrontato. Le cose qui cambiano molto in fretta, anche se gli altri non cambiano mai. Con tale spirito, abbiamo affrontato il progetto come un omaggio all’artista Americano nato in Romania, Saul Steinberg (1914–1999), architetto, fumettista e illustratore. Tra i tanti capolavori la copertina del famoso The New Yorker (29 marzo 1976) “View of the World dal 9 Avenue”. Questo disegno è l’interpretazione telescopica di Manhattan al di là del fiume Hudson. Mostrando la presunta e limitata geografia mentale degli abitanti di Manhattan, è diventata una delle rappresentazioni iconica di una delle più influenti e, forse, ultima città ideale mai esistita.

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SECOND PRIZE

HUMAN HERITAGE SITE Enrico Pieraccioli - Claudio Granato

interview by Alessandro Orsini (NY CityVision Juror)

AO: Human Heritage Site. You are basically stating that everything you want to preserve for the future generation is New York City with everything in it. Your project is visually compelling. How much did the radical architecture visions of Superstudio impact the development of your idea? W: The Superstudio, and Radical culture, influenced our formation that took place within the Florentine University. We cannot deny that we resumed demonstratio per absurdum model of “Il Monumento Continuo”, although the architectural model product is totally different. Positivism of Radical, as well as for the Japanese Metabolists, manifested itself in an architecture produced in a single act, through a work of total urbanization, dictated by an advancement and development from a functional safety resulting from the Rationalist culture, in a future vision. Our image wants to make tou reflect on the current insecurity of the power of man, on its limit and the energetic limits; about the insecurity and doubt of our civilization that operates conceptually and leads us to not have an enlightened vision like that of Superstudio. If the Radicals had the intent to expand the space, our proposal aims to preserve and protect in order to expand over time. AO: Which kind of research did you make prior to design? Is your proposal a rejection to design? Yours is “the architecture of an image”. W: Rather than the architecture of an image, I would say that we don’t always feel the need to intervene with an existing building. We try to treat architecture as an organism and we work on connections between existing and contemporary, creating a kind of graft that blends the spaces. To us it seems essential, before anything else, to understand where we’re going, what are the new requirements and how the city and architecture can make contemporary people. This is the substantial research we apply before a design idea. We believe that the current concept of space–time caused by the digital revolution, has basically changed the role of the architect, who seeks an architecture that can remain stationary for at least a couple of minutes to take something profitable. Not always, for us then, the design is the answer to our quest. We have, without doubt, the need to communicate, if this is enough to make an image, we design the image.

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AO: In Delirious New York, Rem Koolhaas imagined the city as a place for desire, a pure fantasy world only built for tourists. Do you see your gesture under the same light? Is your monument part of that amusement park? W: Rather than a result of pure fantasy and desire, we intend our proposal to be a place of memory. Our project as an absurd comparison with archaeological sites, turns everything into an educational trip on what we were. If a place of culture can be at the same time a fun site, and the design museum is equal to that of a Dreamland to make more attractive culture, then we can call it part of an amusement park. We live in Florence and then we move in what can be described as an open–air museum. The Renaissance becomes an attractive role for tourists although not a fantasy world.

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AO: Human Heritage Site. Fondamentalmente affermate che tutto ciò che desiderate conservare per le generazioni future è New York City, con tutto ciò che contiene. Il vostro progetto è di forte impatto visivo. Quanto le visioni di architettura radicale di Superstudio hanno influenzato lo sviluppo dell’idea progettuale? W: I Superstudio, e la cultura dei Radical, hanno influenzato la nostra formazione avvenuta nell’ambito universitario fiorentino. Non possiamo negare di aver ripreso il modello demonstratio per absurdum de “Il Monumento Continuo”, anche se il modello architettonico prodotto è totalmente differente. Il positivismo dei Radical, così come per i Metabolisti giapponesi, si manifestava in un’architettura prodotta in un unico atto, attraverso un’opera di urbanizzazione totale, dettata da un avanzamento dello sviluppo e da una sicurezza funzionale derivante dalla cultura


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Razionalista in una visione futura. La nostra immagine vuole far riflettere sull’attuale insicurezza della potenza dell’uomo, sul suo limite e sul limite energetico; sull’insicurezza e sul dubbio della nostra civiltà e sull’operare concettualmente che ci porta a non avere una visione illuminata come quella dei Superstudio. Se i Radical avevano l’intento di espandere lo spazio, la nostra proposta mira a preservare e conservare per espandersi nel tempo. AO: Che tipo di ricerca avete condotto prima di arrivare al concept? È la vostra proposta un rifiuto verso la progettazione? È “l’architettura di un’immagine” W: Piuttosto che l’architettura di un’immagine, direi che non sentiamo sempre l’esigenza di andare a intervenire con un costruito. Cerchiamo di trattare l’architettura come un organismo e lavoriamo su connessioni tra esistente e contemporaneo, creando una sorta di innesto che fonde gli spazi. Ci sembra indispensabile, prima di ogni altra cosa, capire dove stiamo andando, quali sono le nuove esigenze e in che maniera la città e l’architettura possano rendere le persone contemporanee. Questa è la sostanziale ricerca che applichiamo prima di un’idea progettuale. Crediamo che la concezione spazio–temporale attuale dovuta alla rivoluzione digitale, abbia fondamentalmente cambiato il ruolo dell’architetto, che cerca un’architettura che possa rimanere ferma almeno un paio di minuti per trarne qualcosa di proficuo. Non sempre, quindi, la progettazione è la risposta alla nostra ricerca. Abbiamo senza dubbio l’esigenza di comunicare, se per farlo basta un’immagine, allora progettiamo l’immagine. AO: In Delirious New York, Rem Koolhaas immagina la città come luogo di desiderio, un mondo di pura fantasia costruito solo per i turisti. Vedete il vostro progetto sotto la stessa luce? Il vostro monumento fa parte di un parco divertimento? W: Più che risultato di pura fantasia e luogo di desiderio, intendiamo la nostra proposta come un luogo della memoria. Il nostro progetto per un assurdo paragone con gli scavi archeologici, trasforma il tutto in un viaggio educativo sul come eravamo. Se poi un luogo della cultura può essere allo stesso tempo luogo di divertimento, e la progettazione museale è pari a quella di una Dreamland per rendere più appetibile la cultura, allora possiamo definirlo parte di un parco divertimenti. Noi abitiamo a Firenze e quindi ci muoviamo in quello che può essere definito un museo a cielo aperto. Il rinascimento acquista un ruolo attrattivo per turisti pur non essendo un mondo di fantasia.

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PROJECT DESCRIPTION Human Heritage Site. Every form of progress, every technological invention, linked to the development of society, brings with it a double image: success also includes the space for anxiety and danger of a possible and probable failure. To study and design the means to avoid such a disaster becomes almost as important as the study progress. If it’s true that the destructive effects never cease to act, and that they are repeated in the history of every cycle, it is true that what is civilization at a given time, will be the primitive state in the next moment. Creation and Destruction, the scene endlessly repeating. The feverish speculative activity in human years, within the “grid”, has led to a heaviness of the Earth. The temperature increases slowly. Regardless of the most mortifying surprises, the earth continues its transformation toward equilibrium.

Ogni forma di progresso, ogni invenzione tecnologica, legata alla società di sviluppo, porta con sé una doppia immagine: nel successo è inclusa anche l’ansia e il pericolo del suo fallimento possibile e probabile. Studiare e progettare i mezzi per evitare un simile disastro diventa quasi importante quanto lo studio del progresso. Se è vero che gli effetti distruttivi non cessano mai di agire, e che si ripetono in ogni ciclo della storia, è vero che ciò che è progresso in un determinato momento, diverrà uno stato primitivo nella fase successiva. Creazione e distruzione, la scena si ripete all’infinito. La febbrile attività speculativa in anni umani, all’interno della “griglia”, ha portato ad una pesantezza della Terra. La temperatura aumenta lentamente. Non curante dalle sorprese più mortificanti, la terra continua la sua trasformazione verso un equilibrio.

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FARM PRIZE

INSTITUTE FOR IMAGINING NY Miles Fujiki

interview by Alessandro Orsini (NY CityVision Juror)

AO: our proposal reminds me the Mnemosyne Atlas by Aby Warburg. Is you design related to the idea of architecture as a ruin? As witness of the time? W: When I began working on this project, I was obsessed with a ruinous state of architecture or cities. Both in its physical state of decay or roughness achieved by the passage of time, and as space where the inhabitation and relationship between people and architecture has totally diverged from its intent. For me both of these conditions allow a dangerously romantic nostalgia or fetishization of ruins, and a radical opportunity to dream and imagine what could be or what could have been. At the same time, it is more powerful than starting with a tabula rasa situation, because you are working with an existing condition and an existing space with its own real and imagined history. I wanted to capture this quality of ruins that demands reimagination and to resist the ready–made ruin in favor of spaces and a materiality that would weather and age— rather than fall victim to the popular mandate of contemporary architecture, which is to be constantly groomed in order remain in a state of being that is constantly “new.” AO: The Museum of Modern Art in New York just opened an exhibition called “9 + 1 Ways of Being Political: 50 Years of Political Stances in Architecture and Urban Design” curated by Pedro Gadanho. Reading your text you state “In the uncertain city, brute economics dictates physical form and experience”. It’s the idea behind the exhibition that the economical situation is overwhelming the political potential of architecture which was the fundament of the avant– garde movements of the 20th century. Did you think about this during the preliminary stage of your project? W: My understanding of the contemporary city, specifically New York, is that things that are not profitable—whether that’s measured in dollars, political capital, or cultural capital—are not viable, and therefore are a waste of time to think about. That for me is brute economics. I believe that there are things outside of this metric that could bring new and fundamental value to the city. While it is up for debate whether it is a contemporary situation that brute economics dictates, or has always dominated to some degree, I do think that now, for citizens of cities and those responsible for shaping the physical environment—politicians, developers, architects, planners—for them, imagination is becoming increasingly myopic. Part of that is the still–undisputed right of the market. Yes, the economic crash caused many to lash out and make a lot of noise, but a credible alternative or even parallel has not been established in New York. In Architecture, I believe it is the complete domination of the environmental narrative as well as a continuing obsession with computation’s effects. These effects include its promises of rationalization, optimization, and efficiency, all of which are market terms. I do not deny the importance or reality of these issues for our cities and discipline, but I do dispute the lack of alternatives and the value they possess outside of a narrow and very conservative definition.

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AO: Your black and white drawings mixed with photography are very poetic compared to the super flashy images we see published all the time about new projects, more real and less poetic. What do you think about the representation of ideas in architecture and its implication? W: This project is my attempt to provoke reimaginations by Architects as well as urban citizens by providing a space and a platform for those reimaginations to occur. It was driven by core ideas that permeated into the architecture, narrative, and representation. I personally am not interested in ultra realistic renderings or flashy graphics, but rather in techniques that communicate and explore ideas behind a project in deeper, more operative ways. The predominant aesthetic of representation, in many cases, has little to do with the “real” impact or experience of the architecture, and instead communicates only an imagistic cool. I also believe in the process of “building” drawings rather than setting parameters and letting the computer make the drawing for you. So I was at once graphically communicating my ideas and intentions of the project, and testing its urban, architectural, and intimate effects. These are not finished images, they are working drawings. I would like to continue to explore representation and its implications as well as the project of probing alternative imaginations within the city.

Dear Alessandro, Thank you for giving me this opportunity to show my work. I am honored to be selected to be apart of this publication. Best wishes, Miles Fujiki. 100 CITYVISION 07

AO: La tua proposta mi ricorda l’Atlante Mnemosyne di Aby Warburg. Un’idea di progettazione correlata all’idea di architettura come rovina? Come testimone del tempo? W: Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, ero ossessionato dallo stato di rovina dell’architettura o della città. In entrambi era forte il senso di degrado fisico, o rugosità, generato dal passare del tempo, e lo spazio che, attaverso il rapporto tra l’abitazione, le persone e l’architettura, si discostava completamente dal suo intento. Per me entrambe le condizioni portano ad una nostalgia pericolosamente romantica o feticizzazione delle rovine; è un’opportunità radicale per sognare e immaginare quello che potrebbe essere o che sarebbe stato. Allo stesso tempo sarebbe più facile partire da una situazione di tabula rasa, vista l’attuale condizione di uno spazio esistente con la propria storia reale e immaginaria. Volevo catturare la qualità di queste rovine che esigono re–immaginazione e resistono al ready–made della rovina a favore di spazi e di una materialità che resiste al tempo, piuttosto che cadere vittima del mandato popolare dell’architettura contemporanea, che deve essere costantemente curata per rimanere in uno stato d’essere costantemente“nuovo”. AO: Il Museo d’Arte Moderna di New York, inaugura la mostra “9 + 1 Ways of Being Political”: 50 anni di posizioni politiche in Architettura e Urban Design” a cura di Pedro Gadanho. Leggendo il tuo testo dichiari che “Nella città incerta, l’economia bruta detta la forma fisica e l’esperienza.” È l’idea alla base della mostra, ovvero di una situazione economica che sta travolgendo il


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potenziale politico dell’architettura, che era la base fondamentale delle avanguardie del XX secolo. Hai pensato a questo durante la fase preliminare del progetto? W: La mia idea di città contemporanea, in particolare di New York, è che le cose che non sono redditizie, sia che siano espresse in dollari che in capitale politico o culturale, non sono capitali vitali, e quindi sono una perdita di tempo. È questo per me l’economia bruta. Io credo che ci siano cose al di fuori di questo dato che potrebbero portare a un nuovo valore fondamentale per la città. Anche se si tratta di una situazione contemporanea in cui l’economia è detta bruta, o ha sempre dominato in una certa misura, penso che in questo momento i cittadini di una città siano i responsabili della concezione fisica dell’ambiente politico. Per architetti e pianificatori, immaginare diventa sempre più miopia. Parte di questo concetto è il caposaldo indiscusso del diritto del mercato. Sì, il crollo economico ha indotto molti a scatenarsi e fare un sacco di rumore, ma un’alternativa credibile, o anche parallela, non è stata ancora trovata per New York. In architettura, credo che questo sia il dominio completo della narrazione ambientale così come un’ossessione continua con gli effetti di calcolo. Questi effetti comprendono le sue promesse di razionalizzazione, l’ottimizzazione e l’efficienza, che sono tutti condizioni di mercato. Non nego l’importanza o la realtà di questi problemi per le nostre città e la disciplina, ma contesto la mancanza di alternative e il valore che possiedono al di fuori di una definizione stretta e molto conservatrice. AO: I tuoi disegni in bianco e nero mescolati alla fotografia sono molto poetici rispetto alle immagini super–appariscenti che vediamo pubblicate costantemente di nuovi progetti, più reali e meno poetici. Cosa pensi della rappresentazione delle idee in architettura e delle sue implicazioni? W: Questo progetto è il mio tentativo di provocare re–imaginazione degli architetti e dei cittadini urbani, fornendo uno spazio e una piattaforma per i reimmaginare che questo si verifichi. Il progetto è stato guidato da idee di base che hanno impregnato l’architettura, la narrazione e la rappresentazione. Io personalmente non sono interessato a ultra rendering realistici o ad una grafica appariscente, ma piuttosto alle tecniche che comunicano ed esplorano le idee che stanno dietro ad un progetto in un modo più profondo, più operativo. L’estetica predominante della rappresentazione, in molti casi, ha poco a che fare con l’impatto “reale” o l’esperienza dell’architettura, e comunica invece solo un fredda immagine. Credo anche nel processo di “costruzione” dei disegni piuttosto che nell’impostazione dei parametri lasciando che il computer faccia il disegno per noi. Così ho comunicato subito graficamente le mie idee e le intenzioni del progetto, e la sperimentazione dei suoi effetti architettonici, urbani, ed intimi. Queste non sono immagini finite ma disegni funzionali (o in azione). Vorrei continuare a esplorare la rappresentazione e le sue implicazioni, nonché sondare il progetto nell’immaginazione alternativa all’interno della città.

Caro Alessandro, Grazie per questa opportunità nel mostrare il mio lavoro. Sono onorato di essere stato selezionato per questa pubblicazione. Saluti, Miles Fujiki. 102 CITYVISION 07


PROJECT DESCRIPTION Institute for Imagining New York In the uncertain city, a brute economy dictates physical form and experience. This truth is entrenched in the collective imagination to the degree that it becomes nearly impossible to think of a future urbanity not premised on profitability. Any alternative imagination evaporates. But in New York, a shrinking group of city dreamers—artists, writers, historians, lunatics, futurists, architects, urban archeologists, mystics, skateboarders—resist this condition. Feeding on the history of a place, its atmosphere and material state, they produce alternative realities that are gradually woven into New York. These realities are both firmly grounded in the city and constantly drifting above, below, into the past, into the future.

Nella città incerta, l’economia bruta detta la forma fisica e l’esperienza. Questa verità è radicata nell’immaginario collettivo nella misura in cui diventa quasi impossibile pensare a un futuro con una non urbanità fondata sulla redditività. Evapora qualsiasi forma d’immaginazione alternativa. Ma a New York, un gruppo di sognatori sempre più in diminuzione artisti, scrittori, storici, pazzi, futuristi, architetti, archeologi urbani, mistici, skateboarders– resistono a questa condizione. Alimentandosi della storia del luogo, la sua atmosfera e lo stato materiale, producono realtà alternative che vengono a poco a poco a tessere New York. Queste realtà sono entrambe saldamente radicate nella città e costantemente alla deriva sopra, sotto, nel passato e nel futuro.

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SPECIAL MENTION

REZONING MANHATTAN FABRIZIO FURIASSI

In the introduction of Delirious New York, Rem Koolhaas argues that the creation of Central Park was “an act of taxidermic preservation of nature that exhibits forever the drama of a culture outdistancing nature“. In that image it looks as though Manhattan’s architecture imprisons the nature within Central Park’s border, both to attest the progress of metropolis and to verify the superiority of the mental construction over reality. It was the result of a previous conceptual speculation that started with the introduction of the urban grid and the construction of skyscrapers. The technological achievements of the skyscraper along with an inadequate planning law were the incentives for the development of private interests and the perfect alibi to perform construction on the entire surface of the island, resulting in the total subjugation of nature. This unconstrained growth resulted in the dissolution of the public sphere. Nell’introduzione di Delirious New York, Rem Koolhaas sostiene che la creazione di Central Park sia stato “un atto di conservazione tassidermico della natura che presenta sempre il dramma di una sua distanza dalla cultura”. In questa immagine sembra che l’architettura di Manhattan imprigioni la natura all’interno del bordo di Central Park, sia per attestare i progressi della metropoli che per verificare la superiorità della costruzione mentale sulla realtà. È il risultato di una speculazione precedente e concettuale iniziata con l’introduzione della griglia urbana e la costruzione dei grattacieli. Le conquiste tecnologiche dei grattacieli insieme ad un’inadeguata pianificazione legislativa sono stati gli incentivi per lo sviluppo di interessi privati ​​e l’alibi perfetto per eseguire il processo costruttivo su tutta la superficie dell’isola, con una conseguente sottomissione della natura. Queste costrizioni in continua crescita hanno portato alla dissoluzione della sfera pubblica.

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SPECIAL MENTION

MOSES’ CITY TYLER CUKAR - CALEB LOWERY

What if Robert Moses got everything he asked for? Moses’ City would have been dominated by criss–crossing expressways, acres of monotonous public housing, imageless neighborhoods, and broken public transportation. Moses dreamed of a city for cars, going as far as to say “cities are created by and for traffic”. In this proposal we look at the city with both a past to future and future to past lens. The proposal first imagines Robert Moses as the true master builder and envisions a NYC that conformed to his desires, and followed his ideals. These ideas ranged from leveling buildings, blocks, and entire neighborhoods – like Greenwhich village – to make way for new crosstown expressways, carrying 5th avenue through Washington Square Park and scattering public housing complexes throughout the city. By exemplifying the auto-dominate culture of mid-century America, we see a 21st centuryNew York that is in love with cars. E se Robert Moses avesse ottenuto tutto quello che ha chiesto? La Città di Mosessarebbe stata dominata dall’attraversamento di autostrade, ettari di pubblici alloggi monotoni, quartieri senza immagini, e senza rotture di trasporto pubblico. Moses sognava una città per le automobili, arrivando addirittura a dire che le “città sono create da e per il traffico“. La proposta progettuale guarda la città sia con un passato verso il futuro che al futuro verso la lente del passato. Il progetto immagina Robert Moses come il capomastro vero e prevede una New York conforme ai suoi desideri e che ha seguito i suoi ideali. Queste idee partono da edifici di livellamento, blocchi e interi quartieri - come il villaggio Greenwhich per far posto alla nuova superstrada di Crosstown, portando la 5th avenue attraverso Washington Square Park e distribuendo complessi di edilizia residenziale pubblica in tutta la città.

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SPECIAL MENTION

OPEN ZONES BRYONY ROBERTS

Open Zones play on the underlying structural grids of Manhattan’s towers to offer a horizontal framework for integrating public space, new development, and historic preservation. The last hundred years of urban planning in New York City have generated three powerful but incompatible visions of space as a public good: the modernist ideal of open public space, the preservation of historic architecture, and the recent turn toward sustainable densification. The 1961 Zoning Resolution effectuated the modernist valuation of open plazas and parks, while the founding of the Landmarks Preservation Commission in 1965 initiated the reaction against modernist planning in favor of preserving historic urban fabric. Now, facing global climate change, the city must develop anew with highdensity growth to minimize energy consumption. Although seemingly irreconcilable, all three planning positions are equally relevant for New York’s future.

Le open zone si sviluppano sulle griglie strutturali alla base delle torri di Manhattan per offrire un quadro orizzontale che integra lo spazio pubblico, il nuovo sviluppo e la conservazione storica. Gli ultimi cento anni di pianificazione urbana di New York City hanno generato tre potenti ma incompatibili visioni dello spazio come bene pubblico: l’ideale modernista di spazio pubblico aperto, la conservazione di architettura storica e la recente svolta verso la densificazione sostenibile. Lo studio di zonizzazione del 1961 ha svolto la valutazione modernista di piazze e parchi aperti, mentre la fondazione della Commissione Landmarks Preservation del 1965 ha avviato la reazione contro la pianificazione modernista a favore della conservazione storica del tessuto urbano. Ora, di fronte ai cambiamenti climatici, la città deve sviluppare di nuovo un’alta densità di crescita per ridurre al minimo il consumo di energia. Anche se apparentemente inconciliabili, tutte e tre le posizioni di pianificazione sono ugualmente rilevanti per il futuro di New York.

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SPECIAL MENTION

3-DIMENTIONAL WOODEN URBAN-SCAPE FUKUCHI YUSUKE - ONO MAI - UCHIDA KAUZYA - ITOU AYA The aim of this proposal is to create a three dimentional network of both human beings and urban environment in NYC, where the buildings and ground are separated because of the historical urban strategy called GRID SYSTEM. This is an architectural intervention by using “3-DIMENTIONAL WOODEN GRID”, which makes the most of existing urban structure and attempts to create the image of “future city imbued with history”. In 1811, the government of NYC enacted the “GRID SYSTEM” that has permanently foreseen the concept of “vertical growth” and “open space on the ground”. It is an attractive outline of NYC toward the future. On the other hand, it also restricts the further growth of the City structure. And then, at the present time, the ground and skyscrapers are completely separated. There is no way to figure out what is happening inside those buildings unless they are similar to the ground level. Can we overturn this situation to a new network by architectural intervention? L’obiettivo di questa proposta è quello di creare una rete tridimensionale tra gli esseri umani e l’ambiente urbano di New York, dove gli edifici sono separati dalla terra a causa del tessuto storico urbano chiamato GRID SYSTEM. Si tratta di un intervento architettonico che utilizza una “ griglia di legno tridimensionale “ che prende la maggior parte del tessuto urbano esistente e tenta di creare l’immagine di “una città futura intrisa di storia”. Nel 1811, il governo di New York ha emanato il “GRID SYSTEM” che ha sempre previsto il concetto di “crescita verticale” e “spazio aperto sul territorio”. Si tratta di uno schema interessante di New York verso il futuro. Dall’altra parte, esso limita l’ulteriore crescita della City. E poi, al momento attuale, il territorio e i grattacieli sono completamente separati. Non c’è modo di capire ciò che sta accadendo all’interno di questi a meno che non si trovino a livello del suolo. Possiamo capovolgere questa situazione per creare una nuova rete di intervento architettonico?

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SPECIAL MENTION

OVER MANHATTAN ALFIE KOETTER - JONAH ROWEN - EMMETT ZEIFMAN

If Paris was the capital of the nineteenth century, then surely Manhattan has been the capital of the twentieth: an economic and cultural machine perfectly coincident with its epoch. And like Paris, Manhattan, in the past century has been completed, and is therefore dead. Manhattan is no longer suitable for anything but preservation—scrubbed clean and solidified into the static image of its perfect self. Manhattan, in the twenty–first century, is now ready to be embalmed, to lie in state as a museum of the twentieth century. This project proposes doubling the Manhattan grid, while inverting the figureground relationship of the original plan. In the new grid, the streets become buildings, and the blocks are left open. This infrastructure is lifted six stories above the streets of the old city, and shifted such that its linear buildings pass above, and through, the centers of the existing Manhattan blocks.

Se Parigi è stata la capitale del XX secolo, allora sicuramente Manhattan è stata la capitale del XXI secolo: una macchina economica e culturale, perfettamente coincidente con la sua epoca. E come Parigi, Manhattan, nel secolo passato, è stata completata, e quindi è morta. Manhattan non è più adatta a nulla, ma la conservazione solidifica l’immagine statica della sua auto perfezione. Manhattan, nel XXII secolo, è pronta per essere imbalsamata, trovandosi nello stato di museo del Novecento. Il progetto propone il raddoppio della griglia di Manhattan, invertendo il rapporto figura–sfondo del piano originario. Nella nuova griglia, le strade diventano edifici, ed i blocchi sono lasciati aperti. Questa infrastruttura è sollevata sei piani sopra le strade della vecchia città, e spostata in modo tale che i suoi edifici lineari le passino sopra, e attraversino il centro dei blocchi esistenti.

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URBAN SCENARIO SOFIA FERREIRA RODRIGUES PEREIRA - MADALENA FRANCO SÊRRO CAIADO

Urban Scenario Almost all the world population is now living in metropolis with they cannot identify with. The evolution of New York has evolved into an arch–dictatorship: multifunctional sky scrapers structure the urban growth where the buildings are the new landscape; every possible extension and connection between buildings is established and built; buildings grow beyond their own limits and beyond the city boundaries. The structural urban grid, which once was part of the city identity, has been lost; the old city icons are now lost in the middle of a dense topography where buildings compete with each other promising new opportunities; the different neighborhoods are left anonymous, without identity.

Scenario urbano. Quasi tutta la popolazione mondiale vive attualmente in metropoli con le quali non riesce a identificarsi. L’evoluzione di New York è avvenuta in un arco– dittatura: grattacieli multifunzionali rappresentano la crescita urbana dove gli edifici sono il nuovo paesaggio, ogni eventuale estensione e connessione tra gli edifici è stabilita e costruita; gli edifici crescono oltre i propri limiti e oltre i confini della città. La griglia strutturale urbana, che un tempo faceva parte dell’identità della città, è andata persa; le icone della vecchia città si sono ormai dissolte nel bel mezzo di una topografia fitta dove gli edifici, in concorrenza gli uni con gli altri, promettono nuove opportunità e i diversi quartieri rimangono anonimi, senza identità.

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SPECIAL MENTION

EXODUS

JAKOB TIGGES – FEDERICO SEGAT ANJALI MENON – NICOLA DI CROCE Exodus… And The Great Adventures of the Manhattan Diaspora 2012. She felt tired was all she told her therapist. After having been stared at for eight long decades the Empire State Building wanted to stare at something fancy herself, she thought. True there were ups ad downs, and lately, that is after the terrible demise of her taller twin colleagues, she had once again been getting as much admiration as she had in the early days. But that made her only feel worse. The vulgar turrets that were being erected next to her iconic friends’ tombs were said to be more or less imitations of some overseas fellows… There were all the stories of much more impressive towers on the other end of the globe. Enough, she was lean, she was tall, and if you made it here… “Boring as it may be, you cannot escape your own folkloristic existence” the therapist concluded, “but a change of scenery might help you to accept yourself ”.

Exodus... E le Grandi Avventure della Manhattan Diaspora 2012. Si sentiva stanca ed era tutto quello che aveva detto al suo terapeuta. Dopo essere stata a guardare per otto lunghi anni l’Empire State Building voleva cercare di aggiungere qualcosa di fantasioso su se stessa, pensò. È vero che ci sono stati alti e bassi ultimamente, vale a dire dopo la fine terribile dei suoi colleghi alti il doppio, ma era ancora ammirato come i primi tempi. Ma la cosa lo faceva sentire solo peggio. Le torrette volgari che venivano erette accanto alle tombe dei suoi amici iconici si diceva fossero più o meno imitazione di alcuni compagni d’oltremare... C’erano tutte le storie delle torri più imponenti dell’altro capo del globo. Basta, era magro, era alto, e se l’hai fatto qui... “noioso come può essere, non si può sfuggire alla propria esistenza folkloristica” il terapeuta ha concluso, “ma un cambiamento di scenario potrebbe aiutare ad accettare te stesso”.

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SPECIAL MENTION

NY: ARCHEOLOGY OF THE PRESENT “CONTINUOUS” ANDREAS FAORO - FRANCESCA RIZZETTO New York: archeology of the present “continuous” New York as a paradigm; a new operative thinking towards a present continuous. The scenario starts by proposing an initial operative concept of archeology, and acts as a pro-active manifesto for the “future” as a new operative thinking towards a present continuous. The idea of the future is ubiquitous, as J.G.Ballard suggests we are living in a present continuous. NY the 20th century modern city par excellence is concluded. Perhaps it is not important to discuss about the “truth” of this statement, but asking ourselves: if this experience is ended, NY could be considered an archaeological “residue”. This artefact becomes the “guide fossil”, identifying this definition with those signs that once deposited on the territory it possible to interpret different layers of the city and move towards a construction of possible future scenarios.

New York: archeologia del presente continuo di se stessa come un paradigma; un nuovo modo di pensare operativamente verso il presente. Lo scenario inizia proponendo un concetto iniziale operativo di archeologia e agisce come un manifesto pro–attivo del “futuro” per un nuovo modo di pensare operativamente verso il presente. L’idea di futuro è onnipresente e come suggerisce J.G. Ballard stiamo vivendo in un presente continuo. NY moderna città per eccellenza del 20° secolo è finita. Forse non è importante discutere sulla “verità” di questa affermazione, ma è meglio chiedersi se alla fine di questa esperienza, NY sarà considerata un “reperto” archeologico. Questo artefatto diventa il “fossile guida”, identificando con questa definizione quei segni che, una volta depositati sul territorio, danno la possibilità di interpretare i diversi strati della città e procedere verso una costruzione di possibili scenari futuri.

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UNIVERSAL FLOOD LUCA BREGNI - GIUSEPPE D’EMILIO - ANTONIO DE ROSA - MICHELA FALCONE

“And the waters prevailed exceedingly upon the earth; and all the high hills, that were under the whole heaven, were covered. Fifteen cubits upward did the waters prevail; and the mountains were covered”. The New York city vision concept is inspired by the fear of the changes that shake the certainties and determine the need to adapt to a new way of life. The impetuous climatic upheaval leads to this utopian vision of a stormy future that changes the order of the planet as we know it. In this context a new “Universal Flood” disrupts New York City, submerged by the waters. Manhattan Island finds a new life thanks to a hybrid mega-structure. This structure, like an iceberg, raises the island once again, setting up new places to live in.

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“E le acque ingrossarono oltremodo sopra la terra; e tutte le alte montagne che erano sotto tutti i cieli, furon coperte. Le acque salirono quindici cubiti al disopra delle vette dei monti; e le montagne furon coperte“. Il concetto di visione della città di New York è ispirato dalla paura dei cambiamenti che scuotono le certezze e determinano la necessità di adattarsi ad un nuovo stile di vita. L’impetuoso sconvolgimento climatico porterà a questa visione utopica di un futuro tempestoso che cambierà l’ordine del pianeta dal modo in cui lo conosciamo. In questo contesto, un nuovo “Diluvio Universale” distruggerà New York City, sommergendola. Manhattan troverà così una nuova vita grazie ad un ibrida megastruttura. Questa, come un iceberg, solleverà nuovamente l’isola, portando alla creazione di nuovi luoghi in cui vivere.


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FUCKING COLUMBUS FRANCESCA EANDI - MARCELLO LICITRA - ANDREA RONZINO - DAVIDE VERO

The project of Ulysses Webb, a tragedy written in the early hours of dawn. The project FUCKING COLUMBUS finally becomes reality. The isle of Manhattan is cut at the height of the 110th Street. The intent is to restore a balance between city and citizen. Journalist: So Mr Webb, what is the project FUCKING COLUMBUS? Ulysses: It basically consists of / detaching Manhattan and taking it round the various cities of the world. Manhattan will stop in every city and its present will reinterpret the future. Its past will not be destroyed, though. It will be only transformed. J: A journey as architecture then. But is New York going to relive its past? Is it going to find its future? U: The traveler recognizes the little in his, discovering the much he has not had and will never have.

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Il progetto di Ulysses Webb, una tragedia scritta alle prime ore dell’alba. Il progetto FUCKING COLUMBUS è finalmente realtà. L’isola di Manhattan viene tagliata all’altezza della 110th Strada a riportare un equilibrio tra la città e il cittadino. Giornalista: Quindi, signor Webb, qual è la finalità del progetto FUCKING COLUMBUS? Ulysses: Consiste essenzialmente nel distaccare Manhattan e portarla in giro per le varie città del mondo. Manhattan si fermerà in ogni città e con il suo presente reinterpreterà il futuro. Il suo passato non sarà distrutto, però. Sarà solo trasformato. J: Un viaggio come architettura quindi. Ma New York sta per rivivere il suo passato? Sta andando a trovare il suo futuro? U: Il viaggiatore riconosce il poco nel suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà mai.


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THE DAMAGE FELIPE DE SOUZA SILVA RODRIGUES - JULIA JABUR ZEMELLA - KARINA KORICH GISELLE BOACNIN MARTINS

You may ask why buildings no longer carry the date of construction above their entrance as in the past, [when did they stop counting?] exactly for the same reason they keep painting rooftops in vivid green, we are lost and do not believe in our time. Aware of it, we propose the damage, considering the city as a natural body, with all its inherent properties, the city’s growth will be based on the gain by loss, like a wound, its recovery generates the restoration of the tissue, but with the gain of mass, the result is a new deformation although with the original core, a predictable scar, thus being able to absorb all the human idiosyncrasy, in a continuous crystallization of their mistakes and successes. This is the time, the first facade comes down, they could not be more excited.

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Vi siete chiesti perché gli edifici non riportano la data di costruzione all’ingresso come accadeva in passato? [Quando hanno perso il conto?]. Esattamente per la stessa ragione per cui continuano a dipingere i tetti di verde intenso, ci siamo persi e non crediamo nel nostro tempo. Conoscendo il tempo, noi proponiamo il danno, considerando la città come un corpo naturale, con tutte le sue proprietà intrinseche, la crescita della città si basa sul guadagno dalla perdita, come una ferita, il suo recupero genera la rivitalizzazione del tessuto urbano, ma con il guadagno di massa. Il risultato è una deformazione nuova insieme al nucleo originale. Una cicatrice prevedibile in grado di assorbire tutta l’idiosincrasia umana, in una cristallizzazione continua di errori e successi. Questo è il tempo. La prima facciata viene giù, e si sarà più eccitati che mai.


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THE WALL EDOUARD CHAMPALLE

In a future not long from now, New York City will have to face challenges that will deeply change it. At the dawn of the 21st century humanity experienced its worst crisis at every level: financial, political, social, environmental and philosophical. In the U.S. the damage was as severe as elsewhere. New York City remained the last city to produce wealth for the country. The city became a major challenge for the survival of the nation. At the same time the sea level continued to rise threatening the city. The government had to react quickly in order to preserve the last country’s growing economy and thus the rest of the states. The government introduced an ambitious plan to save the city. It began to build a WALL around Manhattan. The WALL would not be a simple protection against the rising waters; it would be a machine that would allow the city to continue to exist.

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In un futuro non molto lontano, New York affronterà sfide che la porteranno a profondi cambiamenti. All’alba del 21° secolo l’umanità ha vissuto la suo peggior crisi a tutti i livelli: finanziario, politico, sociale, ambientale e filosofico. Negli Stati Uniti il danno è stato grave come negli altri paesi. New York è rimasta l’ultima città a produrre ricchezza per la nazione. La città diventa una grande sfida per la sopravvivenza del paese. Allo stesso tempo il livello del mare continua ad aumentare minacciando la città. Il governo reagisce rapidamente al fine di preservare la crescita economica del paese e del resto degli altri Stati. E allora la città introduce un ambizioso piano per salvarsi. Costruisce un muro intorno a Manhattan. Il muro non sarebbe solo una semplice protezione contro l’attacco delle acque, ma è una macchina che permette alla città di continuare ad esistere.


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HUDSON CANYON AIKATERINI TOLGA KEFALOGIANNI - LAERTIS ANTONIOS VASSILIOU XANTHIPPI ALEXI

…in a few years the whole 21.000 acres of riverbed will be entirely inhabited. The old-fashioned yet practical grid will be expanded partially towards the opposite shores creating a suprastructure network floating above the new city made by Zenetos andFriedman prophets of their times. Notorious Manhattan towers above the new city like a great monument; an acropolis made of steel, glass and concrete. Tourist guides will make analogies and compare it with the “old fortress towns” of Europe. It is time for the city to be seen under the spectrum of monumental architecture. The notion of the island belongs to the past; the cityscape has changed so radically that only history can recover such memories and call them back to the citizens mind.

... In pochi anni tutti i 21.000 acri di fiume saranno interamente abitati. La griglia vecchio stile, ma pratica, verrà ampliata in parte verso le coste opposte creando una rete sovrastrutturale che galleggia sulla nuova città costruita da Zenetos e Friedman al loro tempo. Notorious Manhattan domina la nuova città come un grande monumento, un’acropoli in acciaio, vetro e cemento. Le guide turistiche troveranno delle analogie e potrebbero fare dei confronti con le “vecchie città fortezza” d’Europa. È giunto il momento per la città di essere vista sotto lo spettro dell’architettura monumentale. La nozione di isola appartiene al passato, il paesaggio urbano è cambiato in modo così radicale che solo la tradizione può recuperare questi ricordi e riportarli alla mente dei cittadini. 128 CITYVISION 07


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SUBSYSTEMS PÉTER DÓCZÉ - MÁRIA MAGYAR

The city of New York constitutes a uniform, self-sustaining and selfregulating ecosystem. A completely new living tissue – the common home of the living world – formed of organic matter, it will be built on the grounds of the old city. Manhattan will be redeveloped on the old contiguous humanscale subsystems formed around the focus points of the old city. Its topology will follow the tectonics and density of the individual boroughs. The live plant tissue tracing through everything not only serves as a human habitat, but also as a sensitive protective shield covering the city. This intelligent plant shell will regulate the climate of the urbanizations that lie directly below, eliminating New York’s extreme meteorological conditions and the sun’s harmful rays.

La città di New York rappresenta un ecosistema uniforme, autosufficiente ed auto-regolato. Un tessuto vivente completamente nuovo - la casa comune del mondo - formato da materia organica, verrà costruito sull’attuale base della città. Manhattan sarà formata dai vecchi contigui sottosistemi a misura d’uomo riuniti intorno ai punti di messa a fuoco della vecchia città. La sua topografia seguirà la tettonica e la densità dei singoli distretti. Il tessuto delle piante viventi analizzerà tutto ciò che non serve come habitat umano, ma verrà utilizzato anche come scudo protettivo che copre la parte sensibile della città. Il guscio di questa pianta intelligente regolerà il clima delle urbanizzazioni che si trovano esattamente al di sotto, eliminando le estreme condizioni climatiche di New York e i raggi nocivi del sole.

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LOOKING BACKWARD MATTEO LATINI - SARA PALMIERI - FRANCESCO GALIOTTO ELISA MARCHIORICRISTINA COLAGIACOMO - DOMENICO CIARAMELLA

This project aims to rediscover the ancient memory of a lost land, the identity of the island of Manhattan, “Mannahatta”, which in the unami language means “island of many hills”. The original scenery, surprisingly hilly and scattered with forests, springs, streams, canyons and lakes, has retaken, if only visually, a long disappeared, everchanging territory. And it coexists with it. We were aware that in recreating this, we would have expanded the site’s identity, leading to greater complexity. Our starting point for the project was the juxtaposition of the two matrices and their interaction. The regularity of the urban grid system, an eighteenth century chessboard, overlies the original landscape and its memory.

Questo progetto mira a riscoprire l’antica memoria di una terra perduta, l’identità dell’isola di Manhattan, “Mannahatta”, che in lingua UNAMI significa “isola di molte colline”. Il paesaggio originale, sorprendentemente collinare e disseminato di foreste, sorgenti, ruscelli, canyon e laghi ha ripreso - anche se solo visivamente una lunga parte di territorio in continua evoluzione. E coesiste con esso. Eravamo consapevoli che nel ricreare questo paesaggio, avremmo ampliato l’identità del sito, portandolo ad una maggiore complessità. Il nostro punto di partenza è stato la giustapposizione delle due matrici e la loro interazione. La regolarità del sistema della rete urbana - una scacchiera del XVIII secolo - si sovrappone al paesaggio originale e alla sua memoria.

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WISHING SEED SHOTA NAKANISHI - KOJI OTANI - HYOUNGUK NAM - AKINORI KOBAYASHI - OSAMU INOUE

Under the best seed of the capitalist economic system, the city becomes bigger and bigger. Humans are no longer connected with the metropolis. The metropolis has become a mega “product”. People are now built in the manufacturing system while they are not even aware of it. Although they reside in the city, opportunities to be connected with the city are lost. They have been alienated from the city. It is important that the citizens plant seeds, by their own hands, on the ground of Manhattan; the center of world economy. Plants recall the memory of the city, and people look for the future of the city. As the plants grow, Manhattan will change from a “product” to a “craft”.

Sotto il miglior seme del sistema economico capitalista, la città diviene sempre più grande. Gli umani non sono più collegati con la metropoli. La metropoli è diventata un mega “prodotto”. Le persone sono integrate con il sistema di produzione, e allo stesso tempo ne sono all’oscuro. Anche se risiedono in città, la possibilità di essere collegati con essa si perde. Ne sono stati allontanati. È importante che i cittadini seminino le piante, con le proprie mani, sul suolo di Manhattan, centro dell’economia mondiale. Le piante ricordano la memoria della città, e la gente cerca il suo futuro. Mentre le piante crescono, Manhattan cambierà e da “prodotto” diventerà “mestiere”.

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CAPTIVE GALAXY YUMI NISHIZAK - MA JIA - TOMOHITO KINAME

The Commissioners’ Plan of 1811 has defined Manhattan to this day. There is some criticism for its monotony and rigidity. However, we believe it’s limit, which is also a simple rule, actually generates diversity instead of monotony, since this simple rule is well balanced on human scale We plan to disorder this balance by rewriting the Commissioners’ Plan of 1811. Instead of only limiting the land by rectangles, we will also limit the sky by this even stricter limit, instead of extending towards the sky, an even more unique world would take place in each cuboid. Developing from the lower floor, each floor will show the era of Manhattan. Gothic, Renaissance, Baroque, Manhattanism, Art Deco, Modernism, Postmodernism and Deconstruction will take place, but in a different style.

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Il Commissioners’ Plan del 1811 è la base che ha definito Manhattan fino ad oggi. Ci sono alcune critiche in merito alla sua monotonia e rigidità. Tuttavia riteniamo che il suo limite (che è anche una semplice regola) generi effettivamente delle diversità anziché piattezza, dal momento che questa semplice regola è ben bilanciata con la scala umana. Il nostro programma mette in disordine questo equilibrio e riscrive il Piano. Invece di limitare solamente il suolo con dei rettangoli, faremo lo stesso con il cielo attraverso dei parallelepipedi. Con questo limite ancora più severo, invece di estendere la città verso il cielo otterremmo un mondo ancora più originale, un cuboide. Assisteremo allo sviluppo del piano inferiore, che mostrerà per ogni piano l’era di Manhattan. Gotico, Rinascimento, Barocco, Art Deco, Modernismo, Postmodernismo e Decostruzionismo si manifesteranno nuovamente ma in una versione inedita.


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THE LIBERATION OF GROUND AKIHIRO KINOSHITA - TAKU UEDA - YUE YIN - SHUN MOROHASHI - WEIYONG ZHAO

New York City is dominated by different kinds of regulations and divided into several hierarchies. It is a kind of mix between something idolized and something forgotten. The ground level separates the city into two parts. Above the ground, the city is well-organized as a grid with the image of magnificence. Under the ground there is a different New York City with a strong sense of of uneasiness or even fear. Separating the building blocks, turning round the ground, we get the upper and lower part of the city together. The open upper parts will become the underground. The ground level becomes a platform of exchange. Through connecting both the brightness of the city and the shadows of the underground, we hope to conceive a new concept of social ideology.

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New York City è dominata da diversi tipi di regolamentazioni suddivise in gerarchie. Si tratta di un mix tra qualcosa di idolatrato e qualcosa di dimenticato. Il piano terra separa la città in due parti. Sopra la terra, la città è ben organizzata come una griglia con la sua immagine di magnificenza. Sotto terra c’è una città diversa da New York con un forte senso di disagio e perfino paura. Separando i blocchi di edifici, ruotando la fetta di terra, si ottiene la parte superiore e inferiore della città. Le parti superiori aperte diventeranno metropolitana. Il piano terra diventa una piattaforma di scambio. Attraverso il collegamento tra la luminosità della città e le ombre della metropolitana, ci auguriamo che nasca un nuovo concetto di ideologia sociale.


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DE-MATERIALIZED ZONE YUNSUN SHIM - INJU LEE - HAEMEE HAN

The formation of the New York City skyline was determined by Cameron’s Line which dissectedManhattanIslandvertically based on two distinct geological bedrocks. The properties located on the western part of the unseen line consisted of harder rocks suitable for the stable foundation of skyscrapers. Capitalist city, New York brakes the geological line soon after the modern age enabled construction of high-rise on eastern properties. The overdose of infrastructural layers and the efficient generic grid like system has taken over the city. Rather than restoring or augmenting new elements to existing urban fabric following the new technology and current movement, we propose to attack the cycle of fast movement of adaptable city.

La formazione iniziale dello skyline di New York è stata determinata dalla linea di Cameron, che taglia verticalmente Manhattan seguendo due distinte basi di roccia geologica. I terreni situati nella parte occidentale della linea invisibile sono costituiti da rocce più dure adatte ad una fondazione stabile di grattacieli. La città capitalista, New York, rompe la linea geologica subito dopo la costruzione in età moderna abilitando l’high-rise sulle proprietà orientali. Il sovradosaggio di livelli infrastrutturali e l’efficiente sistema di rete generato si è rimpossessato della città. Piuttosto che il ripristino o la conversione dei nuovi elementi in tessuto urbano esistente per seguire la nuova tecnologia e il trend attuale, proponiamo di attaccare il veloce ciclo di movimento dell’adattabilità della città. 140 CITYVISION 07


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THE STUYVESANT ACT JULIEN COMBES - MARWAN FILALI - CHARLOTTE BESACIER

September 8th 1664: Pieter Stuyvesant negotiates the surrender of New Amsterdam. It is agreed that the city will surrender without fighting, at the condition that every citizen will be safe. Today, the original reserve is independent but well connected to the city ofNew York. Through history, it has kept its genuine values. Nowadays buildings are inspired by the original shape of the teepee. The public space extends within the building. The green area continues within the building skin. People can have a journey through the building. Public transportation and roads are elevated to leave the ground free, pedestrian and green. The building produces its own electricity. The combination of the wind mill and photovoltaic panels guarantee a stable and constant production. Extra electricity is provided tos the city.

8 Settembre 1664: Pieter Stuyvesant negozia la resa di New Amsterdam. Si stabilisce che la città si arrenderà senza combattere, a condizione che ogni cittadino verrà messo al sicuro. Oggi, quel territorio è indipendente ma ben collegato con la città di New York. Nel corso della storia, ha mantenuto i suoi valori autentici. Al giorno d’oggi gli edifici si ispirano alla forma originale del teepee. Lo spazio pubblico si estende all’interno dell’edificio. L’area verde continua all’interno della pelle dell’edificio stesso. Le persone possono fare un viaggio attraverso l’edificio. I trasporti pubblici e le strade sono sopraelevati e lasciano il terreno libero, pedonale e verde. L’edificio produce la sua energia elettrica. La combinazione di mulini a vento e pannelli fotovoltaici garantiscono una produzione stabile e costante di energia. L’extra produzione viene donata alla città. 142 CITYVISION 07


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THE FEW AND THE BUILDING CITY STEFANO ZENI - ESTER GHISLIERI

The population didn’t decide to radically change the city where they were living. The power of The Few was enough to impose a unique solution to preserve the history of an island, which in a short time had changed it’s form without any limits. But suddenly a limit was imposed. The Few had followed their ambitions without listening to the crowd, they believed that only history would prove them right. Obsolete urbanistic laws were quietly forgotten, replaced by the simplicity of a unified plan. The city surely would no longer be the same, crystallized in its ideal form, it will last forever like a fossil. A concrete casting invaded the gaps of the old city with new living spaces, complexes that generate energy, farmable surfaces and valuable entertaining areas.

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La popolazione non ha deciso di cambiare radicalmente la città in cui vive. Il potere dei pochi è stato sufficiente ad imporre una soluzione unica per preservare la storia di un’isola che, in breve tempo, ha cambiato la sua forma senza alcun limite. Ma improvvisamente un confine è stato imposto. In pochi hanno seguito le loro ambizioni senza ascoltare la folla, e hanno creduto che la storia gli avrebbe dato ragione. Obsolete leggi urbanistiche sono state tranquillamente dimenticate, sostituite dalla semplicità di un piano unitario. La città sicuramente non è più la stessa, cristallizzata nella sua forma ideale che durerà per sempre come un fossile. Un getto di calcestruzzo invade gli spazi della vecchia città, con nuovi spazi abitativi, quartieri che generano energia, superfici coltivabili e preziose aree di intrattenimento.


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CIRCLE ANDREY ADAMOVICH

New York is a city which has been epitomizing engineering and architectural potential of high-altitude construction for more than a century. New skyscrapers are continually being built here, however on the whole they are visually identical and possess a common structure. The new century demands the implementation of new ideas. The image of New York – its world-renowned skyline – would benefit from the introduction of a fresh element aimed at expanding the city’s familiar boundaries and opening it to new possibilities of growth. The customary delimitation of Manhattan should change. The new object – a light that reflects a circle of 718 meters in diameter – dissects 33th Street and offers a mirror image of the city. Visually dividing Manhattan into two parts, it introduces additional diversity into the zoning of the island.

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New York è una città che incarna l’ingegneria e il potenziale architettonico a grande scala, da più di un secolo. Nuovi grattacieli vengono costruiti di continuo e tuttavia sono visivamente identici e con una struttura comune. Il nuovo secolo richiede la realizzazione di nuove idee. L’immagine di New York beneficerebbe dell’introduzione di un nuovo elemento volto ad espandere i confini familiari della città, e la sua apertura verso nuove possibilità di crescita. La normale delimitazione di Manhattan cambiarebbe. Il nuovo oggetto - una luce riflettente che riflette un cerchio di 718 metri di diametro - taglia di netto la 33ma Strada ed offre un’immagine speculare della città. Visivamente divide Manhattan in due parti, introducendo diversità addizionale nella zonizzazione dell’isola.


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NIEUW AMSTERDAM ELIAN STEFA - MATTEO FERRARIO

It’s the last remaining dutch colony abroad following the Decolonization Period of Dutch history; a european/ north-american mashup of a megalopolis and the heart of the now extinct New Netherlands. Nieuw Amsterdam” by Hendrik Willem Van Loon, we chose to imagine what New Amsterdam would have looked like, and what it would be like to visit the ‘Big Oliebollen’ today. Following dutch urban logic and logistics, New Amsterdam presents high density neighborhoods next to low density residential areas, with strategically placed green belts and industrial zones scattered throughout. We do not know if New Amsterdam would have been better than the current New York City, but we do know that we would both love to visit the city from this postcard.

È l’ultima colonia olandese rimasta all’estero dopo il periodo di decolonizzazione della storia. Un mashup europeo/nordamericano di una megalopoli con il cuore della ormai estinta Nuova Olanda: Nieuw Amsterdam di Hendrik Willem Van Loon. Abbiamo scelto di immaginare come New Amsterdam sarebbe diventata, e cosa ci sarebbe piaciuto visitare oggi, il ‘Big Oliebollen’. Seguendo la logica urbana olandese, New Amsterdam presenta quartieri ad alta densità vicini ad aree residenziali a bassa densità, con fasce verdi strategiche e zone industriali sparse. Non sappiamo se New Amsterdam avrebbe rappresentato una soluzione territoriale migliore dell’attuale New York City, ma conosciamo l’amore che ci muove a visitare la città da questa cartolina.

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24 SILVER DOLLARS ERIC DE BROCHES DES COMBES - ROMAIN LEAL - NICOLAS GAGNON - SCOTT AIRLIE

24 dollars is the price that the Dutchman Peter Minuit bought the “manah–atin” island from the Wappinger confederacy (the Native American people who lived on the east bank of the island) in 1626. Four hundred years later, how much would it cost now, almost full to capacity and under the threat of of natural forces, if the Indian tribe were to buy it back? After many centuries of development and redevelopment, and following the decisive moment in 1811 of the hippodamian “Commissioners’ Plan”, we are proud to announce a new decisive update to the NYC OS: an evolution of the 2D orthogonal organization of the city. It is about time that the city that brought the use of the third dimension to such an artform, physically and financially, and that settled a way to fill the blanks so efficiently, starts to improve upon its most characteristic dimension.

24 è il prezzo che l’olandese Peter Minuit pagò per l’isola “manahatin” alla confederazione Wappinger (il popolo dei nativi americani che vivevano sulla riva orientale dell’isola) nel 1626. E se quattrocento anni dopo la tribù indiana volesse ricomprarla, ormai satura e sotto la minaccia delle forze della natura? Quale sarebbe il suo costo? Dopo molti secoli di sviluppo e di riqualificazione, e in seguito al momento decisivo del 1811 dell’ippodameo “Commissioners’ Plan” siamo orgogliosi di annunciare un nuovo aggiornamento del sistema operativo decisivo per New York: un’evoluzione dell’organizzazione 2D ortogonale della città. È giunto il momento che la città, che ha portato l’uso della terza dimensione a tale forma d’arte, fisicamente e finanziariamente, stabilisca un modo per riempire gli spazi vuoti in modo efficiente e inizi a migliorare la sua dimensione più caratteristica. 150 CITYVISION 07


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RE-COVERING NY KIM BYOUNG WOO - KIM JIN YOUNG - KIM JOONG HEE - JANG CHOL-MIN

The accumulation of great wealth and fame are surely two parameters sufficient to describe the success of New York. However, they both have to struggle enormously in order to maintain their. New York that is fed up of accumulating chronic fatigue decides to find the fundamental cause of the fatigue. Then they discover that the fatigue began from the situation of the region that they are located. Although the ‘flat regional division’ that is well structured in terms of convenience and efficiency, makes us realize the effects that have made New York so successfull, it was insufficient to cope with the demands of the gathering any longer, but rather it is regarded to worsen the fatigue of choice due to the granted features.

L’accumulo di ricchezza e fama sono sicuramente due parametri sufficienti a descrivere il successo di New York. Tuttavia, entrambi devono faticare enormemente per mantenere vive queste icone. New York, che è stufa di accumulare stanchezza cronicamente, decide di trovare la causa fondamentale di tale fatica. Poi si scopre che la fatica nasce dalla situazione in cui le regioni si trovano. Anche se la ‘piatta divisione regionale che è ben strutturata per comodità ed efficienza fino ad ora, ci fa capire gli effetti del successo di New York.

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THE CLOUD PABLO ROZENWASSER R. ALONSO - A. CÁRDENAS RUIZ - M.P. FIGUEROA GUERRA - S.M. GARCIA ESCUDERO F.M. GUARINO - C. LLORENTE - C.N. OSORIO BERROSPI - M.PÉREZ Y PADILLA F.J. VEGA - C. VERA VEGA - M.C.I. VITTORI - M. ZAMUDIO Can we think about a future where cities grow, without necessarily changing their buildings? Can we live in a city without actually being there? Can we think about endless cities just as J.L Borges thought about in the book “La biblioteca de Babel”? Could the cloud be the new replacement of demographic growth into informatic growth? Therefore, could the future find itself in an unstable condition in constant transformation? The aim of this project is to explore the two different worlds that conform architecture: the virtual one and the physical one. We think that technology does not express itself as in “The Jetsons” series. There are no flying cars or robots in charge of achieving assignments. The “cloud” has changed the way to store information.

Possiamo pensare ad un futuro in cui le città crescono, senza necessariamente modificare i loro edifici? Possiamo vivere in una città senza in realtà viverla? Possiamo pensare a città infinite come J.L. Borges fa nel libro “La biblioteca de Babel”? Potrebbe la nube sostituire la crescita demografica in crescita informatica? Pertanto, il futuro potrebbe trovarsi in una condizione di instabilità in continua trasformazione? Lo scopo di questo progetto è quello di esplorare i due mondi diversi che sono conformi in architettura: quello virtuale e quello fisico. Noi pensiamo che la tecnologia non si esprima come nella serie televisiva “The Jetsons”. Non ci sono auto volanti o robot programmati con incarichi specifici. La “nuvola” ha cambiato il modo di memorizzare le informazioni. 154 CITYVISION 07


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NEW YORK GLAMOUR JOEY YIM - KENNETH IP

New York has always been the centre of international commerce and free market capitalism, though it remains hugely fragmented in terms of its social distribution of capital. As the centre of international commerce, it epitomizes the mercantilism of Western society and the uneven distribution of wealth that capitalism has come to represent. New York of the 1920’s was fascinated with the airship and its promise of travel and glamour. Precisely because the airship never did develop into a mode of mass transportation, it forever exists in a utopian reality whereby its imagery is etched only as a notion of romantic allure.

New York è sempre stata il centro del commercio internazionale e del capitalismo di libero mercato, anche se rimane estremamente frammentata in termini di distribuzione sociale del capitale. È il centro del commercio internazionale, che incarna il mercantilismo della società occidentale e l’iniqua distribuzione della ricchezza che il capitalismo ha rappresentato. New York del 1920 resta affascinata dal glamour del viaggio con il dirigibile. Proprio perché il dirigibile non è mai diventato un mezzo di trasporto di massa, esiste una realtà utopica in cui il suo immaginario è inciso come una nozione di fascino romantico.

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THE ARCHITECTURE OF SIMULTANEITY SHAYANI FERNANDO - SUMAIYA MOUSHUMI - VIDA ASRINA

An exploration of “a possible architecture of simultaneity – an architecture that does neither exist in the past the present or the future, but in all timelines at once.” The aim of this project is to create a continuum of parallel and multidimensional living where the collective desires of the city are projected leading to the creation of new emerging pathways, bridging the disparity between the socio economic zones of the Metropolis of Manhattan. These connections draw attention to future speculations and how New York City will emerge.

L’esplorazione di una “possibile architettura della simultaneità “, un’architettura che non esiste nè in passato nè nel presente e perfino nel futuro, ma in tutti i tempi contemporaneamente.” Lo scopo di questo progetto è quello di creare un continuum di vita parallela e multi-dimensionale, dove vengono proiettati i desideri collettivi della città portando alla creazione di nuovi percorsi emergenti, colmando il divario tra le zone socio economiche della metropoli di Manhattan. Questi collegamenti mettono in evidenza le speculazioni future e come New York emergerà.

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CITYVISION COMPETITION

It’s a popular instrument used by CityVision lab to investigate on contemporary cities and their future Get involved www.cityvision-competition.com

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06 8781

1 0 9 3186

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1109250

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08 8963

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09 9628

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Julieta Aranda Giovanni Giaretta Francesca Grilli Hiwa K

Artisti in residenza

Programma Artisti in residenza #2 agosto—novembre 2012

mostra finale 12.12.12

gli studi sono visitabili su appuntamento macroresidenze@gmail.com

macro

studi d’artista

via nizza ,

138 00198 — roma museomacro.org

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