21 luglio

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MATURIPERL’AFRICA READY4AFRICA

NEWS

Giovedì 21 LUGLIO 2011

HAP LEO

A TU KO + -MA JOR

Grandi giochi sul prato LA FESTA DI FINE SCUOLA DEI BAMBINI DELLA PRIMARIA

Il motto di oggi: “Per qualsiasi cosa ormai è troppo tardi”

(per il coltello di Tommi, per riempire di più le valigie...)

Pane e marmellata Come viziare i bambini in Kenya Pagina 2

Suggestioni Alcune impressioni da condividere Pagina 3

Palloni e Inno di Mameli Al parco con i bambini della HIS Pagina 4

Shalom House La casa della pace fa anche bene da mangiare Pagina 5

Rientro tra canne e ananas A spasso per la Ngong road Pagina 6

Aneddoti risate a denti stretti

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Ready4AfricaNews - ANNO III, N.5

ANNO III N.5


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Pane e marmellata COME VIZIARE I BAMBINI IN KENYA

Il quinto giorno comincia bene. Mi sveglio alle cinque e mezza in automatico, la cistite maledetta di ieri sera pare passata, aspetto le prime avvisaglie dell’arrivo delle bambine che fanno colazione alle sei, accendo la luce del refettorio dove dormo per far capire che possono entrare. Sciamano poco a poco a gruppi mentre Susan si dà da fare con tazze, fette di pane e poco altro. A proposito, qui il te lo fanno mettendo la bustina nel latte (e all’orfanotrofio penso annacquino il tutto abbondantemente), come è tradizione del Kenya, dice la guida. Susan è una volontaria di Nairobi, una ragazza sui venti massimo venticinque che sta studiando per diventare maestra. La incrocio da tre giorni, un cenno di saluto appena ma adesso ci tiene a farmi sapere come si chiama: qui il rapporto diretto è

importante e mi sento inadeguato, io che non ricordo un nome nemmeno a pagarmi. Ok, Susan, vedrà di ricordarmelo. Finita la colazione lavano piatti e tazze, mettono le sedie sui tavoli in un frastuono infernale che non credo concili il sonno dei miei pargoli ammassati nella stanzetta adiacente. All’improvviso una bambina mi si avvicina e mi dice in italiano Perché non vieni a scuola”. Cioè mi sta invitando a salire con loro sul pulmino che alle sei e quaranta le porta alla Primary School. Vado, perché no? Salgo e scherzo in inglese sul fatto che sono un po’ anziano per la loro scuola. Susan mi racconta un po’ dei suoi studi per fare la maestra: ha il futuro negli occhi e nella voce, spero le riesca tutto nel migliore dei modi. Mentre scendono le bambine mi dà una scatola con dei minuscoli crackers:

uno per ciascuna, mi raccomanda. Li distribuisco come un buon padre di famiglia e qualcuna mi ringrazia in italiano: “Grazie”. “Prego”. Al ritorno il buon Daniele è sveglio e operativo. Mentre facciamo colazione arrivano le piccole dell’orfanotrofio, Mary e Agrida. La seconda è meno timida, quando la saluti risponde sempre “Ciao bella come le ha insegnato “Suor Assunta: riusciamo a darle due pezzi di pane e marmellata. Va via contenta a spartirli con la compagna, infagottate nei loro maglioni blu: qui è la stagione più fredda dell’anno, siamo a milleseicento metri e di mattina saranno dodici quattordici gradi. Ci guardiamo negli occhi: stiamo bene qui. Oggi sarà la giornata dei bambini, e comincia proprio così, con il futuro dell’Africa.

HAP LEO

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Suggestioni

Ore 20.30, abbiamo appena finito di cenare e uscendo dal salone un canto richiama la nostra attenzione e ci porta a sbirciare nella stanza dove si trovano le bambine. Con solo un tamburo, le loro voci e i loro balli creano una atmosfera suggestiva che ci incanta facendoci scordare il motivo per cui eravamo usciti. Sembrerà banale ma è proprio vero che i loro sguardi bastano. Bastano per trasmettere la spensieratezza e la felicità che animano le loro giornate. Bastano per farci emozionare. Poco prima, scesi dall’autobus, di ritorno da una lunga giornata di lavoro nella missione Makuyu, le loro mani tese ci hanno fatto dimenticare la fatica e il lungo viaggio. Non ci aspettavamo una tale accoglienza, ci siamo sentiti parte della loro famiglia. Tra di loro infatti, l’aiuto e la collaborazione vanno al di là della semplice convivenza: il legame che le unisce è paragonabile a quello tra sorelle. Marta, Valeria, Angela, Martina, Jolanda Braccio di ferro Ecco un esempio di contrattazione per una tratta in matatu per 19 persone + autista e due “cassieri” (si consideri che il numero massimo di passeggeri è 14…): - Quanto vuoi per portarci ad Hurlingham? - Duemila scellini. (Paolo capisce 200) - Ok, ragazzi, salite! (tutti salgono, poi si capisce che il costo reale è 2000, circa 18 euro) - 2000?!? Nooo, it’s too much! Ragazzi scendete! (il tutto in mezzo alla strada) - Wait!! Quanto vuoi pagare? Il posto dove vuoi andare è lontano! Carlo spara: - 500 scellini, non uno di più! - Nooo! Impossibile! - In questo caso, vi ringraziamo e vi salutiamo. - Amico, non perdere tempo, non troverai mai un mezzo che ti porta laggiù a quel prezzo, lo dico per te! - Questo è un problema nostro, però grazie comunque e arrivederci! Ce ne andiamo tranquilli, e dopo tre minuti di strada a piedi, vediamo accostare lo stesso matatu, che accetta di portarci ad Hurlingham per 500 scellini…salvo poi fermarsi a 800 metri dal traguardo per pretendere altri 200 scellini. Gliene diamo 100 e ci portano a 400 metri dal posto richiesto. Un braccio di ferro estenuante, che si perpetua giornalmente, dove non si sa bene chi abbia vinto…e forse è bene così. Ready4AfricaNews - ANNO III, N.5

HAP LEO

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Palloni e inno di Mameli AL PARCO CON I BAMBINI DELLA HIS

Alle 10 arriva il matatu e si va. Nel frattempo Daniele tira fuori da qualche parte una vasca pesantissima in cemento che le suore vogliono installare per lavare panni, la Tamara coccola le due piccoline e le accompagna all’asilo, qualcuna lava i panni, ed è uno spettacolo vedere una liceale con la puzza sotto il naso fare il bucato come l’ultima delle massaie. Bellissimo! Carlo e Paolo vanno a dare un’occhiata al pc della superiora polacca, suor Ivonne. Pare contenga i segreti di tutti gli ordini monacali del continente africano ma il maledetto windows non parte. Disinfettiamo un pc ma quella della suora non vuol proprio risorgere e ovviamente manca il disco di windows. Un appello a Bill Gates: aiuta le povere sisters di Nairobi producendo finalmente un sistema operativo stabile!! Finalmente ore 10, finalmente matatu, via verso la HIS. Giù per Ngong Road, fino alla Shalom House con la solita sfilata di artigiani di tutte le forme e misura in mezzo a canali di scarico, erbacce e terra rossa. Ci fermiamo giusto il tempo di prenotare un pranzo per diciannove alle due alla modica cifra di scellini 450, ovvero 3 euro e qualcosa. Si riparte ma c’è la sorpresa, il matatu non gira verso la Hope ma va a destra, letteralmente in mezzo ai campi. Eccoli lì i bambini piccoli, tutti in gruppo ad aspettarci in mezzo a questo prato enorme che poi si scoprirà essere un vero parco. Ci

girano in mezzo alcune persone e un paio di mandrie di bovini, in mezzo noi e i bambini. Accoglienza festosa, c’è Nestor e tutti gli insegnanti delle scuole primarie. Breve saluto e diligenti i bambini si schierano in file divisi per classi. L’insegnante presenta il piccolo saggio e un gruppo alla volta ci recintano poemetti in francese, ci cantano canzoni mimando e agitando le braccia. In mezzo al prato la scuola ha un sapore del tutto diverso, e si sente! Poi tocca a noi e in gruppo ci produciamo nelle canzoni provate ieri sul matatu: per iniziare ci pare buono un inno d’Italia e quindi un Fratelli cantato con mano sul cuore, come non fanno più neanche alle partite della nazionale: qui per i bambini della HIS sì! Poi ci sono ovviamente i coccodrilli che non si sa mai che cacchio di verso fanno e c’è l’unicorno che in Africa risulta di fatto sconosciuto o estinto. Poi giochi. Giochi a non finire e gli animatori provetti del gruppo hanno il loro bel da fare. Daniele gioca a calcio ma dopo un’ora di pallonate tira il fiato peggio di un mantice ed è rosso come se dovesse scoppiargli la caldaia da lì a un minuto. C’è palla prigioniera, insegnano a cantare ai bambini la macchina del capo e i numeri fino a dieci per giocare a rubabandiera. Imparano già al secondo giro ma io non assisto perché ci siamo dimenticati all’orfanotrofio qualche regalino, dei palloni, gli aquiloni. Troppo giusto il momento per lasciar andare e Ready4AfricaNews - ANNO III, N.1

allora mi fiondo a prendere un matatu sulla Ngong Road. Mi ficco dentro l’ultimo posto rimasto e provo di nuovo questa sensazione curiosa della fusione dei corpi, della compenetrazione che annulla ogni differenza culturale ma non ho tempo per riflessioni. Sono già allo Yaya center, due passi e prendo un taxi. risibile il biglietto del matatu, 30 scellini, esoso il taxi, 800 ma pazienza. Arrivo alle suore, cerco qualcosa da portare ma è stato tutto imbucato in qualche deposito che solo qualche suora assente sa, per cui raccatto soltanto dei palloncini gonfiabili. Pazienza, meglio di niente. Arrivo che giocano ancora in questo prato enorme, in cinque sei gruppi, alcuni seduti in cerchio, altri a correre dietro ad un pallone, altri a cantare. Gonfiamo palloni ma non ce n’è per tutti: vorremmo una cosa per ciascuno ma sono una sessantina abbondante. Giochiamo ancora un po’, fino all’una e dieci, poi è il momento di andare. Ma chi vuole andare via? Giocare in mezzo all’erba, ultimo giorno di scuola, con bambini di sei, dodici anni che litigano per un pallone gonfiabile è per noi europei un ritorno a dimensioni comprensibili, umane, traducibili in emozioni pure. Ma la Shalom House ci strappa dall’idillio e siamo di nuovo per strada, in mezzo a polvere, vivai improvvisati e macchine che sfrecciano. Neanche l’ennesimo sangue di naso di Edoardo ci ferma per più di due minuti. H T U K A PA O


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Shalom House LA CASA DELLA PACE FA BENE ANCHE DA MANGIARE Alla Shalom house abbiamo dormito nel 2008, ai tempi della prima spedizione africana. Una grande struttura con due o tre grandi costruzioni a tre piani recintata,m sorvegliata da una guardia come del resto l’orfanotrofio. Al centro un grande giardino, al primo piano un ristorante, un internet point, un negozio di articoli per turisti. Ospita molti uffici di associazioni di volontariato, Koinonia per prima, cioè l’Associazione del fondatore di tuto, padre Kizito Sesana, un omone grande con una lunga barba bianca famoso in tutta l’Africa, di continuo in movimento fra Ciad, Zambia, Sudan. Su di lui da un paio d’anni gira una complicata vicenda di processi per pedofilia che avrebbe tutto lo scopo di sottrargli l’enorme potere economico che è riuscito ad aggregare attorno all’associazione. Anche questa realtà delle missioni è difficile da capire per noi, come è difficile capire certe posizioni dei volontari laici che qui in Kenya fanno un lavoro bellissimo. Abbiamo avuto via mail qualche piccolo attrito con il responsabile di una di queste associazioni, Karibu Africa, ma mentre aspettiamo il cibo saliamo a cercarlo al secondo piano della palazzina. C’è. Capelli lunghi

come sempre, basette anni settanta, una moglie e un figlio in Italia che vede quando può fa un grande lavoro qui e ci sta per almeno undici mesi all’anno. Mi piace perché ciascuno sa che l’altro ha le sue ragioni ma l’Africa è grande per starci tutti due senza pestarci i piedi. Una stretta di mano, due chiarimenti, la promessa di una birra. So che a lui la nostra spedizione estemporanea fatto in parte anche di regali che costruiscono poco per il futuro deve parere sbagliata, perfino stupida, e lo vedo, ma so che di nostro questo possiamo fare. Noi siamo sospesi un po’ a metà, diciamo, fra il desiderio di aiutare un po’ gli africani e il bisogno di aiutare un po’ i nostri studenti a costruirsi una sensibilità etica che li aiuti nel lavoro che faranno. Credo che seminando di qua, nel nostro Liceo, magari verrà fuori qualche Marchina in più fra dieci anni , magari un medico che verrà a fare dei periodi qui, o un ingegnere che resterà in Italia ma raccoglierà fondi, o un laureato in economia con un occhio

terzomondista. Chissà. Ci rifletto mentre spazzolo il mio piatto di polenta (ugali) verdure varie e riso lesso che la capace cucina della Shalom fornisce generosa. L’atmosfera è allegra e festaiola, le battute si sprecano e anche le barzellette, con scandalo del buon Daniele che vorrebbe un livello appena un po’ up. Qui alla Shalom vengono ospitati anche dei gruppi di volontari come il nostro, si organizzano viaggi di turismo responsabile per universitari o gente interessato:in questo momento, uscendo, incontriamo un gruppo di scout di Rimini, bella gente che fa un periodo di lavoro e comprensione nelle baraccopoli, fra i bambini di strada. Bambini anche qui, insomma, come per tutta la giornata.

HAP

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RACCOGLITORE!

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Rientro fra canne e ananas A SPASSO PER LA NGONG ROAD Ripartiamo che sono quasi le quattro. La strada fino all’orfanotrofio è lunga e ne facciamo solo un pezzo fra artigiani on the road che fanno letti in legno (ma quanti letti in legno possono usare a Nairobi??) intrecciano panche in vimini, saldano di tutto (senza occhialini ma con competenza, a detta di Daniele!!). Qui è anche l’occasione per la prima canna collettiva: Per venti trenta scellini (15-20 centesimi) un ragazzo recupera da una carriola una canna da zucchero di una sessantina di centimetri, con un machete affilato toglie la scorza e te la fa a pezzetti in una bustina. Masticando tiri fuori il succo dolce e sputi via il torsolo asciutto: qualcuno si chiede dov’è il portaimmondizie ma a guardare per terra la domanda svanisce. A un certo punto diventa necessario un matatu e riusciamo a salire tutti nello stesso dopo una contrattazione ai limiti della borsa affari: prima confondo thousand con hundred ma la mente matematica di Carlo rimette in sesto le cose e arriviamo intatti fino a Hurlingham, nonostante la guida spericolata del driver che sfiora camion e macchine al millimetro: meglio di un altro che vediamo imbarcarsi in curva e fare un frullato dei poveri occupanti. Rieccoci a casa, in tempo per una sosta all’internet point. Poi il gruppo spesa si

attiva perché stasera tocca a noi cucinare: è la prova del cuoco, perché di fatto finora abbiamo sempre mangiato a sbafo o fatto pic nic. Pastasciutta al sugo, frittata, cavolo e pomodori, oltre a gran finale con gli ananas che ci hanno regalato a Makuyu, a fettine con spolverata di cannella!!! Il tutto per addolcire la mezz’oretta di planning, così usa oggi: tutti nel refettorio in cerchio a ragionare sul nostro ingresso alla baraccopoli. Domani la giornata sarà difficile, qualcuno di noi è già andato, per qualcuno è la prima volta ma è meglio dare qualche dritta. Accortezza e rispetto, queste le due parole d’ordine. Lì l’ambiente non è facile, bisogna stare attenti perché la povertà non consente maniere troppo gentili e rubare taccuini o minacciare con il coltello non è così raro. Rispetto perché andiamo a guardare la povertà e la disperazione degli altri e ogni atteggiamento e che suoni anche vagamente turistico è da evitare. Ma leggiamo negli occhi dei nostri figlioli che non serviva nemmeno dirlo. La compagnia si scioglie e ognuno pensa ormai alla branda. Oggi bambini,

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Aneddoti

REDAZIONE:

Che differenza c’è fra la polenta e l’ugali? Nessuna, di fatto sono ugali. Maturi per una canna… Chi l’avrebbe detto? Vabbè che in Kenya bisogna essere pronti a sperimentare tutto, ma che proprio i prof. offrissero una canna ai loro studenti onestamente non se l’aspettava nessuno. Ed ecco l’allegra compagnia passeggiare ruminando legno per poi sputazzarlo qua e là per terra senza ritegno, dopo averlo convenientemente ciucciato. Si tratta di una nuova droga molto diffusa da queste parti chiamata “canna da zucchero”. Non produce assuefazione, ma può far male ai denti.

JOLANDA BARRA ANNA BATTISTELLA CLAUDIA BEACCO SILVIA BURIOLLA PAOLO VENTI CARLO COSTANTINO EDOARDO PICCININ ANDREA SANTIN ALESSANDRO GIACINTA TOMMASO MARTIN VALERIA DE GOTTARDO MARTA GREGO MARTINA DE FILIPPO ANNALISA SCANDURRA CHIARA VENA GIULIA LORENZON ANGELA BRAVO TAMARA NASSUTTI DANIELE MARCUZZI

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21 Luglio 2011

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Parenti, amici e conoscenti!


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